Melfi, ancora scioperi: domani la protesta arriva a...

23
1 Vertenza Fiat Melfi, ancora scioperi: domani la protesta arriva a Roma ROMA – Gli operai di Melfi portano la protesta a Roma. Una manifestazione per domani di fronte alla sede romana della Fiat è stata indetta dal coordinamento delle Rsu dello stabilimento, del quale fanno parte Fiom, Slai-Cobas e Flaims. I lavoratori chiederanno anche di essere ricevuti ai ministeri del Lavoro e delle Attività produttive, che si trovano a breve distanza dalla sede romana della Fiat. Il coordinamento delle Rsu ha indetto anche uno sciopero delle aziende del sito dalle 22 di ieri alle 22 di stasera (la protesta riguarderà i lavoratori addetti alla manutenzione degli impianti). Oggi l'assemblea dei lavoratori deciderà come proseguire la protesta. La richiesta del coordinamento è quella di una riapertura immediata della trattativa fra i sindacati e la Fiat. «Abbiamo confermato la piattaforma e le iniziative di lotta con questa manifestazione a Roma - ha detto al termine della riunione il responsabile nazionale Fiom per l'auto, Lello Raffo - per portare nei palazzi del potere romano la voce dei lavoratori, partendo dalla Fiat, che è quella che oggi ci nega la trattativa. Ogni turno deciderà poi le iniziative». Prosegue lo sciopero. I sindacati intanto cercano di far ripartire il negoziato. Bloccata anche la fabbrica di Cassino Fiat: Melfi resta ferma, perse 35mila auto La Fiom: aprire subito una trattativa no stop. Oggi manifestazione a Roma di JACOPO ORSINI MILANO - Riaprire immediatamente la trattativa con la Fiat. Gli operai dello stabilimento di Melfi saranno oggi in corteo a Roma (sono attese un migliaio di persone) per chiedere alla casa torinese di far ripartire il confronto sulle condizioni di lavoro nella fabbrica lucana, sospeso venerdì scorso dopo che la Fim-Cisl ha denunciato un’aggressione contro una sua delegata. L’attività intanto resta ferma e il blocco dello stabilimento, che impedisce l’arrivo dei componenti nelle altre fabbriche del gruppo, continua ad avere pesanti ripercussioni sulla produzione. Sono 35 mila finora le auto che la Fiat non ha sfornato a causa della protesta. Una situazione, precisa la società, che ha provocato «effetti negativi sul salario dei lavoratori e gravi danni economici all'azienda». A Melfi lo sciopero è stato prorogato dall’assemblea dei lavoratori fino alle 10 di stasera. Qualcuno ieri è rientrato in fabbrica (circa 400 operai su 5.000 secondo l’azienda, solo poche decine secondo i sindacati). Un numero in ogni caso insufficiente per far ripartire l’attività, ormai ferma da quindici giorni. La protesta degli operai lucani ieri ha fermato di nuovo lo stabilimento di Cassino e l’interruzione continuerà anche stamani. A Mirafiori invece il lavoro è andato avanti a singhiozzo (lo stop c’è stato per il turno di notte), mentre l’attività si è fermata del tutto alla Fma di Pratola Serra, l’azienda avellinese che produce motori per Fiat e General Motors, dove i 2.000 dipendenti sono stati messi in cassa integrazione. La segreteria nazionale della Fiom ha chiesto alla Fiat «di aprire, subito dopo la manifestazione a Roma, un negoziato no stop a Melfi». La trattativa, secondo i metalmeccanici della Cgil, «si dovrà concludere in pochi giorni» con la definizione delle proposte con cui l'azienda intende rispondere alle richieste di turni di lavoro meno pesanti e di adeguamento dei salari a quelli degli altri dipendenti del gruppo. Le proposte della Fiat verranno poi sottoposte al voto segreto dei lavoratori e il sindacato dei metalmeccanici 19 ECONOMIA IL MESSAGGERO LUNEDÌ 3 MAGGIO 2004 17 ECONOMIA IL MESSAGGERO MARTEDÌ 4 MAGGIO 2004

Transcript of Melfi, ancora scioperi: domani la protesta arriva a...

Page 1: Melfi, ancora scioperi: domani la protesta arriva a Romawin.federazioneintesa.it/federazione/rassegna... · La trattativa, secondo i metalmeccanici della Cgil, «si dovrà concludere

1

Vertenza Fiat

Melfi, ancora scioperi: domani la protesta arriva a Roma ROMA – Gli operai di Melfi portano la protesta a Roma. Una manifestazione per domani di fronte alla sede romana della Fiat è stata indetta dal coordinamento delle Rsu dello stabilimento, del quale fanno parte Fiom, Slai-Cobas e Flaims.

I lavoratori chiederanno anche di essere ricevuti ai ministeri del Lavoro e delle Attività produttive, che si trovano a breve distanza dalla sede romana della Fiat. Il coordinamento delle Rsu ha indetto anche uno sciopero delle aziende del sito dalle 22 di ieri alle 22 di stasera (la protesta riguarderà i lavoratori addetti alla manutenzione degli impianti). Oggi l'assemblea dei lavoratori deciderà come proseguire la protesta.

La richiesta del coordinamento è quella di una riapertura immediata della trattativa fra i sindacati e la Fiat.

«Abbiamo confermato la piattaforma e le iniziative di lotta con questa manifestazione a Roma - ha detto al termine della riunione il responsabile nazionale Fiom per l'auto, Lello Raffo - per portare nei palazzi del potere romano la voce dei lavoratori, partendo dalla Fiat, che è quella che oggi ci nega la trattativa. Ogni turno deciderà poi le iniziative».

Prosegue lo sciopero. I sindacati intanto cercano di far ripartire il negoziato. Bloccata anche la fabbrica di Cassino

Fiat: Melfi resta ferma, perse 35mila auto La Fiom: aprire subito una trattativa no stop. Oggi manifestazione a Roma

di JACOPO ORSINI MILANO - Riaprire immediatamente la trattativa con la Fiat. Gli operai dello stabilimento di Melfi saranno oggi in corteo a Roma (sono attese un migliaio di persone) per chiedere alla casa torinese di far ripartire il confronto sulle condizioni di lavoro nella fabbrica lucana, sospeso venerdì scorso dopo che la Fim-Cisl ha denunciato un’aggressione contro una sua delegata. L’attività intanto resta ferma e il blocco dello stabilimento, che impedisce l’arrivo dei componenti nelle altre fabbriche del gruppo, continua ad avere pesanti ripercussioni sulla produzione. Sono 35 mila finora le auto che la Fiat non ha sfornato a causa della protesta. Una situazione, precisa la società, che ha provocato «effetti negativi sul salario dei lavoratori e gravi danni economici all'azienda».

A Melfi lo sciopero è stato prorogato dall’assemblea dei lavoratori fino alle 10 di stasera. Qualcuno ieri è rientrato in fabbrica (circa 400 operai su 5.000 secondo l’azienda, solo poche decine secondo i sindacati). Un numero in ogni caso insufficiente per far ripartire l’attività, ormai ferma da quindici giorni. La protesta degli operai lucani ieri ha fermato di nuovo lo stabilimento di Cassino e l’interruzione continuerà anche stamani. A Mirafiori invece il lavoro è andato avanti a singhiozzo (lo stop c’è stato per il turno di notte), mentre l’attività si è fermata del tutto alla Fma di Pratola Serra, l’azienda avellinese che produce motori per Fiat e General Motors, dove i 2.000 dipendenti sono stati messi in cassa integrazione.

La segreteria nazionale della Fiom ha chiesto alla Fiat «di aprire, subito dopo la manifestazione a Roma, un negoziato no stop a Melfi». La trattativa, secondo i metalmeccanici della Cgil, «si dovrà concludere in pochi giorni» con la definizione delle proposte con cui l'azienda intende rispondere alle richieste di turni di lavoro meno pesanti e di adeguamento dei salari a quelli degli altri dipendenti del gruppo. Le proposte della Fiat verranno poi sottoposte al voto segreto dei lavoratori e il sindacato dei metalmeccanici

19 ECONOMIA IL MESSAGGERO LUNEDÌ 3 MAGGIO 2004

17 ECONOMIA IL MESSAGGERO MARTEDÌ 4 MAGGIO 2004

Page 2: Melfi, ancora scioperi: domani la protesta arriva a Romawin.federazioneintesa.it/federazione/rassegna... · La trattativa, secondo i metalmeccanici della Cgil, «si dovrà concludere

2

della Cgil garantisce che si atterrà al responso di quel voto. Se la Fiat non dovesse invece aprire subito il negoziato, la Fiom minaccia ulteriori iniziative di lotta.

Alla vigilia della manifestazione, i sindacati hanno cercato poi di ricucire le spaccature dei giorni scorsi e chiesto l’intervento del governo affinché convochi un tavolo di confronto come per la vertenza Alitalia. «Stiamo lavorando con i segretari della Fiom, Gianni Rinaldini, e della Uilm, Antonino Regazzi a un percorso comune» per risolvere la questione di Melfi, ha detto il segretario della Fim, Giorgio Caprioli, secondo il quale la trattativa potrebbe ripartire domani sera. «Probabilmente qualche errore lo abbiamo commesso all'inizio, abbiamo sottovalutato la cosa. Ma se ne discute e se ne ragiona, non si arriva ai picchetti», ha affermato Regazzi. «Ciò che è mancato in questa fase - ha aggiunto il sindacalista - è stato il rapporto da parte della Uilm e della Fim, con i lavoratori che protestavano, tra i quali ci sono anche nostri iscritti». La Uilm ha poi attaccato duramente la Fiat: «a Melfi - ha sostenuto ancora Regazzi - ha messo persone non capaci alle relazioni sindacali perché non si governa a colpi di provvedimenti disciplinari».

«E’ indispensabile ed urgente la piena ripresa dell'attività produttiva nello stabilimento di Melfi», è stata la replica della Fiat, che ha confermato «di essere disponibile al confronto di merito tra le parti».

Il racconto di Maria, delegata della Fim: «Ecco come sono stata insultata e minacciata» MELFI - Maria Grieco la delegata Fim dello stabilimento di Melfi che ha denunciato nei giorni scorsi di essere stata minacciata ad un presidio dei manifestanti dello stabilimento Fiat, ha ricostruito l'episodio durante la riunione della segreteria nazionale Fim con i delegati della Rsu dello stabilimento. «Venerdì - è il racconto - ho preso l'autobus la mattina e intorno alle 5,20 sono arrivata al presidio vicino allo stabilimento Barilla. Lì i lavoratori che manifestavano si sono messi davanti all'autobus e hanno cominciato ad insultarci. Un collega che era sull'autobus - ha continuato - ha chiesto all'autista di aprire la porta per poter replicare. A quel punto si è avvicinata una persona che aveva una tuta da lavoro della Fiat e mi ha fotografata. «Ti ho riconosciuta, ti romperemo la faccia dentro e fuori lo stabilimento». A quel punto molto turbata ho chiesto all'autista di chiudere la portiera e talmente ero turbata che ho sbagliato l'ingresso della fabbrica. Così, invece, che scendere all'ingresso C dove lavoro, sono scesa al B. Nei pressi della pensilina vi erano quattro persone che mi sembravano anziane dal colore dei capelli. Io mi sono avviata e sono state lanciate delle pietre che non mi hanno raggiunta. Dopo mi sono state rivolte altre parolacce. Si è trattato - ha detto - di una aggressione verbale». Maria Grieco ha, inoltre, riferito che una persona è prima andata a casa della sorella, poi in quella della madre chiedendo che non fosse presentata la denuncia, «perché - ha detto - siamo tutti lavoratori». «Al momento dell'aggressione - ha precisato la delegata - non vi erano né poliziotti, né carabinieri». DA OGGI RIFORMA PREVIDENZIALE IN SENATO

Maggioranza divisa sui fondi pensione ROMA – Sulle pensioni è di nuovo battaglia nella maggioranza. Questa volta lo scontro riguarda il cosiddetto ”secondo pilastro”, ovvero la previdenza complementare, aspetto qualificante della delega sulla riforma pensionistica che da oggi sarà all’esame dell’aula del Senato. Nel pomeriggio di ieri due senatori di Forza Italia, Mario Ferrara e Lucio Malan, hanno presentato un emendamento - a loro dire concordato con il ministero dell’Economia - con l’obiettivo di stralciare dalla delega sulla riforma pensionistica tutti gli articoli relativi alla previdenza complementare.

Poche ore dopo uno stringato comunicato del dicastero delle Politiche Sociali, Roberto Maroni, annunciava la presenza del ministro in Senato questa mattina con l’ obiettivo di chiedere il ritiro dell’emendamento. «Se togliamo anche le norme sul secondo pilastro della delega resta ben poco», ha sottolineato Maroni.

Ma perché si è acceso lo scontro? Per capirlo occorre fare un passo indietro. Qualche giorno fa - durante le votazioni presso la Commissione Lavoro - è passato un emendamento che prevede l’equiparazione del trattamento fiscale fra fondi pensione e polizze assicurative individuali. Questa decisione ha un costo per le casse pubbliche e quindi assorbirebbe una parte dei risparmi garantiti dalla delega di riforma.

L’emendamento di Ferrara e Malan non serve, dunque, ad strocare sul nascere l’equiparazione fra fondi pensione e assicurazioni individuali - dei quali si dovrebbe discutere in futuro - ma semplicemente a preservare i risparmi sulle pensioni previsti dalla delega. Risparmi sui quali tengono i fari accesi sia la Commissione Europea che le agenzie di rating (come Moody’s o Standard and Poor’s) che fissano il grado di “sicurezza” del nostro debito pubblico.

