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1 LE MINORANZE NELL’ORDINAMENTO COSTITUZIONALE ITALIANO Daniele Trabucco Quattuorviro o decurione del municipium Altinum presso il museo archeologico nazionale di Altino (VE) - Età augustea-

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LE MINORANZE NELL’ORDINAMENTO COSTITUZIONALE ITALIANO

Daniele Trabucco

Quattuorviro o decurione del municipium Altinum presso il museo archeologico nazionale di Altino (VE) - Età augustea-

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minoranze è grave violazione della giustizia; e tanto più lo è, quando viene svolta per farle scomparire. minoranze è grave violazione della giustizia; e tanto più lo è, quando viene svolta per farle scomparire. minoranze è grave violazione della giustizia; e tanto più lo è, quando viene svolta per farle scomparire. minoranze è grave violazione della giustizia; e tanto più lo è, quando viene svolta per farle scomparire.

Risponde invece ad una esigenza di giustizia che i Poteri Pubblici portino il loro contributo nel promuoverRisponde invece ad una esigenza di giustizia che i Poteri Pubblici portino il loro contributo nel promuoverRisponde invece ad una esigenza di giustizia che i Poteri Pubblici portino il loro contributo nel promuoverRisponde invece ad una esigenza di giustizia che i Poteri Pubblici portino il loro contributo nel promuovere e e e

lo sviluppo umano delle minoranze con misure efficaci a favore della loro lingua, della loro cultura, del loro lo sviluppo umano delle minoranze con misure efficaci a favore della loro lingua, della loro cultura, del loro lo sviluppo umano delle minoranze con misure efficaci a favore della loro lingua, della loro cultura, del loro lo sviluppo umano delle minoranze con misure efficaci a favore della loro lingua, della loro cultura, del loro

costume, delle loro risorse ed iniziative economiche. Qui però va rilevato che i membri delle minoranze, come costume, delle loro risorse ed iniziative economiche. Qui però va rilevato che i membri delle minoranze, come costume, delle loro risorse ed iniziative economiche. Qui però va rilevato che i membri delle minoranze, come costume, delle loro risorse ed iniziative economiche. Qui però va rilevato che i membri delle minoranze, come

conseguenza di una reazione al loconseguenza di una reazione al loconseguenza di una reazione al loconseguenza di una reazione al loro stato attuale o a causa delle loro vicende storiche, possono essere ro stato attuale o a causa delle loro vicende storiche, possono essere ro stato attuale o a causa delle loro vicende storiche, possono essere ro stato attuale o a causa delle loro vicende storiche, possono essere

portati, non di rado, ad accentuare l’ importanza degli elementi etnici, da cui sono caratterizzati, fino a portati, non di rado, ad accentuare l’ importanza degli elementi etnici, da cui sono caratterizzati, fino a portati, non di rado, ad accentuare l’ importanza degli elementi etnici, da cui sono caratterizzati, fino a portati, non di rado, ad accentuare l’ importanza degli elementi etnici, da cui sono caratterizzati, fino a

porli al di sopra dei valori umani; come se ciò che è proprio dell’ umanità fporli al di sopra dei valori umani; come se ciò che è proprio dell’ umanità fporli al di sopra dei valori umani; come se ciò che è proprio dell’ umanità fporli al di sopra dei valori umani; come se ciò che è proprio dell’ umanità fosse in funzione di ciò che è osse in funzione di ciò che è osse in funzione di ciò che è osse in funzione di ciò che è

proprio della nazione. Mentre saggezza vorrebbe che sapessero pure apprezzare gli aspetti positivi di una proprio della nazione. Mentre saggezza vorrebbe che sapessero pure apprezzare gli aspetti positivi di una proprio della nazione. Mentre saggezza vorrebbe che sapessero pure apprezzare gli aspetti positivi di una proprio della nazione. Mentre saggezza vorrebbe che sapessero pure apprezzare gli aspetti positivi di una

condizione che consente loro l’ arricchimento di se stessi con l’ assimilazione graduale e continuata di valori condizione che consente loro l’ arricchimento di se stessi con l’ assimilazione graduale e continuata di valori condizione che consente loro l’ arricchimento di se stessi con l’ assimilazione graduale e continuata di valori condizione che consente loro l’ arricchimento di se stessi con l’ assimilazione graduale e continuata di valori

propri dpropri dpropri dpropri di tradizioni o civiltà differenti da quella alla quai tradizioni o civiltà differenti da quella alla quai tradizioni o civiltà differenti da quella alla quai tradizioni o civiltà differenti da quella alla quale essi appartengono”le essi appartengono”le essi appartengono”le essi appartengono”

GIOVANNI XXIIIGIOVANNI XXIIIGIOVANNI XXIIIGIOVANNI XXIII

Dalla lettera enciclica “ “ “ “Pacem in terris””””

A mio nonno PieA mio nonno PieA mio nonno PieA mio nonno Piettttrorororo

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Indice-sommario

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INDICE-SOMMARIO

CAPITOLO I

LE MINORANZE STORICHE

1.1 I presupposti storici delle minoranze linguistiche 7

1.2 Le situazioni minoritarie in Italia (rinvio) 12

CAPITOLO II

CONCETTO DI MINORANZA LINGUISTICA

2.1 Il significato di lingua minoritaria 19 2.2 I diversi status giuridici delle lingue minoritarie 24 2.3 Il soggetto della tutela: le minoranze 41

CAPITOLO III

L’ ARTICOLO 6 DELLA COSTITUZIONE E LA LEGGE N.482/1 999. LA

NORMATIVA REGIONALE E LOCALE IN TEMA DI TUTELA DELL E

MINORANZE LINGUISTICHE

3.1 I lavori preparatori dell’articolo 6 della Costituzione 51 3.2 L’ articolo 6 come principio supremo dell’ordinamento 55 3.3 I principi costituzionali collegati all’articolo 6 59 3.4 Le minoranze riconosciute e non prima della legge n. 482/1999 63 3.5 L’identificazione soggettiva e territoriale delle minoranze nei

lavori parlamentari prima della legge n. 482/1999 67 3.6 La tutela normativa della legge n. 482/1999 70

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Indice-sommario

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3.7 Un bilancio della legge 15 dicembre 1999 n.482 in attesa di adempimenti, adeguamenti e verifiche 73 3.8 La tutela delle minoranze tra Stato e Regioni 75

3.9 Gli interventi regionali a tutela delle minoranze linguistiche storiche 82 3.10 Gli Statuti degli enti locali e la tutela dell’identità minoritaria 93

CAPITOLO IV

GRUPPI MINORITARI NAZIONALI

4.1 Profili strutturali e tipologici 97 4.2 La struttura del Trentino-Alto Adige/Sudtirol come espressione della

tutela delle minoranze linguistiche: il gruppo tedesco e italiano 98 4.3 I ladini della Provincia di Bolzano/Bozen 118 4.4 La tutela del gruppo ladino alla luce della giurisprudenza costituzionale 122 4.5 I ladini fassani 126 4.6 I cimbri ed i mocheni nella Provincia di Trento 129 4.7 La minoranza francese in Valle d’Aosta ed i walser 130 4.8 Gli sloveni del Friuli-Venezia Giulia 133

CAPITOLO V

BREVI CENNI SULLE MINORANZE DEGLI ORDINAMENTI STRAN IERI

5.1 Gli aranesi della Catalogna 137 5.2 La comunità germanofona in Belgio 138 5.3 La minoranza anglofona in Québec 140 5.4 La minoranza francofona nel Rest of Canada 142

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Le minoranze storiche

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CAPITOLO I

LE MINORANZE STORICHE

Sommario: 1.1 I presupposti storici delle minoranze linguistiche – 1.2 Le situazioni minoritarie in Italia (rinvio)

1.1: I presupposti storici delle minoranze linguistiche - Per capire pienamente l’importanza

delle diverse minoranze linguistiche e la portata normativa dell’ articolo 6 della nostra

Costituzione Repubblicana, è opportuno prendere in esame gli antefatti storico-culturali: a

seguito della riforma protestante, avviata dal monaco agostiniano Martin Lutero (1), si venne a

formare un gruppo consistente di principi tedeschi che aderirono alla nuova confessione

religiosa e si rinunirono in una lega, utilizzando l’espediente religioso come “casus” per

confiscare terreni fino a quel momento di proprietà della Chiesa di Roma. Ne seguì, a partire

dal 1530, una drammatica guerra tra l’imperatore Carlo V, che si era assurto a difensore

dell’unità cattolica, ed i principi elettori di Germania con l’effetto di un trattamento

oppressivo poiché ciascuno dei gruppi religiosi contrapposti era fermo nel considerare la

propria come l’unica vera fede e gli aderenti alle altre confessioni come degli sventurati che

necessitavano salvezza dall’errore in cui vivevano (2). Il conflitto si prolungò, con risultati

alterni, finchè si giunse alla pace di Augusta del 1555 con la quale si riconobbe agli elettori un

principio importantissimo, condensato nella massima latina “cuius regio, eius religio” cioè,

in altri termini, la libertà, da parte dei principi, di seguire l’una o l’altra delle due fedi

religiose ossia la cattolica o la luterana. Questa libertà non venne tuttavia concessa ai sudditi,

(1) Martin Lutero (1483-1546) è il fondatore della religione protestante-luterana ed autore di una traduzione tedesca della Bibbia. (2) Cfr., A. PIZZORUSSO, Le minoranze nel diritto pubblico interno, Milano, Giuffrè. 1967, p. 26.

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ai quali si impose l’obbligo di seguire la religione dei loro signori, facendo comunque salva la

facoltà di emigrare qualora fossero sorti problemi di coscienza (3).

Ma a partire dal XVII secolo, s’iniziarono ad elaborare alcuni strumenti giuridici che

consentivano ai gruppi minoritari soggetti all’imperio di un sovrano professante una fede

religiosa diversa dalla loro, di derogare dal principio sancito con la pace di Augusta. Il più

antico esempio di questo tipo sembra essere offerto dal trattato di Vienna del 1606, con il

quale il re d’Ungheria ed il principe di Transilvania accordarono alla minoranza protestante di

quest’ultima regione di praticare liberamente la propria religione. Analoghe disposizioni si

riscontrano nel trattato di Vestfalia del 1648, in cui la Francia ed il Sacro Romano Impero

dichiararono la libertà dei protestanti in Germania e la parità della loro religione rispetto a

quella cattolica; nel trattato di Oliva del 1660 in cui Svezia e Polonia garantirono i diritti dei

cattolici nella Livonia all’atto della sua cessione alla Svezia; nei trattati di Nimega del 1678 e

di Rijswijk del 1697, in cui Francia ed Olanda stabilirono analoghe garanzie, anche qui a

seguito di trasferimenti di territori; nel trattato di Parigi del 1763, concluso tra Francia,

Spagna e Gran Bretagna, con il quale quest’ultima riconobbe la libertà dei cattolici in

riferimento ai territori canadesi ad essa trasferiti dalla Francia (4).

Solo a partire dal XIX secolo, iniziano a trovarsi anche esempi di protezione minoritaria

stabilita dal diritto interno degli stati e riguardante non più soltanto le comunità religiose, ma

anche quelle etnico-linguistiche: il primo atto giuridicamente importante, che rientra nel

contesto ora descritto, è l’Atto finale del Congresso di Vienna del 9 giugno 1815 (5), nel quale

furono garantiti taluni diritti della nazione polacca nei confronti degli stati tra i quali la

(3) Cfr., L. MONTANARI, Storia e civiltà dell’uomo, Vol. III, Bologna, Calderini, 1981, pp. 186-191. (4) Cfr., per i trattati storici internazionali, A. PIZZORUSSO, Art. 6 Cost., in G. Branca (a cura di) Commentario della Costituzione, Vol. I, Bologna, Zannichelli, 1975, pp. 296-299. (5) Il Congresso di Vienna del 1815, voluto fortemente dalla monarchia austriaca degli Asburgo, costituì una risposta ai tentativi di trasformazione e rinnovamento sociale avviati dalla rivoluzione francese del 1789 e dalla prima rivoluzione industriale.

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Polonia era spartita. Con l’ affermarsi, dalla seconda metà dell’800, dell’idea di nazione, il

problema della tutela e protezione delle minoranze trovò sia elementi favorevoli di riscontro

sia elementi di difficoltà: se infatti, da un lato, il nazionalismo consentì ai suoi sostenitori di

affermare la necessità che le minoranze “nazionali” si dovessero ricongiungere allo stato che

identificavano come loro “patria” o quantomeno, nell’ impossibilità di conseguire questo

risultato, che le minoranze linguistiche potessero beneficiare di forme particolari di tutela

all’interno dell’ordinamento statale nel quale erano insediate, dall’ altro lato la spinta

nazionalistica portò a maturare manifestazioni di intolleranza ed, in alcuni casi, giunse ad una

vera e propria persecuzione, segni evidenti di un “isterismo nazionale” che affonda le sue

radici nella negazione più completa ed assoluta di un “diritto di territorio” da parte dei gruppi

linguistici minoritari sulla base di elementi di divergenza ed eterogeneità o in termini di

lingua o in termini di credo o in termini di usi e costumi rispetto alla collettività dello stato. Il

risultato più importante che il movimento nazionalista, nella sua dimensione positiva, riuscì a

conseguire, è rappresentato dal sistema di tutela delle “minoranze di razza, di lingua e di

religione” che fu elaborato alla fine del primo conflitto mondiale in seno alla Società delle

Nazioni, nata nel 1919 in seguito ai trattati di pace di Versailles (6). Per assicurare il rispetto

delle disposizioni normative contenute nei trattati internazionali (tra questi ricordiamo a titolo

esemplificativo: i trattati conclusi tra le principali potenze alleate e la Polonia il 28 giugno

1919, la Iugoslavia il 10 settembre 1919, la Romania il 9 dicembre 1919, la Grecia il 10

agosto 1920), era prevista la possibilità di denunciare eventuali violazioni agli organi della

Società delle Nazioni con l’obiettivo di instaurare un procedimento contenzioso nei confronti

dello stato responsabile delle suddette violazioni.

(6) La Società delle Nazioni, nata dai trattati di pace del 1919, fu un’organizzazione internazionale che doveva riunire i vari popoli della terra nell’impegno di collaborare fra di loro e di rinunciare alla guerra come metodo di risoluzione delle controversie internazionali. Con la fine della seconda guerra mondiale, si dissolse ed il suo posto fu occupato dall’ ONU.

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Questo “embrionale” sistema di protezione e salvaguardia dei gruppi minoritari ebbe

purtroppo vita breve in seguito alle ben note vicende legate ai regimi totalitari (che spinsero

prepotentemente per la nazionalizzazione di eventuali gruppi minoritari impedendo l’uso della

loro lingua d’origine) ed alla seconda guerra mondiale, e non fu più ricostituito nel

dopoguerra dal momento che prevalse la tendenza a negare i diritti collettivi delle minoranze

linguistiche per rafforzare invece la tutela dei diritti individuali di libertà ed uguaglianza.

Questa nuova tendenza, che non impedì di stipulare alcuni importantissimi trattati

internazionali (pensiamo all’accordo De Gasperi-Gruber del 5 settembre 1946 per l’Alto

Adige/Sudtirol; allo statuto speciale per Trieste annesso al memorandum d’Intesa del 5

ottobre 1954; l’ accordo tra India e Pakistan dell’ 8 aprile 1950), prevalse anche nella fase

iniziale dell’ attività svolta dall’ Onu, la massima organizzazione internazionale. Questo a

riprova del fatto che il principio di nazionalità non ha esaurito completamente la sua funzione;

mano a mano che il ricordo del secondo conflitto bellico si è allontanato, ha segnato una certa

ripresa inteso, contemporaneamente, sia come riconoscimento delle proprie tradizioni sia

come forma di rispetto per quelle altrui (7).

Ma nel corso del tempo subì una lenta ma graduale evoluzione in base alla quale l’opportunità

di realizzare forme di tutela dei gruppi minoritari portò ad importanti risultati soprattutto sul

piano del diritto interno: pensiamo alla Gran Bretagna ed in particolare al Welsh Language

Act del 1967 con il quale il Parlamento di Londra riconosce tutela e protezione dei gruppi

linguistici minoritari all’ interno dell’ordinamento britannico; per ricordare poi, per quanto

riguarda l’ Italia, il disposto dell’articolo 6 della Costituzione, inteso come principio supremo

dell’ ordinamento, e recentemente la legge ordinaria dello stato del 15 dicembre n. 482 del

1999. Risulta tuttavia particolarmente importante sottolineare, ed auspico sul punto una

riforma, che non vi è alcuna traccia, all’interno della Carta dell ONU né nella dichiarazione

(7) Sull’idea di evoluzione del principio nazionalistico, vedi la riflessione storica di A. PIZZORUSSO, Le minoranze nel diritto pubblico interno, op.cit., pp. 23-25.

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universale dei diritti dell’ uomo (8), di disposizioni volte all’affermazione dell’ importanza del

principio di tutela e protezione dei gruppi linguistici minoritari. L’Assemblea Generale (9)

delle Nazioni Unite si limitò infatti ad approvare due risoluzioni, prive tra l’altro di efficacia

vincolante, sulla base della quale si dichiarava che l’ Assemblea medesima non poteva restare

indifferente alla sorte delle minoranze; mi riferisco, per quanto concerne la prima alla

risoluzione Fate of minorities del 10 dicembre 1948, mentre, in merito alla seconda, ricordo la

Dichiarazione sui diritti delle persone appartenenti alle minoranze nazionali o etniche,

religiose o linguistiche del 18 dicembre 1992. Quest’ultima, pur non essendo dotata di forza

cogente come il Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966, del quale farò cenno

in seguito, affianca al principio di uniformità di trattamento quello dell’eguaglianza

sostanziale allao scopo di garantire la pienezza delle situazione giuridiche soggettive

enumerate (10).

Quello che, in sintesi, si è venuto ad affermare a partire dal secondo dopoguerra consiste nel

fatto che le differenze di natura etnico-linguistica non sono più considerate elementi per

determinare l’ appartenenza dei singoli all’uno o all’altro stato, bensì diventano uno dei criteri

di ripartizione del popolo, inteso come uno degli elementi costitutivi di un ordinamento

giuridico statale, in formazioni sociali variamente articolate. Gli anni ’60 e ’70 del secolo

appena trascorso, sono stati caratterizzati da un fenomeno molto significativo, il c.d. revival

etnico (11) cioè una sorta di rinascita, di ritorno della problematica legata alle lingue ed alle

(8) La Carta dell’ ONU (cioè Organizzazione delle Nazioni Unite) fu elaborata dalla conferenza di San Francisco ed entrò in vigore il 24 ottobre del 1945; mentre la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, curata dal Consiglio d’Europa, è stata pubblicata in lingua inglese e francese nella G.U. del 24 settembre 1955, in appendice alla l. 4 agosto 1955 n. 848 recante autorizzazione alla ratifica della stessa. (9) L’ Assemblea Generale delle Nazioni Unite è un organismo interno dotato di vastissima competenza ratione materiae, ma quasi nessun potere vincolante. Tutti gli Stati vi sono rappresentati ed hanno pari diritto di voto. (10) Per il testo integrale della Dichiarazione, vedi Declaration on the Rights of Persons Belonging to National or Ethnic, Linguistic and Religions Minorities, G.A. Res.47/135, 18 dicembre 1992, su cui PHILIPPS AND ROSAS (eds), The UN Minority Rights Declaration, Turku/Abo-London, 1993. (11) Cfr., in tema di revival etnico, V. PIERGIGLI, Lingue minoritarie ed identità culturali, Milano, Giuffrè, 2001, pp.1-8.

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culture minoritarie manifestatosi in Europa occidentale, ma successivamente sviluppatosi in

altre aree del globo, che si sente ancora ai nostri giorni. Questo “ritorno” si è accompagnato

alla crisi (12) della sovranità e del significato tradizionale di Stato-nazione provocata da una

pluralità di fattori sociali, economici, istituzionali; ciò ha indotto a ripensare nozioni e

categorie che sembravano consolidate rendendo così inevitabilmente anacronistica la

riproposizione di una visione etnocentrica e monolitica della società contemporanea. La

tendenza alla costruzione di una società multiculturale ed interdipendente non deve

comunque, e su questa prospettiva si è inserito il legislatore italiano con la legge 482/99, far

dimenticare il patrimonio delle tradizioni storiche, linguistiche e culturali di cui sono

depositari gruppi minoritari nell’ ambito di certe comunità nazionali. Questo spiega il motivo

per il quale oggi gli Stati sono tendenzialmente propensi a realizzare forme giuridiche più o

meno perfezionate di protezione, anche al fine di sopire manifestazioni d’ insoddisfazione e

prevenire il rischio di movimenti separatisti; atteggiamenti agnostici da parte degli

ordinamenti nazionali sono unanimamente considerati irrealistici almeno di fronte alle

rivendicazioni di gruppi minoritari numericamente consistenti, geograficamente localizzati e

connotati da un forte senso di appartenenza, eventualmente sostenuti da uno Stato-patria al di

fuori dei confini nazionali d’ insediamento (13).

1.2: Le situazioni minoritarie in Italia ( rinvio ) - Le popolazioni che vennero a riunirsi nel

regno d’Italia, a partire dal marzo del 1861, presentavano evidenti differenziazioni sul piano

etnico-linguistico. Ma il preminente indirizzo di matrice nazionalistica, che caratterizzava

anche la mentalità dei giuristi dell’epoca, impedì, tra il 1861 ed il 1918, alcun tipo di

(12) Cfr., per quanto concerne la crisi dello Stato tradizionale, M. BERTOLISSI, Identità e crisi dello Stato costituzionale in Italia, Padova, Cedam, 2003. (13) Cfr., per una visione globale dei presupposti storici delle minoranze, A. PIZZORUSSO, voce Minoranze etnico-linguistiche; in Enc. Dir. , XXVI, Milano, Giuffrè, 1976, p. 21 e ss ; A. PIZZORUSSO, Art. 6 Cost., op.cit., pp. 296-299; L. CARLASSARE, Conversazioni sulla Costituzione, Padova, Cedam, 2002, pp. 65-95.

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riconoscimento giuridico , peraltro quasi mai rivendicato dagli interessati; in particolare venne

fortemente ridimensionata la “limitata tutela” che alcune disposizioni normative contenute

nello Statuto Albertino garantivano nell’ambito dell’ordinamento piemontese. Tra questi

disposti, degno d’interesse era l’articolo 62 dello Statuto (14), promulgato dal re Carlo Alberto

nel 1848 (esteso poi anche al Regno d’Italia), che prevedeva, soprattutto a beneficio degli

abitanti della Valle d’Aosta e delle altre valli alpine occidentali, l’uso della lingua francese nei

dibattiti parlamentari ad opera dei deputati di realtà regionali in cui essa fosse usata od in

risposta ai medesimi. Ma nulla fu invece previsto per tutelare le particolarità linguistiche-

lessicali degli sloveni del Natisone, inclusi nei confini italiani con l’annessione del Veneto nel

1866 (15), e di altri importanti gruppi alloglotti sparsi nel Regno; le differenze linguistiche di

sardi, friulani e di altre comunità furono considerate varietà dialettali della lingua italiana e

perciò stesso prive di tutela e protezione sia sul piano giuridico sia su quello politico.

La situazione però mutò rapidamente alla fine della prima guerra mondiale, infatti i trattati di

pace di Versailles portarono all’annessione all’Italia del Sudtirol o Tirolo meridionale e

dell’Istria, entrambi in seguito al trattato di Saint-Germain-en-Laye (Parigi) del 10 settembre

1919. Si vennero pertanto a formare, all’interno del territorio italiano, due forti gruppi

minoritari di circa 200.000 mila persone ciascuno, i quali, animati da un forte sentimento di

appartenenza nazionale, cercavano di resistere ad ogni tentativo di assimilazione da parte

dello stato italiano. In un primo tempo, l’atteggiamento del governo italiano verso queste

realtà minoritarie fu indirizzato ad uno spirito liberale, il più possibile conforme alla portata

delle clausole dei trattati delle minoranze, maturati in seno alla Società delle Nazioni, ed ai

(14) Lo Statuto Albertino concesso dal re Carlo Alberto nel 1848 ha un’importanza fondamentale per la nostra storia costituzionale: delle diverse costituzioni emanate nello stesso periodo nei vari staterelli in cui era suddivisa la penisola, fu infatti l’unico a sopravvivere divenendo poi, nel 1861, la prima Costituzione del Regno d’Italia. Si trattava di una Costituzione ottriata ossia concessa liberamente dal sovrano e flessibile cioè una legge ordinaria poteva derogare i disposti normativi statutari. In tema di minoranze linguistiche l’ articolo 62 dello Statuto così recitava: “La lingua italiana è la lingua ufficiale delle Camere. E’ però facoltativo servirsi del francese ad i membri che appartenessero ai paesi in cui questo è in uso, o in risposta ai medesimi”

(15) Con la pace di Vienna del 3 ottobre 1866, che sancì la fine della terza guerra d’ Indipendenza, l’Austria abbandonò il Veneto che fu unito all’ Italia (ad eccezione delle regioni di Trento e Trieste).

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quali l’ Italia, in quanto potenza vincitrice del primo conflitto mondiale, non era vincolata sul

piano giuridico.

Ma l’avvento del regime fascista, determinò un mutamento radicale di questa prospettiva:

venne infatti instaurata una politica di assimilazione forzata di questi gruppi minoritari

ostacolando l’uso di lingue diverse da quella italiana, e favorendo, specialmente in Alto

Adige, l’emigrazione italiana verso le aree di codeste minoranze. Questa politica,

radicalmente diversa dalla precedente, incontrò una tenace resistenza negli sloveni e nei croati

e non soltanto di natura passiva; assai diverso fu l’atteggiamento dei sudtirolesi, la cui difesa

pur meramente passiva dei propri valori linguistici e lessicali, fu favorita dalla maggiore

compattezza e dalla loro preminenza economica nell’area contestata. La loro vicenda, sulla

quale torneremo più dettagliatamente, ebbe una svolta particolare per effetto degli accordi

italo-tedeschi del 23 giugno 1939, il c.d. “Accordo delle opzioni” stipulato per volontà del

cancelliere tedesco Adolf Hitler e del capo del governo fascista Benito Mussolini, in base al

quale gli abitanti sudtirolesi dovevano scegliere tra la cittadinanza tedesca, che significava

l’espatrio, e quella italiana. Tali accordi ricevettero parziale attuazione fino al settembre del

1943 quando un’ulteriore svolta, fu determinata dall’occupazione militare tedesca del

SudTirol protrattasi fino all’aprile del 1945. Durante questo periodo, si assiste, accanto alla

formazione del gruppo partigiano in lingua italiana, quello di un gruppo di altoatesini di

ispirazione antinazista, “l’Andreas Hoferbewegung”, che si proponeva, come fine ultimo,

quello di ottenere, dopo la liberazione, la riunione dell’Alto Adige/Sudtirol all’Austria: il c.d.

grande Tirolo/tirol (16).

Con la fine della seconda guerra mondiale (settembre 1945) e la caduta del regime (aprile

1945), i problemi delle minoranze etnico-linguistiche tornarono ad essere guardati con una

prospettiva più aperta e liberale e le primissime concessioni che vennero fatte, fin

(16) Si veda in merito, M. CASTELLI, La questione altoatesina, Milano, Centrostudi sociali. 1961, pp. 21-23.

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dall’autunno del 1945, a favore della minoranza francese della Regione Valle d’Aosta e di

quella di lingua tedesca in Alto Adige, derivarono dalla necessità di ridimensionare le forti

spinte separatiste. Significativi sul punto sono alcuni decreti legislativi: i decreti del 7

settembre 1945 n. 545 e n. 546 per la Valle d’Aosta, ed i decreti 27 ottobre 1945 n. 775 e 22

dicembre 1945 n. 825 relativi al Tirolo meridionale. Ma mentre nel caso della Valle d’Aosta,

il problema potè essere definitivamente risolto sul piano del diritto interno con l’approvazione

e l’entrata in vigore della legge costituzionale del 26 febbraio 1948 n. 4 recante lo Statuto

speciale della Regione valdostana, la questione altoatesina fu invece discussa nell’ambito

della conferenza che condusse al trattato di pace e fu composta mediante un accordo italo-

austriaco, il c.d. De Gasperi-Gruber firmato a Parigi il 5 settembre 1946, secondo il quale

l’Alto Adige/Sudtirol restava all’Italia, ma in compenso il governo di Roma riconosceva alle

Province di Trento e Bolzano/Bozen, con la legge costituzionale del 26 febbraio 1948 n. 5

contenente il primo Statuto speciale della Regione, una particolare autonomia amministrativa.

Ma l’accordo non ebbe attuazione in tutti i suoi punti e negli anni ’50 ci furono addirittura

ricorsi austriaci all’ ONU per denunciare una presunta violazione dei diritti della minoranza

linguistica tedesca. Questa fu una delle cause che, nel corso degli anni ’60 del secolo scorso,

fecero della Provincia di Bolzano/Bozen il teatro di azioni terroristiche intraprese da gruppi di

estrazione nazionalistica. La composizione della vicenda fu raggiunta mediante una lunga

trattativa diplomatica il cui momento saliente può identificarsi nell’incontro Moro-Waldheim

di Copenaghen del 29-30 novembre 1969. Essa non condusse alla stipulazione di un nuovo

accordo, ma alla determinazione di un calendario di adempimenti, la maggior parte dei quali a

carattere unilaterale e destinati ad essere realizzati da parte italiana. Si giunse così alla legge

costituzionale del 10 novembre 1971 n. 1, recante il nuovo Statuto speciale del Trentino-Alto

Adige/Sudtirol che ha determinato la completa ristrutturazione della Regione attribuendo

alle Province di Trento e Bolzano ampi poteri legislativi. Il nuovo Statuto ha, da un lato,

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Le minoranze storiche

16

recepito le considerazioni maturate nei lavori della c.d. Commissione dei Diciannove (17),

costituita dal Presidente del Consiglio dei Ministri il 1 settembre 1961, volte a valutare in

quali modi si potessero ristabilire nella provincia di Bolzano sistemi di pacifica convivenza tra

i vari gruppi etnici, mentre dall’altro ha preso in opportuna considerazione il c.d. “pacchetto”

proposto dal governo italiano a quello austriaco per risolvere le annose controversie

sull’applicazione dell’accordo De Gasperi-Gruber e approvato, nel congresso di

Merano/Meran, anche dallo Volkspartei (SVP) ossia il movimento politico rappresentativo

della maggioranza dei cittadini italiani di lingua tedesca.

L’ altra complessa e problematica questione internazionale riguardava il confine orientale

italiano, che fu risolta in due tempi: prima il trattato di pace del 1947 trasferì alla Jugoslavia

l’Istria e gran parte dell’Oltre Isonzo, poi il “Memorandum d’Intesa” stipulato a Londra il 15

ottobre del 1954 realizzò una spartizione di fatto del “territorio libero” (18) che avrebbe

dovuto essere istituito intorno a Trieste e che era rimasto fino ad allora sottoposto

all’amministrazione militare britannica. Nel nuovo assetto territoriale conseguitone, che ha

portato tra l’altro alla formazione in terra jugoslava di una minoranza linguistica italiana

inizialmente cospicua ma successivamente ridotta a seguito del massiccio esodo verso l’Italia,

è rimasta entro i confini italiani una minoranza slovena la quale, come vedremo, fruisce della

(17) L’ articolo 116 della Costituzione primo comma, come modificato dalla legge costituzionale del 18 ottobre 2001 n. 3, in G.U. n. 248 del 2001, precisa che gli Statuti delle Regioni italiane ad ordinamento differenziato, sono adottati con legge costituzionale: “Il Friuli-Venezia Giulia, la Sardegna, la Sicilia, il Trentino-Alto Adige/SudTirol e la Valle d’Aosta/Vallèe d’Aoste dispongono di forme e condizioni particolari d’ autonomia, secondo i rispettivi statuti adottati con legge costituzionale”

(18) Nel 1948 l’esistenza di uno speciale ordinamento nel “Territorio libero di Trieste”, rese in partenza inapplicabile la X disposizione transitoria costituzionale (in base alla quale “Alla regione Friuli-Venezia Giulia, di cui all’articolo 116, si applicano provvisoriamente le norme generali del Titolo V della parte seconda, ferma restando la tutela delle minoranze linguistiche in conformità con l’ articolo 6”) che avrebbe voluto “provvisoriamente” sottoporre il Friuli-Venezia Giulia al comune trattamento delle Regioni ordinarie. Né questo ostacolo potè ritenersi integralmente superato, allorchè la cosidetta zona A del Territorio stesso venne restituita all’amministrazione italiana, secondo il “Memorandum d’Intesa”. Malgrado una certa dottrina sostenga che il Territorio di Trieste (cioè la zona A) sia sempre ricaduto nella sfera di potenziale sovranità dell’ Italia, l’ordinamento italiano non si riestese con immediatezza sulla zona A; tant’ è vero che l’elettorato triestino ottenne una propria rappresentanza al Senato appena in virtù della legge costituzionale 9 marzo 1961 n. 1. Solo con la legge costituzionale del 31 gennaio 1963 n. 1, recante lo Statuto speciale del Friuli-Venezia Giulia, si risolse definitivamente la questione di Trieste.

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Le minoranze storiche

17

protezione internazionale derivante dallo statuto speciale allegato al “Memorandum d’Intesa”,

oggi contenuto nella legge costituzionale 31 gennaio 1963 n. 1 (19), e dalla tutela accordata

dalla Regione ad ordinamento differenziato, Friuli-Venezia Giulia, nel settore delle attività

culturali. Dichiarazioni di principio favorevoli ai gruppi linguistici minoritari, la cui

legittimità costituzionale è stata infondatamente contestata da una parte della dottrina, sono

state successivamente inserite anche negli statuti di Regioni ordinarie (20), approvati nel 1970,

come Piemonte, Veneto, Molise, Basilicata e Calabria (21).

(19) La legge costituzionale 31 gennaio 1963 n. 1, contenente l’ attuale e vigente Statuto speciale della Regione speciale Friuli-Venezia Giulia, è stato pubblicato in G. U. 1 febbraio 1963 n. 29. (20) Gli Statuti delle Regioni ordinarie, sul piano delle fonti del diritto ed in base all’articolo 123 della Costituzione, sono considerati leggi regionali rinforzate, a differenza degli Statuti speciali che sono leggi costituzionali. (21) Cfr., per una visione globale delle minoranze storiche italiane, L. PALADIN, Diritto Regionale, Padova., Cedam, 2000, pp. 3-31; A. PIZZORUSSO, voce Minoranze etnico-linguistiche, op.cit, p. 21 e ss.

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Concetto di minoranza linguistica

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Concetto di minoranza linguistica

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CAPITOLO II

CONCETTO DI MINORANZA LINGUISTICA

Sommario: 2.1 Il significato di lingua minoritaria. Il ruolo del Consiglio d’Europa – 2.2 I diversi status giuridici delle lingue minoritarie – 2.3 Il soggetto della tutela: le minoranze 2.1 Il significato di lingua minoritaria - Secondo un approccio comune a molte Costituzioni

contemporanee che trova conferma in alcune risoluzioni del parlamento europeo (22) e nella

Carta delle lingue regionali o minoritarie (23) del Consiglio d’Europa del 1992, la tendenza a

prendere in considerazione l’oggetto della disciplina cioè la lingua e solo indirettamente i

soggetti beneficiari, comporta il sostituire al concetto ambiguo ed onnicomprensivo di

“minoranza nazionale” quello più specifico di lingua e cultura regionale o minoritaria. Del

resto alcuni ordinamenti giuridici statali, come ad esempio la Finlandia, il Belgio, la Svizzera

ed il Canada, non prevedono più la presenza di gruppi sociali qualificabili come minoranze

pur ammettendo l’impiego di più lingue ufficiali e/o nazionali.

