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LEZIONE 17- DIVERSI ASPETTI DELLA MEMORIA Parliamo di un’altra funzione superiore dell’encefalo, la memoria; l’altra volta abbiamo parlato del linguaggio adesso trattiamo di memoria, ma prima necessitiamo di un preambolo per capire a cosa serve la memoria, per capire in che modo viene creata, dove e quali sono i centri che si occupano di immagazzinare le info e di richiamarle alla memoria quando servono; vedrete che ci sono molte aree distribuite in tutta la corteccia, abbiamo visto l’altra volta che esistono aree unimodali associative, delle aree polimodali o multimodali, ecco dovete pensare adesso ancora alla dislocazione di queste aree con la loro funzione di fornire una via di comunicazione tra l’aspetto sensoriale e quello motorio e pensando a quelle aree adesso cerchiamo di integrare tutte le informazioni, per capire come queste vengono utilizzate anche per il linguaggio per esempio, se vogliamo esprimere un concetto dobbiamo ricordarci quelle parole che ci consentono di esprimerlo, dov’è che vengono immagazzinate queste informazioni? come vengono richiamate? proviamo a capirlo! Cominciamo parlando di comportamento, perché queste funzioni superiori dell’encefalo di cui stiamo parlando vanno a definire quello che poi è proprio il comportamento, intendendo con tale termine tutti quegli aspetti che la corteccia ci detta che ci consentono di mantenere quella che si chiama vita di relazione, cioè quella che ci permette di relazionarsi con l’esterno, ci permette di ricordare dettagli di ciò che ci circonda ed utilizzare queste informazioni dell’esterno per modificare la nostra postura, i nostri movimenti, etc… quindi la parola “comportamento“ comprende un’ampia gamma di funzioni che sono poi quelle superiori dell’encefalo. Ci sono due aspetti che influenzano il comportamento: i fattori genetici ereditari (di cui non parleremo) e altri fattori che sono quelli ambientali, cioè fattori con cui l’ambiente ci manda delle informazioni che noi usiamo e che modificano il comportamento andando proprio a mutare la risposta che il sistema motorio offre nei confronti di uno stimolo che arriva dall’ambiente, quindi abbiamo di nuovo l’aspetto sensoriale (che abbiamo visto), integrazione nelle aree associative (che stiamo vedendo ora) per poi dare una risposta motoria; per poter dare una risposta modificata di volta in volta, che è poi quello che genera il comportamento, dobbiamo basarci su due fenomeni che sono appunto fenomeni che avvengono a livello corticale cioè l’apprendimento e la memoria; l’apprendimento è l’acquisizione di informazioni che ci provengono dal mondo

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LEZIONE 17- DIVERSI ASPETTI DELLA MEMORIA

Parliamo di un’altra funzione superiore dell’encefalo, la memoria; l’altra volta abbiamo parlato del linguaggio adesso trattiamo di memoria, ma prima necessitiamo di un preambolo per capire a cosa serve la memoria, per capire in che modo viene creata, dove e quali sono i centri che si occupano di immagazzinare le info e di richiamarle alla memoria quando servono; vedrete che ci sono molte aree distribuite in tutta la corteccia, abbiamo visto l’altra volta che esistono aree unimodali associative, delle aree polimodali o multimodali, ecco dovete pensare adesso ancora alla dislocazione di queste aree con la loro funzione di fornire una via di comunicazione tra l’aspetto sensoriale e quello motorio e pensando a quelle aree adesso cerchiamo di integrare tutte le informazioni, per capire come queste vengono utilizzate anche per il linguaggio per esempio, se vogliamo esprimere un concetto dobbiamo ricordarci quelle parole che ci consentono di esprimerlo, dov’è che vengono immagazzinate queste informazioni? come vengono richiamate? proviamo a capirlo!Cominciamo parlando di comportamento, perché queste funzioni superiori dell’encefalo di cui stiamo parlando vanno a definire quello che poi è proprio il comportamento, intendendo con tale termine tutti quegli aspetti che la corteccia ci detta che ci consentono di mantenere quella che si chiama vita di relazione, cioè quella che ci permette di relazionarsi con l’esterno, ci permette di ricordare dettagli di ciò che ci circonda ed utilizzare queste informazioni dell’esterno per modificare la nostra postura, i nostri movimenti, etc… quindi la parola “comportamento“ comprende un’ampia gamma di funzioni che sono poi quelle superiori dell’encefalo. Ci sono due aspetti che influenzano il comportamento: i fattori genetici ereditari (di cui non parleremo) e altri fattori che sono quelli ambientali, cioè fattori con cui l’ambiente ci manda delle informazioni che noi usiamo e che modificano il comportamento andando proprio a mutare la risposta che il sistema motorio offre nei confronti di uno stimolo che arriva dall’ambiente, quindi abbiamo di nuovo l’aspetto sensoriale (che abbiamo visto), integrazione nelle aree associative (che stiamo vedendo ora) per poi dare una risposta motoria; per poter dare una risposta modificata di volta in volta, che è poi quello che genera il comportamento, dobbiamo basarci su due fenomeni che sono appunto fenomeni che avvengono a livello corticale cioè l’apprendimento e la memoria; l’apprendimento è l’acquisizione di informazioni che ci provengono dal mondo esterno, cose che prima non conoscevamo, quando nasciamo non sappiamo leggere, non sappiamo la via dove in cui abitiamo… però affinché l’apprendimento si realizzi non basta che qualcuno ci dica il nome della via, ma bisogna anche che ce lo ricordiamo; quindi queste due informazioni, quella che genera l’apprendimento e quella che poi viene salvaguardata in funzione di un deposito mnemonico, servono a variare il comportamento in tempi futuri, bisogna quindi vedere come le informazioni, una volta apprese, vengono gestite nella memoria. Sorgono ora delle domande:

Quali sono le forme principali di apprendimento? Quali sono le informazioni che il SNC apprende più in fretta? I diversi tipi di apprendimento generano processi mnemonici uguali o diversi? In che modo le tracce mnemoniche vengono conservate e recuperate?

