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DONNE CHIESA MONDO MENSILE DELLOSSERVATORE ROMANO NUMERO 92 SETTEMBRE 2020 CITTÀ DEL VATICANO DONNE CHIESA MONDO MENSILE DELLOSSERVATORE ROMANO NUMERO 92 SETTEMBRE 2020 CITTÀ DEL VATICANO L’Europa delle Patrone Sguardi diversi Giulia Caminito Caterina da Siena Carola Susani Teresa di Lisieux Nadia Terranova Teresa d’Avila Tre scrittrici raccontano tre sante LA F O R E S TA SILENZIOSA DONATA FERRARI , DOPPIA MISSIONE TRA I PIGMEI

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D ONNE CHIESA MOND OMENSILE DELL’OSSERVATORE ROMANO NUMERO 92 SETTEMBRE 2020 CITTÀ DEL VAT I C A N OD ONNE CHIESA MOND OMENSILE DELL’OSSERVATORE ROMANO NUMERO 92 SETTEMBRE 2020 CITTÀ DEL VAT I C A N O

L’E u ro p adelle Patrone

Sguardi diversiGiulia Caminito Caterina da Siena

Carola Susani Teresa di LisieuxNadia Terranova Teresa d’Avila

Tre scrittrici raccontano tre sante

LA F O R E S TA SILENZIOSA D ONATA FERRARI, D OPPIA MISSIONE TRA I PIGMEI

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numero 92settembre 2020

LE IDEE

La nuova Europa non potrà avere fondamenta solonell’economia, nella finanza, negli accordi politici, nelladiplomazia. Ha bisogno di valori collettivi e, per quantopossa sembrare strano, di sentimenti concordi che la gui-dino, la indirizzino, ne interpretino l’animo profondo e

indichino una speranza nel futuro. Le patrone d’Europa, le sante, cuigli abitanti del vecchio continente si sono affidati, indicano modelli,valori, strade da seguire. La loro santità può trasmettere vitalità enuova forza a un’idea che spesso vacilla. Per questo, anche per que-sto, dedichiamo loro un numero di Donne Chiesa Mondo.

Quando nel 1999 la Chiesa ha deciso di affidare l’Europa a tre pa-trone - Santa Brigida di Svezia, santa Caterina da Siena, santa TeresaBenedetta della Croce - ha fatto una scelta di unità geografica (Brigi-da viene dall’estremo nord d’Europa; Caterina da Siena, toscana,rappresenta la parte centrale e mediterranea del continente; TeresaBenedetta della Croce i paesi dell’est). Ma non si è limitata a questo.

Ha riconosciuto il ruolo svolto dalla santità femminile e ha affer-mato l’esigenza di rilevare una differenza fino a quel momento evi-dentemente trascurata fra due santità: quella maschile ampiamente ri-conosciuta e quella delle donne, forte e diffusa ma non ancora distin-ta. In queste pagine, nelle storie delle sante cui ciascun paese ha scel-to di affidarsi e in quella delle tre patrone del continente europeo,cerchiamo di andare alle radici della santità femminile cui l’Europa siè affidata, ai valori cui il vecchio continente deve ispirarsi se vuoleavere un futuro. E, soprattutto, ai modelli cui possono guardare ledonne europee, credenti e no, oggi protagoniste di un cambiamentoancora insufficiente. Il racconto della vita delle patrone è stato affi-dato a studiosi e studiose e ad alcune scrittrici seguendo l’idea che laletteratura possa esprimere sguardi diversi sui moti dell’animo uma-no, le infinite strade della fede e quindi raccontare con più ricchezzala peculiare santità femminile, i modi in cui è capace di farci com-prendere il mondo. La scelta che abbiamo compiuto non è usuale masi è rivelata felice. Le diverse chiavi di approccio, l’abbandono al rac-conto, l’inevitabile identificazione con l’oggetto della propria narra-zione mostrano non solo ciò che le sante patrone sono state, ma imessaggi, la ricca eredità che ci hanno lasciato e di cui oggi tutte

Strade per il futuro

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D ONNE CHIESA MOND O

Mensile dell’Osservatore Romano

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possiamo ampiamente disporre. La santità femminile europea ci pareinnanzitutto intessuta di fiducia. Fiducia in Dio che diventa fiduciain se stesse portando le patrone a compiere azioni che sembravano, eancor oggi sembrano, impossibili. Fu questa fiducia assoluta a spin-gere Caterina, donna povera e non istruita, a un’opera pacificatriceche pareva irrealizzabile in un tempo lacerato da conflitti, che la por-tò a chiedere alla Chiesa coerenza e rigore morale, sradicando “lepiante fradicie” e sostituendole “con piante novelle fresche e olezzan-ti”. E fu l’infinita fiducia in Dio e in se stessa che indusse Brigida alasciare le terre del nord, a raggiungere Roma e a svelare ai ponteficii disegni di Dio, ad ammonirli contro il peccato. La fiducia dellesante europee in se stesse e nella vita, diventa audacia, che le spingea sfidare il mondo maschile - quello medievale, come avviene per Ca-terina e Brigida, quello più recente per Edith Stein - su un terrenoche pare consegnato solo agli uomini: il misticismo, l’esperienza spi-rituale che congiunge direttamente a Dio, senza alcuna mediazionedegli uomini e della Chiesa. Edith Stein, nata da famiglia ebrea, al-lieva del filosofo Husserl, convertita al cristianesimo, monaca di clau-sura a Colonia, deportata ad Auschwitz e morta nel campo di stermi-nio, rivendica con forza e ardimento l’unione della sua anima conDio. È proprio quest’unione che la induce a opere audaci e inammis-sibili, portandola a esplorare la ricchezza della femminilità e la con-creta condizione delle donne. E a fare di questo un terreno di batta-glia culturale e sociale.

Viaggiano molto le sante di cui riportiamo la storia, percorronol’Europa e l’Italia, traversano mari e superano montagne. Il pellegri-naggio nella loro vita è una dimensione dell’anima e un’altra dimostra-zione dello speciale rapporto con Dio. Lo usano per conoscere e cam-biare gli uomini e le cose, intervenire nelle dispute del tempo, nelle vi-cende della Chiesa. I loro sono anche pellegrinaggi interiori, alla ricer-ca di se stesse e di uno speciale rapporto col divino. È l’esperienza disanta Teresa d’Avila, che racconta momento per momento la sua vici-nanza a Dio o meglio come, passo dopo passo, Dio è entrato nel suocuore. E’ quella di santa Teresa di Lisieux, che scopre nella sete d'amo-re dell’infanzia l’amore di Dio e verso Dio. Bisogna avere mota fiduciain se stesse per proporre Dio con la forza e la determinazione dellesante patrone d’Europa. Per candidarsi a un protagonismo che diventaforza e autorevolezza. Questo oggi ci consegnano. E per gli uomini,ma soprattutto per le donne europee, non è poca cosa.

RI TA N N A ARMENI

LE IDEE

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TRIBUNA

Niente alibi, niente scorciatoie.Chi conosce Alessandra Smeril-li, religiosa salesiana delle Figliedi Maria Ausiliatrice, che da an-ni coniuga la sua missione edu-

cativa con gli studi in ambito economico, sa be-ne che certe soluzioni non le appartengono. Perquesto il suo ultimo libro "Donna economia –Dalla crisi a una nuova stagione di speranza"(San Paolo) è un testo che lancia soprattuttouna sfida alle donne, chiamandole alla respon-sabilità di un impegno non più rinviabile.

E la sfida è doppia. Riconoscere, andando ol-tre le retoriche dell'uguaglianza di genere, chec'è uno specifico femminile nel modo di guarda-re la realtà e di abitare le relazioni; accettare diessere nel mondo economico e finanziario con ilproprio specifico femminile, rinunciando allascorciatoia di un’appropriazione del modellomaschile che più facilmente apre

misti e sociologi, lasciando che emerga - ancheattraverso gli approfondimenti dedicati a donneimpegnate sul campo, che arricchiscono le pagi-ne del saggio - il collegamento con quello speci-fico femminile e con le sue potenzialità di inno-vazione e generatività. Le difficoltà e le oppor-tunità di un passaggio da un’economia dellacompetizione ad un’economia della cooperazio-ne; lo sviluppo di nuovi sistemi di misurazionedel benessere e della felicità; le conseguenzedell’aumento delle diseguaglianze, sono temi,solo per fare alcuni esempi, sui quali l’universofemminile può offrire, per sensibilità ed espe-rienza quotidiana, sguardi e competenze diverseda quello maschile. Così come è evidente chesul grande tema del valore dei beni relazionali osu quello della cura del pianeta le donne hannogià messo in campo sensibilità ed energie chehanno mostrato l’evidente ritardo di un’econo-

mia e di una politica marcata-

Una economia bella e possibile:doppia sfida per le donne

ancora oggi le porte a ruoli divertici. E l’ingresso dello sguardoe delle competenze femminili nelmondo dell'economia, è questa latesi di fondo del libro, è il pas-saggio indispensabile perché lacrisi che stiamo vivendo possa es-sere trasformata in un’opp ortuni-tà concreta di cambiamento. Eccoallora che suor Alessandra Sme-rilli affronta nel libro le questionipiù urgenti poste dall’economiadella globalizzazione e i temi alcentro delle riflessioni di econo-

mente maschili. Non sarà dunquepossibile immaginare un futurodiverso se uomini e donne noncominceranno a guardare il mon-do insieme. E solo questo sguar-do comune, è l’auspicio di suorAlessandra Smerilli, permetteràdi “riconciliare l’economia con lesue radici: oikos-nomos, gestionee cura della casa, la propria equella di tutti”.

*Autore di Benedetta economia!/ Tv 2 0 0 0

di DARIO QUA R TA *

Suor Alessandra Smerilli

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SOMMARIO

LE IDEE

Strade per il futuro

RI TA N N A ARMENI A PA G . 1

TRIBUNA

Una economia bellae possibile: sfida per le donne

DARIO QUA R TA A PA G . 3

QUESTO MESE - DONNE DI VA L O R E

Audrey Donnithornee le laiche nella Chiesa

ROMILDA FE R R AU T O A PA G . 6

QUESTO MESE - POESIA

C re d o

RO B E R TA DAPUNT A PA G . 7

QUESTO MESE - PERCORSI

Riformare si può?Le teologhe a confronto

LILLI MANDARA A PA G . 8

QUESTO MESE - LIBRI

Certa maschilità che resiste,nonostante Gesù...

ELENA BUIA RUTT A PA G . 9

PAT R O N E - SVEZIA E EU R O PA

Brigida, mistica e politica

ADRIANA VALERIO A PA G . 25

PAT R O N E - POLONIA

Kinga, la regina castaal servizio dei poveri

ANNA SZ C Z E PA N -WO J N A R S KAE JEAN WARD A PA G . 28

PAT R O N E - EU R O PA

Edith unisce i popoli

ANGELA ALES BELLO A PA G . 30

5 D OMANDE

Lella Costa: “Da Edith Steinlezione di dignità”

GLORIA SAT TA A PA G . 33

PAT R O N E - IRLANDA E BELGIO

Brigida, il futuro della Chiesa

MICHAEL KI R WA N SJ A PA G . 34

PRO MEMORIA

Biblioteca Naudet di VeronaLILLI MANDARA A PA G . 40

LA F O R E S TA SILENZIOSA

Donata Ferrari e l’osp edaleper i pigmei nellaRepubblica Centrafricana

LAU R A ED UAT I A PA G . 36

Monica Bologna e la casaper orfani cattolicie musulmani in Albania

A PA G . 38

D ONNECHIESAMOND O

CO M I TAT O DI DIREZIONE

Ritanna ArmeniFrancesca Bugliani Knox

Elena Buia RuttYvonne Dohna Schlobitten

Chiara GiaccardiShahrzad Houshmand Zadeh

Amy-Jill LevineMarta Rodríguez Díaz

Giorgia SalatielloCarola Susani

Rita Pinci (co ordinatrice)

IN REDAZIONE

Giulia GaleottiSilvia Guidi

Valeria PendenzaSilvina Pérez

RE A L I Z Z AT O INSIEME AElisa Calessi, Lucia Capuzzi,

Laura Eduati, Romilda Ferrauto,Federica Re David

PRO GETTO GRAFICOPiero Di Domenicantonio

COPERTINAAnna Milano

A CURA DIMarco De Angelis

REDAZIONEredazione.donnechiesamondo.or@sp c.va

ABBONAMENTIosservatoreromano.va/it/pages/abb onamenti.html

abb onamenti.donnechiesamondo.or@sp c.va

PAT R O N E - SPA G N A E CROAZIA

La mie due Teresee un incontro mancato

NADIA TE R R A N O VA A PA G . 10

PAT R O N E - FRANCIA

Il libro di Teresinada Lisieux va nel mondo

CAROLA SUSANI A PA G . 15

PAT R O N E - ITA L I A E EU R O PA

Vita di Caterina,che non è la mia

GIULIA CAMINITO A PA G . 20

10

15 20

25 28 30 34

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QUESTO MESE DONNE DI VA L O R E

di ROMILDA FE R R AU T O

Mentre molti sguardi erano ri-volti con preoccupazione ver-so la Cina, che si apprestavaa promulgare la nuova leggesulla sicurezza nazionale per

Hong Kong, è stata raccontata con emozione lamorte proprio in questa città di una donna qua-si centenaria, il 9 giugno scorso, il cui destino èstato strettamente legato alla storia recente dellaCina. Perché è stata una donna, Audrey Donni-thorne, a promuovere la riconciliazione tra i ve-scovi cinesi, cosiddetti ufficiali e non ufficiali, ele rispettive comunità dei fedeli cattolici. Chi la-

POESIA

C re d oCredo nelle anime sante,nella loro indipendenzaconquistata sui sensi di una preghiera.Credo nel lamento di un uomoin agonia, inaccessibile silenziodegli ultimi istanti in una vita.Credo nel lavaggiodel suo corpo fermo, nel suo vestitoa festa e nell’incrocio delle mani,testimoni di un battesimo confidato.Credo nella gloria dei vinti.Credo nelle loro carni piegatesotto le macerie, i loro respiri cessati.Credo nelle distese di orti trasformati,dentro al loro recintole ossa dei popoli ammazzati.Credo nei miserabili che anneganoalle porte d’Italia.Credo in quelli che rimangonoe il giorno dopo chiamiamo clandestini.Credo nelle loro bambine venduteai nostri piaceri, nella loro tristezzache sorride vittima di un rossetto ingrato.Credo negli angeli senza ali,in quelli che a piedi nudi camminanodentro una fede.Credo nel mondo,quello fuori dalla vetrinain ginocchio a guardare dentro.Credo nel colore delle pelli che indossa,negli occhi neri dei figliche perde affamati.Credo nella verità delle madrie del loro amore.Credo nella miseria e nell’umiltàdi questi versi.Credo nella bellezzae qui conviene fermarmi.