D’ altra parte, anche se in alcuni contesti, la normativa costituzionale ed internazionale scelga

di accordare le misure di protezione agli appartenenti alle minoranze nazionali, non sembra

esservi dubbio sull’interpretazione di questa formula intesa non come un revival del principio

nazionalistico, bensì come sintesi delle peculiarità di gruppi minoritari oltre che espressione

(22) Le risoluzioni in questione ossia quelle del 1981, 1983 e 1987, favorevoli sia ad una Carta comunitaria delle lingue e culture regionali sia ad una Carta comunitaria dei diritti delle minoranze etniche, rivolgevano un invito, non vincolante sul piano giuridico ma dotato di un forte realismo politico, alle istituzioni comunitarie, ai governi nazionali, ai poteri regionali e locali affinchè provvedessero alla tutela delle lingue e culture minoritarie entro le indicazioni di massima fornite dal Parlamento europeo e concernenti i settori dell’ istruzione, dei mass-media , della vita pubblica e delle relazioni sociali. (23) Il preambolo della Carta richiama il Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966, la CEDU del 1950, l’ Atto finale di Helsinki del 1975 ed il documento della riunione di Copenaghen del 1990. E’ inoltre stabilito che nessun disposto della Carta può interpretarsi come limitativo o derogatorio rispetto ai diritti garantiti nella Convenzione di Roma. Per un dettagliato commento alla stessa, P. KOVACS, La protection des langues des Minorités ou la nuovelle approche de la protection des Minorités ?, in Rev. Gén. Droit Internat. Public, 1993, p. 411 e ss.

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Concetto di minoranza linguistica

20

del carattere multiculturale delle realtà statali attuali. Tutte queste iniziali considerazioni ci

portano ad analizzare attentamente il concetto di lingua ed anche il significato antropologico e

costituzionale del termine cultura e questo non soltanto per il fatto che tra i due elementi

sussiste un nesso di stretta connessione ma anche perché gli ordinamenti statali, come quello

italiano, sono orientati a dare tutela ai gruppi minoritari anche in ragione del fatto che gli

stessi sono espressione di importantissimi patrimoni culturali e storici.

La lingua, qualunque lingua, è molto importante sia sotto il profilo sociologico, dal momento

che rappresenta un collettore di comunicazione e dialogo e quindi di aggregazione, sia sotto il

profilo strettamente giuridico, basti pensare ai risvolti del linguaggio relativamente alla sfera

pubblica. La sostituzione, a partire dal secondo dopoguerra, del principio pluralistico (24)

(codificato nella carta costituzionale italiana all’articolo 2 (25)) a quello della nazionalità, ha

indirizzato e condizionato le politiche linguistiche degli stati, ai quali compete l’

individuazione delle lingue diverse da quella ufficiale/nazionale a cui rivolgere la tutela.

Data la sovranità di ogni ordinamento statale, che è libero di stabilire sia il riconoscimento

delle lingue minoritarie sia la regolamentazione degli effetti, utili indicazioni possono

provenire da un trattato internazionale multilaterale approvato nel 1992 dal Consiglio

d’Europa denominato Carta delle lingue regionali o minoritarie, in particolare nel rapporto

esplicativo. Alla luce di questo testo giuridico risulta evidentissima la distinzione tra lingua

regionale, che è quella parlata in una parte limitata del territorio dello stato dalla maggioranza

della popolazione lì residente, e lingua minoritaria, che è, in primo luogo, quella parlata da

gruppi etnico-linguistici stanziati in territori limitati che non coincidono con l’intero territorio

(24) Tutta la nostra Costituzione repubblicana è modellata sul pluralismo: politico, territoriale, religioso e linguistico. Esso ha rappresentato e rappresenta tutt’ora una delle novità costituzionali più importanti maturate in seno all’ Assemblea Costituente. (25) L’ articolo 2 della Costituzione della Repubblica Italiana così recita “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri di solidarietà politica, economica e sociale”.

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Concetto di minoranza linguistica

21

di uno Stato nazionale o di una qualificata regione culturale e, in secondo luogo, sia quella

parlata da gruppi che si estendono a parti di territori di più Stati nazionali sia quella utilizzata

da coloro i quali sono insediati in uno Stato nazionale e tuttavia risultano ampiamente diffusi

in una realtà statale diversa, molto spesso attigua.

Ulteriori precisazioni sono poi contenute nella Convenzione-Quadro per la protezione delle

minoranze (26), approvata dal Consiglio d’ Europa il 10 novembre del 1994, che distingue tra

“ langues minoritaires” cioè le lingue che in nessuna parte del mondo rivestono una posizione

dominante all’ interno della società in cui sono praticate, pur potendo essere loro riconosciuto

lo status giuridico di lingue ufficiali o nazionali (27), e “langues en situation minoritaire”

ossia le lingue impiegate da popolazioni residenti all’interno di uno Stato ma che

costituiscono lingue ufficiali di un altro Stato generalmente confinante, cui quelle popolazioni

hanno cessato di appartenere per sopravvenute vicende storiche e mutamento di confini (28). Il

testo in esame adottato dopo un anno di intensa attività di drafting ha un contenuto normativo

eminentemente programmatico. I suoi precetti non sono direttamente applicabili in ciascuno

degli Stati sottoscrittori, ossia non sono self executing ma richiedono un’opera di

adattatamento da parte degli ordinamenti giuridici interessati, mancando un’espressa

definizione di minoranza nazionale (29) e consentendo così una più convinta adesione degli

Stati, non solo del Consiglio d’Europa, al momento della firma o della ratifica (30). L’aspetto

(26) Per un’analisi sistematica della Convenzione-Quadro per la protezione delle minoranze, vedi S. BARTOLE, Convenzione-Quadro per la tutela delle minoranze nazionali, in S. Bartole-N. Olivetti Rason-L. Pegoraro (a cura di) La tutela giuridica delle minoranze, Padova, Cedam. 1998, pp.11-29. (27) In questa prima categoria, si può far rientrare la situazione del Rest of Canada. (28) In questa seconda categoria, si può far rientrare la vicenda storico-politica dell’ Alto Adige/Sudtirol. (29) Cfr., S. BARTOLE, Una Convenzione-Quadro per la protezione delle minoranze nazionali, in Il Mulino, 1995, p. 339 e ss. (30) Cfr., J. A. FROWEIN-R. BANK, The Effect of Member States’ Declarations Defining “National Minorities” upon Signature or Ratification of the Council of Europe’s Framework Convention, in ZaoRV 59/3, 1999, p. 649 e ss.

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Concetto di minoranza linguistica

22

più rilevante sul quale vale la pena soffermarsi è la predisposizione di due diversi livelli di

tutela linguistica: accanto al riconoscimento del diritto ad accordare alle persone appartenenti

ad una minoranza nazionale di usare liberamente la lingua di questa in privato ed in pubblico,

oralmente e negli scritti (articolo 10.1) corrisponde l’impegno degli Stati firmatari a

consentire alle stesse, ma a determinate condizioni, l’uso di quella lingua nei rapporti con le

sue autorità (articolo 10, 2 e 3.). Infine si aggiunga il dovere di riconoscere ad ogni persona

della minoranza il diritto di studiare ed apprendere la lingua minoritaria con relativo

insegnamento della e nella lingua della minoranza (articolo 14).

Ma tornando al documento del Consiglio d’Europa del 1992, va sottolineato come esso sia

ispirato a criteri e parametri di massima adattabilità , persegua finalità di natura culturale nella

prospettiva, sia che la tutela delle lingue minoritarie o regionali costituisca un elemento

fondamentale per la crescita culturale di ogni ordinamento nazionale, sia che il diritto di

adoperare, nei rapporti e nelle relazioni con la pubblica amministrazione oltre che nei

processi, la propria lingua madre, rappresenti un quid individuale imprescrittibile e perciò

stesso meritevole di tutela e salvaguardia sia sul piano del diritto interno sia sul piano del

diritto internazionale. Come si può facilmente dedurre, la ratio ultima che ispira la Carta in

questione riguarda la messa “in sicurezza” di quelle lingue fino ad ora poco protette o non

protette affatto le quali rischiano, nell’inerzia dei legislatori nazionali, di scomparire dal

patrimonio storico-culturale dei singoli paesi e dal contesto europeo dal momento che

risultano soffocate dalle lingue ufficiali e da politiche etnocentriche incapaci di cogliere i

problemi dei gruppi minoritari. La ratifica (31) e, soprattutto, l’ attuazione dei disposti della

Carta, potrebbero offrire l’occasione per una effettiva presa in considerazione di situazioni (31) Dopo l’entrata in vigore della Carta, a sua volta subordinata alla ratifica di almeno cinque Stati membri del Consiglio d’Europa (articoli 18-19), il Comitato dei ministri può invitare anche gli Stati non membri ad aderirvi. Ad oggi il nostro paese ha solo firmato la convenzione che tuttavia non è stata ancora ratificata dal parlamento. Significativa la pronuncia 99-412 del Conseil constitutionnel cioè la Corte costituzionale francese che rilevava il contrasto del documento con i principi della indivisibilità della Repubblica, d’ uguaglianza ed unicità del popolo francese (articolo 1 della Costituzione francese) nonché con il carattere ufficiale della lingua francese (articolo 2 della medesima Carta).

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Concetto di minoranza linguistica

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minoritarie da troppo tempo dimenticate. Sempre in sede di ratifica, gli Stati possono optare, e

variare così l’intensità dei loro impegni, in relazione ai settori enumerati: insegnamento,

giustizia, pubblica amministrazione, media, attività culturali, rapporti economici e sociali. In

ogni caso le parti contraenti si impegnano ad applicare un minimo di trentacinque paragrafi o

alinea scelti tra i settori precedentemente indicati , i quali devono comprendere almeno tre

delle obbligazioni indicate negli articoli 8 e 12 rispettivamente dedicati all’ insegnamento ed

alle attività culturali e almeno una tra quelle indicate negli articoli 9,10,11,13 che si

riferiscono all’uso delle lingue regionali o minoritarie nei rapporti con la giustizia, la pubblica

amministrazione, nel settore dell ‘informazione e nei rapporti economico-sociali.

Il riconoscimento della lingua regionale o minoritaria, il rispetto del contesto territoriale ed

amministrativo in cui sono praticate, la promozione dell’uso orale e scritto delle lingue sia nel

settore privato sia in quello pubblico, lo sviluppo dei contatti e delle relazioni tra i vari e

diversi gruppi minoritari, l’ impiego di strumenti adeguati per favorire l’insegnamento e

l’apprendimento anche a coloro che non praticano quelle lingue, la promozione di studi e

ricerche sotto il profilo etnico-giuridico nonché l’incoraggiamento di scambi transfrontalieri

costituiscono i fini ultimi cui gli Stati firmatari, tra cui l’Italia, devono orientare la loro

legislazione, la politica e la pratica (32). Le disposizioni contenute all’ interno della Carta delle

lingue regionali o minoritarie, non esauriscono però la tutela accordata ai gruppi minoritari in

quanto ai sensi dell’ articolo 4 secondo comma “le disposizioni del presente trattato non

pregiudicano l’ applicazione di misure più favorevoli per le lingue regionali o minoritarie o

per le persone appartenenti a minoranze, già in vigore o previste da precedenti accordi

bilaterali o multilaterali”.

Da ultimo, ma non meno importante, si deve ricordare un altro documento internazionale

fondamentale per la tutela delle minoranze linguistiche: il Patto internazionale sui diritti civili (32) Cfr., per una visione più dettagliata dei trattati menzionati, il Codice di Diritto e delle Organizzazioni Internazionali. Edizioni giuridiche Simoni. Bologna. 2005.

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Concetto di minoranza linguistica

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e politici del 1966 (33). In particolare, va evidenziato il disposto contenuto all’articolo 27

laddove sancisce che “le persone appartenenti a….minoranze non possono essere private del

diritto di impiegare la propria lingua ed avere la loro propria vita culturale” il che implica

una pretesa dei singoli all’intervento attivo dello Stato affinchè intervenga, legislativamente, a

rimuovere ogni pregiudizio al libero e naturale esercizio all’utilizzo della lingua del gruppo

minoritario di appartenenza. Dunque la specificità dei diritti delle persone appartenenti a

minoranze comporta che il principio di uguaglianza possa e debba subire qualche deroga

quando la tutela delle minoranze lo richieda. Tuttavia, ha osservato il Comitato dei diritti

dell’uomo costituito nell’ambito del Patto del 1966, i diritti individuali di cui all’articolo 27

dipendono, a loro volta, dalla capacità del gruppo di conservare la sua cultura, la sua lingua o

la sua religione e quindi, in ultima istanza, dalla sua compatezza e solidità in seno

all’ordinamento statuale (34).

2.2: I diversi status giuridici delle lingue minoritarie - Se non sorgono particolari problemi

per l’uso delle lingue minoritarie nella sfera privatistica e nel compimento di atti di diritto

privato, potendosi tale aspetto ricondurre all’ esercizio dei diritti costituzionali legati alla sfera

della personalità, è con riguardo alla dimensione pubblica che l’utilizzo delle lingue

minoritarie impone e richiede una regolamentazione giuridica, ovviamente all’ interno degli

ordinamenti statali multilingue. Rispetto alla lingua ufficiale della maggioranza della

popolazione, il regime linguistico minoritario può assumere svariate configurazioni che

trovano fondamento non solo a livello di legge costituzionale ma anche a livello di

legislazione statale e di statuti degli enti locali territoriali.

(33) Ratificato dall’Italia con l. 25 ottobre 1977 n. 881. (34) Un’analisi attenta del Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966, si trova in F. POCAR, Note sulla giurisprudenza del Comitato dei diritti dell’uomo in materia di minoranze, in S. Bartole-N. Olivetti Rason-L. Pegoraro (a cura di) La tutela giuridica delle minoranze, Padova, Cedam. 1998, pp.31-39.

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Concetto di minoranza linguistica

25

La prima manfiestazione di queste configurazioni è quella che attribuisce alle lingue

minoritarie il carattere della coufficialità (35) cioè le lingue medesime sono in tutto e per tutto

pienamente parificate alla lingua ufficiale dello Stato. Alla luce di questo, risulta importante

fornire una definizione di lingua ufficiale, sia questa riferita alla lingua maggioritaria come ad

eventuali lingue minoritarie, che si può agevolmente ricavare dall’insieme delle normative,

generali e settoriali, che ne disciplinano gli effetti giuridici. Si può quindi affermare che la

lingua ufficiale è lo strumento mediante il quale è espressa la volontà dei pubblici poteri e che

essa dev’ essere impiegata non solo tra i funzionari ma anche e soprattutto con i cittadini e

tutti i soggetti dell’ ordinamento (36). Un esempio “internazionale” di quanto si è esposto fino

ad ora, è rappresentato dalla Costituzione svizzera del 1999 che proclama come lingue

nazionali il tedesco, il francese, l’italiano ed il romancio, ma assegna soltanto alle prime tre

lo status di lingue ufficiali a livello di federazione, mentre il romancio assume tale

connotazione solo nei rapporti con le istituzioni locali. Il dovere (37) di conoscere la lingua

ufficiale dello Stato può ricavarsi espressamente, come nella Costituzione spagnola (38) che

all’ articolo 3 primo comma recita “Il castigliano è la lingua spagnola ufficiale dello Stato”, o

indirettamente dal sistema costituzionale, come nel caso italiano, e non giunge mai a

sanzionarne l’ inosservanza; mentre si è portati a ritenere, con riguardo alle lingue regionali o

minoritarie che beneficiano del regime giuridico di coufficialità, che non vi sia un dovere di

conoscenza. A tal proposito è particolarmente significativa una decisione del Tribunale (35) Cfr., sul tema della coufficialità delle lingue minoritarie, V. PIERGIGLI, Lingue minoritarie ed identità culturali, op.cit., pp. 20-34. (36) Questa definizione di lingua ufficiale è quella enunciata dal Tribunal Constitutional spagnolo nella sentenza n. 82 del 1986 e può essere suscettibile di applicazione generale. (37) Con riguardo all’ ordinamento italiano, l’articolo 137 del precedente codice di procedura penale (c.d. Codice Rocco del 1931), ora sostituito dall’ articolo 109 del codice attuale, sanzionava il mancato uso della lingua italiana nel processo penale se era nota la sua conoscenza. (38) La Costituzione spagnola attualmente vigente risale al 1978 ed è successiva al periodo della dittatura di Franco. Approvata dal Congresso il 31 agosto 1978 e sottoposta a referendum (con esito positivo nonostante il numero elevato di astenuti), venne solennemente promulgata dal re Juan Carlos il 27 dicembre 1978. La Carta costituzionale è di tipo rigido e si compone di 169 articoli a cui si aggiungono alcune disposizioni aggiuntive.

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Concetto di minoranza linguistica

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costituzionale spagnolo con la quale lo stesso ha escluso, rispetto alle lingue diverse dal

castigliano e dichiarate ufficiali dagli statuti regionali, che sia configurabile un dovere di

conoscenza per la popolazione residente nelle rispettive comunità autonome. Lo statuto della

coufficialità può variare in intensità ed estensione dalla garanzia massima della parificazione

delle lingue minoritarie alla lingua ufficiale nazionale, ad una serie modulata di

manifestazioni collegate al riconoscimento di determinati usi pubblici all’ interno di ben

precisi limiti territoriali. Più precisamente il regime dell’ equivalenza giuridica delle lingue,

viene normalmente strutturato secondo due modelli principali cioè il bilinguismo integrale ed

il separatismo (39). L’ adozione dell’ uno o dell’ altro dipende dalle politiche linguistiche degli

Stati nazionali e dalla loro volontà di favorire la conservazione dei gruppi minoritari. L’

adozione del bilinguismo comporta il mantenimento di un sistema scolastico unitario e la

redazione degli atti pubblici indifferentemente in una delle lingue riconosciute senza necessità

di traduzioni, invece il principio separatista consente l’uso disgiunto delle lingue egualmente

ufficiali e prevede l’ istituzione di un sistema scolastico nonché regole di funzionamento dei

pubblici uffici orientate a favorire l’ impiego separato di ciascuna lingua, salvo ricorrere a

testi bilingui o traduzioni nei casi dubbi o nei rapporti intercomunitari. In Italia, troviamo

l’applicazione di entrambi questi principi: il bilinguismo si riscontra nella Regione speciale

Valle d’Aosta, tranne per la redazione degli atti giudiziari per i quali è prescritto l’uso della

lingua italiana e nelle scuole delle località ladine della Provincia autonoma di Bolzano/Bozen;

mentre applicazioni del principio separatista si evidenziano nelle scuole dell’Alto

Adige/Sudtirol, ad eccezione di quelle delle località ladine, e nella Provincia di

Bolzano/Bozen con riguardo a tutte le pubbliche amministrazioni, tranne all’ interno degli

ordinamenti militari per i quali è prescritta la lingua italiana. Al fine di assicurare il più

(39) Bilinguismo totale e separatismo linguistico non sono necessariamente alternativi tra di loro; così a seconda dei settori di riferimento , possono trovare applicazione nel medesimo contesto territoriale: è il caso del Paese Basco che utilizza il bilinguismo nei rapporti pubblici, tranne nell’ insegnamento dove vige il principio del separatismo.

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Concetto di minoranza linguistica

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possibile la omogeneità nei territori in cui risiedono i gruppi minoritari, gli ordinamenti statali

ispirano la loro politica linguistica al principio della territorialità in base al quale si cerca di

far corrispondere a determinate circoscrizioni territoriali, altrettanti confini linguistici (40). Se

da un lato ciò tende a ridurre eventuali conflittualità favorendo una pacifica convivenza, dall’

altro lato si corre il serio pericolo di sacrificare il diritto alla libertà delle lingue. Ad attenuare

l’ intransigenza del principio territoriale, possono soccorrere aggiustamenti e correzioni

variamente disposti soprattutto in relazione ai territori plurilingui, dal momento che sarebbe

un quid assolutamente irrealistico la pretesa di far coincidere esattamente la distribuzione dei

gruppi linguistici con la suddivisione geografica. Un esempio lampante di questa

“attenuazione” del principio di territorialità, lo riscontriamo all’ interno dell ‘ordinamento

svizzero ed in particolare nel cantone svizzero di Berna dove il principio in questione,

specialmente nel settore dell’ educazione, opera in maniera frammentata per zone o distretti;

analogamente nelle Isole Aland (Svezia) dove vige l’ unilinguismo svedese, è possibile la

costituzione di comuni bilingui (svedese-finlandese) se la popolazione raggiunge una

determinata percentuale ossia l’ otto per cento o tremila abitanti. Va tuttavia preso in attenta

considerazione che né il principio territoriale rigidamente inteso né le eccezioni al medesimo,

come negli esempi prima riportati, sono suscettibili di tutelare e salvaguardare in modo

adeguato le lingue minoritarie: le scelte delle nostre moderne democrazie occidentali

dovrebbero cercare di rendere flessibile quel principio attraverso un combinato disposto con

altre opzioni che consentano di concretizzare ed attuare un regime di personalità ed

individualità della tutela il quale deve prescindere completamente dal luogo di ubicazione

delle realtà etnico-linguistiche minoritarie. In tal senso risulta particolarmente significativo il

caso italiano, in specie in Alto Adige/Sudtirol, dove è riconosciuto ai cittadini italiani di

(40) Sull’ applicazione secondo un criterio territoriale e non personale dei diritti linguistici delle minoranze, si è pronunciata in più occasioni la Corte costituzionale italiana. Cfr., sul punto, S. CECCANTI, Tra tutela delle minoranze e rischi etnici, in Giur. Cost, Milano, Giuffrè, 1998, p. 2744 e ss.

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Concetto di minoranza linguistica

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lingua tedesca della Provincia autonoma di Bolzano/Bozen l’utilizzo della propria lingua, cioè

il tedesco, nei processi indipendentemente dal luogo di celebrazione del medesimo con

conseguente diritto all’ interprete (41). In questo caso dunque il principio della personalità

trova il sopravvento su quello della territorialità e ciò in ragione anche del concetto d’

uguaglianza sostanziale (42), sancita nel secondo comma dell’ articolo 3 della nostra

Costituzione, che stabilisce: “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine

economico-sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’ eguaglianza dei cittadini

impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’ effettiva partecipazione di tutti i

lavoratori all’ organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”

La seconda configurazione che può assumere un regime linguistico minoritario, è quella data

dalla quasi-ufficialità (43) che si realizza quando l’ordinamento giuridico statale non

attribuisce alla lingua regionale o minoritaria, né a livello di legislazione nazionale, né a

livello di normativa locale, il medesimo statuto giuridico della lingua di Stato. In altri termini,

il regime in questione consiste nel riconoscimento di determinati usi pubblici della lingua la

quale non assurge però al rango della lingua ufficiale nazionale. Con particolare riferimento al

contesto italiano, il regime in esame trova le sue manifestazioni più evidenti con riguardo alla

lingua ladina (44) che, pur non beneficiando del medesimo status giuridico della lingua italiana

e tedesca nella Regione speciale Trentino-Alto Adige/Sudtirol, è impiegata nell’insegnamento

e nella vita pubblica sia nelle località ladine della Provincia autonoma di Bolzano che nei

comuni ladini della Provincia autonoma di Trento. Così, se si verifica frequentemente, in base

(41) Cfr., sul punto, d.P.R. 574/1998 articoli 22-24 e articolo 143 del c.p.p. (42) Il principio d’uguaglianza sostanziale può costituire, come formulato in una sentenza della Corte Costituzionale del 19 dicembre 1962 n. 106, anche giustificazione di ipotesi legislative che, apparentemente discriminatrici nei confronti dei cittadini, nella sostanza ristabiliscono l’ uguaglianza delle condizioni. Per una esauriente trattazione vedi L. PALADIN, Il principio d’eguaglianza, Milano, Giuffrè. 1965. (43) Cfr., sul regime di quasi-ufficialità, V. PIERGIGLI, Lingue minoritarie ed identità culturali, op.cit., pp. 34-43. (44) Cfr., per un approfondimento sul problema della lingua ladina, A. PIZZORUSSO, Libertà di lingua e diritti linguistici, in Le Regioni n. 6/1987, p. 1332 e ss.

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Concetto di minoranza linguistica

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alla quasi-ufficialità, la regolamentazione dell’ uso della lingua regionale o minoritaria nella

toponomastica, nell’ insegnamento e nei mezzi di informazione, è più rara la sua utilizzazione

nei rapporti e nelle relazioni con le amministrazioni locali e l’ autorità giurisdizionale. Con

particolare riguardo alla materia dell’ istruzione (che è il settore in cui si manifesta di più la

semiufficialità), l’ordinamento statale può, in base al regime di quasi-ufficialità, circoscrivere

l’apprendimento della lingua regionale o minoritaria alla scuola dell’ infanzia e primaria,

prevederne l’insegnamento anche nei gradi successivi del percorso scolastico e, in

quest’ultimo caso, come disciplina di studio facoltativa od obbligatoria per i soli allievi di

madrelingua o in forma generalizzata per tutti. La tendenza degli ordinamenti europei a

preferire, tra gli usi pubblici ed ufficiali, i settori dell’ educazione e delle attività culturali non

può essere sottovalutata in quanto costituisce una “conquista” importante di alcuni gruppi

linguistici minoritari, tuttavia va precisato che gli Stati, se non hanno particolari difficoltà a

riconoscere l’insegnamento e l’apprendimento della lingua materna come autonomo oggetto

di studio, ne incontrano invece in merito alla previsione dell’ insegnamento nella lingua

materna, cioè l’ uso della medesima come strumento per lo studio di altre materie scolastiche.

Un passo decisivo è stato tuttavia compiuto con la Carta delle lingue regionali e minoritarie

del 1992 che, nella graduazione delle opzioni che le parti hanno facoltà di sottoscrivere,

almeno tre nel settore dell’insegnamento ai sensi dell’ articolo 2 secondo comma, prevede, nei

diversi livelli di istruzione, sia l’ insegnamento delle lingue regionali o minoritarie come parte

integrante del curriculum scolastico, sia l’insegnamento nelle medesime lingue.

Analogamente, anche se in maniera più stringata e con maggior cautela, la Convenzione-

Quadro per la protezione delle lingue minoritarie del 1994, conferisce ai gruppi etnico-

linguistici il diritto di apprendere la propria lingua nonché di ricevere l’istruzione scolastica

nella medesima lingua anche se entro le aree territoriali d’insediamento tradizionale. In ogni

caso, nemmeno la garanzia dell’ insegnamento della/nella lingua regionale o minoritaria nelle

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scuole pubbliche di ogni ordine e grado è sufficiente, da sola, a preservare da fenomeni di

graduale assimilazione culturale se non viene accompagnata dalla disciplina di ulteriori e

significativi usi pubblici, in modo da consentire e favorire l’impiego abituale e quotidiano di

quelle lingue nei diversi aspetti della comunicazione sociale. Un decisivo rafforzamento del

regime di semiufficialità è legato all’uso della lingua regionale o minoritaria nei rapporti con

le autorità pubbliche ed in particolare nei processi civili, penali, amministrativi e davanti agli

organismi investiti di funzioni giurisdizionali. A riguardo, va ricordato che la Carta delle

lingue regionali e minoritarie del 1992 prevede che gli Stati contraenti siano tenuti a

sottoscrivere almeno una delle obbligazioni elencate nell’ articolo 9, relativo all’ uso della

lingua regionale o minoritaria davanti all’ autorità giudiziaria, come ad esempio il principio di

validità degli atti giuridici redatti nella lingua minoritaria oppure l’ammissibilità del ricorso

alle lingue minoritarie anche qualora la parte conosca la lingua ufficiale al fine di agevolare l’

espressione e consentire una maggiore tranquillità psicologica (45) (articolo 9, primo e

secondo comma). Ovviamente ciò non può mai tradursi in un appesantimento della prassi

giudiziaria.

Quando alle espressioni linguistiche minoritarie non sono in alcun modo riconosciuti effetti

giuridicamente rilevanti sul piano giuridico né in termini di coufficialità, né in termini di

semiufficialità, il grado minimo ed ineluttabile di attenzione a cui l’ordinamento non può

sottrarsi riguarda la tutela e la promozione di alcuni aspetti culturali dei fenomeni linguistici

(46). Ciò costituisce la terza ed ultima manifestazione che il regime giuridico accordato alle

(45) Come precisa il Rapporto esplicativo alla Carta delle lingue regionali e minoritarie del 1992, il diritto della parte di esprimersi nella propria lingua regionale o minoritaria nei processi civili, penali ed amministrativi costituisce un approfondimento ed un rafforzamento della garanzia contenuta nell’ articolo 6 terzo comma lettera e della CEDU, che conferisce all’ accusato il diritto di farsi assistere gratuitamente da un interprete, limitatamente alla circostanza in cui non conosca la lingua del processo. (46) Cfr., relativamente alla tutela dei patrimoni linguistici come espressione del principio pluralistico, A. PIZZORUSSO, Libertà di lingua e diritti linguistici; op.cit., p. 1332 ss. Pizzorusso oltre a prendere in considerazione il fenomeno linguistico come bene culturale, lo considera anche come forma degli atti giuridicamente rilevanti, come segno per affermare la volontà soggettiva di appartenenza ad una cultura o ad una nazione ed infine come fattore di riconoscimento dell’ appartenenza del singolo ad un gruppo sociale.

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lingue minoritarie può assumere ossia quella della tutela delle lingue e dei patrimoni

linguistici come espressione del pluralismo delle culture. A riguardo va precisato come la

tutela in oggetto, costituisce uno degli obiettivi della attuale politica comunitaria. Mentre, a

livello di diritto internazionale pubblico, disponiamo di una serie di documenti-Convenzioni

sulla tutela delle minoranze, nazionali in particolare, sotto il profilo del diritto dell’Unione

Europea, manca un principio espresso di salvaguardia delle minoranze che sia formalmente

sancito nel Trattato CE (47). Il rispetto e la tutela delle minoranze, chiariscono Palermo e

Woelk, “è dunque rimasto in ambito comunitario un criterio di carattere politico. La sua

formulazione risale al vertice di Copenaghen, che nel 1993 ha fissato i criteri che gli Stati

dell’Europa centrale ed orientale dovevano soddisfare per essere ammessi nell’Unione

Europea” (48). Al di là, quindi, di alcune sporadiche menzioni nei documenti comunitari,

l’attenzione va posta alla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea che,

nelle sue decisioni, ingloba il tema della tutela minoritaria all’interno del principio di parità di

trattamento tra i cittadini degli Stati membri il quale, a differenza di quello sulla protezione

delle minoranze, è espressamente previsto e contemplato nel Trattato (49).

Tanto il principio del pluralismo delle culture, quale manifestazione tipica degli ordinamenti

democratici contemporanei (50), quanto il divieto, da parte degli Stati membri dell’Unione

Europea, a procedere all’assimilazione degli appartenenti ad una minoranza nazionale o etnica

o linguistica, rappresentano uno dei principali obiettivi della politica comunitaria. Se, nel

(47) Il Trattato della Comunità Europea, è stato adottato a Roma il 25 marzo 1957 e ratificato con l. ordinaria dello Stato 14 ottobre 1957 n. 1203 (in G.U. 23 dicembre 1957 n. 317). (48) Sul punto, F. PALERMO-J. WOELK, Diritto Costituzionale comparato dei Gruppi e delle Minoranze, Padova, Cedam, 2008, p. 94. (49) Art. 12, 1°comma, Trattato CE: “Nel campo di applicazione del presente Trattato, e senza pregiudizio delle disposizioni particolari dallo stesso previste, è vietata ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità”. (50) Cfr., A. PIZZORUSSO, Maggioranze e minoranze, Torino, Giappichelli, 1993, p. 43 e ss.

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Trattato di Amsterdam del 1997 (modificativo del Trattato CE ed UE) (51), dopo aver sancito

che la Comunità “contribuisce” al pieno sviluppo delle culture degli Stati membri “nel

rispetto delle loro diversità nazionali e regionali” (52), ci si limita ad una forma di tutela

circoscritta agli aspetti culturali “al fine di rispettare e promuovere la diversità delle culture”

(53), un riferimento chiaro al concetto di minoranza, si consegue solo con la Carta di Nizza

(54), la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, originariamente incorporata nella

Parte II del Trattato che istituiva una Costituzione per l’Europa (55) ed oggi, a seguito del

Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 (56), posta a Preambolo (57) dello stesso con valore

giuridicamente vincolante (non si tratta di una novità in quanto già previsto nel progetto di

Costituzione Europea) (58).

La Carta dei Diritti Fondamentali, infatti, dopo aver genericamente sancito il rispetto (59), da

parte dell’Unione, della diversità culturale, religiosa e linguistica, vieta “ogni discriminazione

(51) Il Trattato di Amsterdam è stato firmato il 2 ottobre 1997 ed è entrato in vigore il 1 gennaio 1999 a seguito della l. ordinaria dello Stato di autorizzazione alla ratifica n. 209/1998 (in G.U. 6 luglio 1998 n. 155. Supp. Ord.). (52) Cfr., art. 151, 1°comma, Trattato CE come modificato dal Trattato di Amsterdam (53) Cfr., art. 151, 4°comma, Trattato CE come modificato dal Trattato di Amsterdam (54) La Carta non costituisce uno strumento giuridico in senso stretto non essendo stata adottata sotto forma di Trattato. E’ stata solennemente proclamata dal Parlamento Europeo, dal Consiglio e dalla Commissione a Nizza il 7 dicembre 2000. Per il testo integrale, si veda G.U. dell’Unione Europea 18 dicembre 2000 C. 364. (55) Sull’incorporamento della Carta di Nizza nel nuovo Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa, R. BIN-P. CARETTI, Profili costituzionali dell’Unione Europea, Bologna, Il Mulino, 2005, pp. 146-158. (56) Il Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007, pone fine alla crisi dell’Unione Europea, durata più di due anni e iniziata dopo i “no” francese ed olandese al Trattato che adottava una Costituzione per l’Europa. Il Trattato modificherà il Trattato UE ed il Trattato CE. In particolare, quest’ultimo assumerà la denominazione di Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea mentre saranno apportate modifiche al primo. Il Trattato di Lisbona non sostituisce ai Trattati esistenti un nuovo, unico testo, bensì “integra” nei Trattati vigenti le innovazioni già contenute nella Costituzione Europea. (57) Il Testo della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, dopo l’approvazione del Trattato di Lisbona, si ricava da G.U. Unione Europea serie c del 14 dicembre 2007. (58) Sulle novità del Trattato di Lisbona, B. NASCIMBENE-A. LANG, Il Trattato di Lisbona : l’Unione Europea ad una svolta ?, in Corr. Giur., 2007. (59) Cfr., art. 22 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea e art. II-82 del Trattato che istituiva una Costituzione per l’Europa.

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fondata……sull’appartenenza ad una minoranza nazionale” (60). Ora, l’introduzione nel

sistema comunitario del divieto di alcune forme di discriminazione, tra cui quella

dell’appartenenza ad una minoranza, è stata operata fin dalla riforma del Trattato CE ad opera

del Trattato di Amsterdam che ha introdotto il vigente testo dell’art. 13 Tr. secondo il quale

“ fatte salve le altre disposizioni del presente Trattato e nell’ambito delle competenze da esso

conferite alla Comunità, il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della

Commissione e previa consultazione del Parlamento Europeo, può prendere i provvedimenti

opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l’origine etnica, la

religione o le convinzioni personali , gli handicap, l’età o le tendenze sessuali”. Tuttavia, si

riscontrano delle sostanziali differenze tra i due testi normativi sopra riportati: da un lato, la

Carta dei diritti fondamentali mira a vietare forme di discriminazione, con norma di carattere

negativo, “finalizzata a vietare tout court le discriminazioni” (61), dall’altro lato, la

disposizione del Trattato CE impegna gli organi comunitari ad assumere “azioni volte a

combattere le discriminazioni con norma di carattere positivo” (62). Inoltre, dal punto di vista

soggettivo, il divieto di discriminazione della Carta dei Diritti Fondamentali UE viene posto

“con la massima ampiezza possibile”, mancando del tutto ogni riferimento alla titolarità della

tutela la quale si estende, pertanto, non solo al profilo individuale ma anche a quello collettivo

nel senso che “non è ammissibile un trattamento irragionevolmente deteriore e

discriminatorio nei confronti dei gruppi” (63). Degno di rilievo, in questo senso, è proprio il

tema delle minoranze. La tutela minoritaria, infatti, che si traduce in una tutela della diversità,

non può che riferirsi sia all’aspetto soggettivo sia a quello di gruppo con l’unica differenza

(60) Cfr., art. 21, 1° comma, della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea. (61) Così, A. CELOTTO, Commento agli artt. 21-22 della Carta di Nizza, in R. Bifulco, M. Cartabia, A. Celotto (a cura di) L’Europa dei Diritti. Commento alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, Bologna, Il Mulino, 2001, p. 172. (62) A. CELOTTO, Commento agli artt. 21-22 della Carta di Nizza, op. cit., p. 172. (63) A. CELOTTO, Commento agli artt. 21-22 della Carta di Nizza, op. cit., p. 176.