Allora, abbiamo varie forme di memoria, cominciamo a parlare della memoria a lungo termine, si protrae nel tempo, si usa questa dicitura per quella memoria che dura per un tempo che supera le 4/5 ore fino all’infinito, non è detto che però duri all’infinito perché vedremo che per mantenere nella memoria a lungo termine un’informazione bisogna che questa venga ripetuta, ripresentata con cadenza non troppo diramata nel tempo, ci vuole quindi quello che si chiama il rinforzo.

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Cominciamo a vedere cos’è questa memoria a lungo termine, è una memoria che viene immagazzinata in sistemi neuronali diversi a seconda che si parli di memoria a lungo termine

1. esplicita o dichiarativa → quella di cui siamo coscienti, per esempio siamo coscienti di dover ricordare il nome delle cose, delle persone, di un luogo che abbiamo visitato, cioè sono delle informazioni che riguardano dei fatti o situazioni che ci sono capitati durante la nostra vita, di cui siamo coscienti e che possiamo esplicitare in qualsiasi momento;

2. implicita o non dichiarativa → non siamo in grado di raccontare a qualcun altro di quest’esperienza, sensoriale e motoria che viene immagazzinata sottoforma di gesto, per esempio una forma di memoria implicita è quella che viene conservata nel neocerebello nel momento in cui si impara a scrivere o si impara ad eseguire un movimento sofisticato, non siamo in grado di raccontarla, ma rimane implicita, al momento di eseguire nuovamente quel movimento non dovremo ripetere tutto l’iter che ci ha portato ad impararlo per poi finalmente eseguirlo, ma automaticamente andiamo a reclutare quei circuiti neuronali, corticali e cerebellari, che ci consentono di eseguire quel determinato movimento.

Ora vediamo quali sono gli aspetti principali di queste due memorie a lungo termine; cominciamo con quella “esplicita”.

La memoria esplicita riguarda delle esperienze della nostra vita passata e possono riguardare sia dei fatti che degli eventi; viene chiamata memoria esplicita semantica la memoria che riguarda la conoscenza di fatti, nozioni, ci consente di ricordare il nome delle cose e delle persone, di ricordare

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le parole ed il loro significato e quindi ci consente di avere a nostra disposizione un vocabolario a cui attingiamo quando dobbiamo esprimere in maniera propria, quindi questo tipo di memoria è quella che ci costruisce nel tempo e che ci permette di esprimerci in un linguaggio più o meno complesso; per esempio, se impariamo una lingua straniera, andremo ad incamerare tutte le informazioni di questa nuova lingua; la sintassi, le parole con i rispettivi significati andranno ad essere immagazzinate, in questa memoria a lungo termine semantica che quindi rappresenta un presupposto indispensabile per il linguaggio. Un’altra forma di memoria esplicita è quella episodica, che riguarda eventi, esperienze personali e quindi descrive qual è il nostro passato → è una memoria a lungo termine che ci consente di avere un ricordo; si può quindi dire che la memoria semantica costituisce il nostro biglietto culturale, quella episodica aiuta a determinare la personalità individuale (queste sono solo premesse che ci consentono di capire a cosa servono poi le informazioni che verranno immagazzinate nei neuroni).La parte corticale che si occupa della conservazione delle tracce della memoria, sia semantica che episodica (memoria esplicita a lungo termine), è il lobo temporale mediale, facente parte delle cortecce associative. La si vede nella diapositiva

questa è la zona dove vengono conservate tracce mnemoniche che si riferiscono alla memoria esplicita; si tratta di quella zona che riguarda la corteccia peririnale, entorinale e paraippocampica, siamo quindi in zona ippocampo.Questa corteccia ha strette associazioni nei confronti di una corteccia che abbiamo già introdotto nella sua estensione, che è la corteccia associativa unimodale e polimodale. Questa associazione vuol dire che le informazioni raccolte dalla corteccia associativa vengono convogliate a queste cortecce ippocampale, paraippocampale, peririnale ed entorinale → questo ci dice che le informazioni sensoriali che arrivano alla corteccia primaria, alla corteccia uditiva, alla corteccia calcarina visiva, integrate fra di loro, vanno ad essere portate anche a questa corteccia ippocampale che scambia informazioni tra le varie componenti fino a che si arriva ad un punto importante → la corteccia entorinale ─ questa ha connessioni con l’ippocampo, in particolare con le 3 aree che sono l’ippocampo CA3, l’ippocampo CA1 ed il subiculum.