RO B E R TA DAPUNT

da La Terra piú del paradiso, Einaudi,2009

vora oggi in favore del dialogo tra Pechino e ilVaticano deve molto a questa anglicana conver-tita al cattolicesimo che ha saputo combinare lasua competenza di brillante economista con lasua femminilità fatta di ascolto e disponibilità,pazienza, senso pratico e tenacia.

Audrey Donnithorne era nata nel sud-ovestdella Cina in una famiglia di origine britanni-ca. Si dice che questa “eroina della fede”, nelcorso dei suoi innumerevoli viaggi per il mon-do, riuscisse a trovarsi sempre nei luoghi dovestavano accadendo fatti importanti. Ma è aHong Kong che decise di stabilirsi nel 1985, almomento di andare in pensione. Gli anni se-guenti li dedicò ad incoraggiare l'apertura eco-

nomica della Cina maanche e soprattutto la ri-costruzione della Chiesae della Nazione cinesi la-minate dalla RivoluzioneCulturale.

Hong Kong le servìda base per numerose vi-site in Cina continentale.Audrey Donnithorne vo-leva spronare lo spiritodi riforma che soffiava aquei tempi, stringere le-gami con i cattolici cheiniziavano ad uscire dalloro isolamento e convescovi e sacerdoti appe-na rilasciati dal carcere.

Le piaceva raccontare del suo incontro decisivocon Mons. Paolo Deng Jishou, vescovo di Le-shan, che aveva subito 21 anni di lavori forzati.Con il sostegno in particolare della Caritas diHong Kong, Donnithorne inviava libri di pre-ghiera e di canti ai cattolici cinesi, forniva aiu-to ai seminaristi, promuoveva la creazione dipiccole imprese per garantire l'autonomia fi-nanziaria delle parrocchie in stato di indigen-za… Ma soprattutto costruiva ponti con i ve-

Audrey Donnithornee il ruolo delle laiche nella Chiesa

La Chiesa del Salvatore nel distretto Xicheng di Pechino

Chi lavora per il riavvicinamentocon la Cina deve molto a questa

anglicana convertita al cattolicesimomorta quasi centenaria a Hong Kong

scovi dell’Associazione patriottica cinese, ordi-nati senza mandato del Santo Padre, che aspi-ravano a ritrovare la piena comunione con ilvescovo di Roma. E nel 2008, si fece apprezza-re ancora di più creando un fondo per la rico-struzione delle chiese e strutture ecclesiali nelSichuan, sua terra natia, distrutta da un terre-moto.

La morte di Audrey Donnithorne è un invitoa riconoscere la sua eredità e insieme a rifletteresul ruolo prezioso che le donne laiche possonosvolgere nella Chiesa.

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QUESTO MESE LIBRI

di ELENA BUIA RUTT

Dinanzi all’incalzante emancipa-zione femminile, che sta condu-cendo le donne a una liberazioneprogressiva da ruoli di sudditan-za, gli uomini si ritrovano inde-

boliti e destabilizzati, poiché privati delle tradi-zionali categorie identitarie che su tale sottomis-sione poggiavano.

L’appello per un necessario ripensamentodell’ “obsoleto” modello maschile trasmesso dalpassato è il filo rosso sotteso a Gesù, maschilesingolare (EDB) della teologa Simona SegoloniRuta: un saggio agile, dinamico, partecipato,che esplora in modo pioneristico la maschilità,una realtà di studio molto recente dove, comescrive l’autrice, “la messa in discussione del si-

dominio parentale e oggi tendono a esprimersiin vari modi, ma dicono comunque il bisognodi affermare se stessi nei diversi ambiti dell’atti-vità umana, dimostrando la propria capacità dip otere”. Ma oggi, questo potere non riesce piùad affermarsi su donne consapevoli, attive, rea-lizzate: da qui, quel profondo senso di frustra-zione da parte degli uomini, destinato a sfociarein smarrimento e soprattutto in violenza, poiché“disprezzare il femminile è funzionale ad affer-mare la propria maschilità come un non-essere-femmina”. La sfida di questo saggio è non soloquella di fotografare lucidamente la realtà, madi offrire soprattutto un modello alternativo,traendo dalla tradizione cristiana un’umanizzan-te e liberante visione della maschilità, interro-gando direttamente il vissuto maschile di Gesùstesso “per lasciarcene stupire e destabilizzare”.

Un vissuto che ha ridisegnato la maschilità

Certa maschilità che resiste, nonostante Gesù...

QUESTO MESE PERCORSI

di LILLI MANDARA

Riformare, e non solo a parole.Vincendo le resistenze e abbatten-do gli ostacoli, a partire dal ruolodelle donne nella Chiesa; riflet-tendo sulla realtà stessa della

Chiesa, che deve essere riscoperta come luogodi relazioni fraterne-sororali; discutendo sullalegge, il diritto codificato spesso interpretato co-me gabbia che impedisce i processi di trasfor-mazione invece che come strumento di libertà.

E’ questo il contenuto del webinar del Coor-dinamento delle teologhe italiane del 5 settem-bre, dal titolo “Riformare si può?”, in linea coltema di riflessione lanciato dal Cati (Coordina-mento associazioni teologiche italiane) per ilbiennio 2019-2020. Visto che con le regole anti-

pag. 9 la recensione del suo ultimo libro), parlaproprio sulla funzione della Chiesa intesa comeluogo, il titolo è : “Dove due o tre. Ri-dare for-ma alle relazioni ecclesiali”. L’ intervento di Do-nata Horak, docente di Diritto canonico, vertesu “Legge di libertà. Per la conversione delleforme e delle procedure”. La relazione di StellaMorra, docente di Teologia fondamentale e di-rettrice del “Centro Fede e Cultura AlbertoHurtado” della Pontificia Università Gregoria-na, è su “Premesse e pratiche: il prima e il do-p o”. Lucia Vantini, docente di Antropologiateologica e vice presidente delle teologhe italia-ne sviluppa la traccia “Resistenze e inconsciocollettivo. Quando la buona volontà non basta”analizzado le resistenze inconsce che rendonopiù difficile il rinnovamento. “Anche i processidi riforma più rivoluzionari e inclusivi - scriveVantini nell’abstract del seminario - possono cu-

Riformare si può? Le teologhe a confronto

Covid non è possibile fare un se-minario dal vivo, e volendo co-munque affrontare entro l’announ tema tanto sentito e delicato,ha preso il via l’idea del confron-to sul web tra quattro teologhecon punti di vista disciplinari dif-ferenti e due osservatrici, per sti-molare una riflessione sulle pro-fonde resistenze che impedisconoun processo di riforma vero, cheparta dalla valorizzazione delledonne e conduca alla riscopertadella Chiesa come luogo di rela-zioni con gli altri.

Il programma conta quattrointerventi. Simona Segoloni Ru-ta, docente di Ecclesiologia (a

stodire al loro interno residui diun inconfessato androcentrismo,che diviene resistenza o vero eproprio ostacolo al sogno di co-munità realmente aperte alle dif-f e re n z e ”.Il corso (anche in direttaFacebook) inizia il 5 settembre al-le 9.30 sulla piattaforma zoomdel sito delle teologhe e si con-clude alle 18. Prevede, dopo lerelazioni e il dibattito con le os-servatrici Serena Noceti e LetiziaTomassone, laboratori guidati, lapossibilità di fare domande e lareplica delle relatrici.

Iscrizioni sul sito del Coordina-

mento delle teologhe italiane

( w w w. t e o l o g h e . o rg ) .

stema patriarcale, la liberazio-ne delle donne e la ridefini-zione dell’identità maschilevanno insieme”. Consapevoledella necessità di instaurareuna relazione autentica e pa-ritaria tra uomo e donna, Si-mona Segoloni individua inquella libido dominandi, cioèil desiderio di dominare glialtri da parte dell’uomo, unpotere che in realtà lo staportando alla rovina: “Gli uo-mini sembrano dover rincor-rere la propria identità in co-strutti sociali che nell’antichi-tà coincidevano con la guer-ra, poi si sono spostati sul

patriarcale e che testimonianon potere, ma cura; non do-minio, ma servizio; non gran-dezza, ma umiltà; non autori-tarismo, ma sinodalità. Lasperanza è che la Chiesa si ri-veli capace di abbandonareposizioni patriarcali, e sia, co-me scrive l’autrice, “disp ostaa riconoscere il proprio ruolo,suo malgrado e contro ogniintenzione, nel globale siste-ma sessista”, disponendosi “anuove letture del vangelo invista della ridefinizione dellamaschilità e della femminilità,per costruire giustizia e pa-ce”.

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di NADIA TE R R A N O VA

ARoma, nella chiesa di Santa Maria della Vittoria, il monumentale

gruppo marmoreo raffigurante la transverberazione di santa TeresaD’Avila mi ha attirata più d’una volta con la forza che hanno i feno-meni di fronte ai quali devi arrenderti ammettendo che nemmeno al-la centesima visione, nemmeno dopo mille esplorazioni ricaverai daloro un senso di sazietà. Quando per la prima volta ho visto l’op eradi Gian Lorenzo Bernini, le due parole più giuste per chiamare lecorrenti di lava che sentivo scorrere erano sconcerto e mistero, indi-stinguibili l’una dall’altra. Non ero mai en-trata prima in quella chiesa, maci sarei tornata ancora. Non ri-cordo da quanto tempo vi-vessi a Roma, siamonell’ordine dei mesi, nondegli anni. Teresa era ilnome di una signorache si avvicinava allo-ra ai settant’anni ealla quale mi stavoaffezionando ognigiorno di più; la suareligiosità era arcaicae semplice, e mivergognavo da-vanti al suo

PAT R O N E SPA G N A E CROAZIA

La mie due Teresee un incontro mancato

La grande mistica d’Avila, una donna semplice e una scrittrice

Gian Lorenzo Bernini,Estasi di Santa Teresa

(1647-1652);chiesa di Santa Maria

della Vittoria, Roma

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D ONNE CHIESA MOND O 12 D ONNE CHIESA MOND O13

una gabbia da cui fanno fatica a uscire, quelle invece hanno potutocoltivare un rapporto più personale e fluido con il divino”.

Con questa certezza, entriamo nella Spagna del Seicento. Teresa,nata ricca e nipote di un marrano, trascorre l’infanzia a leggere ro-manzi cavallereschi, una passione che ha ereditato dalla madre.Quando ha tredici anni, muore la madre e resta la letteratura; è allo-ra che Teresa convince il fratello a scrivere con lei proprio uno diquei libri che alla madre sarebbero piaciuti (scrivere un romanzo nonsignifica forse scrivere una lettera d’amore a qualcuno che non c’èpiù?). Per un’orfana dal carattere determinato e forte, la vita con ilpadre non è per nulla semplice, Teresa scappa di casa per andare inconvento e si ammala di una malattia terribile, non si riprenderà maidel tutto, continuerà sempre a soffrire di acufene, emicrania, dolori alcuore e allo stomaco. Da malata, muove appena le dita. Camminacarponi e dentro quella paralisi, mentre il suo corpo diventa una pri-gione, cominciano le sue esperienze estatiche. Le racconterà come ca-talogabili in sette gradi, sette stanze, come un’ascesa su sette livelli,l’unione con Dio è in realtà un trasloco di Dio dentro il suo cuore.Di questa donna che diventa “Teresa di Gesù” in seguito all’i n c o n t rocon lui (chi sei, le chiede, e lei: “Teresa di Gesù” “e io Gesù di Tere-sa”), di questa donna dall’amore profondissimo che comincia a tenerenascoste le sue visioni per non dare troppo di sé agli altri, per nonessere corrotta dalla morbosità dello sguardo, possono essere scritteinfinite biografie. Una somiglia a un romanzo di viaggio: quando leviene chiesto di riformare l’ordine dei carmelitani, si sposta ovunqueper fondare nuovi monasteri, e tra il 1567 e il 1571 nascono conventiriformati a Medina del Campo, Malagón, Valladolid, Toledo, Sala-manca, Alba de Tormes. Quando il corpo terreno di Teresa muore,ogni monastero reclama una reliquia – così, lei continua a viaggiareanche dopo aver smesso di respirare.

