MENSILE DELLA CARITAS ITALIANA - ORGANISMO … · GUERRA E TERRORISMO, IL “NO” NASCE DAL...

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VIVERE NELLE NOSTRE CITTÀ. IN FAVELA... BARACCA, DOLCE BARACCA MENSILE DELLA CARITAS ITALIANA - ORGANISMO PASTORALE DELLA CEI - ANNO XXXVII - NUMERO 3 - WWW.CARITASITALIANA.IT Italia Caritas SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE ARTICOLO 2, COMMA 20/C, LEGGE 662/96, FILIALE DI ROMA CURA DELL’AMBIENTE LA RESPONSABILITÀ DELLA CHIESA RAPPORTO POVERTÀ L’EUROPA INVESTE ABBASTANZA SULLE FAMIGLIE? DONNE IN PAKISTAN STORIA DI TAHIRA, CHE È USCITA DI CASA aprile 2004

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VIVERE NELLE NOSTRE CITTÀ. IN FAVELA...

BARACCA, DOLCE BARACCA

MENSILE DELLA CARITAS ITALIANA - ORGANISMO PASTORALE DELLA CEI - ANNO XXXVII - NUMERO 3 - WWW.CARITASITALIANA.IT

Italia Caritas

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CURA DELL’AMBIENTE LA RESPONSABILITÀ DELLA CHIESARAPPORTO POVERTÀ L’EUROPA INVESTE ABBASTANZA SULLE FAMIGLIE?

DONNE IN PAKISTAN STORIA DI TAHIRA, CHE È USCITA DI CASA

aprile 2004

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editoriale di Vittorio NozzaGUERRA E TERRORISMO, IL “NO” NASCE DAL QUOTIDIANO 3parola e parole di Giovanni SalviniSINERGIA DI GRAZIA E FEDE PER “FARE GIUSTI” GLI UOMINI 4

nazionale“FAVELA” ALL’ITALIANA, SGOMBERARE NON BASTA 6di Pietro Gava e Paolo Briviodall’altro mondo di Franco Pittau 12NUOVO SERVIZIO CIVILE, SEI “QUALITÀ” PER CRESCERE 13di Giancarlo Perego, Raffaele Callia e Diego Ciprianidatabase di Cristiana Cioni 17SE VUOI LA PACE, ABBI CURA DEL CREATO 18di Karl GolserESPERIENZE CARITAS, DALLA BASILICATA ALL’AMERICA LATINA 20di Luca Iacovone e Guido Migliettacontrappunto di Domenico Rosati 23

progetti DIRITTO ALLA SALUTE 24

internazionaleEUROPA DELLE FAMIGLIE, POVERTÀ DIETRO L’ANGOLO 26di Roberto RambaldiLA GEORGIA DEI BISOGNI ESTREMI E LE PAGNOTTE PER IL DIALOGO 28di Lorenzo Fazzinicasa comune di Gianni Borsa 30IL TEATRO CHE RISCATTA L’ALTRA METÀ DEL PAKISTAN 31di Antonella Battiatoconflitti dimenticati di Pierluigi Boda 34SCINTILLE DI FUTURO, “MICRO” VUOL DIRE SVILUPPO 35a cura dell’Area internazionalecontrappunto di Alberto Bobbio 39

agenda territori 38villaggio globale 43

ritratto d’autore di Gino & MicheleGIUSEPPE, IL CARNEVALE E LE MANI DI UNO CHE NON RUBA 47

sommario ANNO XXXVII NUMERO 3

ItaliaCaritas

direttoreDon Vittorio Nozza

direttore responsabileFerruccio Ferrante

in redazioneDanilo Angelelli, Paolo Beccegato, Paolo Brivio,Giuseppe Dardes, Marco lazzolino,Renato Marinaro, Francesco Marsico,Francesco Meloni, Giancarlo Perego,Roberto Rambaldi, Domenico Rosati

progetto grafico e impaginazioneFrancesco Camagna ([email protected])Simona Corvaia ([email protected])

stampaOmnimediavia del Policlinico, 131 - 00161 Roma

sede legaleviale F. Baldelli, 41 - 00146 Romatel. 06 541921 (centralino)

06 54192226-7-77 (redazione)

offertePaola Bandini ([email protected])tel. 06 54192205

inserimenti e modifiche nominativirichiesta copie arretrateMarina Olimpieri ([email protected])tel. 06 54192202

spedizionein abbonamento postaleArticolo 2 - comma 20/c legge 662/96Filiale di RomaAutorizzazione numero 12478dell’8/2/1969 Tribunale di Roma

Chiuso in redazione il 19/03/2004

IN COPERTINALe immagini del servizio

sulle baraccopoli sonostate raccolte nell’area

ex Falck, a Sesto S. Giovannifoto Maurizio Camagna

AVVISO AI LETTORIPer ricevere Italia Caritas per un anno occorre ver-sare un contributo alle spese di realizzazione di al-meno 15 euro (causale “contributo Italia Caritas”).Le persone che effettuano offerte in favore dei pae-si in via di sviluppo o a sostegno di iniziative uma-nitarie a favore di popolazioni colpite (in Italia o al-l’estero) da calamità naturali o da altri eventi straor-dinari, possono conservare la ricevuta, sia postaleche bancaria, della loro offerta, come previsto dal-l’articolo 138, comma 14 della legge 388/2000 edall’articolo 27 della legge 133/1999: in questomodo potranno detrarre l’offerta in occasione dellasuccessiva dichiarazione dei redditi. Per le offerte amezzo bonifico, l’estratto conto ha valore di ricevu-ta; per quelle con carta di credito va abbinato allacopia della richiesta di addebito. La Caritas Italiana,su autorizzazione della Cei, può trattenere fino almassimo del 5% sulle offerte per coprire i costi diorganizzazione, funzionamento e sensibilizzazione.Le offerte vanno inoltrate a Caritas Italiana tramite:

● Conto Corrente Postale n. 347013● Banca Popolare Etica, Piazzetta Forzaté, 2 Padova

Iban: IT23 S050 1812 1000 0000 0011 113Bic: CCRTIT2T84A

● Banca Intesa, Agenzia Rm P.le Gregorio VIIIban: IT20 D030 6905 0320 0001 0080 707Bic: BCITITMM700

● Cartasì e Diners, telefonando al n. 06/541921, orario d’ufficio.

Mensile della Caritas Italiana

Organismo Pastorale della Ceiviale F. Baldelli, 4100146 Romawww.caritasitaliana.itemail:[email protected]

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GUERRA E TERRORISMO,IL “NO” NASCE DAL QUOTIDIANO

di Vittorio Nozzaeditoriale

varie municipalità del paese per il so-stegno psico-sociale e materiale a famiglie di ex detenutipolitici o che hanno subito lutti a causa della guerra.

Ogni iniziativa è pensata come parte di un itinerario,con lo scopo di continuare a fare proposte di educazionealla mondialità e alla pace, di rileggere alla luce della fedeil rapporto tra etica ed economia - per aiutare a pensare auna carità non separata dalla giustizia, perciò capace didenunciare le strutture di peccato -, di diffondere scelteispirate alla nonviolenza e comportamenti di responsa-bilità verso l’ambiente e ogni creatura.

Non si può infatti dire no al terrorismo, né chiederepace e giustizia senza essere ogni giorno nei propri con-testi costruttori di ascolto e dialogo, con scelte di vita giu-ste, oneste, ispirate alla nonviolenza, da cittadini respon-sabili e solidali.

dei suoi interventi di cooperazione,emergenza e lotta alla povertà in terri-tori teatro di conflitti e di violenze.

Itinerario di educazioneIn Iraq, ad esempio, la Caritas è attivasin dall’inizio dell’embargo con unprogramma, praticamente mai in-terrotto, in favore dei bambini e dellegiovani madri seguiti dalle strutturegestite da Caritas Iraq. Così come èpresente in Afghanistan e in TerraSanta. Senza tuttavia trascurare altriconflitti, meno noti o spesso dimenti-cati fino a nuove esplosioni. Come inKosovo, tornato drammaticamentealla ribalta perché di nuovo segnatoda sanguinosi scontri etnici, dove Ca-ritas continua a lavorare per la ricon-ciliazione: dopo aver ricostruito più dimille abitazioni, conduce - tra gli altri- due progetti di scuole multietnicheper favorire l’integrazione tra bambi-ni serbi e albanesi, e un intervento in

Una grande mobilitazione in favore di una pace nellagiustizia e nella solidarietà. Iniziative e manifestazio-ni, a un anno dalla guerra in Iraq, all’indomani del-

l’attentato di Madrid e proprio mentre si riaccende la vio-lenza in Kosovo, per ribadire l’orrore di ogni guerra e la fer-ma condanna del terrorismo. Un impegno di tutti che nonbasta proclamare, ma deve trovare canali di espressioneanche e soprattutto nella quotidianità. Come?

Anzitutto, formando alla cono-scenza e al rispetto della responsabi-lità reciproca, nei luoghi educativi,nelle realtà ecclesiali, nelle espressio-ni del sociale. In particolare CaritasItaliana, le Caritas diocesane e, attra-verso esse, le comunità ecclesiali loca-li devono sentirsi chiamate, insiemealle altre realtà del mondo cattolico, aun sempre più intenso e rinnovatoimpegno educativo, soprattutto versoi giovani. Per esempio promuovendoil volontariato e la fondamentale espe-rienza formativa dell’obiezione di co-scienza e del servizio civile nazionale aperto ai volontari,anche nella forma del servizio civile all’estero in missioniumanitarie (progetto “caschi bianchi”), in luoghi segnati daviolenza, conseguenze di guerra, povertà e miseria.

Sostenendo politiche e organismi internazionali chevalorizzino la scelta del negoziato invece di quella dellaforza e assicurino il rispetto del diritto internazionale.

Facendo sì che il desiderio di pace e il bisogno di edu-cazione alla pace stiano dentro i luoghi ecclesiali del pre-gare e del celebrare.

Lottando contro le povertà e le disuguaglianze con effi-caci aiuti allo sviluppo, rimuovendo il fardello del debitodei paesi più poveri e favorendo una cooperazione inter-nazionale in grado di sostenere progetti di autentica pro-mozione umana. Non a caso Caritas Italiana conduce l’80%

Non basta mobilitarsiper proclamare la pace.Occorre trovare canali

per esprimerla nella vita di ogni giorno.

Caritas crede alla solidarietà diretta,

vissuta nei luoghi di conflitto.

Ma soprattuttoall’impegno educativo

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di Giovanni Salvini

chiesta per entrare nella giustizia, propria solo di Dio.Lo stesso tema ritorna nelle istanze legittime della

prima Riforma protestante, che reagisce a uno sbilancia-mento più pragmatico che teologico subito dalla chiesadei secoli XIV-XVI verso un’eccessiva “liturgizzazione” e“moralizzazione” dell’esperienza cristiana, fino a unsubdolo ripresentarsi dell’antica eresia antiochena percui le opere (ritualizzate nella liturgia o enfatizzate nell’i-deale delle buone opere del cristiano) diventavano dinuovo la causa della salvezza del credente. Ancora unavolta un Concilio, quello di Trento, riporta a galla la verità

biblica, recuperando l’antico equilibrio della verità di fe-de. Solo la fede nel Signore Gesù, ricevuta come dono digrazia, permette di accogliere la sua rivelazione e di de-cidere di vivere la propria esistenza come risposta attivaall’amore gratuito del Dio unico, costituendosi come“chiesa”, secondo il disegno salvifico di Dio stesso.

La profonda e geniale formulazione di Trento sul te-ma della giustificazione porta a precisare una serie diquestioni importantissime riguardo alla vita cristianacome vita da “giustificati”. Il problema era trovare unequilibrio tra due visioni della giustificazione apparente-

Un versetto chiave di tutta la Bibbia. Un versetto oscu-ro e luminoso. Un enigma decisivo per la fede. In que-ste poche parole una verità immensa, probabilmente

la chiave di lettura unica della vicenda di Gesù di Nazareth,servo “giusto” del Dio Altissimo, capace di “fare giusti”(“giustificare”) “tutti” (il senso ebraico del termine che noitraduciamo con “molti”). Nella dinamica di questa giustifi-cazione sta il segreto della vita cristiana. Basti pensare cheproprio su questo tema della giustificazione si sono apertele due più profonde ferite nel tessuto della chiesa di GesùCristo: lo “scisma di Antiochia” e la Riforma protestante.

Il primo avvenimento fa addirit-tura parte del patrimonio fondantedella chiesa delle origini ed è narratodal libro degli Atti degli Apostoli,quando riferisce dello scontro traPietro e Paolo a proposito dell’osser-vanza della legge ebraica e del ritodella circoncisione. Il nodo proble-matico è: che cosa “giustifica” (cioè“rende giusti”) di fronte a Dio? L’os-servanza della legge o la fede in GesùCristo, servo obbediente di Dio, uni-co capace di “fare giusti” i fratelli?

Vita da “giustificati”È questa seconda opzione, sostenuta con ampi argo-menti dall’apostolo Paolo in quasi tutte le sue lettere, aprevalere nella chiesa antica, che decide, nel suo primoConcilio ecumenico, di non imporre nulla, ai pagani chevogliono farsi cristiani, eccetto l’adesione all’alleanza diDio con tutta l’umanità (l’alleanza con Noè) e la fede inGesù. Si arriva a stabilire, sotto la guida attenta dello Spi-rito Santo, che solo la fede nel Figlio di Dio permette dipartecipare al dono che egli ci ha fatto dando la propriavita per noi. Nessuna altra opera umana oltre la fede è ri-

parola e parole

…il giusto mio servo giustificherà molti (Is 53,11)

Nella dinamica della “giustificazione”

il segreto della vitacristiana. Su questotema si sono aperte le ferite storiche piùprofonde nel tessutodella chiesa. Ma nonc’è giustizia, se Dio euomo non collaborano

per costruirla

SINERGIA DI GRAZIA E FEDEPER “FARE GIUSTI” GLI UOMINI

mente inconciliabili: da una parte la visione, contro cuisi scagliavano i teologi riformati della giustificazione, co-me riconoscimento di meriti umani in senso banalmen-te moralista, che intende la salvezza come il premio diDio per i buoni; d’altro canto, la visione della giustifica-zione come una sorta di arbitraria predestinazione di al-cuni alla salvezza, operata da Dio come una specie diroulette russa, per cui tutta la sfera del comportamento edella storia umana rischia di diventare completamenteininfluente.

Compagni di strada e di sorteLa sintesi di Trento conserva un valore grande per i cri-stiani di tutte le epoche, perché ci mette di fronte la me-ravigliosa sinergia tra la grazia di Dio che crea, accom-pagna, risveglia, eccita, sostiene e ricostituisce conti-nuamente l’amore nel cuore dell’uomo (con la forzaoriginaria e indistruttibile dell’unico atto di amore per-fetto del Cristo, che muore sulla croce) e la fede dell’uo-mo stesso, povera, incerta, vacillante e bisognosa di cre-scere, ma sempre decisiva, che lo apre ad accogliere l’a-more di cui Dio lo fa oggetto. Neppure l’amore sconfi-nato di Dio è sufficiente a salvare automaticamentel’uomo, se non gli è tolto l’ostacolo, se non gli è aperta laporta che solo l’uomo dentro al suo cuore può aprire.

Né d’altra parte lo sforzo più sublime di amare po-trebbe nascere nel cuore di un uomo, se non seminatodalla grazia sconfinata di Dio. È questa sinergia, questoagire insieme, bisognosi l’uno dell’altro, che accomunaeternamente Dio e la sua creatura nella costruzione diogni forma di giustizia nella storia e nell’eternità. Com-pagni di strada e di sorte comune, con una sola diffe-renza sostanziale: che l’uomo nasce costituito dal suobisogno di Dio, mentre Dio ha liberamente scelto diavere bisogno dell’uomo. Una verità, però, rimane indi-scutibile: non c’è giustizia, se Dio e uomo non collabo-rano per costruirla.

IL PROFETA Isaia, in una incisone dell’Ottocentodi Gustave Doré.

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Dio e la sua creatura,bisognosi l’uno dell’altro:chiamati ad agire insieme per la costruzione di ogni

forma di giustizia.Nella storia e nell’eternità

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di Roma -. Entrare in una pineta piena di baracche tra lacapitale e Ostia, o recarsi nei pressi di alcune stazioni ri-chiede qualcosa in più della competenza professionale:si incontrano esistenze segnate dalla provvisorietà e dauna povertà estrema, spesso immigrati non regolari.Una volta acquisita una certa fiducia, si prova a elabora-

re piccole proposte, adeguate alle esigenze,non solo materiali, di persone ai margini diuna vita normale».

Anche in Emilia Romagna la popolazionedelle baraccopoli appare in crescita. Però talo-ra è vittima di un’esclusione – come dire? -“programmata”. «I protagonisti dei flussi mi-gratori dei primi anni ’90 avevano attese e ra-gionevoli speranze di inserimento anche dal

punto di vista abitativo - dichiara don Giovanni Nicoli-ni, direttore della Caritas di Bologna -. Adesso, invece,mi sembra più difficile progettare servizi per chi vive incondizioni tanto precarie: molti stranieri non hanno vo-lontà di integrarsi, magari rimangono in Italia solo peralcuni mesi e non intendono spendere soldi per abita-

Edifici sovraffollati da tempo immemorabile, condi-zioni igienico-sanitarie pessime, quartieri dove nessuncensimento arriva caratterizzano anche il paesaggio ur-bano di Napoli. Non mancano gli insediamenti di ba-racche, «dove in pochi riescono a entrare per prestareaiuto - racconta don Vincenzo Mango, direttore dellaCaritas partenopea -. Purtroppo questi dor-mitori abusivi sono terreno fertile per la cri-minalità: spaccio di droga e prostituzione tro-vano manovalanza e vittime. Noi proviamo acostruire una rete di realtà sociali che, in col-laborazione con le Asl, offrano aiuto. Gli im-migrati cercano di condividere gli spazi con iconnazionali, spesso si registrano spartizioniinsediative in base ai paesi di provenienza.Polacchi, ucraini, filippini, altre nazionalità. Noi avvici-niamo più facilmente i cristiani, aiutati in questo dallapresenza di sacerdoti stranieri».

«Vincere la diffidenza di chi fa di tutto per essere in-visibile richiede grandi capacità relazionali – osserva an-che don Angelo Bergamaschi, vicedirettore della Caritas

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baraccopoli

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nazionale

La metà della popolazione urbana mondiale, quasi un miliardo di persone, vive in ba-raccopoli. Secondo l’Onu, la cifra raddoppierà entro i prossimi trent’anni. Il feno-meno non è estraneo ai paesi sviluppati. E l’Italia non fa eccezione. Le catapecchiedi legno e lamiera che punteggiavano le nostre periferie metropolitane nei decennidel boom sembravano cancellate. Ma il passato può tornare, seppur in forme modi-ficate. Gli ultimi mesi hanno portato alla ribalta incidenti verificatisi in quelle che igiornali hanno descritto come piccole bidonville, gonfiate dall’immigrazione stra-

niera, regolare o irregolare che sia. Sgomberi ripetuti a Milano, quattro rumeni morti nell’incendiodella loro baracca a Roma, un bambino ucciso in Campania da un altro rogo che ha incenerito unrifugio di fortuna allestito sotto un ponte: solo alcuni, tra i tanti fatti di cronaca accaduti nelle nuo-ve baraccopoli italiane, “micro-favela” annidate talvolta anche all’interno delle città, insediamentiabusivi che colonizzano un’area industriale dimessa, un edificio fatiscente, un terreno incolto, leimmediate vicinanze di un campo nomadi regolare e attrezzato. E che segnalano le falle delle poli-tiche di accoglienza e integrazione nel nostro paese. Per non parlare delle politiche abitative. E del-

le ricadute sull’ordine pubblico, laddove la convivenzacon i residenti italiani entra in tensione, per vari motivi.

