Media e minoranze

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Il racconto dei media e il raccontarsi delle minoranze Carlo Gubitosa Giornalisti contro il razzismo [email protected]

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Media e Minoranze - Carlo Gubitosa - Giornalisti contro il razzismo.

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Il racconto dei media e il raccontarsi delle minoranze

Carlo GubitosaGiornalisti contro il razzismo

[email protected]

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Di cosa parliamo oggi

I media tra il dire azioni e il fare rappresentazioni

Comunicazioni efficaci: fare che si dica, dire che si fa

Complessita' ed etnocentrismi

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Fonte bibliografica di riferimento:

Media ed eticaRenato StellaEd. Donzelli

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Ragionare sui mediaIl sistema dei media parla contemporaneamente a più persone, propone modelli comportamentali in conflitto, racconta storie reali e in ciascuna di tali occasioni applica e legittima principi morali condivisi.

Essi trovano spazio di esemplificazione all'interno di film, fumetti, talk show o reality nei quali non è difficile riconoscersi.

Ci si attende però, al contempo, che i media mantengano essi stessi una condotta etica, nel senso di rispettare norme che consideriamo fondamentali per tutelarci come cittadini e come lettori-spettatori.

Il "Bene" e il "Giusto" dei media non riguardano solo quello che DICONO, ma anche quello che FANNO i mezzi di informazione.

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Quattro dimensioni dell'etica mediatica

1) I media DISCUTONO temi morali.(se la fecondazione assistita e l'eutanasia fossero escluse dal discorso mediatico, rimarrebbero temi per addetti ai lavori)

2) I media DIFFONDONO ESPERIENZE di vita(I programmi di "infotainment" hanno rimpiazzato la condivisione di esperienze delle chiacchiere di piazza)

3) I media RACCONTANO storie in cui si fanno scelte morali(I protagonisti delle fiction o dei serial vivono situazioni eticamente rilevanti proponendo le loro soluzioni)

4) I media ADOTTANO regole etiche al loro interno(Dimensione deontologica di autoregolamentazione)

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I media tra il dire azioni e il fare rappresentazioni

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Dire azioni e fare racconti

- I mezzi di comunicazione scindono tra "dire" e "fare", tra applicare regole etiche e rappresentare applicazioni di regole etiche. Es. "fare" prepotenze in un dibattito togliendo la parola e "dire" prepotenze verso alcune categorie sociali.

- L'etica del discorso "detto"

- A volte ad un ragionamento si puo' contrapporre una azione comunicativa che va in direzione contraria ai presupposti di una conversazione. (Ad esempio programma medico sull'anoressia interrotto da spot di modelle magrissime)

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EsempiLa permeabilita' tra il "dire" e il "fare" che caratterizza i media puo' dare luogo a sovrapposizioni e confusioni. Vediamo alcuni esempi:

Sassi dal cavalcavia: psicologi e sociologi dicono in tv che i telegiornali ne dovrebbero parlare di meno per evitare effetti di emulazione. Il DIRE (parliamone di meno) contrapposto al FARE (comunque se ne parla).

Periodicamente si organizzano dibattiti tra giornalisti per DIRE come si dovrebbe fare informazione corretta. Puntualmente si ritorna a FARE quello che si era criticato il giorno prima.

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Esempi"fare" prescrizioni mediche VS "dire" un testo veloce e incomprensibile

Maghi VS Difensori dei consumatori

Programmi di gastronomia Vs Programmi medici

Si "dice" che il pubblico e' maturo ma si "fa" la par condicio

Si "fanno" aste e televendite ma si "dice" che ci sono delle truffe

Nei media coesistono cose che si "fanno" pur essendo "dette" come negative (magia) o cose che si "dicono" pur essendo condannate quando vengono "fatte" (prevaricazione)

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Chi parla e chi "e' parlato" nei mediaAll'interno della relazione comunicativa si esercita un potere che colloca la persona di cui si parla entro le coordinate di definizione del parlante.