(La Teresa che conoscevo io riposa nel piccolo cimitero del suopaese di origine. A lungo la sua tomba è stata provvisoria, un muc-chio di terra; oggi una pianta dai fiori rosa ricopre il marmo.)

L’altra Teresa all’inizio è spaventata dal dialogare con Gesù, dallesue apparizioni, al punto da consultare esorcisti e sacerdoti per avereconferma che sia proprio lui e non il diavolo. Può una donna fidarsidi sé e avere più certezze da sola che conferme da un mondo maschi-le? E ancora: può questa mia domanda essere letta come una distor-sione, una forzatura di una vita contemplativa che la mia mente pic-cina e razionale non riesce ad afferrare? Dove inizio io e finisce Tere-sa? La distanza del narratore dall’oggetto narrato è da misurare di

“E’ stata l’o p e radel Berninia farmii n t e re s s a realla santa,una vitaa lottarecontro l’esclusionedel femminiledal divino.Ma la donna checonoscevoha evitatodi vederla”

sguardo ogni volta che mi chiedeva della mia; non sapevo cosa ri-spondere, e le spiegavo: mi sono cresimata da poco, come se il pas-saggio del sacramento fosse di per sé uno schermo alla mia vita, unriparo da ulteriori domande. Oppure le rispondevo con un invito im-possibile: vuoi venire con me a vedere l’Estasi di Santa Teresa? Leiscuoteva la testa, aveva sempre qualcosa da fare, cucinare per il mari-to, per i figli o per il nipote, andare dal medico, oppure semplice-mente faceva troppo caldo o troppo freddo.

Da quando Teresa è morta, cinque anni fa, non sono mai tornata avedere la statua del Bernini. Che si chiamasse “transverb erazione” mipiaceva al punto che mi ripetevo quella parola più volte, per il piace-re di correggere la me stessa che fino a poco prima avrebbe usato“estasi” come sinonimo. Che ci fosse un angelo a trafiggere la santacambiava tutto, l’inquietudine di quella scena stava nel conflitto, cosìfantasticavo, immaginando di distruggere tutto a colpi di martello, difermare il dolore disintegrandone le prove. Non potevo. Non soloperché avrei dovuto distruggere un capolavoro (Bernini, compiaciuto,la definisce la sua “men cattiva opera”, la migliore, insomma), ma an-che perché la mia furia avrebbe comportato l’interruzione dell’esp e-rienza del piacere. Teresa d’Avila scrive: “Un giorno mi apparve unangelo bello oltre ogni misura. Vidi nella sua mano una lunga lanciaalla cui estremità sembrava esserci una punta di fuoco. Questa parvecolpirmi più volte nel cuore, tanto da penetrare dentro di me. II do-lore era così reale che gemetti più volte ad alta voce, però era tantodolce che non potevo desiderare di esserne liberata. Nessuna gioiaterrena può dare un simile appagamento. Quando l'angelo estrasse lasua lancia, rimasi con un grande amore per Dio.”

E io, volevo forse togliere la mistica auna mistica?

È stata l’opera del Bernini a farmi inte-ressare a Teresa, a farmi poi andare a ri-troso a leggere chi era e che passi avevafatto. Di recente, ho parlato con unascrittrice, Dacia Maraini, della scritturadelle mistiche, e poi ho letto le parole diuna filosofa, Luisa Muraro. A propositodella vita di Teresa, trascorsa a lottarecontro l’esclusione del femminile dal divi-no, Muraro scrive: “Nonostante tutto, iopenso che alle donne sia andata meglioche agli uomini. Questi si sono chiusi in

Teresa Sánchez de CepedaDávila y Ahumada

Nascita Avila, 28 marzo 1515Morte Alba de Tormes, notte tra il 4

e il 15 ottobre 1582Venerata da Chiesa cattolica e Chiesa anglicana

Beatificazione 24 aprile 1614 da Papa Paolo V

Canonizzazione 2 marzo 1622 da Papa Gregorio XV

Ricorrenza 15 ottobreDottore chiesa 27 settembre 1970

Patrona di Spagna e Croazia

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PAT R O N E FRANCIA

continuo, mai una volta per tutte. Scrive ancora Lui-sa Muraro: “Di questo si tratta e non di una mera ri-vendicazione di parità e inclusione nel mondo degliuomini: disfare le gabbie del clericalismo e del mora-

lismo, vincere il nichilismo con la fiducia e l’amore, fare che circoliovunque lo spirito (santo) della libertà (femminile).” Teresa disinvol-ta e diplomatica guida l’apertura dei monasteri e poi li amministra;Teresa estrema e trascinatrice, folle di amore e lucida nelle scelte; Te-resa cerca di convincere le consorelle a mangiare di più, a non caderenella consunzione se per caso vivono esperienze mistiche, Teresa mi-nimizza, sembra patirle suo malgrado, non fa vanto della propriaunicità – Teresa diventa la prima donna dottora della Chiesa, nel1970. Teresa è innanzitutto una scrittrice, con la parola letteraria testi-monia la sua vita e ne offre ai lettori il mistero e lo sconcerto: la usanella sua autobiografia e nel suo epistolario.

Vi si trova, tra l’altro, un manifesto dell’inclusione: “Più siete san-te, più dovete mostrarvi affabili con le sorelle; né mai fuggirle, pernoiose e impertinenti vi siano con le loro conversazioni... Se voleteattirarvi il loro amore e fare a loro del bene, dovete guardarvi daqualsiasi rusticità.” Per Teresa, bisogna vivere inducendo negli altridesiderio di emulazione. Per essere una brava consorella, bisogna chele altre vedano in te ciò che vorrebbero essere, dice. Solo così si puòtollerare di vivere, e di sbagliare quando il troppo amore, la troppaperfezione allontanano dal perdono. “… ho preso per buone le suescuse. Dal momento che mi vuole tanto bene quanto da parte mia, leperdono il passato e il futuro, perché il rimprovero maggior che hoverso di lei è che non gustava molto di stare con me, e vedo beneche non ne ha colpa… Mi creda che le voglio tanto bene, e dal mo-mento che vedo questa volontà, il di più sono sciocchezze non meri-tevoli di nota.”

Una volta Teresa, quella che ho conosciuto, mi disse che rispondevaa ogni sgarbo “lasciando fare.” Ero troppo giovane per sentire la forzadi quella frase, sentii la debolezza e mi adirai. Pensai che non volevo di-ventare adulta come lei, che avrei sempre fatto le mie battaglie a modomio e non avrei mai lasciato passare nulla che avessi reputato non inte-gro. Quindici anni dopo, so che aveva ragione e ai miei piedi vedo ungran tappeto di “sciocchezze non meritevoli di nota.” Ho cambiato ideasu quasi tutto, da allora, tranne che su una cosa: non ho quasi nulla daoffrire a nessuno, se non quello che scrivo. Questo articolo è la mia let-tera d’amore a quella Teresa: non è un romanzo cavalleresco, e nasce insostituzione di una visita mai fatta a Santa Maria della Vittoria.

Nata a Messina, hascritto i romanzi “Glianni al contrario”(Einaudi Stile Libero,2015, Premio BaguttaOpera prima) e“Addio fantasmi”(Einaudi Stile Libero,2018, finalista PremioStrega 2019).Nell’ambito dellaletteratura per bambinie ragazzi, hapubblicato “Bruno ilbambino che imparò av o l a re ” (O recchioAcerbo, 2012), “Lenuvole per terra”(Einaudi Ragazzi,2015), “Casca ilmondo” (Mondadori,2016) e “Omero èstato qui” (Bompiani,2019). Nel 2020“Come una storiad’a m o re ” (GiulioPerrone Editore),racconti dedicati aRoma.

Il libro di Teresinada Lisieux va nel mondo

“Storia di un’anima” riletto da una autrice per grandi e ragazzi

di CAROLA SUSANI

La Storia di un'anima di santa Teresa di Lisieux si trova in una quanti-tà di edizioni, raffinate e popolari, cartacee, digitali, a volte piene direfusi, a volte curatissime, a testimonianza del fatto che si tratta diun libro vivo, vivissimo, fertile. È un libro che appassiona, che vieneletto, sottolineato, meditato. Quando uscì, un anno dopo la morte diTeresa, nel 1898, non era molto più che una pubblicazione interna,girava fra i Carmeli, fra i parenti delle religiose. Venne letto e rico-nosciuto come una testimonianza straordinaria dagli ecclesiastici eintanto passando di mano in mano incontrava un vastissimo successo

L’autrice

Nadia Terranova(foto da lei fornita)

Marie-Françoise Thérèse Martin

Nascita Alençon, 2 gennaio 1873Morte Lisieux, 30 settembre 1897

Venerata da Chiesa cattolicaBeatificazione Roma, 29 aprile 1923 da Papa Pio XI

Canonizzazione Roma, 17 maggio 1925 da Papa Pio XI

Ricorrenza 1° ottobreDottore chiesa 19 ottobre 1997

Patrona di Fr a n c i a

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non sono nel caso dei Martin in contraddizione, vanno a messa all'al-ba, sono una famiglia pronta alla cura degli altri, che apre la porta aibisognosi e ai viandanti.

Louis e Zelíe, i genitori di Teresa, lavorano insieme nel negozio dimerletti di lei, è stato Louis a rinunciare al suo lavoro di orefice perinvestire le sue energie nell'amministrazione dell'impresa comune.Hanno avuto nove figli, ma solo cinque ragazze sopravvivono all'in-fanzia. L'incontro frequente con la morte, come in molte altre fami-glie borghesi del loro tempo, non produce assuefazione, azzeramentodell'emotività, anzi acuisce la sensibilità, dei genitori, ma ancor dipiù delle bambine. È una famiglia in cui il protagonismo femminilenon è bandito, anzi, cerca, nel lavoro, ma soprattutto nella fede, lesue forme.

Teresa da piccola, ci racconta lei stessa nella Storia di un'anima, co-struisce altari, gioca al romitaggio, non le è facile condividere i gio-chi degli altri bambini e bambine, «io non so giocare» scrive; non sidistrae dalle questioni essenziali che le premono. Zelíe di lei scriveche è ostinata, meno dolce ma più intelligente della sorella a lei piùprossima Celine. Nei primi anni la madre la tiene d'occhio, incuriosi-ta e incantata. C'è qualcosa di indagatore e di orgoglioso, di allegris-simo, nello sguardo di Teresa da bambina. Solo che nel 1877 Zelíemuore e crolla il mondo, Teresa riesce a raccontare il dolore lanci-nante che produce in lei la perdita della madre, a quattro anni perdel'euforia, o almeno la eclissa, cambia carattere. Cerca nella sorellaPauline una fonte di amore altrettanto intenso. Pauline si fa carico diessere la sua seconda madre, Teresa si aggrappa, è assetata di dolcez-za che non si placa. Quando si trova in collegio, soffre terribilmente,la solitudine, la perdita di uno sguardo che si posi affettuoso e acco-gliente su di lei. Nelle pagine che dedica alla sua infanzia sembraquasi che scriva direttamente una bambina, non una passata al vagliodello sguardo adulto che edulcora e che mente, no, una bambina chesa di cosa parla. Teresa rivela che età durissima è l'infanzia, persinoquando sei circondato da persone che ti apprezzano, divorata da unasete d'amore mai sazia e a volte da dolori intollerabili, veri, anchequando si esprimono attraverso minuzie, capricci. Teresa ci mostraquasi in essere, come dell'infanzia sia un'intelligenza fervida, che ela-bora, si pone le questioni essenziali, prende slancio. Quando si leggeche Teresa sceglie la via piccola, la via dell'infanzia spirituale, va inte-so come qualcosa di molto preciso: Teresa si radica nell'infanzia, de-cide di fare della prospettiva infantile la chiave della sua spiritualità edella sua intera vita. Sono radicali come quelle infantili le domande

Santa Teresa vestitacome Giovanna d'Arco,

personaggio che interpretavanella opera teatrale da leiscritta “Giovanna d'Arcocompie la sua missione”,

edita il 21 gennaio 1895.La fotografia è stata

scattata tra il 21 gennaioe il 25 marzo 1895 da sua

sorella Céline nel cortiledella sagrestia del Carmelo.

Nella pagina precedenteun’altra foto scattata da

Celine nel luglio 1896( w w w. a rc h i v e s - c a r m e l -

lisieux.fr/)

“In un tempoin cui raramentela storiadelle donnevenivara c c o n t a t adirettamente loroe le bambinere s t a v a n oopache,i tre manoscrittia r r i v a ro n odiretti, violenti,incandescenti”

fra la gente, fra i cattolici certo, ma an-che al di là di quel mondo, fra i non cre-denti.

In un tempo in cui raramente la storiadelle donne veniva raccontata diretta-mente da loro, in cui, a maggior ragione,le bambine restavano opache, figurettemisteriose, forzate a mostrarsi in unaprospettiva rassicurante o nella miglioredelle ipotesi carroliane Al i c i , i tre mano-scritti della Storia di un'anima, che rac-contano in primo luogo di un'infanzia,arrivarono diretti, violenti, incandescenti.C'era una giovanissima donna che scrive-va, raccontava di sé, della sua vita, deisuoi pensieri che si spingevano alla radi-ce e oltre, che non aveva paura di ri-schiare né vergogna: era come se unmonte si scoperchiasse, rivelando qualco-sa che fino ad allora era stato appena so-spettato. Teresa morì a ventiquattro anni,visse fra il 1873 e il 1897, un tempo breve,

una vita appena cominciata, che con tutte le sue forze trasformò inpienezza.