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L’informazione può entrare attraverso una strada importante che è la cosiddetta “via perfornante” attraverso i cui circuiti le nozioni vengono portate dalla corteccia entorinale al giro dentato; altre informazioni possono arrivare direttamente dalla corteccia entorinale alle 3 aree, anche se il flusso maggiore passa attraverso il giro dentato e da questo, tramite la “via delle fibre muscoidi” , passa prima all’ippocampo CA3 e poi all’ippocampo CA1 (le info qui vengono condotte attraverso un percorso neuronale che compone la “via delle collaterali di Shaffer”) (nelle diapositive compare sia Shaffer che Shafter, il compendio di anatomia non ne parla, quindi ve li metto entrambi,ndr) → queste vie sono diversificate fra di loro perché adottano dei sistemi diversi di memorizzazione dell’informazione. Dopo l’integrazione attraverso queste 3 vie tutte le informazioni arrivano infine al subiculum, questo è importante perché funge da sistema di convergenza delle informazioni che passano per l’ippocampo; tutte arrivano al subiculum che le raccoglie, le integra e le riporta alla corteccia entorinale, quindi in questo modo si verifica un giro interno di informazioni che continuano a ricircolare tramite questa rete neuronale all’interno dell’ippocampo dove vengono sempre più integrate e raffinate, quindi c’è una sorta di circuito di potenziamento in cui queste informazioni ripresentate più volte alle stesse strutture nelle quali poi verrà codificata l’informazione mnemonica; quelle 3 stazioni che abbiamo visto prima, la corteccia peririnale, la paraippocampica e l’entorinale che vengono investite dal vario flusso d’informazioni, hanno relativamente alla memoria a lungo termine esplicita dei significati differenti, anche se grosso modo servono per il riconoscimento degli oggetti. Non si tratta di un riconoscimento diffuso per cui è uguale che un’informazione venga riconosciuta dalla corteccia entorinale o peririnale → ognuna di queste 3 conserva un certo tipo di memoria, perciò oggetti diversi vengono riconosciuti e memorizzati in aree differenti pur rimanendo entro queste limitate zone. L’ippocampo serve invece per la rappresentazione spaziale degli oggetti, è quello che consente ad un soggetto di autocostruirsi una mappa → quando voi per la prima volta entrate in una stanza, al momento non sapete bene dove si trova la finestra, dove sono le sedie; la volta dopo, quando entrate, sapete subito collocare tutte le varie cose. La capacità di ritenere la strutturazione spaziale della stanza, il sapere che quell’oggetto si trova proprio lì, sono determinati da una ricostruzione spaziale puntiforme; tale capacità risiede proprio nell’ippocampo.

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Da come si può vedere dalla diapositiva c’è una netta distinzione tra l’ippocampo dell’emisfero destro e quello dell’emisfero sinistro; a destra abbiamo la rappresentazione della memoria spaziale, mentre l’emisfero sinistro, pur costituendo anch’esso un serbatoio di memoria spaziale, è implicato inoltre nella creazione e nel controllo del linguaggio. In questo caso parliamo di “memoria verbale”, perché è quella che ci serve per esprimere il significato di oggetti, parole → per esempio, attribuire ad un nome una specifica persona è parte della memoria esplicita a lungo termine verbale. Si diceva che l’ippocampo contiene una mappa cognitiva dell’ambiente puntiforme molto precisa, se voi cambiate posto agli oggetti, tale mappa viene completamente ricostruita e ci consente di riconoscere la stessa mappa però con degli elementi spaziali diversi rispetto a prima. L’ippocampo, tuttavia, non è la sede definitiva in cui vengono conservate le tracce mnemoniche; questo è la sede dove vengono costruite le informazioni, rappresentandole nel modo più giusto per poi essere trasferite nel deposito della memoria a lungo termine, il neocortex, che è lì vicino, in particolare nella corteccia associativa polimodale. Quindi abbiamo i questo caso a feed-back positivo delle informazioni, ‘positivo’ perché si tratta di un potenziamento, le informazioni ci arrivano dalle aree sensitive, aree associative unimodali e aree associative polimodali; queste vengono fatte convergere nell’ippocampo che rielabora tali informazioni nella maniera adeguata per mantenerle conservate sottoforma di memoria a lungo termine in altre aree della corteccia associativa polimodale (feed-back positivo → rielaborazione).Le immagini della diapositiva, eseguite con la PET (trasmissione emissione di positroni), servono a visualizzare in modo non invasivo l’attivazione delle rispettive aree di corteccia che vengono utilizzate; si vuole fare vedere quali sono le aree cerebrali che vengono attivate quando si chiede una cosa piuttosto che l’altra. Le 4 di sopra riguardano l’ippocampo dell’emisfero destro che è quello che rappresenta idealmente la mappa spaziale → se chiediamo di visualizzare un qualcosa si attiva una determinata area; se si chiede di ricordare un percorso urbano, allora bisogna richiamare alla memoria più informazioni che non vedere semplicemente come è fatta un’aula, quindi l’area interessata è molto maggiore; se invece si chiede di ricordare una sequenza di parole si attiva invece l’ippocampo di sinistra.