18 ECONOMIA IL MESSAGGERO MARTEDÌ 4 MAGGIO 2004

Page 3: Melfi, ancora scioperi: domani la protesta arriva a Romawin.federazioneintesa.it/federazione/rassegna... · La trattativa, secondo i metalmeccanici della Cgil, «si dovrà concludere

3

Il negoziato potrebbe ripartire in serata. Lento riavvio della produzione in Basilicata: ieri fabbricate 70 Ypsilon

Fiat, si cerca di riaprire il confronto Tremila in corteo a Roma. Oggi manifestazione a Melfi, sciopera anche la Cisl

di JACOPO ORSINI ROMA - «A uguale lavoro stesso salario». La protesta degli operai della Fiat di Melfi è arrivata ieri a Roma. Un corteo di oltre mille persone - tremila secondo la Fiom, che ha promosso la manifestazione - ha sfilato per le vie della capitale per chiedere all’azienda di riaprire subito la trattativa sullo stabilimento lucano. Dove nel frattempo la produzione è lentamente ripresa dopo due settimane di blocco. A Melfi ieri, secondo la Fiat, grazie al rientro in fabbrica di circa 500 dipendenti, sono state fabbricate 70 Ypsilon. Ma la Fiom ha negato che le linee si siano rimesse in moto: nello stabilimento, secondo il sindacato, c’erano solo 140 persone. L’attività è ripartita invece negli altri impianti del gruppo, anche se lo stop dei giorni scorsi finora ha impedito la produzione di 37mila auto.

«Salario, diritti, democrazia», si leggeva sullo striscione firmato dalla Rsu Fiom-Cgil dello stabilimento Fiat di Melfi che apriva il corteo, partito da piazza della Repubblica e finito in largo di Santa Susanna, di fronte alla sede romana della casa automobilistica. Adeguamento delle paghe a quelle degli altri lavoratori del gruppo; turni meno pesanti, con il superamento della cosiddetta doppia battuta (cioè dodici notti consecutive di lavoro) e miglioramento delle relazioni sindacali le richieste dei lavoratori.

Partiti nella notte in pullman da Melfi, gli operai della Fiat sono arrivati a Roma decisi a non interrompere la protesta fino a che non verrà riavviata la trattativa. E per questo poi in serata l’assemblea dei lavoratori ha deciso di prorogare lo sciopero fino a oggi. «Non chiediamo niente di eccezionale solo i nostri diritti, a partire da un salario come negli altri stabilimenti del gruppo», dice Vincenzo D’anella, da dieci anni nella fabbrica lucana.

Per sostenere la lotta delle tute amaranto di Melfi, ieri nella capitale sono arrivate delegazioni della Fiom e dei lavoratori degli altri stabilimenti del gruppo da tutta Italia. «Siamo tutti operai di Melfi», c’era scritto su uno striscione giallo della Fiom di Torino. Ma sparse nel corteo c’erano anche le bandiere della Failms-Cisal e dei Cobas. Assenti invece Fim e Uilm, che non hanno mai condiviso la protesta degli operai lucani. Anche se i metalmeccanici della Cisl hanno proclamato per oggi uno sciopero di otto ore a sostegno della vertenza.

«I lavoratori di Melfi sono pagati il 20% in meno di quelli degli altri stabilimenti. Ora hanno alzato la testa e hanno detto basta. Non siamo una colonia della Fiat», urla un delegato sindacale nel megafono al termine della manifestazione, prima di cedere la parola al segretario generale della Fiom, Gianni Rinaldini. «Deve essere convocata immediatamente una trattativa e il negoziato deve essere no stop per verificare la possibilità di fare un accordo che sarà valido solo se i lavoratori lo approveranno», dice il numero uno dei metalmeccanici della Cgil. «Non siamo disponibili a mollare se non si apre un tavolo», dice Rinaldini.

La ripresa del negoziato comunque sembra in vista. Le delegazioni dei lavoratori e dell’azienda potrebbero tornare a vedersi già stasera, dopo la manifestazione organizzata a Melfi dalla Fim. Ancora incerta però la sede del nogoziato: la Fiom vorrebbe farlo a Potenza, all’Unione industriali della Basilicata. La Fiat invece, che anche ieri ha confermato la disponibilità a ritornare al tavolo, preferisce Roma, sede neutrale e soprattutto lontana dalle tensioni dello stabilimento lucano. Se l’azienda non riaprirà il confronto comunque, sottolinea ancora Rinaldini, toccherà al governo convocare le parti. E disponibile a far intervenire l’esecutivo per risolvere la crisi si è detto il ministro le Politiche agricole, Gianni Alemanno. «Penso - spiega il ministro - che sia necessario comprendere i problemi di questi lavoratori che non possono fare lo stesso lavoro dei colleghi del Nord, percependo un salario inferiore, con turni massacranti ed essendo obbligati ad una maggiore produttivita».

Vertice Fini, Tremonti, Maroni: penalità per le lavoratrici, ma nel 2008 non salirà l’età del pensionamento

Donne, l’anzianità resta a 57 anni E c’è l’ipotesi di dirottare le liquidazioni all’Inps: incassi per 7 miliardi

di PIERO CACCIARELLI

15 ECONOMIA IL MESSAGGERO MERCOLEDÌ 5 MAGGIO 2004

16 ECONOMIA IL MESSAGGERO MERCOLEDÌ 5 MAGGIO 2004

Page 4: Melfi, ancora scioperi: domani la protesta arriva a Romawin.federazioneintesa.it/federazione/rassegna... · La trattativa, secondo i metalmeccanici della Cgil, «si dovrà concludere

4

ROMA – C’è grande movimento intorno alle pensioni e, soprattutto, alle liquidazioni degli italiani. Due le notizie di ieri. La prima: la maggioranza ha deciso di modificare le regole per il pensionamento di anzianità delle donne. In sintesi, dal 2008 le lavoratrici potranno mantenere il diritto di andare in pensione con 57 anni d’età e 35 di contributi (i maschi, invece, dovranno avere almeno 60 anni d’età) ma la loro rendita sarà calcolata solo con il sistema contributivo subendo quasi sempre un taglio consistente.

Seconda notizia. Il ministero dell’Economia ha allo studio un provvedimento clamoroso: il ”dirottamento” di tutte le liquidazioni che matureranno dal 2005 presso un fondo dell’Inps. Il provvedimento avrebbe un ciclopico effetto sul deficit che verrebbe abbattuto di ben 7 miliardi all’anno non solo per il 2005 (anno per il quale - vale la pena ricordarlo - il governo ha promesso un calo delle tasse) ma anche per gli anni successivi.

Come funzionerebbe il fondo Inps ancora non è chiarissimo ma è certo che un provvedimento del genere prosciugherebbe una fonte di liquidità a buon mercato per le aziende e - se non ben spiegato - potrebbe scatenare forti preoccupazioni presso i circa 15 milioni di lavoratori dipendenti italiani. Ma, nonostante dubbi e problemi, nella pentola della Ragioneria dello Stato sta bollendo qualcosa di grosso tanto che ieri fonti governative hanno fatto balenare all’agenzia di stampa Radiocor-Il Sole 24 Ore addirittura l’arrivo di un decreto legge.

Per sostenere un decreto legge su una materia delicatissima come le liquidazioni occorrerebbe tuttavia una compattezza politica della maggioranza che al momento è inesistente.

Per capire quanto sia scivoloso il terreno di un blitz sulle liquidazioni basti dire che il primo, cautissimo, ”assalto” si è arenato proprio ieri nel corso di un vertice fra i ministri Tremonti (Economia), Maroni (Politiche Sociali) e Fini (vicepremier). I tre esponenti del governo hanno deciso di far ritirare l’emendamento firmato da due senatori di Forza Italia che prevedeva lo stralcio dalla delega sulla previdenza di tutte le norme sulla previdenza integrativa. In queste norme si prevede la possibilità di spostare la liquidazione futura verso i fondi pensione. E non bisogna essere particolarmente maliziosi per capire che lo stralcio sarebbe servito proprio per spianare la strada all’idea del ”dirottamento” delle liquidazioni verso l’Inps.

Lo stralcio però è stato bruscamente stoppato sia da Maroni che da Fini (e anche Tremonti si è detto soddisfatto) dopo che aveva suscitato una mezza sollevazione dell’Ania (l’associazione delle assicurazioni), dei sindacati e di buona parte del Parlamento. Non a caso ieri mattina nell’aula del Senato - convocata proprio per votare la delega sulla previdenza - il numero legale è mancato per quattro volte consecutive.

E’ evidente, comunque, che la ”ritirata strategica” di ieri del ministro dell’Economia non significa che la partita sulle liquidazioni sia finita. La ricerca di sistemi più o meno creativi per finanziare il calo delle tasse evitando che il deficit superi la quote del 3% vietata dal trattato di Maastricht è solo all’inizio. E all’approvazione della Finanziaria - generalmente fissata per fine dicembre - mancano ancora otto lunghissimi mesi.

LE IPOTESI

Nel mirino aiuti alle imprese e contratti pubblici Cura dimagrante per gli incentivi e rinvio dei rinnovi possono garantire il grosso dei 12,5 miliardi ROMA – Per capire da dove dovrebbero arrivare i soldi necessari a finanziare la riduzione dell’Irpef, basta confrontare le dichiarazioni degli esponenti politici di maggioranza con le principali voci del bilancio dello Stato. Silvio Berlusconi ha esplicitamente escluso tagli nei settori della scuola, della sanità, della sicurezza e dello Stato sociale. Cosa resta allora nei grandi capitoli della spesa pubblica? Essenzialmente tra le uscite correnti i cosiddetti ”consumi intermedi”, le retribuzioni dei dipendenti pubblici (salvo appunto quelli dei settori ”protetti”) e tra quelle in conto capitale i trasferimenti alle imprese.

Quest’ultima voce è dichiaratamente al centro dell’attenzione. L’obiettivo è razionalizzare il flusso dei contributi agli investimenti, pari a circa 17 miliardi l’anno (nell’ambito degli oltre 50 di trasferimenti complessivi). Questa massa di aiuti è attualmente dispersa in una serie di leggi di incentivazione che si sono stratificate nel corso degli anni. Una parte consistente delle risorse è destinato alle imprese che investono nelle regioni meridionali, il che rende molto delicato qualsiasi forma di intervento.

Le forme di risparmio ipotizzate sono due: da una parte una sensibile sforbiciata alla somma totale erogata, dall’altra la trasformazione dei contributi a fondo perduto in prestiti, seppur a tasso agevolato. In questo modo il governo intende anche combattere le forme di spreco, per cui un’azienda si assicura un’agevolazione per poi abbandonare l’investimento, visto che non è tenuta a restituire nulla.

I consumi intermedi comprendono invece le spese di funzionamento dei ministeri, degli enti locali e degli altri pezzi dello Stato. Su questo capitolo, dopo le cure dimagranti degli anni scorsi, i margini di

5 PRIMO PIANO IL MESSAGGERO VENERDÌ 7 MAGGIO 2004

Page 5: Melfi, ancora scioperi: domani la protesta arriva a Romawin.federazioneintesa.it/federazione/rassegna... · La trattativa, secondo i metalmeccanici della Cgil, «si dovrà concludere

5

compressione non sono giganteschi: lo stesso decreto taglia-spese, se attivato, può portare un beneficio massimo di 2-2,5 miliardi di euro.

Restano quindi gli stipendi dei dipendenti pubblici. Nessuno ha pubblicamente detto di voler risparmiare su questa voce, ma la preoccupazione è forte all’interno di partiti di maggioranza come An e Udc. La tentazione dll’esecutivo potrebbe essere quella di portare per le lunghe le trattative, ottenendo così il rinvio di almeno un anno di un esborso aggiuntivo di qualche miliardo.

Dunque se le ipotesi tecniche sono già pronte, applicarle concretamente non sarà facile. Lo si capisce anche dalle parole pronunciate ieri dal ministro delle Politiche comunitarie Buttiglione: «Tutti noi vogliamo ridurre le tasse - ha ammonito - ma senza saltare un turno di contratti del pubblico impiego, ridurre il sostegno alle imprese del Mezzogiorno. È un compito difficile».

L. Ci.

Pisanu: «Da oggi con i 1.200 già in servizio. Nel 2006 saranno seimila»

Poliziotti di quartiere, ne arrivano altri 700 Berlusconi: «Garantiscono a tutti i cittadini il diritto a non avere paura»

di CARLO MERCURI ROMA - Da oggi scendono in strada altri 700 poliziotti e carabinieri di quartiere. Con i 1.200 che già sono operativi da un anno fanno in tutto 1.900. Altri 300 prenderanno servizio entro la fine dell’anno, «cosicché all’inizio del 2005 avremo 2.200 operatori attivi per la tutela di 479 quartieri nelle 103 province italiane. Ma l’obiettivo è quello di schierare entro la primavera del 2006 qualcosa come 5.900 poliziotti e carabinieri in più di mille quartieri». Lo ha affermato il ministro dell’Interno, Giuseppe Pisanu, intervenendo alla Scuola superiore dell’Amministrazione dell’Interno, alla presenza del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, e dei capi di Polizia e carabinieri, Gianni De Gennaro e Luciano Gottardo (quest’ultimo fresco di investitura al vertice dell’Arma). L’“invasione” dei quartieri delle nostre città da parte di quest’esercito di Forze dell’Ordine (altrimenti chiamato “polizia di prossimità”) è un’autentica «rivoluzione culturale», come l’ha definita De Gennaro. Non soltanto un mero aumento di poliziotti e carabinieri sui nostri marciapiedi, ma l’inizio promettente di un nuovo modo di intendere il rapporto cittadini-Forze dell’Ordine, reso visibile dalla presenza costante e rassicurante degli uomini in divisa accanto alla gente, capaci di interpretarne sul nascere i bisogni di sicurezza. «Un po’ marescialli, un po’ farmacisti, un po’ curati, un po’ giornalai», li ha scherzosamente definiti Berlusconi. «I poliziotti e i carabinieri di quartiere - ha detto - devono riavviare il rapporto di confidenza e di cordialità tra le Forze dell’Ordine e i cittadini. Devono garantire alla gente il diritto di non avere paura, devono scongiurare con la loro sola presenza l’attività dei malintenzionati. Devono avere l’occhio lungo e come “zii di famiglia” devono anche saper consigliare e rassicurare». Tra l’altro, questo nuovo “formato” di polizia di prossimità pare abbia già prodotto un miracolo, quale quello di uno straordinario innalzamento del livello di cooperazione tra Polizia e carabinieri. Pisanu, nell’affermarlo, ha detto di aver avuto un «fremito d’orgoglio. Questa collaborazione tra Polizia e carabinieri - ha aggiunto - è una meta che vogliamo spostare sempre più avanti». Le parole di Pisanu sono state definite da Berlusconi «musica per le mie orecchie. L’organizzazione collaborativa tra Polizia e carabinieri - ha aggiunto - funziona come mai prima d’ora. Anzi, prima - ha detto ancora - c’era sempre stata una certa rivalità». Infine, il presidente del Consiglio si è detto soddisfatto per veder «realizzata un’idea che portammo avanti quando eravamo all’opposizione. Individuammo allora nel poliziotto di quartiere l’istituto che incideva di più sul concetto di difesa dei cittadini che volevamo attuare». «E’ stata una buona idea», ha concluso Pisanu. Vedremo, quando sarà a regime, se funzionerà. HANNO DETTO «Rivoluzione culturale» Il capo della Polizia, Gianni De Gennaro, ha affermato: «Non si tratta solo di un processo di innovazione sotto il profilo organizzativo ma di una vera e propria rivoluzione culturale dettata dall’esigenza di rispondere in modo nuovo alla domanda di sicurezza espressa dai cittadini». Fiat disposta ad aumentare la paga notturna però chiede tempo. La Fiom: risposta inadeguata

15 CRONACHE ITALIANE IL MESSAGGERO VENERDÌ 7 MAGGIO 2004

19 ECONOMIA IL MESSAGGERO VENERDÌ 7 MAGGIO 2004

Page 6: Melfi, ancora scioperi: domani la protesta arriva a Romawin.federazioneintesa.it/federazione/rassegna... · La trattativa, secondo i metalmeccanici della Cgil, «si dovrà concludere

6

A Melfi si tratta, ma sul salario le posizioni rimangono distanti

dal nostro inviato JACOPO ORSINI MELFI - La trattativa fra Fiat e sindacati va avanti, ma le posizioni per ora restano distanti e lo sciopero prosegue. Il confronto avviato ieri pomerigio fra la Rappresentanza sindacale unitaria (Rsu), il parlamentino di fabbrica composto da una sessantina di delegati, e il vertice dell’azienda, guidato dal direttore del personale dello stabilimento, Roberto Cortese, è stato interrotto in tarda serata e riprenderà stamani. «Le risposte fin qui date dalla Fiat sono del tutto inadeguate», ha detto in serata il segretario della Fiom di Potenza, Giuseppe Cillis. Più cauto invece il segretario della Cgil della Basilicata, Giannino Romaniello: «Siamo ancora in fase iniziale di trattativa, è affrettato esprimere giudizi, sia positivi che negativi».