La fine dell'Ottocento è un tempo lontano e vicinissimo, riusciamoancora a riconoscere come prossimi i moti interiori della gente chevisse allora; se prendiamo in considerazione le famiglie benestanti, illoro modo di vivere non ci è poi inconsueto, i piccoli piaceri quoti-diani, le feste, i dolci, il commercio, i doni, sono simili ai nostri, ocomunque li abbiamo incontrati talmente spesso dentro i libri, neifilm, nelle serie televisive, che li riconosciamo famigliari. Sono anniquelli in cui la percezione della possibilità di un benessere da viverequi in terra è ben diffusa, le idee di progresso sono ancora vive; ma èanche un mondo in cui la morte si affaccia molto spesso, stride, sipresenta anzitempo, lo fa spesso, eppure nessuno riesce a farci l'abi-tudine, arriva ogni volta come strazio e memento. Una delle primetestimonianze attorno a Teresa, racconta di un augurio di morte ri-volto da lei alla madre. Teresa, di fronte allo sconcerto di Zelíe, lespiega che deve essere felice, le sta augurando il Paradiso.

Teresa vive ad Alençon la prima parte dell'infanzia, la sua famigliaè al tempo stesso profondamente religiosa e benestante. Le due cose

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di Teresa: “Egli ha creato il bimbo il quale non sa nulla (…) ha crea-to il selvaggio il quale, nella sua miseria, possiede solo la legge natu-rale per regolarsi", e sono radicali le risposte che si dà: "Gesù chiama(…) chi vuole lui", "tutti i fiori della creazione sono belli", ci sono gi-gli e rose, e ci sono fiori di campo, sono così piccoli perché Dio ab-bassandosi così tanto possa mostrarsi infinitamente grande. Fare del-l'infanzia la strada non si risolve in diminutivi e piccole aiuole colo-rate: è mettere al centro il bisogno, la sete d'amore, le braccia teseverso l'alto nell'attesa che qualcuno ti sollevi.

L'Ottocento è il secolo in cui l'infanzia affiora, si diffonde una let-teratura dedicata, nella mente degli adulti si fa spazio l'idea di infan-zia come proiezione, come sogno, come isola che non c'è ma che po-trebbe proteggerti dal male e dalla morte se mai ci fosse. Tutt'al con-trario per Teresa che sa che nessuno meglio di un bambino conosceil deserto, l'arsura, la perdita: "In un attimo capii che cosa è la vita(…) vidi che era soltanto sofferenza e separazione".

Nella vita di Teresa, le separazioni strazianti si susseguono, Pauli-ne la lascia per andare al Carmelo di Lisieux. Teresa racconta dellamalattia terribile che la prende, una disperazione del corpo, che fapreoccupare il padre e tutti quelli che le stanno intorno, e il sorriso

"stupendo" della Madonna che la salva.È a partire da quello sguardo, che Tere-sa deciderà del suo destino: "il Carmeloera il deserto nel quale il Signore volevache mi nascondessi". Va a cercare alCarmelo, un amore durevole, senza se-parazioni, al di là di ogni strazio.

Con la forza di una ostinazione per-fettamente infantile, Teresa per riuscirea entrare al Carmelo a quindici anni, sifa condurre dal padre a Roma, incontraLeone XIII, lei è vestita di nero comeda protocollo, gli parla, lo prega. Tornaa casa senza sapere quale sarà il suo de-stino, ma alla fine ce la fa. Vuole essereil giocattolino di Gesù. Il suo nome sa-rà: Teresa del Bambino Gesù e del Vol-to Santo.

"Essere tua Sposa, Gesù, essere car-melitana, essere, per unione con te, ma-

Scrive per grandie per ragazzi.È redattrice di «NuoviArgomenti», conducelaboratori di letturae scrittura e fa partedell'asso ciazionePiccoli Maestri.Nel 1995 è uscitoil suo primo romanzo,Il libro di Teresa

(Giunti). Tra i suoilibri Il licantropo

(Feltrinelli 2002),Eravamo bambini

abbastanza (minimumfax 2012), Te r ra p i e n a

(minimum fax 2020).E' nel Comitatodi direzione di DonneChiesa Mondo

L’autrice

dre delle anime, tutto questo dovrebbe bastarmi…Non ècosì. Senza dubbio, questi tre privilegi sono ben la mia vo-cazione, carmelitana, sposa e madre, tuttavia io sento inme altre vocazioni, sento la vocazione del guerriero, delsacerdote, dell'apostolo, del dottore, del martire", lo spiritodi Teresa resta quello eroico dell'infanzia: vuole tutto, nes-suna parzialità le basta. È la sua intelligenza infantile deicapovolgimenti che le permette di fare il salto: Fu "abbas-sandomi fino alle profondità del mio nulla, che riuscii a raggiungereil mio scopo": "Io sarò l'amore".

Teresa scrive il suo primo manoscritto, raccolto nella Storia di

un'anima, su richiesta di suor Agnese, sua sorella Pauline, nel periodoin cui Pauline è priora del Carmelo di Lisieux, gli altri due su spintadella priora Marie de Gonzague. A leggere le sue pagine si avverteun piacere della scrittura, una cura nell'osservare i propri pensieri, leproprie azioni e quelle degli altri, una eloquenza semplice ma preci-sa.

Si ammala molto giovane, è la tubercolosi, frequente a quel tem-po; ma accanto alla malattia, la prende una tentazione che la spaven-ta. A partire dalla Pasqua del 1896 si ritrova nel buio: "Sapeste qualipensieri spaventosi mi ossessionano! Va imponendosi al mio spirito ilragionamento dei peggiori materialisti". Vuole fare del bene, agiredopo la morte, ma è preoccupata di non poterlo fare più. È la suavia, la piccola via, la via dell'infanzia spirituale, che l'ha condotta aprendere la prospettiva del bambino e quella del "selvaggio", che orala porta nell'estrema pietraia, a prendere su di sé il dolore di stare almondo dei "poveri increduli", quelli che hanno tutta l'arsura, tutto ilbisogno d'amore, ma non trovano un senso nel sollevare le braccia.Questo bisogno cieco, Teresa lo ha conosciuto, e lo riconosce, per-mettendo a chi crede di riconoscerlo negli altri e in sé.

Lei conserva tutto il bisogno ma anche tutto lo slancio: "Restarepiccolo è riconoscere il proprio nulla, è attendere tutto dal buonDio". È per potersi abbandonare, che Teresa, ci dice: non ho volutomai crescere.

Muore il 30 settembre 1897. Viene beatificata il 29 aprile del 1923da Pio XI e proclamata santa il 17 maggio 1925. Dal 1944, insieme aGiovanna d'Arco è patrona di Francia. Nel 1997 Giovanni Paolo II,riconoscendo il valore della sua piccola via, la proclama Dottore del-la Chiesa.

I 100 anni della canonizzazionedi Giovanna d’A rc oInsieme a Teresa di Lisieux, seconda patronadi Francia (la prima è Maria S S. Assunta per desideriodi Luigi XIII)) è Giovanna d'Arco di cui quest’annoricorre il centenario della canonizzazione voluta dapapa Benedetto X V. Il 16 maggio 1920, cinque secolidopo la sua morte.La Pulzella d’Orleans, come è soprannominata,condannata al rogo nel 1431 dopo un processodi eresia, poi riabilitata, è in Francia figurapopolarissima, una eroina allo stesso tempo religiosae laica. Già dal XIX secolo storici e intellettuali l’hannoannessa alla storia nazionale.La canonizzazione fu una tappa importantedel riavvicinamento tra la Chiesa e la Repubblicafrancese dopo anni di scontri.

Carola Susani(foto Stefania Casellato)

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uest’anno mi sono detta che non avrei festeggiato il mio compleanno,perché 32 anni sono poca cosa, una età di mezzo, tra la fine dei ventie l’età di Cristo. Una età in cui ci pare incredibile non aver ancoracompiuto miracoli, ma esserci solo rifugiati nella nostra vita da mor-tali che non crea dissesto o rivoluzione. Si può dire che questa sial’unica cosa in comune tra me e Caterina di Jacopo di Benincasa:l’età in cui per me sta finendo una certa giovinezza e per lei finiva lavita.

Caterina nasce nel 1347 a Siena nella contrada dell’Oca e muoreall’età della morte di Cristo, dopo aver compiuto una vita che ne rac-chiude mille e aver lasciato dietro di sé una scia di sangue e di gigli.

È il 25 marzo e c’è chi dice che lei fosse la figlia numero 23 e chidice fosse la numero 24 e chi dice che i figli e le figlie fossero 25, madi certo Caterina nasce tra molti, riflessa nel volto gemello della so-rella Giovanna che però muore presto, ancora neonata. E mi vieneda pensare che lei abbia voluto vivere una vita che valesse almenodue, che fosse doppia nella forza, nella determinazione, nella fede.Una vita per sé e una per Giovanna.

Caterina nasce tra tanti, quindi, così tanti che io non saprei nean-che immaginarli tutti, io la nata figlia unica e nipote unica, unicaerede, unica bambina, non trovo spazio per loro nella Contradadell’Oca, eppure ci sono stati e hanno vissuto ai tempi della pestenera. L’anno in cui Caterina viene al mondo infatti è l’anno in cuianche la peste torna. Lei bianca, lei fiore incorrotto, lei purezza; lapeste notturna, la peste e i suoi bubboni scuri, la peste e le stradeche odorano di morte e malattia.

Alcuni dicono a sei anni, alcuni dicono a sette, quando io alla

Vita di Caterina,che non è la mia

PAT R O N E ITA L I A E EU R O PA

La santa di Siena e una narratrice che ha l’età in cui lei morì

stessa età corro nel grande uliveto dellamia scuola per vincere una medaglia al-la corsa campestre o imbratto fogli A4con le mie manate di colore a tempera,Caterina si trova nella località senese diVallepiatta e le appare Cristo, vestitocon maestà, come fosse il Papa, ha intesta tre corone e sulle spalle un mantel-lo rosso, è accerchiato dai santi: Pietro,Paolo e Giovanni. Io schiaccio i tubettidi colore sul banco in formica e mi fac-Plautilia Nelli, Santa Caterina riceve le stimmate, c.1570, restaurato nel 2008; Museo San Salvi, Firenze

Qdi GIULIA CAMINITO

Caterina di Jacopo di Benincasa

Nascita Siena, 25 marzo 1347Morte Roma, 29 aprile 1380

Venerata da Chiesa cattolica e Chiesa anglicanaCanonizzazione 1461 da papa Pio II

Ricorrenza 29 aprileDottore chiesa 3 ottobre 1970

Patrona di Italia, compatrona d'Europa

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mondo infestato, doloroso, in cui il posto per la fede si sta estin-guendo, mentre non si fermano le guerre e vincono gli interessi poli-tici, gli schieramenti, le malattie: la Francia è preda della guerra deiCent’anni, l’Italia è percorsa dalle compagnie di ventura e dilaniatadalle lotte intestine, il regno di Napoli viene travolto dall’incostanzadella regina Giovanna, Gerusalemme è già teatro di lotte, i turchiavanzano in Anatolia mentre i cristiani si fanno guerra tra loro.

Io assisto passiva al mondo attraverso gli schermi della televisione,tutto è fuori di me, tutto non mi riguarda, se non le puntate del miotelefilm preferito e il mio primo amore; tutto intanto è dentro Cateri-na: ogni dolore, ogni dispiacere è per lei missione. Così, armata dellasola volontà, da fedele, Caterina cammina tra chi è malato, tra chi èin punto di morte, tra chi ha peccato, tra chi cerca una cura attraver-so le parole di Dio, per salvare il mondo, per salvare la Storia.

È il 1370, Caterina ha 23 anni, mancano dieci anni alla sua fine, eCristo le apre il petto, le dona il proprio cuore per darle la forza ne-cessaria a compiere le sue missioni, renderla pietra rovente. È lo stes-so anno in cui il Papa Urbano V lascia Roma e torna ad Avignonedove era stata trasferita la sede pontificia dal 1309. Io inizio a studia-re all’università la filosofia antica e medioevale, ho dispense fotoco-piate che ingombrano le mie borse, e penso che la politica sia finita eche il mondo non mi appartenga se non nei libri, solo il mondoscritto mi compete.

Caterina esce dalla sua città e inizia a viaggiare, è ormai guida permolti e molte, intorno a lei si riuniscono pensatori, medici, eremiti, lesue lettere rispondono a chi chiede fede, a chi ha bisogno di guida edi aiuto per non farsi travolgere dalla tristezza di un universo in cuitutto sembra perduto. Caterina prende coraggio, che è un attributodel “cor”, solo chi ha cuore e sa portarlo fuori, sa gettarlo oltrel’ostacolo, ha coraggio. Caterina porta il proprio cuore, che Cristo leha dato, fino ad Avignone, perché lei ragazza, lei figlia del tintorecon troppi figli, piccola anima di un piccolo paese, donna che non sascrivere, è decisa a sanare anche quella ferita, quella che ha spezzatola chiesa, che sta disperdendo la fede.