Il terremoto e la pinetaLe baraccopoli all’italiana hanno volti molto differenti, aseconda dei contesti socio-ambientali, delle trame urba-nistiche, persino delle vicende storiche delle città. In Sici-lia vi sono luoghi dove esistono da un secolo. «Dopo il ter-remoto del 1908 intere generazioni di messinesi hannovissuto in condizioni precarie, in pseudo-abitazioni loca-lizzate non solo in zone periferiche. Sono stati costruiti al-loggi popolari privi di una rete efficiente di servizi, le per-sone sono state abbandonate. Le classi dirigenti non han-no saputo trovare soluzioni dignitose: troppe promessenon mantenute. Noi proviamo in tanti modi a fare operadi sensibilizzazione e pressione: lettere, colloqui, incon-tri». Ma don Nico Caminiti, direttore della Caritas dioce-sana di Messina, non vede ridursi le aree urbane affollateda costruzioni approssimative: «Ogni tanto l’occhio sco-pre un altro edificio fatiscente, tirato su per bisogno. Incittà il tasso di disoccupazione è altissimo, come quellodel lavoro nero e delle paghe basse. Molte persone perdo-no la speranza». E finiscono per rassegnarsi a quattro pa-reti e un tetto sconnessi, che è difficile chiamare casa.

di Pietro Gava

“FAVELA” ALL’ITALIANASGOMBERARE NON BASTA

Baraccopoli sotto casa.Capita, ormai, anche nelle nostrecittà. Insediamenti abusivi, che ospitano soprattutto immigrati, non sempre irregolari.Non ci sono dati, mail fenomeno appare in crescita.E le Caritas lo intercettano…

EX VULCANOEra il tempiodella siderurgia.Oggi l’area exFalck, a SestoS. Giovanni,ospita centinaiadi immigrati,specie rumeni

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baraccopolinazionale

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Voce pacata, coinciso ed essenziale. Poche pa-role, ma idee chiare. Antonio Tosi, professoreordinario di sociologia alla facoltà di architet-tura del Politecnico di Milano, si occupa dipolitiche abitative e di politiche sociali: cono-

sce bene i problemi generati dall’intreccio tra mancan-za di abitazione ed esclusione sociale. Ha messo gli oc-chi sul (ri)nascente fenomeno delle micro-baraccopolinelle nostre realtà metropolitane. Farà da consulente aCaritas Ambrosiana, nell’ambito di una ricerca sul feno-meno nell’area milanese.

Professore, da dove nasce il fenomeno delle nuovebaraccopoli? In termini generali a causa dell’assenza di alloggi a

prezzi bassi. La popolazione del-le baraccopoli è in modo preva-lente straniera, tanti immigratinon regolari e richiedenti asiloingiustamente non tutelati. Sitratta, come è ovvio, di gente im-possibilitata a pagare gli affittistratosferici che il mercato pre-senta. Se qualche immigrato rie-sce a permettersi un tetto, spes-so paga più di quanto dovrebbeper vivere in condizioni disagia-te, in appartamenti sovraffollati.

Quali sono le principali dif-ferenze rispetto alle baracche di 40 anni fa?L’Italia degli anni ’50 e ’60, nel periodo del boom econo-

mico, ha conosciuto una lunga stagione di migrazione in-terna. I cittadini del sud e delle campagne venete poverenon avevano il problema del permesso di soggiorno: viverein una baracca in periferia era una fase iniziale, che potevaconcludersi grazie a un rapido inserimento nel mondo dellavoro. Oggi è il terminale di un processo di emarginazione.

Si trovano ancora baracche di cartone e lamiera?Nella maggior parte dei casi, l’immigrato trova un po-

sto dove dormire in un edificio decadente, in una fabbri-ca fallita, in zone relativamente periferiche, soprattuttonelle città del Nord che crescendo hanno inglobato areeindustriali in disuso.

«Un tempo era il primo tetto,oggi sancisce l’emarginazione»

Questi fenomeni insediativi suggeriscono l’esisten-za di cicli di povertà?C’è un alta probabilità che la povertà abitativa e situa-

zioni di esclusione attraversino generazioni successive, sitrasmettano di padre in figlio. Questo fenomeno interes-sa anche cittadini italiani.

Le istituzioni sono preparate ad affrontare la situa-zione? Non so se sono preparate, ma non lo fanno. Ho l’im-

pressione che ritengano le baraccopoli una questione diordine pubblico da tenere sotto controllo, un problemafisiologico delle grandi città, slegato e non collegabile aserie politiche della casa e dell’immigrazione. A Milano sene occupa solo la polizia.

Quali interventi suggerisce?Da decenni nel nostro paesenon si effettuano massicci inter-venti di edilizia pubblica, oggiquasi completamente assenti.L’edilizia sociale potrebbe essereuna risposta: soggetti della so-cietà civile, realtà del volontaria-to e associazioni, sostenuti dallostato, potrebbero impegnarsinella costruzione di alloggi estrutture. Prezzi più bassi evite-rebbero a molti immigrati di es-sere “strozzati” da affitti stellari.

Esistono studi sul fenomeno delle baraccopoli?Non conosco nessuna ricerca sistematica in grado di

fornire numeri a livello nazionale, nemmeno in modoapprossimativo.

I mass-media quanto e come si occupano di chi vi-ve in condizioni abitative precarie?In rari casi mi è capitato di trovare analisi accurate

sull’argomento. Mi sembra si dia molto risalto a episodidi cronaca nera e agli sgomberi effettuati dalle forze del-l’ordine. E d’altronde chi vive in clandestinità non ha in-teresse a far parlar di se, non cerca occasioni per appa-rire: non credo sia contento di alimentare le credenzesulla sua pericolosità o rendere visibile la sua possibilesituazione di illegalità. (p. g.)

Intervista ad Antonio Tosi,esperto di politiche

abitative. «Negli anni del boom gli immigrati

interni lasciavano lebaracche grazie al lavoro.Oggi mancano interventi

di edilizia pubblica»

PRANZOIN CATAPECCHIA

Non è facile intercettaregli abitanti delle “favela”

delle nostre città.Le Caritas diocesane

provano a dare una mano

zioni più dignitose. In particolare i rumeni, da noi unnumero considerevole, hanno un turnover altissimo:difficile capire quanti siano, quanti partano. E tra lorosono presenti parecchi minori non accompagnati, arri-vati senza genitori, non di rado preda dei peggiori traffi-ci. Noi proviamo ad accoglierli nelle nostre strutture, mamolti preferiscono stare con i connazionali».

Niente case ai Bingo BongoLa città italiana nella quale, negli ultimi mesi, il fenomenoha assunto i contorni più inquietanti è forse Milano. Unarecente rilevazione del Servizio problemi del territoriodella Polizia locale ha stabilito che sono ben 162, nel soloterritorio comunale (e moltissimi sono quelli presenti neicomuni dell’hinterland), gli insediamenti abusivi, in mol-ti casi baraccopoli. Il documento dei vigili parla anche di30 aree “sanate” nel 2003: ovvero, altrettanti sgomberi.«Che però - avverte don Virginio Colmegna, direttore del-la Caritas Ambrosiana - non risolvono i problemi. Le ba-raccopoli abbattute rinascono dopo poche ore, magaripoche centinaia di metri più in là. Non le abitano solo ex-tracomunitari irregolari o clandestini, occupati in lavori“in nero” e taglieggiati dalla criminalità. Ci sono anche cit-tadini stranieri in possesso del permesso di soggiorno, chedurante il giorno svolgono un lavoro regolare, spesso nel-le nostre case come colf e badanti. E alla sera diventano“fantasmi”, rintanandosi in queste micro-favela urbane».

Ne va, insomma, della dignità di migliaia di persone.Oltre che della coesione sociale di intere aree urbane,dove i pur innegabili problemi di legalità non possonoessere affrontati solo secondo la logica dell’ordine pub-blico. «Bisogna sviluppare – avverte don Colmegna - unaseria capacità di progettazione, che tenga conto dellanecessità di fornire alloggi adeguati anche ai soggetti de-boli, e di connettere al lavoro degli extracomunitari abi-tazioni dignitose. Un impegno che riguarda tutti: istitu-zioni e società civile, ma anche il mondo delle imprese edel commercio».

Non a caso Caritas Ambrosiana è stata tra i soggettiche, nello scorso autunno, ha promosso un tavolo di con-fronto sulla questione, convocato dal prefetto, capace diradunare i più grandi imprenditori edili della città. Che sisono detti disposti ad agire, a patto di ricevere dalle pub-bliche amministrazioni un quadro di garanzie che legitti-mi gli interventi. Dai ranghi della politica si è levata unavoce molto chiara: «Niente case ai Bingo Bongo», hamandato a dire al prefetto il ministro Umberto Bossi. Poi,un paio di mesi dopo, la regione ha approvato il nuovo re-golamento per l’accesso all’edilizia residenziale agevola-ta, che indica come criterio prioritario non il bisogno abi-tativo, ma la residenza da cinque anni in Lombardia. Saràun caso, ma il tavolo prefettizio non ha più fatto passiavanti. Intanto le baraccopoli meneghine proliferano. Inattesa del prossimo sgombero.

Nel mondo quasi un miliardo di baraccati

Nell’ottobre 2003 le Nazioni Unite hanno lanciato il “Programma sulle comunitàumane”. Si tratta del primo rapporto che prende in esame il fenomeno dellebaraccopoli a livello planetario e ne valuta l’estensione. Il rapporto si sofferma in particolare sull’evoluzione del fenomeno nei paesi in via di sviluppo asiatici e africani, dalle aree rurali dei quali si è verificata una massiccia migrazione verso le aree metropolitane, anche europee e americane. Le Nazioni Unite ritengono che “una situazione così grave, se non governata, rappresenti la minaccia piùgrande alla stabilità mondiale”. «È una bomba a orologeria», ha dichiarato Naison Mutizwa-Mangiza, dirigente di Un-Habitat, il programma Onu sulle politicheinsediative. Lo studio afferma che:

l’Asia ha il numero più alto di abitanti di baraccopoli: 554 milioni;il 71% della popolazione dell’Africa sub-sahariana vive nei bassifondi delle città;nei paesi sviluppati 54 milioni di persone vivono in condizioni simili agli abitanti delle baraccopoli del sud del mondo;gli abitanti delle baraccopoli negli anni ’90 a livello planetario sono aumentati del 36%: oggi sono 923 milioni.

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baraccopolinazionale

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La foresta in minitura che prospera tra un grandehotel e alcuni palazzoni del quartiere di Bruzzano, peri-feria nord di Milano, nascondeva uno dei 162 insedia-menti abusivi censiti dai vigili meneghini. Pare che 70 sitrovino in aree private e 58 in aree pubbliche (gli altri 34in spazi di proprietà incerta); che 124 siano abitati daimmigrati stranieri e 25 da nomadi italiani o stranieri;che in totale ospitino almeno tremila persone.

La piccola foresta di Bruzzano è stata sgomberatagiusto a inizio marzo dalle forze dell’ordine. Un blitz al-l’alba, com’è consuetudine, per sradicare gli accampa-menti che ospitavano “russi” (immigrati dalle varie re-pubbliche ex sovietiche), rumeni e persone di altre na-zionalità. Dignitosissima per come era tenuta, masenz’acqua corrente («ce la passa il magazziniere di unafabbrica vicina, la trasportiamo nei barili»), solo cande-le e niente corrente elettrica («l’allacciamento pirata èun reato, noi non vogliamo guai»), anche la baracca diMarija, che lavorava come badante e che sosteneva diessere prossima alla regolarizzazione, adesso è cenere.Sorgeva vicino ai campi da tennis invasi dalle erbacce,non distante dal minuscolo, diroccato ex spogliatoioche Oleg aveva eletto a sua residenza. «Sono autista dicamion, dall’Ucraina ho guidato per tutta Europa - rac-contava l'uomo -. Perché sono venuto in Italia? Guardaquesto flacone di shampoo: costa due euro anche danoi. Solo che là guadagnavo 60 euro al mese».

Quattro cuori e una capanna. Perché l’Italia, vista da oriente, lucci-ca forte. Ma poi ti confina nel boschetto. Per tetto una lastra dieternit, per pareti assi di truciolato tenute insieme dal nastro ade-sivo. La baracca monolocale - tre metri per tre - aveva un cucini-no, poi due letti a una piazza e mezza separati da una tenda. Però

dentro regnava un ordine da maso altoatesino. C’era la mano di una don-na. Anzi, di due. «Viviamo qui da mesi - raccontava a luglio Marija, occhiazzurrissimi, da poliziotta ucraina -. Io e mio marito, più un’altra coppia.Facciamo di tutto per tenere in ordine, siamo gente civile. Se stiamo stret-ti? Beh, ci sono alloggi più spaziosi...».

Vasile nel VulcanoA scavare, negli anfratti della metropoli e del suo hin-terland, se ne scovano a decine, di favela come quelladi Bruzzano. Ognuna con i suoi tratti caratteristici, permodalità di insediamento, provenienza degli occupan-ti, catena migratoria che l’ha generata. Un’insegna ros-so stinto, solenne e appassita (“Acciaierie e ferrierelombarde Falck”) illustra per esempio il glorioso passa-to industriale e operaio di Sesto San Giovanni. Ai suoipiedi, nell’area ex Vulcano - ettari di capannoni dimes-si che diventeranno l’ennesimo centro direzionale ecommerciale - brulicano esseri umani mal vestiti, peg-gio alloggiati: centinaia di rumeni, la gran parte romdell’area di Ploesti.

Tra loro Vasile Campoesu. Che rom non è. Fasciato daun cappotto marrone e lacero, arriva dal Banato, pianu-ra ai confini con la Serbia. Età sui 40. Ha una moglie inRomania, tornata perché in Italia non trovava lavoro: luile telefona dalla cabina una volta alla settimana e lei glichiede soldi per curare il bambino più piccolo, che hauna malattia alla testa. Vasile abita una baracca di legnosotto una tangenziale: dentro c’è posto solo per il suo let-to e per quello dell’amico, che ci dorme con moglie e fi-glioletto. Intorno, pozzanghere rifiuti e topi. Vasile, per laverità, una casetta ha pure contribuito a costruirla: nelcentro di Cologno Monzese, era di un italiano che nell’e-state 2002 l’ha fatto lavorare gratis per un paio di mesi,promettendogli di regolarizzarlo, ma alla fine l’ha frega-to. E adesso Vasile se ne va, solo con la sua bicicletta, ver-so la metropolitana: una dozzina di fermate per mangia-re alla mensa dei francescani, in centro a Milano.

Provincia di CraiovaIn fondo in fondo, oltre il boschetto, al-l’ombra del capannone dello spedizionie-re, di fianco al magazzino che custodisce ifondali della Scala, ai bordi di un campocon vista sull’autostrada, dove l’ultima viadella città si fa prato e fango, prende formail miraggio: un villaggio della pianura ru-mena. In realtà una baraccopoli, al confinetra Milano e Pero: ma non priva di dignità,di raziocinio, persino di un certo fascino.Decine di casupole irregolari appoggiatel’una all’altra, un agglomerato di legno emetallo organizzato da una sorta di vialeinterno. Il villaggio, va da sé, farebbe inorri-dire i maniaci dell’igiene e gli angeli dellasicurezza. Ma le abitazioni sono costruitenon senza sapienza, sfruttando al meglio imateriali di risulta raccolti dagli uomini neicantieri dove lavorano. E il pennacchio divapore dai camini spiega che dentro alcu-ne case ansima una stufa. Un generatorealimenta, complice un’avventurosa ragna-tela di fili elettrici, le lampadine che illumi-nano le notti. E ci sono regole e turni perprocurare l’acqua e smaltire i rifiuti.

Anche qui, famiglie di rom rumeni.Tutti trapiantati da Segarcea e Salicuta,provincia di Craiova. E imparentati: il clanpredominante è quello dei Balteanu. Tra

gli abitanti, sostengono i capi, alcuni hanno fatto do-manda di asilo politico, altri sono clandestini ma lametà ha un permesso di lavoro. In molti devono aversfruttato la recente regolarizzazione: sono muratori,carpentieri, qualcuno cura il verde. I primi dicono diessere arrivati quattro anni fa: «E oggi siamo 120 uomi-ni», spiegano i portavoce. Lecito raddoppiare, conteg-giando donne e bambini.

«Questa gente - avverte la volontaria di un’associazio-ne che si occupa dell’integrazione scolastica dei piccoli -più che di aiuti materiali necessiterebbe di un’attenzionesociale costante. Chiede certezze sul fronte dei docu-menti e la possibilità di rimanere in Italia». È come se unascheggia dell’Altra Europa si fosse conficcata nel corpac-cione ipercinetico e distratto delle nostre metropoli. DueEurope: conviventi ma estranee. E finché una abiterà inbaracca, sarà difficile parlare di Casa comune.

di Paolo Brivio

Come si vive in una baraccopoli? Viaggio nelle “micro-favela” milanesi:catapecchie bifamiliari, capannoni brulicanti, un villaggio lungo l’A4…

Quattro cuori e una capanna,l’Altra Europa negli anfratti

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MILANO,ROMANIA

I vigili meneghinihanno stimato

in circa 160gli insediamentiabusivi in città.

E poi c’él’hinterland... Moltibaraccati arrivano

dall’Europa dell’Est

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dall’altro mondo

di Franco Pittau redazione “Dossier statistico sull’immigrazione”

REGOLARIZZARE? UN PALLIATIVOGLI INGRESSI VANNO CONCERTATI

introdurre una norma che consenta,a determinate condizioni, di converti-re i permessi di soggiorno di breve du-rata (turismo) in permessi di soggior-no per lavoro.

Romania al comandoQuanto all’ultimo provvedimento diregolarizzazione, ha visto avanzare,nel novembre 2002, ben 704 miladomande (la metà da badanti e colf,l’altra metà da lavoratori subordina-ti; quasi tre volte in più rispetto aquelle presentate nel 1998). All’ini-zio di febbraio 2004 circa 42 mila ri-sultavano aver avuto esito negativoe 636 mila esito positivo. In fase diistruttoria erano ancora 16 mila: sipuò ipotizzare che, alla fine, saranno650 mila i permessi di soggiornoconcessi ai lavoratori interessati.

L’impatto delle nuove regolarizza-zioni ha sensibilmente modificato lageografia delle presenze immigratein Italia. Da anni i gruppi di stranieripiù numerosi provenivano da Ma-rocco e Albania; ora il primato spetta

alla Romania, con poco meno di 240 mila presenze rego-lari (ai 96 mila soggiornanti in precedenza si sono aggiun-ti più di 140 mila regolarizzati). I marocchini sono diven-tati circa 227 mila, gli albanesi circa 224 mila. Al quarto po-sto l’Ucraina, con poco più di 120 mila persone (rispetto aicirca 14 mila soggiornanti in precedenza). Seguono Cina,Filippine, Polonia, Tunisia, Senegal ed Ecuador.

La “sanatoria” ha dunque notevolmente incrementatole presenze dall’Europa dell’Est; sensibile anche l’incre-mento di presenze dal subcontinente indiano e dall’Estre-mo oriente. In generale, la regolarizzazione ha anticipatogli esiti del processo di allargamento della Ue e lascia pre-sagire una continuità di flussi nel futuro.

Nell’arco di quasi venti anni l’Italia ha varato ben cinqueprovvedimenti di regolarizzazione, che hanno coinvolto avario titolo circa 1,5 milioni di stranieri. L’attuale situazio-

ne è il frutto di una politica improntata a un’irrealistica program-mazione dei flussi, caratterizzata da una sottostima dei lavorato-ri necessari. Il sistema delle quote previsto dalla legge quadrosull’immigrazione (286/98) può funzionare solo se i decreti chestabiliscono annualmente il numero di nuovi ingressi sono il ri-sultato di una vera concertazione tra governo, parti sociali e im-prenditori. Ma non sembra questa la strada seguita.

Nel 2004 le imprese italiane han-no dichiarato un fabbisogno di circa200 mila lavoratori (sistema di rileva-zione Excelsior): il governo ha rispo-sto con un decreto flussi che prevede79.500 permessi per lavoro, di cui so-lo 29.500 per lavoro stabile. A ciò bi-sogna aggiungere che l’attuale nor-mativa sull’ingresso e il soggiorno èparticolarmente restrittiva, poichéimperniata su limiti di reddito moltoalti e su uno scarso collegamento tradomanda e offerta di lavoro, mentrefamiglie e piccole aziende necessita-no di una conoscenza previa dellepersone da assumere. La gestione dei flussi attraverso fre-quenti provvedimenti di regolarizzazione, unita a un si-stema d’ingresso molto rigido, risulta poco funzionale almercato del lavoro e soprattutto non è in grado di garan-tire un corretto processo di inclusione sociale: costringemigliaia di lavoratori stranieri a vivere e lavorare per anniin situazione di irregolarità o semiclandestinità.

Oltre a insistere su un maggior realismo nella determi-nazione dei flussi e su una revisione delle condizioni perl’ingresso, è opportuno considerare la possibilità di preve-dere un permesso semestrale per la ricerca di un posto dilavoro, come è stato proposto dal Parlamento europeo al-la Commissione di Bruxelles. Inoltre sarebbe auspicabile

L’ultimaregolarizzazione

ha garantito il permessodi soggiorno a 650 mila

lavoratori stranieri.Ma la gestione dei flussi

di immigrazione resta inadeguata.

Il sistema di ingressoè troppo rigido.

Anche per le aziende

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giovani e volontariato

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nazionale

on la legge 64/2001 è cominciata, in Italia, una nuova stagione del servizio civile. Aun servizio in sostituzione di quello militare, legittimato per la prima volta dalla leg-ge 772/1972 e rinnovato con la legge 230/1998, si è affiancato un servizio civile vo-lontario, non sostitutivo ma alternativo al servizio militare come strumento di dife-sa della patria. Si è così avviato un servizio civile nazionale che - probabilmente dal1 gennaio 2005 - vedrà coinvolti non solo le ragazze o i ragazzi esonerati dal servi-zio militare, ma tutti i giovani tra i 18 e i 28 anni. L’entrata in vigore delle legge co-

stituzionale 3 del 2001, di riforma del Titolo V della Costituzione, pone inoltre anche il problemadi come si colloca un nuovo servizio civile regionale rispetto alle competenze di stato e regioni.