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La memoria esplicita è fatta da 2 componenti → la memoria semantica apparente e la memoria episodica che va a riguardare gli episodi della vita passata. Se io dico una parola, per esempio TIGRE, voi cosa fate? in teoria immaginate questo animale, ma immaginare la tigre non è poi una cosa così semplice, dovete richiamare inconsciamente alla mente tante informazioni (oggetto o vivente, colore, rumore, grandezza, etc…) → pensate a quante informazioni l’encefalo deve codificare perché voi possiate raggruppare quelle nozioni che vi consentano di visualizzare nella mente qualcosa che sia quella “cosa” che noi chiamiamo TIGRE. Tutte queste nozioni sono state da noi memorizzate in tempi successivi ed in zone di corteccia differenti, eppure nel momento in cui ci servono l’encefalo riesce a richiamarle tutte contemporaneamente. Non esiste un unico magazzino della memoria semantica, non c’è un punto solo dove noi immagazziniamo quella figura lì della tigre, ce ne sono tanti, abbiamo visto prima, ci sono zone in cui immagazzineremo l’idea dell’ambiente in cui vive, zona in cui immagazzineremo il tipo di suono che emette e così via… tante informazione differenti dislocate in tanti siti mnemonici della corteccia associativa polimodale per costruire al momento, automaticamente ed istantaneamente una figura complessa. La memoria esplicita semantica come si diceva viene immagazzinata nel lobo temporale parietale; allora le lesioni alla corteccia parietale a seconda di dove avvengono danno risultati diversi proprio perché non tutte le tracce mnemoniche vengono memorizzate nello stesso posto, quindi se lediamo una parte avremo alcune decifit, se ne lediamo un’altra avremo altri deficit; questo è un tipo di fenomeno protettivo che si è evoluto, provate a pensare se la memoria fosse tutta immagazzinata nella stessa porzione encefalica una lezione focale potrebbe dare luogo ad una completa agnosia (non siamo più in grado di riconoscere ed il riconoscimento è dato dalla mancanza di memoria di quell’evento), invece la memoria nei suoi vari aspetti è distribuita in ampie zone della corteccia associativa, per esempio se c’è una lesione della corteccia associativa parietale posteriore, quella che sta anteriormente alla scissura calcarina e quindi sarà quella corteccia associativa che riceve le informazione di tipo visivo, avremo un’agnosia associativa visiva.

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In questo grafico si possono capire i differenti deficit, si vede prima cosa avviene se non vi è presenza di deficit,; se fate vedere ad un soggetto una bustina di thè e poi chiedete di ridisegnarla, il soggetto normale la ridisegna tranquillamente; se fate vedere lo stesso disegno ad un paziente che ha una lesione della corteccia parietale posteriore, vedrete che lui è in grado di ridisegnare l’oggetto, quindi lui è in grado guardando, in questo momento in cui acquisisce nuovo informazioni visive, con la sua abilità motoria di ridisegnare l’oggetto abbastanza bene, però non è capace di dirvi che cos’è quell’oggetto, non è in grado di dirvi “questa è u a bustina di thè”, non si ricorda che cosa è, non associa all’immagine visiva il rispettivo significato, quindi si può constatare un deficit nella denominazione degli oggetti, mentre la ricostruzione è intatta. Se c’è, invece, una lesione della corteccia occipitale, proprio quella dove c’è la scissura calcarina che quindi non è più integra, non si è proprio in grado di vedere l’oggetto per quello che è quindi non si è capaci di ridisegnarlo, però se chiedete al paziente che cos’è l’oggetto, vi risponderà correttamente; non è quindi in grado di ricostruirlo, ma è in grado nel momento in cui lo vede di dire il nome, vuol dire che la corteccia associativa nella cui area è memorizzatoli ricordo di che cosa sia quel determinato simbolo c’è ancora ed è intatta.La memoria esplicita semantica è anche quella che ci consente di attribuire il corretto nome per esempio agli animali e alle cose.

Su un libro molto importante, che è il Kaldel-Schwarz, viene riportata la seguente frase:“le strutture nervose in relazione con la cognizione

(e la memorizzazione) di entità appartenenti acategorie specifiche (esseri animati o

oggetti) differiscono in relazione alle proprietà intrinseche dell’entità in questione”

C’è una forte frammentazione delle cognizioni mnemoniche e quindi la lesione focale colpisce e annienta alcune informazioni, ma non tutte quelle che possediamo.

La memoria esplicita episodica è invece la memoria autobiografica, quella che ci consente di ricostruire un passato individuale, è l’insieme di tutti i fatti che ci ricordiamo che hanno fatto parte del nostro vivere quotidiano in passato e che formano in un certo senso la nostra personalità. Vediamo ora quali aree si vanno ad attivare (si tratta soprattutto di emisfero destro).

La memoria esplicita episodica ha bisogno di 4 fasi:

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codificazione → è un fenomeno che riguarda il fatto che per depositare nuove informazioni c’è bisogno di concentrare l’attenzione su qualcosa; è ovvio che nella vita quotidiana non ricordiamo il 100% di ciò che abbiamo passato, ricordiamo alcuni aspetti ed il ricordo di questi aspetti dipende da vari fattori, intanto dipende dalla frequenza con cui vengono presentati, poi dallo stato emotivo con cui si vivono (stati emotivi molto forti ci permettono di ricordare alcuni eventi anche se si sono verificati una volta sola); quindi la codificazione nasce in parte dalla ripetizione, ma soprattutto, per gli elementi autobiografici, dalla concentrazione dell’attenzione sull’esperienza fatta.

consolidamento → tale esperienza deve poi essere “consolidata”; tale processo può essere necessario oppure no; se per esempio l’evento che è stato codificato è molto forte, accompagnato da uno stato emotivo molto violento sia in positivo che in negativo, non necessita di consolidamento perché la traccia mnemonica è molto forte; se invece tale traccia è più flebile bisogno consolidarla ed il consolidamento può essere legato alla ripetitività che induce un’ informazione più stabile, di più lunga durata e che porta (questo è un punto importante!) ad una modificazione dell’espressione genica, che determina un aumento e quindi una modificazione della sintesi proteica; la memoria a lungo termine è fatta di informazioni di tipo proteico.

conservazione → è un meccanismo cellulare che consente di mantenere le memorie che si sono prima codificate e poi consolidate.

recupero → tutte queste informazioni verranno poi estratte per essere integrate e per essere ripescate e ricostruite; questo recupero è una fase transiente che ci consente di portare la memoria a lungo termine in una memoria a breve termine che vogliamo utilizzare che si chiama appunto memoria operativa a breve termine.