Nel 1374 Caterina ha 27 anni, io finisco la mia laurea in Filosofiapolitica con una tesi su Nietzsche e il mio grido di battaglia non puòche essere Dio è morto, scopro che con la filosofia non si lavora, dor-mo nella stanza di una ragazza che è andata in Erasmus e lavoro inuna casa editrice che non mi paga. Caterina entra in contatto con Pa-pa Gregorio XI e continua il suo apostolato itinerante e il suo interes-

cio i codini con gli elastici rosa, cerco di scrivere le B in corsivomaiuscolo e Caterina scopre l’esistenza di Dio sulla terra e decide difar voto di purezza.

Caterina inizia da quel momento a fare penitenza e negli anni se-guenti riduce sonno e cibo, smette di mangiare carne ma si nutre dierbe crude e frutta, porta il cilicio; io incendio i pomeriggi con i mieicapricci per non fare gli esercizi di matematica e ottenere una Barbiedagli occhi viola e la gonna molto corta.

Quando ha 12 anni Caterina per l’epoca è in età da marito ei genitori sono pronti a cercarle sposo; intanto io vado in

bicicletta lungo i viali costeggiando i pini del paese do-ve sono cresciuta, mangio pinoli, bevo aranciata e col-

leziono sticker che se li sfreghi profumano di frago-la, per me i maschi sono solo fastidi e i matrimonifavole della mezzanotte.

Neanche Caterina ha alcuna intenzione disposarsi con un uomo di carne e per protesta sitaglia i capelli si copre il capo con un velo e sichiude in casa, già tenace, già pronta alle ri-nunce e alle battaglie per seguire il camminoda lei scelto, da lei soltanto. È convinta dellapropria decisione e forza la famiglia ad accetta-re la sua fede incontrollabile. Impara da sola aleggere non essendo andata a scuola e studia la

vita dei santi e dei mistici, senza sapere che saràlei la santa, sarà lei la mistica, sarà lei la venerata.

La lettura e la scrittura diventano ostacoli e occu-pazioni quotidiane, Caterina è quasi analfabeta e

deve farsi aiutare per scrivere i suoi pensieri, a lungoinfatti li detterà a chi le starà vicino, per non perdere le

parole, farsi leggere, comunicare.

Presto Caterina entra nell’ordine delle Mantellate e riesce a for-zare anche le loro regole, visto che l’ordine accoglieva donne adulte evedove, mai le ragazze vergini. Eppure neanche le monache possonomolto contro la caparbia Caterina che è linea retta, è freccia, conosceil bersaglio, va come scheggia nella sua vita.

Io comincio il liceo e imparo il latino e il greco, salto l’ora di reli-gione e pigramente occhieggio i miei compagni giocare a calcio epassarsi agli angoli del palazzo le sigarette, vedo i politici in televi-sione vestirsi con foulard verdi al collo; Caterina è già nel mondo, un

Giovanni Battista Tiepolo,Santa Caterina da Siena,c.1746; Kunsthistorisches

Museum, Vienna

“A 27 anni leientra in contattocon il Papae continuail suo apostolatoi t i n e ra n t e ,io finiscola mia laureacon una tesisu Nietzschee il mio gridodi battaglianon può che essereDio è morto”

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Romana, 32 anni, haesordito con ilromanzo "La GrandeA" (Giunti 2016) cheha vinto i premiBagutta opera prima,Giuseppe Berto eBrancati giovani. Ilsuo ultimo romanzo è“Un giorno verrà”(Bompiani 2019),Premio Fiesolenarrativa under 40.Editor, si occupa dinarrativa italiana perla casa editriceNutrimenti. È nelleredazioni di LetterateMagazine e delprogramma TabulaRasa di Radio OndaRossa. Cura “Under -festival di nuoves c r i t t u re ” conl’Associazione Da Sudche si tiene a Romanelle scuole.

L’autrice

Misticae politica

Birgitta BirgersdotterNascita Finsta, nel 1303 • Morte Roma 23 luglio 1373 • Ve n e r a t a da Chiesa cattolica e luteraniCanonizzazione 7 ottobre 1391 da Bonifacio IX • R i c o r re n z a il 23 luglioPatrona di Svezia, compatrona d’E u ro p a

di ADRIANA VALERIO*

Donna dell'alta aristocrazia, figliadi Birg Petersson, governatoredell'Uppland, Brigida di Svezia,è stata sposa, madre di otto figli,vedova, pellegrina, fondatrice,

mistica e profetessa. Ci troviamo dunque in pre-senza di una forte personalità carismatica che ladimensione religiosa, strettamente collegata conla vocazione politica, hanno resa figura singola-re non solo nella società del tempo, pieno Tre-cento, ma anche nella Chiesa di oggi che la ri-conosce dal 1999 compatrona d’E u ro p a .

Il primo aspetto che caratterizza la vita diBrigida è l'esperienza del pellegrinaggio: figlia enipote di appassionati pellegrini, nasce du-rante un viaggio avventuroso della madreverso il santuario di Cell Dara in Irlanda.Con il marito Ulf Gudmarsson era solitarecarsi ai santuari raggiungendo anche San-tiago di Compostela; da vedova, intrapren-de un lungo pellegrinaggio attraverso l'Eu-ropa in occasione del Giubileo del 1350.Dalla Svezia, passando per Germania e Sviz-zera, arriva a Milano per onorare la tomba di S.Ambrogio; a seguire si sposta a Pavia per vene-rare le reliquie di sant'Agostino e da Genova siimbarca per Ostia alla volta di Roma. Rimanequi alcuni anni, dedicandosi alla cura dei poveriin una città desolata «diventata regno di scan-dalo» per l’assenza del Papa trasferitosi ad Avi-gnone.

se per la politica, quando rientra a Firenze vi trovaancora la peste, nemica acerrima.

L’epidemia colpisce anche la sua famiglia, quellafamiglia di discepoli e discepole con cui Caterina

da tempo trascorreva le sue giornate di preghiera, di riflessione e difede.

Caterina va ad Avignone e incontra il Papa, diventa celebre per lelettere infuocate di fede che gli scrive, per le pressioni con cui cercadi convincerlo a rientrare a Roma, per le discussioni con lui sullecrociate, sulla pacificazione in Italia, sulla Curia corrotta e la riformadella Chiesa. Già solo il viaggio ci dà ancora oggi la misura dellospirito di Caterina, che porta con sé, in petto, un cuore santo, e cre-de che ci sia un solo futuro possibile, quello che salva.

Intanto io prendo in affitto la mia prima casa e studio le colonied’Italia, parlo con mia nonna degli anni della guerra e prendo ap-punti sulle bombe, il deserto e le gazzelle, sul treno per tornare atrovare i miei genitori al paese vedo i pellegrini scendere alla fermatadi San Pietro per l’Angelus del mercoledì.

Gli ultimi due anni sono quelli della discesa, nel 1378 viene elettoun nuovo Papa, anzi due (l’altro è l’Antipapa Clemente VII), la paci-ficazione della Chiesa è lontana, a Firenze la città non è ancora tran-quilla e Caterina viene quasi uccisa durante la rivolta dei Ciompi. LaChiesa si sta frantumando ed è in pieno Scisma d’Occidente, e Cate-rina assiste alla sua rovina, alla caduta. Nel mentre io sono già treanni che soffro di una malattia invisibile, entro ed esco dal mio lettoper lunghi periodi, i telefoni e i computer mi raccontano tutto quelloche non riesco più a vivere.

Arrivano così gli anni di Cristo e lui torna, chiede indietro il pro-prio cuore, Caterina muore a Roma, la mia città, e lascia un mondoche rischia di dimenticarla. Sono le sue parole che sopravvivono, lesue lettere, le sue scritture che vengono pubblicate, i suoi pensieriche avanzano nei secoli.

La mia vita e quella di Caterina non si toccano mai veramente, nel1461 Caterina viene canonizzata a Roma, nel 1866 è dichiarata Patro-na della Capitale, nel 1939 Patrona d’Italia, nel 1999 Giovanni PaoloII la proclama Compatrona d’Europa. Io resto a guerreggiare controla partita I VA , le analisi del sangue, l’intestino irritabile e la mia scrit-tura. Resto e accetto la sconfitta di non riuscire ad aspirare alla santi-tà.

Brigida, paladina nella Chiesa

Santa Brigida di Svezia alla sua scrivania,epitaffio per Brigitte Topler, c. 1483, particolare;

Germanisches Nationalmuseum, Norimberga

Giulia Caminito(foto da lei fornita) PAT R O N E SVEZIA E EU R O PA

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Nella primavera del 1364 inizia un viaggio inCentro e Sud Italia per visitare i maggiori san-tuari e le tombe dei santi: Assisi (san France-sco), Ortona (san Tommaso), Monte Sant'Ange-lo (Arcangelo Gabriele), Bari (san Nicola), Be-nevento (san Bartolomeo), Salerno (san Mat-teo), Amalfi (sant’ Andrea) sono le mete del suoperegrinare che si conclude in Terra Santa, dovesoggiorna nel 1371 e ‘73. Da Gerusalemme tornaa Roma dove muore a luglio dello stesso anno.

Durante i pellegrinaggi nel Sud Italia si fer-ma tre volte a Napoli cogliendo l'occasione perricordare alla regina Giovanna e al vescovo Ber-nardo i loro ruoli di governo: un corretto com-portamento morale, la giusta difesa dei poveri,il rifiuto della pratica dell'aborto e, soprattutto,l'eliminazione della tratta degli schiavi, essendolei memore dell'impegno del padre che aveva

abolito la schiavitù in Svezia: «Dio ama tutti,tutti li ha creati e tutti li ha redenti».

Il senso di giustizia è un elemento portantenella vita di Brigida. Nel 1335, all’età dit re n t ’anni, viene chiamata a Stoccolma da reMagnus II in qualità maestra di corte per la fa-miglia reale. Qui non solo offre indicazioni spi-rituali ai sovrani, ma interveniene anche in que-stioni di amministrazione economica e giuridicaprestando attenzione alle fasce più fragili dellasocietà grazie agli insegnamenti paterni e aisuggerimenti del colto maestro Mattias di Lin-köping. Questi, esperto in Sacra Scrittura e teo-logo sensibile, diventa il suo confessore condu-cendola a una meditazione costante della Bibbiae a una conoscenza delle questioni religiose epolitiche del tempo, preparandola così alla suafutura missione.

Il testo sacro è centrale nel cammino di fededi Brigida: a lei si deve la prima traduzione del-la Bibbia in svedese, offerta come dono di noz-ze a re Magnus II e a sua moglie Blanche. LaScrittura, letta, meditata e contemplata, costitui-sce la lente attraverso la quale interpreta ogniaspetto di Chiesa e società, sottoposte alla «pa-rola viva» di Dio.

L'altro elemento che caratterizza la vita diBrigida è la sua esperienza capace di coniugaremistica e politica: cioè, lo stretto legame traesperienze contemplative, vocazione profetica eimpegno politico-pastorale che le consentono diguardare alla società cristiana nella sua globali-tà. Per questo può essere considerata la paladina

della riforma nella Chiesa quando, ricevendo leRivelazioni, si sente eletta da Gesù come mes-saggera in Europa di un ampio progetto di rin-novamento. Il primo compito è quello di richia-mare il Papa dal suo esilio francese affinché tor-ni a Roma per riconsegnare alla città la sua cen-tralità nella vita cristiana e ripensi il suo ruolopastorale. Questo deve essere più consono a

una dimensione spirituale ed evangelica e liberodalle maglie del potere.

Ma l'attenzione di Brigida non si limita ai so-li vertici ecclesiastici, spesso stigmatizzati perchécorrotti, ma si rivolge a tutti i credenti, ugualidavanti a Dio perché battezzati, superando cosìla tradizionale gerarchia degli stati di perfezioneche poneva al primo posto la scelta verginale.Per la santa svedese non solo il matrimonio«non è escluso dal cielo», ma era da intendersicome esperienza cardine della vita cristiana. Intal modo, il suo essere donna, laica, sposa e ma-dre diventano angolo di prospettiva che le con-sente di rivalutare la condizione laicale e di sot-tolineare come le persone debbano essere giudi-cate per l'obbedienza al volere divino e la fedel-tà al Vangelo e non per il loro stato di vita (ver-gini, vedove o coniugate; laiche o consacrate).

Questi suoi interventi sono stati anche il frut-to di un dialogo serrato con la Vergine che hacostituito per lei una guida e un punto di riferi-mento continuo, tanto che può essere definitauna santa mariana. Maria, infatti, è protagonistanell’opera di riforma che la santa svedese èchiamata ad assolvere. È lei a intimarle di scri-vere ai papi Urbano V e a Gregorio XI p erchétornino a Roma. È lei la consigliera politica neisuoi rapporti con l’arcivescovo di Napoli, la re-gina Giovanna e la regina Eleonora di Cipro. Èla stessa Maria a comparire a Brigida, durante ilsuo soggiorno ad Alvastra, per investirla di unamissione profetica nella Chiesa: la fondazione insuo onore di un monastero doppio (femminile emaschile) per la conversione dei cristiani. Nascecosì l’Ordine del Ss. Salvatore, una comunitàreligiosa doppia che prevede la presenza di tre-dici monaci (il numero degli apostoli, compresosan Paolo), quattro diaconi (in onore dei Padridella Chiesa indivisa), otto fratelli laici e sessan-ta religiose (che simboleggiavano i 72 discepoli),tutti alle dipendenze di una donna, la badessa,

che rappresenta Maria, caput et domina del mo-nastero. Il modello a cui si ispira Brigida nelprogettare questa comunità a guida femminile èquello della Chiesa primitiva riunita a Penteco-ste: la Madre di Gesù è anche madre dei disce-poli e della Chiesa nascente. La badessa la rap-presenta riconoscendone l'autorità; può esporreil pane consacrato e, ad imitazione della celesteegemonia della Vergine, come capo e regina de-gli apostoli e dei discepoli di Cristo, deve go-vernare su tutti, chierici e laici, uomini e donne.