Un primo effetto delle riforme è il ridimensionamento del numero di giovani coinvolti. Nelperiodo del servizio civile sostitutivo della leva militare si era giunti a oltre 100 mila giovani al-l’anno; il nuovo servizio volontario ha interessato 8.000 (2002), 15.000 (2003) e interesserà37.800 (2004) giovani: oltre il 90% di loro sono ragazze.

CUna seconda conseguenza riguarda la necessità - per

gli enti - di rafforzare i legami con i mondi giovanili e coni mondi adulti in contatto con i giovani, superando uncerto atteggiamento di “attesa dell’arrivo dei giovani”. Laproposta del nuovo servizio civile dovrà entrare davveroin dialogo con i progetti e gli orientamenti dei giovani: glienti dovranno guardare più al prima (gli interessi, gli im-pegni di studio e di lavoro, le prospettive) e al dopo (inquali ambiti e in quale modo mettere a frutto le compe-tenze maturate nel corso del servizio civile? mantenen-do quale tipo di legame con l’ente?) e non solo occupar-si di ciò che avviene durante il servizio civile.

Dal popolare al globaleIl cambiamento in atto ha rilevanza nazionale, ma ne avràanche a livello regionale (nell’ottobre 2003 è stata pubbli-cata in Emilia Romagna la prima legge regionale in mate-ria). Va quindi sviluppato un “sistema di qualità” del servi-zio civile. Caritas Italiana, in quasi trent’anni, ha accumu-lato un ricco patrimonio di esperienze, in collaborazionecon oltre 190 Caritas diocesane: sono state gestite oltre100 mila esperienze di giovani in servizio. Considerando iprincipi fondamentali delle legge 64/2001 e le indicazioni

NUOVO SERVIZIO CIVILESEI “QUALITÀ” PER CRESCEREDal 2005 sarà una proposta per tutti i giovani: non sostitutiva del militare,ma alternativa. Gli enti dovranno pensare anche al “prima” e al “dopo”

I PRIMI TRE ANNIDI SERVIZIO CIVILE VOLONTARIO

2001 2002 2003Posti a bando 396 13.485 27.085Volontari avviati 179 5.191 17.930Progetti avviati 19 1.488 2.085Enti 1.368

RIPARTIZIONE GEOGRAFICA DEI VOLONTARI

2002 2003Nord 24% 22%Centro 23% 30%Sud 53% 48%

Fonte: Ufficio nazionale servizio civile

di Giancarlo Perego

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giovani e volontariatonazionale

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Se il disegno di legge sulla sospensione del serviziomilitare di leva sarà approvato in via definitiva(ora giace al Senato, cui è stato trasmesso dallaCamera il 7 novembre 2003), quest’anno potreb-be essere l’ultimo in cui, dopo decenni di storia di

difesa nonviolenta della Patria, saranno precettati obiet-tori di coscienza per espletare il servizio sostitutivo civile.Ultimo scaglione previsto: 2 dicembre 2004.

Si è riflettuto molto sull’impatto sociale - e per alcuniversi anche economico - che tale provvedimento potreb-be generare, in riferimento ai rilevanti benefici derivantidalla presenza degli obiettori nelle molteplici realtà delterzo settore sparse un po’ ovunque in Italia. Si tratta diuna preoccupazione solo in parte mitigata dall’avventodel Servizio civile nazionale (disciplinato dalla legge64/2001). E non è stata condotta un’adeguata riflessionesulla perdita culturale e valoriale che la scomparsa di unsistema di servizio civile correlato all’esercizio dell’obie-zione di coscienza potrebbe produrre nel nostro paese.

Accanto alla progressiva riduzione del numero diobiettori impiegati (nelle Caritas diocesane si è passati dacirca 4.000 unità verso la metà degli anni ’90 a 1.500 circanel 2003), si registra anche nel “sistema Caritas” una note-vole crescita sia del numero di volontari del servizio civile

Sfida per il “sistema Caritas”,al centro le ragioni della pace

sia del numero delle Caritas coinvolte. Nel primo anno disperimentazione i volontari impiegati sono stati 39, nel2002 ben 666, mentre nel 2003 sono stati selezionati 1.320volontari. Le regioni ecclesiastiche che hanno impiegato ilmaggior numero di volontari nelle Caritas diocesane sonostate, nel 2003, Sicilia, Campania, Puglia e Lombardia.

Ammortizzatore sociale improprio?Anche il futuro del neonato servizio civile nazionale ècondizionato da elementi d’incertezza, soprattutto finan-ziari: la sospensione del regime di obbligatorietà del servi-zio civile, infatti, costringerà lo stato a reperire risorse peril servizio volontario da canali differenti dagli attuali. Pro-prio le ristrettezze finanziarie, oltre al desiderio di garanti-re qualità rispetto a un fenomeno cresciuto in modo ab-norme e non sempre trasparente, hanno indotto l’Ufficionazionale per il servizio civile (Unsc) a regolare l’accessodegli enti che presentano progetti attraverso una proce-dura di accreditamento provvisorio (tanto faticosa quan-to complessa, se non proprio tortuosa), che di fatto intro-duce, nei bandi che saranno pubblicati nel secondo se-mestre dell’anno, una prima selezione dei soggetti chevorranno impiegare volontari in servizio civile.

Quanto alla Caritas, la richiesta di accreditamento ri-

guarda tutte le sedici Regioni ecclesiastiche: risultanocoinvolte circa il 71% delle diocesi italiane. Tranne in uncaso, la richiesta interessa oltre la metà delle Caritas dio-cesane di ciascuna regione. Sono soprattutto Emilia Ro-magna, Umbria, Calabria, Toscana e Lombardia ad averrichiesto, per oltre l’80% delle rispettive Caritas diocesane,l’accreditamento nell’albo provvisorio.

Rispetto a questi scenari, per molti versi ancora oscu-ri, c’è da chiedersi se il servizio civile potrà continuare aessere ancora un’esperienza di obiezione alla violenza e diservizio all’uomo. Sicuramente molto dipenderà dalla ca-pacità, da parte degli enti attualmente impegnati sul ver-sante del Servizio civile nazionale, di porre saldamente alcentro dell’esperienza del servizio le ragioni della pace edella nonviolenza, oltre a quelle – altrettanto importanti –

della solidarietà sociale. Semmai, proprio in relazione aquest’ultimo aspetto, sarebbe auspicabile evitare alcunetentazioni, che rischiano di trasformare l’istituto del servi-zio civile (giuridicamente e storicamente correlato all’arti-colo 52 della Costituzione) in una sorta di ammortizzato-re sociale e di tramutare i giovani volontari in una catego-ria sui generis di lavoratori socialmente utili.

Tali preoccupazioni stanno a cuore non solo a CaritasItaliana, che continua con rinnovata convinzione il pro-prio impegno nel campo dell’educazione dei giovani allapace, alla nonviolenza e alla mondialità, ma anche ad altriorganismi pastorali della Chiesa italiana con cui, tramite ilTavolo ecclesiale sul servizio civile, si sta conducendoun’importante riflessione. Necessaria a impiantare, nellastagione del nuovo servizio, la fedeltà ai vecchi valori.

di Raffaele Callia

Aumentano i volontari: nel 2003 oltre 1.300, soprattutto ragazze. Le Caritascoinvolte sono il 70%. Ma il servizio sarà ancora obiezione alla violenza?

VOLONTARIE SULLO STRETTOUn gruppo di giovani volontariein servizio civile su progetti dellaCaritas di Reggio Calabria in visitaal centro di aggregazione “Archi”

che la presidenza della Conferenza episcopale italiana haelaborato, rinnovando il “mandato” a Caritas Italiana dicoordinare il nuovo servizio civile, emerge la sottolineatu-ra di alcune “qualità” del nuovo servizio civile.1. Qualità popolare. Il nuovo servizio civile deve guarda-re a tutti i giovani, non solo a universitari e disoccupa-ti, costruendo percorsi differenziati. Nell’esperienzaCaritas non può mancare un’attenzione preferenzialeper i giovani in difficoltà: il servizio civile, in collabora-zione con le istituzioni, può diventare un’occasione di

alternativa alla pena o di recupero sociale.2. Qualità educativa. Il nuovo servizio civile è una grossa op-portunità educativa: come tirocinio dentro un percorsoscolastico o professionale; come forma di educazione allacittadinanza, alla pace, al volontariato, al rispetto dell’am-biente, a stili di vita rinnovati.3. Qualità alternativa. In sintonia con l’articolo 11 della Co-stituzione, il nuovo servizio civile è chiamato a sviluppareuna proposta alternativa alla difesa armata, anche trami-te percorsi di servizio civile all’estero, in paesi che vivono

il dramma della guerra o delle sue conseguenze.4. Qualità solidale. Non può mancare l’attenzione alla soli-darietà, in termini educativi ma anche nelle esperienzeconcrete, privilegiando forme di incontro con i poveri chevivono nel territorio.5. Qualità interculturale. Uno dei fenomeni contemporaneipiù significativi è la mobilità delle persone. Il nuovo servi-zio civile dovrà dunque sviluppare la qualità della inter-culturalità, cioè favorire l’incontro e il dialogo tra culturediverse. Purtroppo la legge nazionale non ha contempla-

to la possibilità, per i giovani stranieri regolarmente sog-giornanti nel nostro paese, di svolgere il servizio civile:può essere recuperata nella legislazione regionale (è statocosì in Emilia Romagna) o in alcune esperienze pilota nel-le Caritas diocesane.6. Qualità globale. Il nuovo servizio è chiamato non solo asviluppare esperienze all’estero, ma anche a costruireesperienze di educazione e formazione al commercioequo e solidale, a entrare in esperienze di sviluppo soste-nibile, di solidarietà e cooperazione internazionale.

GLI AMBITI DI ATTIVITÀRipartizione dei progetti di servizio civile avviati nel 2003

Assistenza 2.026Cultura ed educazione 1.277Ambiente e protezione civile 259Estero 55Altro 111Totale 3.728

Fonte: Ufficio nazionale servizio civile

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esclusione sociale

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giovani e volontariatonazionale

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Il servizio civile degli obiettori di coscienza sta datempo conoscendo una crisi di numeri, che di-pende, tra le altre cose, anche dalle decisioni as-sunte dal governo in materia di sospensione dellaleva obbligatoria. Diverse, invece, sono le sorti del

servizio civile nazionale, quello - per intenderci - che sipuò svolgere volontariamente per un anno. E del qualesono protagoniste soprattutto le ragazze (“arruolate”dalla legge 64 del 2001, insieme ai ragaz-zi inabili alla leva). Che questa nuova ti-pologia di volontari (da non confonderecon i volontari “puri”) sia in fase di cre-scita lo dimostrano i dati forniti recente-mente dall’Ufficio nazionale per il servi-zio civile, la struttura della Presidenzadel consiglio che gestisce il sistema delservizio civile nel nostro paese. Nei primitre anni di attuazione della legge, si è ve-rificato un aumento eccezionale dei po-sti inseriti nei bandi periodici emessidall’Ufficio: dai 396 del primo anno si èpassati ai 13.485 del 2002 e ai 27.085 del-l’anno scorso, anche se il tasso di coper-tura dei tali posti (cioè il numero effetti-vo dei volontari che hanno preso servizio) è passato dal45% del 2001 al 38% del 2002 al 66% dell’anno scorso.

Quanto alla provenienza geografica dei volontari inservizio civile nel 2003, la metà arriva dalle regioni delsud e dalle isole (Sicilia e Campania fanno la parte delleone); seguono le regioni del centro (Lazio in testa) e delnord (Piemonte ed Emilia Romagna in vantaggio). Dun-que l’Italia dei volontari appare esattamente ribaltata ri-spetto all’Italia degli obiettori, che erano molto più pre-senti al centro-nord.

Infine, gli ambiti di attività: il 52% delle sedi di attua-zione dei progetti avviati l’anno scorso appartengonoall’area “assistenza”, il 35% a quella culturale ed educa-

I volontari arrivano dal Sud:“Un’esperienza che fa maturare”

tiva, il 10% all’area ambientale e della protezione civile.

Tante luci, qualche ombraFin qui i dati. Ma la qualità del nuovo servizio civile? Percercare di rispondere a questa domanda, la FondazioneZancan di Padova ha monitorato un campione di giovaniche hanno svolto il servizio civile in risposta a due bandidel 2002: attraverso una serie di questionari ha cercato di

capire l’evoluzione dell’esperienza. Ne èemerso, anzitutto, che le motivazioni pri-marie della scelta sono due: la possibilitàdi crescita umana e la possibilità di vivereun’esperienza nuova. L’atteggiamentodelle famiglie dei volontari (il 92% degliintervistati) è stato nella grande maggio-ranza favorevole. La maggioranza dei vo-lontari ha percepito negli utenti un ap-prezzamento per il servizio svolto, mentresolo l’8% esprime un disagio iniziale. In-terrogati un anno dopo, cioè alla fine delservizio, l’88% dei giovani ha affermato dipercepire un’evidente utilità sociale delservizio, il 90% ha condiviso le finalità delprogetto nel quale è stato impegnato,

mentre il 97% ha ritenuto l’esperienza molto o abbastan-za utile per la propria crescita personale.

Non mancano, ovviamente, le ombre: “solo” il 55%dei giovani dichiara di essere stato utilizzato in modoadeguato e per il 60% i compiti affidati nello svolgimen-to del servizio non sempre sono stati chiari, mentre al-meno il 20% dei giovani non ha usufruito di alcuna op-portunità di formazione e tirocinio nel corso del servizio.

Si delinea, insomma, un panorama variegato, che vatenuto sotto costante vigilanza, per far sì che l’esperienzadel “nuovo” servizio civile sia veramente tale da “cambia-re la vita”, come recita lo spot promozionale. Quella del vo-lontario e quella di chi lo incontra.

di Diego Cipriani

I dati dei primi tre anni diffusi dall’Ufficio nazionale per il servizio civile.Una ricerca della Fondazione Zancan sonda le motivazioni dei volontari

politiche socialipolitiche sociali

il 10% hanno più di 65 anni (gliuomini over 65 sono il 6%).l’11,6% sono vedove (i vedovi so-no l’1,4%)il 7,9% sono divorziate (i divor-ziati sono il 3,3%)il 16% sono separate (i separatisono il 7,8%)il 31,4% sono disoccupate (con-tro il 16,2% degli uomini). Ledonne straniere disoccupate so-no il 29%: se consideriamo le dif-ficoltà che una straniera devesuperare per trovare un posto dilavoro, appare ancora più rile-vante l’incidenza della situazio-ne occupazionale sulla povertàdella donna italiana.In generale, le donne che si rivol-

gono ai Centri d’ascolto appaionopreoccupate della cura della casa edella famiglia e richiedono aiuti in de-naro per il pagamento di una bolletta,dell’affitto o delle spese sanitarie.I SENZA FISSA DIMORA. I senza fissa di-mora sono il 19,8% di chi si rivolge aiCentri d’ascolto; tra loro, chi vive insituazioni assai precarie (dormendo

database

IL DATO GENERALE. Durante il primosemestre 2003, i Centri d’ascolto to-scani hanno accolto 3.025 persone(il 78,8% stranieri, il 21,2% italiani).GLI STRANIERI. Le presenze straniererimandano a 62 nazionalità. Le primecinque nazioni a forte pressione mi-gratoria in Toscana sono Romania,Marocco, Albania, Perù, Ucraina. Inregione vi è una rilevante presenza distranieri irregolari, soprattutto ma-schi: su 2.385 stranieri che si sono ri-volti ai 13 Centri d’ascolto, il 58% erasenza permesso di soggiorno.LA FAMIGLIA. La famiglia è al centrodelle preoccupazioni della maggior parte delle personeche si rivolgono a un Centro d’ascolto. Le famiglie immi-grate, sempre più numerose anche grazie ai ricongiungi-menti familiari, sviluppano bisogni a vari livelli, necessi-tano di accedere ai servizi e alle istituzioni scolastiche,ma soprattutto esprimono la necessità di un alloggioadeguato. La famiglia italiana dimostra invece di nonriuscire più ad avere un reddito sufficiente e appare ingrado di provvedere al sostentamento dei propri com-ponenti in modo modesto.LE DONNE. Tra gli italiani, sono soprattutto le donne(53,7%) a rivolgersi ai centri d’ascolto:

UNA REGIONE AL MICROSCOPIOCHI È IL POVERO IN TOSCANA?

in strada, in stazione o in auto: i cosiddetti “senza allog-gio”) sono il 51,4%. Fra le sistemazioni d’alloggio usate dalrestante 48,6%, prevalgono case d’accoglienza, ostelli, ca-se abbandonate, baracche, roulotte o camper.I NOMADI. In Toscana i nomadi sono sempre più stanzia-li. Negli ultimi anni le loro comunità si sono avvicinatealla società: dipende soprattutto dalle politiche di inclu-sione sociale adottate dalle pubbliche amministrazionilocali oltre la logica del “campo”, che crea degrado emarginalità. Il rapporto approfondisce la questione deinomadi in Toscana, con interviste a figure professionaliche se ne occupano a Firenze, Pisa e Lucca.

Primo esempio di analisi della povertà in un ambito regionale

sulla base dei dati dei Centri d’ascolto

Caritas.Tremila utentiin sei mesi, quasi l’80%

sono stranieri.Donne, anche italiane,

in difficoltà.Più integrati i nomadi

di Cristiana Cioni

Un dossier sulle povertà. Ma non come tanti. È il primo tentativo dimettere a fuoco un contesto regionale, sulla base di dati di fonte Ca-ritas. Povertà e bisogni in Toscana è il titolo di un’analisi sociologica

curata dall’Osservatorio regionale Caritas, che ha fatto sintesi dei dati re-lativi alle persone rivoltesi a tredici Centri d’ascolto diocesani (Arezzo, Fi-renze, Livorno, Massa Marittima, Montepulciano, Pescia, Pisa, Pistoia, Pi-tigliano, Prato, Siena, Volterra). Il progetto di messa in rete di osservatorioe centri d’ascolto è stato denominato “Mirod”; l’Osservatorio regionaleCaritas ha analizzato i dati relativi al periodo gennaio-giugno 2003. Per ar-ricchire i fenomeni sociali emersi dall’analisi quantitativa, si è ricorsi an-che a sistemi di rilevazione qualitativa (storie di vita e interviste).

RECLUTAMENTO“Giovani capaci di futuro”: il manifesto di Caritas Italianainvita a un servizio che èun investimento sul domani

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chiesa e ambiente

SE VUOI LA PACEABBI CURA DEL CREATO

Come fare capire che la cura per l’ambiente costituisce oggi una parte integrante del-l’impegno di carità e di solidarietà, ovvero - come aveva felicemente affermato la se-conda Assemblea ecumenica di Graz (1997) - che la responsabilità per il creato deve es-sere “una dimensione essenziale della vita della Chiesa”? Già dieci anni prima di Grazl’enciclica Sollicitudo rei socialis (al numero 26) aveva descritto efficacemente la situa-zione attuale: “Contemporaneamente, nel mondo diviso e sconvolto da ogni tipo diconflitti, si fa strada la convinzione di una radicale interdipendenza e, per conseguen-

za, la necessità di una solidarietà che la assuma e traduca sul piano morale. Oggi forse più che in pas-sato, gli uomini si rendono conto di essere legati da un comune destino, da costruire insieme, se sivuole evitare la catastrofe per tutti. (…)Tra i segnali positivi del presente occorre registrare ancora lamaggiore consapevolezza dei limiti delle risorse disponibili, la necessità di rispettare l’integrità e iritmi della natura e di tenerne conto nella programmazione dello sviluppo, invece di sacrificarlo a

di Karl Golserpreside Studio teologico accademico Bressanone

soltanto come aiuto alle persone umane che soffrono osono indigenti: sarebbe una prospettiva di etica indivi-duale. La vera solidarietà esige piuttosto una prospettivaautenticamente sociale, che abbia una visione dell’inter-dipendenza tra le cose, che consideri le persone nelle lororelazioni con l’insieme del creato e che risalga alle causedello squilibrio odierno, che crea miseria e minaccia la so-pravvivenza della vita umana sulla terra.

Sotto l’aspetto teologico ciò significa che la dimensio-ne della creazione e la dimensione della redenzione devo-no essere considerate come due facce di una stessa me-daglia: tutto è stato creato per e in vista di Cristo nostroSalvatore, come recita in maniera sintetica l’inno nella let-tera ai Colossesi (Col 1, 12-20). Normalmente, il fedele cri-stiano corre il rischio di concentrarsi troppo sull’aspettodella redenzione, considerando dimensione essenzialedella sua fede soltanto la liturgia e l’annuncio della paroladivina (spesso interpretata in maniera spiritualistica). Eglidimentica invece la dimensione della diakonia, del servi-zio ai fratelli, o la riduce all’aspetto caritatevole del sovve-nire ai bisogni immediati, alla cura dei sintomi, senza an-dare alle radici delle miserie attuali. Anzi, negli ultimi de-

cenni assistiamo addirittura a un ripiegamento del cristia-no verso la ricerca spirituale o un ritiro nelle sacrestie.