Gli operai, in sciopero ormai da quasi tre settimane, chiedono turni meno pesanti, e in particolare il superamento della doppia battuta, cioè due settimane di fila di lavoro noturno; l’equiparazione dei salari a quelli degli altri stabilimenti del gruppo e il ritiro dei provvedimenti disciplinari. Le posizioni, dopo un pomeriggio di discussioni, sembrano abbastanza vicine per quanto riguarda gli orari, con la Fiat che si è detta disponibile ad abolire la doppia battuta. Non c’è accordo invece sul salario e l’intesa sembra lontana anche sulle condizioni di lavoro. La società accetta il principio di portare la maggiorazione riconosciuta per il lavoro notturno allo stesso livello degli altri stabilimenti del gruppo. Ma è disposta a concedere solo un terzo dell’aumento richiesto a partire dal gennaio 2005 e il resto gradualmente dal 2006 e compatibilmente con il miglioramento dei conti di Fiat Auto, che per ora continua a perdere soldi. I sindacati al contrariochiedono tutto l’incremento subito.

In attesa di capire quali sono i margini per trovare un’intesa, lo sciopero quindi prosegue. Mentre resta il gelo tra la Fiom, che ha appoggiato la protesta fin dall’inizio, e Fim e Uilm, che invece si sono sempre opposte alla lotta. Ieri secondo la Fiat sono entrate in fabbrica circa 600 persone e sono state prodotte 160 auto, fra Punto e Ypsilon. Una versione che come nei giorni scorsi è stata contestata dai sindacati, secondo i quali nello stabilimento c’erano meno di 200 dipendenti. «La forza lavoro è tutta fuori, dentro ci sono solo capi e capetti - sostiene un operaio -. I pullman entrati nello stabilimento erano tutti vuoti».

L’INTERVISTA Il questore: presto altri agenti in strada Il ministro degli Interni Pisanu ha annunciato l’arrivo di 700 nuovi poliziotti di quartiere in tutta Italia. Di questi, nella Capitale, ne arriveranno una trentina che andranno ad aggiungersi agli oltre settanta già in servizio e ai circa quaranta carabinieri che svolgono identico lavoro. Grazie a questi rinforzi, tra l’altro, a Roma potranno essere costituite le pattuglie dove prima non esistevano, ossia a Civitavecchia, Vescovio, Prenestino, Villa Glori, Monteverde e Porta Pia. «Sono da sempre -dice il questore Nicola Cavaliere - un fautore di questo modo di operare nella sicurezza».

Gregori all’interno

Con i rinforzi sarà possibile allargare la vigilanza anche a Monteverde, Prenestino, Vescovio, Villa Glori, Porta Pia e Civitavecchia

Il questore: «Così cresce la fiducia dei cittadini» Intervista a Nicola Cavaliere sul poliziotto di quartiere: «Metteremo in strada altri 30 agenti»

di ENRICO GREGORI Poliziotti e carabinieri di quartiere. La fase sperimentale può dirsi conclusa o, almeno, giunta a un punto di maturazione. Infatti, proprio ieri, il ministro Pisanu ha annunciato la destinazione di 700 nuovi agenti proprio a questo specifico servizio in tutta Italia. Della situazione attuale e delle prospettive che riguardano specificamente Roma ne parliamo con il questore Nicola Cavaliere.

Signor questore, quanti rinforzi per la Capitale? «Le cifre sono in corso di valutazione ma credo che potremo contare su una trentina di nuovi agenti».

35 CRONACA di ROMA IL MESSAGGERO VENERDÌ 7 MAGGIO 2004

38 CRONACA DI ROMA IL MESSAGGERO VENERDÌ 7 MAGGIO 2004

Page 7: Melfi, ancora scioperi: domani la protesta arriva a Romawin.federazioneintesa.it/federazione/rassegna... · La trattativa, secondo i metalmeccanici della Cgil, «si dovrà concludere

7

Da distribuire in che modo? «Innanzitutto istituiremo il servizio dove non c’era, ossia a Civitavecchia, Vescovio, Prenestino, Villa Glori, Monteverde e Porta Pia. Poi rafforzeremo gli organici presso i quattordici commissariati nei quali il poliziotto di quartiere è già attivo». Al numero degli appartenenti alla Polizia va aggiunto quello dei carabinieri che, con una unità per turno, svolgono la loro attività nelle stesse zone già preventivamente pianificate.

Con questi nuovi innesti il numero è congruo? «In una città grande come Roma la richiesta di sicurezza è sempre difficile da soddisfare a pieno. Io penso che tra non molto saremo a regime fermo restando che non tutte le zone della Capitale potranno avere il modulo del poliziotto e carabiniere di quartiere».

Come si è proceduto per distribuire le forze? «Sono state privilegiate le zone commerciali e ad alta densità abitativa. In queste realtà il poliziotto in servizio deve prendere in custodia una limitata area per potere svolgere al meglio il suo servizio. Inoltre nella stessa zona vengono impiegati sempre gli stessi uomini in modo da stabilire un rapporto fiduciario con commercianti e cittadini».

E questo rapporto funziona? «A giudicare dalla reazioni positive e dall’abbattimento di alcuni reati direi di sì. Il poliziotto e il carabiniere di quartiere si fanno conoscere anche per nome in modo da istaurare vicinanza e favorire la reperibilità».

Possiamo dire che le zone dove avete istituito il servizio sono privilegiate rispetto ad altre? «No, sono solo diverse. In alcune zone il poliziotto di quartiere, allo stato dei fatti, non ha ragion d’essere ed è più opportuno affidarsi ad altri moduli di sicurezza come le volanti, il servizio su camper, gli agenti motociclisti o il personale della Squadra Mobile. E non dimentichiamo i parchi dove agisce quasi in modo esclusivo il personale delle squadre a cavallo che recentemente sono state assegnate alla Questura di Roma».

Qual è, insomma, la peculiarità del poliziotto di quartiere? «E’ ovvio che quando si verifica un reato può intervenire. Ma la sua funzione è quella di monitorare la zona a lui affidata e ricevere informazioni utili soprattutto alla prevenzione. Per questo ha molta importanza la visibilità degli agenti che devono andare in giro esclusivamente a piedi guadagnando giorno dopo giorno la fiducia dei residenti».

Con quali strumenti? «Secondo me rivestono molta importanza la professionalità e l’approccio del personale che svolge questo delicato compito nonché gli strumenti di cui dispone: per esempio il cellulare palmare nella cui memoria l’agente immagazzina tutte le notizie e le segnalazioni ricevute in zona in modo che quando fa ritorno nel suo ufficio, dove lo attende il coordinatore, oltre che riferire sulle novità, scarica dal palmare le informazioni acquisite per procedere alla valutazione degli interventi».

Per lei l’esperimento ha funzionato? «Per me sì. Io sono un convinto assertore sin dal primo momento di questo modo capillare e non dispersivo nell’offrire sicurezza alla gente».

DOVE SI VIGILA GIA’ IN SERVIZIO BORGO, CASTRO PRETORIO, ESPOSIZIONE, ESQUILINO, FIDENE, MONTE MARIO, OSTIA, SAN GIOVANNI, PRATI, SALARIO-PARIOLI, TRASTEVERE, TREVI, TUSCOLANO E VIMINALE

IN ARRIVO VESCOVIO, VILLA GLORI, PRENESTINO, MONTEVERDE, PORTA PIA, CIVITAVECCHIA

• Ogni agente di quartiere, rigorosamente in divisa, è equipaggiato con la pistola in dotazione alla Polizia, un manganello e un telefono cellulare palmare che è a tutti gli effetti un piccolo computer in grado di immagazzinare dati e informazioni da utilizzare nello svolgimento del servizio

144 Tanti saranno gli agenti in servizio di “quartiere”

entro la prossima settimana. Attualmente sono già

impiegati 38 carabinieri e 76 poliziotti, ai quali

la Questura ne aggiungerà altri 30

Page 8: Melfi, ancora scioperi: domani la protesta arriva a Romawin.federazioneintesa.it/federazione/rassegna... · La trattativa, secondo i metalmeccanici della Cgil, «si dovrà concludere

8

La Ragioneria generale: peggiorano i conti dell’Inps, serve un riequilibrio ROMA – Peggiorano i conti dell’Inps e la Ragioneria generale dello Stato «ribadisce la necessità dell'adozione di idonei interventi atti al riequilibrio della gestione». Il giudizio è contenuto nella nota, a firma di Vittorio Grilli, che valuta il bilancio di previsione 2004 dell'istituto previdenziale. E le osservazioni critiche non mancano. Innanzitutto si fa osservare che «il preventivo pur essendo stato approvato a fine febbraio, non recepisce gli effetti derivanti dalle norme della Finanziaria per il 2004». Di conseguenza «si rende necessario che l’Inps proceda quanto prima ad adottare gli opportuni provvedimenti di variazione».

Nel merito, la Ragioneria fa notare il peggioramento del saldo di parte corrente «sostanzialmente connesso ad un più contenuto incremento delle entrate rispetto a quello delle spese». Si passa poi all’analisi delle singole gestioni previdenziali: per la maggior parte di esse «si evidenzia ancora una volta lo squilibrio in cui versano». Un giudizio non favorevole che riguarda un po’ tutti i fondi. «In particolare per il fondo pensioni lavoratori dipendenti - il cui deficit globale 2004 non viene più fronteggiato dall’avanzo delle prestazioni temporanee - la situazione si è ulteriormente aggravata con la confluenza della gestione Inpdai. Peggiora altresì il risultato dell’area dei lavoratori autonomi e presenta segno negativo anche il Fondo volo».

Infine ci sono una serie di richiami sulle spese , tra cui quello a «contenere l’onere per missioni».

LA BATTAGLIA PER IL RINNOVO

Dipendenti pubblici, per il contratto sarà sciopero generale Stop il 21 per statali, scuola, sanità, enti locali. I sindacati: il governo tradisce i patti. Epifani: che c’entrano le tasse con quanto dovuto ai lavoratori? Fondi non per tutti, e solo per l’inflazione programmata dell’ultimo biennio ROMA – Dopo i lavoratori dell'Alitalia e gli operai della Fiat di Melfi, a fermarsi saranno ora i dipendenti pubblici. Per venerdì 21 maggio infatti i sindacati del pubblico impiego di Cgil, Cisl e Uil hanno proclamato uno sciopero generale della categoria (circa tre milioni di lavoratori) a sostegno dei rinnovi dei contratti, scaduti ormai da più di quattro mesi. Per la stessa data è stata indetta una mobilitazione anche dall'Ugl.

Insieme allo sciopero che fermerà gli statali, i lavoratori della scuola, della sanità, degli enti locali, delle agenzie fiscali e dell'Università e ricerca, è prevista una manifestazione nazionale a Roma a Piazza San Giovanni, alla quale sono attese più di 400.000 persone.

Lo sciopero, proclamato dall'assemblea dei delegati del settore - a cui hanno partecipato i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil Guglielmo Epifani, Savino Pezzotta e Luigi Angeletti - scatta per il mancato stanziamento da parte del governo di risorse sufficienti allo sblocco dei contratti. Solo per quelli «centrali» (Statali, università, ricerca e scuola), per i quali lo stanziamento era in Finanziaria, il governo ha previsto risorse per aumenti del 3,6% (circa 2,2 miliardi di euro) contro richieste sindacali dell'8% (circa 4,8 miliardi).

L'esecutivo - accusano i sindacati - non rispetta l'accordo del luglio ’93 e ha inserito in Finanziaria solo gli aumenti per il tasso programmato di inflazione per il 2004-2005, e non per il recupero del divario tra tasso programmato e reale per il biennio trascorso: 2,2% il differenziale nel biennio 2002-2003, secondo i sindacati che chiedono poi per il 2004-2005 il 2,4% l'anno di inflazione reale prevista e lo 0,5% per la produttività.

«Chiediamo al governo - ha spiegato Pezzotta - di fare il contratto. Chiediamo le risorse per fare l'accordo, non la luna nel pozzo, ma una cosa semplicissima. Ci obbligano a mobilitarci per una cosa che dovrebbe essere nella normalità delle regole sindacali». Guglielmo Epifani, invece accusa il ministro del Welfare, Roberto Maroni, di non prendere mai le parti dei lavoratori. «Mi domando - ha detto - dove stia questo ministro. Anche quando non insulta i sindacati non è mai dalla parte dei lavoratori. Non ci sono i soldi per i contratti pubblici - ha aggiunto - e si parla di taglio delle tasse. Sono due cose che non c'entrano. Non si può usare quell'argomentazione per negare questo diritto».