Con Brigida il principio mariano si colora diindiscussa autorità per le donne, ma, sebbenenel 1370 papa Urbano V approvi l’Ordine, non èmai stato realizzato a pieno il governo femmini-le perché le due comunità vengono spinte a vi-vere due vite separate. È importante comunqueche sia stata la prima donna a progettare un or-dine monastico doppio unificato, con presbiteri,diaconi, fratelli laici e monache, tutti sottomessial potere della badessa.

Infine, le Rivelazioni di cui parlavamo prima,raccolte in otto volumi, consacrano la santa sve-dese come una delle più rappresentative misti-che della tradizione cristiana. Grazie alle sue vi-sioni ha introdotto anche alcuni particolari nelracconto della natività (Maria e Giuseppe in gi-nocchio ai lati del bambino) che hanno influen-zato profondamente l'iconografia, a riprova delreciproco scambio tra l'esperienza mistica e ilmondo delle immagini.

Tra i tanti aspetti di questa straordinaria figu-ra, ancora così attuale, penso si possa evidenzia-re l'importanza che attribuisce alla dimensionemariana e femminile nel cristianesimo, indispen-sabile per la riforma della Chiesa e ispiratrice diun nuovo linguaggio teologico.

*Storica e teologa, docente di Storiadel Cristianesimo e delle Chieseall’Università Federico II di Napoli

La corona delle brigidineL'elemento più caratteristico dell'abito dellebrigidine è la corona di lino bianco cheportano sul capo, fissata al velo con unospillo; alla corona sono cucite cinque pezze

circolari di tessutorosso disposte acroce (una sullafronte, una dietrola testa, due soprale orecchie e unasulla sommità delcapo). Tutti questisegni ricordano lapassione di Gesù(la croce, la coronadi spine, le cinquepiaghe).

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PAT R O N E POLONIA E LI T UA N I A

strategia del vescovo e dei signori di Cracovia,che speravano di rafforzare così l’alleanza conl’Ungheria dinanzi alla minaccia dell’invasionetartara e alle lotte di potere interne. Di fatto, itartari invasero il paese ma furono respinti. Inseguito a questi eventi, la coppia reale fece votodi castità a vita, del quale fu testimone il vesco-vo Prandota. Secondo le usanze del tempo erainteso come offerta votiva in ringraziamento perla protezione divina e la liberazione. Tuttavia,come osservano gli agiografi, fu anche una con-ferma della vita che Kinga aveva condotto finoad allora.

In questo matrimonio bianco al quale avevapersuaso il marito, Kinga diede prova di lealtà,cura e prudenza esemplari. Più volte Boleslaomenzionò in documenti ufficiali di avere presouna decisione su consiglio della moglie. Taliespressioni di deferenza e di rispetto, ben lungidall’essere usuali, testimoniano la qualità delrapporto della coppia. La loro vita comune dicastità non era segno di una mancanza di accet-tazione reciproca; non denotava un matrimonio

di ANNA SZ C Z E PA N -WO J N A R S KAE JEAN WARD*

Dai tempi lontani dei principatimedievali e delle alleanze dina-stiche giunge l’esempio di unadonna dalla singolare determina-zione e dalla forte personalità,

una donna di azione e religiosità radicale. Unasanta che non ha lasciato testimonianze perso-nali o scritti religiosi, che conosciamo in parteattraverso documenti del suo tempo, ma soprat-tutto attraverso la leggenda e il culto che sonosorti attorno a lei a partire dal Medioevo.

Kinga era figlia di Bela IV, re d’Ungheria, edella moglie Maria, figlia dell’imperatore di Bi-sanzio. Il cronista Jan Długosz racconta che fuportata in Polonia nel 1239, a cinque anni, daSalomea, sorella del principe di Sandomierz, al-lora tredicenne, diventato noto come Boleslao ilCasto. Kinga era destinata a diventare sua mo-glie, anche se il matrimonio fu celebrato solo in-torno al 1247. Il matrimonio faceva parte della

Kinga, la regina castaal servizio dei poveri

in crisi. Fu una scelta consapevole, per nientefacile per Boleslao, come racconta il sacerdotegesuita Piotr Skarga nelle sue vite di santi po-lacchi, dove tiene pure a sottolineare che Kingaera una donna bella e attraente, come confermail fatto che anche dopo la morte del marito e lasua adesione all’ordine delle Clarisse, fu sospet-tata di cadere nell’“impurità”. Kinga non mancòmai di mostrare rispetto per suo marito e diaver cura del suo buon nome, senza mai abban-donare il suo cammino verso la santità man ma-no che lo discerneva.

Kinga era cresciuta in un clima di attrazioneverso la spiritualità francescana. Invece di accu-mulare ricchezze, diede via i gioielli e le suebelle vesti per aiutare i poveri. Ma era più cheun mero effetto collaterale della sua pietà fran-cescana. Kinga aveva capacità organizzative edeconomiche fuori dal comune. Il suo impegno afavore dei sudditi andò oltre la generosa offertadi elemosine. Aveva un modo moderno di con-cepire l’economia locale, capire l’imp ortanzadella legislazione e aveva una visione a lungotermine degli interessi di coloro dei quali si sen-tiva responsabile. Da qui i tanti privilegi conces-si alla popolazione della regione di Sądecki; leminiere di sale che, create con l’aiuto di minato-ri qualificati chiamati dall’Ungheria, assicurava-no entrate costanti; l’atto di porre il conventodelle Clarisse di Stary Sącz sotto il potere diret-to del Papa, che protesse i loro beni contro l’ap-propriazione da parte di Leszek il Nero. Kingafu anche strumentale per la canonizzazione delvescovo Stanisław di Szczepanów. Questa av-venne nel 1253, l’ anno in cui morì santa Chiara,la fondatrice delle Clarisse e autrice della lororegola. La sua spiritualità ebbe una profondainfluenza su Kinga e sulle persone che la cir-condavano.

Santa Chiara era in vita quando fu fondato ilprimo monastero delle clarisse in Polonia. Nel

KingaNascita 1224 • Morte 24 luglio 1292 • Venerata da Chiesa cattolica • Beatificazione 1690Canonizzazione 1999 da papa Giovanni Paolo II • R i c o r re n z a 24 luglioPatrona di Polonia e Lituania

Fe rd y n a n d _ O l e s i ński,La leggenda di Santa Kinga; fine XIX

secolo; Muzeum Żup Krakowskich, Wieliczka

1245 Salomea (1212-1268), sorella di Boleslao,aveva preso il velo e formato una comunità. An-che Salomea aveva vissuto un matrimonio bian-co con il marito, il principe ungherese Colo-manno; erano terziari francescani. Dopo la mor-te di Colomanno, lei tornò alla corte di suo fra-tello a Sandomierz e diede vita a un monasterodelle Clarisse a Zawichost. Seguì il monasterofondato da Kinga a Stary Sącz, nel quale entrònel 1280, dopo la morte del marito. Tre annidopo fu fondata una terza comunità a Gnieźnodalla sorella minore di Kinga, Jolanta (1244-1298), vedova di un altro Boleslao, noto come ilPio, principe di Kalisz e Gnieźno. Salomea fubeatificata nel 1673, Kinga nel 1690, Jolanta nel1827. Il movimento per la cononizzazione diKinga iniziò verso la metà del XVIII secolo,quando Piotr Konstanty Stadnicki donò100.000 zloty per finanziare il processo. I lavorifurono interrotti in quello stesso secolo a causadella divisione della Polonia e fu solo nel 1999che Papa Giovanni Paolo II elevò Kinga alladignità di santa.

*Docente Università Cardinal Stefan Wyszyński,Va rs a v i a*Docente Università di Danzica

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Ebrea, monaca, martireEdith unisce i popoli

Wojtyla: “Gettò un ponte fra la sue radici e l’adesione a Cristo”

di ANGELA ALES BELLO*

Q uesta donna, completa e comples-sa, filosofa, monaca carmelitanacon il nome di Teresa Benedettadella Croce, martire e santa, fu no-minata Patrona d’Europa il 10 ot-

tobre del 1999 da san Giovanni Paolo II. Le ra-gioni della scelta compiuta dal Pontefice confer-mano la dimensione europea della sua figura edel suo pensiero. Gli aspetti fondamentali dellasua persona, messi in evidenza dal Papa, ribadi-scono quale dovrebbe essere lo spirito che unifi-ca l’Europa. Nella Lettera Apostolica “Spe edifi-

candi”, 1 ottobre 1999 egli ne sottolinea, fra glialtri, due: Edith Stein “gettò come un ponte frale sue radici ebraiche e l’adesione a Cristo, (…)gridando col martirio le ragioni di Dio edell’uomo nell’immane vergogna della shoah” emanifestò “il nucleo profondo della tragedia edella speranza del continente europeo”. Sulla li-nea della speranza, appunto, ella rappresenta unesempio di rispetto e di accoglienza in vista delsuperamento delle diversità etniche, culturali ereligiose e della costruzione di una comunitàeuropea fondata, in primo luogo, sulla fraternitàe sulla solidarietà.

PAT R O N E EU R O PA

L’interesse politico e quello religioso caratte-rizzano la sua figura di donna e di intellettuale.Alla grande capacità teoretica la Stein univa laconcretezza sul piano pratico: il dire e il fare siponevano, in tal modo, in una continuità e cir-colarità straordinarie, per cui la sua vita e la suaopera sono strettamente legate. Era molto coin-volta negli avvenimenti del suo tempo e per unbreve periodo lo fu anche nell’attività politicacome militante, proprio perché la sua attenzioneera rivolta alla sua patria. Tuttavia, il suo sguar-do era proteso oltre i confini, mostrando grandeinteresse verso i paesi che erano in contatto piùo meno diretto con la Germania.

Da intellettuale, ella dedica un lungo saggio,Una ricerca sullo Stato, alla formazione delloStato moderno, che, a suo avviso, dovrebbefondarsi su una comunità, la comunità statale.Quest’affermazione supera l’idea corrente diStato, inteso prevalentemente solo come unastruttura giuridica. Anche Edith Stein considerafondamentale tale struttura, ma essa non po-trebbe realizzarsi nella sua forma impersonale,se non fosse basata sulla forma associativa piùvalida e favorevole per gli esseri umani, appun-to, la comunità. Proprio perché la comunità è lamigliore forma associativa umana, è anche unameta ideale da raggiungere con impegno e tena-cia. Ella costata che noi viviamo in moltepliciforme di comunità che s’includono reciproca-mente e che vanno dalla famiglia al legame diamicizia, alla comunità religiosa e si amplianoverso la comunità di popolo e quella statale. In-

fatti, alla base dello Stato come entità giuridicasi trovano gli esseri umani e, in particolare,svolgono un ruolo fondamentale le persone chesono i suoi “sostenitori”, cioè i suoi funzionari.Lo Stato vive attraverso le persone e la garanziadel suo funzionamento e della sua sopravviven-za sta nella coscienza di appartenere ad una co-munità da parte di tutti coloro che lo costitui-scono; se questa coscienza viene meno, si assisteal suo fallimento.

La Stein pone l’accento, quindi, sulla necessi-tà di un comportamento etico che dovrebbe es-sere alla base del legame personale e comunita-rio fra i membri della comunità statale. Se sonopersone quelle che formano una comunità, talilegami sono stabiliti dall’assunzione di respon-sabilità reciproca che va sotto il titolo di “soli-darietà”.

Le riflessioni della Stein sono molto attuali epossono essere applicate alla situazione odiernadell’Europa . Da un lato, si può notare che inEuropa ci sono non solo popoli, ma Stati e ogniStato ha la sua sovranità. In quale misura abdi-care alla propria sovranità per costituire unoStato unitario? La via d’uscita dal punto di vi-

Edith SteinNascita Breslavia, 12 ottobre 1891 • Morte Auschwitz, 9 agosto 1942Venerata da Chiesa cattolica • Beatificazione 1° maggio 1987 da Papa Giovanni Paolo IICanonizzazione 11 ottobre 1998 da Papa Giovanni Paolo II • R i c o r re n z a 9 agostoCompatrona di E u ro p a

Pietra d’inciampo alla memoria di Edith Stein,Santa Teresa Benedetta della Croce

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sta operativo si può trovare in forme di federali-smo, ma la cosa importante e preliminare è chesi costituisca una comunità statale di ordine su-periore che vada oltre gli Stati nazionali. Ci sipuò chiedere quale sia il nostro contributo comeindividui. Poiché è possibile appartenere a piùcomunità contemporaneamente, la Stein ci sug-gerisce di prendere consapevolezza di questofatto e di renderci conto, che, anche singolar-mente, possiamo e dobbiamo collaborare e dareil nostro apporto.

Dopo la sua adesione al Cattolicesimo nel1922 ella non dimentica l’origine cristianadell’Europa e questo è il primo aspetto messo inevidenza da Giovanni Paolo II. Ci può chiederequale sia per lei il ruolo della religione a propo-sito della costituzione dell’Europa. Proprio inriferimento alla nozione di popolo, Edith Steinafferma che la religione è fondamentale. Si vedein lei l’ebrea diventata cristiana, quando affer-ma, riferendosi a Gesù Cristo che, se c’è un es-sere umano che riveste un’importanza perl’umanità i n t e ra , ci si aspetterebbe che costuidovesse essere libero da ogni legame con unsingolo popolo; in verità, ella costata che, puressendo egli, in quanto Dio, il capo dell’umani-tà, è nato da un popolo e in un popolo, ha vis-suto in questo popolo e lo ha eletto come stru-mento di redenzione dell’intera umanità.