Occorrerebbe invece recuperare la dimensione dellapredicazione del regno di Dio e la fiducia che parte dallamirabile azione del nostro Dio, Creatore e Redentore, cheha creato il tutto per amore e non abbandona il creato, cheha però posto nelle mani dell’uomo. La conseguenza silegge all’inizio della costituzione conciliare Gaudium etspes: “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degliuomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro chesoffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e leangosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuina-mente umano che non trovi eco nel loro cuore. (…) Perciòla comunità dei cristiani si sente realmente e intimamen-te solidale con il genere umano e con la sua storia”.

Il genere umano oggi si scopre più che mai in relazio-ne con tutto il creato e investito di una responsabilità sem-pre più grande, perché con le scoperte scientifiche e lepossibilità tecnologiche le sorti della terra sono messe ingran parte nelle mani dell’umanità. Ecco perché la re-sponsabilità per il creato, anche nella Chiesa, non deve piùessere una questione secondaria.

certe concezioni demagogiche dello stesso. É quella cheoggi va sotto il nome di preoccupazione ecologica”.

Il papa parla della radicale interdipendenza dei pro-blemi odierni e afferma che la solidarietà per l’uomo e perla sua vita minacciata deve considerare anche i limiti del-le risorse disponibili sulla terra, quindi l’impegno ecologi-co, comprendendo tutto nella prospettiva della pace.Questa interdipendenza è stata oggetto anche della rifles-sione teoretica di etica sociale e politica, la quale negli ul-timi decenni ha coniato i termini “sviluppo sostenibile” e“sostenibilità”. Questa riflessione indica che si deve viveree amministrare i beni della terra in modo che si mantengail sistema globale con la sua pluralità di forme e relazioni,per gli uomini di oggi ma anche per le generazioni future.

Una solidarietà socialeAlla prospettiva per l’avvenire si collega inoltre la prospet-tiva sociale, lo sguardo ai problemi del rapporto Nord-Sud.Uno sviluppo duraturo appare quindi possibile solo quan-do fin dall’inizio sono considerati come interdipendentigli ambiti dell’economia, dell’ecologia e anche della giu-stizia sociale, così come il mantenimento della pace.

Non è più possibile, allora, considerare la solidarietà

La questione ambientale? Deve essere parte essenziale della vita dellaChiesa. Lo sostiene un teologo tra i più attenti, in Italia, ai temi ecologici

QUESTIONE DI FATO?Effetti dell’alluvione a Sarno: le Caritas d’Italiaespressero forte solidarietà. Ma le emergenzenascono da un degrado, che va prevenuto

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Responsabili per l’ambiente,convegno a Campobasso

La Caritas Italiana nei suoi 33 anni di storia ha conosciuto le tribolazioni di popoli di tutti i continenti. E ha imparato che, anche quando siverificano catastrofi ambientali, alla base spessosi ritrova un accumularsi di ingiustizie sociali.Inoltre i modelli di sviluppo sovente sono fondatisulla violazione di un principio cardine dellaconvivenza umana: il diritto di tutti di accedere ai beni materiali e naturali, ai beni dell’ambiente.Beni che devono essere distribuiti in manieragiusta, ma soprattutto utilizzati secondo una logicache rispetti il ritmo del naturale rinnovamento dellerisorse. L’approccio della sostenibilità dellosviluppo non intende bloccare il progresso dellesocietà umane, ma vuole guidarlo nel rispetto dei vincoli dati dalla capacità di rigenerazione delle risorse e di assorbimento di rifiuti e inquinamento da parte dell’ambiente naturale.Le presenze e i progetti, in territori nazionali e internazionali segnati da eventi di emergenza,hanno suggerito alla Caritas alcune riflessioni a sostegno della prassi e alcune indicazionipedagogiche circa gli stili di vita da assumere,come singoli e come comunità ecclesiali e civili.Così, nel quadro delle attività di approfondimentodell’anno pastorale 2003-2004, Caritas Italianaorganizza a Campobasso tra il 23 e il 25 aprile ilconvegno “Responsabilità per l’ambiente: gesti diamore per il cielo e la terra”. Il convegno è rivoltoa direttori, operatori e animatori delle Caritasdiocesane e delle realtà collegate. Grazie alcontributo di importanti relatori, si propone svariatiobiettivi: proseguire una riflessione sul ruolo dellaCaritas nella cura per l’ambiente; delinearepercorsi proponibili alle Caritas diocesane e allechiese locali; approfondire il rapporto tra povertà,diritti umani fondamentali e responsabilità versol’ambiente; valorizzare le tante cose fatte interritorio nazionale e internazionale riguardo a temicome l’assistenza a rifugiati per cause ambientali,la carenza e la cattiva distribuzione dell’acqua, la vulnerabilità abitativa, il dissesto idrogeologico,il riciclaggio di rifiuti e scorie. (f.car.)

Un impressionante movimento di riflessione pa-storale, concentrato sui temi della giustizia,della pace e dell’integrità del creato. In AmericaLatina va maturando un nuovo modo di pensa-re e arricchire il ministero della carità nella

chiesa. Il presupposto è che la vita, in tutte le sue forme,esige liberazione; l’interdipendenza del pianeta esige l’in-tegrità della creazione. Le Caritas in America Latina sonopassate dall’assistenza alle vittime delle catastrofi natura-li alla promozione e allo sviluppo umano, incrociando iltema della prevenzione anche in campo ambientale, cru-ciale per sostenere i diritti di contadini e indigeni.

L’attenzione agli equilibri dell’ecosistema va dunquedi pari passo con la lotta alle cause che generano la po-

Il saccheggio di un continente,la Chiesa non vuole tacere

Scanzano libera dal nucleare,la Caritas guarda “oltre la protesta”

vertà e con la diffusione di una cultura di pace e nonvio-lenza. In occasione del Vertice sullo sviluppo sostenibiledi Johannesburg del 2002, il direttore del ProgrammaOnu per il Medio Ambiente (Pnuma) in America Latina,Ricardo Sánchez, ha constatato che la globalizzazionenon è stata benefica per la regione, trasformata nell’areadel pianeta con maggiori disuguaglianze e contraddi-stinta da un deterioramento permanente delle risorsenaturali. Il 75% della popolazione latinoamericana vivenelle città, ma 77 dei 220 milioni di poveri vivono nellezone rurali (sono il 64% della popolazione rurale lati-noamericana). Nella più grande megalopoli, Città delMessico, la gente prima di usare l’auto deve verificare laconcentrazione delle sostanze inquinanti nell’aria. L’usoirresponsabile delle sostanze chimiche nell’industriaagroalimentare ed estrattiva, l’irrorazione con insetticidie diserbanti dipingono un quadro assai minaccioso.

L’elenco degli attentati agli equilibrisocio-ambientali nel continente po-trebbe continuare a lungo. A comincia-re dall’estrazione di petrolio, che provo-ca diffusi danni ambientali e crea unaricchezza destinata, per buona parte, al-le casseforti di compagnie nordameri-cane. Lo stesso dicasi per l’estrazione di

di Guido Miglietta

In America Latina abuso delle risorse naturali e gravi squilibri socialisono legati in profondità. Alcuni episcopati hanno scelto di agire e parlare

Adistanza di cinque mesi dal dietrofront del gover-no, il caso Scanzano continua a fare scuola. E di-venta testimonianza di una chiesa capace di farsi

carico delle paure e delle attese della propria gente.Come si ricorderà, il piccolo centro lucano era stato

destinato dal governo, ai sensi del decreto legge 314, adaccogliere il sito unico nazionale per lo stoccaggio dellescorie radioattive made in Italy: oltre 80 mila metri cubi dirifiuti ad alta radioattività. Immediata e corale si levò laprotesta. Arrivare a Scanzano Jonico, a novembre, signifi-cava fare lo slalom tra picchetti, tende e falò. La mobilita-

zione fu spontanea, ma coinvolse associazioni ed enti lo-cali. E anche le aggregazioni ecclesiali. La Caritas dioce-sana di Matera si era organizzata per portare tende e co-perte, stabilendo contatti con i vari presìdi.

Tutto terminò con l’emendamento “salva-Scanzano”:il nome del paese lucano venne cancellato dal decreto. Mala vittoria del piccolo paese ha continuato a far discutere.Al World Social Forum di Bombay la vicenda di Scanzano«ha riscosso un vivo interesse – sostiene Saverio Manna-rella, rappresentante del Comitato antinucleare Matera -.Nel mondo ci sono problemi sicuramente più gravi. Ha

del sorprendente, però, la partecipazione attiva e pacificadell’intera popolazione». Tutti impegnati, dal ragazzinoaccovacciato sui binari di Metaponto, all’anziana strettanella sua coperta che presidiava la statale 106.

Il demone della rassegnazione«Quella compattezza della società civile, l’altissima di-gnità nella protesta, il sostegno profetico della comunitàecclesiale hanno fatto di un momento che poteva esseredi sconfitta un momento di altissima affermazione delleproprie radici, dell’amore alla propria terra e di rispettoresponsabile verso le nuove generazioni». Così monsi-gnor Agostino Superbo, presidente della Conferenza epi-scopale di Basilicata, ha esordito durante il seminario or-ganizzato a febbraio dalla Caritas sul tema “Scanzano, ol-tre la protesta”. «Occorre andare verso una nuova eticadella pubblica responsabilità – ha continuato -. La comu-

di Luca Iacovone

EFFETTOMITCHDevastazionedopo l’uragano.Nelle chieselatinoamericanesi parla a fondodi curadell’ambienteFR

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contrappunto

nità ecclesiale e i credenti non possono più chiudere gliocchi di fronte ai problemi urgenti del territorio e dellagente; non pretendiamo di prendere il posto di chi hacompetenze e responsabilità dirette, ma vogliamo essereuna comunità ecclesiale profetica, capace di annunciareciò che è più alto». Una chiesa, dunque, che sappia an-nunciare la speranza. «“Contro il demone della rassegna-zione, dalla rabbia alla speranza”: è stato il motto - ricor-da don Filippo, parroco di Scanzano - che ci ha accom-pagnato in quei giorni».

Quei giorni. Quando la parrocchia divenne punto diriferimento, quando si cementò un effettivo legame trapopolo, chiesa e istituzioni. Un’esperienza divenuta pun-to di partenza per la formazione di coscienze vigili controil senso di impotenza che spesso caratterizza il meridio-ne. «Oggi il disfattismo sembra di nuovo farsi strada - am-mette don Filippo-. Il nostro compito è andare oltre i

giorni della protesta, per non permettere al torpore di im-possessarsi di nuovo della nostra gente».

Fare tesoro dell’esperienza vissuta diventa l’obiettivoprincipe dell’azione pastorale. In questa prospettiva si in-serisce la scelta delle Caritas di Basilicata di dedicare unagiornata di studio al “dopo-Scanzano”. «L’idea del conve-gno - riepiloga Pietro Petrillo, delegato regionale Caritas -è nata anche dalla volontà di dare un contributo scienti-fico serio e pregnante al dibattito su un’importante scel-ta ambientale del nostro paese. Non ci vogliamo limitarealla difesa del nostro contesto territoriale, ma vogliamoessere capaci di proposte».

Anche attraverso la promozione di nuove iniziative, infuturo. Perché l’attenzione all’ambiente non può esserela semplice difesa del proprio recinto, scaricando suquelli circostanti le scorie dei propri stili di vita. Non sa-rebbe solidarietà, e tantomeno carità.

altre risorse pregiate, come l’oro. Le comunità indigenesono le prime a essere vittima di tali scempi.

Non va meglio nel settore della gestione delle acque.L’America Latina possiede le più grandi riserve di acquadolce del globo, ma anch’esse sono minacciate dallo sfrut-tamento delle imprese multinazionali. Così come accadealle foreste umide latinoamericane: contengono il 60% ditutti gli animali e di tutte le piante del pianeta, ma sonooggetto di sistematiche campagne di disboscamento.

Dono di Dio, diritto del popoloDi fronte a questo panorama desolante, le chiese e le Ca-ritas locali non restano inattive. In Bolivia partecipano al-le iniziative contro i disastri ambientali prodotti dall’estra-zione di petrolio. Sempre in Bolivia hanno sostenuto ilmovimento contro la selvaggia privatizzazione dell’acquapotabile. La deforestazione dell’Amazzonia è stata piùvolte denunciata da monsignor Geraldo Verdier, vescovodi Guajará Mirim. In Honduras un parroco, padre AndrésTamayo, insieme alla Caritas della diocesi di Olanchoconduce una serrata lotta nonviolenta contro l’indiscri-minata distruzione della foresta. E altri esempi di partci-pazione attiva si potrebbero fare, spesso sostenuti – attra-verso le Caritas locali – anche da Caritas italiana.

I teologi hanno contribuito alla riflessione sull’argo-

mento. Il brasiliano Leonardo Boff ha dedicato nel 1995alla questione ambientale il libro Ecologia: grido della ter-ra, grido dei poveri; altri si occupano della questione daanni. Non mancano però anche le prese di posizione uffi-ciale, condensate in rilevanti documenti ecclesiali e svi-luppate con molto anticipo sull’Europa. Nei documenti diPuebla, 25 anni fa, e di Santo Domingo, nel 1992 (impor-tanti assemblee delle chiese latinoamericane), già si par-lava di questione ambientale, così come nel Sinodo dellaChiesa in America, del 1997. Già nel 1987 i vescovi di San-to Domingo avevano pubblicato la lettera La relazionedell’uomo con la natura e avevano parlato di spiritualitàecologica e conservazione ambientale; nello stesso perio-do quelli del Sud andino, in Perù, mettevano l’ecologia afianco dei diritti umani nel documento La terra dono diDio, diritto del popolo. Gli esempi più recenti derivano dada due lettere pastorali (una sulla terra del 2000, l’altra sul-l’acqua del 2003) della Conferenza episcopale boliviana edalla campagna in favore della creazione della Caritas -Pastorale sociale del Messico (settembre 2001), sostenutadal documento Tutti siamo parte del problema: dobbiamoessere parte della soluzione. La responsabilità verso l’am-biente, insomma, non è più preoccupazione eccentrica.In America Latina è questione di sopravvivenza e giusti-zia. E la chiesa non può volgere lo sguardo altrove.

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si prendono o si perdono per una de-cisione presa o rinviata? Così la sceltaviene affidata al pallottoliere; e novevolte su dieci si finisce col differire.

La pratica sul tavolo…Non è, si badi, un’innovazione intro-dotta dall’attuale governo. Era un co-stume consolidato della prima re-pubblica, che si travasa senza intoppinella seconda. Una volta uno stagio-nato burocrate me lo tradusse in unamassima bruciante: «La pratica sultavolo matura e si risolve». Semmai,stupisce che un ceto politico che sipresenta come nuovo e diverso, e chepossiede strumenti d’intervento digran lunga più potenti di quelli di al-tre epoche e generazioni, sia indottoa rifugiarsi nella consuetudine deldecidere di non decidere, sia pureimprecando al perdurare di infiltra-zioni rallentatrici.

Così, per le pensioni, non è azzar-dato pronosticare che, manzoniana-mente procedendo “a sosterelle e fer-matine”, si arrivi alla scadenza del

2005, già fissata dalla legge e concertata a suo tempo coni sindacati per una verifica di fondo del sistema. E sarebbedopotutto un recupero di buon senso, dopo tanto sprecodi energie. Senza contare che nel frattempo sarà cambia-to il vertice della Confindustria, con un presumibile ridu-zione di quella pressione che più di una volta - si pensi al-l’articolo 18 - ha indotto l’esecutivo ad andare fuori tiro.

Quello delle pensioni è però solo un esempio. Altri sene possono fare, dalle riforme istituzionali al conflitto d’in-teressi alle questioni della giustizia. C’è sempre qualche ur-genza maggiore - ieri il semestre europeo, ora le elezioni,domani si vedrà - che consiglia di procrastinare i titoli inscadenza. È un arnese collaudato. Finché dura.

Difficile tradurre in parole l’impressione che si prova quandosi guarda alle cose della politica italiana uscendo dalla gab-bia della (sempre penultima) sceneggiata quotidiana. E tut-

tavia un tentativo va fatto, magari a proposito di un tema tantosentito quanto controverso: le pensioni. A proposito delle quali s’èappreso che il governo ha presentato finalmente gli emendamen-ti al testo che mesi addietro lo stesso governo, con lo stesso mini-stro, aveva sottoposto all’esame del parlamento. Gli esperti si af-fannano a spiegare le differenze tra il primo e il secondo episodio,con bagaglio di cifre, tabelle e scadenze. Ma il punto non è questo.

Tempo addietro il presidente delconsiglio in persona s’era affacciatoal balcone televisivo di ogni dimoraper dichiarare che quella riforma an-dava inderogabilmente fatta entro lafine dell’anno (scorso); in più annun-ciava una lettera personale a ogni fa-miglia con una spiegazione scrittadelle ragioni di tanta urgenza. Chepoi non abbia trovato modo di scri-verla sarebbe tuttavia comprensibilese fossero intervenuti fatto conclusi-vi. Che invece sono mancati.

Più che sui contenuti (pur discuti-bili) della nuova proposta, vale la pe-na di intrattenersi sulle due eventualità che avrebbero po-tuto giustificare una dilazione tanto in contrasto con l’ur-genza proclamata. Prima eventualità: il governo ha presotempo per ottenere sul “pacchetto” il consenso dei sinda-cati, i quali però sembrano orientati a protestare, fino allosciopero. Seconda eventualità: il governo ha preso tempoper ottenere il compatto sostegno della maggioranza, inmodo da blindare il provvedimento. Ma anche qui mancail conforto dei fatti.

In più, incombe l’incognita delle elezioni di giugno(europee e locali), gigantesco sondaggio che toglie il son-no a tutti i protagonisti. Valori, princìpi, opzioni inderoga-bili? Nei retrobottega operano i “convertitori”: quanti voti

PENSIONI? TRA POCO SI VOTA…SI AFFINA L’ARTE DEL RINVIO

chiesa e ambiente

di Domenico Rosati

Nuova proposta sulla riforma che

il premier in tv avevaannunciato comeinderogabile. Sarà

la volta buona? In realtàè il nuovo capitolo di un vecchio metodo.

Così si avvicina il 2005,data della verificafissata per legge…

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progetti > diritto alla saluteinternazionale

“Farsi prossimo” all’essere umano in quanto persona, figlio di Dio e soggetto di diritti e doveri, che si trova in situazione di bisogno soprattutto quando è minacciata la sua salute e il suo ”bene-essere” non è salvaguardato.Queste motivazioni sono alla base delle attività socio-sanitarie promosse da Caritas Italiana: un impegno da sempre prioritario nelle azioni di emergenza e neiprogrammi di sviluppo, a favore delle popolazioni più povere e delle fasce socialmente più deboli.

a cura dell’Area internazionale

[ ]PER LE MODALITÀ

DELLE OFFERTE,SI VEDA

A PAGINA 2

Promozione sanitaria a Dar NaimLa Mauritania è al 154° posto nella classifica 2003 dell’Indice di sviluppo umano (stilata dal Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo). La Caritas locale opera dal 1972 in seguito a una gravesiccità e ha concentrato nell’ambito sanitario le sue priorità d’intervento.Il progetto interessa Dar Naim, uno dei quartieri diseredati della capitaleNouakchott, per favorire l’autonomia di un dispensario e di tre centrisanitari a favore di 40.000 persone. Appositi comitati assicurano la formazione di responsabili, l’animazione comunitaria alla prevenzionee un sistema di mutualità che mira al recupero dei costi in base allacapacità contributiva dei beneficiari. Caritas Italiana sostiene da alcunianni questo progetto con risultati importanti in vista di una gradualeautosostenibilità.

> Costo 14.000 euro > Causale Mauritania

Assistenza ai malati del morbo di Hansen (lebbra)I malati di lebbra in Cina vivono in un generalizzato stato di abbandono, quasi ignorati dalle autorità locali. Il sostegno ai malati hanseniani da parte di Caritas Italiana è cominciato nel 2001, quando sono stati forniti al Centro di riabilitazione di Ya Xi, nella provincia di Canton, materiale sanitario, protesi e generi di primanecessità (vestiario, scarpe, stuoie, letti, materassi…), un’ambulanza per raggiungere una ventina di villaggie sostegno a programmi di educazione sanitaria. Quest’anno si intende ristrutturare la clinica del centro e farladiventare presidio ambulatoriale, dove svolgere medicazioni e interventi chirurgici. Si prevedono l’acquisto di attrezzature e la riabilitazione del vecchio edificio per ottenere una sala operatoria e una sala per la sterilizzazione, nonché l’ampliamento della farmacia. Il vicino ospedale fornirebbe il personale specializzato.