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che, in dottrina, si ritiene preferibile dedurre dalla lettera dell’art. 22 “una più spiccata

propensione verso una considerazione delle posizioni collettive, come tali degne di rispetto

da parte dell’Unione” mentre dalla lettera dell’art. 21 una maggiore attenzione al dato

individuale. Il limite, tuttavia, della salvaguardia della diversità minoritaria in seno alla Carta

dei diritti fondamentali dell’Unione Europea è però la ascrivibilità della protezione alle sole

minoranze nazionali intese, secondo l’interpretazione maggioritaria, in senso etnico e razziale

(64); aspetto, peraltro, ribadito anche dalla direttiva 2000/43/CE (65) del Consiglio dei Ministri

dell’Unione, datata 29 giugno 2000 ed attuata nell’ordinamento italiano con D.Lgs. n.

215/2003 (66), a seguito della quale gli Stati membri della Comunità si impegnano a vietare

qualsiasi atto discriminatorio basato sulla razza o l’origine etnica, facendo salve, all’art. 5, le

azioni positive degli Stati dirette ad evitare o compensare svantaggi connessi con

l’appartenenza ad una determinata etnia.

In questo contesto, la formulazione dell’art. 2 del Trattato di Lisbona nella parte in cui

modifica il Trattato UE, risulta illuminante dal momento che, nel prevedere che l’Unione “si

fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia,

dell’uguaglianza, dello Stato di Diritto e del rispetto dei diritti umani”, ricomprende anche “i

diritti delle persone appartenenti ad una minoranza” senza alcun tipo di aggettivazione. Il che

significa, da un lato, sulla scia di quanto emerso dalla analisi e dallo studio della

Convenzione-Quadro per la protezione delle minoranze nazionali del 1995, il riconoscimento

di veri e propri diritti soggettivi in capo ai soggetti minoritari, dall’altro, l’instaurazione di una

forma di tutela onnicomprensiva che trascende la dimensione etnico-razziale nonché la

ricorribilità alla Corte di Giustizia UE a garanzia delle pretese dei singoli componenti una

(64) A. CELOTTO, Commento agli artt. 21-22 della Carta di Nizza, op. cit., p. 177. (65) In G.U. Unione Europea serie L del 19 luglio 2000, pp. 22-26. (66) In G.U. 12 agosto 2003 n. 186.

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realtà minoritaria nell’eventualità di una lesione nell’esercizio dei loro diritti. La Costituzione

Europea prima ed il Trattato di Lisbona ora, non vogliono espropriare i 27 Stati dell’Unione

della disciplina di una materia così delicata rispetto alla quale la Comunità svolge un ruolo

sussidiario ed integrativo. L’art. 6, 3° comma, infatti, del Trattato di Lisbona nella parte in cui

incide sul Trattato UE indica come, in tema di diritti fondamentali, la politica comunitaria si

informi tanto alla CEDU quanto soprattutto “alle tradizioni costituzionali comuni agli Stati

membri”: in altri termini, sul piano della tutela delle minoranze e dei diritti in generale, si

cerca di sottolineare e valorizzare il “rapporto di filiazione” (67) del Trattato rispetto alle

Costituzioni nazionali, inaugurando “un indirizzo di interpretazione adeguatrice delle

disposizioni della prima rispetto a quelle delle Costituzioni nazionali” (68).

L’attivismo dimostrato negli ultimi anni dal legislatore sia statale che locale verso la

protezione delle minoranze se, da un lato, “si inserisce nel trend sotteso alle iniziative del

Consiglio d’Europa e nel diffuso orientamento degli Stati di regolare mediante Trattati

bilaterali o multilaterali le situazioni minoritarie di confine anche valorizzando strumenti

della cooperazione transfrontaliera” (69), dall’altro lato, “non può far riflettere sulle eventuali

ripercussioni che l’introduzione di un regime derogatorio e speciale, quale quello diretto alla

protezione delle minoranze linguistiche, è suscettibile di produrre nei confronti della restante

popolazione, che rischia di venirsi a trovare, a sua volta e paradossalmente, in una situazione

di svantaggio, senza trascurare le conseguenze di natura finanziaria che simili interventi

inevitabilmente impongono in misura più o meno considerevole” (70). Proprio al fine di evitare

(67) Si veda, ancora, R. BIN-P. CARETTI, Profili costituzionali dell’Unione Europea, op. cit., p. 152. (68) Da questo punto di vista, appaiono di notevole interesse alcune decisioni del Tribunale Costituzionale spagnolo del 13 dicembre 2004 (DTC 1/2004) e del Consiglio Costituzionale francese del 19 novembre 2004 (décision n. 2004-505). (69) Cfr., V. PIERGIGLI, Le minoranze linguistiche nell’ordinamento italiano: recenti sviluppi normativi, in A. D’Aloia (a cura di) Diritti e Costituzione. Profili evolutivi e dimensioni inedite, Milano, Giuffrè, 2003, p. 29. (70) Cfr., V. PIERGIGLI, Le minoranze linguistiche nell’ordinamento italiano: recenti sviluppi normativi, op. cit., p. 29.

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forme di discriminazione all’incontrario (la c.d. reverse discrimination), la Corte di Giustizia

dell’Unione Europea ha provato, non sempre riuscendoci in modo pieno, un punto di

equilibrio tra tutela minoritaria e parità di trattamento dei cittadini degli Stati membri ossia ha

cercato di risolvere l’eterna dicotomia tra protezione speciale e differenziata delle minoranze

e principio di eguaglianza. Il c.d. caso Bickel cercherà di chiarire i termini della questione: un

camionista austriaco ed un turista tedesco erano stati sottoposti a procedimenti penali nella

Regione Trentino-Alto Adige/Sudtirol, essendo stati fermati per guida in stato di ebbrezza, il

primo, e per possesso di un coltello proibito, il secondo. Entrambi avevano dichiarato di non

conoscere la lingua italiana ed avevano chiesto che il procedimento a loro carico si svolgesse

in lingua tedesca, in base alle disposizioni normative poste a tutela comunità tedesca della

Provincia Autonoma di Bolzano/Bozen. Il Pretore di Bolzano, nutrendo dubbi

sull’applicabilità, ai sensi del diritto comunitario, delle norme previste per i cittadini della

Provincia di Bolzano/Bozen ai cittadini di altri Stati membri che si rechino nella stessa

Provincia, aveva sospeso il procedimento e sottoposto, ex art. 177 Trattato CE, alla Corte di

Giustizia sull’interpretazione degli artt. 12, 18 e 49 Tr. La stessa, con sentenza 24 novembre

1998, causa C-274/96, Horst Otto Bickel e Ulrich Franz (71), ritiene che la mancata

applicazione della disciplina prevista per la minoranza tedesca altoatesina ai cittadini di lingua

tedesca degli altri Stati membri, costituisce una violazione del principio di parità di

trattamento di cui all’art. 12 Trattato CE nonché di quello della libera circolazione all’interno

del territorio dell’Unione da parte dei cittadini comunitari. Innanzi all’obiezione del Governo

italiano secondo la quale tale normativa è diretta a tutelare esclusivamente la minoranza

etnico-culturale residente nella Provincia bolzanina e che, a garanzia del diritto di difesa,

erano praticabili altre soluzioni come il diritto all’interprete, ex art. 143 c.p.p., la Corte non le

(71) Si veda per un commento alla sentenza in esame, E. PALICI DI SUNI PRAT, L’uso della lingua materna tra tutela delle minoranze e parità di trattamento nel diritto comunitario, in Dir. Pubbl. Comp. Eur., n. 1/1999, p. 171 e ss.

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prende minimamente in esame sostenendo che la tutela di una minoranza può certo costituire

un obiettivo legittimo, ma non risulta “che l’estensione della normativa controversa ai

cittadini di lingua tedesca di altri Stati membri che esercitano il loro diritto di libera

circolazione lederebbe tale obiettivo” (72).

Pur senza ledere l’obiettivo della protezione della minoranza tedesca insediata nella

Provincia di Bolzano/Bozen, la mera estensione della disciplina legislativa riservata al gruppo

di lingua tedesca, ha constatato la dottrina, tende comunque “ad alimentare una serie di

disparità di trattamento, sia nei confronti di altri cittadini italiani, sia nei confronti di

cittadini degli Stati membri che circolino e soggiornino nel territorio italiano” (73). Con

riferimento agli altri cittadini italiani, va osservato come la garanzia, predisposta dall’art. 109

c.p.p., circa la possibilità che un cittadino della Repubblica, appartenente ad una minoranza,

chieda, innanzi ad una autorità giudiziaria avente competenza in primo grado o in appello, di

essere sentito, interrogato o esaminato nella madrelingua con redazione del relativo verbale

nella lingua medesima, valga unicamente nel territorio (la c.d. minority area) ove è insediato

un gruppo minoritario, mentre, con riferimento ai cittadini di altri Stati membri dell’Unione

Europea, trova applicazione soltanto il disposto codicistico di cui all’art. 143 c.p.p. che

contempla il c.d. diritto all’interprete, attivabile ed azionabile nella circostanza e nell’ipotesi

in cui un soggetto indagato o un imputato, nell’ambito di un procedimento penale, si trovi in

uno stato di non conoscenza della lingua italiana (74).

(72) Punto 29 della sentenza. (73) E. PALICI DI SUNI PRAT, L’uso della lingua materna tra tutela delle minoranze e parità di trattamento nel diritto comunitario, op. cit., p. 172. (74) La Corte di Giustizia delle Comunità Europee, cita, a sostegno di questa sua decisione, il caso Mutsch (sent. 11 luglio 1985, causa 137/84, in Racc., p. 2681 e ss.). Ma nel caso Mutsch la questione si presentava, come vedremo, in termini assai differenti. Robert Mutsch, cittadino lussemburghese, residente in Belgio in un Comune di lingua tedesca, condannato in contumacia ad un’ammenda, aveva chiesto l’applicazione dell’art. 17 della legge 15 giugno 1935 relativa all’uso delle lingue in materia giudiziaria secondo il quale “qualora l’imputato di cittadinanza belga risieda in un Comune di lingua tedesca ubicato nel circondario del Tribunal correctionel di Verviers e ne faccia richiesta nelle forme prescritte dall’art. 16, il procedimento davanti al predetto organo giurisdizionale si svolge in tedesco”. La Cour d’Appel di Liegi, nutrendo dubbi sulla compatibilità di tale disposizione normativa con il diritto comunitario nella parte in cui riserva tale facoltà ai soli cittadini belgi,

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In modo ancora più drastico e diretto rispetto al caso Bickel, la Corte di Giustizia delle

Comunità Europee interviene, con la sentenza 6 giugno 2000, causa C-281/98, Roman

Angonese c. Cassa di Risparmio di Bolzano S.p.a. (75) al fine di cercare un punto di

congiuntura tra diritto comunitario e tutela minoritaria all’interno dell’ordinamento nazionale

italiano, finendo, però, per interrogarsi circa il fatto se alcuni istituti a salvaguardia dei gruppi

tedesco e ladino della Provincia di Bolzano/Bozen, funzionali per garantire quote di posti

negli organici, in ragione della comunità linguistica, in tutte le amministrazioni e nei servizi di

pubblico interesse (la c.d. proporzionale etnica), siano compatibili con le libertà fondamentali

previste dal Trattato CE e, più in generale, con i principi di eguaglianza e dello Stato di Diritto

su cui si fondano sia la Costituzione europea sia quella italiana.

Roman Angonese è un cittadino italiano di lingua tedesca, che si reca in Austria per motivi

di studio tra il 1993 ed il 1997. Nel 1997 si candida ad un concorso per un posto di lavoro

presso la Cassa di Risparmio. La domanda viene respinta dal momento che il candidato non è

in possesso dell’attestato di bilinguismo (c.d. patentino), pre-requisito per l’accesso

all’impiego, rilasciato dalla Provincia Autonoma di Bolzano/Bozen in conformità alla

normativa di attuazione dello Statuto speciale del Trentino-Alto Adige/SudTirol dedicata alla

distribuzione proporzionale dei posti pubblici ed alla peculiare dichiarazione di appartenenza

aveva sollevato una questione pregiudiziale davanti alla Corte di Giustizia. La Corte risolse la queastio de qua nel senso che il principio della libera circolazione dei lavoratori, stabilito dal Trattato (all’epoca art. 48 Tr. CE) esigeva ed esige che al lavoratore cittadino di uno Stato membro e residente in un altro Stato membro venga riconosciuto il diritto che un procedimento penale iniziato nei suoi confronti si svolga in una lingua diversa da quella processuale usata di regola dinnanzi al giudice investito della causa qualora i lavoratori nazionali possano, nelle stesse condizioni, avvalersi di questo diritto. La principale differenza tra il caso Bickel ed il caso Mutsch consiste che, nel caso primo, Bickel e Franz transitavano nel territorio italiano rispettivamente come camionista e turista, nel secondo, invece, Mutsch era sì un cittadino del Lussemburgo ma residente in Belgio in quella parte in cui è concentrata la minoranza di lingua tedesca sicchè non vi sarebbe stato motivo di escluderlo dal trattamento riservato ai cittadini di lingua tedesca in base alla disposizione del Trattao che vieta ogni discriminazione fondata sulla nazionalità. Anzi, nel caso Bickel, lo stesso Governo italiano aveva sostenuto la applicabilità della disciplina riservata ai cittadini di di lingua tedesca della Provincia di Bolzano/Bozen anche ai cittadini di lingua tedesca degli altri Stati membri se residenti all’interno del territorio provinciale. (75) Cfr., F. PALERMO, Diritto comunitario e tutela delle minoranze: alla ricerca di un punto di equilibrio, in Dir. Pubbl. Comp. Eur., n. 2/2000, p. 969 e ss.

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Concetto di minoranza linguistica

39

o aggregazione al gruppo linguistico in occasione del censimento generale della popolazione

(76).

Al di là dei forti dubbi che la dottrina ha manifestato circa la competenza della Corte di

Giustizia delle Comunità Europee a conoscere ed essere competente a giudicare in merito al

caso di specie (77), quello che qui risulta interessante è l’atteggiamento del giudice di

Strasburgo che sembra sussumere direttamente nell’art. 39 Trattato CE (la libera circolazione

dei lavoratori nel territorio UE), ritenendolo suscettibile di applicazione immediata, la

disposizione di cui all’art. 7 n. 4 del regolamento CE n. 1612/1968 (78) secondo il quale “tutte

le clausole dei contratti collettivi o individuali o di altre regolamentazioni collettive

concernenti l’accesso all’impiego……sono nulle di diritto nella misura in cui prevedano o

autorizzino condizioni discriminatorie nei confronti dei lavoratori cittadini degli Stati

membri”. Pertanto, come già ribadito nella sentenza 15 dicembre 1995, causa C-415/93,

Bosman (79), il divieto di discriminazione ed il principio della libera circolazione dei

lavoratori non possono, in alcun modo, trovare ostacolo nell’autonomia giuridica di enti di

natura privatistica. Con particolare attenzione al problema minoritario, la pronuncia 6 giugno

2000 in C-281/98, costituisce una evoluzione in merito al tema de quo. Se, già con il caso

Bickel-Franz, il giudice comunitario aveva espressamente riconosciuto che la protezione delle

minoranze rappresenta uno “scopo legittimo” anche per l’ordinamento dell’Unione Europea,

pronunciandosi, per la prima volta, su una materia nuova e delicatissima, anche e soprattutto

in riferimento ai c.d. criteri di Copenaghen che postulano, in vista del continuo allargamento

(76) Si veda il D.Lgs. n. 752/1972. In G.U. 15 novembre 1976 n. 304. (77) Come segnalato dal Governo italiano e dalla conclusioni dell’ Avvocato generale Fennelly, la causa riguardava un cittadino italiano residente in Italia che ha adito l’autorità giudiziaria italiana lamentando l’illegittimitàdi un atto di una società italiana. Sembra, dunque, trattarsi di un caso interno, mancando un fattore di collegamento con il diritto comunitario tala da giustificare l’intervento della Corte di Giustizia. (78) In G.U.C.E 19 ottobre 1968, serie L, n. 257. (79) In Racc., p. 4921.

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Concetto di minoranza linguistica

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ad est dell’UE una effettiva tutela delle minoranze, con la sentenza relativa al caso Roman

Angonese c. Cassa di Risparmio di Bolzano S.p.a., la Corte di Giustizia prosegue nel tentativo

di porre paletti importanti rispetto alle modalità di attuazione del principio di salvaguardia dei

gruppi minoritari. In altri termini, la Corte non contesta la presenza di discipline ed istituti

speciali, in dati territori, al fine di garantire una adeguata protezione delle minoranze etnico-

linguistiche, ma, e questo è il punto innovativo, obbliga, nota il Palermo, “ad una

interpretazione e ad una “gestione” delle normative speciali tali da costituire il migliore

punto di equilibrio tra le esigenze di specialità e tutela collettiva da un lato e la garanzia di

condizioni se non eguali almeno non irragionevolmente o sproporzionalmente differenti tra i

cittadini europei dall’altro” (80). Se, dunque, è ragionevole limitare di fatto la libertà di

circolazione per la Provincia Autonoma di Bolzano/Bozen o per qualunque altro territorio

bilingue in Europa, attraverso il requisito della conoscenza delle due lingue ufficiali per

l’accesso all’impiego, non è ragionevole che la sussistenza di questo requisito possa essere

accertata esclusivamente e preventivamente dalle autorità locali di un ente territoriale di uno

Stato membro. Ogni normativa speciale di tutela, pertanto, dovrà tenere conto dei parametri di

funzionalità e non discriminazione dettati dalla giurisprudenza comunitaria senza che, la

insoddisfacente copertura normativa dell’art. 13 Trattato CE, divenga un ostacolo

insormontabile dal momento che saranno sempre e comunque gli Stati membri a legiferare

sulle minoranze, lasciando alla Corte il ruolo, non secondario, di effettuare un bilanciamento

di interessi (il c.d. Abwagung) tra le esigenze individuali o, in termini più propriamente

costituzionalistici di eguaglianza formale e salvaguardia di situazioni collettive in potenziale

contrasto con le libertà fondamentali del Trattato (eguaglianza sostanziale).

(80) In questa direzione, F. PALERMO, Diritto comunitario e tutela delle minoranze: alla ricerca di un punto di equilibrio, op. cit., p. 972.

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Concetto di minoranza linguistica

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2.3: Il soggetto della tutela: le minoranze - L’approccio assunto nelle pagine precedenti

rivela che, qualunque sia il modello di protezione prescelto dagli ordinamenti a tutela delle

lingue regionali o minoritarie, permangono disparità di trattamento più o meno marcate

rispetto al regime giuridico accordato alla lingua maggioritaria e ciò nonostante i

temperamenti escogitati per ridimensionare il rigido criterio territoriale e gli eccessi di un

esasperato monolinguismo.

L’esigenza di analizzare attentamente gli elementi che vanno a formare e costituire i gruppi

minoritari, generalmente avvertita anche con l’intento di ridurre confusioni e sovrapposizioni

con la più ampia nozione di popolo, soggetto giuridico che si caratterizza per il diritto di

autodeterminazione (81), aveva condotto nel 1930 la Corte permanente di giustizia

internazionale ad identificare il gruppo minoritario con la “collettività di persone che vivono

in un dato paese o località e sono unite da identità di razza, religione, lingua e tradizioni in

un sentimento di solidarietà, allo scopo di preservare l’identità stessa” (82). Queste

affermazioni erano maturate nell’ambito del contesto storico costituito dalla nascita della

Società delle Nazioni e dall’ entrata in vigore dei Trattati Internazionali sulle minoranze

linguistiche, il tutto all’indomani della prima guerra mondiale. A questo proposito, la Corte

permanente di giustizia precisava che il fine ultimo di questi accordi internazionali era quello

di assicurare rapporti di serena collaborazione tra la popolazione di uno Stato e i gruppi

sociali minoritari che risiedevano e operavano all’interno del medesimo. A partire dal secondo

dopoguerra, con il venir meno della Società delle Nazioni e la perdita di efficacia delle

previsioni contenute nei trattati di pace, la comunità internazionale veniva distolta

(81) Cfr., per quanto riguarda il concetto di autodeterminazione, l’articolo 1 di entrambi i Patti Internazionali del 1966 e l’ articolo 5 della Dichiarazione di Algeri del 1976; l’articolo 20 della Carta Africana dei diritti dell’uomo e dei popoli del 1981. (82) Questa definizione di minoranza, è contenuta nel Parere 31 luglio 1930 n. 17 concernente la Convenzione greco-bulgara del 27 novembre 1919.

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dall’obiettivo di salvaguardare i gruppi minoritari (83) in quanto tali nella convinzione che l’

enunciazione dei principi d’uguaglianza e pluralismo, bastassero per dare tutela ai gruppi in

questione. A riprova di questo, va detto che il rilievo centrale assunto dalle Nazioni Unite

consisteva nel rispetto dei diritti umani intesi come patrimonio dell’umanità, e ciò portava

inevitabilmente in secondo piano la protezione delle minoranze linguistiche in quanto gruppi

che operavano all’ interno dei singoli ordinamenti nazionali.

Solo a partire dalla fine degli anni ’60 e inizio anni ’70, venne riproposta la formula di gruppo

minoritario coniata dalla Corte permanente di giustizia e ciò in seguito alla diffusione di quel

fenomeno che, nel primo capitolo, abbiamo definito come revival etnico. Non mancarono

però contributi dottrinali che cercarono di arricchire ed esplicitare la definizione di minoranza

sopra riportata: in particolare risultano importanti le considerazioni del professor Capotorti

secondo il quale la minoranza è “un gruppo numericamente inferiore al resto della

popolazione di uno Stato, in posizione non dominante, i cui membri, essendo cittadini dello

Stato, posseggono caratteristiche etniche, religiose o linguistiche che differiscono da quelle

del resto della popolazione, e mostrano, quanto meno implicitamente, un senso di solidarietà

inteso a preservare le loro culture, tradizioni, religioni, lingue” (84) e quelle del professor

Pizzorusso che individua la minoranza come “una frazione del popolo la quale costituisce un

gruppo sociale, posto in condizioni di inferiorità nell’ ambito della comunità statale, i cui

membri, legati allo Stato dal rapporto di cittadinanza, ricevono dall’ ordinamento giuridico

di esso un trattamento particolare diretto ad eliminare la situazione minoritaria ovvero ad

istituzionalizzarla e disciplinarla nell’ ambito dello Stato stesso” (85). Queste definizioni, per

(83) Cfr., sul mutato indirizzo della comunità internazionale nel secondo dopoguerra, A. PIZZORUSSO, voce Minoranze etnico-linguistiche, op.cit., p. 21 e ss. (84) Questa è la definizione proposta dal professor Capotorti, in qualità di relatore speciale della sottocommissione dell’ ONU per la lotta contro le misure discriminatorie e la protezione delle minoranze. Cfr., sul punto, F. CAPOTORTI, Study on Persons Belonging to Ethnic, Religiosus and Linguistic Minorities. New York. 1979. (85) Cfr., sul punto, A. PIZZORUSSO, Libertà di lingua e diritti linguistici, op.cit., p. 1332 e ss.

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quanto abbiano e costituiscano tutt’ora un contributo importante, sono incentrate su dati di

natura quantitativa e non considerano minimamente anche alcuni importanti elementi

soggettivi come il senso di solidarietà e la volontà di appartenenza al gruppo che consentono

al medesimo di continuare ad esistere e di sottrarsi ad eventuali processi di assimilazione da

parte della maggioranza, nonché l’aspirazione a conservare le proprie tradizioni ed a

salvaguardare la propria identità culturale.

In seno comunque agli organismi europei (86), lo sforzo volto a definire il fenomeno

minoritario proseguiva negli anni ’90 senza riuscire a ricevere consacrazione in un documento

ufficiale e giuridico rilevante. In questa direzione si inseriscono i tentativi del Parlamento

europeo, che attraverso alcune risoluzioni (87) andava ad identificare i gruppi etnici con quelli

che “risiedevano sul territorio di uno Stato di cui sono cittadini, legati a questo Stato da

vincoli antichi, consolidati e durevoli, che presentano caratteristiche etniche, culturali,

religiose e linguistiche specifiche, che sono sufficientemente rappresentativi pur essendo

meno numerosi rispetto al resto della popolazione dello Stato o di una regione statale, animati

dalla volontà di preservare la loro cultura, le loro tradizioni, la loro religione o lingua”. In altri

termini, il Parlamento Europeo elaborava una definizione di minoranza nazionale come un

quid riassuntivo delle peculiarità etniche, culturali, linguistiche e religiose, che valgono ad

individuare i gruppi minoritari operanti e residenti nell’ ambito degli ordinamenti nazionali, e

che teneva conto anche di elementi soggettivi che le definizioni precedenti avevano messo in

secondo piano. Queste risoluzioni ebbero il merito di aprire la strada ai lavori per

l’elaborazione della Convenzione-Quadro per la protezione delle minoranze nazionali del

(86) In particolare in seno al Consiglio d’ Europa. (87)Cfr., in tema di risoluzioni del Parlamento europeo, la raccomandazione n. 1134 del 1990, la n. 1177 del 1992, la n. 1201 del 1993.

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1994 (88). Tuttavia all’interno del testo, si rinunciò ad inserire una definizione modellata sulle

risoluzioni parlamentari. Ciò non può tuttavia interpretarsi come una diminuzione

dell’interesse degli Stati verso le situazioni minoritarie, ma piuttosto come la conferma

lampante della difficoltà di coagulare un consenso generale sulle formule definitorie e

dell’intendimento di non impegnare a priori i governi, che restano liberi di riconoscere le

minoranze esistenti nei rispettivi territori e di accordare loro il beneficio di una protezione

speciale, in armonia, del resto, con il carattere programmatico della Convenzione-Quadro.

I tentativi di definizione che abbiamo cercato di riassumere ci hanno comunque consentito e

permesso di mettere in luce alcuni tratti comuni alla complessa tipologia delle situazioni

minoritarie e, più specificatamente, a quelle che si distinguono da altri gruppi sociali in base

al fattore linguistico. In primo luogo, i gruppi minoritari consistono in una comunità allo stato

diffuso, i cui componenti e membri perseguono interessi collettivi che non coincidono con la

mera sommatoria degli interessi individuali di ciascuno, in quanto sono riferibili piuttosto alla

comunità in sé e per sé considerata (89). In secondo luogo, tutte le proposte definitorie che

abbiamo considerato in precedenza, insistono sull’elemento obiettivo dell’ inferiorità

numerica cui dovrebbero rivolgersi gli interventi di tutela rispetto al resto della popolazione

che è dunque qualificabile solo in quanto esista un gruppo in posizione maggioritaria, anche

se è noto che alcune minoranze non sono tali in senso quantitativo bensì per lo status di

soggezione psicologica o economica o politica ad un gruppo dominante (90). In terzo luogo, le

minoranze linguistiche appartengono alla categoria delle minoranze volontarie o by will che,

(88) Diversamente dalla Carta delle lingue regionali e minoritarie, che offre tutela alle lingue praticate entro confini ben precisi sul piano territoriale, la Convenzione-quadro dedica particolare attenzione alle lingue delle minoranze nazionali, caratterizzate da un rapporto di collegamento originario con un gruppo nazionale il quale non si identifica con il gruppo maggioritario. (89) Cfr., in merito a questo primo punto, A. PIZZORUSSO, Libertà di lingua e diritti linguistici, op.cit., p. 1332 e ss. (90) Sono casi di minoranze in senso non quantitativo, i fiamminghi in Belgio che, pur consistendo in un gruppo maggioritario, sono stati a lungo relegati ad una condizione di subordinazione, se non addirittura di emarginazione sociale ed economica.

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diversamente dalle minoranze loro malgrado o by force, non desiderano l’ assimilazione alla

comunità maggioritaria dal momento che aspirano piuttosto alla conservazione e

valorizzazione dei propri tratti distintivi (91). In quarto luogo, da alcune ipotesi di definizione

giuridica si evince il carattere stabile e tendenzialmente permanente dell’ adesione dei singoli

componenti la collettività minoritaria, i quali intendono evitare l’ incorporazione al gruppo

maggioritario (c.d. animus comunitario). Si giunge così ad enucleare, accanto ai presupposti

oggettivi, due componenti di natura soggettiva molto importante e non sempre prese in attenta

ed opportuna considerazione ossia il senso di solidarietà e la coscienza comunitaria che vanno

a configurare i gruppi minoritari che parlano idiomi diversi dalla lingua maggioritaria, come

formazioni sociali che, in attuazione dei principi d’uguaglianza e pluralismo, abbisognano di

interventi adeguati da parte del pubblico potere e della disponibilità di tutti i consociati per

preservare il proprio patrimonio di tradizioni e la propria identità culturale.

In quanto ascrivibili al novero delle minoranze volontarie, le minoranze linguistiche non

risultano adeguatamente protette se, al principio d’uguaglianza formale e di non

discriminazione sulla base del fattore linguistico, non vengano accompagnate prescrizioni

giuridiche dirette alla realizzazione dell’ uguaglianza sostanziale ed alla valorizzazione del

rispettivo patrimonio linguistico-culturale. Il primo aspetto della tutela, pacificamente accolto

dal diritto interno, riceveva consacrazione nella comunità internazionale con la redazione

della Carta delle Nazioni Unite del 1945 e della Dichiarazione universale dei diritti dell’

uomo del 1948 che, diversamente dal meccanismo della Società delle Nazioni, decidevano di

far confluire la garanzia delle situazioni minoritarie, come già ricordato, nella proclamazione

dei diritti umani e nel principio di non discriminazione. Nella medesima linea, il Consiglio

d’Europa vietava qualunque discriminazione fondata sull’ appartenenza ad una minoranza

(91) Cfr., per tale classificazione, A. PIZZORUSSO, voce Minoranze etnico-linguistiche, op.cit., p. 528 e ss. Un gruppo sociale oscilla dalla posizione di minoranza volontaria a quella suo malgrado, in dipendenza dell’atteggiamento del gruppo contrapposto e dell’ evoluzione delle vicende storiche.

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Concetto di minoranza linguistica

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nazionale (art. 14 della CEDU) (92), senza tralasciare, tra le garanzie processuali, il diritto che

la persona arrestata o accusata venga informata delle accuse elevate a suo carico in una lingua

comprensibile, nonché del diritto di farsi assistere gratuitamente da un interprete durante lo

svolgimento delle udienze (93). Queste previsioni che abbiamo ora elencato, vanno sotto il

nome di tutela negativa, cioè la pretesa, da parte di chiunque cittadino o straniero, a non

ricevere dai pubblici poteri trattamenti irragionevolmente pregiudizievoli per il fatto stesso di

impiegare una lingua diversa da quella ufficiale/maggioritaria. In altri termini, la tutela

negativa vuole assicurare e tutelare la libertà di lingua (94) intesa come situazione giuridica

soggettiva assoluta e aspecifica, strettamente collegata al libero sviluppo della propria

personalità ed alla libera manifestazione del proprio pensiero. Nonostante il valore

tendenzialmente universale della libertà di lingua, la stessa è suscettibile, in concreto, di

subire erosioni e deroghe ad opera di meccanismi che con essa non sono facilmente

conciliabili. Così, il requisito della coufficialità, di cui si è parlato nel secondo paragrafo del

presente capitolo, attribuito soltanto ad una o più lingue nazionali, preclude ai componenti di

comunità linguistiche minoritarie, il cui idioma lessicale non è stato elevato al rango di

coufficialità, di rivolgersi all’ autorità amministrativa od altra autorità giudiziaria nella propria

lingua madre, il cui uso dunque dovrà limitarsi solo ed esclusivamente a rapporti di natura

privatistica.

(92)Cfr., R. BIN, Commento all’art. 14 CEDU, in S. Bartole, B. Conforti, G. Raimondi (a cura di) Commentario alla Convenzione Europea per la tutela dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, Padova, Cedam, 2001, p. 413 e ss. (93) Cfr., a riguardo, l’ articolo 6 della Carta Europea dei diritti umani (CEDU). (94) Cfr., sulla libertà di lingua, ancora A. PIZZORUSSO, Libertà di lingua e diritti linguistici, op.cit., p. 1332 e ss. La libertà di lingua è definita dall’ autore come “il diritto di comunicare con i privati o con lo Stato nelle lingue di propria scelta”.

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Alle misure di tutela negativa, allora, devono affiancarsi sistemi di tutela positiva (95) cioè

strumenti speciali di intervento pubblico diretti a trasformare una situazione di effettiva

disparità di condizioni in una connotata da sostanziale parità di opportunità. Sin dal periodo

compreso tra i due conflitti mondiali e, in seguito, nonostante l’approccio prevalentemente

individualistico alla soluzione delle questioni minoritarie inaugurato con la nascita

dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, i vari strumenti internazionali non hanno trascurato

di prendere in considerazione il principio di non discriminazione con la sollecitazione agli

Stati di impegnarsi attivamente e concretamente nelle situazioni di svantaggio che spesso

affliggono coloro che appartengono ai gruppi minoritari. Così, ad esempio, la previsione a

carico degli Stati di adoperarsi per la promozione e valorizzazione in ambito sociale,

economico e culturale caratterizza sia la Convenzione per la eliminazione di tutte le forme di

discriminazione razziale del 1965 che la Dichiarazione dell’UNESCO sulla razza e sul

pregiudizio razziale del 1978, la quale, dispone il divieto di assimilazione e la conservazione

dei tratti distintivi delle comunità minoritarie. Risulta inoltre opportuno riconsiderare, nella

sua interezza, l’articolo 27 del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici del 1966 (96), in

base al quale “Negli Stati ove esistono minoranze etniche, religiose o linguistiche, le persone

appartenenti a tali minoranze non possono essere private del diritto di avere, in comune con

gli altri membri del loro gruppo, la loro propria vita culturale, di praticare o professare la

loro propria religione e di impiegare la loro propria lingua”; da questa disposizione

normativa si evince come sia sottesa a questo trattato internazionale, l’unico ad essere munito

di forza cogente a livello mondiale per la tutela delle minoranze, la consapevolezza che le

minoranze non possono essere semplicemente tollerate in quanto invocano forme di tutela

(95) Cfr., sulla tutela positiva, G. M. FLICK, Minoranze ed uguaglianza: il diritto alla diversità ed al territorio come espressione dell’ identità nel tempo della globalizzazione, in Politica del diritto, n. 1/2004, p. 13; A. PIZZORUSSO, voce Minoranze etnico-linguistiche, op.cit., pp. 530-531; P. CARETTI, I diritti fondamentali, Torino, Giappichelli. 2002, p. 165.

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Concetto di minoranza linguistica

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positiva. Infatti andando oltre un’interpretazione letterale del disposto in questione, non si può

fare a meno di intravvedere una pretesa dei singoli all’intervento attivo dello Stato per

realizzare, in ossequio al principio d’uguaglianza sostanziale, i benefici previsti e consentirne

la reale fruizione. In particolare, con riguardo all’ attuazione dei diritti connessi all’uso della

lingua, l’autorità pubblica deve predisporre specifiche misure positive in modo da permettere

ai membri delle minoranze di comunicare reciprocamente nell’ idioma del gruppo, di creare

istituzioni per la conservazione e diffusione delle lingue e culture minoritarie, di accedere ai

mass media, di ricevere l’insegnamento della e nella lingua materna. Oltre che in seno alle

Nazioni Unite, il tema della tutela positiva delle situazioni minoritarie è stato ampiamente

dibattuto nei lavori della OCSE cioè l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo

economico in Europa sulla “dimensione umana” sin dall’ adozione dell’Atto finale di Helsinki

del 1975 che al VII principio stabiliva non soltanto il rispetto da parte degli Stati partecipanti

del diritto delle persone appartenenti a minoranze nazionali all’uguaglianza davanti alla legge,

ma altresì l’impegno di offrire loro piena possibilità di godere effettivamente dei diritti dell

‘uomo e delle libertà fondamentali e di proteggere in tal modo i loro legittimi interessi in

questo campo. Analogamente alla Dichiarazione di Copenaghen del 1990 si ribadiva il dovere

degli Stati di prendere le misure legislative, amministrative, e giudiziarie necessarie alla

realizzazione dell’ uguaglianza, nella duplice accezione formale e sostanziale, e di applicare

gli strumenti internazionalmente vincolanti, nonché di creare le condizioni per la promozione

dell’ identità etnica, culturale, linguistica e religiosa delle minoranze nazionali. L’ultima

conquista legata alla tutela positiva delle minoranze etnico-linguistiche, riguarda la

Convenzione-Quadro del 1994 che stabilisce che gli Stati firmatari, tra cui ovviamente anche

l’Italia, s’impegnino: ad accordare alle persone appartenenti ad una minoranza etnico-

linguistica di utilizzare liberamente la loro lingua madre sia nella sfera privatistica sia in

quella pubblicistica, a rendere possibile l’uso della lingua nei rapporti con la pubblica

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amministrazione e l’autorità giudiziaria, a riconoscere ai membri della minoranza il diritto di

esprimere l’onomastica nonché di indicare nella lingua minoritaria insegne, iscrizioni e

pubbliche informazioni, senza con ciò attribuire carattere ufficiale a quelle denominazioni, ad

esporre nella stessa lingua ed a certe condizioni nomi di località, strade ed altri segni

topografici ecc (97). Tali misure di salvaguardia devono comunque uniformarsi al principio di

proporzionalità ed evitare che si traducano in trattamenti sperequativi nei confronti della

restante popolazione dello Stato (98).