In questo brano ci si riferisce all’umanità in-tera e si può osservare, movendo dal pensierodella Stein, che, come il singolo s’invera nellecomunità di ordine superiore così un singolo,che è il Figlio di Dio, nasce in una comunitàspecifica e non per eliminare le altre comunità,ma per mantenere in un’unità superiore tutte lemolteplicità. Giovanni Paolo II ha messo in lu-ce che la presenza della Stein testimonia la con-tinuità fra due comunità, quella del popoloebraico e quella articolata e complessa dei Gen-tili; ella le unisce, facendo in modo che tutti in-

tendano la lingua in cui il messaggio di Cristosi annuncia, com’è dimostrato dalla Pentecoste.

Nella serie di comunità “intermedie” da leidescritte, che tendono verso l’umanità intera, sipuò collocare anche l’Europa, formata, a suavolta, da una pluralità di comunità che hannoaccettato il messaggio di un ebreo, ma “Figliodell’Uomo”, cioè Emanuele, Dio con noi: GesùCristo. Straordinaria continuità fra Ebraismo eCristianesimo.

L’Europa non può fare a meno delle sue ori-gini religiose; esse servono a sostenere e consoli-dare l’atteggiamento etico di rispetto e di unio-ne reciproca fra i popoli che la formano. Anchese ai nostri giorni si tende a separare il momen-to etico da quello religioso, non dobbiamo di-menticare che i principi etici in Europa sonostati mutuati dal messaggio evangelico. Talemessaggio conferma ed esalta ciò che è già con-tenuto nella coscienza morale umana e serve co-me guida di fronte a cedimenti egoistici, comeci ammonisce ogni giorno con le sue parole econ le sue azioni Papa Francesco.

Le indicazioni che possiamo trarre dalla vitae dalle opere di Edith Stein non sono generi-che, ma trovano conferma in ciò che sta acca-dendo nella circostanza difficile in cui ci trovia-mo. Esultiamo, quando costatiamo che l’atteg-giamento di solidarietà fra i popoli europei staaffiorando; infatti, ciò alimenta in noi la speran-za di realizzare una coesione umana su basi mo-rali, indispensabile affinché si possa parlaredell’Europa, come di una comunità aperta versoil mondo. La Stein è una guida sicura lungoquesto cammino.

*Professore emerito di Storia della filosofiacontemporanea presso l’Università Lateranense, è lacuratrice della traduzione italiana delle opere diEdith Stein. Ha curato ‘Edith Stein. Tra passato ep re s e n t e ’ (2020, Castelvecchi)

5 D OMANDE

Cosa ci ha lasciato Edith Stein? “Ilrammarico di averla persa troppopresto: oggi avremmo bisogno delsuo pensiero profondo per capireil presente e soprattutto i tempi

che ci aspettano”, risponde Lella Costa, attrice,scrittrice, femminista, attivista per i diritti civili:alla parabola umana e religiosa di Santa TeresaBenedetta della Croce, nata Edith Stein, ha de-dicato nel 2019 il libro Ciò che possiamo fare -La libertà di Edith Stein e lo spirito dell’E u ro p a(Solferino) portandone poi in scena le parti sa-lienti.

Cosa sapeva di questo straordinario personaggio prima di

scrivere il libro?

“Molto poco a parte l’immensa dignità diEdith, il coraggio e l’atroce paradosso della suafine: nata ebrea, cresciuta atea e poi convertitaal cattolicesimo, venne trucidata ad Auschwitz-Birkenau. Il suo martirio sintetizza lo scempiodi qualunque violenza e discriminazione”.

Lei è credente?

“No, e il mio non esserlo è una forma di tota-le apertura: non giudico, amo condividere ilcammino con persone dotate di profonde con-vinzioni religiose che non mi considerano perciòcome un’estranea. Avermi proposto di scrivere illibro ha rappresentato quasi una scommessa, laricerca di un punto di vista diverso”.

Cosa, secondo lei, ha rappresentato nella nostra storia

Edith Stein-Santa Teresa Benedetta della Croce?

“L’eccellenza del pensiero femminile: posse-deva un’intelligenza sterminata, rigore, capacitàdi approfondimento e sapeva rendere empatico

anche il linguaggio filosofico più alto, difficile.La sua vita dimostra l’insensatezza delle discri-minazioni di genere: un secolo fa il rifiuto diammetterla all’attività accademica fu un presa-gio dell’oscurantismo dei tempi successivi”.

Qual è il messaggio che può trasmettere invece alle donne

di oggi?“La necessità di difendere la dignità femmini-

le, il dovere di impegnarsi, la pietas nei con-fronti degli altri. Anche se riconosceva alle don-ne la sola identità di mogli e madri, Edith avevaa cuore le battaglie per il riconoscimento delcontributo femminile alla società ed è stata perquesto accostata alle suffragette e alle femmini-ste”.

E cosa può offrire all’Europa di cui è patrona?

“Una straordinaria lezione di tolleranza, dia-logo, inclusione. Edith è stata un ponte tra duereligioni e due culture: nata prussiana, ha vistola sua terra diventare po-lacca. La sua morte damartire è un monito per-ché certi orrori non si ri-petano. Se l’intero corpoaccademico di Gottinganon avesse osteggiato lasua carriera universitaria,in quanto donna, appog-giando invece MartinHeidegger come erededella cattedra del filosofoEdmud Husserl, forse lastoria avrebbe avuto uncorso diverso”.

Lella Costa: “Da Edith Stein lezione di dignità”

di GLORIA SAT TA

Lella Costa (foto Lorenzo Piano- da mismaonda.eu)

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PAT R O N E IRLANDA E BELGIO

Brigid of Kildare

Nascita Faughart , 451Morte Kildare, 1° febbraio 525

Venerata da Tutte le Chiese che ammettonoil culto dei santi

Ricorrenza 1° febbraioPatrona di Irlanda e Belgio

di MICHAEL KI R WA N SJ*

Santa Brigida di Kildare è la santa pa-trona d’Irlanda, insieme a san Patri-zio e san Columba. Diversamente daPatrizio, con il quale aveva in comu-ne l’esperienza della schiavitù (nel

suo caso dalla nascita), lei era una nativa irlande-se. Inoltre, Brigida porta il nome (che significapotenza, forza, vigore, virtù; ma anche alta o eccel -

sa) di una dea celtica e in origine la sua festa, il1° febbraio, era una festa di primavera pagana.La continuità con il passato pre-cristiano dell’Ir -landa è indicata anche dal fatto che Brigida ven-ga associata a fuochi e sorgenti sacri. Nel 1993una fiamma che era rimasta accesa per secoli edera stata spenta solo nel Medioevo è stata riacce-sa nella piazza del mercato di Kildare. In modoanalogo, le numerose sorgenti che portano il no-me della santa o dell’omonima dea celtica sonoda molto tempo simbolo di purificazione e guari-gione.

È probabile che gli attributi della dea siano sta-ti conferiti a una persona realmente esistita dopola sua morte. Ad ogni modo, questa ambiguitàumana/divina fa certamente parte del fascino cheesercita sul tempo presente e della sua propensio-ne alla fluidità nelle questioni religiose. Brigidaentrò a far parte della vita religiosa e le viene at-tribuita la fondazione, nel 480, del monastero diKildare nel sito di un santuario dedicato alla sua

omonima pagana. Si narra che san Patrizio, almomento di ricevere i voti solenni di Brigida, ab-bia utilizzato per sbaglio la formula per l’ordina -zione sacerdotale. Ad ogni modo, la fondazionedi Kildare per diversi secoli è stata governata dauna doppia linea di abati-vescovi e badesse, lad-dove a quante sono succedute a Brigida sono staticoncessi onori episcopali.

I suoi rapporti con re e nobili, come anchequelli con uomini difficili in generale, suggerisco-no una figura femminile “astuta”, anche se si affi-dava più al potere di Dio che al proprio. Comun-que, la sua capacità di fondare e governare asso-miglia a quella di Teresa d’Avila mille anni dopo.La testimonianza storica di azione e autorità fem-minile è chiaramente di grandissimo interesse perla Chiesa attuale; di fatto, probabilmente la mu-tualità della doppia supervisione di abate e bades-sa sarà ancora più importante per il futuro dellaChiesa istituzionale.

Non conosciamo Brigida attraverso i suoi scrit-ti; di certo non c’è nulla di paragonabile allestraordinarie testimonianze mistiche di Teresa.Non sappiamo nulla nemmeno della sua vita spi-rituale interiore. È nota invece grazie alle leggendedi compassione concreta e di zelo per i poveri sof-ferenti di Dio. Se, come chiede Papa Francesco, laChiesa deve essere disposta a essere un ospedale da

campo e i suoi pastori devono avere l’odore delle pe-

c o re , allora Brigida potrebbe essere una valida ico-na del ricentramento pastorale della missione dellaChiesa da parte di Francesco.

Brigida è solidamente radicata nella vita e nellacultura irlandese. È presente in tutta l’Irlanda, neinomi di chiese, parrocchie, scuole e associazionilaiche – non ultimo nei circoli sportivi gaelici, tan-to fondamentali nel forgiare l’identità nazionalemoderna dell’Irlanda. Ma c’è una dimensione eu-ropea, conseguenza della Riforma protestante cheha spinto tante “oche selvatiche” irlandesi a invo-larsi verso il continente. L’era della dissacrazione

Brigida, il futurodella Chiesa

ha reso necessario allontanare le reliquie di Brigi-da, portandole in Austria, in Portogallo e in Ger-mania – esportando e paradossalmente rafforzan-do il suo culto. Esiste un bel racconto su come,dopo tanti sforzi, nel 1884 l’arcivescovo di Sydneyabbia ottenuto parte di una reliquia di santa Bri-gida per l’Australia. La riluttanza della parrocchiadi Cologna alla fine fu vinta e la richiesta accoltacome “appello del nuovo mondo cristiano a quel-lo vecchio per aver parte del suo patrimonio sa-c ro ”. Tuttavia, qui “nuovo” non si riferisce allospazio geografico delle colonie europee. Si riferi-sce al mondo moderno che guarda alle ricchezzespirituali di un’epoca passata. Certo, le tentazionisono grandi. Può nascere una “nuova cristianità”senza nostalgie false e debilitanti? Molto di quelloche passa per spiritualità e religiosità “celtica” èartificiale e romanticizzato. E, tuttavia, nella suaforma migliore ci invita comunque a protenderci,nella nostra povertà, verso ciò di cui abbiamo bi-sogno: - la fiducia e la saggezza per consentire alvangelo di permeare ed elevare una cultura senzadistruggerla; - il riconnettersi con le forze dellaterra: la guarigione delle acque sante e la fiduciosafedeltà del fuoco sacro; - la mutualità autentica diuomini e donne nell’amministrazione della Chiesa;- il coraggio di sfidare i potenti e, con l’aiuto diDio, di vincerli in astuzia; - il recupero dellaEvangelii gaudium, la “gioia del vangelo”, avvici-nandosi continuamente ai poveri; come nella vi-sione dell’VIII preghiera attribuita a Brigida:

“Vorrei un lago della birra migliore

per il Re dei Re.

Vorrei una tavola imbandita del cibo

più prelibato per la famiglia celeste.

Fai che la birra sia fatta dei frutti

della fede e che il cibo sia amore clemente.

*Professore associato aggiunto Loyola InstituteSchool of Religion Trinity College Dublino

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LA F O R E S TA SILENZIOSA RE P. CENTROAFRICANA

«Curiamo i pigmei nel cuore dell‘E q u a t o reSenza medici, né energia elettrica»Suor Donata Ferrari, da Maranello all’ospedale di Zomea, 50 posti letto e pannelli solari

di LAU R A ED UAT I

Per parlare al tele-fono con suorDonata Ferrari

occorre prendere unappuntamento e pa-zientare, anche settima-ne, prima che la missio-naria comboniana ab-bandoni Zomea, picco-lo villaggio nella fore-

sta equatoriale della Repubblica Centrafricana,e affronti a bordo di un fuoristrada 150 chilome-tri di percorso accidentato per approdare nellacapitale Bangui.

Il viaggio dura mezza giornata, e nella cittàsuor Donata ritrova quel mondo che non puòraggiungerla in mezzo alla foresta. Qui è possi-bile utilizzare la linea telefonica e quella inter-net. A Bangui c’è anche la corrente elettrica, as-sente nel villaggio di Zomea dove la religiosamodenese è tornata al principio del 2019 in unminuscolo ospedale, unico presidio sanitariodella regione e unico dispensario della zona,fondato dalla diocesi polacca di Tarnow e gesti-to insieme alle suore comboniane al servizio de-gli ultimi che in questo territorio sono i pigmei,etnia che sta abbandonando lentamente il no-madismo e che da sempre è sottomessa al grup-po storicamente dominante – i bantù.