Questo è un semplice grafico sulla memoria esplicita

Tale memoria ha appunto una durata brevissima, al massimo di 30 secondi e è quella che ci consente di mettere insieme tutte le informazioni che abbiamo raccolto dalle nozioni a lunga durata della memoria esplicita; la parte della corteccia che ci permette di recuperare dai vari depositi che abbiamo visto prima, cioè nelle varie zone della corteccia associativa polimodale, tutte quelle informazioni che messe insieme ci consentono di ricostruire una scena, un episodio, non è la corteccia associativa ippocampale, ma quella prefrontale che si chiama anche “sistema attenzionale di controllo operativo”; questa corteccia attiva l’accesso ai quei due sistemi che si chiamano “processi di ripasso della memoria operativa”, cioè la memoria operativa a breve termine attiva il

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ripescaggio nelle aree associative di alcune informazioni; nella corteccia parietale posteriore andrà ad attivare il circuito dell’articolazione verbale, perché è lì, sprtt a sinistra, che vengono depositate le tracce mnemoniche di parole, numeri e tutto ciò che ci permette di esplicitare i concetti in linguaggio, mentre invece un’ altra zona da cui la corteccia prefrontale attinge le informazioni è quella della cosiddetta corteccia extrastriata, sempre una corteccia associativa posteriore che però conserva tracce mnemoniche di caratteristiche visive della localizzazione degli oggetti; cioè in pratica, se voglio ricordare un episodio, parte il segnale dalla corteccia prefrontale, questa attinge le informazioni visive che sono state elaborate negli anni passati dall’ippocampo ed ora sono immagazzinate nella corteccia extrastriata, che fa parte del gruppo della corteccia associativa multimodale posteriore, e nel contempo raccoglie altre informazioni dalla corteccia parietale posteriore, però non quella extrastriata, che invece raccoglie le elaborazioni a suo tempo raccolte dall’ippocampo e depositate in questo circuito dell’articolazione verbale; la corteccia prefrontale mette insieme queste informazioni che poi sono quelle che sono state elaborate in precedenza che possono essere richiamate e possono poi essere rimandate in quella che è poi la memoria a lungo termine. Allora, le fasi possono essere due: possono essere quelle di un’elaborazione breve delle informazioni nella corteccia associativa posteriore, l’elaborazione viene controllata dalla corteccia prefrontale, l’integrazione viene passata per la memorizzazione a lungo termine; oppure nel momento in cui vogliamo richiamare alla memoria qualcosa che è già stato memorizzato, di nuovo si attiva la corteccia prefrontale e richiama le informazione dalle varie aree; quindi può essere sia la fase iniziale in cui le informazioni vengono immagazzinate, sia una fase successiva in cui le informazione già immagazzinate vengono richiamate e poi rimesse di nuovo nella memoria a lungo termine. (ovvio che questi schemi nel libro di fisiologia del SNC richiedono molto capitoli e molte pagine, la prof ha cercato di condensarle in modo da fornirci uno schema di comprensione semplice anche se in realtà è molto più complesso di così, ndr).

Adesso parliamo un po’ della memoria implicita, quella invece non dichiarativa che come dicevamo prima è quella che ci permette per esempio una certa gestualità, ci consente certi movimenti; a differenza della memoria esplicita che è cosciente, l’implicita non è cosciente, non andiamo a concentrarci su un’idea quando vogliamo eseguire un movimento che abbiamo appresso in maniera complessa, il richiamo dell’informazione arriva nell’inconscio; insorge lentamente, viene costruita pianino alla volta, come imparare a suonare uno strumento musicale o a scrivere, si esprime sottoforma di gesti e non di parole (si tratta solo di schemi motori) e si acquisisce mediante apprendimento (altro aspetto del comportamento che vedremo in futuro).

La memoria implicita non riguarda l’ippocampo, non utilizza gli stessi circuiti ippocampali che abbiamo visto prima, ma coinvolge delle altre aree, che sono quelle che sono poi adibite

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all’esecuzione del movimento, si tratta quindi di sistemi sensoriali che percepiscono l’ambiente esterno ed eventualmente inducono una risposta, sono sistemi motori che sono la via ultima comune che poi andrà a gestire l’attivazione dei vari motoneuroni per muovere le dita in un modo piuttosto che nell’altro, e saranno tutti quei sistemi che stanno tra la via afferente del sistema sensoriale e la via discendente che abbiamo già visto, cioè la corteccia, lo striato, il cervelletto e anche l’amigdala (la prof consiglia di leggere il capitolo che riguarda l’amigdala anche se non la tratteremo nel corso di fisiologia. L’amigdala riguarda quegli aspetti del comportamento che riguardano le sensazioni, i sentimenti, l’ emotività e dal punto di vista fisiologico si sa ancora poco a riguardo); questa memoria implicita coinvolge come abbiamo detto tutti i componenti del grafico, ed ognuno di questi ha un suo ruolo; i centri elencati alla base della diapositiva, sono tutti coinvolti nella formazione della memoria implicita, per “suggerimento” si intende che il neocortex, cioè praticamente la corteccia motoria e la corteccia sensoriale, è coinvolto nella iniziazione del richiamo della memoria implicita, cioè nel momento in cui mi accingo a svolgere il movimento che ho precedentemente appreso, quello che viene coinvolto è appunto il neocortex; la attività procedurale, che è quella praticamente che stila qual è la procedura che devo fare per eseguire un certo movimento, cioè se per esempio per suonare la scala musicale devo muovere le dita in un modo anziché nell’altro, cioè lo schema procedurale di esecuzione del movimento è gestito dallo striato, cioè dai muscoli della base. Invece l’apprendimento motorio è gestito da amigdala, cervelletto e vie riflesse.