(97) Cfr., relativamente all’elenco riportato, gli articoli 10-11 della Convenzione-quadro per la tutela delle minoranze linguistiche, approvata dal Consiglio d’Europa nel 1994, e contenente misure di tutela positiva a favore dei gruppi etnico-linguistici. (98) Cfr., sul principio di proporzionalità, V. PIERGIGLI, Lingue minoritarie ed identità culturali, op.cit., p. 113.

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L’articolo 6 della costituzione e la legge n. 482/99. La normativa regionale e locale in tema di tutela delle minoranze linguistiche.

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L’articolo 6 della costituzione e la legge n. 482/99. La normativa regionale e locale in tema di tutela delle minoranze linguistiche.

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CAPITOLO III

L’ ARTICOLO 6 DELLA COSTITUZIONE E LA LEGGE N. 482/ 1999. LA

NORMATIVA REGIONALE E LOCALE IN TEMA DI TUTELA DELL E

MINORANZE LINGUISTICHE

Sommario: 3.1 I lavori preparatori dell’articolo 6 della Costituzione – 3.2 L’ articolo 6 come principio supremo dell’ ordinamento – 3.3 I principi costituzionali collegati all’ articolo 6 – 3.4 Le minoranze riconosciute e non prima della legge n. 482/1999 – 3.5 L’identificazione soggettiva e territoriale delle minoranze nei lavori parlamentari prima della legge n. 482/1999 – 3.6 La tutela normativa della legge n. 482/1999 – 3.7 Un bilancio della legge 15 dicembre 1999 n. 482 in attesa di adempimenti, adeguamenti e verifiche – 3.8 Gli Statuti regionali nella tutela delle culture minoritarie ed i rapporti tra Stato e Regioni – 3.9 Gli interventi regionali a tutela delle minoranze linguistiche storiche – 3.10 Gli Statuti degli enti locali e la tutela dell’identità minoritaria

3.1: I lavori preparatori dell’ articolo 6 della Costituzione - La comunità internazionale ed i

documenti che abbiamo analizzato nel capitolo precedente, non introducono trattamenti

differenziati a tutela dei gruppi minoritari, ma rinviano all’ autonoma determinazione delle

autorità nazionali, la facoltà di modulare il regime giuridico delle minoranze in funzione delle

diverse situazioni nazionali. Il richiamo ai lavori preparatori dell’articolo 6 della Costituzione

consente di introdurre la ricostruzione del pensiero giurisprudenziale e l’artificiosa distinzione

tra minoranze riconosciute e non riconosciute alla quale ha posto fine il sopraggiunto

intervento del legislatore statale con la legge n. 482/1999.

Con l’indirizzo nazionalistico che aveva impedito, tra l’unificazione del Regno d’Italia

(1861) e la prima guerra mondiale (1915-1918), il riconoscimento delle identità minoritarie ed

il successivo regime fascista che aveva avviato una massiccia campagna di nazionalizzazione

con l’intento di ridurre il più possibile ogni diversità di natura etnico-linguistica, anche le

forme più elementari e semplici di tutela e protezione dei gruppi minoritari erano rimaste

nell’oblio più assoluto. Solo a partire dalla fine della seconda guerra mondiale (1945) e con

l’inizio dei lavori dell’Assemblea Costituente (99), chiamata a redigere il nuovo testo

(99) L’Assemblea Costituente è stata eletta il 2 giugno del 1946, contestualmente al referendum istituzionale relativo alla forma di governo del nostro paese ossia monarchia o repubblica. La prima seduta è datata 22 giugno 1946.

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L’articolo 6 della costituzione e la legge n. 482/99. La normativa regionale e locale in tema di tutela delle minoranze linguistiche.

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costituzionale italiano, il problema delle minoranze linguistiche iniziò a trovare una sua

collocazione nella nuova forma che lo Stato repubblicano italiano si stava dando (100).

La Costituzione della Repubblica italiana non si spinge a disciplinare l’uso delle lingue

minoritarie né ad individuare le minoranze linguistiche, salvo un brevissimo cenno con effetti

di natura transitoria riferito alla situazione del Friuli-Venezia Giulia, ma pone tra i suoi

Principi Fondamentali una norma di carattere generale ossia l’ articolo 6, destinata a costituire

il presupposto della tutela di tutte le situazioni linguistiche minoritarie: “La Repubblica tutela

con apposite norme le minoranze linguistiche”. Nessuna norma di questo genere, o analoga,

esisteva nello Statuto Albertino, se si eccettua l’episodica disposizionedell’articolo 62, 2

comma, che prevedeva il diritto di servirsi della lingua francese ai membri del Parlamento

appartenenti ai Paesi dove tale lingua era in uso; il più autorevole precedente si può semmai

rinvenire nella Costituzione della Repubblica di Weimar (11 agosto 1919) che all’articolo 113

così statuiva “La parte della popolazione del Reich alloglotta non può, sia in via legislativa

che amministrativa, essere ostacolata nel suo libero svolgimento nazionale, specialmente per

quanto riguarda l’uso della lingua materna nell’istruzione, nell’amministrazione interna e

nella giurisdizione” (101).

Come esplicitamente dichiarato durante la fase dei lavori preparatori, l’inserimento di una

disposizione normativa ad hoc esprimeva molto bene l’intenzione dei padri costituenti di

impegnare l’ordinamento giuridico statale italiano alla tutela e protezione delle minoranze

linguistiche, non in ottemperanza ad eventuali vincoli internazionali, bensì ad un principio

autonomamente rilevante sul piano del diritto interno. Il testo definitivo dell’ articolo 6 che

abbiamo prima enunciato, è stato approvato dalla Assemblea Costituente il 22 luglio del 1947

(100) Vedi La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea Costituente, vol. III, Camera dei Deputati. Roma. 1970, pp-2444 e ss. (101) Su questa nota storica vedi M. STIPO, voce Minoranze etnico-linguistiche, in Enc.Giur., Roma, Treccani. 1984.

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a seguito di un animato dibattito che, oltre a collegare il tema alla determinazione della forma

di Stato, non seppe sottrarsi alla tentazione di operare un “discrimen” tra i numerosi gruppi

minoritari stanziati nel nostro paese, costituendo così il presupposto di un atteggiamento,

soprattutto in sede politica, di completo disinteresse delle c.d. “isole linguistiche” che

assieme alle vere e proprie minoranze nazionali difficilmente potrebbero non essere inserite

nel novero delle realtà minoritarie di cui parla espressamente e chiaramente l’articolo 6.

La disposizione originaria (diversa però dalla formulazione attuale), che secondo le

indicazioni del suo proponente on. Ernesto Codignola, avrebbe dovuto essere inserita nel

titolo della Costituzione relativo all’ ordinamento regionale e che originariamente non

compariva (102) nel progetto di Costituzione predisposto dalla Commissione dei

Settantacinque, andava a sostituire l’istituzione delle regioni a statuto speciale di confine

(dove c’erano forti minoranze etnico-linguistiche) e consentiva anche l’introduzione di una

generica garanzia per le popolazioni, di minore importanza, disperse sul territorio nazionale

che avrebbero potuto chiedere in futuro rivendicazioni di carattere linguistico. La

formulazione originaria recitava “La Repubblica garantisce il pieno e libero sviluppo, nell’ ambito della

Costituzione, delle minoranze etniche e linguistiche esistenti nel territorio dello Stato.

Gli enti autonomi regionali non possono, sotto nessuna forma, limitare o modificare i diritti fondamentali

del cittadino sanciti dalla presente Costituzione” (103).

Su proposta dell’on. Tosato, il plenum dell’ Assemblea Costituente decise, apportando delle

modifiche che diedero al disposto la configurazione attuale, di inserire la disposizione

normativa in esame tra i Principi Fondamentali (104) della Costituzione dal momento che la

protezione delle situazioni minoritarie non poteva essere relegata all’ ambito regionale in

(102) Cfr., per questa precisazione, A. PIZZORUSSO, Commento all’ articolo 6 della Costituzione, op.cit., p. 303. (103) Il testo in questione, venne inserito nell’ articolo 108 bis del progetto di Costituzione. (104) Gli articoli della nostra Costituzione dall’ 1 al 12 rientrano tra i Principi Fondamentali.

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quanto dotata di un intrinseco interesse di portata generale. Con l’approvazione del testo dell’

articolo 6, veniva superata l’ obiezione dell’ on. Meuccio Ruini (105) il quale sosteneva inutile

e pleonastica la previsione in oggetto dato che riteneva sufficiente il principio d’ uguaglianza,

nelle sue varie articolazioni, a dare copertura e salvaguardia ai gruppi minoritari. Ma il

legislatore costituente non adottò questa soluzione, dal momento che aveva ben presente la

complessità e la variegata articolazione delle realtà minoritarie in Italia e per questo motivo

optò per un disposto ad hoc. Come risultò dai lavori della Commissione per gli studi attinenti

alla riorganizzazione dello Stato, non poteva ignorarsi l’esistenza di isole linguistiche

albanesi, catalane, greche, slave dell’Italia meridionale ed insulare, franco-provenzali delle

provincie di Cuneo e Torino, tedesche di alcuni villaggi alpini del Piemonte e delle Venezie,

rumene della Venezia Giulia. A queste si aggiungevano le minoranze linguistiche per

antonomasia ossia quelle francesi in Valle d’Aosta, quelle ladine e tedesche in Alto Adige ecc

che richiamavano urgentemente, a partire dal secondo dopoguerra, misure speciali e

particolari di tutela e garanzia. L’intento del legislatore fu dunque quello, con una norma

programmatica di portata generale, di racchiudere tutte queste realtà linguistiche diverse e

distinte, anche se poi di fatto una distinzione abbastanza netta tra minoranze che definirei

“classiche” e le isole linguistiche, per lungo tempo, caratterizzò il modus operandi della

politica italiana.

Con il testo attuale dell’articolo 6 veniva inoltre precisato, a sostegno di quanto sostenevo

nelle righe precedenti, di volersi preferire all’ espressione “minoranze etniche” usata nella

bozza di progetto presentata dall’on. Codignola, quella di “minoranze linguistiche” (106),

(105) L’on. Ruini fu presidente della Commissione dei 75. (106) Di “minoranze linguistiche”, aveva anche parlato la Commissione di studi attinenti alla riorganizzazione dello Stato nella sua relazione all’Assemblea Costituente (Relazione all’Assemblea Costituente, Roma, 1946, I, p.175 e ss.). Cfr., anche R. TONIATTI, Minoranze e minoranze protette: modelli costituzionali comparati, in T. Bonazzi e M. Dunne (a cura di) Cittadinanza e diritti nelle società multiculturali, Bologna, Il Mulino, 1994, p. 281. Nel testo finale dell’art. 6 della Costituzione, è sparito il riferimento al carattere etnico delle minoranze, come risultava nel testo proposto dall’on. Tristano Codignola. Tuttavia, una siffata qualificazione, sembra perdurare a livello di costituzione materiale. La stessa sembrerebbe risultare dal carattere della minoranza come

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rimarcando così l’intenzione dei padri costituenti di consentire la più ampia facoltà di

apprezzamento delle situazioni minoritarie, nel rispetto dell’ unità e dell’integrità territoriale

dello Stato (107).

3.2: L’ articolo 6 come principio supremo dell’ordinamento - Nonostante il tenore letterale

dell’art. 6 della Costituzione che menziona espressamente le “minoranze linguistiche” (108), è

fuor dubbio, evidenzia il Toniatti, che il disposto costituzionale in oggetto rappresenta “un

esempio illustrativo del tentativo di conciliare un uso strumentalmente unitario del concetto

di Nazione con la volontà di introdurre una norma di principio di garanzia per le proprie

minoranze nazionali (ma definite linguistiche)” (109).

La formulazione attuale dell’art. 6, venne approvata dall’Assemblea Costituente il 22 luglio

1947 a seguito di un ampio quanto animato e vivace dibattito poiché molti ne “affermavano

l’inutilità stante il riconoscimento senza distinzione di lingua di cui all’art. 3, 1° comma,

Cost.” (110). Se l’intenzione del suo proponente (111), l’on. Tristano Codignola (112), era rivolta

formazione alternativa o contrapposta addirittura allo Stato. In questo senso, E. PALICI DI SUNI PRAT, voce Minoranze, in Dig. Disc. Pubbl., vol. IX, Torino, Utet, 1994, p. 558 e ss. (107) Cfr., per una conoscenza sistematica dei lavori preparatori, V. PIERGIGLI, Le minoranze linguistiche nell’ordinamento italiano: Recenti sviluppi normativi, in Diritti e Costituzione. Profili evolutivi e dimensioni inedite (a cura di Antonio D’Aloia), op. cit., pp. 11-16. (108) Nel testo finale dell’art. 6 della Costituzione, è sparito il riferimento al carattere etnico delle minoranze, come risultava nel testo proposto dall’on. Tristano Codignola. Tuttavia, una siffata qualificazione, sembra perdurare a livello di costituzione materiale. La stessa sembrerebbe risultare dal carattere della minoranza come formazione alternativa o contrapposta addirittura allo Stato. In questo senso, E. PALICI DI SUNI PRAT, voce Minoranze, in Dig. Disc. Pubbl., vol. IX, Torino, Utet, 1994, p. 558 e ss. (109) Cfr., R. TONIATTI, Minoranze e minoranze protette: modelli costituzionali comparati, op. cit.,pp. 288-289. (110) Cfr., G. FONTANA, Nuove specialità e tutela delle minoranze linguistiche. Il caso del Trentino Alto Adige, in A. Ferrara-G. M. Salerno (a cura di) Le nuove specialità nella riforma dell’ordinamento regionale, Milano, Giuffrè, 2003, p. 276. (111) Tristano Codignola (1913-1981). (112) La norma di cui all’art. 6, non figurava nel testo del progetto elaborato dalla Commissione dei 75 poiché, come spiegò il Ruini, presidente della Commissione nella seduta del 1 luglio 1947, vi era “già nell’art. 2 (attuale art. 3) il principio di eguaglianza di tutti i cittadini indipendentemente dalla razza e dalla lingua” (vedi Atti dell’Ass. Cost., Disc., p. 5318). Essa, secondo l’intenzione del proponente, on.Tristano Codignola, doveva essere

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all’obiettivo di evitare l’istituzione delle Regioni a Statuto speciale proprio per il tramite della

tutela minoritaria in quanto egli era preoccupato di scongiurare, nell’ambito dell’autonomia

regionale, che la maggioranza nazionale potesse ridimensionare la portata ed il grado di

protezione dei diritti delle minoranze, alla fine, il plenum dell’Assemblea, su proposta dell’on.

Tosato, decise, apportando le modifiche che diedero alla norma la sua configurazione attuale,

di inserirla tra i Principi Fondamentali dell’ordinamento alla luce del fatto che la salvaguardia

delle situazioni minoritarie, poiché dotata di una portata generale, non poteva essere limitata e

relegata alla sfera regionale. La stessa giurisprudenza costituzionale, soprattutto con la

sentenza n. 15/1996 (113), ha precisato ulteriormente l’orientamento conclusivo

dell’Assemblea Costituente, mettendo in evidenza come la norma in esame “si situa al punto

di incontro con altri principi, talora definiti supremi che qualificano indefettibilmente e

necessariamente l’ordinamento vigente” (114). Anzi, il disposto, si evince sempre dall’esame

dei lavori preparatori, non si configura nell’ottica di un mero obbligo internazionale cui

l’Italia sarebbe stata destinataria, ma si muove nella direzione, connaturata all’essenza stessa

dello Stato di Diritto, di impegnare la Repubblica nel suo complesso a concretare “quella

garanzia di ordine positivo stabilita a favore delle varie minoranze linguistiche” (115) con la

inserita nel Titolo della Carta Costituzionale relativo all’autonomia regionale. Recitava: “La Repubblica garantisce il pieno e libero sviluppo, nell’ambito della Costituzione, delle minoranze etniche e linguistiche esistenti nel territorio dello Stato” (1° comma) e continuava “Gli enti autonomi regionali, non possono sotto nessuna forma, limitare o modificare i diritti fondamentali del cittadino sanciti dalla presente Costituzione” (2° comma) (art. 108 bis del Progetto di Costituzione. Vedi Atti dell’Ass. Cost., Disc., p. 5315). Per uno studio più dettagliato dei lavori preparatori riguardanti l’art. 6 della Costituzione: A. PIZZORUSSO, Commento all’articolo 6 della Costituzione, in G. Branca (a cura di) Commentario della Costituzione, vol. I, Bologna, Zanichelli, 1975, pp. 303-306. (113) Cfr., Corte cost. 29 gennaio 1996 n. 15, in Le Regioni, n. 4/1996, p. 706 e ss. (114) Così è affermato nel punto 2 del cons. in dir. A riguardo, si segnalano due commenti: L. ANTONINI, Minoranza slovena ed uso della lingua nel processo: (una tutela riconosciuta soltanto a Trieste ?), in Le Regioni, 1996, n. 4/1996, p. 716 e ss., S. BARTOLE, Commento alla sentenza Corte cost. 29 gennaio 1996 n.15, in Corr. giur., n. 5/1996, p. 521 e ss. (115) In merito, M. BERTOLISSI, Commento all’articolo 6 della Costituzione, in V. Crisafulli e L. Paladin (a cura di) Commentario breve alla Costituzione, Padova, Cedam. 1990, p. 6.

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conseguenza della ricaduta del dovere di tutela non soltanto sugli organi dello Stato centrale

ma anche sulle diverse comunità territoriali ove queste formazioni sociali sono stanziate.

Sebbene non ne resti traccia nel dettato costituzionale, gli orientamenti della Corte, a partire

dagli anni ’80, hanno, comunque, condizionato il contenuto dell’art. 6, determinando, da un

lato, l’accentuazione di un atteggiamento di particolare attenzione, sotto il profilo della

normazione, verso le minoranze dei territori di confine (gruppo germanofono in Alto

Adige/SudTirol, gruppo sloveno nelle Province di Udine, Trieste e Gorizia e gruppo

francofono in Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste), dall’altro, la assoluta e totale indifferenza nei

confronti delle altre comunità minoritarie (le c.d. isole linguistiche). Infatti, pronunciandosi,

relativamente alla minoranza slovena, sulla legittimità costituzionale dell’art. 137, 1° e 3°

comma del c.p.p ante riforma del 1988 (116) con gli artt. 3 e 6 Cost. nonchè con l’art. 3 dello

Statuto speciale del Friuli-Venezia Giulia (117), il giudice delle leggi, con la sentenza

interpretativa di rigetto n. 28/1982 (118), adottata al fine di “circoscrivere la portata della

pronuncia in termini di rilevanza all’ambito spaziale in cui la questione era stata proposta e

cioè al territorio di Trieste” (119), non solo rigetta la questione ma ritiene che solo la presenza

di una minoranza riconosciuta come quella slovena, renda incompatibile ogni sanzione

implicante l’uso della lingua materna. Ne consegue che solamente un gruppo minoritario

destinatario di norme interne attuative di specifici accordi internazionali o di disposizioni

contenute in Statuti speciali, garantirebbe l’operatività del principio costituzionale di cui

(116) L’art. 137 del c.p.p. del 1930 (c.d. Codice Rocco) stabiliva (1°comma) che tutti gli atti del procedimento penale dovessero essere compiuti, a pena di nullità, in lingua italiana e sanzionava (3°comma) il rifiuto di esprimersi in lingua italiano per chi la conoscesse. (117) Lo Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia, è contenuto nella l. costituzionale 31 gennaio 1963 n. 1. In G.U. 1 febbraio 1963 n. 29. (118) Cfr., Corte cost. 11 febbraio 1982 n. 28, in Le Regioni, Giuffrè, n. 3/1982, p. 388 e ss. Per una sintesi della sentenza citata, E. PALICI DI SUNI PRAT, La tutela giuridica delle minoranze tra Stato e Regioni in Italia, in S. Bartole, N. Olivetti Rason, L. Pegoraro (a cura di) La tutela giuridica delle minoranze, Padova, Cedam, 1998, pp. 161-162. (119) A riguardo, S. BARTOLE, Gli sloveni nel processo penale a Trieste, in Giur .Cost, 1982, pp. 249-259.

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all’art. 6, ipostatizzando quel suo carattere di “norma direttiva e dalla applicazione differita”

(120); viceversa, per quelle realtà minoritarie non beneficianti di alcun intervento diretto da

parte del legislatore interno, il peculiare garantismo costituzionale non avrebbe potuto

azionarsi, ascrivendo la tutela al mero profilo dell’eguaglianza formale ed all’ambito del

riconoscimento dei diritti umani in generale (121). In altri termini, la Corte Costituzionale

ravvisa, a favore delle minoranze non riconosciute, unicamente una forma di tutela negativa

consistente in un divieto generalizzato rivolto a tutti “ i soggetti ed a tutti gli apparati

pubblici” affinchè si astengano da “comportamenti” e da “atti che costituiscono persecuzione

e discriminazione degli appartenenti alle minoranze” (122). Questa posizione dicotomica

emergente dalla sentenza di cui sopra, informerà anche i successivi interventi della Consulta

sul tema in trattazione, sebbene emergano alcune importanti “aperture”. Chiamata a

pronunciarsi sul medesimo problema, ma questa volta nell’ambito di un giudizio di

opposizione ad ordinanze-ingiunzioni applicative di sanzioni amministrative innanzi al

Pretore del luogo di insediamento della minoranza slovena (123), la Corte Costituzionale, posta

di fronte alla mancata accoglienza della precedente sentenza da parte dei giudici nazionali,

interviene, con la pronuncia addittiva n. 62/1992 (124), invitando il legislatore a “graduare i

(120) Vedi punto 2 del cons. in dir. (121) In questa direzione, la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, l’art. 14 della CEDU e la Dichiarazione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite sui diritti delle minoranze nazionali ed etniche del 1992. (122) Cfr., S. BARTOLE, voce Minoranze nazionali, in App. Noviss. dig. it., vol. X, Torino, Utet, 1964, p. 45. (123) La questione di legittimità proposta alla Corte in via incidentale da Pretore di Trieste, riguardava gli artt. 22 e 23 della l. ordinaria 24 novembre 1981 n. 689 (Modifiche al sistema penale) e l’art. 122 c.p.c (ritenuto applicabile nel processo a quo per il rinvio delle disposizioni regolatrici di quest’ultimo alle norme del codice di procedura civile) “nella parte in cui non prevedono la facoltà, per i soggetti appartenenti ad una minoranza linguistica riconosciuta , di usare la propria lingua negli atti processuali civili e ricevere da controparte la traduzione nella propria lingua degli atti processuali di questa (vedi punto 1 del cons.in dir.)”. (124) Cfr., Corte cost. 24 febbraio 1992 n. 62, in Le Regioni, n. 1/1993, p. 61 e ss. Si legga il commento di S. BARTOLE, La tutela della minoranza slovena fra giurisprudenza costituzionale e legislazione ordinaria, in Giur. Cost, 1992, pp. 342-347.

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modi, le forme di tutela ed i tempi” (125) connessi all’attuazione dell’art. 6 della Costituzione.

E, pur riprendendo la differenziazione tra minoranza riconosciuta e minoranza non

riconosciuta, non solo ribadisce che “la lingua propria di ciascun gruppo etnico rappresenta

un connotato essenziale della nozione costituzionale di minoranza etnica, al punto da indurre

il Costituente a definire quest’ultima come minoranza linguistica” (126), ma prende coscienza

che l’esistenza di strutture o istituti organizzativi a finalità generali, costituisce la condicio

ineludibile per una tutela minima delle comunità minoritarie al fine di consentire

l’azionabilità delle pretese soggettive degli appartenenti alle medesime, auspicando, sia pure

indirettamente, l’esigenza, come già intuito dal Bartole verso la metà degli anni ‘70, di

“ regimi diversi di tutela modellati sulle condizioni peculiari di ciascuna minoranza” (127),

largamente consentiti, se non addirittura “imposti dall’art. 6 Cost.” il quale parla

esplicitamente di “apposite norme” (128).

3.3: I principi costituzionali collegati all’ articolo 6 - Per comprendere i nessi esistenti fra il

principio di tutela delle minoranze e gli altri basilari principi espressi dagli articoli 2, 3 e 9

della Costituzione, occorre tenere sempre presente la natura di principi supremi dei disposti in

questione e la funzione integrativa o specificativa che, nei confronti di questi, l’ articolo 6

esercita, il quale si differenzia da analoghe disposizioni contenute in altre Costituzioni

europee disciplinanti l’uso della lingua ufficiale e di quella minoritaria, per il fatto di

(125) Punto 7 del cons. in dir. (126) Punto 6 del cons in dir. (127) Sul punto de quo, S. BARTOLE, Profili della condizione della minoranza linguistica slovena nell’ordinamento italiano, in Studi in onore di Manlio Udina, vol. II , Milano, Giuffrè, 1975, p. 1333 e ss. (128) Vedi, S. BARTOLE, La tutela della minoranza slovena fra giurisprudenza costituzionale e legislazione ordinaria, op. cit., p. 347.

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considerare la realtà linguistica minoritaria come gruppo etnico-sociale-culturale, oggetto di

tutela e non le sue componenti soggettive (129).

Al principio pluralistico, come si evince dall’ articolo 2 della Costituzione, consegue la

valorizzazione di tutte le formazioni sociali in cui si realizza la personalità dell’uomo, non più

considerato isolatamente, ma visto nel vivo del tessuto sociale anche ove si tratti di comunità

o di associazioni che hanno dimensioni più ridotte di quelle della comunità statale. Le

minoranze etnico- linguistiche rientrano indubbiamente tra queste comunità e pertanto la loro

tutela e salvaguardia si giustificano con le stesse considerazioni che costituiscono i

presupposti per la tutela di tutti gli altri tipi di formazioni sociali, senza più bisogno di

ricorrere ad un regime privilegiato quale era quello che traeva origine dal principio di

nazionalità.

Ne consegue, da un lato, che le minoranze etnico-linguistiche possono e debbono essere

protette indipendentemente dal fatto che esse abbiano uno Stato-patria e, dall’altro lato, che i

loro eventuali vincoli verso tale Stato devono risultare simili a quelli che legano insieme gli

appartenenti a qualunque altra comunità a carattere internazionale, come quelle sindacali,

politiche o culturali (130).

Detto in altri termini, come ha avuto modo di precisare un insigne costituzionalista, Augusto

Barbera (131), “la minoranza linguistica viene riconosciuta e garantita già nel disposto

dell’articolo 2 della Costituzione, nella misura in cui la formazione sociale o meglio il

(129) Significativi sono due esempi ricollegabili al mondo germanico: l’articolo 8 della Costituzione austriaca stabilisce come la lingua tedesca sia la lingua ufficiale della Repubblica, senza pregiudizio dei diritti assicurati dalla legislazione federale alle minoranze linguistiche; nella Legge Fondamentale della Germania (Grundgestz), fino alla primavera del 1994, mancava una previsione riferita alle minoranze. Successivamente è stato introdotto l’articolo 20 bis, secondo cui “Lo Stato tutela l’identità delle minoranze etniche, culturali, linguistiche”: cfr., P. HABERLE, Die europische Verfassungsstaatlichkeit, in Kritische Vierteljahresschrift fur Gesetzgebung und Rechtswissenschaft. 1995, p. 304. (130) Cfr., per quanto riguarda il collegamento tra articolo 2 e 6, A. PACE, Eguaglianza e diritti, in Seminario in ricordo di Livio Paladin, Padova, 2001 (paper). (131) Cfr., sul punto, A. BARBERA, Commento all’articolo 2 della Costituzione, in G. Branca (a cura di) Commentario della Costituzione, Vol. I, Bologna, Zannichelli, 1975, p. 109.

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gruppo linguistico minoritario favorisce il libero sviluppo della persona o garantisce la tutela

e la salvaguardia di interessi diffusi e rilevanti sul piano costituzionale”. Pertanto, già dal

raffronto tra l’articolo 2 e l’articolo 6 del Testo Costituzionale, si desume come il principio

costituzionale sulla tutela delle minoranze (articolo 6) non ha il valore di un limite di carattere

meramente negativo, dovendosi concepire come invece quale garanzia di ordine positivo

stabilita a favore delle varie minoranze linguistiche (132).

Per quanto riguarda invece il nesso di collegamento tra l’articolo 6 ed il principio

d’uguaglianza sancito all’articolo 3 della Costituzione, va osservato come quest’ultimo

comporti il divieto di discriminazioni a cui consegue l’illegittimità di qualunque misura

vessatoria nei confronti di determinate categorie di individui e quindi, indirettamente, anche

verso coloro che appartengono ai gruppi minoritari. Tuttavia l’attuazione di una “tutela

negativa” di questo tipo, se appare in linea di massima sufficiente a proteggere le “minoranze

necessarie” (133) cioè quelle che tendono a realizzare la propria integrazione con il gruppo

sociale del quale fanno parte, non basta però a tutelare le “minoranze volontarie” (134) le quali

tendono a vedere valorizzate le proprie caratteristiche attraverso interventi statali o regionali

di tutela positiva che può risultare solamente dall’adozione di provvedimenti particolari che

stabiliscano nei lori confronti un regime giuridico privilegiato.

Questa esigenza non è in contrasto con il principio d’uguaglianza, come indicato nella

sentenza interpretativa (135) del 19 dicembre 1962 n. 106 (136), il quale vieta le disparità di

trattamento soltanto in quanto siano ingiustificate e prescrive invece di trattare in modo

(133) La minoranza slovena situata nella Regione a statuto speciale Friuli-Venezia Giulia, può essere presa come esempio di minoranza necessaria. (134) Un esempio evidente e lampante di minoranza volontaria è quella tedesca e ladina in Sudtirol.

(135) Con tali pronunce, create dalla giurisprudenza costituzionale, la Corte ricava dalle normative impugnate norme diverse, costituzionalmente legittime sotto il profilo esaminato. (136) Cfr., per il contenuto della sentenza, L. PALADIN, Diritto Costituzionale, Padova, Cedam, 1998, p. 578.

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L’articolo 6 della costituzione e la legge n. 482/99. La normativa regionale e locale in tema di tutela delle minoranze linguistiche.

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diverso situazioni tra loro differenti. E poiché la posizione di una minoranza etnico-linguistica

è ovviamente altera rispetto alla collettività dello Stato, dal momento che costituisce un

unicum all’interno dell’ordinamento costituzionale italiano, l’adozione di provvedimenti

speciali e particolari che vadano a tutelare gli aspetti etnico-linguistici dei diversi gruppi

minoritari sparsi nella penisola, non è solo giustificata ma rappresenta una forma necessaria

d’attuazione del principio di uguaglianza inteso però non in senso formale bensì sostanziale

(137). Ma una precisazione merita di essere sottolineata: mentre il principio d’uguaglianza è

rivolto principalmente ai singoli, il princpio di tutela minoritaria è riferito essenzialmente alle

minoranze intese come “gruppi” e vuole appunto tutelare i valori che uniscono i loro

appartenenti (138). Dunque, per porre le basi affinchè si realizzi una tutela positiva verso le

realtà etnico-linguistiche della penisola, solo il combinato disposto tra l’articolo 3 e l’articolo

6, può giustificare e fondare, de lege, interventi statali o regionali in questa direzione.

Infine, sempre nell’ambito della nostra prospettiva d’indagine, diventa importante il confronto

tra articolo 6 e articolo 9. Quest’ultimo affermando che “La Repubblica promuove lo sviluppo

della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio ed il patrimonio storico-

artistico della Nazione”, non si rivolge specificatamente alle minoranze linguistiche, bensì

assegna ai poteri pubblici attribuzioni conservative e promozionali per assicurare e garantire

la piena realizzazione del diritto alla cultura, di cui non sono titolari soltanto quanti si

riconoscono in un’ identità minoritaria. A questo proposito, secondo la dottrina oggi

dominante, è l’accertamento del c.d. animus comunitario cioè la consapevole condivisione di

tutta una gamma di valori tradizionali, da effettuarsi con l’ausilio di criteri di ordine

sociologico, politico, economico e culturale, che consente di qualificare determinati gruppi

linguistici minoritari come formazioni sociali in base all’ articolo 2 e dunque meritevoli di

(137) Cfr., in merito al confronto tra articolo 6 e articolo 3, A. PACE, Eguaglianza e diritti, op.cit. (138) Si esprime così anche P. CAROZZA, voce Uso delle lingue, in Nss.Dig., Appendice, IV. Torino. Utet. 1985, p.1091.

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L’articolo 6 della costituzione e la legge n. 482/99. La normativa regionale e locale in tema di tutela delle minoranze linguistiche.

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“apposite norme” di tutela sulla base dell’ articolo 6. In questo caso non dovrebbero dunque

sussistere ostacoli per l’ integrazione dei due precetti costituzionali sul piano esegetico che

verrebbero a rafforzarsi reciprocamente ed a potenziare, in sede applicativa, la tutela

minoritaria; laddove però tale consapevolezza non fosse ravvisabile, la tutela delle semplici

varietà linguistiche dovrebbe ricadere nell’ ambito dell’ articolo 9, rilevando in questo caso le

espressioni linguistiche minoritarie alla stregua di beni culturali, senza giungere ad

identificare e differenziare per ciò stesso una comunità in quanto tale (139).

D’altra parte, occorre tenere sempre presente che l’appello al senso di appartenenza ad una

realtà minoritaria è suscettibile, anche pro futuro, di manifestare la sua utilità pratica, ogni

volta che si presenti l’occasione o la necessità di discernere se una lingua minoritaria assurge

a fattore distintivo e aggregante per una determinata comunità che in quella lingua si

identifica, cosciente di differenziarsi da altre formazioni sociali. E l’ordinamento giuridico

statale italiano, a buon diritto, può tranquillamente inserirsi nel contesto che abbiamo ora

descritto.

3.4: Le minoranze riconosciute e non prima della legge n. 482/1999 - La diversità di

approccio emersa durante i lavori preparatori della Carta Costituzionale italiana tra isole

linguistiche e minoranze etnico-linguistiche dei territori di confine, pur non conservando

traccia nel disposto dell’articolo 6, ha trovato un terreno fertile nell’ambito delle vicende

attuative del precetto costituzionale e nella giurisprudenza della Corte Costituzionale almeno

fino alla legge ordinaria dello Stato n. 482/1999.

Anzi la Consulta ha contribuito ad avvalorare, in sede interpretativa, la distinzione categorica

di cui sopra, creando i presupposti per un atteggiamento agnostico nei confronti dei gruppi

alloglotti, relegati al rango di minoranze non riconosciute almeno da parte di atti legislativi di

(139) Cfr., in tema di confronto tra articolo 6 e 9, V. PIERGIGLI, Lingue minoritarie ed identità culturali, op.cit., pp. 133-136.