E proprio la nuova stretta che si profila dopo gli nanunci di Berlusconi, in aggiunta ai fondi già stanziati ocn il contagocce, a far scattare l’allarme rosso per i dipendenti publlici. Il rischio è anche che il rinnovo del loro ocntratto si trasformi in una battaglia campale di lunga durata.

3 PRIMO PIANO IL MESSAGGERO SABATO 8 MAGGIO 2004

23 ECONOMIA IL MESSAGGERO SABATO 8 MAGGIO 2004

Page 9: Melfi, ancora scioperi: domani la protesta arriva a Romawin.federazioneintesa.it/federazione/rassegna... · La trattativa, secondo i metalmeccanici della Cgil, «si dovrà concludere

9

Oggi la trattativa torna a Roma. In caso di mancata intesa lavoratori pronti ad inasprire le forme di lotta

Fiat, si rischia un nuovo scontro A Melfi offerti 92 euro lordi di aumento ma per il sindacato è insufficiente

dal nostro inviato JACOPO ORSINI MELFI - Dopo 19 giorni di sciopero e due di trattativa la Fiat ha messo sul tavolo una proposta conclusiva per chiudere la vertenza in corso allo stabilimento di Melfi. Ma l’offerta di aumento salariale proposta dell’azienda è stata giudicata insufficiente e nella notte l’assemblea dei lavoratori ha lanciato un ultimatum alla società: o accetta le tutte le nostre richieste o le forme di lotta verranno inasprite di nuovo.

L’azienda ha presentato ieri in serata alle Rsu (Rappresentanze sindacali unitarie) un’ipotesi di accordo che prevede per un operaio di terzo livello, la qualifica più diffusa, 92 euro lordi al mese di aumento per allineare in tre tappe da oggi al 2006 i salari degli operai di Melfi a quelli degli altri stabilimenti del gruppo. Alla cifra proposta dall’azienda si arriva sommando l’aumento della maggiorazione per il lavoro notturno, che sale dal 45 al 60% della paga giornaliera, lo stesso livello delle altre fabbriche della casa torinese, e i soldi del premio di competitività, che da ora in poi verrebbe calcolato eliminando alcuni parametri penalizzanti per i lavoratori (come l’assenteismo).

La proposta della casa automobilistica è arrivata al termine di una giornata di convulse trattative quando la tensione ai cancelli dello stabilimento di Melfi cominciava a risalire e dopo che a metà giornata la svolta era sembrata invece vicina. «La Fiat ha rivisto la proposta su salario e turni. Registriamo un avanzamento», sottolineava il segretario della Fiom di Potenza, Giuseppe Cillis. Una proposta giudicata ancora insoddisfacente da tutti i sindacati, ma che lasciava intravedere la possibilità di chiudere già in serata.

L’intesa, secondo quanto si era già delineato giovedì sera, sembrava infatti già a portata di mano per gli altri due punti in discussione, e cioè turni e condizioni di lavoro. Sugli orari la Fiat è infatti favorevole ad eliminare il sistema della doppia battuta, cioè dodici notti consecutive di lavoro notturno. E anche sul terzo punto della trattativa, cioè la richiesta di ritirare i provvedimenti disciplinari, la casa torinese si è detta disponibile a esaminare i casi «anomali». Ma il problema da risolvere rimaneva quello del salario, dove le posizioni rimanevano distanti. La speranza di chiudere presto quindi sfumava e oggi la trattativa si sposterà di nuovo a Roma poiché l’azienda ha chiesto un incontro alle segreterie nazionali di Fiom, Fim e Uilm.

«Dobbiamo mantenere la calma - si sgolava il segretario della Fiom di Potenza, Giuseppe Cillis -. Stiamo lavorando perché in tempi rapidissimi si faccia l’accordo». Mentre lo sciopero andava avanti anche ieri, fra gli operai le voci di chi premeva per ripartire con forme di protesta più dure si erano infatti intensificate con il passare delle ore. Al cambio turno delle 14 i pullman che di solito trasportano gli operai sono arrivati in fabbbrica praticamente vuoti, come nei giorni scorsi. I pochi lavoratori entrati nello stabilimento sono stati accolti con fischi, applausi ironici e qualche insulto («lecchini», quello preferito) dai colleghi che da tre settimane presidiano l’ingresso della fabbrica. Secondo la Fiat in mattinata nell’impianto di Melfi c’erano circa 700 persone e alla fine della giornata le auto prodotte sono state 160. Dati ancora una volta contestati dai sindacati, per i quali in fabbrica non c’erano più di un centinaio di dipendenti e l’attività sulle linee non è affatto ripresa.

IL CASO

LA RIFORMA LA CARICA DEI 300.000

Tanti sono gli universitari che a giugno potrebbero completare il primo ciclo delle lauree brevi

La riforma delle professioni Entro maggio il testo approderà in Consiglio dei Ministri

GLI OBIETTIVI

Revisione delle nuove lauree e raccordo tra titoli universitari e criteri di accesso agli albi

IL MESSAGGERO PRIMA PAGINA DOMENICA 9 MAGGIO 2004

Page 10: Melfi, ancora scioperi: domani la protesta arriva a Romawin.federazioneintesa.it/federazione/rassegna... · La trattativa, secondo i metalmeccanici della Cgil, «si dovrà concludere

10

È scontro nelle professioni su ruolo e compiti di chi ha una laurea breve

SERSALE A PAG. 15 IL FORUM

LA SPESA PER I DIPENDENTI PUBBLICI (% SUL PIL)

FRANCIA GERMANIA ITALIA

11,03% 7,87% 6,89%

SPAGNA SVEZIA REGNO UNITO

9,03% 15,49% 7,84% FONTE: OCSE-PUM

Più Internet, meno assunti Ecco come cambia la pubblica amministrazione

PIOVANI ALLE PAGG. 19, 20 E 21

CDL VERSO IL VERTICE

An e Udc frenano su imprese e statali Altolà di Fini e Follini. Rutelli: Berlusconi prende in giro gli italiani

di ALBERTO GENTILI ROMA - Dopo quarantott’ore animate dagli annunci firmati Silvio Berlusconi, arriva il giorno delle condizioni di Gianfranco Fini e di Marco Follini. Per carità, né il presidente di An, né il segretario dell’Udc si azzardano a rispondere con un ”no” alla riduzione delle aliquote Irpef. «Se reagissimo con un rifiuto», ha spiegato Fini ai suoi colonnelli, «Berlusconi userebbe questo argomento contro di noi». Ma nella sottile guerra di nervi che tormenta il centrodestra, gli alleati si affrettano a piantare più di un paletto. «Per buonsenso», come sostiene Follini. E perché, come afferma un autorevole ministro di An, «il ritorno elettorale del taglio alle tasse sarà a esclusivo vantaggio di Forza Italia». «Per questa ragione», aggiunge il segretario Udc, «dobbiamo far capire ai cittadini che per rilanciare l’economia non basta la bacchetta magica di un intervento fiscale. Ma serve l’accelerazione di riforme da tempo in lista d’attesa: pensioni, risparmio, diritto fallimentare, riforma delle professioni». Così, mentre i ministri forzisti Franco Frattini ed Enrico La Loggia aumentano il pressing sugli alleati, ricordando che la riduzione delle tasse «è un vecchio impegno elettorale» e dando per scontato il via libera di An, Lega e Udc («saremo tutti uniti sulla linea indicata da Berlusconi»), Fini esce allo scoperto. Scandisce il ”sì” richiesto: «Sono ottimista, si troverà un accordo». Ma mette, con diplomazia, i puntini su tutte le ”i”: «Credo che nella maggioranza non ci siano dissensi su una riforma del fisco che deve privilegiare

3 PRIMO PIANO IL MESSAGGERO DOMENICA 9 MAGGIO 2004

Page 11: Melfi, ancora scioperi: domani la protesta arriva a Romawin.federazioneintesa.it/federazione/rassegna... · La trattativa, secondo i metalmeccanici della Cgil, «si dovrà concludere

11

innanzitutto i ceti medi e le famiglie monoreddito». In ogni caso, per procedere alla riduzione dell’Irpef, «non si può e non si deve toccare la spesa sociale e quella per la sicurezza». A affondare gli altri paletti ci pensano Gianni Alemanno e Altero Matteoli. «Siamo ovviamente favorevoli alla riduzione della pressione fiscale», dice il ministro dell’Agricoltura, «però vogliamo che questi tagli siano a vantaggio del Mezzogiorno, perché intendiamo evitare ulteriori favori alle aeree forti del Paese». Chiaro il riferimento al nemico di sempre, Giulio Tremonti, e alla sua sintonia con la Lega. «In ogni caso», avverte Matteoli, «non bisogna penalizzare il mondo delle imprese». Il riferimento alle imprese è tutt’altro che casuale. In base alle prime anticipazioni, Berlusconi, Tremonti e la Lega vorrebbero rastrellare gran parte dei 12,5 miliardi di euro necessari al finanziamento dei tagli all’Irpef, attraverso la revisione del sistema di sostegno alle aziende. Obiettivo: attuare la metamorfosi degli aiuti a fondo perduto in prestiti agevolati. Qui, però, scatta l’altolà più convinto di An e Udc. «Una riorganizzazione è ipotizzabile», sostiene il ministro centrista Rocco Buttiglione, «ma guai a pensare di cancellare il sostegno alle imprese». Poi, visto che «la partita è essenzialmente elettorale», che ormai tra gli alleati della Casa delle libertà - con la parentesi della mediazione su Alitalia - va stabilmente in scena il copione dei ”fratelli coltelli”, Fini e Follini corrono a chiarire che mai e poi mai accetteranno il teorema caro alla Lega (e gradito a Tremonti) di finanziare il taglio alle tasse con il blocco dei contratti del pubblico impiego. «Questi contratti», avverte Buttiglione, «non si possono far saltare». Insomma, il vertice di maggioranza previsto tra martedì e mercoledì non sarà, per Berlusconi, una passeggiata. E non lo sarà neppure riguardo allo strumento d’intervento. Soprattutto l’Udc, che non esclude l’uso di un decreto per procedere ai tagli di spesa, guarda con sospetto «a una riforma fiscale fatta con un provvedimento d’urgenza». Il centrosinistra assiste alla guerra di nervi della Casa delle libertà mantenendosi prudente. Più nessuno ormai, in ragione dei brutti conti pubblici, si azzarda a dire che è un errore il taglio alle tasse. Ma c’è chi, come il ds Piero Fassino, pone condizioni: «La riduzione non deve essere a discapito di sanità e scuola». Chi, è il caso di Massimo D’Alema, accusa Berlusconi di voler favorire «solo i più ricchi». E chi, come Francesco Rutelli, scommette: «Ormai gli italiani non credono più al Cavaliere». Motivo: «In tre anni la pressione fiscale è cresciuta, sono aumentate le imposte locali ed è calato drammaticamente il potere d’acquisto delle famiglie».

LA “CARICA” DEI 300.000

335.106 175.000 12% Sono i primi universitari a completare il ciclo breve

Sono gli universitari che a giugno prossimo completano il primo ciclo di laurea triennale. Sarà il campione dei baby laureati

E’ la stima dei “triennalisti” che arriveranno al titolo. (I pochi già in circolazione sono i transfughi dei vecchi corsi)

I laureati in Italia di età compresa tra i 25 e i 34 anni. I nostri laureati arrivano al traguardo alla soglia dei 30 anni

A giugno i primi dottori con titolo “junior”: è guerra sulle competenze

Arrivano i baby-laureati: scontro nelle professioni

di ANNA MARIA SERSALE ROMA - Il mondo delle professioni è in gran fermento. A tre anni dall’introduzione delle nuove lauree (3+2) si litiga sulle nuove figure prima ancora che entrino nel mercato. Geologi contro ingegneri, ingegneri contro altri ingegneri, architetti contro paesaggisti ed esperti del verde, biologi contro farmacisti, agronomi contro periti tecnici, mentre monta il contenzioso di chi ricorre al Tar e alle carte bollate per difendere le posizioni “tradizionali”. Sono spuntati troppi titoli accademici ambigui, che non si sa bene a quali competenze corrispondano. Ne sanno qualche cosa i giudici amministrativi, chiamati a individuare le sottili «linee di demarcazione dei compiti» attribuiti a ciascuna categoria.

3 PRIMO PIANO IL MESSAGGERO DOMENICA 9 MAGGIO 2004

Page 12: Melfi, ancora scioperi: domani la protesta arriva a Romawin.federazioneintesa.it/federazione/rassegna... · La trattativa, secondo i metalmeccanici della Cgil, «si dovrà concludere

12

A tutto ciò si aggiungono le liti interne agli Ordini, frutto della suddivisione di alcuni Albi in due sezioni: la “A” per i professionisti con laurea quinquennale e la “B” per i professionisti con laurea triennale o diplomi universitari (i pochi ancora rimasti). Significa che i vecchi assetti non reggono e non reggono neppure gli assetti voluti dalla riforma universitaria e codificati dal Dpr 328 del 2001, che fissa le norme generali per l’accesso agli Albi.

La guerra delle competenze fa salire la tensione e c’è chi teme la «liberalizzazione selvaggia». Tra i nodi da sciogliere c’è quello delle professioni giuridiche, che si sono moltiplicate. Non ci sono più solo i canali dell’avvocatura e della magistratura, una serie di nuovi profili si affacciano e vanno regolamentati.

I più allarmati sono gli ingegneri e gli architetti, che rilanciano il ruolo dell’Ordine, quale «garante della deontologia e della formazione» dei professionisti e chiedono con urgenza un «riassetto normativo». Agli ingegneri triennali viene riconosciuta la possibilità di «progettare costruzioni semplici». Ma che cosa vuol dire costruzione semplice? Gli Ordini pretendono più chiarezza nella definizione dei profili e chiedono di «rivedere i confini delle preorogative» dei triennalisti.