Questo apprendimento può essere di tipo associativo oppure non associativo; quest’ultimo è più semplice, è basato su due forme, l’abitudine e la sensibilizzazione; l’abitudine è una ripetizione di uno stesso atto che porta ad una risposta inferiore nei confronti appunto dello stesso atto, per esempio se siamo in casa che stiamo studiando e c’è fuori qualcuno che lavora e sentiamo qualcuno che picchia lavorando contro il muro, i primi rumori che sentiamo ci allarmano, ci spaventano e ci disturbano, però una volta che abbiamo capito che c’è il muratore fuori che deve andare avanti a lavorare tutto il giorno ci si abitua, poi il rumore ci darà anche meno fastidio e non ci spaventerà più (esempio molto banale di abitudine); l’abitudine è, lo vedremo tra poco, un fenomeno per cui uno stimolo non nocivo viene dapprima rilevato in maniera notevole e poi successivamente si affievolisce la risposta, cioè con la riproposizione dello stesso stimolo diminuisce appunto la risposta allo stimolo (sempre se questo è non nocivo); se lo stimolo invece è nocivo, per esempio la martellata sul dito, se ve ne danno una e fa male, la seconda non è che fa meno male perché ci si abitua, ma capita il contrario, cioè l’area su cui abbiamo dato lo stimolo nocivo viene sensibilizzata per cui il secondo stimolo di nuovo nocivo, o anche se il secondo non è nocivo, però la parte che è stata sensibilizzata risponderà di più, tipicamente se vi fate male, vi tagliate un dito tutta l’area rimane dolente e anche il tatto normale che fino ad un istante prima non era dolente, ora lo è perché

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l’area è sensibilizzata; queste sono forme di apprendimento non associativo e sono mediate dalle vie riflesse (spinali).Abbiamo anche un apprendimento di tipo associativo, riguarda vie superiori come amigdala e cervelletto, però in una parte antica di questo, cioè il verme, quindi non fa parte del neocortex e animali meno evoluti dal punto di vista cerebellare hanno questa forma di apprendimento associativo. Perché l’amigdala? perché nell’apprendimento associativo si associa l’apprendimento motorio con la motivazione, che può essere negativa o positiva e adesso andremo a vedere cosa significa questo; quindi ricapitolando, la memoria implicita raggruppa due parti, la memoria implicita non associativa, sottoforma di abitudine o sensibilizzazione, a cosa importante da capire è che l’abitudine appresa viene inibita dalla sensibilizzazione, se voi per esempio sfiorate il dito con una foglia, questo è uno stimolo non nocivo, la prima volta ve ne accorgete, le volte dopo non ve ne accorgete neanche più, è questo un esempio di abitudine; se però date una botta col martello sul dito e poi fate passare ancora la foglia, ecco, ora questa la sentiamo e ci da fastidio, mentre prima no, perché la sensibilizzazione indotta dallo stimolo nocivo ha cambiato la risposta anche ad uno stimolo che prima non dava risposta in quanto si era abituati allo stimolo non nocivo, quindi la sensibilizzazione inibisce l’abitudine, tale inibizione prende il nome di “disabitudine”.L’apprendimento associativo viene anche chiamato “condizionamento”, c’è un condizionamento di tipo classico ed un condizionamento di tipo operante. Che cos’è il condizionamento classico? è l’apprendimento del rapporto di contiguità di due stimoli, uno stimolo dato uno dopo l’altro, poi ancora uno dopo l’altro e ancora uno dopo l’altro, si impara tale contiguità, si agirà quindi al primo stimolo come se fosse già presente il secondo anche se in realtà ancora non c’è. Invece il condizionamento operante è più complesso, perché è l’apprendimento non dei rapporti tra due stimoli, ma delle relazioni che ci sono tra un comportamento e le sue conseguenze (sono cose che cmq si rivedranno molto più nel dettaglio nel corso di psicologia).

Condizionamento classico

Prendiamo un cane, gli si mette davanti una vaschetta con dentro il suo cibo e tutto contento comincia a salivare, questo è un riflesso normale, mediato dal sistema nervoso vegetativo, in particolare dal sistema nervoso autonomo per cui quando siamo in prossimità di ingerire cibo, tutto il sistema digerente automaticamente si prepara azionando il sistema parasimpatico che, tra le altre cose, induce la produzione di saliva in modo che nel momento in cui ingeriamo già nella bocca c’è un composto di enzimi e tutto ciò che serve per poter prima masticare, poi digerire e poi ingerire il tutto. Questa è una risposta non condizionata perché è semplicemente fisiologica, c’è il cibo → lui