> Costo 17.412 euro > Causale Asia / Cina

Una “Alba nuova” contro le malattie tropicaliObiettivo principale del progetto è contribuire a migliorare la qualità di vita delle popolazioni contadine dei comuni di Ixiamas,Tumupasa, Re e Yucumo, tra i dipartimenti di La Paz e Beni nel Nord. Beneficiariasarà una popolazione di 5.000 persone, con indice di povertà dell'85%:adulti, donne e bambini potranno beneficiare di un programma di saluteintegrale e contro le malattie tropicali prevalenti (leishmaiosi), che prevedeanche lo sviluppo di un sistema di vigilanza epidemiologico comunitariaper il controllo delle malattie e il miglioramento dell’ecosistema.

> Durata 18 mesi > Costo 8.000 euro > Causale Bolivia

Una clinica per l’area rurale di KobboLa cittadina di Kobbo, circa 500 chilometri a nord della capitale Addis Abeba, ha 23.814 abitanti; nella regione di Wollo abitano 194.197 persone. Il progetto prevede la costruzione di una clinica, gestita dalle suore Orsoline in collaborazione con la Caritasdiocesana, su un terreno concesso dal governo.L’obiettivo è promuovere e migliorare la salute della comunità locale, attraverso la clinica e le attivitàdi clinica mobile nei villaggi circostanti: saranno visitate e assistite circa 10.000 persone e promosse attività di educazione sanitaria per 23.000 beneficiari; si terràsotto controllo il propagarsi di malattie infettivesomministrando vaccini e dando informazioni sullatrasmissione del virus dell’Aids; si offrirà un servizio di assistenza alle gestanti anche dopo il parto.

> Costo (costruzione, gestione e attività per tre anni) 125.000 euro> Causale Africa / Etiopia-Kobbo

Programma di medicina di base:formazione personale dei centri sanitariIl programma di Caritas Albania, con il contributo di consulenti medici e tecnici di Caritas Italiana, prevedeattività di coordinamento e formazione del personale dei 45 centri sanitari della chiesa albanese, inseriti nel sistema sanitario nazionale e in un programmadell’Organizzazione mondiale della sanità, oltre che aimedici locali che ne facciano richiesta. Il settore sanitariodi Caritas Albania ha un’èquipe di coordinamento cheorganizza incontri di formazione, con la partecipazione di autorevoli esperti universitari, per operatori sanitari,medici e infermiere albanesi. Questi ultimi devonocondurre attività di prevenzione sanitaria in base alleurgenze delle comunità locali (maternità, igiene personale,tossicodipendenze, ecc) brevi percorsi formativi su temispecifici condotti in varie località del paese.

> Costo 50.000 euro> Causale Albania

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l’Ue siamo a una media di 1,45 per donna); il numero dibambini nati fuori dei matrimoni continua a crescere; ilnumero di situazioni monoparentali continua a crescere.Insomma, è il concetto stesso di famiglia che sta mutando,pur in maniera differente da paese a paese, e le politichetentano di adattarsi alla realtà in mutamento.

Nonostante questo panorama variegato, il Rapportoevidenzia una notevole convergenza riguardo alle tipolo-gie di famiglie più bisognose. In tutti i paesi, sono poveri inuclei familiari composti da genitori soli, soprattutto don-ne; le famiglie con molti bambini; le famiglie con uno opiù membri in situazione di malattia cronica, disabilità,malattia mentale, tossicodipendenza, alcolismo; i profu-ghi in fase di rientro e, viceversa, emigranti e richiedentiasilo; i bassosalariati e i disoccupati (situazione che colpi-sce gravemente anche l’Italia).

Gli stati investono in protezione?A fronte di queste situazioni, quali politiche di sostegno al-la famiglia vengono proposte nel vecchio continente? Gio-vanni Paolo II nella Centesimus Annus parla dell’urgenza dipromuovere sia politiche di sostegno diretto alla famiglia,sia politiche sociali che tengano conto del ruolo fonda-

mentale della famiglia. Il diritto allaprotezione sociale ed economica del-la famiglia è sancito dalla Carta dei di-ritti fondamentali dell’Unione Euro-pea (recepita dal Trattato costituente),ma non sempre ciò che è riconosciu-to nei grandi trattati trova riscontronella quotidianità.

Gli stati investono nella famigliacome fattore di protezione sociale? Ilpanorama è variegato: alcuni sistemidi welfare sono basati sul principio“individualista” (gli individui e il lorobenessere personale sono la basedelle politiche sociali), altri su princi-

pi che riconoscono il contesto familiare come luogo natu-rale per lo sviluppo e il mantenimento del benessere indi-viduale. L’andamento generale vede diminuire il sostegnoalla famiglia in quanto tale, per limitarsi all’intervento suquelle in difficoltà, per contenere i costi del welfare.

Il rapporto di Caritas Europa non manca di indirizzarele proprie raccomandazioni sia ai governi nazionali, sia al-l’Unione Europa. Vengono chiesti, anzitutto, regimi fiscalipiù favorevoli per le famiglie, programmi per ridurre la di-soccupazione di lungo periodo, politiche di sostegno in

famiglia. Il principale valore del testo (80 pagine in ingle-se, con allegate brevi sintesi in otto lingue) consiste nel-l’abbinare un profondo radicamento nell’esperienzaquotidiana di servizio alle famiglie in difficoltà agli esiti diricerche e studi accademici d’elevato livello.

I primi tre,e molti poveriIl rapporto pone l‘accento sulla situazione delle famigliepiù povere in 42 paesi del continente. Partendo dalla con-vinzione che la povertà sia un fenomeno multi-dimensio-nale e con molte sfaccettature, basato certamente non so-lo sul reddito. La povertà può essere una situazione tem-poranea nella vita delle persone, dovuta a una malattia o aun periodo di disoccupazione, ma spesso si presenta intermini di cronicità. Una volta finite nella trappola dellapovertà, le famiglie hanno grandi difficoltà nel liberarsenee il circolo vizioso si riproduce attraverso le generazioni.Cattivi alloggi e precarie condizioni igienico-alimentari in-fluenzano la salute dei bambini e il loro percorso educati-vo e di apprendimento. La disoccupazione di lunga durataè terreno fertile per alcolismo e dipendenze, che a loro vol-ta conducono a situazioni di profondo degrado umano.

In vista della stesura del Rapporto, a tutte le Caritas na-zionali europee è stato chiesto diidentificare le tipologie delle famigliepiù in difficoltà e descriverne le situa-zioni; analizzare le forme di sostegnoda parte delle strutture pubbliche;formulare indicazioni per migliorarele politiche che incidono sulla situa-zione delle famiglie. L’orizzonte euro-peo è una realtà molto eterogenea, el’ambito sociale non fa eccezione. Sesi assume come indicatore l’Indice disviluppo umano codificato dal Pro-gramma di sviluppo delle NazioniUnite, si osserva che in Europa vi so-no i primi tre paesi al mondo (Norve-gia, Islanda e Svezia), molti paesi tra i primi venticinque,ma anche paesi molto poveri e arretrati, che occupano iposti oltre il centesimo, come Armenia e Moldavia.

La stessa comprensione del concetto di “famiglia” variada paese a paese. In Norvegia, per esempio, una personache vive da sola è qualificata come famiglia anche dal legi-slatore, mentre in altri paesi (come in Italia) la definizionedi famiglia resta legata al matrimonio, ad altri legami disangue e di parentela. Alcuni dati, in ogni caso: in Europail numero di bambini per famiglia continua a calare (nel-

La famiglia di Ramazi e Maya vive in Geor-gia, in una povera stanza nei pressi di uninceneritore. La famiglia di Hachick e Lucyvive in Turchia, in miseria, e deve affronta-re la drammatica situazione di un figlio di26 anni malato mentale grave. L’infimapensione dell’anziana Nina permette ap-

pena la sussistenza a lei, a sua figlia Svetlana, da tempoabbandonata dal marito, e ai piccoli nipotini alla perife-ria di Novgorod, in Russia. Quante sono le famiglie euro-pee in situazioni simili? Quale futuro si prospetta loro,che vivono d’espedienti quotidiani e dell’aiuto promossodalle Caritas dei rispettivi paesi?

Caritas Europa ha recentemente approfondito questitemi, riassumendoli nel secondo Rapporto sulla povertàin Europa, dal titolo Il bisogno di politiche orientate alla

rapporto caritas

EUROPA DELLE FAMIGLIE,POVERTÀ DIETRO L’ANGOLO

internazionale

Caritas ha presentatoil secondo Rapporto sulla povertà nel continente. Nei paesidiversi livelli di ricchezza:ma le famiglie indigenti hanno ovunque le stesse caratteristiche.Non è solo questione di reddito:decisive le politiche di welfare

di Roberto Rambaldi

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L’EUROPA CHE SI ARRANGIALe immagini di queste pagine sonotratte da una galleria di scatti cheaccompagna il Rapporto di CaritasEuropa, e che diventerà una mostra

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internazionalerapporto caritas

Quaranta progetti annui, il coinvolgimento di mol-ti volontari nelle attività a favore dei bisognosi, lastima della gerarchia ortodossa locale. CaritasGeorgia, diretta dal salesiano polacco padre Wi-told Szulczynski, è attiva ormai da dieci anni. Ed è

un osservatorio competente e privilegiato sui fenomeni dipovertà che affliggono la repubblica caucasica. «In Georgiala Caritas si preoccupa di progetti di sviluppo - afferma pa-dre Szulczynski -. Ma, ancor prima, non può ignorare lanecessità di interventi di emergenza, ispirati dai bisogni diuna società che versa in una grave crisi sociale. Ne sonoesempio i nostri cinque poliambulatori».

In Georgia il crollo del sistema sovietico ha comporta-to, tra le prime conseguenze negative, la mancanza di assi-stenza sanitaria pubblica. Una pensione di anzianità me-dia si aggira sui 17 lari (8 dollari), mentre il costo di un’eco-grafia oscilla fra i 15 e i 30 lari: prezzi impossibili per la mag-gior parte della popolazione, tanto più per gli anziani. Nelpoliambulatorio di Tbilisi (gli altri si trovano a Kutaisi, Vale,Neokreshi e Isabrava) lavorano tre dottoresse, un’infermie-ra, due dentisti, un aiutante, un autista: otto persone, di cuisoltanto una cattolica. «I nostri dipendenti - spiega il diret-tore - sono per la maggior parte ortodossi, a dimostrazioneche i cristiani in Georgia possono lavorare e convivere pa-

cificamente». Ogni giorno l’ambulatorio offre una quaran-tina di visite mediche gratuite e assicurata la distribuzionedi medicinali donati dall’ente tedesco Action Medeor; unmedico si sposta in auto per raggiungere gli ammalati e glianziani che non possono recarsi al poliambulatorio: «Mol-ti anziani non sono autosufficienti. Se non li curiamo noi,chi se ne prenderebbe carico?».

Una torta per l’ambasciatoreTramite i suoi servizi, Caritas Georgia cerca di far fronte an-che ad altri bisogni di base. A cominciare dalla sussistenzaalimentare. Padre Szulczynski considera il panificio di Tbi-lisi l’autentico fiore all’occhiello di Caritas Georgia: «È an-che un esempio di progetto di sviluppo: diamo lavoro acinquanta persone, quindi di che vivere a cinquanta fami-glie. Grazie all’associazione Shalom di Riva del Garda ab-biamo importato macchinari e tecnologia per la panifica-zione; poi alcuni ragazzi georgiani sono stati in Italia a im-parare il mestiere». Il risultato? «Oggi in tutta Tbilisi non sitrovano torte buone come le fanno i nostri pasticceri e leambasciate straniere vengono qui a comprare pane, grissi-ni e dolci». Un altro panificio, sempre di marca Caritas, im-piega trenta persone a Kutaisi, la seconda città del paese.

Dal panificio di Tbilisi escono anche le 400 pagnotte

di Lorenzo Fazzini

che ogni giorno riforniscono la mensa per i poveri dellacapitale. Sotto lo sguardo di un grande crocifisso, anzianedonne e uomini con le stimmate della povertà si metto-no in fila per ricevere il pasto: minestra, purè e la grandepagnotta. C’é anche chi prende una doppia razione perun amico che non può uscire di casa. «Dalle 12 alle 16 éun via vai di persone, soprattutto anziani. Quella donnaaccanto al termosifone – indica padre Witold - ha giàmangiato da un bel po’, ma non ha casa. Si ferma qui, do-ve trova un posto al caldo e persone con cui parlare». Ol-tre ai pasti per i clienti, la mensa prepara 250 porzioni peri bambini di strada ospitati in case di accoglienza appenafuori città. E per i ragazzi dei marciapiedi di Tbilisi é in co-struzione, proprio sopra la mensa, una nuova struttura diaccoglienza diurna e notturna.

La visita ad alcune strutture di Caritas Georgia permet-te di toccare con mano il frutto di anni di lavoro, aiuti e so-lidarietá da parte di molte persone, associazioni e chiesed’Occidente: «Riceviamo donazioni da molti benefattori -riconosce il direttore -. La Conferenza episcopale italiana,quella tedesca, amici di Trento, di Verona, la Caritas Italia-na e alcune diocesane, e molti altri benefattori...».

Ma il gran lavoro di Caritas Georgia non ha solo una va-lenza sociale. È anche un germe di dialogo ecumenico.«Quando nel 1993 partii per la Georgia con monsignor Go-bel, primo nunzio apostolico nel paese – ricorda padreSzulczynski - il papa ci disse: “Fate tutto affinché i cattolicidiventino buoni cattolici, e gli ortodossi buoni ortodossi.Mettetevi al servizio della gente”. Qualche tempo dopo ve-nimmo ricevuti dal patriarca Elia II e gli riferimmo le paro-le del Santo Padre. L’allora presidente Shevarnadze ci chie-se di impegnarci nell’aiuto verso i poveri». E come è anda-ta? «Lo scorso dicembre, appena prima di essere deposto,Shevarnadze mi ha consegnato, come direttore di CaritasGeorgia, un riconoscimento nazionale. Lo stesso Patriarca,ricevendo qualche mese fa una delegazione americana, hariconosciuto che noi aiutiamo le persone senza guardarealla loro confessione religiosa. Il nostro impegno a favoredei poveri è davvero un’occasione di fraternità».

ambito sanitario e educativo, particolare attenzione al fe-nomeno delle “madri sole”. Si legge, nelle conclusioni delRapporto: “La famiglia può essere luogo per escludere oper proteggere le persone più vulnerabili della società: èper questo che le politiche devono essere indirizzate allasituazione delle famiglie, assistendole con adeguate risor-se ed efficienti mezzi di sostegno”.

In una fase storica in cui l’opinione pubblica si chiedese la costruzione dell’Europa unita sia davvero una sfidaepocale o non piuttosto un peso da sopportare, in un pe-riodo in cui svolte importanti (il rinnovo del Parlamento

europeo, l’allargamento dell’Ue a dieci nuovi paesi, il fati-coso percorso del Trattato costituente) sono viste con so-spetto e diffidenza piuttosto che con entusiasmo e corag-gio, il Rapporto Caritas intende miscelare analisi e pro-spettive, denuncia e sollecitazione, riguardo a un tema-chiave per il nostro futuro di europei. A partire dall’espe-rienza concreta di centinaia di servizi che, giorno dopogiorno, sono resi attivi dalla competenza e dalla dedizionedi migliaia di operatori e volontari. Perché i bambini di Ra-mazi e Maya, di Hachick e Lucy, di Nina e Svetlana merita-no un futuro più equo del presente.

La Georgia dei bisogni estremie le pagnotte per il dialogoNel paese caucasico un mese di pensione media non paga un’ecografia.La Caritas locale aiuta i tanti poveri. E pratica l’ecumenismo dei fatti…

ECUMENISMOIN MENSAInternodi una famigliageorgiana.A fianco,distribuzionedei pasti nellamensa dei poveridi Tbilisi

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dell’Unione è sicuramente un’enor-me opportunità - dichiara in proposi-to John Monks, segretario generaleCes -. Le differenze di salari e standarddi vita tra l’Europa occidentale e le na-zioni che stanno per essere accoltesono però enormi. C’è il rischio che ilsistema economico internazionalecerchi di sfruttare e forse di rafforzarequeste differenze e che i governi nonabbiano in un prossimo futuro le ri-sorse necessarie da investire nell’areadella crescita professionale della forzalavoro, condannando così le loro eco-nomie a rimanere affossate nellatrappola del meccanismo basso sala-rio - bassa produttività». E ancora:«Siamo convinti che dovrebbero esse-re posti limiti alla concorrenza, che inun mercato libero è buona cosa, pur-ché sia indirizzata nella giusta direzio-ne. In particolare c’è la necessità di re-gole più forti sulla dimensione socialedell’Europa, così da escludere unaconcorrenza basata su salari bassi,orario di lavoro pesante e pericolosecondizioni di lavoro».

Un eguale segnale di allarme è stato recentementelanciato da Denis Vienot, alla guida di Caritas Europa. Siconferma dunque la necessità di approdare a una veraCostituzione, che recepisca in toto (come suggerito nel-la bozza stesa dalla Convenzione di Giscard d’Estaing)il testo della “Carta dei diritti fondamentali dell’Unio-ne” approvata a Nizza quattro anni fa. Tale documentotutela la dignità della vita umana, l’uguaglianza sostan-ziale fra persone, i diritti dei bambini, degli anziani edei disabili, vieta ogni forma di discriminazione, difen-de la libertà degli individui in un quadro di giustizia esolidarietà sociale. Principi sacrosanti, che devono di-ventare travi portanti della nuova Europa.

casa comune

Lo stallo politico in cui è caduta l’Unione europea dopo il falli-mento del summit di metà dicembre e la mancata approvazionedella Costituzione richiedono un “colpo di reni” da parte dei capi

di stato e di governo. L’Ue, che dal 1° maggio aprirà i confini ad altri die-ci paesi, si presenta a questo storico rendez vous senza una personalitàgiuridica riconoscibile, senza aver messo nero su bianco i valori, i gran-di obiettivi e le riforme necessarie per una “casa comune” che va da Li-sbona a Vilnius, dalla Finlandia a Malta: ciò dovrebbe indurre i leaderdei Venticinque a sedersi attorno a un tavolo e riprendere le trattative,per stendere quella magna charta che molte autorevoli vocicontinuano a invocare, a partire dalpresidente della Repubblica, CarloAzeglio Ciampi, e dal presidente delParlamento europeo, Pat Cox.

Ma le preoccupazioni si riversa-no anche sulla cosiddetta “Europasociale”. Il quadro economico e oc-cupazionale nell’Ue è tutt’altro cheroseo: la ripresa (quella vera, con lefabbriche a pieni giri, i posti di lavo-ro che si moltiplicano e i consumiche lievitano) tarda ad arrivare, glistandard di vita peggiorano, i nuovipoveri sono in aumento. Basti pen-sare che la Federazione europea deiBanchi alimentari denuncia la presenza di 30 milioni dipersone nei confini comunitari con insufficiente dispo-nibilità di cibo. E c’è da attendersi che l’imminente allar-gamento peggiori la situazione, dato che i paesi nuovi ar-rivati presentano dati macroeconomici e qualità della vi-ta ben lontani dalla media Ue.

Indirizzare la concorrenzaIn questo quadro la Ces, Confederazione europea dei sin-dacati, portavoce di 53 milioni di lavoratori del continente,ha tenuto il 2 e 3 aprile nelle piazze europee grandi mani-festazioni e iniziative simboliche per rimettere al centrodell’attenzione proprio l’Europa sociale. «L’allargamento

di Gianni Borsa

COSTITUZIONE CERCASIPER UNIONE CHE ARRANCA

Dal 1° maggiol’allargamento

a venticinque membri.Una ripresa che tarda

ad arrivare. Allarmantidisparità economiche

e salariali.L’Ue ha bisogno di una

magna charta, cheaffermi i fondamentali

diritti sociali

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internazionaleinternazionale

Un raggio di speranza si era acceso nel marzo 1996. Ovvero quando il parlamen-to aveva ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite sull’eliminazione delladiscriminazione nei confronti delle donne, che impegna gli stati a modificare imodelli di condotta sociali e culturali. Purtroppo, però, il governo sta fallendonel ridurre, almeno in parte, pregiudizi e discriminazioni. E in Pakistan, comein molti altri paesi del mondo, i diritti dell’altra metà del cielo continuano a es-sere calpestati. La denuncia di una situazione intollerabile è contenuta in una

recente ricerca di Caritas Pakistan. Che documenta come molte norme e atti amministrativi,anche locali, contribuiscono a procrastinare forme di discriminazione, anche in violazionedella costituzione pachistana. Amnesty International ha effettuato forti e ripetute denunce diuna situazione contro la quale si battono molti altri soggetti, anche locali (associazioni, orga-nizzazioni umanitarie, stampa, avvocati, ecc.), spesso oggetto di intimidazioni.