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portata generale. In mancanza di un vero e proprio riconoscimento, la minoranza linguistica si

colloca ad uno stadio pregiuridico, di mero fatto, che non le permette di beneficiare di misure

di tutela e protezione che spettano invece alle minoranze “classiche”. Un esempio di questo

tipo d’atteggiamento non ha interessato solo il territorio italiano, ma anche alcuni Stati

confinanti: il Consiglio costituzionale francese ha affermato (140), in nome dei principi

d’uguaglianza formale, indivisibilità della Repubblica ed unicità del popolo francese,

l’illegittimità costituzionale della menzione legislativa “peuple corse, composante du peuple

francais” e dell’insegnamento obbligatorio ed esclusivo presso la corrispondente collettività

della lingua e della cultura corsa.

L’adempimento di precisi obblighi internazionali e l’adozione di norme di rango

costituzionale hanno costituito, nella giurisprudenza costituzionale italiana e come accennavo

in apertura di paragrafo, le premesse per l’ attribuzione dello status di minoranza linguistica

riconosciuta e, implicitamente per una classificazione dei gruppi linguistici. Sotto questo

angolo di visuale, è stata la minoranza slovena a formare oggetto di considerazione: con la

sentenza n. 28/1982 (141), la Corte dichiarava che gli sloveni della provincia di Trieste

costituiscono una minoranza riconosciuta facendone derivare l’ incompatibilità di qualunque

sanzione che colpisca l’uso della lingua materna da parte dei membri della minoranza

medesima come era previsto nell’ articolo 137 terzo comma dell’ ormai abrogato Codice di

Procedura Penale del 1931. Tuttavia la Consulta non chiariva sulla base di quali fonti

normative dovette ritenersi effettuato il suddetto riconoscimento. Da un lato, infatti,

richiamando la normativa internazionale vigente per il territorio di Trieste, il giudice

costituzionale rammentava la mancata esecuzione, se non attraverso provvedimenti

amministrativi, del Memorandum d’ Intesa del 1954 a cui era stato allegato lo statuto speciale

(140) Cfr., a riguardo, la sentenza del Consiglio costituzionale francese 91-290. (141) In merito alle considerazioni riportate, vedi R. MOR, L’uso ufficiale della lingua di una “minoranza riconosciuta”: il caso della minoranza slovena, in Le Regioni, n.3/1982, pp. 389-400.

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(142) del Friuli-Venezia Giulia e la parziale attuazione del trattato di Osimo del 1975 (143),

mentre, dall’ altro lato, il giudice delle leggi menzionava la sopraggiunta legislazione statale e

regionale che avrebbe dovuto offrire i presupposti per conferire operatività immediata ai

disposti programmatici dell’ articolo 6 della Costituzione e dell’articolo 3 dello Statuto

speciale della regione Friuli-Venezia Giulia.

A dissipare i dubbi circa la questione della fonte competente a riconoscere come tale una

minoranza linguistica, contribuiva la sentenza 62/1992 che, tornando a pronunciarsi sul tema

dell’ uso della lingua slovena davanti all’autorità giudiziaria nella provincia di Trieste, faceva

discendere il riconoscimento, innanzitutto, dal trattato di Osimo, oltre che “da vari atti

legislativi nazionali e regionali, in qualche modo connessi agli impegni assunti dallo Stato

italiano sul piano internazionale, i quali hanno riconosciuto alla minoranza linguistica

slovena insediata su una parte della Regione speciale Friuli-Venezia Giulia appositi diritti in

relazione a vari ambiti della vita civile, sociale e politica” (144).

Dal quadro ora delineato, grazie soprattutto all’ esempio ora riportato, si evince chiaramente

che, prima della legge ordinaria dello Stato n. 482/1999, le minoranze riconosciute dovevano

essere quelle alle quali si rivolgevano le disposizioni normative degli statuti speciali e del

diritto internazionale pubblico, mentre le comunità linguistiche per le quali non ricorressero i

menzionati presupposti giuridici, poiché interessate da vicende storiche e costituzionali

diverse, non potevano fruire in quanto tali del riconoscimento e della tutela delle realtà

minoritarie riconosciute.

(142) Lo Statuto speciale annesso al Memorandum d’ Intesa di Londra del 1954, assicurava il pieno godimento del diritto all’ insegnamento della lingua materna e garantiva una specifica tutela della lingua nei rapporti personali e con le amministrazioni pubbliche ed i tribunali, nonché la tutela della toponomastica. (143) Il trattato di Osimo del 1975 è un accordo internazionale bilaterale tra Italia e quella che è oggi la ex Iugoslavia che conferma i confini delle due nazioni già delineati con il Memorandum d’ Intesa. In particolare l’ articolo 8 prevedeva che ciascuna parte contraente avrebbe assicurato “nell’ ambito del suo diritto interno il mantenimento di protezione dei due gruppi etnici rispettivi previsti dalle norme dello statuto speciale decaduto” .

(144) Cfr., M. BERTOLISSI, voce Friuli-Venezia Giulia, in Enc. Dir. XXXIX, Milano, Giuffrè, 1988, p. 354.

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Inoltre, il principio supremo dell’articolo 6, se per le minoranze riconosciute appariva dotato

di un grado minimo di operatività, nei confronti delle minoranze etnico-linguistiche non

riconosciute l’articolo 6 della nostra Costituzione avrebbe esplicato tutta la sua portata di

norma programmatica che abbisognava e necessitava di attuazione ed integrazione tramite

appropriate misure legislative ed amministrative.

La Corte Costituzionale italiana, in particolare con la sentenza n. 62/1992, intendeva

evidentemente restringere il novero dei gruppi linguistici qualificabili come minoranze

riconosciute ed ammesse a godere delle misure di protezione, tra cui la facoltà di usare la

lingua materna nei rapporti con l’autorità giudiziaria. Tuttavia, l’appello ad atti di rilevanza

costituzionale od internazionale come elemento fondamentale per differenziare lo statuto

giuridico delle minoranze riconosciute da quelle non riconosciute non appariva giustificato

dal punto di vista teorico, ed infatti la Corte si asteneva dal motivare in modo più

approfondito e dettagliato, rilevando piuttosto limitatamente al profilo statutale.

In sintesi quindi, sulla questione della fonte abilitata a riconoscere una minoranza linguistica,

prima della legge n. 482/1999, la Corte si è espressa nel senso della competenza della legge

statale, potendo a sua volta questa rivestire la posizione della legge costituzionale oppure

ordinaria e farsi consistere, rispettivamente, nelle disposizioni normative dello statuto speciale

ovvero nella normativa di esecuzione di accordi internazionali e dei disposti programmatici

che possono assumere natura statutaria o costituzionale (145).

Da aggiungere infine, come il dibattito in oggetto è stato, sul piano dottrinale-

giurisprudenziale, importante per l’evolversi del pensiero legislativo e di conseguenza

fondamentale e determinante per la legge 482/1999 la quale ha rappresentato una sorta di

“ rivoluzione copernicana” sul tema della protezione, della salvaguardia e della tutela delle

(145) Cfr., sul tema delle minoranze linguistiche riconosciute e non prima della legge n. 482/1999 F. CUOCOLO, Istituzioni di Diritto Pubblico, Milano, Giuffrè, 2003, pp. 65-66.

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minoranze linguistiche nazionali agenti ed operanti all’ interno dell’ordinamento

costituzionale italiano.

3.5: L’identificazione soggettiva e territoriale delle minoranze linguistiche nei lavori

parlamentari prima della legge n. 482/1999 - L’attribuzione dello status di minoranza

linguistica riconosciuta consentiva, come abbiamo visto nel paragrafo precedente, la

predisposizione di misure positive di tutela sia a dimensione individuale sia collettiva,

configurabili come veri e propri diritti linguistici, come dimostravano e dimostrano

chiaramente gli statuti speciali e le relative norme di attuazione delle regioni Trentino-Alto

Adige/SudTirol e Valle d’ Aosta.

Tuttavia affinchè gli strumenti di tutela fossero effettivi, occorreva procedere

all’identificazione della minoranza ed all’ accertamento della sua consistenza. Spettava quindi

agli ordinamenti nazionali, nell’ ambito della situazione antecedente l’intervento del

legislatore statale tramite la legge 482/1999 (146), di accertare la consistenza delle minoranze

nazionali nei cui confronti le garanzie linguistiche devono trovare applicazione: venivano in

considerazione, secondo il metodo soggettivo (147), le disposizioni che permettevano e

consentono tuttora l’esercizio delle situazioni giuridiche soggettive anche al di fuori dell’ area

mistilingue o quelle che stabilivano una dichiarazione d’appartenenza ad un gruppo

linguistico come ad esempio nelle province autonome di Bolzano/Bozen e Trento. Tuttavia il

c.d. censimento linguistico o etnico, a prescindere da possibili errori durante le operazioni

amministrative di raccolta e registrazione, era suscettibile di rilevarsi, qualora i rapporti tra

maggioranza e minoranza non fossero improntati al rispetto ed alla reciproca tolleranza, uno

(146) La legge in oggetto ha il rango di legge ordinaria dello Stato. (147) Il sistema soggettivo consente di stabilire l’ appartenenza dei singoli in base ad un’ opzione individuale, mentre il sistema oggettivo, che fa leva sull’ accertamento dei fatti anteriormente verificatisi ed ai quali viene attribuita efficacia discriminatoria, finisce per assumere a fondamento dichiarazioni di scienza.

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strumento in grado di permettere la realizazzione di trattamenti discriminatori o repressivi.

Anche per tali ragioni, diversamente dai gruppi di lingua tedesca e ladina della provincia di

Bolzano/Bozen, la minoranza slovena si è sempre sottratta a censimenti e dichiarazioni di

appartenenza, né a quelle forme di accertamento si ispiravano i progetti di legge presentati

alle Camere sin dagli anni ‘ 70 per la tutela globale di questa minoranza linguistica.

I progetti relativi alla tutela delle minoranze linguistiche seguivano, fin dalla seconda metà

degli anni ’70, una certa diversità di approcci, peraltro tra loro non inconciliabili, nella

procedura d’identificazione soggettiva e territoriale delle situazioni minoritarie: dall’

indicazione nominale da parte del Parlamento delle comunità tradizionali di lingua non

italiana (148), alla delega alle regioni ed agli enti locali della determinazione delle zone in cui

fosse abituale se non prevalente l’ uso di lingue diverse da quella italiana (149), alla previsione

di una particolare procedura da attivarsi a cura degli stessi gruppi minoritari rappresentati

dagli organi degli enti locali o da associazioni appositamente costituite (150).

Nel corso della IX legislatura (1985), i lavori parlamentari giunsero ad un progetto di legge

unitario dal titolo “ Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche”, il quale iniziava

elencando in maniera precisa e dettagliata i gruppi minoritari meritevoli di tutela e protezione

giuridica, consistenti nelle “popolazioni di origine albanese, catalana, germanica, greca,

slava e zingara” ed in quei gruppi linguistici “parlanti il ladino, il franco-provenzale e l’

occitano” (151) cui, alla fine, seguiva la protezione della lingua e della cultura delle

“popolazioni friulane e sarde” (152). Alla ricerca di una soluzione di contemperamento tra le

diverse soluzioni prospettate in ordine alla definizione delle zone di insediamento delle

(148) Cfr., sul punto, il disegno di legge n. 2068 del 24 ottobre 1980 presentato dal partito socialista. (149) Cfr., sul punto, il disegno di legge n. 107 del 20 giugno 1979 presentato dal partito radicale (150) Cfr., sul punto, il disegno di legge n. 2318 del 4 febbraio 1981 presentato dal partito comunista. (151) Cfr., sul punto, l’ articolo 1 primo comma del progetto legislativo. (152) Cfr., sul punto, l’ articolo 1 secondo comma del progetto legislativo.

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situazioni minoritarie destinatarie delle misure di tutela, il progetto di legge ordinaria rinviava

ad un decreto del presidente della giunta regionale, da adottarsi previa deliberazione della

giunta stessa, nel rispetto delle condizioni minime stabilite dalla legge. Ma l’iniziativa del

procedimento di tutela, e questa era una novità, era affidata ai cittadini iscritti nelle liste

elettorali dei comuni interessati, dei quali l’ amministrazione regionale doveva acquisire il

parere prima di procedere all’ emanazione del decreto. Il criterio ora delineato, veniva

confermato nel testo (153) licenziato nel 1991 dalla Camera dei deputati, che fissava nella

misura del 15 per cento la percentuale dei cittadini elettori legittimati a promuovere il

procedimento; anche in merito ai gruppi minoritari da salvaguardare, la proposta legislativa

confermava l’elencazione contenuta nel testo adottato durante la legislatura precedente senza

alcuna minima variazione.

I testi legislativi del 1985 e del 1991, vennero successivamente unificati (154), nell’ XI e XII

legislatura dalla commissione affari costituzionali: il legislatore statale, tramite questo

progetto unificato, si rivolgeva, rispettivamente, alla tutela delle lingue e delle culture “delle

popolazioni di origine albanese, catalana, germanica, greca, slava e zingara e di quelle parlanti il ladino, il

francese, il franco-provenzale e l’ occitano” , aggiungendo la protezione e tutela delle lingue e

culture “delle popolazioni friulana e sarda”. In aggiunta a questo, previsto dal progetto del 1985,

venne inserita la novità del testo licenziato nel 1991 ossia che la procedura d’individuazione

delle aree cui applicare le misure di protezione, restava nell’ ambito della competenza

dell’autorità regionale con la partecipazione, a titolo consultivo, dei comuni e su iniziativa “di

almeno il 15 per cento dei cittadini iscritti nelle liste elettorali dei comuni interessati,

appartenenti alla minoranza linguistica”, ovvero, e questa è una novità importante che non

trovava riscontro nel disegno di legge del 1991, “su iniziativa di un decimo dei consiglieri

(153) Il progetto in esame è il n. 612 del 1991. (154) Il testo unificato è il disegno di legge n. 2086 del 1 agosto 1996: esso introduceva il termine di 6 mesi per l’adozione delle leggi regionali decorrente dalla data d’ entrata in vigore della legge statale.

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comunali dei comuni interessati, espressione della medesima minoranza”. Questi lavori

parlamentari, non ottennero però un’approvazione definitiva da parte dei rami del Parlamento

nazionale sia per la priorità data ad altre questioni sia per le diverse prese di posizione all’

interno delle stesse forze politiche; ebbero tuttavia il merito legislativo di costituire un

importante terreno di discussione, per certi versi anticipatore delle discussioni parlamentari

che porteranno all’ approvazione e promulgazione della legge ordinaria dello stato n.

482/1999 (155).

3.6: La tutela normativa della legge n. 482/1999 - La legge (156) ordinaria dello Stato del 15

dicembre del 1999 n. 482 (157), dopo aver affermato in maniera pleonastica, all’articolo 1

(158) il carattere ufficiale della lingua italiana e collocato, tra gli obiettivi della Repubblica, la

valorizzazzione del patrimonio linguistico e culturale dell’italiano e la promozione delle

lingue e culture minoritarie che rientrano nel suo ambito normativo, ha proceduto, seguendo

progetti di legge passati ma mai entrati in vigore, all’elencazione delle minoranze linguistiche

storiche e dei vari idiomi. Tutte rientrano nel novero di tutela senza alcun tipo di distinzione

tra realtà minoritarie riconosciute e non, ad eccezione della popolazione zingara che è citata

nei disegni di legge precedenti ma non nel testo in oggetto. Recita infatti l’ articolo 2: “In

attuazione dell’ articolo 6 della Costituzione ed in armonia con i principi generali stabiliti

dagli organismi europei ed internazionali, la Repubblica tutela la lingua e la cultura delle

(155) Cfr., per quanto riguarda i lavori parlamentari di cui si è fatto menzione, V. PIERGIGLI, Lingue minoritarie ed identità culturali, op.cit., pp.170-179. (156) Muovendo dal provvedimento sul quale si era favorevolmente pronunciata la commissione affari costituzionali nella XII legislatura, la Camera trasmetteva al Senato il testo approvato nella seduta del 17 giugno 1998 che, senza alcuna modificazione, riceveva il placet definitivo del Senato medesimo il 25 novembre 1998. (157) La legge in oggetto è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 20-12-1999 n. 297. (158) L’articolo 1 recita: “La lingua ufficiale della Repubblica è l’ italiano. La Repubblica, che valorizza il patrimonio linguistico e culturale della lingua italiana, promuove altresì la valorizzazione delle lingue e delle culture tutelate dalla presente legge”.

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popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e quelle parlanti il

francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’ occitano ed il sardo”.

La prima grande novità della legge concerne i gruppi alloglotti, già comunque protetti in base

agli statuti speciali: se fino alla X legislatura le minoranze linguistiche stanziate nei territori

delle Regioni Trentino-Alto Adige e Valle d’ Aosta erano esplicitamente escluse dall’ambito

d’ operatività della legge generale, salvo consentire nei loro confronti l’applicazione delle

disposizioni normative più favorevoli contenute nella legge stessa secondo le modalità

prefigurate dagli statuti di autonomia, il nuovo testo dell’articolo 18 nel confermare il regime

disposto per le minoranze linguistiche residenti nelle regioni ad ordinamento differenziato e

nelle Province autonome di Trento e Bolzano/Bozen, rende possibile un significativo

miglioramento del loro status giuridico tramite decreti di attuazione statutaria che recepiscano

il trattamento di migliore tutela e protezione sancito dalla legge n. 482/1999: “Nelle regioni a

statuto speciale l’ applicazione delle disposizioni più favorevoli previste dalla presente legge

è disciplinata con norme di attuazione dei rispettivi statuti. Restano ferme le norme di tutela

esistenti nelle medesime regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e

Bolzano.

Fino all’ entrata in vigore delle norme di attuazione di cui al comma primo, nelle regioni a

statuto speciale il cui ordinamento non preveda norme di tutela, si applicano le disposizioni

di cui alla presente legge”.

Quanto alla procedura di definizione degli ambiti territoriali per individuare chiaramente le

realtà minoritarie, vanno evidenziati due presupposti fondamentali ossia la valorizzazione

delle autonomie locali, da un lato, e del coinvolgimento popolare dall’altro, i quali hanno

trovato riscontro nel testo dell’ articolo 3: scomparso il rinvio alla legge regionale (come nei

disegni di legge di cui al paragrafo precedente) e trasferita la titolarità della competenza ad

individuare le aree di riferimento per la tutela minoritaria al consiglio provinciale, sentiti i

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comuni interessati, viene ribadita l’iniziativa di almeno il 15 per cento dei cittadini iscritti

nelle liste elettorali e residenti nei comuni interessati, ovvero di un terzo dei consiglieri

comunali dei medesimi comuni, ferma restando l’attivazione di questo procedimento da parte

della popolazione residente, mediante una consultazione realizzata ai sensi delle prescrizioni

degli statuti e dei regolamenti comunali. Con questa procedura, si sostanzia un atteggiamento,

mai venuto meno, ossia l’opportunità di legare il tema dell’identità linguistica e culturale a

quello del decentramento territoriale.

Inoltre, va ricordato come la legge, eliminando il presupposto della dichiarazione di

appartenenza al gruppo linguistico ha sicuramente consentito, a mio avviso, di allargare la

partecipazione democratica alla procedura d’identificazione delle minoranze e dei

corrispondenti contesti territoriali anche a cittadini non appartenenti ad una determinata

cultura minoritaria, ma egualmente animati dal desiderio di collaborare alla sua salvaguardia e

protezione. Del resto, il fatto di non richiedere che la procedura d’individuazione di cui si è

accennato precedentemente, sia promossa in via esclusiva dai membri della minoranza da

tutelare, consente inevitabilmente la diffusione di una maggiore consapevolezza e sensibilità

delle popolazioni locali.

Infine è doveroso sottolineare il fatto che, con questa legge ordinaria, si è risolto il problema,

al di fuori delle regioni a statuto speciale, dell’ insegnamento della lingua minoritaria negli

istituti scolastici. Recita infatti il disposto normativo dell’articolo 4 primo comma: “Nelle

scuole materne dei comuni interessati, l’educazione linguistica prevede, accanto all’uso della

lingua italiana, anche l’ uso della lingua della minoranza per lo svolgimento delle attività

educative. Nelle scuole elementari e nelle scuole secondarie di primo grado è previsto l’uso

della lingua della minoranza come strumento di insegnamento”.

In sintesi, va osservato come il grande merito di questa legge, da anni auspicata, è stato

sicuramente quello di far trasparire, anche se implicitamente, un nuovo concetto di minoranza

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linguistica intesa come “comunità diffusa” cioè un quid dotato di una sua autonomia

personale che, perciò stesso, lo rende meritevole di tutela e protezione sul piano legislativo,

attuando una inversione di tendenza radicale in quanto quella dicotomia tra minoranze

linguistiche riconosciute e non riconosciute è stata, al meno sul piano normativo-legislativo

definitivamente superata. (159).

3.7: Un bilancio della legge 15 dicembre 1999 n. 482 in attesa di adempimenti,

adeguamenti e verifiche - L’intervento, anche se tardivo, della legge dello Stato ha

consentito di cancellare definitivamente quella distinzione tra minoranze linguistiche

riconosciute e non riconosciute, presente sia a livello dottrinale sia a livello giurisprudenziale.

La legge però non è autoapplicativa, ma ai sensi del disposto normativo dell’articolo 17

abbisogna di regolamenti governativi d’attuazione previo parere delle regioni italiane che

ospitano le minoranze linguistiche neoriconosciute: “Le norme regolamentari d’ attuazione

(attualmente contenute nel d.P.R. 2 maggio 2001 n.345 (160)) della presente legge sono

adottate entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della medesima, sentite le regioni

interessate” (161).

Inoltre, è da precisare come la definizione delle aree territoriali e subcomunali tramite

procedure che coinvolgano le popolazioni interessate e gli organi rappresentativi degli enti

(159) Cfr., per un’analisi dettagliata della legge n. 482/1999, S. BARTOLE, Le norme per la tutela delle minoranze linguistiche storiche, in Le Regioni, Il Mulino, n. 6/1999, p. 1063 e ss; F. PALERMO, Verso l’attuazione dell’articolo 6 della Costituzione. La legge quadro sulle minoranze linguistiche storiche, in Informator n. 3, 1998; V. PIERGIGLI, La legge 15 dicembre 1999, n. 482 (“Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche”) ovvero dall’agnosticismo al riconoscimento, in Rass. Parl., n. 3/2000, p. 623 e ss. L’originaria proposta del testo in oggetto, fu la n. 2086 del 1 agosto 1996. Essa, congiuntamente ad altri progetti legislativi, i nn. 169, 300, 396, 918, 1867, 2973/A, costituì materia di discussione ed esame nella prima Commissione permanente nella XIII legislatura per giungere all’approvazione finale della l.ordinaria n. 482/1999. La Camera dei Deputati la approvò in data 17 giugno 1998, il Senato della Repubblica il 25 novembre 1998. (160) Pubblicato in Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana 13 settembre 2001 n.213. (161) Se si eccettua l’ espressa consacrazione degli obblighi governativi di adottare, entro sei mesi, dalla data di entrata in vigore della legge misure regolamentari d’attuazione (articolo 17) e di riferire annualmente al parlamento sullo stato degli adempimenti relativi ai rapporti di cooperazione con l’ estero (articolo 19), la legge n. 482/1999 si astiene dal fissare ulteriori termini.

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L’articolo 6 della costituzione e la legge n. 482/99. La normativa regionale e locale in tema di tutela delle minoranze linguistiche.

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locali, l’eventuale modifica, anche se non esplicitamente e direttamente suggerita dal

legislatore, degli statuti locali e dei regolamenti consiliari sia comunali sia provinciali per

disciplinare gli usi pubblici delle lingue ammesse a tutela, l’adeguamento della legislazione

delle Regioni ordinarie ai principi contenuti nella presente legge, a meno che la situazione

normativa già vigente non contempli condizioni più favorevoli per le realtà minoritarie,

costituiscono i principali adempimenti necessari a specificare le direttive disposte dal

parlamento nazionale nel settore dell’insegnamento e dell’educazione (artt. 4-6), nel

funzionamento dell’ amministrazione locale, nei rapporti con la pubblica amministrazione e

l’autorità giudiziaria (artt. 7-9) ecc.

D’altra parte, dalla definizione di uno statuto generale delle minoranze linguistiche che

emerge dalla legge 482/1999, è ragionevole attendersi un atteggiamento più tollerante da parte

degli organismi regionali e del governo, rispettivamente in sede di controllo sulla legittimità

delle delibere degli enti locali e della legislazione regionale, mentre non sembra che si possa

prescindere da una valutazione sulla conciliabilità o meno delle disposizioni normative

frammentariamente ed episodicamente dettate con esclusivo riferimento alle minoranze

riconosciute fino alla legge n. 482/1999, con la relativa estensione per via analogica di quelle

garanzie anche alle neoriconosciute minoranze linguistiche.

Il processo di attuazione della legge si rivela complesso ed articolato, ed il suo esito dipende

dal grado di sensibilità e dallo spirito collaborativo di tutte le istituzioni coinvolte. La legge in

oggetto, oltre ad essere d’ ausilio ed incoraggiamento per l’ attenuazione da parte del potere

locale della sproporzione ancora evidente tra minoranze forti e minoranze deboli, può rivelarsi

idonea al superamento dell’ulteriore discriminazione derivante dalla frammentazione

geografica del medesimo nucleo linguistico.

Tuttavia ci possono essere anche dei rischi e delle implicazioni connessi al progressivo e

graduale rafforzamento della tutela minoritaria in quanto c’è il serio pericolo di pregiudicare i

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L’articolo 6 della costituzione e la legge n. 482/99. La normativa regionale e locale in tema di tutela delle minoranze linguistiche.

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diritti degli altri cittadini; ecco perché diventa necessario, come si evince indirettamente, a

mio modo di vedere, dalla sentenza n. 356/1998 della Corte Costituzionale, un bilanciamento

tra le posizioni giuridiche dei gruppi minoritari e la maggioranza dei cives in nome di una

effettiva, armoniosa e pacifica convivenza.

Oltre a questi problemi di compatibilità, alcune soluzioni (162) di “tutela positiva” a favore dei

vari e diversi gruppi linguistici minoritari, possono essere suscettibili di porsi in contrasto con

alcuni principi della Carta Costituzionale Europea, firmata a Roma nell’ottobre del 2004, in

particolare quelli relativi alla libertà di circolazione e soggiorno dei cittadini comunitari negli

stati membri dell’ Unione Europea e alla libertà di circolazione dei lavoratori. Sta dunque,

stante la preminenza del diritto comunitario su quello interno (163), agli Stati ed in particolare

agli enti locali contemperare le diverse esigenze.

La tutela delle minoranze tra Stato e Regioni: - E’stato merito della Corte Costituzionale,

con la sentenza n. 312/1983 (164), rovesciare l’ottica con la quale il tema “minoranze” veniva

(162) Tra queste soluzioni spiccano quelle relative al gruppo tedesco dell’ Alto Adige/Sudtirol. (163) Dopo lungo dibattito dottrinale, si è arrivati alla conclusione che la normativa interna che contrasta con il diritto comunitario, viene disapplicata senza che venga necessariamente instaurato un giudizio di legittimità costituzionale. Unico limite alla normativa europea è costituito dai principi supremi dell’ordinamento. (164) Cfr., Corte cost. 18 ottobre 1983 n. 312, in Le Regioni, n. 1-2/1984, p.238 e ss. Il caso prende le mosse da un giudizio amministrativo avente ad oggetto l’impugnativa di un bando di concorso per il conferimento di 24 sedi farmaceutiche indette dal Medico provinciale di Bolzano/Bozen, nel quale era richiesto il possesso di un attestato comprovante la conoscenza delle lingue italiana e tedesca in base a quanto previsto dalla l. provinciale 3 settembre 1979 n. 12. La IV sezione giurisdizionale del Consiglio di Stato, sollevava questione di legittimità innanzi alla Corte Costituzionale, ritenendo la disposizione normativa di cui sopra in contrasto con gli artt. 3, 6, 41 della Costituzione. Il citato art. 1, disponendo che “al personale sanitario ed alle categorie non mediche….., si applica il titolo I del D. Lgs. 26 luglio 1972 n. 752 (contenente le norme di attuazione dello Statuto speciale del Trentino Alto Adige/Sudtirol in materia di proporzionale negli uffici statali siti nella Provincia Autonoma di Bolzano/Bozen e di conoscenza delle due lingue nel pubblico impiego)” violerebbe, secondo il remittente, il principio di eguaglianza sostanziale di tutti i cittadini, in quanto lo stesso postula l’insussistenza di distinzioni basate sulla lingua, nonché l’art. 6 della Cost. che demanda alle leggi dello Stato (sent. 1/1961) la competenza in ordine alla tutela delle minoranze linguistiche, senza, quindi, ravvisare una potestà legislativa della Provincia Autonoma di Bolzano/Bozen. Infine, in merito al rilievo che, nonostante il carattere pubblicistico della loro disciplina, le farmacie restano imprese private sia pure sottoposte a numerosi controlli, il Consiglio di Stato assumeva il contrasto della norma impugnata con l’art.41 Cost. poiché, con essa, l’attività professionale di farmacista sarebbe ingiustificatamente sottoposta a particolari condizioni restrittive esulanti dalle attribuzioni legislative dell’amministrazione provinciale di Bolzano/Bozen.

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L’articolo 6 della costituzione e la legge n. 482/99. La normativa regionale e locale in tema di tutela delle minoranze linguistiche.

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affrontato nel diritto interno. Mutando il suo iniziale orientamento (165), il giudice

costituzionale ha riconosciuto che le Regioni possono legiferare negli stessi ambiti

costituzionalmente riservati alla legge, laddove lo impongano le altre norme costituzionali che

attribuiscono loro una qualche potestà legislativa (166); su questa scia ed alla luce delle

riforme apportate allo Statuto speciale del Trentino-Alto Adige/Sudtirol (167) con le ll. cost. n.

1/1971 e n. 2/1972, venne respinta la tesi, sostenuta nel periodo antecedente la riforma

statutaria (168), circa la spettanza, allo Stato centrale, della disciplina dell’uso della lingua e la

tutela delle comunità minoritarie, considerate alla stregua di materie ad esso “riservate” con la

susseguente produzione di effetti aberranti come nel caso del Friuli Venezia Giulia,

allorquando, la Corte aveva negato (169) che il Consiglio Regionale potesse inserire nel

proprio regolamento interno disposizioni destinate a realizzare una qualche forma di

protezione minoritaria. Caduto l’ostacolo della riserva di legge statale, il tema de quo inizia a

configurarsi nella veste di “limite ed al tempo stesso come indirizzo per l’esercizio della

potestà legislativa ed amministrativa regionale e provinciale nel Trentino-Alto Adige” (170) e,

analogicamente, per le rispettive attività delle altre Regioni ad ordinamento comune. A

riguardo, constata il Pizzorusso (171), il fatto che la competenza legislativa, sulle minoranze,

spetti allo Stato, alle Regioni ed alle Province Autonome di Trento e Bolzano/Bozen, si

(165) Vedi sent. n. 4/1956 nella quale si stabiliva che “ la Costituzione, quando riserva puramente e semplicemente alla legge la disciplina di una determinata materia, si riferisce soltanto alla legge dello Stato” (punto 3 del cons. in dir.) Vedi, L. PALADIN, Diritto Costituzionale, op. cit., pp. 170-174. (166) Cfr., sent. n. 64/1965. (167) Il secondo Statuto speciale del Trentino-Alto Adige/Sudtirol, è contenuto nel D. lgs. 31 agosto 1972 n. 670. In G.U. 20 novembre 1972 n. 301. (168) Cfr., sentt. n. 32/1960 e n. 1/1961. (169) Cfr., sent. n. 14/1965. (170) Punto 3 del cons.in dir. della sentenza in commento. (171) A. PIZZORUSSO, Ancora su competenza legislativa regionale (e provinciale) e tutela delle minoranze linguistiche, in Le Regioni, n. 1-2/1984, pp. 244-245.

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L’articolo 6 della costituzione e la legge n. 482/99. La normativa regionale e locale in tema di tutela delle minoranze linguistiche.

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evince non solo dall’oggetto principale delle singole e specifiche discipline da adottare ma

anche dal principio di cui all’art. 6 Cost. impegnante la “Repubblica” (172) o meglio tutte le

persone giuridiche pubbliche in cui si articola l’ordinamento dello Stato. Oggi, infatti,

l’ordinamento repubblicano risulta costituito “oltre che dallo Stato, menzionato a fianco degli

altri soggetti citati nel nuovo testo dell’art. 114, da altri enti pubblici territoriali, tra i quali,

ovviamente, le Regioni” (173).

Data per consolidata, nella giurisprudenza della Corte, l’esclusione di una riserva di legge

statale, resta da chiarire fino a che punto può spingersi la potestà regionale. E’ cosa utile, ai

fini di una migliore comprensione dell’argomento, distinguere due diversi orientamenti:

quello del regionalismo “morbido” operante fino alla metà degli anni ’90 e quello del

tentativo di avvio di un regionalismo “incisivo” che appare essersi implicitamente affermato,

secondo una parte della dottrina, con la sentenza n. 15/1996. Nel periodo successivo la

pronuncia n. 312/1983 ed in sede di lavori preparatori di un disegno di legge-quadro per la

tutela delle minoranze linguistiche e storiche (174) della fine degli anni’80, ma mai venuto alla

luce, si riteneva inammissibile che tanto le Regioni quanto gli enti locali si spingessero

“apertamente e surrettiziamente” (175) a riconoscere le lingue minoritarie ed a disciplinarne i

relativi usi pubblici, in quanto ambiti di spettanza statale. All’ente regionale era precluso il

riconoscimento di un “un vero e proprio diritto soggettivo in capo al singolo di esprimersi in

(172) Così, V. CRISAFULLI, Lezioni di Diritto Costituzionale, Tomo I, Padova, Cedam, 1970. (173) Si veda, L. A. MAZZAROLLI, La tutela delle minoranze linguistiche nella Costituzione del nuovo Titolo V, in Le Regioni, n. 5/2003, p. 729. (174) Nella IX legislatura (1985), vennero unificate tre proposte di legge presentate alla Camera dei Deputati: la n. 2068 del 24 ottobre 1980 del partito socialista, la n. 107 del 20 giugno 1979 del partito comunista e la n. 2318 del 4 febbraio 1981 del partito radicale. Il progetto venne approvato dall’Assemblea nel 1991 (p.d.l. A.C. n. 612 – X legislatura) e riprendeva, in gran parte, il contenuto della proposta già votata nella IX legislatura dalla Commissione Affari Costituzionali in sede referente (18 dicembre 1987). Vedi, a riguardo, V. PIERGIGLI, Lingue minoritarie ed identità culturali, op. cit., pp. 176-178 (note 101 e 103). (175) Cfr., Tar Friuli Venezia Giulia 15 luglio 1996 n. 783, in TAR, Giuffrè, 1996, p. 3181 e ss.

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L’articolo 6 della costituzione e la legge n. 482/99. La normativa regionale e locale in tema di tutela delle minoranze linguistiche.

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una lingua diversa dall’italiano” (176), dovendosi limitare a qualche “facoltà” (177) destinata a

valorizzare, sul piano storico-linguistico-culturale, gli idiomi minoritari con particolare

riferimento alle minoranze ristrette, localizzate nelle Regioni di insediamento delle comunità

minoritarie superprotette (178). La stessa giurisprudenza della Corte non ha fatto altro se non

rimarcare questa iniziale impostazione. Con la sentenza n. 290/1994 (179), il giudice

costituzionale sanzionava una legge della Regione Sardegna la quale, in virtù della

competenza attuativo-integrativa in materia di istruzione ed ordinamento degli studi prevista

all’art.5 lett.a) dello Statuto sardo, si spingeva oltre la dimensione “facoltativa” dettando una

disciplina volta a “tutelare e valorizzare la cultura e la lingua diffuse in Sardegna mediante

progetti di ambito regionale e locale, stabiliti d’intesa con il Ministro dell’Istruzione, diretti

ad individuare percorsi formativi scolastici, con l’introduzione di aree disciplinari relative

alla lingua e letteratura sarde, alla storia della Sardegna, alla storia dell’arte, alla musica

ed alla danza sarde, alla geografia ed ecologia della Sardegna” (180).