Il discorso della valutazione astratta dei doveri e delle responsabilita' dei media va approfondito per capire il modo in cui individui e gruppi "sono detti" all'interno dei discorsi mediatici, oppure il modo in cui questi individui e gruppi sono in grado di "dirsi" autonomamente, prendendo la parola potendo pretendere di essere ascoltati.

Si crea una distinzione tra chi e' in grado di "parlare" attraverso i media e chi invece puo' solo "essere parlato" dai media, un potere che si riflette nella scelta dei temi da affrontare, nella presenza, nell'assenza o nella "presenza mediata" di determinate categorie di persone, orientamenti politici, filosofici o religiosi, correnti di pensiero o gruppi etnici.

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La Tv come agenzia moraleI media sono al tempo stesso CONTENITORI e VEICOLI di norme morali, che essi pongono come elementi distintivi e riconoscibili dei loro messaggi.

La tv possiede un ruolo modellizzante nei riguardi degli standard etici considerati comuni, nel senso che li esemplifica, li impiega e a volte ne trae materia di discussione collettiva.

- QUIZ, SPORT -> Il merito conduce al premio- SERIAL -> La disonesta' e' punita- TG -> La verita' viene a galla

Anche le violazioni a questi valori sono assorbite dal sistema. Ad es. gli imbrogli di alcuni quiz e programmi televisivi sono stati svelati dalla stessa Televisione.

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I media, sistema eticamente autonomoI valori dei media cambiano anche in funzione dei contenitori che ospitano determinati messaggi.

Le battute umoristiche, ad esempio, sono situate in una specie di "zona franca" dei programmi televisivi entro cui e' possibile dire quanto in altri momenti del programma sarebbe risultato inopportuno.

Il "dire" o il "fare" assumono in televisione, a seconda dei contesti, una diversa rilevanza.

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I media, sistema eticamente autonomoAnche l'etica "riferita" (nei discorsi, nei racconti), "rappresentata" (nella fiction, nei serial) o "applicata" (nei turni di parola, nella difesa del diritto all'immagine) puo' agilmente scivolare tra il dire e il fare, essere "detta" invece che "agita", "trasgredita" invece che "proclamata" e trasformarsi cosi' in nuova immagine messa in circolazione. Questo consente al medium di mantenere compresenti nel medesimo spazio comunicativo affermazioni di principio insieme a palesi violazioni delle stesse, purche' sappia destreggiarsi tra l'uno e l'altro livello assecondando le regole dello spettacolo e della drammatizzazione.

Il sistema dei media, insomma. e' in grado di prevalere su eventuali prescrizioni etiche provenienti dal proprio "esterno".

L'etica del discorso "detto" (il racconto) e l'etica del discorso "fatto" (i turni di conversazione) non viaggiano in parallelo, in quanto alle conseguenze che ne possono derivare. Contravvenire al primo e' considerato meno grave che contravvenire al secondo.

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I media, sistema eticamente autonomoSi "fanno" campagne di sensibilizzazione sui problemi dell'informazione e si "fanno" fasce protette per i minori, sapendo di agire coscientemente, ma da li' in avanti pare non esservi piu' alcuna preocupazione sul "detto", sui discorsi e sulle rappresentazioni che possono andare in direzione contraria.

La meccanica di distribuzione dei tempi e dei temi dei messaggi tende a rientrare in una logica che sembra spesso fuori controllo da parte degli emittenti.

Le buone intenzioni proclamano la loro resa spettacolare di fronte alle esigenze di gestione spicciola dei palinsesti, e l'etica dei principi scivola verso aggiustamenti che la "fanno" o la "dicono" secondo regole di mercato che alla lunga appaiono refrattarie ad ogni correzione.

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Comunicazioni efficaci: fare che si dica, dire che si fa

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Comunicazioni efficaci: fare che si dica, dire che si fa

I media funzionano con regole di realta' e di rappresentazione della realta' loro proprie, che li fanno essere refrattair alla semplice applicazione di norme di condotta provenienti dall'esterno o da codici deontologici.

Si puo' parlare di un'"etica preterintenzionale", in cui sono presenti delle volonta' e delle intenzioni, ma non determinanti ai fini dei risultati che l'azione comunicativa produce. L'etica nei media assume i connotati di un "fattore risultante" che prescinde dalle singole intenzioni.