Intanto, il popolo della laurea breve sta per dire addio alle università. I baby-dottori si congederanno a giugno. Per la prima volta in Italia, dunque, debutteranno i professionisti iunior. Il terremoto sarà inevitabile. Questi giovani per ora fanno parte di una categoria conosciuta solo dagli atenei. Dovranno misurarsi con Ordini e Collegi, con il sistema delle imprese e con le posizioni consolidate dei laureati “tradizionali”. Ma i contraccolpi saranno ammortizzati. Almeno così si augurano tutti. Sono in arrivo provvedimenti importanti. Il ministro Letizia Moratti poche settimane fa ha confermato a Maria Grazia Siliquini, sottosegretario all’Università, l’incarico di rivedere «la congruità delle nuove classi di laurea con le esigenze espresse dalle professioni». Entro maggio il piano sarà pronto e approderà in Consiglio dei ministri. «Il ministero - spiega la Siliquini, che coordina la Commissione incaricata di rivedere il Dpr 328 - ha compreso l’esigenza di sviluppare maggiormente il raccordo tra il percorso universitario, i titoli accademici e l’accesso alle professioni. E’ prevista un’azione di verifica sulle classi di lauree (triennali e specialistiche) in accordo con gli Ordini». La decisione del governo di rivedere la normativa arriva dopo un lungo confronto con i vertici universitari e con i rappresentanti delle categorie professionali. INGEGNERI Case e cantieri, occorrono limiti chiari per i “triennalisti” La costruzione di case, ponti e strade è prerogativa degli ingegneri quinquennali, così la progettazione di apparecchiature tecnologiche o di altro genere. La gestione dei cantieri, invece, o la gestione dei mezzi che vi sono impiegati è prerogativa degli ingegneri con laurea triennale. E’ un esempio schematico di come sono state divise le competenze dopo la riforma delle lauree. Agli ingegneri triennali viene riconosciuta anche la progettazione di “costruzioni semplici”. Ma che cosa vuol dire? E come si distinguono queste dalle “modeste costruzioni“ dei geometri? La confusione aumenta con il diritto di opzione a più Albi dei baby-laureati. Sulle competenze, tema controverso e delicatissimo, non c’è chiarezza. Le divisioni operate a tavolino (con il Dpr 328 del 2001, varato subito dopo la riforma dell’Università) non ha convinto l’Ordine degli ingegneri che, insieme a molti altri, chiede una revisione degli accessi. Gli ingegneri vogliono chiarezza e rilanciano il ruolo dell’Ordine, quale garante della deontologia e della formazione. SANITARI Il settore si estende, spuntano 22 nuovi profili L’area sanitaria pur essendo molto complessa è tra le meno conflittuali. Avrà una propria normativa. Sta per approdare in Consiglio dei ministri il disegno di legge che disciplina le professioni sanitarie, non mediche (i medici non hanno lauree triennali). Alla proliferazione di corsi di laurea in campo sanitario (infermieri e tecnici per esercitare devono essere almeno dottori iunior) corrispondono nuove figure. Così il nuovo testo di legge, concordato tra ministero della Salute e dell’Università, si preoccupa di aggiornare i 22 profili esistenti. Sarà una vera rivoluzione, dal momento che nasceranno nuovi Ordini per le professioni sanitarie di ultima generazione e spariranno gli attuali Collegi. Quattro le aree: infermieristica e ostetrica, della riabilitazione, tecnica, e della prevenzione. Fondamentale il ruolo delle Regioni. Queste potranno perfino costituire nuove professionalità, tenendo presente il fabbisogno legato agli obiettivi di salute previsti nel Piano sanitario nazionale e regionale. GIURISTI E AVVOCATI Crescono le professioni legali, in arrivo la riforma dell’accesso Il giurista di domani sarà esperto di legislazione europea, di diritto straniero e comparato, di processi di globalizzazione, ma anche di problemi ambientali, di tecnologia e informatica. I profili saranno moltissimi. A ciò si aggiungono le figure professionali nuove, di livello intermedio, per chi non avrà accesso al Foro, nè alle aule di giustizia come magistrato. I professionisti abilitati con laurea triennale e con laurea specialistica hanno sbocchi professionali diversi. E’ imminente una revisione generale. In molti atenei l’avvio del “3+2” non è stato visto di buon occhio e resta il dilemma tra il vecchio e il nuovo sistema. Una Commissione ha lavorato alla riforma delle scuole di specializzazione per l’esercizio delle professioni legali, alla quale hanno preso parte l’Unione delle Camere penali, l’Associazione dei giovani avvocati, oltre ai rappresentanti

Page 13: Melfi, ancora scioperi: domani la protesta arriva a Romawin.federazioneintesa.it/federazione/rassegna... · La trattativa, secondo i metalmeccanici della Cgil, «si dovrà concludere

13

dell’ordine forense. La riforma si propone di ridefinire il percorso formativo che determina l’accesso alle professioni legali, integrando i percorsi teorici con la pratica professionale, prevedendo stage e tirocini retribuiti. ARCHITETTI Proteste sulla progettazione: come dividere le competenze? Clima teso anche tra gli architetti. Come per gli ingegneri la divisione delle competenze non è chiara. Al centro della controversia il significato di progettazione, i cui ambiti in molti casi sono affidati a classificazioni che lasciano molti dubbi. Ai laureati triennali è riservata la sezione “B” dell’Albo, mentre ai laureati quinquennali la “A”. Lo scontro riguarda la pianificazione territoriale e l’analisi dei problemi. Dove inizia la competenza di uno e finisce quella dell’altro? Ai dottori iunior, per esempio, dovrebbero toccare gli aspetti tecnico-pratici; nel campo dell’urbanistica gli si attribuiscono competenze di progettazione visiva. Anche il design, il web, la grafica e i mezzi multimediali sembrano prerogativa dei laureati “brevi”. Ma gli altri, gli specialisti, non amano i paletti. Eppoi, c’è la guerra con i paesaggisti e gli esperti del verde. Gli architetti senior non li vogliono nel loro Albo.

S P E C I A L E PUBBLICA

AMMINISTRAZIONE Le storie fantastiche di D’Ambrosio ROMA – Arcangelo D’Ambrosio è personaggio molto noto nel pubblico impiego: ex postelegrafonico, ex dipendente della Difesa, ex dirigente dell’Aran e tuttora segretario generale della Dirstat (sindacato di dirigenti e funzionari). Dopo quarantaquattro anni di servizio ha scritto un libro, Storie fantastiche : racconti più o meno autobiografici dedicati ai paradossi della pubblica amministrazione ieri e oggi. Reperti d’antiquariato burocratico. Blair elimina 80 mila impiegati e ne mette in mobilità 20 mila. Metà dei dipendenti francesi in pensione entro 10 anni

Tagliare gli statali, l’ultima moda Ue Inglesi, francesi e tedeschi risparmiano sul personale. In Italia niente assunzioni Nei nostri uffici pubblici la sospensione di tutti gli ingressi ha solo arrestato la crescita degli organici senza ridurli ROMA – Uno spettro si aggira per l’Europa, e agita un paio di forbici. In tutti i maggiori paesi dell’Ue si discute di come ridurre il costo del personale pubblico. I governi presentano piani per snellire la burocrazia e i suoi dipendenti. Tagliare, tagliare e ancora tagliare. Certo, ogni paese applica i metodi che più gli appartengono. Nella poco sindacalizzata Inghilterra il centrosinistra di Blair non si fa scrupoli ad annunciare licenziamenti e mobilità forzata. Nella supersindacalizzata Francia il centrodestra di Raffarin annuncia grandi progetti, ma deve ingranare la retromarcia di fronte alla sollevazione dei lavoratori. In Germania, terra del federalismo, la questione viene presa in mano dalle regioni e il governo sta a guardare. E in Italia? Si tenta di praticare il taglio indolore seguendo la strada del blocco delle assunzioni o comunque delle assunzioni contingentate. Con risultati in verità modesti: negli ultimi anni si è solo riusciti ad arrestare la crescita degli organici.

Ma la voglia di tagliare c’è dappertutto. Le ragioni di tanta passione chirurgica sono almeno tre. La prima: i grandi paesi europei (a parte la Gran Bretagna) sono in forte difficoltà economica, e per far quadrare i conti senza alzare le tasse o meglio ancora abbassandole, i governi devono ridurre le spese. Nei bilanci degli stati europei il personale rappresenta una delle maggiori voci di spesa (in Italia per esempio è la seconda dopo le pensioni) quindi è una di quelle dove si possono ottenere i risparmi più consistenti.

La seconda ragione per cui i governi vogliono alleggerire gli organici della pubblica amministrazione è, per così dire, imitativa. Da almeno un decennio l’economia europea si dimostra meno competitiva di quella americana. Così l’Europa si ispira sempre di più al modello di organizzazione sociale ed economica degli Stati Uniti. E in cosa si distinguono gli Usa da noi? Una delle differenze più vistose sta sicuramente nelle dimensioni della burocrazia: dall’altra parte dell’oceano lo Stato è più leggero, impiega pochi

20 GLI SPECIALI de IL MESSAGGERO IL MESSAGGERO DOMENICA 9 MAGGIO 2004

Page 14: Melfi, ancora scioperi: domani la protesta arriva a Romawin.federazioneintesa.it/federazione/rassegna... · La trattativa, secondo i metalmeccanici della Cgil, «si dovrà concludere

14

dipendenti. Ai cittadini offre servizi limitati e di qualità scadente, ma almeno costa poco ai contribuenti. Questo sistema ha garantito agli statunitensi risultati economici brillanti, anche se non è detto che in America si viva meglio che in Europa.

Il terzo impulso al taglio viene invece dall’evoluzione tecnologica e organizzativa delle amministrazioni pubbliche. La vecchia burocrazia era popolata in maggioranza da personale a bassissima specializzazione: uscieri, fattorini, camminatori, autisti, tanti operai per i lavori di fatica e di manutenzione, tantissimi dattilografi per battere lettere e circolari. Oggi i capi ufficio non dettano più ma scrivono direttamente al computer, i camminatori non camminano perché le circolari circolano via internet. Lavorano ancora gli operai, ma sono quasi sempre al servizio di ditte private: alle amministrazioni non conviene più dotarsi di strutture interne. Lo stesso vale per gli autisti, i meccanici, i tecnici informatici, la vigilanza.

Lo Stato moderno può (anzi deve) fare a meno di una grossa fetta dei suoi dipendenti, quella che si trova sul gradino più basso della scala gerarchica. Ma ha anche bisogno, molto più di prima, di tecnici specializzati, di funzionari, di dirigenti. Insomma di personale qualificato.

Ecco perché alcuni governi tagliano da una parte il personale che non serve, e dall’altra assumono quello che serve. In Italia si è preferita una via di mezzo con la cosiddetta “riqualificazione professionale: si mantiene il personale che c’è, senza licenziamenti; però lo si educa con corsi di formazione e lo si promuove alla qualifica superiore.

Ma vediamo nel dettaglio cosa sta accadendo negli altri paesi. ■ Gran Bretagna. I ministeriali britannici hanno appena vinto una battaglia: hanno ottenuto l’abolizione dell’obbligo di indossare la cravatta in ufficio, piegando la resistenza del governo. Per il resto gli statali londinesi hanno poco da gioire. Gordon Brown, ministro dell’Economia, ha annunciato un taglio di quasi 80 mila posti. Si tratterà di personale di back office , cioè che non ha rapporto diretto con gli utenti. Inoltre 20 mila dipendenti dovranno lasciare Londra e trasferirsi in altre città, con le buone o con le cattive. Grazie a questo progetto Brown spera di ottenere risparmi per 14 miliardi di euro. L’amministrazione tornerà così al numero di dipendenti che il governo laburista ricevette in eredità dai conservatori sette anni fa. Ma l’alleggerimento degli organici è solo il primo passo, perché in seguito partirà un imponente piano di assunzion i: 25 mila dottori in più, 80 mila infermieri, 90 mila insegnanti e un potenziamento delle forze dell’ordine. In altre parole, si riduce la forza lavoro impegnata negli uffici per migliorare i servizi pubblici veri e propri: sanità, scuola e polizia. Così Tony Blair spera di rispondere alle aspettative degli elettori. I cittadini britannici sono scontenti della qualità dei servizi offerti dallo Stato, tanto da non nascondere la loro invidia nei confronti degli odiati francesi. ■ Francia. È l’amministrazione più popolosa del mondo: 5 milioni di persone su 59 milioni di abitanti. Un lavoratore su cinque è un dipendente pubblico. Nei prossimi dieci anni quasi il 50% dei fonctionnaires raggiungerà l’età pensionabile (a meno che non vada in porto la riforma previdenziale di cui si parla da tempo). Per sfoltire gli organici, il governo Raffarin inizialmente pensava di adottare la regola delle assunzioni dimezzate: solo un neo-pensionato su due può essere rimpiazzato. Dopo la batosta elettorale, il ministero dell’Economia è stato affidato al carismatico Nicolas Sarkozy, il quale ha annunciato: la regola di un’assunzione ogni due pensionamenti «è troppo brutale» e non sarà applicata in tutti i ministeri, però «l’obiettivo di una riduzione dei dipendenti pubblici resta una priorità». ■ Germania. La grande maggioranza dei dipendenti pubblici tedeschi lavora nelle amministrazioni locali: regioni (i länder ) e comuni. Perlopiù sono governate dal centrodestra. Come condizione per rinnovare il contratto nazionale, i länder hanno chiesto di allungare l’orario di lavoro settimanale portandolo a 40-42 ore. I sindacati rispondono con gli scioperi, e calcolano che la settimana allungata consentirebbe alle amministrazioni di eliminare 130 mila posti di lavoro. Il governo Schr ö der di centrosinistra si chiama fuori dalla contesa: questa dice è una questione contrattuale tra le parti. BUROCRAZIE A CONFRONTO

DIPENDENTI PUBBLICI OGNI MILLE ABITANTI

FRANCIA GERMANIA SPAGNA ITALIA

79 54 53 54

Page 15: Melfi, ancora scioperi: domani la protesta arriva a Romawin.federazioneintesa.it/federazione/rassegna... · La trattativa, secondo i metalmeccanici della Cgil, «si dovrà concludere

15

DIPENDENTI PUBBLICI RISPETTO AL TOTALE DEI LAVORATORI

ITALIA 14,6%

CANADA 17,5%

OLANDA 12,2%

FINLANDIA 24,3%

PORTOGALLO 15,2%

FRANCIA 21,3%

SPAGNA 15,2%

GERMANIA 12,3%

REGNO UNITO 12,6%

IRLANDA 15,2%

STATI UNITI 14,6%

QUANTO SI SPENDE PER DIPENDENTI PUBBLICI SPESA PER LE RETRIBUZIONI DEL PERSONALE PUBBLICO IN RAPPORTO AL PIL

AUSTRIA BELGIO FINLANDIA

10,26% 11,28% 13,35%

FRANCIA GERMANIA IRLANDA

11,03% 7,87% 8,71%

ITALIA OLANDA PORTOGALLO

6,89% 2,83% 14,68%

SPAGNA SVEZIA REGNO UNITO

9,03% 15,49% 7,84% FONTE: OCSE-PUMA

S P E C I A L E PUBBLICA

AMMINISTRAZIONE

21 GLI SPECIALI de IL MESSAGGERO IL MESSAGGERO DOMENICA 9 MAGGIO 2004

Page 16: Melfi, ancora scioperi: domani la protesta arriva a Romawin.federazioneintesa.it/federazione/rassegna... · La trattativa, secondo i metalmeccanici della Cgil, «si dovrà concludere

16

Quattro manuali per gli “innovatori” Quattro nuovi “manuali” e due “rapporti” sono l’ultima voluminosa produzione cartacea di Cantieri, la struttura del dipartimento Funzione pubblica nata per stimolare l’innovazione nelle amministrazioni. Il materiale sarà presentato al Forum P.A. mercoledì 12, in occasione della quarta Giornata degli innovatori.