La pronuncia n. 15/1996 sembrerebbe segnare una svolta quasi epocale circa i rapporti tra

Stato centrale e Regioni nella tutela delle minoranze; la Corte Costituzionale accenna, infatti,

ad una “presunta competenza regionale generale” (181) sul piano della protezione dei gruppi

minoritari poiché ritiene che per le esigenze di servizio connesse alla funzione di traduttore ed

interprete nei Distretti di Corte d’Appello, pur essendo settori relativi ad una materia collegata

a quella giurisdizionale, di esclusiva pertinenza statale, non ostano ragioni per escludere una

(176) In tal senso, R. BIN, Regioni e minoranze etnico-linguistiche, in Le Regioni, n. 4/1989, pp. 1014-1015. (177) Punto 19 dir. della sentenza Tar del Friuli Venezia Giulia n. 783/1996. (178) Cfr., E. PALICI DI SUNI PRAT, La tutela giuridica delle minoranze tra Stato e Regioni in Italia, op. cit., p. 160. (179) In Giur. Cost, 1994, p. 2535 e ss. (180) Così E. PALICI DI SUNI PRAT, La tutela giuridica delle minoranze tra Stato e Regioni in Italia, op. cit., p. 164. (181) Ancora, E. PALICI DI SUNI PRAT, La tutela giuridica delle minoranze tra Stato e Regioni in Italia, op. cit., p. 165.

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L’articolo 6 della costituzione e la legge n. 482/99. La normativa regionale e locale in tema di tutela delle minoranze linguistiche.

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competenza del legislatore regionale relativamente all’apprestamento di mezzi e

nell’organizzazione di strutture volte a rendere effettivi i diritti linguistici delle minoranze

situate all’interno del territorio regionale. Una sorta di regionalismo, dunque, che non si limita

alla mera valorizzazione storico-culturale dell’idioma minoritario ma che, in ambiti

direttamente connessi con quelli dello Stato, rivendica una sua competenza, incidendo sulle

modalità di esercizio di alcuni dei diritti degli appartenenti ad un gruppo minoritario. Questa

prospettiva, a seguito della riforma (182) della Parte II Titolo V della Carta Costituzionale, è

stata ulteriormente rimarcata dalla Provincia Autonoma di Bolzano/Bozen, in ragione di un

parere tecnico fondato su una interpretazione troppo letterale e restrittiva del dettato

costituzionale (183): proprio perché la tutela delle minoranze non rientra né nelle materie di

potestà legislativa esclusiva dello Stato né in quelle di potestà concorrente Stato-Regioni,

pertanto, alla luce dell’art. 117, 4° comma, Cost. la stessa non può che ricadere nella potestà

residuale o esclusiva degli enti regionali. L’osservazione riguardante il fatto che il disposto si

rivolge solamente alle Regioni a Statuto ordinario e non a quelle ad ordinamento

differenziato, viene meno in quanto, in virtù del disposto dell’art. 11 (184) della l.

costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3, le disposizioni della citata legge si applicano anche alle

Regioni a Statuto speciale ed alle Province Autonome di Trento e Bolzano/Bozen per le parti

che contemplano forme di autonomia più ampie di quelle già attribuite.

Non è possibile condividere una siffatta impostazione che sposta in toto, senza un valido

fondamento costituzionale, il problema dal piano statale a quello regionale. Il punto di

partenza per una corretta identificazione dei rapporti Stato-Regioni in merito al tema in

(182) Riforma attuata dalla l. costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3. In G.U. 24 ottobre 2001 n. 248. (183) La notizia è riportata da V. ELENA BOCCI, La salvaguardia delle minoranze linguistiche dopo la riforma del Titolo V della Costituzione: ancora sulla permanenza dell’interesse nazionale, in Forum dei Quad. Cost., 7 novembre 2001. (184) Recita l’art. 11: “Sino all’adeguamento dei rispettivi Statuti , le disposizioni della presente legge costituzionale si applicano anche alle Regioni a Statuto speciale ed alle Province Autonome di Trento e Bolzano per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite”.

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L’articolo 6 della costituzione e la legge n. 482/99. La normativa regionale e locale in tema di tutela delle minoranze linguistiche.

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oggetto (185) consiste nella presa di coscienza che la materia “ tutela delle minoranze”, in

quanto tale, non esiste perché, come ha avuto modo di mettere in rilievo il Mazzarolli, “non si

tratta affatto di una “materia” bensì di un profilo trasversale alle materie” (186): essa può

dirsi di competenza regionale/provinciale nella misura in cui venga declinata nell’esercizio di

proprie competenze da parte degli enti regionali; proprio nella Provincia Autonoma di

Bolzano/Bozen, i settori dell’urbanistica e dell’edilizia sono stati ampiamente utilizzati ai fini

della tutela minoritaria, evitando l’emigrazione della popolazione parlanti sia la lingua

tedesca, equiparata a quella italiana in virtù del disposto dell’art. 99 dello Statuto di

Autonomia, sia la lingua ladina (187). Tre i dati a sostegno di questa tesi.

Il primo consiste nel c.d. interesse nazionale. Ora, è vero che il medesimo, con la riforma

del Titolo V, è venuto meno come limite di merito “eccezionalmente valutabile in termini

politici dal solo Parlamento, attraverso un apposito controllo preventivo delle leggi regionali

impugnate dal Governo ex art.127, 4° comma, Cost.” (188) del testo previgente, ma ciò non

toglie che sia scomparso definitivamente dall’ordinamento costituzionale. Esso risulta

formalizzato, proprio in materia di minoranze (189), principalmente dalla giurisprudenza

(185) Una sintesi della teoria in esame si trova in F. PALERMO, Titolo V e norme d’attuazione degli Statuti speciali, in Forum dei Quad. Cost., 10 novembre 2001. (186) Così, L. A. MAZZAROLLI, La tutela delle minoranze linguistiche nella Costituzione del nuovo Titolo V, op. cit., pp. 729-730. (187) Un esempio ci è fornito dalla legge sull’urbanistica 11 agosto 1997 n. 13 della Provincia Autonoma di Bolzano/Bozen, in particolare all’art. 5, 3° comma, in tema di contenuto del piano provinciale di sviluppo e coordinamento territoriale: “Il piano si estende a tutto il territorio della provincia di Bolzano e, sulla base dei fattori geografici e naturali, etnici, demografici, sociali, economici e culturali, definisce i principi per assicurare un indirizzo coordinato della pianificazione a livello comunale e comprensoriale”. (188) L. PALADIN, Diritto Regionale, Padova, Cedam, 2000, p. 90. La giurisprudenza costituzionale, ha, viceversa, concepito il limite dell’interesse nazionale quale criterio normale ed indispensabile per definire esattamente, mediante un sindacato di legittimità, sia lo spessore che l’estensione della competenza regionale. (189) La stessa sentenza della Corte cost. n. 289/1987 qualifica la tutela delle minoranze linguistiche come “ interesse nazionale”. Vedi, a riguardo, G. MARIA FLICK, Minoranze ed eguaglianza: il diritto alla diversità e al territorio come espressione dell’identità nel tempo della globalizzazione, in Pol. Dir., 2004, p. 14.

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L’articolo 6 della costituzione e la legge n. 482/99. La normativa regionale e locale in tema di tutela delle minoranze linguistiche.

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costituzionale ma specialmente dall’art. 4 (190) dello Statuto di Autonomia del Trentino-Alto

Adige/Sudtirol e dal combinato disposto tra l’art. 5 e 6 della Costituzione, stante l’ampiezza

del termine “Repubblica”, configurandosi nella veste di “limite implicito”, un autonomo

titolo che, “anche al di fuori delle porte ufficiali lasciate aperte dall’art.117, 2° e 3° comma

Cost., legittimerebbe interventi ulteriori dello Stato a tutela delle esigenze unitarie” (191)

come quelle collegate all’ambito minoritario.

Il secondo dato: l’intoccabilità della disciplina dei diritti fondamentali. E’fuori dubbio che la

riforma del Titolo V, nel 2001, non ha inciso sulle modalità di tutela di siffatti diritti cui il

problema “minoranze” è strettamente connesso. Le stesse, per ovvie ragioni di trattamento

uniforme, sono sottratte alla competenza degli enti territoriali, idonei ad intervenire solo

indirettamente per il tramite dell’esercizio delle proprie attribuzioni.

E veniamo, infine, al terzo ed ultimo dato: il concetto di “identità funzionale” (192). Un

minoranza è tale mai in astratto ed ex ante ma principalmente in relazione all’ordinamento

statale di riferimento anche se, il ruolo “correttivo” sempre più consistente dell’Unione

Europea e del Consiglio d’Europa, sta prepotentemente ridimensionando la posizione dello

Stato, non più “the main protagonist” nella tutela delle minoranze. Resta, comunque, da

domandarsi se si potrebbe ancora parlare di una minoranza di lingua tedesca in Alto

Adige/Sudtirol qualora la sua salvaguardia rimanesse allocata esclusivamente ed unicamente a

livello di Provincia Autonoma di Bolzano/Bozen ? Molto probabilmente no dal momento che

lo status minoritario, almeno fino ad ora e con le precisazioni che verranno indicate nei

(190) Recita l’art. 4: “In armonia con la Costituzione e i principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica e con il rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali, tra i quali è compreso quello della tutela delle minoranze linguistiche locali, nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica, la Regione ha la potestà legislativa nelle seguenti materie……”. (191) Così, S. BARTOLE-R. BIN-G. FALCON-R. TOSI, Diritto Regionale, Bologna, Il Mulino, 2005, p. 208. (192) Così F. PALERMO, Lezione del 12-02-2007 del corso di Diritto Costituzionale Comparato dei gruppi e delle minoranze linguistiche, Trento, 2007; su questa linea anche C. PICIOCCHI, La libertà terapeutica come diritto culturale.Uno studio sul pluralismo nel diritto costituzionale comparato, Padova, Cedam, 2006, p. 231 e ss.

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L’articolo 6 della costituzione e la legge n. 482/99. La normativa regionale e locale in tema di tutela delle minoranze linguistiche.

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paragrafi successivi, è riconosciuto sempre in funzione della maggioranza della popolazione

statale e non sulla base della mera identificazione dei gruppi a livello regionale anche se

questo non toglie l’inadeguatezza che l’idea stessa di minoranza incorre quando si opera

nell’ambito giuridico-territoriale delle Regioni, specialmente quelle ad ordinamento

differenziato, nelle quali una minoranza può divenire, anzi diviene, maggioranza e viceversa

(si pensi al gruppo di lingua tedesca in Alto Adige/Sudtirol).

3.9: Gli interventi regionali a tutela delle minoranze linguistiche storiche - Non soltanto

negli anni immediatamente successivi all’ avvio delle regioni ordinarie, ma ancora in epoca

attuale, la tutela delle comunità linguistiche passa principalmente attraverso la valorizzazione

dei beni e la promozione delle attività culturali, secondo quanto indicato dagli articoli 148 e

seguenti del decreto legislativo delegato del 31 marzo 1998 n. 112. Tuttavia alcuni degli

articoli in questione, sono stati abrogati e sostituiti dai disposti del Decreto Legislativo

Delegato del 22 gennaio 2004 n. 42 contenente il Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai

sensi dell’ articolo 10 della legge delega del 6 luglio 2002 n. 137 (193). Infatti sulla base dell’

articolo 5 del decreto ora menzionato, si afferma al primo comma: “Le regioni, nonché i

comuni, le città metropolitane e le province, di seguito denominati altri enti territoriali,

cooperano con il Ministero dei beni e delle attività culturali, nell’ esercizio delle funzioni di

valorizzazione e tutela del patrimonio storico-artistico, in conformità a quanto disposto dal

Titolo I della Parte seconda del presente codice” e si aggiunge al quarto comma “Sulla base

di specifici accordi od intese e previo parere della Conferenza permanente per i rapporti tra

Stato e Regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, sulla base dei principi di

differenziazione ed adeguatezza, possono essere individuate ulteriori forme di coordinamento

in materia di tutela con le regioni che ne facciano richiesta”.

(193) Il D.lgs. del 22 gennaio 2004 n. 42, è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 24 febbraio 2004 n. 45 (supplemento ordinario).

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L’articolo 6 della costituzione e la legge n. 482/99. La normativa regionale e locale in tema di tutela delle minoranze linguistiche.

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L’evoluzione del fenomeno regionalista ha dunque consentito, attraverso la tutela dei beni

culturali, di adottare sul piano della legislazione regionale, in coordinamento con le iniziative

del potere statale a cui comunque spettano, alla luce dell’ articolo 149 (194) del D.Lgs. 31

marzo 1998 n. 112, funzioni di direzione e coordinamento, interventi rivolti in via aperta e

diretta proprio alle minoranze etnico-linguistiche ovvero alle popolazioni di lingua

minoritaria, pur mantenendosi pressochè inalterato l’obiettivo della promozione culturale e

scientifica locale, andando così a garantire forme di tutela più incisive rispetto alle vaghe e

generaliste disposizioni normative degli statuti regionali soprattutto delle regioni ad

ordinamento comune.

Così, se in Veneto, alla legge regionale n. 50 del 1984 contenente norme in materia di musei,

biblioteche ed archivi di enti locali o d’ interesse locale, faceva seguito, con legge n. 26 del

1995, l’istituzione del sistema regionale dei musei etnografici, finalizzato alla conoscenza e

valorizzazione delle culture locali e se la legge n. 51 del 1984 poneva a carico della regione il

compito di favorire manifestazioni, iniziative culturali e pubblicazioni riguardanti le lingue

locali, nonché la tradizione storica, artistica, etnica, scientifica e le varie peculiarità

linguistiche della regione (articoli 5-6), la legge regionale n. 73 del 1994 (195) impegna

l’amministrazione regionale a promuovere, mediante erogazione di contributi, “la tutela e la

valorizzazione del patrimonio storico-culturale delle comunità etniche e linguistiche

storicamente presenti nel Veneto, le quali aspirano alla conservazione, al recupero ed allo

sviluppo della loro identità culturale e linguistica” (articolo 1). A tale scopo, la legge

regionale ora citata, individua, all’articolo 3, i soggetti beneficiari dei finanziamenti nei

comitati rappresentativi delle associazioni culturali regolarmente costituite ladino- (194) L’ articolo 149, recita infatti : “Ai sensi dell’ articolo 1 terzo comma lettera d, della legge del 15 marzo 1997 n. 59, sono riservate allo Stato le funzioni ed i compiti di tutela dei beni culturali. Sono riservati allo Stato i seguenti compiti e funzioni

- apposizione di vincolo, diretto ed indiretto, di interesse storico o artistico e vigilanza sui beni vincolati ecc”.

(195) La legge è intitolata “Promozione delle minoranze etniche e linguistiche del Veneto”.

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L’articolo 6 della costituzione e la legge n. 482/99. La normativa regionale e locale in tema di tutela delle minoranze linguistiche.

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dolomitiche, cimbre, della comunità germanofona, mentre un ulteriore intervento normativo

cioè la legge regionale n. 3 del 1998 (196), all’articolo 73, ha ampliato il novero dei destinatari

alla rappresentanza delle associazioni culturali friulane del portogruarese ed alle associazioni

di eventuali comunità etniche e linguistiche non coincidenti con quelle ora ricordate. I

finanziamenti, che vengono erogati annualmente a seguito di apposita procedura, sono diretti

alla realizzazione di iniziative per la tutela, il recupero, la valorizzazione di testimonianze

storiche, lo sviluppo della ricerca storica e linguistica, la pubblicazione di studi e documenti

ecc.

Alle medesime finalità, cui vengono aggiunte la conservazione e valorizzazione delle

testimonianze liturgiche e religiose e lo sviluppo di forme di solidarietà con comunità

albanofone in Italia ed all’ estero, si rivolge la legge regionale della Basilicata n. 40 del 1998

(197) abrogativa della legge regionale n. 16 del 1996: soltanto i comuni, secondo la rinnovata

formulazione legislativa, e non anche altri organismi possono accedere ai contributi annuali

messi a disposizione dalla regione indirizzati alla tutela e promozione dell’identità culturale

delle comunità arbereshe che è quella comunità etnico-linguistica chiamata in tal modo in

luogo delle minoranze etniche e linguistiche di origine greco-albanese.

Come ulteriore esempio, possiamo citare la regione speciale Friuli-Venezia Giulia, dove

risulta interessantissima la legge regionale n. 4 del 1999 (198) dove si dichiara apertamente,

all’ articolo 6, che la regione favorisce la diffusione della conoscenza e la valorizzazione del

patrimonio storico-artistico e culturale del Friuli-Venezia Giulia anche fuori del territorio

regionale. La regione inoltre si preoccupa, con legge regionale n. 10 del 1988 (199), all’articolo

(196) La legge è intitolata “Provvedimento generale di rifinanziamento e di modifica di leggi regionali per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della regione”. (197) La legge regionale è intitolata “Norme per la promozione e tutela della Comunita Arbereshe in Basilicata”. (198) La legge s’ intitola “Disposizioni per la formazione del bilancio pluriennale ed annuale della regione”. (199) La legge s’ intitola “Riordinamento istituzionale della regione e riconoscimento e devoluzione di funzioni ad enti locali”.

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L’articolo 6 della costituzione e la legge n. 482/99. La normativa regionale e locale in tema di tutela delle minoranze linguistiche.

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14, qualora una medesima lingua e cultura sia presente con carattere di omogeneità nei

territori di più province, di assicurare l’organicità e l’unità di indirizzi nella trattazione delle

relative tematiche; a tal fine, e con riguardo alla tutela di lingue e culture locali diverse da

quella slovena e friulana, il legislatore regionale ha disposto la predisposizione di programmi,

anche in forma associata, da parte delle amministrazioni provinciali interessate (articolo 32

della legge regionale n. 15 del 1996).

Da ultimo, ma non meno importante, possiamo menzionare la regione italiana ad ordinamento

differenziato, dove, rispetto a tutte le altre, si sono raggiunti i risultati più importanti in tema

di tutela positiva dei gruppi linguistici minoritari ossia il Trentino-Alto Adige/SudTirol:

accanto a disposizioni normative che genericamente assegnano alla provincia autonoma (200)

di Trento il compito di incrementare la cultura, la conservazione delle tradizioni, degli usi e

dei costumi caratteristici, la promozione delle manifestazioni artistiche locali (articolo 1 della

legge provinciale n. 31 del 1983) (201), la valorizzazione della parlata e di quanto occorre a

costituire la civiltà delle isole etnico-linguistiche (articolo 1 lettera d della legge provinciale n.

12 del 1987) (202), si collocano normative sia regionali sia provinciali che più

dettagliatamente, e con riferimento non limitato alle sole popolazioni ladine, sanciscono

misure di salvaguardia e protezione sul piano linguistico-culturale. In tal senso compete alla

regione nel suo complesso la promozione di iniziative dirette alla valorizzazione dei gruppi

etnici e delle minoranze linguistiche; inoltre è sempre la regione che sostiene le associazioni e

gli istituti a ciò orientati “in particolare con riferimento alle minoranze tedesca, ladina,

mochena e cimbra” (articolo 1 della legge regionale n. 4 del 1995 modificata dalla legge

(200) Ricordo che, le province autonome di Trento e Bolzano/Bozen godono, statutariamente, di potestà legislativa. (201) La legge è intitolata “Disposizioni per la promozione culturale del Trentino”. (202) La legge è intitolata “Promozione e sviluppo delle attività culturali del Trentino”.

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L’articolo 6 della costituzione e la legge n. 482/99. La normativa regionale e locale in tema di tutela delle minoranze linguistiche.

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regionale n. 4 del 1997) (203) potendo a tal fine finanziare progetti presentati dai comuni e da

forme collaborative intercomunali in cui hanno sede le minoranze linguistiche. D’altro canto,

alle popolazioni ladine, mochene e cimbre della provincia autonoma di Trento si rivolgono

ulteriori misure di protezione quali il rilevamento della loro consistenza demografica e della

dislocazione territoriale per misure legislative di tutela più strumentali ai loro bisogni (legge

provinciale n. 4 del 1999, articoli 4-5) (204).

Fino ad ora, abbiamo analizzato alcuni esempi di iniziative regionali a tutela dei gruppi

linguistici minoritari su di un piano generale, ma va ricordato che le leggi regionali

garantiscono misure di tutela positiva anche in altri importantissimi settori quali la didattica e

l’ informazione locale, gli usi pubblici delle lingue e le garanzie di rappresentanza

istituzionale.

Partendo dalle iniziative didattiche ed in tema d’ informazione locale, va evidenziato che il

legislatore regionale che adotta interventi normativi in questo fondamentale settore, non si

limita a porre a carico della regione l’ attivazione di studi, ricerche, indagini sulla condizione

linguistica delle minoranze locali, la compilazione di repertori linguistici ecc., bensì finanzia

corsi di studio e programmi che hanno ad oggetto l’approfondimento della conoscenza degli

idiomi linguistici minoritari e dei rispettivi patrimoni culturali, cercando d’ attuare uno studio

multidisciplinare di carattere letterario, storico, geografico, musicale ed artistico. E’

significativo il caso della regione Piemonte che favorisce l’insegnamento e l’apprendimento

delle lingue storiche promuovendo, d’ intesa con i provveditorati agli studi, corsi facoltativi di

almeno un’ ora settimanale di storia, cultura e lingua occitana, franco-provenzale e walser

(articolo 5 primo comma lettera b della legge regionale n. 37 del 1997), finanzia corsi di

formazione e aggiornamento per gli insegnanti di ogni ordine e grado (articolo 5 primo

comma lettera a della legge regionale n. 37 del 1997), istituisce un premio annuale per opere

(203) La legge è intitolata “Iniziative per la promozione dell’ integrazione europea”. (204) La legge è intitolata “Norme per la tutela delle popolazioni di lingua minoritaria nella provincia di Trento”

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scritte nelle lingue minoritarie, bandisce, in collaborazione con i competenti organi statali, un

concorso nelle scuole sull’ originale patrimonio linguistico del Piemonte (articolo 5 secondo e

terzo comma sempre della legge precedente), nell’ambito della promozione della ricerca

scientifica istituisce borse di studio e premi per tesi di laurea aventi ad oggetto la storia, la

cultura, il patrimonio linguistico della regione ed in specie “il piemontese, il franco-provenzale ed il

walser” (articolo 4 secondo comma della legge regionale n. 37 del 1997 .

Da ricordare anche la regione speciale Sardegna che concorre a finanziare, anche erogando

sussidi alle attività di sperimentazione (articolo 20 della legge regionale n. 26 del 1997), la

formazione scolastica degli allievi e l’aggiornamento del personale docente e direttivo delle

scuole di ogni ordine e grado che si propongano di valorizzare l’identità culturale del popolo

sardo (articolo 17 della legge n. 26 del 1997) con particolare riferimento alla conoscenza della

lingua e letteratura dei sardi.

Anche la regione Friuli-Venezia Giulia, in relazione alla quale lo Stato riconosce

nell’Università degli studi di Udine (205) la sede primaria per la valorizzazione della lingua e

cultura friulana, favorisce l’ attività di ricerca, l’insegnamento e la formazione dei ricercatori

mediante il sostegno ad iniziative di studio, l’attivazione di corsi ufficiali o integrativi presso

l’università , la concessione di borse di studio, la pubblicazione di collane scientifiche ecc

(articolo 7 della legge regionale n. 15 del 1996). Allo scopo di promuovere la lingua friulana ,

viene inoltre incoraggiata la sperimentazione didattica integrativa degli istituti di formazione

professionale dipendenti o vigilati dalla regione (articolo 12 della legge n. 15 del 1996) e sono

ammessi ai finanziamenti regionali corsi di formazione ed aggiornamento, studi e ricerche

anche in ambito scolastico o presso le comunità emigrate, concorsi tra allievi ed altre attività

(205) L’ Università degli studi di Udine, prevista dall’ articolo 26 della legge n. 546 del 1977, “si pone l’ obbiettivo di contribuire al progresso civile, sociale ed alla rinascita economica del Friuli e di divenire organico strumento di sviluppo e rinnovamento dei filoni originari della cultura, della lingua, delle tradizioni e della storia del Friuli”.

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L’articolo 6 della costituzione e la legge n. 482/99. La normativa regionale e locale in tema di tutela delle minoranze linguistiche.

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parascolastiche dirette alla conoscenza della realtà storica, culturale e linguistica del Friuli

(articolo 19 secondo comma lettera c della legge regionale n. 15 del 1996).

Come ultimo esempio in tema di interventi regionali sul piano della didattica, citiamo il caso

della regione Trentino-Alto Adige/SudTirol: secondo quanto disposto dall’ articolo 102

secondo comma dello statuto speciale e dalla relativa normativa d’ attuazione (206), nei

comuni della provincia autonoma di Trento, individuati ai sensi della legge provinciale n. 19

del 1976, l’uso del ladino è garantito come mezzo d’ insegnamento accanto alla lingua italiana

nelle scuole primarie (com’ è ribadito anche dall’ articolo 21 della legge provinciale n. 377

del 1977, modificato dall’ articolo 81 della legge provinciale n. 10 del 1998) ed è impartito l’

insegnamento della lingua e della cultura ladina nelle scuole dell’obbligo (legge provinciale n.

4 del 1997) allo scopo non soltanto di permettere o consolidare l’apprendimento della lingua

materna per una migliore comunicazione sociale, ma altresì per favorire la formazione di una

coscienza rispettosa delle diversità e disponibile allo studio delle matrici culturali e storiche

all’ interno dell’ Unione Europea.

La diffusione della conoscenza delle lingue e culture minoritarie attraverso i mezzi

d’informazione locale trova riconoscimento ed impulso nella legislazione regionale che

dispone incentivi finanziari per la stampa dei giornali e periodici, pubblicazioni scientifiche e

divulgative, programmi radiotelevisivi in lingua minoritaria: a titolo esemplificativo,

ricordiamo l’ articolo 4 della legge regionale del Molise n. 4 del 1997 che prevede la messa in

onda di programmi radiofonici e televisivi nella lingua croata ed albanese; l’ articolo 3 primo

comma bis della legge regionale del Piemonte n. 37 del 1997 che prevede la stessa cosa ma

nelle lingue storiche del Piemonte, l’ articolo 9 della legge regionale della Sicilia n. 26 del

1998 che prevede la stipulazione di convenzioni tra la regione e la radiotelevisione regionale

o altre emittenti radiofoniche e televisive per l’inserimento, nei rispettivi palinsesti, di

(206) Si tratta di due D.P.R. : il n. 405 del 1988 ed il n. 592 del 1993.

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L’articolo 6 della costituzione e la legge n. 482/99. La normativa regionale e locale in tema di tutela delle minoranze linguistiche.

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notiziari, programmi culturali, educativi ecc. A tal proposito, dopo l’entrata in vigore della

legge ordinaria dello Stato n. 482/1999, queste previsioni in materia di accordi con le

emittenti regionali per la diffusione di programmi utilizzando la lingua minoritaria, è stata

avallata anche dal legislatore statale che all’ articolo 12 della legge n. 482/1999 prevede al

secondo comma “Le regioni interessate possono stipulare apposite convenzioni con la società

concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo per trasmissioni giornalistiche o

programmi nelle lingue ammesse a tutela, nell’ ambito delle programmazioni radiofoniche e

televisive regionali della medesima società concessionaria; per le stesse finalità le regioni

possono stipulare appositi accordi con emittenti locali”.

Analizzando ora gli interventi dei vari legislatori regionali in tema di usi pubblici delle lingue

minoritarie, va ricordato come essi siano funzionali ad assicurare, agli appartenenti alle

comunità linguistiche, la possibilità di impiegare il proprio idioma nelle attività delle

amministrazioni locali e nei rapporti con i cittadini. Simili garanzie si possono riscontrare

nelle normative regionali più recenti tra le quali, a titolo d’ esempio, possiamo menzionare

l’articolo 6 della legge regionale n. 37 del 1997 della regione Piemonte che prevede, a carico

dell’ amministrazione regionale, il compito di contribuire alle indagini ed alle iniziative

avanzate dai comuni e dai loro consorzi per il ripristino della toponomastica tradizionale

legata alle lingue regionali piemontesi; oppure si può citare l’ articolo 4 lettera e della legge

regionale n. 15 del 1997 della regione Molise che stabilisce, sempre a carico dell’

amministrazione regionale, il compito di promuovere le raccolte e lo studio dei toponimi nelle

lingue croata ed albanese anche al fine di evidenziare, attraverso apposita segnaletica, la

toponomastica originaria.

Nei rapporti poi con la pubblica amministrazione, si possono citare, anche in questo caso,

realtà regionali significative: è il caso del Friuli-Venezia Giulia che prevede l’ uso della

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L’articolo 6 della costituzione e la legge n. 482/99. La normativa regionale e locale in tema di tutela delle minoranze linguistiche.

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lingua friulana nelle adunanze degli organi della regione e degli enti subregionali (207) nelle

aree in cui sia storicamente radicata, sempre fermo restando il carattere di ufficialità della

lingua italiana ( articolo 14 della legge regionale n. 15 del 1996); oppure il caso della regione

Sardegna che riconosce l’ impiego della lingua sarda sia all’ interno delle amministrazioni

locali (nella fase della discussione, deliberazione e redazione) sia nei rapporti con gli

amministrati (articolo 23 primo e secondo comma della legge regionale n. 26 del 1997), e si

precisa che la traduzione nella lingua italiana è garantita per gli interventi ove richiesta,

mentre spetta al presidente del Consiglio regionale aver cura che la redazione della

deliberazione in lingua sarda sia accompagnata dal testo in italiano (articolo 23 terzo e quarto

comma della legge precedente).

Infine, parliamo delle iniziative regionali in materia di rappresentanza nelle istituzioni

politiche e nell’ amministrazione pubblica : questa regola importantissima, in uno Stato

democratico di diritto come l’ Italia, è prevista dalla normativa di alcune regioni ad autonomia

differenziata, conformemente alle disposizioni normative statutarie che, ove presenti, possono

risultare più o meno dettagliatamente formulate. Ai sensi, ad esempio, dello statuto speciale

del Trentino-Alto Adige/SudTirol, la garanzia di rappresentanza del gruppo linguistico ladino

negli organi politici e presso gli organi collegiali degli enti pubblici locali della provincia

autonoma di Bolzano/Bozen (articolo 62 dello Statuto), deve essere salvaguardata dal

legislatore regionale: in tal senso, il testo unico delle leggi regionali per l’elezione del

Consiglio regionale, cioè il d.P.G. R. 29 gennaio 1987 n. 2/L, ha disposto l’assegnazione alla

minoranza linguistica ladina della provincia di Bolzano/Bozen di almeno un seggio nelle

assemblee elettive regionale e provinciale (articolo 2 quarto comma). D’altra parte, a giudizio

(207) Cfr., inoltre anche l’ articolo 25 sesto comma della legge regionale del Friuli n. 23 del 1997 Norme urgenti per la semplificazione dei procedimenti amministrativi, in materia di autonomie locali e di organizzazione dell’ amministrazione regionale) il quale dispone che il presidente della provincia, dopo aver prestato giuramento in lingua italiana, possa formulare analoga dichiarazione “nelle lingue minoritarie e locali presenti nella provincia medesima”.

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L’articolo 6 della costituzione e la legge n. 482/99. La normativa regionale e locale in tema di tutela delle minoranze linguistiche.

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della Corte Costituzionale e con sentenza n. 356/1998 (208), nella determinazione del numero

dei seggi da attribuire a ciascuna lista, il principio proporzionalistico non deve subire

alterazioni a causa dell’ introduzione di soglie o clausole di sbarramento nei collegi elettorali

di Trento e Bolzano/Bozen che, rendendo più gravoso l’ ingresso in Consiglio regionale, sono

da ritenere costituzionalmente illegittime per palese violazione del principio,

costituzionalmente previsto e garantito all’articolo 6, della salvaguardia di tutte le minoranze

linguistiche presenti nel nostro ordinamento. Pronunciandosi sul bilanciamento tra principi

fondamentali dell’ordinamento, come la tutela dell’uguaglianza dei cittadini nell’ esercizio del

diritto di voto e la protezione dei gruppi minoritari, il giudice costituzionale, già prima (209)

della sentenza menzionata, rinviava al Parlamento nazionale ogni valutazione sia sull’

opportunità del quorum del 4 per cento previsto dalla legge elettorale per la Camera dei

deputati dal momento che frenerebbe prepotentemente la rappresentanza nazionale delle

minoranze tedesca e ladina (sentenza n. 438/1993), sia sull’estensione al gruppo ladino della

provincia autonoma di Trento delle misure previste dall’ articolo 62 dello Statuto per la

rappresentanza nel Consiglio provinciale di Bolzano/Bozen (sentenza n. 233/1994)

precisando, inoltre, che le garanzie della rappresentanza “assicurata” in rapporto alla

consistenza numerica dei gruppi linguistici nella regione e della rappresentanza “garantita”

(210) a favore del gruppo linguistico ladino devono intendersi con riferimento alla sola

composizione degli organi collegiali degli enti pubblici non territoriali (sentenza n. 261/1995).

Conformemente all’interpretazione da ultimo citata, la disciplina regionale delle modalità di

elezione del sindaco e dei Consigli comunali, contenuta nel d.P.G.R. 13 gennaio 1995 n. 1/L

(208) Cfr., sul punto, S. CECCANTI, Tra tutela delle minoranze e rischi etnicistici, op.cit., pp. 2744-2754. (209) Sulla giurisprudenza costituzionale in materia di legislazione elettorale per il Trentino-Alto Adige/Sudtirol, vedi capitolo 4 della presente trattazione. (210) Cfr., sulla distinzione tra rappresentanza “assicurata” e rappresentanza “garantita” R. TONIATTI, La rappresentanza politica delle minoranze linguistiche: i ladini fra rappresentanza assicurata e garantita, in Le Regioni, n.6/1995, p.1277 e ss.

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L’articolo 6 della costituzione e la legge n. 482/99. La normativa regionale e locale in tema di tutela delle minoranze linguistiche.

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(211), omette d’individuare formule privilegiate d’accesso agli organi collegiali da parte delle

minoranze linguistiche, limitandosi a sancire, con riguardo ai comuni della provincia

autonoma di Bolzano/Bozen con popolazione superiore ai 13.000 abitanti che, se nel

Consiglio sono presenti più gruppi linguistici, il vicesindaco deve appartenere al gruppo

linguistico maggiore per consistenza escluso quello di cui fa parte il sindaco (articolo 3 quinto

comma) e che, in generale, nei comuni della stessa provincia il numero degli assessori viene

determinato avuto riguardo alla consistenza dei gruppi linguistici quali rappresentati in seno al

Consiglio comunale con la garanzia della rappresentanza in giunta di ciascun gruppo

linguistico se nel Consiglio siedono almeno due consiglieri appartenenti al gruppo medesimo

(articolo 3 sesto comma).

La protezione delle minoranze linguistiche può evincersi, infine, dalla normativa concernente

l’ organizzazione dei pubblici uffici ed il personale amministrativo. A parte la formulazione di

principio contenuta nella legge regionale del Friuli-Venezia Giulia n. 31 del 1997 che,

ricalcando il disposto statutario dell’articolo 3, pone a carico della regione l’ impegno di

impiegare i mezzi idonei per rendere effettiva la parità di trattamento dei cittadini appartenenti

alle minoranze linguistiche della regione (articolo 42 della legge n. 31 del 1997), la provincia

autonoma di Bolzano/Bozen riconosce, indipendentemente dalla regola della proporzionale

etnica, la facoltà d’accesso ai ruoli del personale scolastico ed a tutti gli uffici

dell’amministrazione provinciale anche per gli appartenenti al gruppo ladino, purchè abbiano

acquisito un titolo di studio o di formazione presso una scuola delle località ladine o una

scuola nella lingua del gruppo linguistico al cui ruolo aspirano (articolo 26 della legge

provinciale (legge finanziaria) n. 2 del 2000). Inoltre, va ricordato che, ai candidati di

concorsi presso le amministrazioni comunali, la normativa regionale del Trentino-Alto

Adige/SudTirol richiede requisiti di conoscenza della lingua non materna difformi a seconda

(211) Si tratta del “Testo unico delle leggi regionali sulla composizione ed elezione degli organi delle amministrazioni comunali”.

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L’articolo 6 della costituzione e la legge n. 482/99. La normativa regionale e locale in tema di tutela delle minoranze linguistiche.

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che l’ assunzione in servizio debba avere luogo negli enti locali dell’ una o dell’ altra

provincia (legge regionale n. 4 del 1993).