In Pakistan, all’inizio del terzo millennio, è ancorapreferita la nascita di un figlio maschio. Esistono diffe-renze fra regioni, fra aree rurali e aree urbane, ma in ge-nerale le donne vivono entro strutture patriarcali che ne-gano loro, fin da bambine, la possibilità di decisione per-sonale: sono sottoposte alla volontà del padre, dei fratel-li, dei parenti maschi e a un certo punto del marito (scel-to dalla famiglia di origine). Il carattere della donna vieneplasmato, fin dalla più tenera età, nel senso di una forteidentificazione con l’immagine materna; inevitabile,quindi, l’adattamento a un ruolo di sottomissione, obbe-dienza e rinuncia ai propri diritti.

Delitto d’onore, tradizione tribaleLa ricerca di Caritas Pakistan si sofferma su tre tradizionifondamentali, strettamente connesse fra loro, che “lega-no” inscindibilmente la vita della donna a quella dell’uo-mo, padre, fratello o marito. Anzitutto la sottomissione:nella cultura locale la donna è vista come strumento; l’uo-mo se ne sente proprietario e le impone il controllo con laviolenza, avvertendo ogni insubordinazione, vera o sup-posta, come ferita al suo onore di maschio. La donna sop-porta il controllo sul suo corpo, sulla sua parola e sul suocomportamento come parte del suo destino. Diffusissimi

pianeta donna

IL TEATRO CHE RISCATTAL’ALTRA METÀ DEL PAKISTAN

internazionale

di Antonella Battiato

Una ricerca Caritas denuncia il permanere, nel paese asiatico, di profonde discriminazioni.Sottomissione, proprietà, delitti d’onore: costumi arcaici,che in molti combattono.Anche su un palcoscenico…

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decidere le esecuzioni delle adultere e ad affidarle a uo-mini del posto. Dati certi confermano un incremento, ne-gli ultimi tempi, dei delitti d’onore: si è allargata la casisti-ca dei comportamenti femminili ritenuti lesivi, mentre icolpevoli delle esecuzioni raramente vengono puniti. L’o-nore, inoltre, prescinde dalla realtà: anche se è solo so-spettata di relazioni adulterine, la donna può essere colpi-ta, perché l’uomo è ferito nel suo onore da ciò che gli altripercepiscono, dal sospetto di infedeltà. Alla donna che sfi-da la volontà dei parenti non resta che impiccarsi o farsiuccidere, anche perché spesso nei tribunali la sua testi-monianza non ha peso. Le donne pachistane sono inse-guite da delitti d’onore fino all’estero, per confermare latradizione ed evitare sovvertimenti dell’ordine sociale.

Ma la donna pachistana può anche essere venduta,comprata, scambiata. Ad aggravare il quadro della condi-zione femminile nel paese, infatti, è il fenomeno dellatratta a scopo di sfruttamento e avviamento alla prostitu-zione, cui non si sottraggono i bambini.

Sul palcoscenico per i dirittiL’Islam non è l’unica variabile che spiega la condizionedelle donne in Pakistan. Anche se, soprattutto nelle sueforme più integraliste, rafforza le peggiori tradizioni triba-li. La speranza risiede nell’impegno di tanti gruppi, so-prattutto femminili, ong locali e internazionali, e in unacrescente attenzione dei media. Della questione si occupaanche Caritas Pakistan, che sta svolgendo un’accurata

analisi dei bisogni delle donne nelpaese per rafforzare progetti già incorso e individuare nuove piste di la-voro. L’azione Caritas si concretizzain iniziative di supporto legale, cam-pagne per i diritti delle donne, inter-venti di educazione e formazione.Fortemente sostenuta da diverse Ca-ritas del mondo, tra cui Caritas Italia-na, Caritas Pakistan si occupa deisoggetti più bisognosi ed emarginati,

senza trascurare i percorsi di tolleranza, pace e armonia.Anche i progetti non direttamente destinati alle donneprevedono un loro importante coinvolgimento. L’atten-zione assume a volte forme originali: gruppi di donne, neivillaggi, sono protagoniste di rappresentazioni teatrali cheportano all’attenzione delle comunità locali i temi dei di-ritti umani, della pace, dell’armonia fra i popoli. La lottacontro la discriminazione è tremendamente seria. Mapuò partire anche da un palcoscenico.

sono gli “incidenti” di cucina che tra-sformano le donne in torce viventi,bruciate con acido o kerosene. Vitti-me di violenze sono, secondo laCommissione dei diritti umani delpaese, circa l’80% delle donne.

Il tradizionale concetto di “pro-prietà” entra invece in gioco soprat-tutto nelle trattative di matrimonio.La donna non ha libertà di scelta eopinione; è la famiglia a esaminareeventuali eredità che la ragazza po-trebbe ricevere, il prezzo pagabile alpadre della sposa e altri possibili van-taggi. La mercificazione della donna sta anche alla basedel cosiddetto “denaro del sangue”: la donna può fare par-te del prezzo pagato per una pacificazione tra clan.

Tra le violenze, la più raccapricciante è il “delitto d’o-nore”. Si tratta di una tradizione pre-islamica, che riman-da a una pratica arcaica radicata nei costumi di società tri-bali, dove viene anche chiamata karo-kari (“donne e uo-mini adulteri”). Generalmente l’esecutore del delitto è unmaschio della famiglia, ma a volte sono i concili tribali a

Una chiesa minoritaria,ma non mancano i progetti

Come in altri paesi islamici, Caritas Pakistan è voce diuna chiesa minoritaria: meno di due milioni di cristiani(di tutte le denominazioni) su oltre 140 milioni diabitanti. Caritas Italiana partecipa ai seguenti progetti:MICROCREDITO: il programma ha dato ottimi risultatied è richiesto dalle sei Caritas diocesane delpaese. Avviato nel 2001, è esteso a decine dicooperative di donne e persone in difficoltà;“ARMONIA SOCIALE”: il progetto incoraggia laconvivenza delle minoranze religiose ed etniche.Prevede incontri in scuole, villaggi e quartiericittadini, per far superare incomprensioni e conflitti,che spesso assumono connotazioni religiose;AIUTO STRUTTURALE: i fondi sono principalmentedestinati a corsi di formazione e aggiornamentodegli operatori di Caritas Pakistan;RIFUGIATI AFGANI: nella fase più acuta della crisiafgana, un importante sostegno è stato dato perl’assistenza ai rifugiati in Pakistan.

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internazionale

Tahira Emanuel vive in una casetta di quattro stanze aFaisalabad, insieme alla mamma, vedova, e alla fa-miglia del fratello (che ha moglie e sei figli). Tahira ha

25 anni, è matricola universitaria, e vorrebbe proseguire isuoi studi, ma il fratello, di idee strettamente conservatrici,non le permette neppure di trovarsi un lavoro; si fatica per-sino a persuaderlo a lasciarla uscire di casa. Tuttavia Tahiranon ha rinfoderato la sua voglia di migliorare, e in segretoprepara un esame di belle arti;madre e sorella sono al corren-te dei suoi studi, ma nessunaosa dirlo al fratello.

La chance in cui Tahiraaveva sempre sperato si pre-senta sotto forma di una visi-ta da parte dell’animatoreCaritas, Shakeela, che la met-te in contatto con un Gruppofemminile di attività artigia-nale e ottiene dalla madre ilpermesso a farglielo frequen-tare. Ovviamente all’insaputadel fratello, che continua avoler tenere la giovane in ca-sa, dato che nel vicinato cir-colano drogati. Però Tahiracomincia a frequentare, e il Gruppo ad apprezzare l’abi-le lavoro di ricamo della giovane, come pure la sua faci-lità di eloquio e apprendimento.

Con il tempo, a Tahira viene affidato anche lavoro adomicilio. Ciò suscita le ire del fratello, che il Gruppo de-cide di affrontare: dopo molti incontri gli strappa un con-senso parziale a lasciar uscire Tahira per il lavoro, ma unnuovo ostacolo viene posto dagli zii paterni. Benché nonabitino con la famiglia, ne sono ufficialmente responsabi-li, e ne approfittano per esercitare un diritto di veto.

Ma Tahira non demorde. Inizia a tenere anche le-zioni per i bambini, tra le mura domestiche; la scuola

Tahira e Sammra: il coraggiodi cercare la propria strada

locale le offre un posto di insegnamento, che lei accet-ta, ma la famiglia si oppone di nuovo. Allora Tahira siallea con le cugine, le figlie degli zii conservatori, chespinge a unirsi al Gruppo. Ora nella famiglia ci sonodue fronti, e le ragazze cercano di convincere i paren-ti. Che alla fine devono cedere.

Oggi Tahira è presidente del Gruppo, guadagna da 300a 900 rupie per ogni capo ricamato, 50 rupie per ogni al-

lievo del suo centro scolastico.Manifesta grande riconoscen-za alla Caritas per averla inco-raggiata: in passato non ardivaaprire bocca di fronte al fratel-lo, ora prende la parola davan-ti alla comunità intera.

Si torna a scuolaSammra deve lasciare la scuo-la a 13 anni: le condizioni fa-miliari non le permettono dicontinuare. Poco dopo suopadre viene ucciso. Secondole tradizioni locali, la madre ècostretta a risposarsi, perprovvedere ai figli. La sfortunaperò si accanisce: gli affari del

nuovo marito in breve vanno a rotoli. La mamma alloralascia il secondo marito e fa trasloco; con le figlie si adat-ta a piccoli lavori domestici, per sopravvivere. Sammratenta la via del lavoro in fabbrica, ma viene scartata perla giovane età: anche per lei c’è solo la prospettiva del la-voro casalingo, che integra col lavoro di cucito.

Un giorno Asma, una operatrice Caritas, la trova in-tenta a confezionare abiti. Si prende a cuore il suo casoe inserisce Sammra in un programma scolastico per ra-gazzi costretti al lavoro precoce. Sammra vede così rea-lizzato il suo maggior desiderio: studierà, nella scuola diCaritas Pakistan, a Lahore.

Il fratello la rinchiudeva in casa, con il pretesto della sua sicurezza: mala ragazza ha studiato, e oggi dirige un’attività di artigianato e una scuola

IL FUTURO NELLE PROPRIE MANIUna giovane in un centro di formazione artigianaledi Caritas Pakistan. Il lavoro è una via diemancipazione, contro tradizioni oppressive

SENZA DIRITTISottomissione:il destino dimolte pachistane

pianeta donna

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microprogetti

Il mondo è dei piccoli (progetti). Perché gli interventi ampi, diffusi e costosi sono stra-tegia necessaria, in un panorama globale di grandi conflitti e ancor più grandi ingiu-stizie. Ma lo sviluppo dei popoli passa, nella quotidianità, attraverso scelte e iniziative“micro”. Che consentono a una comunità di emanciparsi, di soddisfare bisogni fonda-mentali, di investire in formazione, di creare lavoro, di diffondere sicurezza e benesse-

re. E richiedono un “innesco” intelligente: non tanto una spintarella o una stampella, piutto-sto la scintilla che accende il motore della speranza.

Caritas Italiana ha scelto da tre decenni la strategia delle “microrealizzazioni”. E non se nepente, anche in tempi di globalizzazione. L’aiuto ai contadini, agli artigiani, ai catechisti, alle fa-miglie, ai villaggi, alle parrocchie di tante comunità (spesso le più arretrate e dimenticate) neipaesi più poveri del mondo è come una rete dai nodi minuscoli, ma saldi e robusti. Rete che daqualche mese risponde a nuove priorità, ma non ha smarrito la vecchia logica: contribuire alla

realizzazione di opere di modesto impegno, con obiet-tivi limitati ma di effetto immediato, che possono favo-rire un reale, graduale auto-sviluppo dei soggetti bene-ficiari. Destinando la generosità delle comunità italiane(gli offerenti sono privati, parrocchie e diocesi) alla sod-disfazione di precisi bisogni, segnalati dalle Caritas o dairesponsabili ecclesiali e civili di un certo territorio, chediventano tramiti e garanti dell’operazione.

Linee guida per il futuroNuove priorità, si diceva. Dalla seconda metà del 2003,Caritas Italiana ha ulteriormente affinato i criteri e gliobiettivi a cui risponde l’erogazione delle “micro”. Anzi-tutto, ai paesi dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latinaraggiunti tradizionalmente vengono affiancati paesi intransizione e in via di sviluppo dell’Europa dell’Est e delMedio Oriente. In secondo luogo, si ribadisce con forza lanecessità di concentrarsi su microprogetti di promozioneumana, lasciando ad altre forme di intervento (o ad altrisoggetti) le iniziative nel campo pastorale e nei settoridell’emergenza, dell’assistenza senza sostenibilità a lun-go termine, della costruzione di edifici, della dotazione di

SCINTILLE DI FUTUROMICRO VUOL DIRE SVILUPPONuove priorità per i microprogetti di Caritas Italiana. Dal 2004 interventianche in Europa dell’Est e Medio Oriente. E si investirà su acqua e lavoro

a cura dell’Area Internazionale

mesi successivi alla proclamata finedel conflitto, hanno dovuto giustifica-re la loro scelta sforzandosi di ricollo-carla in una strategia di pace; giun-gendo a volte a prendere impegniconcreti e ad aumentare gli sforzi perla cooperazione e lo sviluppo.

I media, dopo che le pressioni deigoverni per ottenere legittimazione sisono allentate, sono stati più liberi dicavalcare le reazioni emotive deipubblici, generalmente orientate –almeno nel “dopoguerra” – verso lasolidarietà alle popolazioni civili e ladifesa dei diritti umani.

Le opinioni pubbliche, dopo i pic-chi di convergenza del febbraio-mar-zo 2003, sono tornate alla consuetaframmentazione; ma il mondo delleong e delle associazioni sembra averassorbito energie nuove durante imesi di mobilitazione generale. Persi-no il mondo accademico e quello del-la scuola stanno tentando di “capita-lizzare” il patrimonio di interesse e diimpegno alimentato dalle fasi culmi-nanti dei “conflitti illuminati”, con

nuovi percorsi formativi riferiti ai valori della cooperazio-ne, della pace e dello sviluppo. Sembra comunque troppopresto per capire se si tratti di un mutamento profondo ose sia la fase conclusiva di una presa di coscienza effimera.

Anche se la tendenza prevalente fosse fatta di negli-genze, cali di attenzione e chiusure localistiche, la molti-plicazione delle aree di crisi, accompagnata da dinamichecomplesse di interconnessione e riconfigurazione dellealleanze (Haiti è l’esempio più recente), sfida continua-mente la capacità di comprendere, spiegare e reagire ditutti gli attori coinvolti, destandoli dai consueti torpori au-toreferenziali. I prossimi mesi, con le loro scadenze ancheelettorali, saranno una verifica essenziale.

conflitti dimenticati

Il conflitto in Iraq - che ha attraversato nel marzo 2003 la fase dimassima intensità - ha portato a una ridefinizione delle relazionitra media, opinioni pubbliche e governi. Mai un governo aveva in-

vestito in modo così massiccio per assicurare al proprio racconto del-la guerra visibilità e legittimazione (si pensi alla mega sala stampa delPentagono in Qatar, o alla strategia dei giornalisti embedded). E in nes-sun altro scenario di guerra era mai accaduto che le nuove tecnologieoffrissero ai giornalisti una tale varietà di opportunità per la coperturainformativa, sia in termini di formati (diari on line, dirette via satellite,ecc.), sia in termini di frequenza e tempestività nella cronaca.

Sul fronte dell’opinione pubbli-ca, l’opposizione all’intervento mili-tare ha portato a forme di partecipa-zione attiva di massa, sostenute eamplificate dai media di tutto il glo-bo. L’opinione pubblica internazio-nale è riuscita a imporsi come nuo-vo attore sulla scena, dotato di inedi-te capacità organizzative e comuni-cative, grazie soprattutto a un com-petente utilizzo di internet.

La straordinaria mobilitazione ali-menta oggi un incalzante interrogati-vo: il divario di attenzione tra conflittidimenticati e conflitti costantemente“illuminati” si allarga o si restringe? Quando la tensione siallenta e le bandiere della pace sbiadiscono appese ai bal-coni, il senso di partecipazione e di responsabilità rispettoa “fatti lontani” si dissolve? Dopo mesi di attenzione globa-le ai temi della pace e della sicurezza delle popolazioni ci-vili, l’isolamento di chi è impegnato in aree di guerra emar-ginate e periferiche si riduce o resta elevato?

Capitalizzare la partecipazionePossiamo annotare alcune evidenze. I governi che hannopartecipato (e stanno partecipando) alla guerra in Iraq,nella maggior parte dei casi hanno agito senza il consensodella maggioranza dei cittadini che rappresentano. Nei

IL DIVARIO DELL’ATTENZIONEDOPO LA GUERRA “ILLUMINATA”di Pierluigi Boda

Un eccezionale sforzomediatico dei governi e una mobilitazioneglobale per la pace:un anno dopo l’Iraq

l’interesse per i “fatti lontani”

si va ampliando oriducendo? E chi opera

in scenari periferici è ancora più solo?

MICROPROGETTI 2003

TIPOLOGIE

A) Promozione educativa, formazione educatori, alfabetizzazione adulti 21 18 33 72 (12,4%)

B) Promozione umana e sociale 15 14 35 1 65 (11,2%)

C) Promozione sanitaria (sanità di base, formazione operatori,educazione sanitaria) 22 9 16 47 (8,1%)

D) Reperimento acqua per uso domestico, agricoltura, allevamento 50 9 89 148 (25,6%)

E) Promozione rurale, allevamento, piscicoltura,costituzione cooperative 44 20 17 81 (14%)

F) Promozione professionale, avviamento al lavoro, avvio attivitàproduttive e piccole cooperative 43 70 53 166 (28,7%)

TOTALE 195 140 243 1 579

CATEGORIE PRIORITARIE (D-E-F) 137 99 159 39570,3% 70,7% 65,4% 68,3%

AFRIC

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NUOVIMICROPROGETTIPer avereinformazioni, tel. 06 54192228

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(…) L’aiuto che hanno ricevuto i giovani imprenditori della cooperativa agricola “Padre Daniele” è stato immenso. Con l’uso della trituratrice è migliorata l’alimentazione delle mucche, introducendo l’uso della canna da zuccherotriturata. Di conseguenza è aumentata la produzione di latte per il fabbisogno di tante famiglie povere. L’usodella seminatrice è valso nella piantagione di granoturconella quale stanno lavorando nove nuovi cooperativisti;ragazzi che hanno terminato gli studi nella nostra scuola e ora hanno deciso di entrare nella cooperativa. (…)

dalla lettera a Caritas Italiana della Associaçao Novo Camino JuvenilSao lvador do Tocantins, Brasile, 29 gennaio 2004

(…) Ringrazio a nome dei giovani agricoltori e indigeni chehanno usufruito del progetto “Formazione leaders e agenti di pastorale a Solano”. (…) Abbiamo avuto molti problemi con la guerrilla, con los paramilitares, e anche con l’esercito,essendo la zona dove si è svolto il corso zona di alto rischio,ma tutto sommato ha proceduto molto bene (…) L’obiettivodel corso era offrire ai giovani delle suddette comunità unaformazione cristiana e umana, in sintonia con la dottrinasociale della Chiesa (…).

dalla lettera a Caritas Italiana del Vicariato apostolico di San Vicente Puerto Leguizamo,Solano, Bolivia, 28 gennaio 2004

(…) sono lieto di comunicare che la Scuola di apicoltura (…) è ben avviata. (…) Abbiamo costruito gli sciami e installato gli alveari. Abbiamo costruito l’apiario per la didattica e la produzione. (…) Il centro di formazione d’apicoltura è rivolto a giovani e disoccupati provenienti dalla zona ruralenei dintorni di Nairobi. Essi apprenderanno il mestiere di apicoltore particolarmente adatto al nostro ambiente. La scuola contribuirà così a diminuire le conseguenzedell’esodo dalle campagne verso la città, che alimenta la malavita. La disoccupazione rurale rappresenta infatti un serbatoio per il banditismo (…).

dalla lettera a Caritas Italiana del responsabile delprogetto “Apisafari”, Uthiru, Kenya, 27 dicembre 2003

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autovetture o veicoli. In particolare, è stato stabilito cheverranno privilegiati gli interventi che hanno a che farecon l’acqua anche in ambito agricolo (per garantire il di-ritto alla vita a intere comunità) e con l’avvio di coopera-tive sociali di produzione e lavoro; tendenzialmente, siprovvederà a finanziare il 50% delle micro nell’ambito“acqua” e il 25% nell’ambito “produttivo”.

Le nuove linee-guida di Caritas Italiana ribadisconopoi che tra i richiedenti verrà attribuita priorità a sog-getti delle chiese locali (comprese le presenze missiona-rie) e della società civile organizzata; in entrambi i casi,si richiede l’approvazione del vescovo locale (che spes-so finisce per diventare, così come accade alle Caritasnazionali, responsabile legale dell’intervento). Quantoalla dimensione economica, si sottolinea che l’importomedio di un microprogetto è di 5 mila euro; fondamen-tale è la capacità di corretta rendicontazione riguardoall’impiego del finanziamento, anche per ragioni di tra-sparenza nei confronti del donatore.