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Comunicazioni efficaci: fare che si dica, dire che si fa

E' difficile imporre regole dall'esterno perche' i media riescono a depotenziarle con i propri linguaggi.

Ad esempio la regola della "Par Condicio", nata per favorire il pluralismo, e' diventata un bavaglio che in campagna elettorale oscura alcuni tipi di informazione politica, e in condizioni "normali" assicura parita' di condizioni solo tra i partiti e non tra le diverse correnti di pensiero.

Se ci fosse una vera par condicio, i pensieri degli anarchici e dei nonviolenti sarebbero in condizione di esprimersi come i pensieri dei sostenitori del capitalismo o del socialismo. D'altra parte, inseguire ogni istanza identitaria porterebbe al collasso il sistema dei media. Ma allora, che si puo' fare?

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Comunicazioni efficaci: fare che si dica, dire che si fa

La pretesa di trovare una soluzione definitiva a questo genere di problemi e' illusoria.

Le soluzioni alla complessita' dei media vanno trovate caso per caso e cultura per cultura, con un approccio ETNOCENTRICO, entro cornici simboliche e normative che accontentano alcuni ma inevitabilmente scontentano altri, poiche' le definizioni mediali di soggetti e contesti passano per selezioni e semplificazioni che coinvolgono o escludono persone, organizzazioni, idee, credenze e visoni del mondo.

IL DISCORSO DEI MEDIA E' UNA SINTESI SEMPLIFICATA.

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Comunicazioni efficaci: fare che si dica, dire che si fa

Principio fondamentale: e' inapplicabile un'etica dei principi che sia soltanto "detta", (proclamata) e non "fatta" o "fatta fare" (cioe' resa esplicita e operativa attraverso azioni mirate).

Solo il "fare etico" puo' validamente contrapporsi alle infinite macchine con cui i mezzi di comunicazione creano mondi entro cui si elaborano e si comprendono simulacri di azioni ("dire che non bisogna dire") e azioni (non dire).

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Complessita' ed etnocentrismi

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Complessita' ed etnocentrismi

Doppia esigenza dei media:

andare incontro al maggior numero possibile di lettori - telespettatori

urtare la sensibilita' del minor numero possibile di persone

Diversita' di prospettiva: non siamo piu' noi che andiamo a studiare gli indigeni papua nelle loro terre, ma sono loro che vengono da noi e ci "studiano" nel nostro mondo, attraverso la mediazione della televisione.

E da qui nasce la questione della COMPLESSITA' nelle rappresentazioni mediatiche delle minoranze.

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Complessita' ed etnocentrismi

I problemi della complessita':

- Come "loro" si vedono rappresentati- Come "noi" li rappresentiamo- Come ci vedono nelle nostre autorappresentazioni- Come ci sperimentano nella vita di ogni giorno

La complessita' emerge come effetto cumulativo dell'incrociarsi di ruoli posizionali e di vocabolari: "noi" che guardiamo, che siamo guardati, che facciamo guardare, "loro" che ci guardano, si guardano, vedono come li vediamo.

LA MOLTIPLICAZIONE DELLE PROSPETTIVE VIENE PRIMA DELLA MOLTIPLICAZIONE DEI MESSAGGI.

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Complessita' ed etnocentrismi

L'asse centrale del ragionamento etico nel rapporto tra media e societa':

CHI HA DIRITTO DI DIRE COSA?

Etnocentrismo monoculturale: qualcuno, in rappresentanza di un "noi" implicito, racconta la storia di qualcun altro, modellandone l'immagine a se' e prendendo la parola al suo posto: gli uomini che parlano per le donne, gli adulti per i bambini, gli autoctoni per i migranti, i normodotati per i disabili, gli eterosessuali per GLBT, i cristiani per i musulmani.

CHI PARLA COSTRUISCE IL PROPRIO INTERLOCUTORE, NEGANDO LA COMPLESSITA' CHE LO CARATTERIZZA.

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Complessita' ed etnocentrismi

Primo fattore: il controllo della narrazione.