3.10: Gli statuti degli enti locali e la tutela dell’ identità minoritaria - Alla tutela dei

patrimoni linguistici e culturali, nonché alla garanzia degli usi pubblici delle lingue

minoritarie si rivolgono, nel quadro dell’ autonomia comunale e provinciale, gli statuti degli

enti locali territoriali delle regioni ordinarie, i quali, entro i principi dettati dal testo unico, il

decreto legislativo delegato n. 267 del 2000 (212), definiscono, tra l’altro, l’assetto

organizzativo dell’ ente, le attribuzioni degli organi ecc.

Va sottolineato però che questa normativa statale, sulla base dell’ articolo 1 secondo comma,

è applicabile, se non è incompatibile, alle regioni a statuto speciale ed alle Province autonome

di Trento e Bolzano/Bozen, anche se in tema di ordinamento degli enti locali, per codeste

regioni, sussiste una potestà legislativa esclusiva.

Direttive più o meno articolate e destinate ad orientare, conformemente alle esigenze di tutela

dell’ identità minoritaria, le attività e l’organizzazione degli enti infraregionali sono pertanto

rinvenibili nella legislazione di alcune regioni ad autonomia speciale ovvero nella normativa

d’attuazione statutaria. Così in Trentino-Alto Adige/Sudtirol, i comuni nel cui territorio

coesistono gruppi linguistici ed etnico-culturali diversi operano, in base all’ articolo 1 secondo

comma del d.P.G.R. 27 febbraio 1995 n. 1/L (213), “anche al fine di salvaguardare e

promuovere la lingua, cultura, e l’ identità di tutte le proprie componenti, riconoscendo alle

stesse pari dignità, nonché lo sviluppo armonico dei loro rapporti, al fine di garantire una

reciproca conoscenza ed una proficua convivenza tra i gruppi”. Più precisamente, nei comuni

della provincia autonoma di Bolzano/Bozen, viene richiamata l’applicazione delle

disposizioni dello statuto speciale e della relativa normativa d’attuazione in materia di

(212) Il D.Lgs. 18 agosto 2000 n. 267, è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 28 settembre 2000 n. 227 (213) Il testo normativo in questione, è intitolato “Testo unico delle leggi regionali sull’ordinamento dei comuni”.

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L’articolo 6 della costituzione e la legge n. 482/99. La normativa regionale e locale in tema di tutela delle minoranze linguistiche.

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proporzionale linguistica e d’uso della lingua italiana, tedesca e ladina ai fini della nomina,

dell’ insediamento e del funzionamento di organismi ed enti dell’amministrazione comunale,

nonché dell’assunzione e gestione del personale dipendente (articolo 1 terzo comma del

d.P.G.R. 27 febbraio 1995 n. 1/L).

Quanto all’individuazione dei contenuti degli statuti comunali, la normativa del Trentino-Alto

Adige/Sudtirol prevede che gli statuti della Provincia autonoma di Bolzano, dei comuni ladini

della Valle di Fassa e di quelli germanofoni della Valle del Fersina nella provincia autonoma

di Trento, dettino disposizioni specifiche a tutela dei gruppi linguistici minoritari, secondo i

principi fissati dall’articolo 6 della Costituzione, dallo statuto speciale e dalle norme d’

attuazione. Inoltre, l’esigenza di proteggere l’identità linguistico-culturale dei gruppi

linguistici minoritari residenti nei comuni prima elencati, dev’essere tenuta in considerazione

dalla Giunta regionale in occasione della formulazione del programma di riordino delle

circoscrizioni territoriali comunali (articolo 43 secondo comma del d.P.G.R. 27 febbraio 1995

n. 1/L). Infine, ma non meno importante, è il divieto assoluto di sottoporre a referendum

quesiti relativi ai gruppi linguistici (articolo 93 terzo comma del d.P.G.R. 27 febbraio 1995 n.

1/L).

Al di là della situazione relativa al Trentino-Alto Adige/Sudtirol, diversi Statuti comunali di

Regioni ordinarie, si pongono nell’ottica di procedere ad un’affermazione del principio di

salvaguardia delle lingue e culture minoritarie: in Piemonte, ad esempio, le amministrazioni

locali (214) si propongono di tutelare l’originale patrimonio linguistico della regione, le

tradizioni linguistiche, etniche, storiche e culturali di cui il patois costituisce una

testimonianza ancora viva tra le popolazioni di confine dell’arco alpino, le tradizioni e

l’identità franco-provenzale, la minoranza e la cultura franco-provenzale della quale viene

promossa l’ affermazione anche attraverso lo sviluppo di forme di cooperazione sia con altre

(214) Cfr., sul punto, gli statuti dei comuni di Vinovo e Cossato.

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L’articolo 6 della costituzione e la legge n. 482/99. La normativa regionale e locale in tema di tutela delle minoranze linguistiche.

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realtà piemontesi sia con le province limitrofe della Liguria e con la Francia; in Veneto, la

salvaguardia delle peculiarità linguistico-culturali compare tra gli obiettivi di diversi statuti

comunali (215) e talora, come nella Provincia di Belluno, s’affianca alla esigenza di rispettare i

valori della storia e delle tradizioni delle isole alloglotte germanofone, mentre in altri casi le

amministrazioni perseguono il sostegno del patrimonio etnico-linguistico-culturale dei valori

cimbri (216); in Sardegna, alla lingua locale, espressamente identificata nel sardo, può essere

conferita la medesima dignità sociale dell’italiano ed i comuni (217) ne promuovono la tutela

anche mediante l’incentivazione di studi e ricerche volti al recupero di documenti storici e

delle tradizioni locali e l’incoraggiamento ad associazioni locali che si prefiggono tali finalità;

numerosi comuni dell’Italia meridionale ed insulare che vanno a salvaguardare i patrimoni

linguistici, usi e costumi delle popolazioni di origine albanese o “arbereshe”, delle comunità

grecaniche e croate che nell’ Italia del sud sono consistenti (218).

(215) Cfr., sul punto, gli statuti dei comuni di Alleghe, Zoppè di Cadore, Belluno, Lozzo di Cadore, Vodo Cadore. (216) Cfr., sul punto, gli statuti dei comuni di Roana e Selva di Progno. (217) Cfr., sul punto, gli statuti dei comuni di Sennariolo, Tergu Muros, Tresnuraghes. (218) Cfr., sul punto, gli statuti della provincia di Cosenza, dei comuni di San Felice del Molise, Montemitro ecc.

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Gruppi minoritari nazionali

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CAPITOLO IV

GRUPPI MINORITARI NAZIONALI

Sommario: 4.1 Profili strutturali e tipologici – 4.2 La struttura del Trentino-Alto Adige/SudTirol come espressione della tutela delle minoranze linguistiche: il gruppo tedesco ed italiano - 4.3 I ladini della provincia di Bolzano/Bozen - 4.4 La tutela del gruppo ladino alla luce della giurisprudenza costituzionale - 4.5 I ladini fassani - 4.6 I cimbri ed i mocheni della provincia di Trento - 4.7 La minoranza francese in Valle d’Aosta ed i walser - 4.8 Gli sloveni del Friuli-Venezia Giulia

4.1: Profili strutturali e tipologici - “Più che in ogni altro paese europeo, forse anche più

che in ogni altro paese del mondo di pari peso geografico e demografico, le popolazioni che

si raccolgono in Italia hanno vissuto e vivono una condizione di plurilinguismo nativo,

profondamente radicato nella storia e nella realtà sociale presente”. Così Tullio De Mauro,

in uno scritto (219) della fine degli anni ’70, presentava la complessa e variegata trama

linguistica italiana, dove al pluralismo che scaturisce dalla coesistenza di idiomi diversi

appartenenti alle famiglie delle lingue indoeuropee e neolatine, si aggiunge quello derivante

sia dall’eterogeneità delle forme dialettali sia dalla diversità d’impiego del medesimo idioma.

Sotto i profili territoriale, sociologico e linguistico, il panorama risulta ancora più frastagliato

e diversificato: basti pensare, a titolo d’esempio, al caso del Trentino-Alto Adige/Sudtirol

dove troviamo ben tre grandi realtà linguistiche minoritarie ossia quella tedesca, quella ladina

ed anche il gruppo italiano che, al giorno d’oggi, è più minoranza delle altre due quantomeno

sul piano dell’ effettiva tutela; il tutto in aggiunta alle altre minoranze linguistiche come ad

esempio i cimbri ed i mocheni.

Non sempre però le regioni ordinarie e speciali, si sono rese conto dell’importanza della

vitalità e radicalità dei tessuti linguistici presenti al loro interno e ciò, almeno in una prima

(219) Cfr., sul punto, T. DE MAURO, Note sulle minoranze linguistiche e nazionali in Italia, Bologna, Il Mulino. 1979, p. 349 e ss.

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fase, ha impedito d’adottare efficaci misure di tutela positiva che si ponessero in una

dimensione di salvaguardia e protezione degli idiomi linguistici minoritari.

Come già riscontrato nel capitolo precedente, solo con legge ordinaria dello Stato del 15

dicembre 1999 n. 482, s’ è superata quella distinzione tra minoranze linguistiche riconosciute,

e dunque meritevoli di protezione e minoranze linguistiche non riconosciute, mediante

l’impiego di una formula legislativa onnicomprensiva consistente nell’affidare alla

Repubblica il compito di tutelare la lingua e la cultura delle comunità espressamente numerate

(articolo 2).

Il nostro lavoro ora si concentrerà su un’indagine, di stampo regionalistico, delle varie e

diverse realtà linguistiche minoritarie presenti nel nostro ordinamento costituzionale,

analizzando nello specifico le varie misure di tutela loro indirizzate.

4.2: La struttura del Trentino-Alto Adige/Sudtirol come espressione della tutela delle

minoranze linguistiche: il gruppo tedesco ed italiano - La regione speciale Trentino-Alto

Adige/SudTirol, rappresenta un interessantissimo caso di studio in tutte le discipline sociali.

Le sue peculiarità ne fanno un unicum dal punto di vista politico, economico, linguistico e

giuridico.

Culturalmente e linguisticamente parlando, è nell’ambito della Provincia autonoma di

Bolzano/Bozen ossia in Alto Adige/Sudtirol ed in particolare sul ponte Talvera del capoluogo

altoatesino, che corre il confine linguistico tra il mondo italiano e quello tedesco con la

ricchezza dei contrasti a ciò collegati. Giuridicamente è indubbio che la provincia di

Bolzano/Bozen ha di fatto inventato e costruito il regionalismo italiano, ed ha contribuito in

misura decisiva allo sviluppo della “costituzione delle minoranze linguistiche” (220)

(220) Cfr., sul punto, R. TONIATTI, La rappresentanza politica delle minoranze linguistiche: i ladini fra rappresentanza “assicurata” e “garantita”, op.cit., p.271 e ss.

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nell’ordinamento statale; senza di essa il nostr diritto costituzionale e quello europeo sarebbe

molto più povero.

Paradossalmente, tuttavia, l’unico aspetto non particolarmente originale è però allo stesso

tempo motore e carburante di tutte queste peculiarità: la condivisione da parte di più gruppi

linguistici del medesimo territorio che, in seguito all’allargamento dell’ Unione Europea a 27

paesi membri, non può più considerarsi come un quid anomalo (221). A ciò si aggiunga come

la peculiarità o l’assimetrismo, come qualcuno lo ha definito, delle Province autonome di

Trento e Bolzano/Bozen è giustificato proprio dal particolarismo linguistico e dal fatto di

essere, soprattutto la seconda, protagonista principale della politica internazionale dell’intera

“provincia tirolese” (222).

Le specialità “strutturali” di questa regione italiana ad ordinamento differenziato, trovano la

loro ragion d’ essere nello Statuto speciale del Trentino-Alto Adige/Sudtirol: originariamente

previsto dalla legge costituzionale del 26 febbraio 1948 n. 5, è stato completamente riformato

dalla legge costituzionale del 10 novembre 1971 n. 1 ed è ora contenuto nel D.P.R. 31 agosto

1972 n. 670 (223), anche se, con legge costituzionale n. 2 del 2001 (224), è stata apportata

qualche rilevante modifica statutaria.

Prima di entrare nel dettaglio, va precisato che gli statuti delle regioni speciali, e quindi anche

quello del Trentino-Alto Adige/SudTirol, hanno rango di fonte costituzionale; recita infatti

l’articolo 116 (primo e secondo comma) Parte II titolo V della nostra Costituzione “Il Friuli-

Venezia Giulia, la Sardegna, la Sicilia, il Trentino- Alto Adige/SudTirol e la Valle d’

(221) Con l’allargamento dell’Unione Europea, nel maggio del 2004 a 25 paesi membri, si sono moltiplicate le ipotesi relative all’ esportabilità del modello sudtirolese in altre realtà plurietniche, specie nell’ Europa dell’ est. (222) Sull’assimetrismo della provincia di Bolzano/Bozen, si vede R. BIN, L’assimetria della Provincia di Bolzano: origini, cause e prospettive, in L Joseph Marko, Sergio Ortino, Francesco Palermo (a cura di) L’ordinamento speciale della provincia autonoma di Bolzano, Padova, Cedam. 2001, pp.238-245. (223) Il d.P.R. 31 agosto 1972 n. 670, è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 20 novembre 1972 n. 301. (224) La legge costituzionale del 31 gennaio 2001 n. 2, è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’ 1-02-2001 n. 26.

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Aosta/Vallèe d’ Aoste dispongono di forme e condizioni particolari d’ autonomia, secondo i

rispettivi statuti adottati con legge costituzionale.

La regione Trentino-Alto Adige/SudTirol è costituita dalle province autonome di Trento e

Bolzano”.

Già nella lettera del secondo comma dell’articolo 116 della Costituzione repubblicana, si

richiama la particolare struttura di questa regione, pensata in una dimensione di tutela e

salvaguardia per le minoranze linguistiche presenti ed operanti all’ interno; infatti non è solo

la Regione nel suo complesso, ma anche le due Province di Trento e Bolzano/Bozen (ma solo

grazie al secondo Statuto d’Autonomia), ad essere dotate, con l’indicazione espressa dei

rispettivi settori di competenza (225), di potestà legislativa esclusiva, la quale rappresenta la

condizione primaria ed essenziale per garantire un pacifico equilibrio tra i diversi gruppi

linguistici. Risultano pertanto significativi, alla luce di quanto ora riportato, gli articoli 1 e 2

dello Statuto d’autonomia: recita l’articolo 1 “Il Trentino-Alto Adige/SudTirol, comprendente

il territorio delle province di Trento e Bolzano, è costituito in una regione autonoma, fornità

di personalità giuridica, entro l’unità politica della Repubblica Italiana, una ed indivisibile,

sulla base dei principi della Costituzione e secondo il presente statuto.

La regione Trentino-Alto Adige/SudTirol ha per capoluogo la città di Trento”, e aggiunge

l’articolo 2 del medesimo statuto, affrontando esplicitamente il tema della salvaguardia delle

minoranze linguistiche, intesa come obiettivo primario dell’ ordinamento regionale in

questione, che “Nella regione è riconosciuta parità di diritti ai cittadini, qualunque sia il

gruppo linguistico al quale appartengono, e sono salvaguardate le rispettive caratteristiche

etniche e culturali”.

(225) Tra i settori di competenza legislativa esclusiva delle due province autonome, abbiamo: miniere, caccia, pesca, turismo, agricoltura, istruzione primaria e secondaria, igiene e sanità, commercio ecc.

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All’interno poi del contenitore istituzionale della Regione, operano diversi meccanismi “a

tendenza collettiva” (226) esercitabili dal gruppo in quanto tale e volti a conferire al gruppo

linguistico medesimo una “quasi personalità giuridica”. Infatti l’intero sistema

istituzionalistico della Regione Trentino-Alto Adige/Sudtirol ed in particolare della Provincia

autonoma di Bolzano/Bozen, è improntato al principio della distinzione tra i diversi gruppi

linguistici minoritari, ai quali dunque è riconosciuta una soggettività giuridica propria: così,

ad esempio, lo Statuto di Autonomia prevede disposizioni normative particolari per la

composizione, in base ai gruppi linguistici, degli organi regionali (articoli 30,36 e 62), la

possibilità, nel SudTirol, di votare per gruppi linguistici nel Consiglio provinciale (articolo

56), con particolare riferimento alla votazione del bilancio (articolo 84) ecc.

Questo complesso meccanismo istituzionale, del quale a breve entreremo nel dettaglio,

pensato come requisito indispensabile per la tutela dei gruppi linguistici, si presta facilmente

ad una duplice lettura.

Poiché infatti la legittimazione storico-politica dell’autonomia è rinvenibile nell’ esigenza di

tutela delle minoranze tedesca e ladina ed è anzi configurabile quale riparazione storica

all’oppressione fascista, l’autonomia e la particolare protezione delle minoranze linguistiche

devono leggersi, secondo una prima teoria che potremmo definire “storica”o “etnica” come

“autogoverno della minoranza” e dunque come protezione della stessa da qualunque

infiltrazione esterna per mantenere intatte le caratteristiche etniche e culturali.

Vi è tuttavia anche una seconda teoria, o meglio una seconda chiave di lettura della struttura

autonomistica e della relativa tutela minoritaria, che possiamo chiamare “autonomistica”, che

tende a sottolineare l’evoluzione storica più recente e la convivenza ed il benessere raggiunti,

invitando al superamento di talune rigidità statutarie nel nome del mantenimento stesso

dell’autonomia, vista come un bene in se stessa al di là delle sue motivazioni storiche. Quindi

(226) Cfr., sul punto, F. PALERMO, Alto Adige: verso nuovi modelli di convivenza ?, in Le Istituzioni del Federalismo, n. 6/1998, pp. 1098-1101.

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codesta concezione si fonda sull’ assunto secondo il quale l’autonomia altoatesina è prima di

tutto un’autonomia territoriale, e ritiene che un atteggiamento ultradifensivo possa alla lunga

rivelarsi controproducente per il futuro dell’ autonomia e quindi della salvaguardia linguistica

(227).

Dopo aver sommariamente tratteggiato gli elementi principali dell’autonomia ed averne

sottolineato la possibile duplicità d’interpretazione, si possono ricordare alcune recenti

pronunce giurisprudenziali, emblematiche di questa dicotomia interpretativa che ci

consentono di cogliere la portata della tutela delle minoranze linguistiche nella regione

Trentino-Alto Adige/Sudtirol. Nel complesso la Corte Costituzionale tende a far prevalere

l’interpretazione “storica” volta alla tutela dell’ impianto statutario in sé e per sé considerato;

esempi lampanti di questa tendenza interpretativa sono rinvenibili in due recenti pronunce.

Nella prima (228) ossia la sentenza n. 356/1998 la Corte è stata chiamata a pronunciarsi sul

ricorso diretto del rappresentante ladino in Consiglio regionale (articolo 56 secondo comma

dello Statuto), con riferimento alla legge regionale (229) che introduceva una soglia elettorale

cioè il 5 per cento in Trentino ed il quoziente naturale in Alto Adige/Sudtirol 2,8 per cento,

per l’elezione del Consiglio regionale. Con una sentenza, quella sopra ricordata, che ha

causato molte polemiche anche per la sua prossimità con le elezioni svoltesi il 22 novembre

1998, la Corte ha confermato che il principo proporzionalistico, adottato nella Regione con

l’intento di salvaguardare le caratteristiche culturali dei diversi gruppi, “richiede che il

sistema elettorale consenta a ciascun gruppo di presentare una propria lista”. E ciò perché

altrimenti la rappresentanza garantita del gruppo linguistico ladino, in base all’ articolo 62

(227) Le due interpretazioni sullo Statuto di autonomia sono ottimamente evidenziate in F. PALERMO, Alto Adige: verso nuovi modelli di convivenza, op.cit., pp.11011105. (228) Vedi per la sentenza in esame, S. CECCANTI, Democrazia maggioritaria e garanzia delle minoranze sono inconciliabili ? Un commennto alla sentenza n.356/1998 della Corte Costituzionale, in Le Istituzioni del federalismo, n. 6/1998, pp.1115-1127. (229) La legge regionale menzionata, è la n. 5 del 15 maggio 1998.

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dello Statuto d’autonomia, “sarebbe”, prosegue la Corte, “possibile solo a condizione che i

candidati ladini siano ospitati da liste che sono espressione di altri gruppi linguistici”. Per il

giudice delle leggi infatti “la tutela delle minoranze linguistiche ha un significato

particolarmente pregnante nello statuto speciale del Trentino-Alto Adige/Sudtirol”, con la

conseguenza che l’opzione rigidamente proporzionalistica dello Statuto non costituisce una

scelta arbitraria, ma una conseguenza ineludibile della necessità di fornire una rappresentanza

politica ai gruppi linguistici in quanto tali.

Nella seconda sentenza, cioè la n. 213/1998 (230), la Corte ha avuto a ribadire con particolare

chiarezza la propria interpretazione del ruolo e della posizione nel sistema delle fonti delle

norme d’ attuazione degli statuti speciali d’autonomia, con particolare riferimento a quello del

Trentino-Alto Adige/Sudtirol, confermando nella sostanza la loro fattuale sottrazione al

sindacato di legittimità costituzionale dal momento che le disposizioni statutarie e le relative

norme d’attuazione, sarebbero la migliore soluzione storicamente possibile ai problemi

dell’autonomia, intesa come confronto dialettico tra maggioranza e minoranza; riconoscerne

nel caso concreto la sindacabilità equivale, nella sostanza, per la Corte costituzionale, a

sovvertire l’ordinamento costituzionale.

Tuttavia altre recenti pronunce, testimoniano una maggiore attenzione del giudice di

legittimità verso la teoria “autonomistica” non più quindi di mera tutela del modello statutario

e del ruolo delle competenze delle Province autonome. Così, ad esempio, nella sentenza n.

428/1997 il giudice delle leggi, accortosi di evidenti eccessi di politicizzazione da parte sia

della Provincia autonoma di Bolzano/Bozen sia dello Stato con riferimento all’apertura di un

ufficio di rappresentanza interregionale transfrontaliera a Bruxelles, non ha esitato a riportare

immediatamente gli attori del copione costituzionale nei binari del buon senso istituzionale,

indicando nella leale collaborazione con lo Stato da un lato e nel rispetto delle linee evolutive

(230) Cfr., per la sentenza in esame, F. PALERMO, Non expedit della Corte al controllo di costituzionalità delle norme di attuazione degli statuti speciali, in Giur.Cost, 1998, p. 1667 e ss.

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del regionalismo europeo dall’ altro la via da percorrere per consentire l’allargamento degli

spazi dell’autonomia provinciale. Con il risultato che da codesta pronuncia e dalla vicenda

sottostante è derivata l’estensione a tutte le Regioni del potere di istituire propri uffici di

collegamento presso le istituzioni comunitarie (231).

Dopo quest’introduzione generale, utile per intuire come l’intera struttura della regione

Trentino-Alto Adige/Sudtirol sia strutturata in modo da garantire una situazione d’equilibrio

tra le diverse minoranze linguistiche presenti al suo interno, è opportuno ora analizzare nel

dettaglio alcuni istituti giuridici statutari che consentono un’analisi più approfondita della

tutela minoritaria con particolare riferimento al gruppo linguistico tedesco ed italiano.

Mi sembra doveroso iniziare da quello che, all’ interno della regione, è il presupposto primo

per poter tutelare una minoranza linguistica ossia la Dichiarazione di appartenenza , (232) che

è prevista espressamente all’ articolo 18 del d.P.R. 26 luglio 1976 n. 752 (233) (Normativa d’

attuazione dello statuto speciale della regione in materia di proporzione negli uffici statali

nella provincia di Bolzano/Bozen e di conoscenza delle due lingue nel pubblico impiego) il

quale recita al primo comma “Nel censimento generale della popolazione, ogni cittadino d’

età superiore ai quattordici anni, non interdetto per infermità di mente e residente nella

provincia di Bolzano alla data del censimento, è tenuto a rendere una dichiarazione

individuale d’appartenenza ad uno dei tre gruppi linguistici italiano, tedesco e ladino. Coloro

che ritengono di non appartenere ad alcuno dei predetti gruppi linguistici lo dichiarano e

rendono soltanto dichiarazione d’aggregazione ad uno di essi”.

Il secondo comma, sempre del medesimo articolo, prevede poi che la dichiarazione

d’appartenenza sia “resa su modello composto di tre fogli congiunti, rispettivamente A 1, A 2,

A 3” ; di questi tre fogli, il terzo rimane al dichiarante, il secondo, collocato in apposita busta

(231) Cfr., in relazione alla sentenza n.428/1997, L. VIOLINI, Nuove dimensioni fra enti infrastatali europei, in Le Regioni, 1998, p.406 e ss. (233) Il d.P.R. 26 luglio 1976 n. 752, è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 15 novembre 1976 n. 304.

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bianca chiusa ed anonima, è ritirato dal rilevatore che autentica la busta e la inoltra all’ufficio

comunale del censimento il quale a sua volta, senza aprire la busta, la trasmette all’ufficio

provinciale del censimento di Bolzano, ed infine il primo foglio, collocato in un’apposita

busta gialla nominativa, è trasmesso direttamente dal rilevatore al commissariato del governo

per la Provincia autonoma di Bolzano/Bozen o al comune di residenza a seconda

dell’indicazione espressa dal dichiarante sulla medesima busta gialla i quali certificano, con

immediatezza, l’appartenenza o l’aggregazione al gruppo linguistico, ma soltanto a richiesta

del dichiarante ovvero per esigenze di giustizia qualora richiesto dall’ autorità giudiziaria. Se

invece il cittadino residente nella Provincia autonoma di Bolzano/Bozen, non ha potuto

rendere la propria dichiarazione d’appartenenza per forza maggiore o per sua assenza dalla

provincia nel periodo intercorso tra la consegna dei tre moduli ed il loro ritiro, è previsto a suo

favore dall’articolo 18 comma sei che “la dichiarazione è resa, collocata in busta gialla

chiusa nominativa, entro sei mesi dal rientro nella provincia o dalla cessazione della causa di

forza maggiore al Tribunale competente, il quale provvede con decreto motivato non

appellabile sull’ ammissione del cittadino alla dichiarazione, assunte sommarie informazioni

sulla sussistenza dell’ impedimento”. Infine, l’articolo 18 bis precisa che “Anche i cittadini

minori di anni quattordici, concorrono, nell’ ambito del censimento generale della

popolazione, alla determinazione della consistenza proporzionale dei tre gruppi linguistici. A

tal fine la dichiarazione di cui all’ articolo 18, è resa congiuntamente dai genitori o dal

genitore che esercita in via esclusiva la potestà parentale, ovvero da coloro che in

sostituzione dei genitori esercitano la potestà sul minore o che lo rappresentano”.

Un altro istituto giuridico che si pone a tutela delle minoranze linguistiche all’interno della

regione, garantendo una posizione d’ “equilibrio costituzionale”, in particolare tra il gruppo

linguistico tedesco e quello italiano, riguarda il complesso di norme concernente gli organi

istituzionali sia della Regione sia delle due province autonome di Trento e Bolzano/Bozen.

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Analizzeremo alcuni disposti statutari che coinvolgono, in senso stretto, le realtà linguistiche

minoritarie.

Sono, ai sensi dell’ articolo 24 dello Statuto speciale, organi della Regione “Il Consiglio

regionale, la Giunta regionale ed il Presidente della Regione”. Il Consiglio regionale, titolare

di potestà legislativa (234) sia esclusiva sia concorrente sia attuativa, rimane in carica per un

quinquennio ma per esercitare il diritto di voto è necessario risiedere ininterrottamente nella

Regione da 4 anni (articolo 25 dello Statuto); tutto questo perché, attraverso la

subordinazione del diritto di voto alla residenza quadriennale ininterrotta, il legislatore

statutario ha voluto garantire solidità, compattezza e piena integrazione, all’interno del corpo

elettorale, tra i gruppi etnico-linguistici. Risulta poi significativa la disposizione contenuta

all’articolo 30 terzo comma dalla quale s’evince, ancora una volta, come il legislatore abbia

attuato, mediante il criterio della rotazione nella carica di vertice del Consiglio regionale ossia

la Presidenza, una “pacificazione politico-istituzionale” tra i gruppi linguistici presenti

nell’intero territorio regionale: “Nei primi trenta mesi di attività del Consiglio, il Presidente è

eletto tra i consiglieri appartenenti al gruppo di lingua italiana. Per il successivo periodo, il

Presidente è eletto tra i consiglieri appartenenti al gruppo di lingua tedesca. Può essere

eletto un consigliere appartenente al gruppo linguistico ladino, previo assenso, per i rispettivi

periodi, della maggioranza dei consiglieri del gruppo linguistico italiano o tedesco” e si

aggiunge “I Vice-presidenti sono eletti tra i consiglieri appartenenti a gruppi linguistici

diversi da quello del Presidente”. Va comunque precisato, a scanso di equivoci, che, ai sensi

del primo comma dell’articolo 25 dello Statuto d’autonomia, “Il Consiglio regionale è

composto dai membri dei consigli provinciali di Trento e Bolzano” e ciò rappresenta una

condizione fondamentale per la tutela dei gruppi linguistici, in particolare quello italiano e

(234) Tra i settori oggetto di potestà legislativa esclusiva regionale, troviamo: ordinamento degli uffici regionali, ordinamento delle camere di commercio, impianto e tenuta dei libri fondiari ecc. (articolo 4 dello Statuto). Invece tra le materie oggetto di potestà concorrente troviamo: previdenza ed assicurazioni sociali ecc. (articolo 5 dello Statuto).

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tedesco, in quanto si proiettano sul panorama dell’intera regione, le problematiche delle varie

realtà minoritarie presenti in seno alle due province autonome. Non si può infine non mettere

in evidenza la disposizione dell’ articolo 33 primo comma (235) dello Statuto d’autonomia che

recita “Le cause di scioglimento di cui all’ articolo 49 bis (cioè le cause di scioglimento dei

Consigli provinciali) si estendono al Consiglio regionale. In caso di scioglimento del

Consiglio regionale (che però non comporta lo scioglimento dei Consigli provinciali) si

procede, entro tre mesi, a nuove elezioni dei Consigli provinciali” e prosegue al secondo

comma “Con il decreto di scioglimento è nominata una commissione di tre membri, dei quali

uno di lingua tedesca, scelti tra i cittadini eleggibili al Consiglio provinciale”. Ciò significa

che quando il Consiglio regionale viene sciolto per il compimento di atti contrari alla

Costituzione o gravi violazioni di legge o non sostituisce la Giunta regionale o il suo

Presidente che abbiano compiuto analoghi atti o violazioni, il decreto motivato del Presidente

della Repubblica con il quale è disposto lo scioglimento, procede alla nomina di una

commissione, di cui al secondo comma dell’articolo 33, la cui struttura è funzionale al

coinvolgimento del gruppo linguistico tedesco in una situazione particolarmente difficile e

problematica come quella dello scioglimento del Consiglio regionale.

In merito invece alla Giunta regionale (236), che ai sensi dell’articolo 36 primo comma dello

Statuto, “è composta del Presidente, di due Vice-presidenti e di assessori effettivi e

supplenti”, va sottolineato come il legislatore costituente, abbia voluto proiettare anche

nell’organo esecutivo della Regione (articolo 44 primo comma), il medesimo principio di

tutela dei gruppi linguistici adoperato nel Consiglio regionale, attuando una sorta di

“parallelismo istituzionale” che costituisce il presupposto fondamentale per un’ armonia

normativo-amministrativa che rappresenta la condicio iuris in vista di un’effettiva protezione

(235) Cfr., in merito alle cause di scioglimento del Consiglio regionale, A. PIZZORUSSO, Le minoranze nel diritto pubblico interno. Appendice, op.cit., pp. 524-528. (236) Cfr., in merito alla Giunta regionale del Trentino-Alto Adige/Sudtirol, L. PALADIN, Diritto Regionale, Padova, Cedam, 2000, pp. 345-367.

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delle minoranze linguistiche. Recita infatti a tal proposito l’articolo 36 secondo comma “La

composizione della giunta regionale deve adeguarsi alla consistenza dei gruppi linguistici

quali sono rappresentati nel Consiglio della regione. I Vice-presidenti appartengono uno al

gruppo linguistico italiano e l’ altro al gruppo linguistico tedesco. Al gruppo linguistico

ladino è garantita la rappresentanza nella Giunta regionale anche in deroga alla

rappresentanza proporzionale”.

Anche in merito alla struttura delle Province autonome di Trento e Bolzano/Bozen, troviamo

disposizioni statutarie volte alla salvaguardia dei gruppi linguistici minoritari. Innanzitutto va

premesso che, ai sensi dell’ articolo 47 primo comma, sono organi della provincia “Il

Consiglio provinciale, la Giunta provinciale ed il Presidente della Provincia”, e che il

Consiglio provinciale, il quale costituisce l’ organo politico rappresentativo per antonomasia

e portatore, in primis, dei problemi delle minoranze linguistiche, è titolare, in virtù del

disposto dell’ articolo 8 primo comma dello Statuto speciale, di potestà legislativa (nel

rispetto ovviamente di una serie di limiti indicati all’ articolo 4 come l’armonia con la

Costituzione, i principi dell’ ordinamento giuridico della Repubblica, il rispetto degli obblighi

internazionali, tra i quali è compreso quello della tutela delle minoranze linguistiche, le norme

fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica) la quale ha per oggetto

materie e settori che si pongono in strettissima connessione con le realtà linguistiche

minoritarie come, ad esempio, la tutela e la conservazione del patrimonio storico-artistico, la

toponomastica fermo restando però l’obbligo del bilinguismo nel territorio della provincia di

Bolzano, usi e costumi locali ecc. Se poi analizziamo, nel dettaglio, la struttura delle Province

speciali, riscontriamo disposti i quali si collocano in una dimensione di stretto parallelismo

con quelli, precedentemente analizzati, relativi alla regione: l’articolo 48 ter terzo comma

prevede, in riferimento al Consiglio provinciale di Bolzano/Bozen, che “Nei primi trenta mesi

d’ attività del Consiglio provinciale di Bolzano, il Presidente ( del Consiglio provinciale ) è

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Gruppi minoritari nazionali

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eletto tra i consiglieri appartenenti al gruppo di lingua tedesca; per il successivo periodo il

Presidente è eletto tra i consiglieri appartenenti al gruppo di lingua italiana. Può essere eletto

un consigliere appartenente al gruppo linguistico ladino previo assenso, per i rispettivi

periodi, della maggioranza dei consiglieri del gruppo linguistico tedesco o italiano”; l’ articolo

48 terzo comma invece, con riferimento al Consiglio provinciale di Trento e a tutela dei

Ladini fassani, stabilisce che “Un seggio del Consiglio provinciale di Trento è assegnato al

territorio coincidente con quello dei comuni di Moena, Soraga, Vigo di Fassa, Pozza di

Fassa, Mazzin, Campitello di Fassa e Canazei, ove è insediato il gruppo linguistico ladino-

dolomitico” ; infine l’articolo 50 secondo comma il quale, riguardo alla Giunta provinciale di

Bolzano/Bozen , dispone che “La composizione della Giunta provinciale di Bolzano/Bozen,

deve adeguarsi alla consistenza dei gruppi linguistici quali sono rappresentati nel Consiglio

della provincia. I componenti della Giunta che non appartengono al Consiglio, sono eletti dal

Consiglio provinciale stesso con la maggioranza dei due terzi dei suoi componenti su

proposta di uno o più gruppi consiliari purchè vi sia il consenso dei consiglieri del gruppo

linguistico dei designati, limitatamente ai consiglieri che costituiscono la maggioranza che

sostiene la Giunta provinciale” ed aggiunge, come già visto in merito alla struttura regionale,

“ I Vice-presidenti (che sono due) della Giunta appartengono uno al gruppo linguistico

tedesco e l’ altro a quello italiano . Al gruppo linguistico ladino può essere riconosciuta la

rappresentanza nella Giunta provinciale di Bolzano anche in deroga alla rappresentanza

proporzionale”.