Le nuove linee-guida intendono rendere ancora piùmirato ed efficace un sistema di erogazioni già molto col-laudato. Nel 2003 Caritas Italiana ha infatti realizzato 579microprogetti a sostegno delle chiese locali di 47 paesi invia di sviluppo, per un importo complessivo di 2.060.753euro. Anticipando le nuove priorità, grande attenzione èstata attribuita agli interventi formativi, generatori di au-to-sviluppo, che hanno dato incentivo all’artigianato lo-cale e alla costituzione di piccole cooperative rurali, di al-levamento e di pesca. Sono stati altresì considerati priori-tari i programmi che favoriscono l’approvvigionamentodi acqua per uso domestico, irrigazione e allevamento.Gocce in un mare di bisogni, se si vuole. Però capaci di farfiorire i piccoli terreni su cui cadono.

internazionalemicroprogetti

sh, Cambogia, ai vertici della produ-zione mondiale, i cui produttori nonsono aiutati e non si sognano nean-che una piccola pubblicità, mentre lepopolazioni locali sono costrette amangiare solo riso. A quintali.

La frontiera di “Terminator”Il ragionamento vale anche per altrialimenti di base, dal grano al mais allatte. Le regole del commercio favo-riscono l’insicurezza alimentare. Ilriso è l’alimento di base per quasi tremiliardi di persone, ma i migliora-menti nella sua produzione nei pae-si poveri non sono andati di paripasso con l’aumento dei sussidi neipaesi ricchi. Secondo la Fao, la metàdelle 840 milioni di persone che sof-frono la fame vive in paesi totalmen-te dipendenti dalla produzione di ri-so. Ciò che manca è il trasferimentodi tecnologia dal nord al sud; neipaesi poveri si perde quasi il 20%della produzione per la mancanza di

silos ed essicatoi. Ma i miglioramenti nella produzione enello stoccaggio potrebbero danneggiare il commerciodei soliti noti. Così gli investimenti per lo sviluppo, indi-spensabili alla diversificazione alimentare e alla lotta al-la fame, non entrano nelle politiche agro-alimentari.

Piuttosto vi entrano quelli per la diffusione degli Ogm,che secondo alcuni migliorano le produzioni nel breveperiodo, ma creano dipendenze economiche ancora piùforti. È il caso delle cosiddette sementi “Terminator”, ge-neticamente modificate e rese sterili dopo il primo rac-colto. Sviluppati negli anni ‘90 in America, questi seminon possono essere riutilizzati se non in base a reagentichimici venduti dalla ditta che li produce. È l’ultima fron-tiera della dipendenza economica. Quella che renderàancora più precaria la sovranità alimentare.

Si chiama sovranità alimentare e sarebbe una cosa assai sem-plice: mettere in fila le strategie e le politiche agricole di ognipaese, con la finalità prioritaria di dare da mangiare alla gen-

te, farla star bene e insieme prevedere uno sviluppo rurale rispet-toso dell’ambiente. Vale per i paesi dove le pance si riempionosenza fatica, vale per quelli dove la fame miete migliaia di vittime.Perché la sovranità alimentare è questione planetaria, che riguar-da le riforme agrarie di ogni stato, il commercio mondiale e i gio-chi finanziari dietro al grande business del cibo.

L’Anno internazionale dedicatoal riso, promosso per il 2004 dallaFao, potrebbe essere l’occasione perriflettere su come i prodotti per l’ali-mentazione di base dei paesi più po-veri vengono sbaragliati, in buonaparte, dalle ricche politiche di dum-ping, dalla scellerata protezione deisussidi, dalla sperimentazione sugliorganismi geneticamente modificatiche creano spaventose dipendenzeeconomiche (senza contare i rischiper la salute). Insomma, in agricoltu-ra i processi dell’economia mondia-le, già normalmente non equi, fanno a pezzi la sovranitàalimentare e impediscono di debellare la fame.

I sussidi di Washington agli agricoltori americani, peresempio, rappresentano un danno gravissimo per i pro-duttori del sud del mondo: i farmer statunitensi arrivanoa vendere a un prezzo del 40% più basso dei costi di pro-duzione. Così chi vende a un prezzo equo, per reinvesti-re nella diversificazione alimentare e migliorare la dietadi interi popoli, finisce fuori mercato.

L’esempio del riso serve per capire. Gli Stati Uniti pro-ducono il 5% del riso mondiale, ma detengono una quo-ta di commercio pari al 13%. Il riso Usa è sostenuto daisussidi, così i produttori si possono permettere forti inve-stimenti pubblicitari e guadagnare di conseguenza. Nonavviene lo stesso in Birmania, Vietnam, Laos, Banglade-

di Alberto Bobbio

IL RISO SCHIAVO DEL COMMERCIO,IL CIBO È UN DIRITTO GARANTITO?

L’Anno internazionaledel riso, promosso

dalla Fao, è occasioneper riflettere sulla

sovranità alimentare.Politiche di sussidi

e interessi economicidel nord del mondo

condannanoall’insicurezza i paesi poveri

contrappunto

NUMERO E DISTRIBUZIONE “MICRO” 2003

CONTINENTE N° PAESI N° MICRO FONDI IMPIEGATI (€)

Africa 24 195 877.324 (42,57%)

America Latina 13 140 567.565 (27,54%)

Asia 9 243 610.864 (29,64%)

Oceania 1 1 5.000 (0,25%)

TOTALE 47 579 2.060.753

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agenda territori

“Nessuno è fuori luogo”,reti Rai contro i pregiudizi

La propostaServizi a favore dell’integrazione multietnica. Interviste a esperti,inchieste e approfondimenti (dai tre ai venti minuti) inseriti inalcuni dei più famosi programmi di intrattenimento e informazionedelle reti televisive e radiofoniche Rai, da Uno mattina a La vita in diretta, da Quelli che il calcio a Sereno Variabile, interessandoanche Rai News 24 e Televideo. La campagna di comunicazioneNessuno è fuori luogo, iniziata a metà marzo, si protrarrà sino a novembre: intende contrastare il pregiudizio e l’intolleranza che spesso circondano gli immigrati, mettendo a fuoco glistereotipi e le “cattive prassi” che proprio i canali dell’informazionee della comunicazione di massa contribuiscono ad affermare.

Il progettoNessuno è fuori luogo fa parte del progetto Etnequal SocialCommunication: finanziato nell’ambito dell’iniziativa Equal della Ue, vede impegnata (a fianco di Amnesty International,università “La Sapienza” di Roma, Federazione nazionale dellastampa, Galgano International e Rai) la Caritas diocesana diRoma. Etnequal ha avuto due fasi precedenti: una di ricerca, che ha approfondito e analizzato la rappresentazione mediatica del vissuto degli stranieri in Italia; la seconda di formazione,attraverso incontri e dibattiti, rivolta agli agenti di pubblicasicurezza e agli operatori della comunicazione (Ordini regionali dei giornalisti, circoli della stampa, scuole di giornalismo).

L’obiettivoCosa si propone di ottenere la campagna? «Sarebbe giàsignificativo - ha dichiarato Le Quyen Ngo Dinh, di Caritas Roma -riuscire a cambiare piccoli, ma significativi comportamentilinguistici. In Italia si usano termini poco rispettosi:extracomunitario, clandestino, irregolare, illegale. Cambiamolinguaggio, usiamo formule come “migranti”, oppure “cittadinostraniero”. In tv o alla radio si cominci a usare il “lei” invece del “tu”, quando ci si rivolge a persone straniere sconosciute. E si ricorra anche a formule come “signor” e “signora”: non è questione di formalismo, ma di rispetto».

sto in campagnaBELLUNO-FELTRE

Scuola elementareaperta in Albanianell’ex granaio

È stata aperta a Tale, nel distretto di Lezhe, la scuola elementarerealizzata grazie all’aiuto di CaritasFeltre. Ospita cinque classi e puòaccogliere 125 ragazzi, con cinquemaestri e un direttore scolastico. Nel 1999, in piena emergenzaKosovo, la Caritas feltrina acquistòun capannone, un tempo utilizzatocome granaio dell’ex regimecomunista, per accogliere i rifugiati.Terminata l’emergenza decise diriconvertire il capannone in scuolaelementare. I lavori iniziarono nel2000, ma per portarli a termine funecessario l’intervento del comunedi Feltre, che ha seguito il progettodal punto di vista amministrativo, e della regione Veneto, che hacontribuito alla spesa complessiva di 263 mila euro con unfinanziamento di 28 mila euro.

MILANO

Centro diurnoper senza dimoranell’ex mensa Fs

Dal metà febbraio è in funzione il nuovo centro diurno per senzadimora della Caritas Ambrosiana: hasede nell’ex mensa ferrovieri a duepassi dalla stazione di Rogoredo. Si tratta della prima struttura di Milano pensata come realtà a “bassa soglia” per l’accoglienzadegli homeless. L’iniziativa fa partedel progetto “Riconoscersi in città”,realizzato con i contributi della legge328 sulla riforma dei servizi sociali e cofinanziato dalle associazioni

promotrici, tra cui la stessa Caritase la cooperativa sociale “FarsiProssimo”. Il centro è aperto nell’exFerrhotel grazie a un comodato conFs: nei 350 metri quadrati dell’exmensa sono a disposizione degliospiti uno spazio lettura e unospazio dedicato al gioco. Saranno a breve attivati alcuni laboratori di informatica, ceramica e scritturacreativa. «Ci siamo ispirati a interventi simili sperimentati in Francia, Austria e Scozia, dove talicentri lavorano in rete con il pubblicoe il privato sociale - spiega CarloCimarosti, coordinatore del centro -.Accogliamo persone senza dimora,uomini e donne, anche stranieri,purché maggiorenni, inviati dai servizi pubblici o privati, oppure che si presentano spontaneamente. Il nostro obiettivo è offrire loro uno spazio di riferimento e di benessere».PER INFORMAZIONIwww.caritas.it

BOLZANO

Si amplia il servizioche dà consulenzaa uomini in difficoltà

Nel gennaio 2001 la Caritasdiocesana di Bolzano-Bressanone ha inaugurato, prima in Italia, un servizio di consulenza per uomini. Le richieste di accesso al serviziosono andate aumentando: così da febbraio le consulenze vengonoofferte anche a Bressanone e aMerano. E per gli uomini in difficoltàè stata aperta a Bolzano anche unacomunità-alloggio. Il servizio offre unaccompagnamento socio-pedagogicodegli utenti, che si rivolgono al centro perché il superamento

dei vecchi codici comportamentali e l’incertezza di fronte a nuovi ruoliprovoca spesso confusione,sbandamento, crollo dell’autostima.Al servizio di consulenza si rivolgonospecialmente uomini separati, cadutiin situazione di crisi e forte disagio,che si manifesta attraversa il ricorsoall’alcol, a forme di violenza o a tentativi di suicidio. Attualmente alconsultorio - realizzato dalla sezionetedesca della Caritas, secondo le indicazioni elaborate dal gruppo“Uomini per uomini“ - lavora un teamcomposto da pedagogisti,psicoterapeuti e da un avvocato.PER INFORMAZIONIwww.caritas.bz.it

VICENZA

Facilitare il dialogotra i coniugi:corso in diocesi

Ha avuto inizio il 1° marzo il percorso di formazione “Facilitatoridi dialogo” tra coppie in difficoltà. I coniugi che si separano sono il 25-30% di quelli che si sposano,ma il territorio vicentino presentadati al di sopra della medianazionale: la chiesa di Vicenzaritiene dunque fondamentaleintervenire là dove sorge la difficoltàdella relazione. Con un efficacesostegno, la coppia e la famigliapossono cogliere la natura della crisie attivare le adeguate risorse peroperare il cambiamento. Il corso è promosso dall’Ufficio diocesanoper il matrimonio e la famiglia, in collaborazione con la Caritas diVicenza. Dieci gli incontri, a cadenzasettimanale, ospitati nella sede dellaCaritas diocesana. «La Caritas -spiega il direttore, don Giovanni

Sandonà - offre alle famiglie in difficoltà aiuti economici e un accompagnamento che passaattraverso i servizi sociali. Nel 2003queste azioni sono aumentate del 23% e hanno costitituito il 66%degli interventi economici elargiti. La fragilità delle coppie è peròsoprattutto relazionale: per questomiriamo a creare facilitatori di dialogo in grado di ascoltare,sostenere e, quando è opportuno,orientare a un interventoterapeutico». La diocesi bericaintende inoltre avviare uno sportelloche offra momenti di spiritualità, un gruppo di auto e mutuo aiuto per genitori separati e risposati,infine un’attività di consulenzagiuridica, psicologica ed etica.PER INFORMAZIONIwww.caritas.vicenza.it

VITTORIO VENETO

Ciascuna foraniaprende in caricoun’opera-segno

La Caritas diocesana, sollecitata dal Piano pastorale della diocesi, ha proposto alle foranie di progettareo sostenere un’opera-segno nel territorio o nei paesi in via di sviluppo. Alcune Caritas foranialihanno già programmato iniziative: la forania di Conegliano si è attivataper una struttura di accoglienza incittà; quella di Sacile per il sostegnoa un’attività medica per personeanziane nella periferia di Abidjan, in Costa d’Avorio; la foraniaPontebbana contribuirà a costruireuna scuola materna in Benin, nelladiocesi di Natitingou. La diocesi si èimpegnata a sostenere progetti nelladiocesi di Kotor, in Montenegro.

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La fatica di “dare i numeri”,ma la Caritas prepara una rete

Il seminario“Aumenta l’inflazione”: un titolo lapidario, che suscita allarme e può innescare meccanismi perversi di autoavveramento. «In realtà in nessun altro paese c’è un’attesa così morbosa dei nostri dati sull’inflazione - ha spiegato Patrizia Cacioli,responsabile della Comunicazione Istat -: banalissimi aumentifisiologici scatenano vere e proprie psicosi».Non siamo abituati a una cultura dei numeri, spesso nonsappiamo leggerne il significato e il pressappochismo di moltigiornalisti ha una buona parte di responsabilità. È uno degliaspetti emersi dal seminario “Dare i numeri”, organizzato il 5 e 6marzo da Caritas Italiana. Una trentina di comunicatori di Caritasdiocesane, dal nord al sud dell’Italia (insieme alla responsabiledelle comunicazioni di Caritas Europa), si sono trovati di nuovoper un’ulteriore tappa del cammino di confronto e formazioneavviato lo scorso anno.È fondamentale dare e leggere i numeri in modo corretto, ma anche ricordare sempre che dietro i numeri ci sono persone.«L’attenzione alle persone e alle diversità è l’obiettivo di fondoche la Rai, almeno sulla carta, si è data», ha tenuto a evidenziare un altro ospite del convegno, Carlo Romeo,responsabile del Segretariato sociale Rai. Certo è che le tematiche sociali sono spesso relegate al marginedell’informazione e «hanno poca cittadinanza», come haconfermato Agnese Malatesta della redazione sociale dell’Ansa.

La prospettivaNello specifico delle Caritas (spesso sollecitate, anche dei media, a comunicare fornendo dati e analisi statistiche dialcuni fenomeni) è fondamentale il lavoro che si sta compiendoper collegare in rete i Centri di ascolto e gli Osservatori dellepovertà e delle risorse. Per Renato Marinaro, responsabile delServizio studi e documentazione di Caritas Italiana, «sono proprioquesti i luoghi dove incrociamo ogni giorno dati quantitativi, maanche storie di vita e aspetti qualitativi». E la sfida più difficileper chi nel mondo Caritas si occupa di comunicazione l’ha lanciata il direttore di Caritas Italiana, don Vittorio Nozza, a chiusura della due giorni: «Raccontare il più possibilel’ordinarietà in modo vivace, curioso - ma sempre rispettoso -,per costruire stili e modi di essere».

bachecaLa Caritas diocesana ha inoltre fatto il bilancio 2003 delle strutture diaccoglienza da essa gestite: intensal’attività nella casa “Provvidenza” perdonne in difficoltà di Vittorio Veneto;negli appartamenti di Motta di Livenza e Oderzo; nelle case diaccoglienza a Moriago della Battagliae Meschio di Vittorio Veneto;nell’ambulatorio di solidarietà per stranieri di Vittorio Veneto.

BOLOGNA

Molti i bolognesiche si rivolgonoal centro d’ascolto

È stato presentato il “RapportoCaritas 2003. Povertà a Bologna”,riflessione su come cambia la povertànel capoluogo a partire dai punti di osservazione Caritas. I bolognesiresidenti recatisi al centro di ascoltoper italiani nel 2003 sono stati 149(+50% rispetto al 2002) su un totaledi 606 persone. Quest’anno, grazie a un nuovo sistema di rilevazione deidati, è stato possibile anche tracciareun identikit delle persone che sirivolgono al Cda. Quasi il 18% ha un reddito, oltre il 17% ha come titolodi studio diploma o laurea, il 30% ha una casa di proprietà o in affittomentre il 43% è privo di abitazione. In maggioranza hanno tra i 35 e i 54anni (quasi 50%), il 25% ha meno di 34 anni, mentre gli ultra65ennisono solo il 5%. In gran parte si tratta di uomini, ma tra i residenti il 50%sono donne. Tra le richieste rivolte al Cda la grande maggioranzariguarda l’ascolto; poi vitto,segretariato sociale, beni materiali,lavoro, alloggio, sanità.PER INFORMAZIONIwww.comune.bologna.it/iperbole/cdboseg

POZZUOLI

Mangiare etnico:corsi con docenti“madrecucina”

Tre corsi di cultura e cucina etnicarivolti a italiani. Un progettoinnovativo della Caritas diocesana di Pozzuoli, in collaborazione con laCgil di Napoli, ha trovato l’appoggio della provincia di Napoli. Presentati a metà marzo, i corsi intendonomettere a confronto italiani e immigrati all’insegna della cultura e della gastronomia. L’iniziativa hacome obiettivo anche la formazioneprofessionale di soggetti chepossano inserirsi nel mercato dellavoro dell’area flegrea, dove sonoattivi importanti istituti alberghieri e una miriade di pub e ristoranti.Le lezioni teoriche e pratiche sonoorganizzate dalla Caritas e sitengono nel centro d’accoglienza“Ero forestiero” a Pozzuoli.Insegnanti, tutor e consulenti delsingolare esperimento sono tutti“doc”, cioè rigorosamente esperti“madrelingua” e “madrecucina”. Tra marzo e maggio, in particolare, si insegnerà a cucinare secondo le tradizioni gastronomiche di Palestina, Sri-Lanka e Russia.PER INFORMAZIONIwww.provincia.napoli.it (linkformazione) e www.segnideitempi.it

SAN SEVERO

Volontari cercansiper la nuovacasa d’accoglienza

La Caritas diocesana ha realizzatouna nuova casa di accoglienza e unamensa domenicale, pronte ad aprire i battenti. Con una lettera ai fedeli,

il vescovo di San Severo ha evidenziato che i due servizi “per funzionare bene hanno bisogno di persone che intendono esprimerein opere concrete la propria fede, o di persone che con gesti concreti di solidarietà e servizio intendonomanifestare i valori in cui credono.Superiamo una visione egoisticadella vita”. La Caritas è dunque allaricerca di volontari che rinfoltiscanol’èquipe dei due servizi, disposti a occuparsi di molte attività, dallapulizia dei servizi alla consulenzapsicologica, dalla presenza notturnaagli interventi di mediazione culturale.PER INFORMAZIONIwww.caritas.altervista.org

RAGUSA

“Sete d’Africa”,viaggio in immaginia scopo benefico

“Ai lettori auguro di essere turbati”.Il vescovo di Ragusa, monsignor

Paolo Urso,presenta cosìle 150 paginedi Seted’Africa, unapubblicazioneedita daImago, cheraccoglie le foto (una

di esse, qui a fianco) di FrancaSchininà, volontaria collegata allaCaritas diocesana di Ragusa. “Voltie scene di vita consegnati ai nostrisguardi. Silenzi che gridano. Se liascoltiamo saranno nostri persempre, tra gli scaffali dell’anima”:così viene presentato il viaggiofotografico nella realtà quotidianadell’Africa e in particolare

dell’Etiopia, attraverso 95 scatti in bianco e nero intervallati da brevima penetranti testi di padre AlexZanotelli, monsignor Mario Russotto,vescovo di Caltanissetta e illustrebiblista, Tonino Solarino, sindaco di Ragusa, Reto Florin, funzionarioFao, e fra’ Gianfranco Priori, delleMissioni estere Cappuccine. Un libro dalle molte anime, parte diun progetto più ampio, “Sorgente perla vita”, finalizzato alla raccolta difondi per la canalizzazione dell’acquanel Wolaita (Etiopia del Sud).PER INFORMAZIONICaritas Ragusa tel.0932.24.61.66www.caritasragusa.it

AGRIGENTO

“C’era una volta…”:progetti e attivitàoltre il manicomio

“C’era una volta… il manicomio”:l’iniziativa promossa dalla Caritasdiocesana di Agrigento ha coinvoltostudenti e operatori, disabili psichicie loro familiari. Obiettivo: realizzareun’accoglienza condivisa dei malatimentali, abbandonando la tradizionale segregazione. Tra le varie proposte avviate in diocesi, i percorsi formativi perragazze del servizio civile volontario,dei ragazzi volontari e degli obiettori,per intervenire con competenza sui casi di malati psichici che necessitano di cure e sostegno. Per gli stessi ammalati, inoltre, sonostate proposte attività di animazionenelle residenze sanitarie assistite o tramite gli interventi domiciliari. Tra i progetti della Caritas diocesanaanche la promozione di “opere-segno” a favore dei disabili psichicie delle loro famiglie.

di Ferruccio Ferrante

agenda territori

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villaggio globale

MUSICA

Storia e quotidiano:i “Ritratti”di Guccini,costruttore di ponti

Francesco Guccini: cantastorie senza tempo, inquieto montanarodell’Appennino tosco-emiliano

e attualissimonarratore di voltie sentieri di vita. Il suorecentissimoRitratti (EmiMusic Italy)

segue, oggi come in passato, il filoconduttore della memoria e dellacultura popolari; il misterioso fluiredel tempo; il senso personale e collettivo della storia; l’attenzioneai volti e agli aspri sentieri deidimenticati. Ritratti esce a quattroanni di distanza da Stagioni: proponenove “fotografie” di personaggientrati nella storia, per scelta o loromalgrado, o di situazioni cheripropongono accadimentiapparentemente banali. Le canzoni(Odysseus, Una canzone, Canzone per il Che, Piazza Alimonda, Vite,Cristoforo Colombo, Certo non sai, La ziatta (La Tieta), La tua libertà)evidenziano una cura quasimaniacale per i testi, mentrel’aspetto musicale è affidato alle“solite note e ai soliti accordi”,anche se talvolta arricchiti damelodie e ritmi mediterranei edetnici. Bello il commento di Guccini alnuovo album: «Abbiamo tutti bisogno,soprattutto noi che scriviamocanzoni, delle esistenze altrui». Il filo rosso dell’arte di Guccini è senz’altro contiguo alla suavocazione di insegnante di liceo e giovane giornalista: il cantautoreopera come un costruttore di ponti

tra passato, presente e futuro, comeun tessitore di legami fra giovani emeno giovani. Per averne una nuovaconferma, basterà partecipare a unodei concerti che si accinge a fare neiprossimi mesi. (fr. mel.)