Nel medioevo chi ha il potere di stabilire che un eretico e' pericoloso? Che un mendicante dev'essere socialmente invisibile? Che il concubinato e' socialmente riprovevole?

Attraverso decreti, omelie, "grida", procedimenti giudiziari e mormorazioni si costruivano cornici pubbliche entro cui il racconto intorno a fattucchiere e "giudei", forestieri e atei acquistava un suo spazio di plausibilita' sociale.

Questo meccanismo e' molto diverso dal racconto che abbiamo costruito attorno a terroni, albanesi, marocchini, rom e romeni?

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Complessita' ed etnocentrismi

Secondo fattore: l'accesso ai media, riconosciuto solo a determinate categorie. Non esisteva un "arcistreghe".

Risultato: un ordine del mondo in cui la parola e i silenzi appaiono rigidamente distribuiti secondo consuetudini e leggi che ammettevano allo spettacolo pubblico solo pochi individui eccellenti, riconoscendo agli altri il palcoscenico solo in circostanze eccezionali (esecuzioni)

La complessita' e' esistita in ogni epoca storica, quello che e' nuovo del nostro tempo e' un atteggiamento di accettazione e valorizzazione che ha permesso di riconoscere autonomia a soggetti sociali che hanno cominciato a "parlare per se'", un diritto conquistato faticosamente sul campo grazie a battaglie e contrapposizioni che hanno visto i lavoratori, le donne, i migranti, contestare le definizioni correnti (mediche, teologiche, popolari, di loro stessi, pretendendo l'accesso al dibattito pubblico in veste di attori.

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Complessita' ed etnocentrismi

La complessita' e' una forma di consapevolezza condivisa delle regole di inclusione e di riconoscimento dei soggetti sociali. Ma anche oggi, nonostante una tendenza generale all'inclusione e al pluralismo, non tutti gli individui sono accettati come soggetti e non tutti i soggetti sono in pace con l'ordine di definizione che li riguarda.

I media ribadiscono questo potere riproducendone il consenso implicito attorno a "noi", uomini, "noi" adulti, autoctoni, eterosessuali normodotati, che difendiamo la nostra identita' rimarcando differenze e per far questo a volte ridiamo, denigriamo, esorcizziamo coloro che abitano il nostro stesso mondo nella posizione che gli attribuiamo e che vorremmo conservassero.

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Complessita' ed etnocentrismi

Argomenti tabu' o narrazioni tabu'?

Per denunciare lo stereotipo, occorre ribaltare i turni di conversazione, e fare in modo che chi taceva ed "era parlato" inizi a parlare, e che taccia chi ha parlato finora.

Guardando la piramide sociale, possiamo considerare rispettoso della complessita' il ridere che va dal basso verso l'alto, o che sta in orizzontale sulla stessa quota, mentre distrugge o tende a diminuire la complessita' il ridere che scende dall'alto verso il basso.

Un buon modello etico e' la comunicazione che si innalza e sfida l'autorita' a garanzia dei soggetti sociali deboli.

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Complessita' ed etnocentrismi

Se un Papua ride di me, mentre sono da solo in visita nel suo villaggio, questo mi mette a disagio, e immagino che il ridicolo sia il preludio ad altre forme di aggressione.

Se il Papua ride della sua tribu', questo mi da' un senso di grande confidenza e mi fa sentire integrato e accettato nel gruppo.

Ma se i Papua diventano classe dirigente nel mio paese opprimendo la minoranza autoctona, il mio ridere di loro spinge in direzione di un ampliamento della complessita' che preveda maggiori diritti per me e per coloro che stanno assieme a me in basso nella piramide.

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Complessita' ed etnocentrismi

LA RELAZIONE DI POTERE ALL'INTERNO DELLA NARRAZIONE e' il metro per capire se stiamo andando verso

la valorizzazione e il mantenimento della complessita' nel mondo o verso una brutale riduzione semplificatoria

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Complessita' ed etnocentrismi

Chi sta in cima alla piramide e diventa oggetto della narrazione "ribaltata" percepisce un senso di MINACCIA.