I manuali in particolare sono strumenti di lavoro rivolti «a tutti coloro che sono interessati al cambiamento nelle amministrazioni pubbliche, operatori pubblici in primo luogo». I quattro volumi pubblicati quest’anno sono: Rendere conto ai cittadini , ovvero come rendere comprensibili ai cttadini i programmi, le attività e i risultati raggiunti da un’amministrazione; Il piano di comunicazione nelle amministrazioni pubbliche, sulla comunicazione istituzionale; Compiere scelte pubbliche a più voci. Manuale dei processi decisionali inclusivi, sulle tecniche per affrontare processi decisionali complessi; Regole e regolamenti di organizzazione nelle amministrazioni pubbliche, manuale per guidare gli innovatori che devono cambiare le regole organizzative di un’amministrazione. La spa per le forniture pubbliche. Il manager Ferranti assicura: le amministrazioni sfruttano ancora le nostre convenzioni

Risparmi sugli acquisti: ieri sì, oggi forse Per gli uffici il ricorso alla Consip torna facoltativo. E le gare sono ferme da 7 mesi ROMA – Più volte in passato è stata messa in dubbio l’effettiva utilità della Consip. La società creata da Ciampi nel ’99 ha sempre vantato i grandi risultati ottenuti: nel 2003, per esempio, le convenzioni con i fornitori avrebbero consentito ai contribuenti di risparmiare 3 miliardi e 200 milioni di euro. Ma sarà proprio vero? Chi ce lo garantisce? chiedono spesso i detrattori.

Ora, da questo punto di vista, i vertici della Consip si sentono più tranquilli: «L’Istat ha compiuto dicono una sua indagine alternativa e ha confermato che le cifre diffuse da noi erano sostanzialmente corrette». Dunque è accertato che, almeno fino all’anno scorso, le pubbliche amministrazioni hanno potuto (anzi dovuto) spendere meno.

Ma oggi è ancora così? La domanda questa volta se la pongono non i detrattori, bensì i sostenitori della Consip. La legge Finanziaria infatti ha modificato la normativa sugli acquisti di beni e servizi rendendo più debole (almeno in apparenza) il ruolo della spa. Prima se un’amministrazione doveva comprare un computer o un rotolo di carta igienica era obbligata a rivolgersi ai fornitori convenzionati con la Consip o comunque doveva acquistare a un prezzo non superiore. Adesso può ancora sfruttare le convenzioni della Consip, ma è una libera scelta del suo dirigente.

Aver reso facoltativo ciò che prima era obbligatorio potrebbe far saltare tutto il sistema. O perlomeno potrebbe far risalire la spesa per le forniture. È quanto paventa ad esempio la Corte dei conti, che in un recente referto al Parlamento ha scritto: la riconfigurazione del ruolo della Consip decisa con l’ultima Finanziaria «rischia di ridurre in maniera significativa nel 2004 i benefici per i conti pubblici».

Secondo Ferruccio Ferranti, amministratore delegato di Consip, in realtà non esistono motivi di preoccupazione: «Con la “facoltizzazione” il legislatore ha solo anticipato di un anno quello che noi intendevamo fare nel 2005. E, come nelle previsioni, non stiamo riscontrando un calo delle adesioni alle nostre convenzioni. Anzi. La vera differenza è che le amministrazioni quando non sono obbligate gradiscono di più le nostre iniziative».

C’è però un’altra ombra non sul futuro bensì sul presente di Consip. Da sette mesi la società non può più bandire gare per nuove convenzioni nazionali. La semiparalisi è cominciata il 28 novembre: il ministero dell’Economia ha ordinato il blocco di tutte le gare fino a quando non saranno specificate le linee di indirizzo con un apposito decreto. Chi deve emanare il decreto? Lo stesso ministero dell’Economia. Ma finora non lo ha fatto, sebbene nella Finanziaria sia stato indicato come termine ultimo il 31 marzo.

Secondo il viceministro dell’Economia, dopo il blocco della Consip (e il venir meno del decreto tagliaspese) «c’è stato un aumento dell’8,6% della spesa per beni e servizi».

Anche in questo caso Ferranti smorza gli allarmismi: «Siamo in contatto assiduo con il ministero, il decreto sicuramente arriverà in tempi brevi». Nel frattempo succede che, in attesa delle nuove gare, i prodotti e i servizi acquistabili tramite la Consip si vanno esaurendo. Le amministrazioni si contendono gli ultimi computer, le ultime risme di carta. «Ci telefonano, ci scrivono, fanno pressioni», racconta Ferranti. «È la prova che le amministrazioni hanno interesse ad acquistare i prodotti convenzionati anche quando non sono obbligate». CHE COSA È LA CONSIP ■ COME FUNZIONAVANO GLI ACQUISTI PRIMA Prima che esistesse la Consip ogni amministrazione pubblica acquistava autonomamente i prodotti necessari al suo funzionamento. Accadeva così che la stessa penna Bic potesse costare 100 lire a un ufficio 100 lire e il doppio a un altro ufficio.

Page 17: Melfi, ancora scioperi: domani la protesta arriva a Romawin.federazioneintesa.it/federazione/rassegna... · La trattativa, secondo i metalmeccanici della Cgil, «si dovrà concludere

17

■ COME FUNZIONANO ORA Nel 1999 (su impulso dell’allora ministro Carlo Azeglio Ciampi) fu creata la Consip, una società per azioni posseduta al 100% dal Tesoro. La spa ha il compito di bandire gare per le forniture di tutte le amministrazioni pubbliche italiane. Chi vince la gara vende i suoi prodotti o i suoi servizi a tutti i ministeri, agli enti pubblici, ai comuni, alle asl. Per ottenere la convenzione Consip le ditte fornitrici sono disposte ad abbassare molto i loro prezzi. Il meccanismo è stato preso a modello da molti governi europei; anche Francia e Gran Bretagna stanno allestendo un sistema di acquisti analogo a quello italiano.

LA CONSIP IN CIFRE FONTE: CONSIP

RISPARMI DELLO STATO NEL 2003 GRAZIE

ALLE CONVENZIONI CONSIP

RISPARMI INDIRETTI

DI TUTTE LE AMMINISTRAZIONI

RISPARMI TOTALI

918 MILIONI

2.278 MILIONI

3.196 MILIONI

RAPPORTO DEL “PROGRAMMA CANTIERI”

Comuni e province? In appalto ai privati ROMA – Il 70% dei comuni garantisce agli anziani l’assistenza domiciliare affidandola a una società esterna. Il 51% fa lo stesso per i cosiddetti “servizi educativi”. È il famoso outsourcing. Le amministrazioni pubbliche non lavorano più in proprio, utilizzando i suoi dipendenti e i suoi mezzi: preferiscono siglare un accordo commerciale, in genere un privato. Che deve garantire per contratto la qualità dei suoi servizi.

La diffusione del fenomeno viene fotografata da un rapporto del dipartimento Funzione pubblica realizzata per il “Progetto Cantieri”. Una sorta di radiografia che ha investito 180 fra comuni e province e che non si concentra solo sull’ outsourcing bensì sulla propensione al cambiamento delle amministrazioni. Rispondendo a un questionario, i comuni e le province hanno dovuto dichiarare se abbiano ottenuto certificazioni Iso 9000 per i loro servizi, se si siano dotati di una rete informatica estesa a tutti i dipendenti, se abbiano elaborato piani strategici, se abbiano svolto ricerche per misurare la soddisfazione dei cittadini.

Riguardo alle esternalizzazioni, nei dati di “Cantieri” colpisce il fatto che il ricorso a soggetti esterni è più frequente per i servizi destinati direttamente ai cittadini. Meno spesso invece si assegnano ai privati i lavori che servono a far funzionare la macchina burocratica, come la gestione delle buste paga (15%), la manutenzione degli immobili (44%), le auto blu (10%). PARLA IL MINISTRO DELLA FUNZIONE PUBBLICA Mazzella: lo Stato è migliorato. Ma fa troppi contratti esterni «I cittadini percepiscono i progressi fatti. Lo sciopero dei dipendenti: siamo disposti a trattare, ma non capisco cosa ci chiedono» ROMA – È il cavallo di battaglia del ministro della Funzione pubblica, Luigi Mazzella: «In Italia si cerca sempre di dimostrare che tutto funziona male. Perché non si dice mai quanto la nostra amministrazione sia apprezzata all’estero? L’Onu ci ha dato il premio come migliore amministrazione europea del 2003. Veniamo portati a esempio all’estero e siamo lapidati in patria». Sarà la differenza tra burocrazia reale e burocrazia percepita? Mazzella non sarebbe d’accordo: a percepire male è solo la stampa, perché al contrario gli italiani se ne accorgono eccome di quanto le cose vanno meglio: «Una nostra indagine demoscopica dimostra che il consenso dei cittadini è in crescita». La ricerca che sarà presentata al Forum della pubblica amministrazione dice che per il 21,4% degli italiani la pubblica amministrazione è migliorata.

Chi non sembra percepire il miglioramento sono i dipendenti pubblici: il 21 maggio sciopereranno tutti, scuola compresa. Chiedono aumenti adeguati all’inflazione.

«Le cifre dimostrano che in cinque anni le retribuzioni di fatto dei dipendenti pubblici sono cresciute del 17%, cioè il 5% in più dell’inflazione».

Le retribuzioni “di fatto” però comprendono premi di produttività e avanzamenti di carriera: non c’entrano con l’inflazione.

«Sta di fatto che i sindacati chiedono aumenti dell’8% per i prossimi due anni, senza presentarci i loro conti. Quali conti?

«Sulla base di quali calcoli si arriva all’8%? Non ce l’hanno detto». Ai giornalisti l’hanno detto. Al governo no?

Page 18: Melfi, ancora scioperi: domani la protesta arriva a Romawin.federazioneintesa.it/federazione/rassegna... · La trattativa, secondo i metalmeccanici della Cgil, «si dovrà concludere

18

«Una richiesta formale e ragionata non ci è mai arrivata. Se mi dimostrano che l’8% è una richiesta sensata io posso provare a discuterne con il ministro dell’Economia».

Invece finora il ministro dell’Economia che le ha detto? «Che abbiamo già dato aumenti generosi e non possiamo fare il bis. Anche perché l’obiettivo del governo è di ridurre le aliquote Irpef: una riforma che si tradurrebbe in un aumento retributivo anche per i dipendenti pubblici».

I sindacati dicono: per abbassare le tasse agli altri sacrificate i nostri stipendi. «La riforma fiscale, oltre ad avere effetti positivi su tutte le buste paga, serve a rilanciare l’economia del paese. Noi comunque siamo disposti a trattare».

Avete convocato i sindacati? «No, ma con tutti i problemi che abbiamo, l’Iraq, l’Alitalia, Melfi... Di fronte all’opinione pubblica non si possono anteporre le richieste dei dipendenti pubblici alle esigenze del paese. Non capisco l’atteggiamento dei sindacati, mi sembra irragionevole. A meno che dietro non ci sia altro».

Cosa? «Non vorrei che il momento politico li condizionasse... Io, che non sono un politico, non capisco e mi chiedo se possano esserci altri motivi».

Se servono soldi per ridurre le tasse, non sarebbe meglio rilanciare il ruolo della Consip, che negli anni scorsi ha consentito forti risparmi sugli acquisti?

«Non sono in grado di rispondere, non voglio invadere la competenza di altri ministri.Sulla Consip non mi pronuncio. In generale posso dire che tante novità contrabbandate come grandi innovazioni dai miei predecessori hanno provocato aumenti di spesa».

A che si riferisce? «Alle aperture contrattuali all’esterno, che hanno portato a una lievitazione delle spese. E mi riferisco anche alla contrattualizzazione del rapporto di lavoro pubblico, che ha prodotto un’unica differenza: prima le leggi sul pubblico impiego si facevano in Parlamento, adesso bisogna accordarsi con i sindacati».

Ed è un male? «Non dico questo. Però non significa aver “privatizzato” il rapporto di lavoro». Il confronto è proseguito nella notte. Stamattina lavoratori di nuovo in assemblea nello stabilimento lucano

Melfi, sui salari trattativa no stop Terzo giorno di negoziato a Roma, ma la possibilità di accordo è sul filo del rasoio

dal nostro inviato JACOPO ORSINI MELFI – Negoziato a oltranza nella notte a Roma per cercare di risovere la vertenza allo stabilimento Fiat di Melfi. Al termine della terza giornata consecutiva di trattative, ventesima di proteste davanti alla fabbrica, si lavora per trovare un’intesa da sottoporre poi all’approvazione dei lavoratori. L’azienda, in tarda serata, ha manifestato qualche segnale di apertura.Sul salario la distanza si può quantificare in una settantina di euro lordi al mese. E’ più o meno questa, secondo i conti fatti da un delegato delle Rsu che partecipa alla trattativa con la Fiat, la differenza che c’è fra l’offerta dell’azienda e le richieste dei lavoratori.