L’ambulatorio di Zomea, di cinquanta postiletto, funziona a pannelli solari e con un grup-po elettrogeno per le emergenze. Due anni fa

Papa Francesco ha donato duemila euro per at-tivare maggiori risorse energetiche, un assegnoarrivato grazie alla visita di una delegazionedell’ospedale romano del Bambino Gesù. Quiarrivano madri con figli denutriti o malati dimalaria, la prima causa di morte dei bambini inquesto luogo dell’Africa. «Non abbiamo mediciveri e propri, le operazioni urgenti vengono ese-guite da un infermiere con una lunga esperienzain sala operatoria. I medici sono rarissimi in Re-pubblica Centrafricana. Per sterilizzare i ferridobbiamo attendere che siano un certo numeroper risparmiare sui costi dell’operazione» rac-conta suor Donata, appesa a una telefonatawhatsapp che va e viene. E’ lo stesso canale concui chiama ogni due settimane la famiglia a Ma-ranello, cittadina dell’Italia settentrionale cono-sciuta in tutto il pianeta per essere la patria delmarchio Ferrari: cognome identico, ma è soltan-to una coincidenza.

«Fin da piccola sognavo di fare la missiona-ria in Africa e poi è capitato che, crescendo, di-ventassi infermiera e partissi prima per l’Ugan-da e poi per lo Zambia». A ventisette anni Do-nata Ferrari ha deciso di diventare comboniana,e anche per questo ha lasciato l’Italia: la Spa-gna, l’Ecuador. Infine proprio Zomea, nel 2011,la sua prima destinazione in Repubblica Centra-fricana, seguita da cinque anni a Bagandou inun ospedale più attrezzato. L’anno scorso lehanno chiesto di tornare nella foresta dei pig-mei, dove la convivenza con i bantù è proble-

matica e spesso sfocia nel disprezzo. «I pigmeivivono in una sorta di autoreclusione, difficil-mente si avvicinano per chiedere aiuto. Il nostroè un lavoro anche culturale e comincia dai det-tagli minuti: spesso devo ricordare ai pazienti dietnia aka, cioè i pigmei, che il turno spetta a lo-ro e non devono cedere il posto a un bantù»racconta suor Donata per la quale questo di-spensario alla periferia della periferia «in realtàè l’ombelico del mondo» e il rapporto con imalati diventa una relazione quasi famigliare digratitudine e riconoscimento reciproco. «Faccia-mo in modo che non sia puro assistenzialismo –spiega - La sanità pubblica e gratuita non esistein Centrafrica, ma storicamente i bantù hannopiù potere economico e possono permettersi cu-re e medicinali. A Zomea invece applichiamo ta-riffe simboliche per i pigmei affinché vengano acurarsi e capiscano che in cambio di qualcosapossono ottenere una salute migliore. A voltetornano portandoci un pollo oppure polvere dimanioca perché non posseggono altro».

Il cuore della missione è questo. Suor Dona-ta lo racconta quasi stupendosi dell’attenzioneprovocata in chi sta ascoltando a migliaia dichilometri di distanza. Un lavoro sottotraccia, ilsuo, che non conosce riposo e abbraccia special-mente l’educazione al materno e all’alimentazio-ne delle donne che arrivano con figli scheletrici.«Magari le madri stanno bene e i figli sonomalnutriti, sembra un paradosso ma accade chequeste donne abbiano molti bambini e non rie-

scano a nutrire ade-guatamente il piùpiccolo, o ignorino iprincipi della ali-mentazione, oppuretrascurino i figliavuti da uomini chepoi le hanno abban-donate. Non si tratta di povertà materiale, la fo-resta è davvero colma di ogni bene». A volte,invece, è la malaria: «Bambini molto piccoli ar-rivano quando non c’è più niente da fare e allo-ra come donna di fede mi chiedo perché stia ac-cadendo questa ingiustizia».

E poi esiste una seconda missione che riguar-da il personale infermieristico, bisognoso di for-mazione. «I corsi per infermieri durano soltantonove mesi, non esiste l’obbligo di aggiornamen-to, noi ci arrangiamo con un manuale di MediciSenza Frontiere e anche grazie alla mia espe-rienza di infermiera professionale». Per questo,oltre alla attività di gestione per la quale è statainviata a Zomea, spesso la missionaria assiste allevisite ambulatoriali per dare un parere aggiuntivoe maturare una diagnosi insieme all’infermiere in-caricato di visitare. «La mia presenza è un aiutomedico ma è anche importante per evitare cheriemergano antichi retaggi di potere anche invo-lontario tra infermiere bantù e paziente pigmeo.Se devo trovare una similitudine direi che spessomi sento di oliare i meccanismi delle relazioni af-finché le cose vadano nel verso giusto».

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LA F O R E S TA SILENZIOSA ALBANIA

«Noi, donne cattoliche, pronte a rischiareper proteggere i figli dei musulmani»Monica Bologna e la Casa Betania per orfani. Riconoscimenti da Mattarella e Papa Francesco

di LAU R A ED UAT I

Di tutti i bambinialbanesi chehanno trovato

rifugio e amore nellaCasa Betania, unoall’improvviso ha presoa chiamare la direttriceMonica Bologna aper-tamente ‘mamma’, initaliano, poiché nellacasa di accoglienza si

parlano entrambe le lingue. Quel ragazzo sichiama Angelo, ora ha vent’anni, e quando Bo-logna lo ha incontrato doveva ancora nascereeppure era già immerso in un contesto di vio-lenza e soprusi.

Bologna e le volontarie dell’associazione Be-tania erano appena arrivate a Bubq Fushe Kru-je, cittadina a venti chilometri da Tirana, unluogo allora poverissimo in una nazione in sub-buglio. A voler fondare una struttura per orfaniproprio in quel pezzetto di mondo era stata lamadre spirituale di tutte loro, Antonietta Vitale,fondatrice nel 1990 dell’Associazione Betania aBosco Zevio, nel Veronese. Originaria della Ba-silicata, Vitale aveva vissuto da giovane povertàed emarginazione e per questo, dopo essereemigrata al Nord, si era prodigata per costruireun luogo che nel nome ricordasse il povero vil-laggio vicino a Gerusalemme, che per Gesù erail luogo dell’amicizia: Betania è ricordata per laresurrezione di Lazzaro che lì abitava con le sue

sorelle Marta e Maria. Il prefisso "Beth-" inebraico significa "casa". L'intera espressione vie-ne comunemente tradotta come casa dei poveri.

Mentre l’Associazione cresceva grazie ai vo-lontari, Vitale si trovò ad accogliere parecchi ra-gazzi albanesi arrivati stremati in gommone eper questo scelse nel ’98 di recarsi in Albaniaper vedere con i propri occhi le condizioni dipartenza. E così comperò un terreno dove feceerigere la prima missione all’e s t e ro .

Monica Bologna allora era ancora una mae-stra elementare. «Non ho vissuto una vocazioneper questa vita. Il Signore ha illuminato la miastrada verso madre Antonia, la mia famiglia te-meva che stessi sbagliando. Nel ’99 sono partitaper l’Albania pensando di rimanerci un mese,sono ancora qui. Non sapevo cosa avrei trovato,ero titubante. Poi ho spalancato il portone dellacasa di accoglienza e ho visto decine di bambinicorrermi incontro per abbracciarmi. Io, che nonavevo fatto ancora nulla per loro, ero diventatain pochi istanti una figura fondamentale».

In quei primi mesi avevano accolto una don-na rimasta incinta fuori del matrimonio: «Ab-biamo rischiato che venissero a spararci permandarci via: noi, cattolici, che ci prendevamocura dei figli dei musulmani e che apertamentesfidavamo le leggi non scritte, come quella diaiutare una cosiddetta adultera meritevole ai lo-ro occhi di venire ammazzata. Gli uomini dellafamiglia del marito arrivarono armati in casa

nostra e imbestialiti, non capivano il fatto chefossimo donne sole e non sposate e che avessi-mo preso la decisione di stare dalla parte diquella ragazza». Il bimbo dello scandalo eraAngelo: venne al mondo, sano, sua madre loabbandonò immediatamente e così Bologna do-vette badare a lui anche materialmente. Angelonon lo scorda: ora studia letteratura italiana aTirana, la chiama sempre.

Dopo poco tempo in Albania, Bologna hadeciso anche di prendere i voti di castità, pover-tà e obbedienza. Il lavoro quotidiano di cura eamore è cominciato in una condizione estrema;molti bambini provengono da famiglie disagiatedove la violenza è un gesto quotidiano e l’amo-re dei genitori qualcosa di sconosciuto. «Moltistavano per morire di fame e di freddo quandoli abbiamo presi, erano centoventi e tutti picco-lissimi».

Per loro la Casa Betania organizza la scuola eil doposcuola, ma è tutta la vita dall’alba al tra-monto che va pensata, organizzata e smussata.«Esplodono a volte rabbie e nervosismi, ribel-lioni e ostilità. In quei momenti comprendoprofondamente il loro disagio, portano ferite,ma riescono infine a comprendere la grazia dipoter vivere in un luogo dove non manca nulla,insieme a loro ringraziamo la Provvidenza diaverci fatto incontrare» dice Bologna che rac-conta con gioia la sua esperienza, eppure sem-bra minimizzarla, come se fosse una vita sempli-ce uguale alle altre. E invece nel 2018 Sergio

Mattarella, il presi-dente della Repub-blica italiana, haconcesso alla CasaBetania a Bubq il ti-tolo di “C a v a l i e reall’Ordine della Stel-la d’Italia” per meritiumanitari. I bambini che diventano ragazzi epoi maggiorenni possono scegliere di battezzarsie fare i sacramenti, alcuni invece si allontananoe spariscono per sempre. «Ho avuto la fortunadi vivere una maternità spirituale e quasi illimi-tata perché sono centinaia i bambini che hannovissuto qui. Come un genitore, noi qui facciamola semina e non sempre vediamo il raccolto.Facciamo crescere i nostri bambini fornendol’esempio del Vangelo, che è concretissimo: lorosono testimoni che il bene germoglia nel bene,a volte per vedere il frutto ci vuole pazienza». Ilrisultato è che gli ex orfani spesso tornano aBubq Fushe Kruje con le loro mogli o i loromariti e i figli, chiamano Bologna ‘nonna’ op-pure ‘zia’, una grande famiglia dove coesistonosenza conflitto cattolici e musulmani, un esem-pio così alto che nel 2014 papa Francesco du-rante il suo viaggio apostolico si è fermato nellacasa Betania di Bubq Fushe Kruje, pronuncian-do parole di ringraziamento a Bologna e allafondatrice Antonietta, che negli anni ha creatoanche una missione in Kenya e aperto nuove ca-se di accoglienza in Basilicata e Sardegna.

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PRO MEMORIA

Ha dovuto impiegare quasi duecento an-ni, superare lo stigma della estraneità,lei nata a Firenze nel 1773 da padre no-

bile francese e madre tedesca di nascita, e aspet-tare la beatificazione arrivata nel 2017 perché al-la fine la città di Verona le riconoscesse il ruoloche le apparteneva e iniziasse a scoprire la ric-chezza della biblioteca che porta il suo nome:Leopoldina Naudet ha lasciato all’istituto delleSorelle della Sacra Famiglia da lei fondato nel1816 un vero gioiello, quasi duemila titoli del1500/1800 ai quali si sono aggiunti negli annitesti di teologia, ecclesiologia,patristica e storia della Chiesa,per arrivare a un totale di circaventimila libri. La Biblioteca,che dal 2015 è aperta al pubbli-co e si è dotata di uno staffcompetente e di un biblioteca-rio, è ora inserita nel Polo delleBiblioteche ecclesiastiche. “E’stato molto bello assistere aquesta crescente visibilità, con-quistata con difficoltà nel corsodel tempo perché Leopoldina,appena approdata a Verona nel 1816 e fino apoco tempo fa, era considerata una straniera -commenta la superiora, suor Rita Boni - La suabeatificazione ha dato impulso a questo proces-so di conoscenza, di avvicinamento della città auna figura così importante per l’evoluzione del-la donna e alla stessa biblioteca”.

Non è stato un colpo di fulmine, ma un in-namoramento lento quello di Verona per laNaudet. E il colpo d’ala è arrivato due anni fa,

con la donazione da parte di Adriana Valerio,già docente di Storia del Cristianesimo all’Uni-versità Federico II di Napoli (a pagina 25 il suoarticolo su Brigida di Svezia), di circa 1.500 testisulle donne e la fede. Può essere difficile sepa-rarsi dai libri, uno strappo doloroso. “Ma poiho pensato - racconta la teologa - che avrebberoavuto una loro vita e che così non sarebberomorti con me. Nella Biblioteca Naudet hannouna loro collocazione, sono valorizzati, costitui-scono un patrimonio che viene messo a disposi-zione di tutti. E poi spero che il mio gesto pos-

sa venire emulato da altri”.

E intanto arrivano i visitato-ri, i corsi di formazione per leragazze tra i 18 e i 29 anni, igruppi di lettura. D’a l t ro n d eparlare di Leopoldina vuol direparlare di libri: lei, che cono-sceva tre lingue e frequentavagli ambienti di corte, aveva unapersonalità molto attenta ai fer-menti culturali dell’epoca equando approdò a Verona perfondare l’Istituto Sorelle della

Sacra Famiglia, si dedicò alla formazione dellegiovani nobili, offrendo la possibilità di studiareanche alle ragazze più povere, garantendo a tut-te l’eccellenza degli studi. Un processo di tra-sformazione che ha coinvolto le donne cattoli-che di inizio ‘800, alla ricerca di nuovi modellidi comunità religiose. E’ questo tratto che l’haresa moderna, contemporanea e finalmente pro-tagonista, insieme alla Biblioteca, di Verona edella società.

Donne e fede alla Biblioteca Naudet di Verona

di LILLI MANDARA

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