L'IMMORALITA' e' il codice generalizzato con cui da sempre si reagisce alle invasioni del proprio territorio simbolico, bollando come immorali le narrazioni delle donne che rivendicano diritti (streghe, isteriche, femministe), immorale e' l'ambizione di costruire le chiese di altre confessioni, immorali e criminali sono i migranti che rivendicano una loro identita' e chiedono voce e spazio sui mezzi di informazione.

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Complessita' ed etnocentrismi

I media di conseguenza divengono delle vere e proprie

ARENE DI CONFLITTI SOCIALI

dove la posta in palio e' rappresentata da RISORSE DI IDENTITA' da conquistare e da spendere nello spazio collettivo. In tali arene, esserci PER ME o perche' ALTRI MI DEFINISCONO, fa la differenza. I mezzi di comunicazione raccontano tra le righe e con i propri linguaggi, sia il conflitto sia i suoi risultati e i suoi vincitori.

Non e' piu' una lotta di emancipazione personale, nei media si svolge una battaglia per stare dentro le "mura della citta'", per rientrare nei confini della complessita', per farne parte come soggetto riconosciuto collettivamente.

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Complessita' ed etnocentrismi

Una delle debolezze strutturali della complessita' e' che non cambia le regole strutturali del potere, ma solo le posizioni all'interno della piramide.

Chi guadagna posizioni all'interno della piramide diventa sempre piu' "revisionista" e sempre meno "rivoluzionario", perche' una volta acquistato un maggiore potere non si ha l'interesse di cambiare le regole di assegnazione del potere.

In questo senso la complessita' diventa un fenomeno CIRCOLARE: individui e gruppi possono incarnare di volta in volta l'apice o la base della piramide, ma pochissimi mettono in discussione la struttura piramidale per sostituirla con una orizzontale e circolare.

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Complessita' ed etnocentrismi

Tuttavia, la sfida della complessita' e' proprio quella di spingere verso una societa' circolare ed orizzontale, dove coesistono nel medesimo tempo e spazio diverse persone e comunita' che vivono secondo regole, credenze e stili d'azione tra loro differenti e spesso incompatibili, lasciando a ciascuno il diritto di produrre definizioni legittime e plausibili di se', senza dover obbedire a imposizioni altrui.

Il dubbio senza risposta:

TUTTE LE CULTURE SONO UGUALMENTE LEGITTIME?

Page 34: Media e minoranze

Complessita' ed etnocentrismiProposta:

Facciamo una legge che proibisca di circolare per strada incappucciati.

Siamo sicuri che non sia viziata da etnocentrismo?

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Complessita' ed etnocentrismi

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Complessita' ed etnocentrismi

La categoria dei migranti e' solo una delle tante categorie di persone che hanno diritto d'accesso limitati ai media, diventandone oggetto piu' di quanto non riescano ad esserne protagonisti.

Lo stesso problema e' vissuto da donne, transessuali, bambini, anziani, disabili, persone poco alfabetizzate che condividono lo stesso "destino d'immagine" dei migranti.

Poco accesso diventa cattiva rappresentazione, e in questo senso i media non "dicono" la complessita', ma contribuiscono a "farla", selezionando soggetti e tratteggiandoli in modo stereotipato funzionale alle esigenze della spettacolarizzazione.

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Complessita' ed etnocentrismi

Il paradosso dei media: devono apparire plurali in un sistema etnocentrico che scrive regole a beneficio dei gruppi culturalmente dominanti.

La tv nazionale generalista diventa la custode della morale collettiva: lo standard minimo di cio' che "si deve dire" o che si "dice di dover fare", per abitare nel nostro mondo senza rinnegarne la complessita'.

La morale comune costruita e diffusa dai mezzi di comunicazione non e' dunque un insieme astratto di principi sanciti da norme regolamentari, ma un contesto di relazioni e di azioni piuttosto effervescente, capace di modificare nel tempo i propri confini e di riconsiderare accessi, conflitti, scambi e modalita' di inclusione ed esclusione dei soggetti che vi sono implicati.