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saliva. Adesso diamo un condizionamento, prima facciamo suonare un campanello, immediatamente dopo al suono noi gli mettiamo il cibo e lui quindi comincia a salivare; il cane impara, mediante questo condizionamento, se noi ripetiamo tante volte in ripetizione prima il campanello e poi il cibo, che tutte le volte che sente il campanello sa che subito dopo gli verrà data la ciotola quindi si instaura una forma di apprendimento perché impara che il campanello precede la presentazione della ciotola; arriverà quindi il momento in cui presentando il riflesso condizionante comincerà la salivazione anche senza la ciotola con il cibo, abbiamo così instaurato una risposta condizionata, si è verificato un apprendimento di tipo associativo mediante il condizionamento classico; è ovvio che ci deve essere sempre un rapporto di causa-effetto; non serve soltanto nel cagnolino che saliva, anche noi abbiamo le stesse forme di apprendimento, quando si andava a scuola sapevamo tutti che quando suonava la campanella voleva dire che era finita l’ora e automaticamente si saltava in piedi. Quindi il condizionamento classico fa parte della nostra vita quotidiana. In questo caso l’encefalo serve da rilevatore dei rapporti di causa tra eventi messi in luce tra loro dalla loro correlazione positiva; i due elementi, ciotola con il cibo del cane e campanello non sono necessariamente collegati fra di loro, anzi sono del tutto disgiunti, siamo noi che li mettiamo insieme nella maniera che ci fa comodo e quindi il cervello deve rilevare tale associazione che non è normale e scontata ed una volta presa tale associazione si da luogo alla risposta condizionata; la risposta è abolita dalle lesioni del cervelletto e dell’amigdala → il cervelletto perché è la sede della memoria motoria; l’amigdala perché questo tipo di risposta è fortemente condizionata dalla motivazione, se il cane non avesse fame non si creerebbe così facilmente tale associazione, invece il cane ha piacere di vedersi arrivare la sua ciotolina quando è affamato e allora la motivazione al raggiungimento del cibo è il fattore che determina l’instaurarsi del riflesso condizionato, per questo l’amigdala è tanto importante in tali processi.

Condizionamento operante

Questo è ancora più complesso, di nuovo è importante la motivazione, però in questo caso non è semplicemente un riflesso condizionato, riflesso nel senso che il cane sente il campanello e capisce che sta arrivando la pappa per cui saliva, semplice riflesso di salivazione; invece qui abbiamo un condizionamento operante perché modifica il comportamento. Prendiamo un topolino e lo mettiamo in un labirinto, la prima volta che fa il giro del labirinto non c’è nulla, la volta dopo gli si mette unpezzettino di formaggio, lui sente l’odore, va avanti finché trova il formaggio, ci mette comunque un po’ di tempo; gli facciamo fare un po’ di volte lo stesso giro con il formaggio sempre lì e li

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diventa sempre più veloce a trovarlo; poi prendiamo il formaggio e lo spostiamo più avanti, il topolino arriva sparato nel posto di prima, il formaggio però non lo trova e quindi comincia di nuovo a girare finché trova il so formaggio; si capisce che alla fin della fiera il topolino riuscirà a fare tutto il giro nel labirinto, cosa che prima ci metteva molto tempo, adesso piano piano lo abbiamo condizionato e sa che in fondo c’è il formaggio e quindi arriva in un istante; quindi lui, data la motivazione, ha imparato a svolgere un compito che è quello di percorrere di corsa tutto il labirinto scegliendo la strada giusta. È la stessa cosa di quando noi dobbiamo andare da un punto all’altro della città, la prima volta abbiamo bisogno della cartina, dobbiamo guardare dove andare, dobbiamo chiedere, dopo due volte che andiamo però sappiamo qual è la strada e qual è la scorciatoia; sono meccanismi di condizionamento operante e in questo caso l’apprendimento si dice che avviene by trials and errors, cioè per tentativi e ripetizioni finché a furia di sbagliare si trova la via giusta, quindi è un condizionamento operante perché tutto il comportamento del soggetto è modificato nell’ottenimento di uno scopo, quindi di nuovo c’è una forte componente emozionale che ci dirige ed il condizionamento operante ha bisogno di due cose, la contiguità temporale tra azione-rinforzo (vuol dire che il topolino che è arrivato a metà strada e trova il formaggio la volta dopo ci ritorna,ma se noi il formaggio non ce lo mettiamo, la volta dopo il topo non ci torna più, quindi bisogna far seguire all’azione il rinforzo, cioè il premio) e la previsione del comportamento. Questo comportamento, come anche quello di prima, può avere un significato positivo o negativo, il rinforzo può essere anche negativo se alla fine troviamo una sensazione sgradevole, se per esempio sappiamo che mettendo una mano sulla piastra ci bruciamo, di certo non ce la mettiamo più; quindi il condizionamento operante serve sia per motivare un comportamento che per demotivarne un altro a seconda della bontà o meno del rinforzo.

Quindi, come ripasso,

le afferente sensoriali arrivano ad essere gestite dalla memoria operativa, quella a breve termine, la memoria operativa raccoglie, grazie all’attivazione impartita dalla corteccia prefrontale, le tracce mnemoniche, le recupera e le mette insieme e depone queste tracce nella memoria a lungo termine.