La casa torinese venerdì sera ha proposto un aumento di 92 euro lordi al mese, fra maggiorazioni per i turni notturni e premio di competitività. I lavoratori vogliono invece circa 165 euro, cioè la differenza media, secondo il loro calcoli, tra il salario degli operai di Melfi e quello degli altri stabilimenti della Fiat.

E infatti l’offerta del gruppo torinese è stata subito giudicata insufficiente, anche perché divide l’aumento in tre tranche da erogare nei prossimi due anni e mezzo. Tanto che nella notte dell’altro ieri l’assemblea dei lavoratori ha minacciato di inasprire di nuovo le forme di lotta se la Fiat non modificherà la proposta.

«Sui soldi c’è poco da discutere: o accettano la nostra proposta o ricominciamo», diceva ieri mattina un operaio all’ingresso dello stabilimento di Melfi. «Mi auguro che la Fiat ci dia risposte per fare l’accordo, non per fare i blocchi», spiegava invece il segretario della Fiom di Potenza, Giuseppe Cillis, prima di partire per la capitale, dove insieme alle Rappresentanze sindacali unitarie della fabbrica lucana e ai vertici dei sindacati metalmeccanici avrebbe poco dopo incontrato la delegazione della casa torinese.

La richiesta di spostare il confronto nella capitale è stata fatta dalla Fiat per cercare di riavvicinare le posizioni coinvolgendo i leader nazionali dei sindacati e allontanandosi da Melfi, dove il clima ieri si stava surriscaldando di nuovo.

La scelta della casa automobilistica però fra gli operai che da tre settimane presidiano i cancelli ha creato molto malumore: la preoccupazione è infatti che leader nazionali dei sindacati possano chiudere un accordo a condizioni inaccettabili per i lavoratori, in sciopero ormai da tre settimane.

25 ECONOMIA IL MESSAGGERO DOMENICA 9 MAGGIO 2004

Page 19: Melfi, ancora scioperi: domani la protesta arriva a Romawin.federazioneintesa.it/federazione/rassegna... · La trattativa, secondo i metalmeccanici della Cgil, «si dovrà concludere

19

A Roma ieri pomeriggio le diplomazie sindacali hanno avviato una serie di confronti con la Fiat, ma senza sbloccare la situazione. Anche se in tarda serata le posizioni sembravano riavvicinarsi, con l’azienda che avrebbe manifestato disponibilità a rivedere i tempi in cui corrispondere l’aumento.

Ottimista il ministro del Lavoro, Roberto Maroni: «Mi pare che ci siano le condizioni per raggiungere un accordo», ha detto il responsabile del Welfare. E dichiarazioni possibiliste sono arrivate dalla Fim da Roma. Ogni eventuale intesa in ogni caso dovrà poi essere approvata dal voto degli operai.

E stamani davanti all’ingresso della fabbrica lucana si riunisce di nuovo l’assemblea dei lavoratori per valutare la situazione. Nessuno comunque qui a Melfi sembra disposto a cedere se la Fiat non cambierà la sua proposta. I NODI DEL CONTRATTO E per l’azienda la maternità entra nel conto sull’assentesimo: più bambini meno paga Ora la società è disposta a rivedere il sistema Il sindacato è critico MELFI - Lo scontro è sul salario. Ma fra le questioni al centro della vertenza a Melfi c’è anche la maternità, che nella fabbrica lucana, insieme ai permessi sindacali, ai congedi parentali e ai giorni di libertà concessi per donare il sangue (di solito due, ma il numero può variare), è considerato uno dei parametri utilizzati per calcolare il livello di assenteismo nella fabbrica. E le assenze dalle linee a loro volta sono uno dei fattori che, insieme alla produttività e a un’altro indicatore che misura il livello di servizio fornito ai clienti, contribuiscono a formare il premio di competitività riconosciuto in busta paga ai lavoratori. In sostanza più basso è l’assenteismo, più alto è il salario. Fare figli quindi nella fabbrica di Melfi in pratica contribuiva a far scendere la paga. Ora però, su richiesta delle Rappresentanze sindacali unitarie (Rsu), la Fiat si è detta disponibile a cambiare il sistema con cui si arriva a determinare l’assenteismo. E intende farlo eliminando dai fattori la maternità. Una scelta che non è stata del tutto apprezzata dagli operai. Le ragazze, dicono infatti i lavoratori davanti ai cancelli dello stabilimento, entrate in fabbrica una decina di anni fa, sono ormai cresciute. Dunque sono sempre meno quelle che stanno a casa per fare un bambino. E di conseguenza l’impatto del cambiamento proposto dalla Fiat nel calcolo dell’assenteismo non sarà molto sensibile. Quanto vale il bonus? Varia. Quel che si può dire è che secondo la Fiat, aumento del premio di competività e maggiorazioni per il turno notturno, a regime farebbero salire il salario di 92 euro lordi al mese. Un incremento giudicato del tutto insufficiente dai lavoratori. LA CRISI DELLA COMPAGNIA DI BANDIERA Maroni: no a trasferire gli esuberi Alitalia al pubblico impiego Week end di lavoro per Cimoli e attesa per il Cda di giovedì ROMA – Maroni dice no al passaggio di esuberi Alitalia nel pubblico impiego. Per risolvere la crisi è stato fatto «un passo avanti ha affermato ieri il ministro del Welfare ma la partita è tutt’altro che conclusa. Ora il nuovo vertice dovrà predisporre un piano da sottoporre al governo ma per quanto riguarda la Lega non si può pensare ad un passaggio automatico al pubblico impiego. Un’ipotesi, questa, che aleggiava in questi giorni come soluzione al problema esuberi».

La Lega punta i piedi e il ministro sottolinea che non si potrà ripetere con Alitalia ciò «che è accaduto in passato. Alle Poste per esempio o all’Inps o in qualche altro ente. Dopodiché aggiunge siamo in attesa della seconda puntata della partita Alitalia, consapevoli che la prima è stata ben gestita anche grazie al senso di responsabilità dei sindacati. Le difficoltà però ribadisce il ministro non si sono risolte cambiando management. Noi abbiamo accettato e contribuito alla soluzione trovata chiedendo a Bonomi di farsi da parte con un sacrificio che va apprezzato. Ora rimangono aperte tutte le questioni, esuberi in testa».

L’attesa è per il piano che il nuovo supermanager di Alitalia dovrà preparare. E Giancarlo Cimoli si è portato le carte a casa dedicando il week end al lavoro e ad esaminare a fondo la situazione, come riferiscono fonti del suo entourage. Lunedì si dividerà tra la sede della Magliana, quartier generale della compagnia di bandiera e le Fs dove potrebbe consegnare le dimissioni nel corso dell’assemblea convocata per il pomeriggio. La prima occasione importante sarà però giovedì, giorno in cui è fissato il consiglio d’amministrazione Alitalia: è lì che potrebbero essere prese le prime decisioni operative.

L’altra partita che si è aperta, adesso, è quella delle nomine alle Ferrovie dove Giancarlo Cimoli dovrà essere sostituito. «Nessuna decisione è stata ancora presa», ha tagliato corto Maroni precisando che «i nomi che escono sono solo delle ipotesi buttate lì magari per bruciare dei personaggi. Il governo sta valutando ha proseguito alcune candidature». Secondo il ministro, la decisione sarà presa entro la fine della settimana: «Non c’è motivo di aspettare ancora».

B.C.

30 ECONOMIA IL MESSAGGERO DOMENICA 9 MAGGIO 2004

Page 20: Melfi, ancora scioperi: domani la protesta arriva a Romawin.federazioneintesa.it/federazione/rassegna... · La trattativa, secondo i metalmeccanici della Cgil, «si dovrà concludere

20

Miseria & Nobiltà di Enrico Cisnetto

Sviluppo: non basta tagliare le tasse Siamo proprio sicuri che tagliando le tasse si ottenga la tanto agognata "scossa" all'economia italiana? Analizziamo le possibilità di realizzare la ricetta "meno tasse per tutti" annunciata da Silvio Berlusconi. Intanto, come abbassare le aliquote senza incidere sul deficit pubblico, che già ora la Trimestrale di cassa indica al 2,94% del Pil, a un passo dal limite del 3% imposto da Eurolandia? La risposta potrebbe essere nei 12,5 miliardi che il governo conta di risparmiare senza toccare il welfare, ma riducendo "sprechi e privilegi". Bene, ma andrebbero chiariti un paio di passaggi. Primo: se veramente esistesse un margine così vasto di manovra sui conti pubblici, è difficile comprendere una mole tanto ampia di misure una tantum adottate nelle ultime finanziarie - ben 16 condoni - per far quadrare (male) i bilanci. Secondo: ammesso che realmente alla voce "sprechi" si abbia capacità e coraggio di tagliare 12,5 miliardi, perché intervenire solo all'inizio del quarto anno di legislatura? Scartando questa ipotesi, per tagliare le tasse rimarrebbe un'altra via: andare avanti con la spesa senza badare ai vincoli imposti dal Patto di stabilità. Ma possiamo permettercelo dopo l'early warning di Bruxelles, e tenendo conto del debito pubblico (secondo la Trimestrale calerà solo di un decimo di punto) e le note "frizioni" con i vertici comunitari e alcune cancellerie continentali? E' saggio rispondere di no.

Ma ammesso (e non concesso) di aver trovato la formula magica per abbassare le tasse, come tradurla in un volano per l'economia? Abbiamo sotto gli occhi la prima manovra con la quale è stato tagliato il carico fiscale sui redditi bassi che ha prodotto una spinta ai consumi di dimensioni ridottissime. Rimane aperta l'altra ipotesi: ridare fiato alle imprese. E qui casca l'asino: il rischio è di mettere benzina (poca, specie se gli sgravi saranno compensati dal taglio degli attuali meccanismi di sostegno) in un motore stremato. Come oggi è, purtroppo, il grosso del nostro sistema imprenditoriale. E se ogni accenno al declino può suonare retorico, ci sono i numeri a dimostrare che il nostro capitalismo ha bisogno di cambiare pelle, di fronte alla drammatica perdita di competitività che gli effetti della globalizzazione e la fine dei vecchi meccanismi (svalutazione della lira, debito pubblico, protezionismo) stanno producendo. Uno studio di Sviluppo Italia, per esempio, individua oltre 2000 imprese in crisi o in ristrutturazione e conta 120mila lavoratori in cassa integrazione. La fotografia di un sistema al collasso a cui va aggiunto il "rachitismo" della maggior parte delle nostre imprese (3,6 addetti in media) che azzoppa totalmente le potenzialità competitive nei mercati globali. La politica economica deve ripartire, quindi, da zero. In questo senso è da condividere il progetto presentato da Massimo Caputi, numero uno di Sviluppo Italia, che propone una sorta di "rottamazione" per le imprese ormai "decotte". Bisogna avere il coraggio di chiudere le imprese che non funzionano, abbandonando le produzioni a basso valore aggiunto per concentrarci su settori ricchi di potenzialità, come per l'Italia può diventare il turismo. Insomma se veramente questo governo riuscirà nell'impresa di trovare le risorse che promette perché poi "sprecarlo" a sostegno di sistemi obsoleti e improduttivi?

LA SCOSSA PER L'ITALIA

Dirigismo, scorciatoia difficile da superare DI ALBERTO QUADRIO CURZIO Le situazioni negative hanno maggior presa sull'opinione pubblica delle realtà positive specie se queste si esprimono nella continuità e nella sobrietà,senza frastuono. La capacità di contagio di singoli eventi negativi è spesso forte in economia perché essi ingenerano spesso sfiducia. In questa difficile contrapposizione tra negativo e positivo si trova oggi l'Italia dove sembra mancare "chi" sappia volgere il positivo in ottimismo evitando che il negativo degeneri in sfiducia.

In una democrazia economica, com'è quella italiana, le istituzioni, la società e le imprese hanno un ruolo irrinunciabile per lo sviluppo secondo il principio di sussidiarietà che ha ormai dignità costituzionale sia in Italia che nella Ue. Riflettiamo dunque su quale sia oggi il negativo e il positivo nel nostro Paese e come si ripartiscano ruoli e responsabilità.

Il negativo è oggi, per esempio, il tracollo dell'Alitalia che dal punto di vista del nostro sistema economico è un caso assai severo ed emblematico.

CONTINUA A PAG. 5

IL SOLE – 24 ORE PRIMA PAGINA Domenica 9 Maggio 2004

Page 21: Melfi, ancora scioperi: domani la protesta arriva a Romawin.federazioneintesa.it/federazione/rassegna... · La trattativa, secondo i metalmeccanici della Cgil, «si dovrà concludere

21

PREVIDENZA ■ Ragioneria dello Stato: nella previsione 2004 aumenta il rosso nei coni delle due gestioni

Inps, allarme per autonomi e fondi speciali ROMA ■ I dati dell'Inps parlano chiaro: per la gestione dei lavoratori autonomi e i fondi speciali Inps i conti sono sempre più in rosso. È molto più di un semplice allarme quello lanciato dalla ragioneria generale dello Stato esaminando il bilancio di previsione 2004 del massimo ente previdenziale. Non a caso nella nota inviata alla fine di aprile al ministero del Welfare dal Ragioniere generale dello Stato si afferma a chiare lettere che è necessaria «l'adozione di idonei interventi al riequilibrio della gestione». Non solo. La Ragioneria punta il dito anche sulle cartolarizzazioni Inps: occorre «procedere con ogni sollecitudine ad una corretta sistemazione contabile dell'operazione relativa alla cessione e cartolarizzazione dei crediti contributivi, avuto riguardo ai crediti ceduti, alle somme incassate e al Fondo svalutazione». E aggiunge: «Ciò anche al fine di dare maggiore chiarezza e validità alle poste riportate nella situazione patrimoniale».

Il rosso dei Fondi speciali Inps. Dal bilancio di previsione per il 2004 dell'Inps emerge che il risultato economico del Fondo lavoratori dipendenti, soprattutto per effetto del crescente «squilibrio» degli ex fondi speciali (elettrici, telefonici, trasporti) e dell'ex Inpdai, presenta un passivo di 7.657 milioni di euro. Che risulta di 1.600 milioni più pesante di quello registrato nel 2003. In particolare la gestione vera e propria dei lavoratori dipendenti scende a quota -3.790 milioni (-6.022 nel 2003), quella dell'ex fondo trasporti a -986 milioni, l'ex fondo telefonici a -237 milioni, l'ex fondo elettrici a -1.594 milioni e l'ex Inpdai a -1.050 euro. La Ragioneria afferma che «in particolare per il fondo lavoratori dipendenti, il cui deficit globale nel 2004 non viene più fronteggiato dall'avanzo delle prestazioni temporanee, la situazione si è ulteriormente aggravata con la confluenza dal 1° gennaio del 2003 della gestione Inpdai». La Ragioneria fa anche notare che «presenta segno negativo anche il fondo volo».