COMUNICAZIONE

2003: Caritas Italianapresente 1.273 voltesui media nazionali

Un anno di comunicazione Caritasriassunto in cifre. La presenza di Caritas Italiana nella galassiadell’informazione si va facendo semprepiù intensa. L’Ufficio comunicazione ha registrato, nel 2003, ben 1.273presenze o passaggi su media adiffusione locale, tra ecclesiali (487presenze) e laici (786), considerandostampa e internet (1.037), nonchéradio e tv (236). Nel 2002 le presenzeavevano raggiunto quota 1.145, ma comprendevano anche gli spazidedicati alla Caritas dalle più importantitestate locali. Il sensibile incrementodel 2003 si deve alla grandeattenzione riservata dal sistemamediatico alle notizie o agli interventi di fonte Caritas in materia di immigrazione (364 presenze) ed emergenza Iraq (220); moltosignificativi anche i dati relativi alle emergenze internazionali (109) e al29° convegno nazionale Caritas (108).Si è parlato spesso di Caritas, però,anche in relazione ai terremoti in Italia(50), al servizio civile (39), a seminari e convegni (39), al tema della pace(38), alla ricerca sui conflitti dimenticati(32) e alla povertà (32). Nel corsodell’anno, l’Ufficio comunicazione della Caritas Italiana ha emesso inoltre 63 comunicati stampa, dedicatia temi nazionali e internazionali.

INTERNET

Peacereporter,giornale on lineper i diritti umani

Ad avere l’intuizione sono stati l’agenziagiornalistica Misna e l’organizzazioneumanitaria Emergency. Risultato: un giornale on line che vuole diffondereuna cultura di pace e di rispetto dei diritti umani. All’indirizzowww.peacereporter.it gli articoli dei collaboratori in redazione e dei corrispondenti da aree del nord e sud del mondo dove non arriva il giornalismo tradizionale. I collaboratorisono operatori di organizzazioni non governative, religiosi di ogni credo,personale diplomatico ed esponentidella società civile. Tra le rubriche più importanti: Mappamondo, schedeinformative sui singoli paesi; Conflitti in corso; Storie e reportage; Culture;Buone nuove, le notizie che rendono lavita quotidiana più dignitosa. Al progettoPeace Reporter si può collaborare investe di traduttori, giornalisti, fotografi.PER [email protected]

VIDEO

Progetto “Esodoc”:imparare a girareimmagini “sociali”

Le organizzazioni non governative hannosempre maggior bisogno di esperti perrealizzare documentari e presentazioniaudiovisive. Il progetto Esodoc nascecon la finalità di formare personalespecializzato nelle produzionimultimediali, che sia dotato di un’ampiacompetenza sociale. Il workshop

Sobrietà ed essenzialità, come da tradizione.

Ma più pagine. Più rubriche. Più colore.

Contenuti più incisivi.

Opinioni sempre più qualificate.

Dati sempre più capaci di sondare i fenomeni sociali.

Italia Caritas cambia volto

LEGGI LA SOLIDARIETÀ, SOSTIENI ITALIA CARITAS

Italia Caritas

le notizie che contanoPer ricevere il nuovo Italia Caritas per un annooccorre versare un contributo alle spese di realizzazione, che ammonti ad almeno 15 euro. A partire dalla data di ricevimento del contributo (causale “contributo ItaliaCaritas”) sarà inviata un’annualità del mensile.

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Per informazioniCaritas Italianaviale F. Baldelli 41, 00146 Romatel 06.54.19.21 - fax 06.54.10.300e-mail [email protected]

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europeo è sostenuto dal Media TrainingProgramme dell’Unione europea ed è promosso da Zelig, scuola didocumentario, televisione e nuovi mediacon sede a Bolzano. L’iniziativa constadi tre seminari di una settimana cheavranno luogo in Alto Adige dal 2 all’8maggio 2004, a Varsavia dal 4 al 10luglio e in Toscana dal 26 settembre al 2 ottobre. I 22 partecipanti ammessisvilupperanno progetti basati su tematiche sociali di interesseeuropeo. L’iscrizione costa mille europer partecipante e va inoltrata entroinizio aprile 2004.PER INFORMAZIONIZelig, tel 0471.97.79.30, oppurewww.esodoc.com

LIBRI

Diritto degli stranieri:analisi sistematica,è la prima in Italia

Un’analisi ponderosa e sistematica - la prima, in Italia - del Diritto deglistranieri (Cedam, Padova, 2004, costo110 euro). Il volume, curato da BrunoNascimbene, analizza in oltre 1.200pagine, grazie al contributo di numerosiautori, la condizione giuridica dellostraniero in Italia, attraverso un esameapprofondito della dottrina e dellagiurisprudenza. Diritto degli stranieritiene conto dell’evoluzione legislativafino alla cosiddetta legge Bossi-Fini,comprese le proposte di modifica e integrazione a quest’ultima. La pubblicazione si propone comestrumento utile sia per lo studio dei variprofili del diritto degli stranieri, sia per laconoscenza e applicazione pratica dellenorme in vari ambiti, dalla normativasugli ingressi a quella sul soggiorno,dall’ambito del lavoro a quelli dellasanità e dell’istruzione. Gli autori

Di questi tempi le fiction religiose ottengono ascolti stellari. Correte dietro alle mode per arrivare in prima serata?Tutt’altro. Don Mazzolari è ancora oggi, a 45 anni dalla sua morte (1890-1959), un prete scomodo. Si oppose al fascismo e fu precursore del pacifismo cristiano,schierandosi al fianco dei poveri e dei deboli. E soprattutto incarnava con la massimaintensità la “padanità”, caratteristica di un uomo che, nelle sue radici e nella suaesperienza contadina, trova modo di esprimere solidarietà e apertura universale nei confronti di tutti. Non certo chiusura, settarismo ed egoismo localistico.

Don Mazzolari è stato parroco per tutta la vita. Lei ha trascorsi in oratorio: cosa pensadelle potenzialità delle parrocchie nel tessuto sociale?Oggi si parla di società atomizzata, molecolare: sono venute meno tutte le appartenenze; non esistono più i quartieri, le fabbriche, i comuni destini. La parrocchia esprime ancora una capacità di condivisione di vite, di esperienze.Appartenere a una parrocchia, oggi, diventa più che mai un’adesione consapevole, la scelta di condividere la propria vita con un numero anche limitato di persone reali.

In che senso il suo film è un real movie?Anzitutto perché ho realizzato questa operazione utilizzando le immagini dei famosicinegiornali che si vedevano al cinema tra una proiezione e l’altra. E poi la sceltadegli interpreti: io prendo gente che viene dalla strada, sia attori professionisti, anchebravissimi ma non noti, sia centinaia di comparse e figuranti che rappresentano lecategorie sociali, culturali ed economiche a cui appartengono nella vita di tutti i giorni.

Un regista come lei fatica a trovare spazio in questa tv?Molto. È amaro doverlo constatare, ma ciò che sembra contraddistinguere le ultimestagioni televisive si discosta dal senso di un servizio pubblico. È un peccato che molti giovani non possano trovare il modo di fare cose alte, di qualità, perché c’è un’omologazione che rende il servizio pubblico troppo simile alle tv commerciali.Anche in senso televisivo, il mio don Mazzolari è un prete scomodo.

Squizzato: «Racconto don Mazzolari,prete scomodo nella realtà. E anche in tv»

a tu per tu

villaggio globale

Segnaliamo articoli interessanti e documentati di riviste nazionali,disponibili al Centro documentazione di Caritas Italiana.

Riccardo BarlaamAfrica, avanti pianoI dati dell’African Economic Outlook 2002-2003, preparato da Ocse(l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) e Banca africana di sviluppo, non lasciano molte speranze: nel 2002 la crescita del continente nero è stata inferiore al 3%. È la prima volta che accade dal 1995.Nigrizia, n. 11, novembre 2003, pagine 24-25

Sabrina MagnaniDonne imprenditrici, scelte di vitaLa donna si fa strada nell’imprenditoria. Con tutte le difficoltà cheda sempre caratterizzano l’impegno della donna lavoratrice, insiememoglie e madre. Ma non è solo questo a marcare la presenzafemminile nel sistema produttivo, e non esclusivamente italiano:“C'è un apporto diverso al modo di fare impresa. Essereimprenditrice donna, oltre alla faticosa composizione dei diversiruoli, qualifica l’essere imprenditore”. Questa, in sintesi, la letturaproposta dal seminario “Quando l’imprenditore è donna”, promossodall’Ufficio per i problemi sociali e il lavoro della Cei, e dalleUniversità Angelicum e Lateranense. Nel dossier, gli interventi di imprenditrici, docenti universitarie, sindacaliste e bibliste.Settimana, n. 41, 16 novembre 2003, da pagina 7

Nadio Delai (a cura di)Insieme contro i pregiudizi eper una migliore qualità di vita. DossierLa nuova condizione degli anziani richiede molto impegno per un reale cambiamento della cultura collettiva. Serve una visioneequilibrata, che non consideri gli over 60 categoria emarginata.50 & Più, n. 11/2003, pagine 59-66

Giovanni Ferrò (a cura di)Padre, perché non parli?In risposta alle provocazioni lanciate da un politologo, vescovi,teologi ed intellettuali cattolici dicono la loro sul delicato rapportotra Chiesa e politica oggi in Italia e sui temi del dibattito: il dilagare dell’illegalità, il muro contro muro nelle istituzioni, il contestato ruolo del nostro paese a livello internazionale, la “religione” del mercato; le concentrazioni nel campo dei massmedia. In tutto questo, la Chiesa resta a guardare?Jesus, n. 11, novembre 2003, pagine 53-67

scripta manent di Francesco Dragonetti di Danilo Angelelli

Real movie: la verità nascosta dentro la fiction. Situazioni e drammi reali raccontati con un linguaggio che“rifiuta i facili effetti dei sentimenti sfrontatamente esibiti”. Il regista Gilberto Squizzato nei primi anni ’90era nel progetto della “tv verità” dell’allora direttore di Rai Tre, Angelo Guglielmi, che indicava la piazza e lastrada come il vero teatro della vita: la telecamera doveva essere lo specchio in cui la gente rifletteva sestessa e su se stessa. Squizzato, con prodotti come I racconti di Quarto Oggiaro e Atlantis, continua nel suopercorso di ricerca e riflessione per «porre delle domande al pubblico, chiedergli che cosa farebbe al postodei miei personaggi». In questa primavera la sua tv dell’inquietudine morale sbarca nella prima serata di RaiTre con L’uomo dell’argine, film in due puntate dedicato a don Primo Mazzolari.

REGISTAVERITÀ

Sopra, GilbertoSquizzato:

ha esorditonel progetto di

“Tv verità” dell’exdirettore di Rai Tre,

Angelo Guglielmi.Sotto, due scene

del film per la tv sudon Primo Mazzolari

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pagine altre pagine di Francesco Meloni

villaggio globale di Gino & Milcheleritratto d’autore

(docenti universitari, ricercatori,avvocati, magistrati) si occupano da molti anni della materia; alcuni di loro nel 1990 hanno dato vitaall’Asgi, Associazione per gli studigiuridici sull’immigrazione. Il volume è corredato di un cd rom, che in oltre500 pagine raccoglie i testi integrali e aggiornati delle norme vigenti in Italia.

LIBRI

Cuneo e il carcere,per affermarei diritti dei deboli

Il carcere, collettore delle contraddizionidella società, continua a mostrare un volto di emergenza. Operatori del

settore, cappellanie volontari la chiamano“emergenzainfinita”. Le testimonianze,le vicende, gli approfondimenti

e le numerose tabelle contenute nellanuova edizione del volume Carcere e dignità della pena, pubblicato a curadella Caritas diocesana di Cuneo,vogliono rendere giustizia a coloro che,pur nella consapevolezza degli erroricompiuti, continuano a essere soggettiportatori di diritti. L’opera (95 pagine,contributo alle spese 3,50 euro, più spese di spedizione) ha l’ambizionedi “colpire al cuore” il lettore, per smuoverlo a gesti di condivisione,necessari oltre i segni di clemenza.Caritas Cuneo ha realizzato una casa di accoglienza per detenuti semiliberi:esperienza che viene illustrata nel libro,per ricordare che i diritti dei deboli non sono diritti deboli.PER [email protected]

GIUSEPPE, IL CARNEVALEE LE MANI DI UNO CHE NON RUBA

Il carnevale mi fa schifo. Di solito fa freddo, a Milano. Quand’ero piccolo mi sarebbepiaciuto vestirmi da cow boy o da indiano, come facevano i miei compagni delleelementari e invece i miei genitori ogni anno si mettevano in testa di inventarmi

Pierrot, la faccia bianca con tanto di lacrima pitturata a dovere. Diventavo triste, e cosìrestavo per tutto il sabato grasso. Da allora mi tediano le facce troppo bianche e i Pierrottroppo finti. Mi insospettiscono le lacrime di circostanza e mi annoia questa festa pagana,un tempo così autenticamente trasgressiva per chi soffriva tutto l’anno, oggi troppoallineata alle inutili forzature del gaudio per obbligo.Questo dico a Giuseppe che mi guarda e non capisce bene, penso.Dentro al bar-tabacchi della Grande Periferia Giuseppe sta finendo di bere un caffè lungo.Lo conosco da anni, di vista. È la prima volta che gli parlo, non so neppure da dove viene.«Carnevale in mio paese no festa importante. Da noi festa vera festa dei Girasoli, festa del Grano. Quelle lì, feste importanti, in mio paese. Violini, chitarre, danze...».Giuseppe di giorno lavora in un autolavaggio, la notte qualche volta fa il custode di un parcheggio sconfinato vicino alla metropolitana. È in pausa, può sedersi a parlare. Ha gli occhi grandi di chi ha mangiato per sopravvivere ed è sopravvissuto per vedere coseche un bambino sarebbe meglio di no. Un paese dell’Est. Mondi contadini ulteriormenteimpoveriti dall’avvento di un primordiale, inatteso, sregolato capitalismo.

Dovevo. Dovevo andare via, dice. Sono settimo di otto fratelli, la terra nonbastava, oggi basta ancora meno. Niente permesso di soggiorno, qui, non mel’hanno ancora dato. Eppure lavoro. Lavoro tanto. Nessuno si è mai lamentatodi me. Un giorno mi ha fermato la polizia. Ho detto che i documenti li avevolasciati a casa. Stavano portandomi via, gli ho fatto vedere le mani. Guardatele, non sono mani di uno che è qui a rubare. Mi hanno rilasciato.Mi fa vedere le dita segnate dai calli. Vedi? Questa è la zappa, questa è la vanga,sono cose che non si cancellano. Forse è giusto così. Qui da voi sto abbastanzabene. Alla domenica esco, vado con gli amici. Li chiamo, ci mettiamod’accordo. Si va in giro, qualche volta a ballare, a giocare a calcio. Ci mandiamo i messaggini per risparmiare.Mi mostra un vecchio cellulare.Ne ho spedito uno anche a casa, nuovo nuovo, così li posso sentire, ogni tanto.Quando ho telefonato per la prima volta a mia mamma mi fa: ma sei matto?Quanto l’hai pagato? Noi con i soldi che hai speso si campa tutta la famiglia un

mese... Comunque oggi niente maschere. Anche a me non piace il carnevale, amico. Un mio paesano fa il cameriere in Trentino. Sabato vado da lui a vedere la neve… nienteneve quest’anno a Milano. Ho bisogno di vedere la neve. Mi ricorda i nostri inverni. Vado a fare il turista – lo dice con ironia, mi pare –, ho lavato la giacca a vento, vogliosembrare uno di voi. Uno di voi, dice proprio così.Adesso l’ho messa ad asciugare, sembrerà nuova.Si alza. Esce nel freddo umido della periferia con il solo maglione. Milano se lo porta via, nell’anima. La nostra è una città difficile, ma quasi mai distratta.

Lavora all’autolavaggio.Fa il custode in un

parcheggio. È partitoperché al suo paesela terra non bastava.

Ha spedito a casaun cellulare.Vuol vedere

la neve e ha lavatola giacca a vento: «Persembrare uno di voi…»

Il commercio equo e solidalea una svolta: quale futurooltre “La crisi di crescita”?

Il commercio equo e solidale, con altre forme di “economialeggera” (consumo critico, bilanci di giustizia, turismoresponsabile, banche del tempo, microcredito, azionariato popolare

e finanza etica) è certamente uno dei fenomenipiù interessanti e capaci di generare speranza,rispetto a un sistema economico globale segnatoda tante iniquità e classificato “ad etica zero”.Il saggio La crisi di crescita. Le prospettive delcommercio equo e solidale (Feltrinelli, 2004,pagine 163), di Lorenzo Guadagnucci e FabioGavelli evidenzia però che il movimento si trova a un punto di svolta: superata la fase pioneristicae consolidate le strutture di base, si aprono i problemi di governo della crescita. Si tratta di accettare sfide nuove, senza perdere la spintaideale; di formare una nuova classe imprenditorialee nuove professionalità; di allargare la scelta

ai prodotti di massa e coinvolgere nuove aree geografiche.In questa prospettiva, il conflitto con il sistema economico e commerciale esistente è destinato a inasprirsi, o quantomeno a farsi più complesso. Un commercio equo e solidale deve avereuno sguardo proiettato sul futuro, precisando gli intrecci con i movimenti sociali diventati protagonisti della vita politica e culturale contemporanea, a livello nazionale ed europeo.Oggi in Europa i prodotti equo-solidali si trovano in 65 mila puntivendita; le “botteghe del mondo” europee sono almeno 2.700; nei paesi del sud del mondo i lavoratori coinvolti sono stimati fra gli 800 mila e il milione (una cifra che va però moltiplicata almenoper cinque, se consideriamo anche le rispettive famiglie).Osservando l’Italia, si scopre una rete di botteghe diffusa in tutto il paese (se ne contano 400), una presenza ormai capillare di alcuni prodotti nella grande distribuzione e alcune strutture“imprenditoriali” di tutto rispetto. Il principale importatore italiano,il consorzio Ctm-Altromercato (ormai una media impresa), contaoltre 130 soci (quasi tutte botteghe del mondo) e una vita internademocratica. Il commercio equo e solidale sembra quindi averraggiunto una dimensione significativa ed è in grado di proporre le sue sfide al mercato tradizionale, senza apparire velleitario.

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Auguri di Buona Pasqua

Superare la paura del buio non significa sfidare o precedere l’Alba,

ma lasciarsi incontrare da Essa per guardare “oltre”

ciò che gli occhi raccontano.

I lettori, utilizzando il c.c.p. allegato e specificandolo nella causale, possono contribuire ai costi di realizzazione,stampa e spedizione di Italia Caritas, come pure a progetti e interventi di solidarietà, con offerte da far pervenire a:

Caritas Italiana - c.c.p. 347013 - viale F. Baldelli, 41 - 00146 Roma - www.caritasitaliana.it