Questa immagine ci dimostra che il cervelletto non ha soltanto funzione motoria, ma anche funzione sensoriale;

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si vuole andare a vedere se l’esecuzione di un compito da parte del cervelletto implica oppure no una discriminazione sensoriale, si prende un soggetto, gli si fissa la mano e poi gli si passa su questa un tampone con la superficie un po’ ruvida e gli si chiede di contrarre i muscoli della mano; però come si vede il movimento è inibito perché questo è legato, allora quello che queste immagini dicono è che se non viene appoggiato il tampone sulle dita, vedete che non succede nulla, viene attivata una zona del nucleo dentato di destra che è l’immagine dell’ideazione del movimento che però è impedito, quindi non c’è una grande attivazione, il soggetto vorrebbe muovere la mano ma non può perché è frenato nel movimento; se però, pur mantenendolo frenato, si tocca con questo tampone la superficie della mano, si vede che si attiva molto il nucleo dentato, allora il nucleo dentato insiste nell’ideazione del movimento nei circuiti motori cerebellari, però se gli si stimola la mano oltre a voler muovere l’arto c’è anche un’attivazione sensoriale, quindi questa è la prova che anche il nucleo dentato, uno dei più grandi nuclei cerebellari profondi, ha un’attività di tipo sensoriale. Invece se si fa un altro esperimento, si mette la mano del soggetto in un sacchetto dove sono contenute delle palline, il soggetto chiaramente non vede cosa c’è contenuto e gli si chiede di muovere la mano dentro questo cartoccio, quello che succede è che se non si toccano le palline non c’è percezione sensoriale, ma se viene dato modo al soggetto di toccarle, non solo vengono attivati entrambi i nuclei dentati profondi per l’attività motoria, ma c’è anche una forte componente sensoriale perché viene dato modo al cervelletto di valutare la percezione coi polpastrelli delle dita sulle palline, quindi ha delle funzioni sia puramente cognitive, che sensoriali oltre alla ovvia attività motoria.

Adesso vediamo quali sono i meccanismi cellulari dell’apprendimento, il problema è capire qual è la base fisiologica di questi fenomeni?Incominciamo a vederli partendo dal più semplice; si diceva che l’apprendimento non è una caratteristica degli organismo superiori, questo è già insito in animali che comunque tanto semplici non sono; nell’immagine si può vedere l’applisia, un mollusco marino che ha tantissime informazioni sul funzionamento del SNC nell’uomo perché contiene tutti i circuiti che sono alla base del nostro apprendimento, chiaramente però molto semplificati rispetto ai circuiti ippocampali umani e quindi sono utilissimi questi studi perché ci consentono di capire come funziona il SNC.

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Allora, abbiamo detto che l’abitudine è l’apprendimento delle proprietà di uno stimolo innocuo e soprattutto nuovo; l’apprendimento procede attraverso 3 tappe: l’esposizione allo stimolo, che prima non c’era e adesso viene presentato; i cosiddetti riflessi di orientamento, cioè quelli che attirano l’attenzione e che causano una risposta; ed infine l’abitudine, che è quella che insorge al termine del processo. L’esempio più utile è quello del riflesso di retrazione della branchia nell’applisia; questa ha un sifone attraverso cui viene fatta entrare e uscire l’acqua, mentre la branchia è il mezzo con cui l’animale respira; c’è poi una zona che si chiama involucro del mantello (mantello è il muscolo con cui il mollusco si muove); se voi toccate con uno stimolo tattile non nocivo il sifone, la prima volta che viene toccato il sifone la branchia si retrae (è un riflesso di tipo difensivo); se però continuate a toccare il sifone, la branchia non si retrae più perché l’animale realizza che questo stimolo non è nocivo e quindi non ha più senso difendersi retraendo la branchia. Come si identifica questo tipo di abitudine? nell’immagine si vede lo schema del sifone (parte destra in basso), poi c’è il bastoncino con cui lo stesso sifone viene stimolato; dal sifone parte un neurone sensitivo il quale neurone ha 3 tipi di contatti sinaptici; il neurone sensitivo che registra lo stimolo tattile può contrarre sinapsi diretta con il motoneurone eccitandolo, quindi una via è quella dello stimolo tattile → stimolazione del neurone sensitivo → contrazione della branchia in quanto è stato eccitato il motoneurone che libera il suo mediatore chimico. Il neurone sensitivo però può anche contrarre sinapsi con due interneuroni, uno che ha un ‘attività eccitatoria e quindi potenzia l’attività del motoneurone, l’altro che ha attività inibitoria e di conseguenza inibisce il motoneurone; ora se lo stimolo che viene dato è uno stimolo sottoliminare, cioè innocuo, quello che succede è che il neurone sensitivo continua a percepire lo stimolo, nonostante vada incontro a quel fenomeno già studiato in precedenza che è l’adattamento e nonostante percepisca questo stimolo e tramite la via diretta possa attivare il motoneurone, prevale però l’attivazione dell’interneurone inibitorio che quindi inibisce il motoneurone non determinando la retrazione della branchia → quindi in questo caso l’abitudine si realizza mediante un diminuito rilascio di mediatore legato ad un processo omosinaptico, cioè attraverso un’unica sinapsi attivata che è quella inibitrice; quindi l’abitudine fa parte del contingente di memoria a breve termine, è attivata da stimoli ripetuti che causano una diminuzione della trasmissione sinaptica nel neurone sensitivo, una diminuzione delle vescicole sinaptiche che usano glutammato ed una diminuzione della mobilizzazione delle stesse vescicole; questo induce nel neurone modificazioni plastiche persistenti delle trasmissioni sinaptiche, cioè il continuare a stimolare con stimoli innocui determina nella cellula un apprendimento che comporta una riduzione del suo pool di mediatore chimico e quindi diminuisce l’efficienza delle connessioni

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