A rischio le gestioni degli autonomi. Nel mirino della Rgs finiscono anche le gestioni Inps dei Lavoratori autonomi («il risultato peggiora»). Anche perché il bilancio di previsione 2004 evidenzia che il passivo della gestione dei commercianti raddoppia (da -448 milioni a -982 milioni) e peggiorano in maniera significativa quelle degli artigiani (da -1952 milioni a -2.487) e dei coltivatori diretti (da -3.047 milioni a -3.365)

«Più chiarezza nei conti». La Ragioneria sollecita l'Inps a procedere ad una corretta sistemazione contabile dell'operazione» di cartolarizzazione dei crediti, anche allo scopo di assicurare maggiore chiarezza ai conti. E sempre in quest'ottica, secondo la Rgs «andrebbe definita la situazione debitoria/creditoria dell'Istituto nei confronti dello Stato, atteso che a fronte di un debito complessivo per le anticipazioni (52.916 milioni di euro) l'Inps vanta un credito per presunti trasferimenti pari a 18.745 milioni».

M.ROG.

Sanità: disavanzo da 1,8 mld, ma c’è l’incognita dei rinnovi contrattuali Metà del deficit da Lazio e Campania Due Regioni in attivo ROMA ■ Un disavanzo di 1,8 miliardi, la metà dei quali concentrati nel Lazio e in Campania. Un rapporto spesa/Pil pari al 6,1 per cento. Una crescita «rallentata» della spesa, che ha fatto segnare +2,5% sul 2002. La farmaceutica col freno tirato, anche se a macchia d'olio e soprattutto laddove sono stati resuscitati i ticket. Le uscite per "beni e servizi" che fanno il pieno. A due anni dal patto di stabilità dell'agosto 2001, i conti del Ssn sono in apparenza meno preoccupanti. Soprattutto perché mancano all'appello i costi dei rinnovi contrattuali e delle convenzioni, che inevitabilmente si scaricheranno sui prossimi bilanci.

La lettura dei conti 2003 del Ssn che emerge dalla «Relazione generale sulla situazione economica 2003 del Paese» non manca di sottolineare le ampie zone d'ombra che avvolgono spesa e finanziamento del Servizio sanitario nazionale. A cominciare dai conti finali del precedente esercizio finanziario, che peraltro devono ancora misurarsi con il monitoraggio in corso tra ministero dell'Economia e Regioni.

Il disavanzo totale, a bocce ferme, sarebbe stato nel 2003 di 1,809 miliardi. Vedrebbe due Regioni addirittura in attivo: la Puglia e la Basilicata. La Lombardia sostanzialmente in pareggio e altre importanti Regioni del Nord con disavanzi non eccezionali. Deficit rilevantissimi che, invece, avrebbero accumulato il Lazio con -509 milioni e la Campania con -457 milioni. Il disavanzo medio procapite nazionale sarebbe stato nel 2003 di 31 euro.

Particolarmente interessante è però l'andamento delle singole voci di spesa che compongono il "consolidato" del Ssn. La spesa per farmaci a carico dello Stato ha fatto segnare un calo del 6,2% sul 2003, sebbene stia ancora al di sopra del tetto del 13% (la media nazionale è stata del 13,8%). Ma attenzione, mette in guardia la relazione: da una parte perché sotto la soglia del 13% stanno tutte le Regioni del Centro-Nord (ma con le eccezioni significative di Liguria, Marche e Lazio), dall'altra perché i dati più bassi sono stati registrati nelle Regioni dov'è risorto il ticket. In questo senso, infatti, va anche interpretato il deciso

PAGINA 2 – Domenica 9 Maggio 2004 IN PRIMO PIANO IL SOLE – 24 ORE

Page 22: Melfi, ancora scioperi: domani la protesta arriva a Romawin.federazioneintesa.it/federazione/rassegna... · La trattativa, secondo i metalmeccanici della Cgil, «si dovrà concludere

22

incremento fatto segnare dalla spesa per "beni e servizi" con il suo incremento del 7,7%: in questa voce si concentrano gli acquisti per farmaci delle strutture pubbliche per la distribuzione diretta, laddove è stata introdotta (soprattutto dove non ci sono i ticket).

Tra le altre voci di spesa in crescita, viene segnalata quella per la medicina convenzionata (medici di famiglia e pediatri: +5% sul 2002 soprattutto per effetto degli accordi locali e dei meccanismi automatici di incremento delle retribuzioni ma anche per la maggiore assistenza domiciliare). Aumenti, precisa la relazione dell'Economia, intervenuti a dispetto del mancato rinnovo delle convenzioni, tuttora in fase di stallo a oltre due anni dalla scadenza. Proprio i mancati rinnovi dei contratti hanno inciso infatti sul modesto aumento della spesa per il personale dipendente, crescita appena dello 0,9 per cento. Non a caso i contratti della dirigenza sono fermi.

R.TU.

Intervista / Parla Giorgio Benvenuto

«Errore di tutti, una lezione anche per il sindacato» Le imprese non devono perdere di vista l’importanza del dialogo ROMA ■ Una vertenza difficile, dove tutti hanno sbagliato tutto, ma che a tutti insegna qualcosa, al sindacato dei metalmeccanici a trovare degli strumenti per superare nelle fasi acute le divisioni, al mondo imprenditoriale a non perdere mai di vista l'importanza del dialogo col sindacato, la partecipazione dei lavoratori. Giorgio Benvenuto è stato per tanti anni segretario generale della Uilm. Ha vissuto con tensione la vertenza di Melfi perché capiva gli errori che si stavano commettendo, ma anche le sofferenze forti che agitavano i lavoratori.

Benvenuto siamo stati vicini a un nuovo 1980? Direi proprio di no. Le difficoltà erano forti, ma questa vertenza semmai mi ha ricordato il burrascoso

momento del '68-'69. Nel 1980 c'era una forte ristrutturazione, una crisi aziendale molto acuta, si minacciavano licenziamenti. Adesso no, adesso, come appunto ai tempi dell'autunno caldo, eravamo in presenza di una crisi di rappresentatività, le commissioni interne non funzionavano, nascevano i consigli di fabbrica, ed esistevano problemi acuti di organizzazione del lavoro.

Quindi nessuna marcia dei 40mila? Il clima è un altro, ma soprattutto le motivazioni di fondo della vertenza sono diverse. Qui si parla di

un'organizzazione del lavoro che a volte finisce per mortificare i lavoratori. Eppure si era partiti da tutt'altre suggestioni, la Fiat aveva puntato forte sulla preparazione dei lavoratori, sulla loro partecipazione.

Cosa è successo? È sembrato che la Fiat fosse meno disponibile a spendere energie nella conduzione del personale,

quasi fosse una cosa meno importante. Per la crisi del gruppo? Certo, la crisi cambia tutto, ma la Fiat poteva approfittare della crisi per avere un rapporto migliore

con i lavoratori e appoggiarsi anche a loro per la rinascita, invece è sembrata fare un conto diverso, quasi cercasse la divisione sindacale.

Non è stato sempre così? Tutt'altro. La Fiat non ha mai giocato contro l'unità. Mi ricordo nel 1988, quando si discuteva un

accordo Fiat che poi la Fiom non firmò, Michele Figurati, che dirigeva la delegazione Fiat, andò in forma ufficiale nella sede della Cgil, proprio per sottolineare il rispetto che avevano verso quella confederazione.

Le ragioni dei lavoratori valevano questa lunga battaglia? Evidentemente sì, anche perché non bisogna sottovalutare come certe organizzazioni del lavoro,

come la doppia battuta, il lavorare di notte per due settimane di seguito, possa essere vissuta dai lavoratori come una manomissione della loro libertà, quasi un attacco alla loro dignità.

Ma i metalmeccanici hanno sempre litigato così? Noi litigavamo anche di più. Ma sempre, ripeto sempre, riuscivamo a ritrovare la nostra unità. E non

è che non fossimo anche noi politicizzati, tutti avevano rapporti molto stretti coi propri partiti di riferimento, ma alla fine le differenze cadevano. Avevamo però delle strutture, avevamo le nostre assemblee, delle procedure, l'abitudine a confrontarci, e tutto ciò alla fine portava all'accordo. Questo adesso devono ricostruire i sindacati dei metalmeccanici. E devono farlo appoggiandosi ai lavoratori, che non sono mai estremisti, sono attenti al merito dei problemi e, soprattutto, sanno bene che divisi si perde, uniti si vince.

MASSIMO MASCINI

PAGINA 3 – Domenica 9 Maggio 2004 IN PRIMO PIANO IL SOLE – 24 ORE

PAGINA 5– Domenica 9 Maggio 2004 IN PRIMO PIANO IL SOLE – 24 ORE

Page 23: Melfi, ancora scioperi: domani la protesta arriva a Romawin.federazioneintesa.it/federazione/rassegna... · La trattativa, secondo i metalmeccanici della Cgil, «si dovrà concludere

23

■ DALLA PRIMA PAGINA Scossa, il dirigismo Il caso Alitalia è emblematico perché riguarda un'infrastruttura di trasporto nazionale e internazionale e perché si tratta di una azienda il cui azionista di maggioranza è il Ministero dell'Economia. Intorno ad Alitalia si pasticcia da anni e mentre altre compagnie aree europee (British Airways, Air France-Klm, Lufthansa, Iberia) si sono rilanciate, la nostra ha continuato a peggiorare. L'arrivo di Cimoli è un'ottima scelta di professionalità che ha davanti un compito arduo il cui esito non potrà che essere, a scorpori conclusi, un'alleanza europea che regga sul mercato.

Ma anche le altre infrastrutture italiane soffrono e con esse la società civile e le imprese. Tra i molti esempi si prenda la nostra dipendenza energetica. Con il prezzo del petrolio che marcia verso i 40 dollari a barile, la nostra bilancia commerciale subirà un colpo gravissimo essendo il passivo energetico già raddoppiato nei primi due mesi 2004 rispetto allo stesso periodo 2003 e pur in presenza di un euro forte. L'Italia ha abbandonato il nucleare, con tutto il suo indotto, nella serena o inconsapevole convinzione che era meglio importare energia da nucleare dalla Francia e dalla Svizzera e da altri ancora.

Il positivo è oggi ancora il sistema produttivo italiano le cui imprese, insieme di imprenditori e lavoratori, esprimono il coraggio di competere sul mercato europeo (dove quello italiano è ormai immerso) e internazionale pur soffrendo la concorrenza asimmetrica dei Paesi emergenti (tra cui la Cina), la forza dell'euro, la crescente difficoltà dei grandi sindacati che, anche a causa dell'espansione di Cobas e di Cub, faticano a svolgere il doppio ruolo di tutela dei lavoratori e di soggetti ammodernati dello sviluppo.

Il sistema delle imprese ha però tutte le potenzialità per far riprendere all'Italia il cammino della crescita. Tra i pochi pilastri (grandi imprese) rimasti, Eni prosegue molto bene, Enel sta adattandosi all'emergere di nuovi competitori, il gruppo Telecom migliora di continuo e anche Fiat, pur con un orizzonte ancora difficile,sta recuperando.Persino le attività industriali di Parmalat, grazie alla grande capacità di Bondi, proseguono senza crisi occupazionali e senza perdere quote di mercato.

Se guardiamo poi ai distretti, e più in generale ai settori tipici del made in Italy, troviamo che vi sono occupati circa 3,6 milioni di addetti (pari al 73% del totale manifatturiero) e che affrontano grandi attuali difficoltà cercando di preservare al massimo l’occupazione nella consapevolezza della sua accumulata qualificazione.

In questa prospettiva le realtà positive sono di gran lunga prevalenti rispetto ai pur gravi elementi di crisi e da qui bisogna ripartire per far ritrovare alle imprese la forza di giocare apertamente di fronte alla concorrenza senza i fardelli degli oneri impropri,contando su un contesto favorevole che riconosca all'impresa un elemento fondamentale per lo sviluppo.

Fatta l'indispensabile scelta dell'euro, che ha eliminato le svalutazioni compensative delle inefficienze infrastrutturali, bisognava e bisogna puntare tutto sull'ammodernamento e sulla crescita dimensionale delle imprese con forti incentivi fiscali da dare anche alla ricerca scientifico-tecnologica. Nel manifatturiero l'Italia, con il 24% del valore della produzione in imprese con meno di 250 addetti, è infatti il Paese della Ue a 15 con maggiore concentrazione in tale dimensione aziendale. Ma non si cresce se le carenze e i vincoli esterni sono penalizzanti anche per il consolidamento dei sistemi d'imprese a rete.

Insomma ci voleva e ci vuole una "nuova ricostruzione" nella quale la priorità è la crescita infrastrutturale ed industriale tecnologicamente orientata con la conseguente occupazione qualificata il cui radicamento in Italia renderebbe possibili anche processi di delocalizzazione non depauperanti il nostro sistema Paese.

Le politiche economiche sono però andate troppo debolmente in questa direzione in quanto prese da altri interessi: da quelli di un orientamento a generalizzate riduzioni delle tasse a quelli di una difficile riduzione delle spese pubbliche improduttive.

Questa combinazione sembra portare adesso a un taglio radicale degli incentivi alle imprese i cui effetti, ben diversi da quelli di una razionalizzazione, sarebbero molto duri. Per questo bisogna che gli italiani si rendano conto che il sistema Paese è a rischio declino, pur avendo un eccellente potenziale d'imprese e pur in presenza di un forte impegno industriale delle banche.

Lo rivela in sintesi la perdita di quota di mercato internazionale che per noi è essenziale recuperare anche attraverso la collaborazione tra istituzioni e parti sociali, altra condizione indispensabile per promuovere lo sviluppo in un contesto di liberalesimo sociale che è ben diverso dalle aspirazioni di interventismo sindacal-dirigista che talvolta riemergono e che poi le norme Ue bloccano svolgendo un ruolo che non verrebbe svolto dalla spartizione politica.

ALBERTO QUADRIO CURZIO