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Complessita' ed etnocentrismi

Il senso della campagna "Mettiamo al bando la parola clandestino" e' proprio quello di disinnescare il conflitto sociale scongiurando delle rappresentazioni in cui i migranti che non possono parlare non si riconoscono nemmeno nel modo in cui "sono parlati"

Bisogna fare i conti con l'esito di minaccia, e di incombente invasione simbolica, che la complessita' rappresentata attraverso i media suggerisce al pubblico.

Il cambio di alcuni nomi non fa differenza sul piano pratico tra l'attivita' dello spazzino e quella dell'operatore ecologico, ma afferma la conquista di un diritto sul piano culturale e simbolico, il diritto di "parlare per se'" e di definirsi utilizzando un vocabolario accettabile.

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Gestione della complessita' vs "politically correct"

L'atteggiamento politicamente corretto e' quello che evita a priori l'uso di certe parole, l'atteggiamento mirato alla gestione della complessita' e' quello che valuta l'uso di certi termini in funzione dei rapporti di forza messi in campo dall'uso di quei termini e dagli stereotipi e pregiudizi ad essi correlati.

L'atto di dire e vedere accettate concordemente delle parole che definiscono meglio una minoranza "fa" l'avvio di una distinzione visibile: quella tra un gruppo di persone e i nomi che gli venivano dati senza interpellarlo.

Le obiezioni maggiori al cambio di linguaggio vengono da intellettuali opinionisti e critici che si lamentano di troppo formalismo, burocraticita', prescrittivita', addirittura illiberalismo. Tuttavia non si accorgono che decidendo "a priori" per altri senza interpellare le persone descritte da quel vocabolario stanno nuovamente esercitando il potere che ha chi sta in cima alla piramide per definire chi sta sotto.

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Gestione della complessita' vs "politically correct"

L'atteggiamento politicamente corretto e' quello che evita a priori l'uso di certe parole, l'atteggiamento mirato alla gestione della complessita' e' quello che valuta l'uso di certi termini in funzione dei rapporti di forza messi in campo dall'uso di quei termini e dagli stereotipi e pregiudizi ad essi correlati.

L'atto di dire e vedere accettate concordemente delle parole che definiscono meglio una minoranza "fa" l'avvio di una distinzione visibile: quella tra un gruppo di persone e i nomi che gli venivano dati senza interpellarlo.

Le obiezioni maggiori al cambio di linguaggio vengono da intellettuali opinionisti e critici che si lamentano di troppo formalismo, burocraticita', prescrittivita', addirittura illiberalismo. Tuttavia non si accorgono che decidendo "a priori" per altri senza interpellare le persone descritte da quel vocabolario stanno nuovamente esercitando il potere che ha chi sta in cima alla piramide per definire chi sta sotto.

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Un insieme minimo di principi finali- Diritto d'accesso ai media

- Diritto di riconoscersi nei media

- Diritto di essere rappresentato con codici e vocabolari dignitosi

- Diritto di decidere assieme ai miei simili come si puo' parlare di noi

- Orientare la rappresentazione dei media verso la periferia

- Costruire apparati, discorsi e narrazioni a tutela dei soggetti deboli(Tutela del pubblico nei confronti del giornalista, del giornalista nei confronti della proprieta', della proprieta' verso il potere politico, del potere politico verso il potere finanziario)

- Orientare i media al riequilibrio dei rapporti di forza

- Difenderci da inquinamento simbolico e "predatori mediatici"

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Un insieme minimo di principi finaliLa difesa della complessita' non e' la sostituzione bruta di una forma di etnocentrismo con un'altra.

Non vogliamo sostituire i pregiudizi degli uomini bianchi etero e cattolici quelli delle donne migranti lesbiche e musulmane. Il discorso non e' una lotta di potere per rovesciare i linguaggi dominanti e sostituirli con altri domini.

L'etica della complessita' e' un "etnocentrismo della molteplicita'", una eresia inaccoglibile in molti sistemi sociali e tradizioni politiche:

STARE INSIEME CONFRONTANDOSI, MA ACCETTANDO LA PLAUSIBILITA' DI VOCI DISCORDANTI ED ETERODOSSE,

POSTE FUORI DAI VOCABOLARI DATI PER SCONTATI.