Infine, a conclusione del discorso sulla struttura degli organi regionali e provinciali, non

possiamo non menzionare il disposto dell’ articolo 56 dello Statuto che, in materia di potestà

legislativa sia della Regione sia delle due Province autonome, vuole evitare le spinte in avanti

di un gruppo linguistico a scapito dell’ altro, attuando così una sorta d’ equilibrio legislativo

indispensabile per una serena coabitazione tra le diverse realtà minoritarie: infatti nell’

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Gruppi minoritari nazionali

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eventualità in cui una proposta di legge regionale o provinciale ledesse la parità dei diritti tra i

cittadini dei diversi gruppi linguistici o delle caratteristiche etniche e culturali dei gruppi

medesimi, la maggioranza dei consiglieri di un gruppo linguistico nel Consiglio regionale o

provinciale, può chiedere che si voti per gruppi linguistici. In caso di mancato accoglimento

della richiesta, il gruppo che si reputa leso può impugnare la legge dinanzi alla Corte

Costituzionale entro trenta giorni dalla sua pubblicazione. Tuttavia il ricorso non ha effetto

sospensivo (237).

Un altro settore, d’importanza basilare, che dimostra lo sforzo del legislatore costituente di

realizzare una tutela positiva delle lingue minoritarie, riguarda l’uso della lingua nei

procedimenti giudiziari con particolare attenzione al procedimento penale. Sul punto,

abbiamo due disposti generali i quali riguardano rispettivamente l’uso della lingua in tutti gli

uffici giudiziari e l’ uso della lingua nel procedimento penale. In relazione al primo aspetto,

va citato il disposto dell’ articolo 13 del d.P.R. 15 luglio 1988 n. 574 (238) (Norme

d’attuazione dello statuto speciale del Trentino-Alto Adige/SudTirol in materia d’uso della

lingua tedesca e della lingua ladina nei rapporti dei cittadini con la pubblica amministrazione

e nei procedimenti giudiziari), come recentemente modificato dal decreto legislativo delegato

29 maggio 2001 n. 283 (239), il quale prevede che “Gli uffici e gli organi giudiziari indicati

nell’ articolo 1 (Corte d’ Appello, Corte d’ assise d’ Appello, Tribunale per i minorenni ecc.)

devono servirsi, nei rapporti con i cittadini della provincia di Bolzano e negli atti cui gli

stessi sono interessati, della lingua usata dal richiedente, salvo quanto disposto negli articoli

seguenti” . La qual cosa sta ad indicare che, grazie al principio della parificazione della lingua

(237) Cfr., in merito alle disposizioni statutarie sulle Province autonome di Trento e Bolzano/Bozen, A. PIZZORUSSO, Commento allo Statuto speciale del Trentino-Alto Adige/Sudtirol; in G. Branca (a cura di) Commentario della Costituzione, Bologna, Zannichelli, 1975, p. 296 e ss. (238) Il d.P.R. 15 luglio 1988 n. 574, è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana dell’ 8 maggio 1989 n. 105. (239) Il D.Lgs 29 maggio 2001 n. 283, è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 14 luglio 2001 n. 162 ( supplemento ordinario ).

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Gruppi minoritari nazionali

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tedesca a quella italiana (articolo 99 dello Statuto speciale), negli uffici giudiziari della

provincia autonoma di Bolzano/Bozen c’è la facoltà di adoperare indistintamente le due

lingue (il c.d. bilinguismo). Mentre, con particolare attenzione al procedimento penale,

riscontriamo la lettera dell’ articolo 109 con il quale si apre il secondo libro dell’ attuale e

vigente codice italiano di procedura penale: “Gli atti del procedimento penale sono in lingua

italiana” e, si prosegue nel secondo comma “Davanti all’ autorità giudiziaria avente

competenza di primo grado o di appello su un territorio dov’ è insediata una minoranza

linguistica è, a sua richiesta, interrogato o esaminato nella madrelingua ed il relativo verbale

è redatto anche in tale lingua. Nella stessa sono tradotti gli atti del procedimento a lui

indirizzati successivamente alla sua richiesta. Restano salvi gli altri diritti stabiliti da leggi

speciali e da convenzioni internazionali”. Proprio nella parte finale del secondo comma, vi è

un palese rinvio alle leggi speciali le quali, in quanto tali, possono prevedere forme di

trattamento delle minoranze linguistiche più incisive in alcuni momenti importanti del

procedimento penale, al di là della problematica della lingua degli atti di cui si occupa

espressamente l’ articolo ora riportato; infatti all’articolo 14 del d.P.R. n. 574/1988, si prevede

che in caso d’ arresto in flagranza, di fermo o di esecuzione di una misura cautelare personale,

gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria hanno l’obbligo di chiedere alla persona

sottoposta alla misura cautelare personale ecc. quale sia la sua lingua materna (ovviamente

deve sempre trattarsi di lingua parificata a quella italiana cioè, nel caso dell’Alto Adige, il

tedesco). In caso di dichiarazione della lingua, gli atti sono redatti nella lingua materna

indicata; tuttavia nell’ eventualità, non trascurabile, nella quale l’interessato si rifiutasse di

rispondere si procede con la presunta lingua materna da determinarsi in base alla notoria

appartenenza della persona stessa ad un gruppo linguistico ovvero in base ad altri elementi

eventualmente acquisiti. A questo punto, il pubblico ministero che ravvisi indici di

colpevolezza, in virtù dell’ articolo 15 primo comma, dopo aver iscritto il nome della persona

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Gruppi minoritari nazionali

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nel registro previsto dall’ articolo 335 del codice di procedura penale, forma gli atti nella

presunta lingua materna della persona sottoposta alle indagini, da determinarsi in base al testo

sopra riportato dell’ articolo 14. Tuttavia, in conformità alla previsione del secondo comma

dell’ articolo 15, la persona sottoposta alle indagini, a seguito di notificazione dell’

informazione di garanzia o in virtù della notificazione o comunicazione di altri atti formali

equipollenti, entro il termine perentorio di 15 giorni decorrenti dalla notificazione o

comunicazioni, ha facoltà di chiedere al pubblico ministero personalmente o mediante atto

scritto con firma autenticata dal difensore che il procedimento penale prosegua nell’ altra

lingua. Inoltre va aggiunto che, in virtù dell’ articolo 15 terzo comma, quando il P.M. procede

all’ interrogatorio di una persona sottoposta a misura cautelare ovvero ad altro atto al quale la

predetta interviene personalmente, e la medesima non abbia avuto la possibilità di effettuare

la richiesta circa la lingua da impiegare, deve domandare all’ interessato quale sia la sua

lingua materna. Questi principi ora delineati di scelta della lingua, si applicano anche alle

successive fasi del procedimento penale; infatti l’ articolo 16 primo comma del d.P.R. 15

luglio 1988 n. 574 contempla espressamente che “L’ udienza preliminare ed il giudizio,

anche abbreviato, si svolgono nella lingua individuata secondo la disciplina dettata dagli

articoli 14 e 15”; esiste tuttavia un limite a questa libertà di scelta della lingua, nei successivi

gradi di giudizio, il quale trova fondamento normativo nel primo comma dell’ articolo 17 bis

in quanto si afferma chiaramente che “La lingua del processo osservata nella fase conclusiva

del giudizio di primo grado si estende al giudizio d’ appello. All’ imputato è, tuttavia, data

facoltà di richiedere, per una sola volta, la prosecuzione del giudizio di secondo grado nell’

altra lingua” precisando che, se appellante è l’imputato, la relativa facoltà dovrà essere

esercitata, a pena di decadenza, con dichiarazione esplicita sottoscritta personalmente

dall’imputato nell’atto dell’appello o stesa in calce al medesimo (in questo caso lo stesso atto

di appello dovrà essere redatto nella nuova lingua scelta; invece, se appellante è il pubblico

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ministero, la facoltà in esame dovrà essere sempre esercitata dall’ imputato, a pena di

decadenza, non oltre l’ apertura del dibattimento d’ appello, con dichiarazione esplicita resa

alla Corte personalmente o mediante atto scritto con firma autenticata dal difensore (240). A

coronamento di queste riflessioni, bisogna evidenziare come alla minoranza linguistica

tedesca sia riconosciuta anche una tutela extraterritoriale nell’ uso della lingua, infatti, ai sensi

dell’ articolo 24 del d.P.R n. 574/1988 “Nei procedimenti innanzi agli organi giuridizionali

ordinari, amministrativi e tributari, i cittadini appartenenti al gruppo linguistico tedesco,

residenti nella provincia di Bolzano, hanno facoltà di rendere le loro dichiarazioni o

deposizioni in lingua tedesca”.

Ma prima di chiudere la parte relativa all’utilizzo della lingua nei procedimenti giudiziari, va

citata un’ importantissima e relativamente recente sentenza della Corte di Giustizia

dell’Unione Europea, che ha sede a Strasburgo, del 24 novembre 1998 (241) relativa

all’estendibilità del diritto ad ottenere un processo in lingua tedesca, nella Provincia autonoma

di Bolzano/Bozen, anche ai cittadini comunitari di lingua tedesca (tedeschi ed austriaci) che

ne facciano richiesta esplicita, superando di fatto l’obiezione mossa dal Governo italiano in

quanto si afferma che la tutela di una minoranza linguistica deve avvenire non solo con criteri

di ordine territoriale ma personale.

Un altro istituto giuridico (242), rilevante sul piano della tutela minoritaria all’ interno della

Regione, è l’ utilizzo della lingua nei rapporti con la pubblica amministrazione. A riguardo

risultano significativi gli articoli 7 e 8 del d.P.R. 15 luglio 1988 n. 574 dai quali si evincono

tutta una serie di principi fondamentali in materia. Innanzitutto, la normativa d’ attuazione

(240) Cfr., in merito all’uso della lingua nei procedimenti giudiziari, F. PALERMO, L’ Alto Adige tra tutela dell’ etnia e governo del territorio; in Seminario di studi sull’ Alto Adige, Trento, 2001 (paper). (241) In merito alla sentenza ora riportata, vedi la causa C-274/96, Bickel e Franz. (242) Cfr., in merito all’utilizzo della lingua nei rapporti con la pubblica amministrazione, G. POLONIOLI-L. BOCCHI, Proporzionale etnica negli uffici statali siti nella provincia di Bolzano e conoscenza delle due lingue nel pubblico impiego; in Regione autonoma Trentino-Alto Adige-Università degli studi di Trento, Trento, 2001, pp. 183 e ss.

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Gruppi minoritari nazionali

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dello Statuto d’ autonomia prevede l’obbligo, a carico degli uffici pubblici e dei concessionari

di pubblico servizio che ricevono istanze, denunce o dichiarazioni, a formulare gli atti ed i

provvedimenti nonché ad eseguire le prescritte comunicazioni e prescrizioni nella lingua

utilizzata dal richiedente o denunciante (articolo 7 primo comma). Invece per gli atti o i

provvedimenti da emettere, comunicare o notificare, motu proprio, gli uffici pubblici ed i

concessionari di pubblico servizio si servono della lingua presunta del destinatario,

adeguandosi, in ogni caso, nei rapporti orali, alla lingua adoperata dal richiedente (articolo 7

terzo comma). In particolare, per i cittadini residenti nella provincia autonoma di

Bolzano/Bozen, è prevista la facoltà di sollevare eccezioni di nullità di atti o provvedimenti

amministrativi se emessi in contrasto con i principi, ora elencati, ricavati dall’ articolo 7

(articolo 8 primo comma). La relativa eccezione può essere sollevata anche oralmente dinanzi

all’ ufficio o concessionario di pubblico servizio che ha emesso l’atto o il provvedimento

amministrativo viziato, nel termine perentorio di dieci giorni da quello in cui l’ interessato ne

ha avuto conoscenza o da quello in cui la comunicazione o notificazione viene eseguita

(articolo 8 secondo comma). La medesima eccezione può essere proposta, nello stesso

termine e con le stesse modalità, davanti al sindaco o ad un suo delegato del comune di

residenza dell’ interessato ma solo quando l’ atto o il provvedimento è stato emesso da uffici

pubblici o concessionari di pubblico servizio che hanno la loro sede in un altro comune

(articolo 8 terzo comma). Nel caso in cui, viene ritenuta fondata l’ eccezione si provvede, a

cura dell’ ufficio o concessionario di pubblico servizio interessato, alla rinnovazione dell’ atto

( articolo 8 sesto comma ), in caso contrario si dà notizia del rigetto all’ interessato.

Per quanto concerne invece l’ assunzione nel pubblico impiego, il d.P.R. 26 luglio 1976 n. 752

(243) ( Norme d’ attuazione dello statuto speciale della Regione Trentino-Alto Adige/Sudtirol

in materia di proporzione negli uffici statali siti nella Provincia di Bolzano e di conoscenza (243) Il d.P.R. 26 luglio 1976 n. 752, è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 15 novembre 1976 n. 304 .

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delle due lingue nel pubblico impiego), come modificato dal decreto legislativo delegato 9

settembre 1997 n. 354 ( 244 ), stabilisce, all’articolo 1 primo comma che “La conoscenza della

lingua italiana e di quella tedesca, adeguata alle esigenze del buon andamento del servizio,

costituisce requisito per le assunzioni comunque strutturate e denominate ad impieghi nelle

amministrazioni dello Stato, comprese quelle con ordinamento autonomo, e degli enti

pubblici in provincia di Bolzano” . Come risulta dal testo normativo ora riportato, si vede

come non solo il principio di tutela delle minoranze linguistiche ma soprattutto il principio,

costituzionalmente previsto all’ articolo 97 primo comma (245) della Costituzione cioè il buon

andamento nella pubblica amministrazione, costituisce per il legislatore della normativa

d’attuazione, il presupposto giustificativo fondamentale per prevedere la conoscenza delle due

lingue in caso d’assunzione nei pubblici uffici sia statali sia degli enti pubblici siti nella

Provincia autonoma di Bolzano/Bozen. Risulta comunque logico che la conoscenza delle due

lingue, presupponga un accertamento, e per questo motivo il legislatore, all’ articolo 3 del

d.P.R. 26 luglio 1976 n. 752, ha previsto la formazione di una o più commissioni, nominate

con decreto del commissario del Governo d’ intesa con il presidente della Giunta provinciale

ma sempre previa deliberazione della Giunta stessa, con l’obiettivo di procedere

all’accertamento sia della lingua italiana sia della lingua tedesca. La presidenza di ciascuna

commissione è assunta, con alternanza per sessione d’esame, da un commissario di madre

lingua italiana e da un commissario di madre lingua tedesca, e per superare l’esame, il

candidato deve ottenere la maggioranza dei voti dei componenti della commissione. Le

commissioni rilasciano attestati (il c.d. patentino), che hanno validità di sei anni, di

conoscenza delle due lingue riferiti ai titoli di studio prescritti per l’accesso al pubblico

(244) Il D.Lgs 9 settembre 1997 n. 354, è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 20 ottobre 1997 n. 245. (245) L’ articolo 97 primo comma della Costituzione Repubblicana recita “I pubblici uffici sono organizzati secondo le disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’ imparzialità dell’ amministrazione”.

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impiego nelle varie qualifiche funzionali o categorie (articolo 4 primo e secondo comma).

Infine l’ elenco dei candidati che hanno superato l’ esame deve essere trasmesso al

commissario del Governo ed alla provincia di Bolzano (articolo 3 quinto comma ) (246).

Ovviamente ed a coronamento delle riflessioni finora condotte, va precisato che il

presupposto il quale consente la possibilità della c.d. doppia lingua nei procedimenti

giudiziari, nel pubblico impiego ecc è rappresentato dal principio della parificazione della

lingua tedesca a quella italiana (c.d. coufficialità) sancito all’ articolo 99 dello Statuto

speciale. Esso prevede espressamente “Nella regione, la lingua tedesca è parificata a quella

italiana che è la lingua ufficiale dello Stato. La lingua italiana fa testo negli atti aventi

carattere legislativo e nei casi nei quali dal presente statuto è prevista la redazione bilingue

(cioè gli atti destinati alla generalità dei cittadini, atti destinati ad una pluralità di uffici ecc.)”.

L’ultimo istituto giuridico che costituisce una peculiarità fondamentale della Regione

Trentino-Alto Adige/SudTirol, è rappresentato dalla proporzionale etnica (247), da conseguire

e da salvaguardare fra i titolari della generalità degli uffici statali insediati nella Provincia

autonoma di Bolzano/Bozen, compreso il personale della magistratura giudicante e requirente.

A questo fine vengono infatti stabiliti appositi ruoli suddivisi fra i vari gruppi linguistici, in

rapporto alla loro consistenza risultante dal censimento ufficiale della popolazione, con

adeguate riserve di posti nei pubblici concorsi e con la previsione, in linea di massima, della

stabilità di sede nella Provincia di Bolzano/Bozen. Risulta, sul punto, significativo il disposto

statutario dell’ articolo 89: “Per la provincia di Bolzano sono istituiti ruoli del personale

civile, distinti per carriere, relativi alle amministrazioni statali aventi uffici nella provincia.

Tali ruoli sono determinati sulla base degli organici degli uffici stessi, quali stabiliti, ove

(246) Si veda, G. POLONIOLI-L. BOCCHI, Proporzionale etnica negli uffici statali siti nella provincia di Bolzano e conoscenza delle due lingue nel pubblico impiego, op. cit., pp. 183 e ss. (247) Cfr., G. POLONIOLI-L. BOCCHI, Proporzionale etnica negli uffici statali siti nella provincia di Bolzano e conoscenza delle due lingue nel pubblico impiego, op. cit., pp. 183 e ss.

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occorra, con apposite norme” (primo comma); “I posti di ruolo, di cui al primo comma,

considerati per amministrazione e per carriera, sono riservati ai cittadini appartenenti a

ciascuno dei tre gruppi linguistici, in rapporto alla consistenza dei gruppi stessi, quale risulta

dalle dichiarazioni d’ appartenenza rese nel censimento ufficiale della popolazione” (terzo

comma); “Al personale dei ruoli di cui al primo comma, è garantita la stabilità di sede nella

provincia, con esclusione degli appartenenti ad amministrazioni o carriere per le quali si

rendano necessari trasferimenti per esigenze di servizio e per addestramento del personale”

(quinto comma); “Le disposizioni sulla riserva e ripartizione proporzionale tra i gruppi

linguistici italiano e tedesco dei posti esistenti nella provincia di Bolzano, sono estese al

personale della magistratura giudicante e requirente” (sesto comma). Se però confrontiamo il

disposto ora citato, con l’articolo 51 primo comma della Costituzione, prescrivente che “Tutti

i cittadini dell’ uno o dell’ altro sesso possono accedere agli uffici pubblici ed alle cariche

elettive in condizioni d’ uguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge”, si mette in

evidenza una deroga tanto manifesta, che si potrebbe essere indotti a ritenere

l’incostituzionalità della disciplina statutaria stridente con un principio fondamentale

dell’ordinamento costituzionale italiano. Ma giova ricordare, come evidenziato dalla Corte

Costituzionale con sentenza 4 maggio 1990 n. 224 (248), che la proporzionale etnica ricava la

sua giustificazione del principio supremo dell’ordinamento espresso all’ articolo 6 della

Costituzione, senza che si ravvisi, perciò stesso, una violazione del disposto costituzionale

dell’articolo 3 in quanto, come ribadito dalla giurisprudenza costituzionale, ci troviamo

davanti ad un’ipotesi legislativa (quella dell’articolo 89 dello Statuto) che solo

apparentemente discrimina un gruppo di cittadini, ma che nella sostanza ristabilisce

l’uguaglianza delle condizioni attuando una forma di tutela positiva del principio

costituzionale di tutela delle minoranze linguistiche, sancito espressamente all’articolo 6 della

(248) Per il testo della sentenza, si veda il sito web www.giurcost.org.

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nostra Costituzione repubblicana e che ha quindi, in tema di protezione delle lingue e culture

minoritarie un ruolo prevalente e predominate anche su tutti gli altri principi fondamentali

elencati negli articoli 1-12 della Carta costituzionale (249).

4.3: I ladini della Provincia di Bolzano/Bozen - Tra le minoranze linguistiche non nazionali,

i ladini della Provincia autonoma di Bolzan/Bozen, costituiscono sicuramente il gruppo

linguistico al quale l’ ordinamento dello Stato ha accordato le tecniche più soddisfacenti di

protezione a livello di rappresentanza politica, nella garanzia dell’ uso della lingua nell’

insegnamento, nella toponomastica ecc.

Il gruppo ladino dolomitico o ladino centrale (circa 30.000 unità) artificiosamente smembrato

da un confine politico-amministrativo in due Regioni ossia Trentino-Alto Adige/Sudtirol e

Veneto, e tre Province cioè Bolzano/Bozen, Trento e Belluno, è tradizionalmente ritenuto da

storici e linguisti come la porzione di una più vasta entità linguistica ladina, che trova

propaggini in Italia nel gruppo dei ladino-friulani e in Svizzera nei reto-romanci grigionesi.

La separazione burocratica dei gruppi ladini, ora evidenziata, si riflette sul grado di tutela e

protezione che, appunto, raggiunge il livello più elevato nei confronti delle popolazioni ladine

delle valli Badia e Gardena (in Provincia di Bolzano), si attenua in riferimento al nucleo dei

ladini fassani (in Provincia di Trento), riducendosi ulteriormente per i ladini ampezzani e per i

friulani. A questo proposito, se la legge ordinaria dello Stato 15 dicembre 1999 n. 482 sulla

tutela generale delle minoranze linguistiche, avesse utilizzato una formula onnicomprensiva

del tipo “popolazioni parlanti il ladino”, al posto delle espressioni “popolazioni parlanti il

friulano ecc.” si sarebbero create, de iure condendo, le basi per una considerazione globale

delle varie comunità di lingua ladina stanziate nella penisola.

(249) Gli articoli 1-12 costituiscono l’ insieme di quelli che sono chiamati principi supremi dell’ordinamento costituzionale italiano.

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Con particolare attenzione ai ladini dell’ Alto Adige/Sudtirol, va detto che, se dal linguaggio

complessivo del legislatore dello Statuto, riscontriamo espressioni troppo generiche come

“popolazioni ladine” ( articolo 102 primo comma ), “località ladine” (articolo 102 secondo

comma), è stata indubbiamente la Corte Costituzionale, con sentenza 10 giugno 1994 n. 233

(250), a precisare l’importanza di questa minoranza linguistica affermando che “le popolazioni

ladine, di antichissima tradizione e portatrici di preziosi valori culturali, meritano

indubbiamente ampio riconoscimento”.

La situazione di particolare favore riservata dall’ ordinamento al gruppo ladino della

Provincia di Bolzano, è intimamente collegato alla soluzione della vertenza altoatesina che,

tenendo impegnati i Governi italiano ed austriaco per quasi mezzo secolo, era stata

contrassegnata dall’ esecuzione degli accordi De Gasperi-Gruber (1946) e Moro-Waldheim

(1969), culminando nella redazione del primo Statuto speciale (legge costituzionale n. 5 del

1948) e nella revisione dello stesso all’inizio degli anni ‘ 70 (d.P.R. n. 670/1972) il quale si

inseriva nel “pacchetto” degli impegni presi tra i due paesi. Ma mentre il primo Statuto

speciale della Regione Trentino-Alto Adige/Sudtirol aveva introdotto delle differenziazioni

tra gruppo italiano e tedesco da una parte e gruppo ladino dall’ altra, come, ad esempio,

l’esclusione dei ladini dalla presidenza e vicepresidenza dei consigli regionale e provinciale di

Bolzano/Bozen, la riforma statutaria del 1971-1972, con le recenti e parziali modifiche della

legge costituzionale n. 2 del 2001, che ha avuto l’effetto di trasferire numerose competenze

legislative ed amministrative dalla Regione alle due Province autonome, ha prodotto l’effetto

d’adottare misure di protezione e salvaguardia del gruppo linguistico ladino più incisive.

Al di là del disposto statutario dell’articolo 62 (“Le norme sulla composizione degli organi

collegiali degli enti pubblici locali in provincia di Bolzano garantiscono la rappresentanza

del gruppo linguistico ladino”) il quale, come precisato da una sentenza della Corte (250) Cfr., per la sentenza in oggetto, la rivista Giur. Cost., 1994, p. 1932 e ss. in particolare il punto 7 del considerato in diritto.

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Costituzionale n. 261/1995 si riferisce agli organi non elettivi, è stata solo la recente modifica

statutaria del 2001 a ribadire e rafforzare la garanzia di rappresentanza (251) del gruppo ladino

negli organi elettivi. Infatti è stata prevista la possibilità che un consigliere appartenente al

gruppo linguistico ladino sia eletto alle cariche di presidente o vicepresidente del Consiglio

regionale, previo assenso per le due metà della legislatura della maggioranza dei consiglieri

del gruppo linguistico italiano o tedesco (articolo 30 terzo comma), la facoltà di riconoscere al

gruppo ladino la rappresentanza nella Giunta provinciale di Bolzano anche in deroga alla

rappresentanza proporzionale (articolo 50 terzo comma), e lo stesso dicasi per la Giunta

regionale (articolo 36 terzo comma).

Ma è la materia scolastica, il settore in cui, più d’ ogni altro, si mette in risalto la tutela del

gruppo ladino. In base all’articolo 12 del d.P.R. n. 89/1983 (252), la Provincia determina e

distribuisce in appositi ruoli il contingente organico da destinare alle scuole di lingua italiana,

tedesca e ladina; con riferimento a queste ultime, la lingua ladina è impiegata nelle scuole

dell’infanzia, insegnata nelle scuole primarie ed utilizzata come lingua veicolare (253) cioè

come strumento d’ insegnamento (articolo 19 dello Statuto secondo comma). Inoltre per

l’insegnamento nelle scuole primarie delle località ladine è prescritto il requisito della

madrelingua, che rappresenta il titolo di precedenza assoluta nella nomina per la copertura

delle cattedre di lingua italiana e tedesca nelle aree ladine (articolo 13 d.P.R n. 89/1983 )(254).

(251) Cfr., in tema di rappresentanza politica dei ladini, R. TONIATTI, La rappresentanza politica delle minoranze linguistiche: i ladini fra rappresentanza “assicurata” e “garantita”, op. cit., p. 271 e ss. (252) Il d.P.R n. 89/1983 è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana 2 aprile 1983 n. 91. (253) Cfr., sul punto, la sentenza della Corte Costituzionale n. 101/1976 dove per la prima volta viene sancito il principio della lingua ladina come lingua d’ insegnamento in quanto non si ravvisava contrasto tra carattere veicolare del ladino ed il fatto che, nelle valli ladine, l’ insegnamento deve essere impartito in modo paritetico; in Giur. Cost., 1976, p. 551 e ss. (vedi commento di A. PIZZORUSSO, Problemi di tutela “della minoranza nella minoranza” ). (254) Cfr., per l’ uso della lingua ladina nelle scuole, V. PIERGIGLI, Lingue minoritarie ed identità culturali, op. cit., pp. 221-222.

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Gruppi minoritari nazionali

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Infine per quanto concerne l’ uso della lingua nell’ ambito della pubblica amministrazione, va

detto che, mentre è concessa piena facoltà ai cittadini di lingua ladina della Provincia di

Bolzano di usare il proprio idioma nei rapporti orali e scritti con gli uffici della pubblica

amministrazione siti nelle località ladine, con esclusione delle Forze armate e delle Forze di

Polizia, per gli atti pubblici e qualunque altro scritto, nonché per la compilazione dei processi

verbali delle adunanze degli organi elettivi degli enti locali siti nelle località ladine della

provincia, è prescritto l’obbligo del trilinguismo (articolo 32 primo, terzo e quinto comma del

d.P.R. n. 574/1988); si precisa inoltre che la possibilità di usare il ladino è concessa anche al

di fuori delle suddette località ladine ma solo con gli uffici della provincia che svolgono

funzioni esclusivamente o prevalentemente nell’ interesse dei ladini (articolo 32 primo

comma, parte finale del d.P.R. n. 574/1988).

In sede giudiziaria, nel processo monolingue sia nell’una sia nell’altra lingua ufficiale, è

attribuito ai cittadini di madrelingua ladina residenti nella Provincia di Bolzano/Bozen il

diritto di servirsi della lingua materna con l’ausilio di un interprete; diversamente dai cittadini

germanofoni, tuttavia, non è ammessa per i ladini la possibilità di derogare al principio

territoriale (articolo 32 quarto comma del d.P.R. n. 574/1988) con la conseguenza che la

garanzia dell’uso della lingua materna nel processo opera limitatamente ai giudizi che si

celebrano nella Provincia autonoma di Bolzano/Bozen (255) e non è dunque suscettibile, a

differenza di quella tedesca, d’applicazione extraterritoriale. E ciò in quanto la lingua ladina

non beneficia del regime di coufficialità bensì gode, come visto nel capitolo secondo della

presente trattazione, di una dimensione di quasi-ufficialità. Anche se, nella sostanza dei fatti,

nel corso del tempo l’idioma ladino ha acquistato un peso sempre più considerevole

all’interno dell’ordinamento regionale del Trentino-Alto Adige/Sudtirol.

(255) Cfr., A. PIZZORUSSO, Libertà di lingua e diritti linguistici, op. cit., p. 1332 e ss.

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4.4: La tutela del gruppo ladino alla luce della giurisprudenza costituzionale - Prima di

procedere all’esame dell’ultima decisione presa dalla Corte, sentenza n. 356/1998 (256), in

tema di salvaguardia del gruppo ladino in Trentino-Alto Adige/SudTirol e più in generale in

tema di rappresentanza delle minoranze linguistiche all’ interno dell’ ordinamento regionale

interessato, non si può non ricordare che, proprio relativamente al tema della rappresentanza

politica della minoranza ladina, ci sono già state, in passato, alcune pronunce della Corte,

ognuna delle quali non risulta essere strettamente collegabile con le altre sia sul piano della

motivazione adottata che su quello della conclusione del giudizio. Infatti sulla base di questi

precedenti non si è venuto a formare un chiaro e definito indirizzo giurisprudenziale in

materia di diritto elettorale della minoranza ladina, la cui problematica deve essere risolta

caso per caso.

La prima questione di costituzionalità, sollevata nel 1993 ed affrontata con sentenza 14

dicembre 1993 n. 438 (257), investiva la legge elettorale della Camera dei deputati nella parte

in cui prevede la clausola di sbarramento del 4 per cento (per l’assegnazione, con metodo

proporzionale, del 25 per cento dei seggi), la cui applicazione, si sosteneva da parte del

ricorrente, avrebbe reso impossibile l’ accesso alla rappresentanza parlamentare per la

minoranza linguistica tedesca e ladina, violando così il principio della parità dei diritti di cui

all’articolo 2 dello Statuto speciale, che, ricordo ha il rango di legge costituzionale. La Corte

Costituzionale tuttavia, e con grande stupore da parte degli addetti ai lavori, decise di non

decidere, nel senso che dopo aver significativamente riconosciuto “che alla minoranza di

lingua tedesca e ladina è costituzionalmente garantito il diritto d’ esprimere, in condizioni di

effettiva parità, la propria rappresentanza politica” e dopo aver preso atto che non vi sarebbe

(256) op.cit. (257) Cfr., S. BARTOLE, Ancora un caso di inquietante inammisibilità, in Giur. Cost., 1993, p. 3575 e ss.

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stata, nel caso d’illegittimità costituzionale, una soluzione obbligata ma piuttosto una pluralità

di soluzioni, la Corte ritenne di non potersi sostituire al legislatore nazionale in una scelta a lui

riservata e perciò dichiarò l’inammissibilità della questione.

La seconda questione di costituzionalità, sollevata nel 1994 e decisa con sentenza 6 giugno

1994 n. 233 (258), si riferiva alla riapprovazione di una delibera legislativa regionale del

Trentino-Alto Adige/Sudtirol, finalizzata a garantire, anche ai ladini della provincia autonoma

di Trento, la rappresentanza del proprio gruppo sia in Consiglio regionale che in quello

provinciale (assicurata oggi per il solo gruppo ladino della provincia di Bolzano). La Consulta

dichiarò l’illegittimità costituzionale di tale delibera, in quanto i principi costituzionali in tema

d’ uguaglianza del voto, avrebbero potuto essere derogati solo da norme di rango

costituzionale: ovvero, nel caso specifico, solo tramite modifiche statutarie.

La terza questione di legittimità costituzionale, sollevata nel 1995 e decisa con sentenza n.

261/1995 (259), nasceva da un ricorso promosso dal rappresentante ladino in Consiglio

regionale, contro la legge regionale sull’ elezione diretta del sindaco e sul sistema d’ elezione

dei consigli comunali. Si lamentava la mancanza della tutela del gruppo di minoranza ladino,

che si sarebbe dovuta avere attraverso una rappresentanza garantita nei consigli e nelle giunte

comunali della Provincia di Bolzano, sulla base di un’estensione analogica delle garanzie

statutarie previste a livello regionale ed espresse nell’ articolo 61 primo comma dello Statuto

d’Autonomia dove si recita “Nell’ ordinamento degli enti pubblici locali sono stabilite norme

atte ad assicurare la rappresentanza proporzionale dei gruppi linguistici nei riguardi della

costituzione degli organi degli enti stessi”. La Corte Costituzionale, con la pronuncia di cui

sopra, nel dichiarare non fondato il ricorso, ha distinto due strumenti di tutela dei gruppi

linguistici, entrambi finalizzati a garantire, allo stesso tempo, una disciplina di favore delle

(258) Cfr., per la sentenza in oggetto, la rivista giuridica Giur. Cost., 1994, p. 753 e ss. (259) Cfr., per la sentenza in questione, la rivista giuridica Giur. Cost., 1995, p. 185 e ss

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minoranze e la parità di trattamento di tutti i cittadini sotto il profilo dell’ uguaglianza del

voto. Il primo strumento è quello della “rappresentanza assicurata” che è destinata ad

operare attraverso il criterio della proporzionalità con riferimento sia al sistema elettorale sia

alla composizione degli organi collegiali, mentre il secondo strumento è quello della

“ rappresentanza garantita” (260) il cui meccanismo di funzionamento è volto a garantire la

necessaria presenza di un gruppo linguistico minoritario in organi elettivi e non, prescindendo

dai rapporti numerici.

L’ultima questione di costituzionalità, che ora ci prestiamo a considerare, si riferisce alla

sentenza n. 356/1998 (261). Con la medesima la Corte Costituzionale ha dichiarato

l’illegittimità costituzionale della legge regionale 15 maggio 1998 n. 5 del Trentino-Alto

Adige/SudTirol, che era la legge elettorale per il Consiglio regionale, modificativa della

previgente legge regionale 8 agosto 1983 n. 7. Mentre quest’ultima si fondava sulla

proporzionale pura, la legge censurata inseriva nella formula elettorale, rappresentata sempre

dal sistema proporzionale, due diverse soglie di sbarramento, fissate rispettivamente nel 5 per

cento dei voti validi per il collegio provinciale di Trento e nel c.d. quoziente naturale ossia

circa il 2,8 per cento dei voti validi per il collegio di Bolzano/Bozen, lasciando del tutto

invariate le norme ulteriori. La questione era stata sollevata, come previsto dallo Statuto

speciale della regione all’ articolo 56, tramite impugnativa principale o diretta dall’ unico

consigliere regionale linguistico ladino eletto nel consiglio di Bolzano/Bozen. In seguito alla

sentenza d’ accoglimento, da parte del giudice delle leggi, alle successive elezioni regionali

del novembre 1998 è stata applicata la legge regionale 8 agosto 1983 n. 7, nel testo originario,

con formula proporzionale pura. Ma la pronuncia in esame, ha segnato una netta cesura

rispetto a quell’ atteggiamento di prudenza e cautela che aveva caratterizzato la

(260) Cfr., in merito alla bipartizione riportata, R. TONIATTI, La rappresentanza politica delle minoranze linguistiche: i ladini fra “rappresentanza assicurata” e “rappresentanza garantita”, op. cit., p. 1271 e ss. (261) Cfr., in merito alla pronuncia n. 356/1998, T. FROSINI-S. CECCANTI, Tra tutela delle minoranze e rischi etnici. Commento alla sentenza n. 356/1998 della Corte Costituzionale, in Giur. Cost., 1998, pp. 2748-2761.

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giurisprudenza della Consulta nelle sentenze precedentemente analizzate, e con formula

stringata e manichea si dichiarava l’incostituzionalità dell’ impugnata legge regionale n.

5/1998 la quale, con l’introduzione di soglie di sbarramento, alterava il principio

proporzionalistico e di conseguenza la garanzia delle minoranze linguistiche nella regione.

L’adozione del sistema proporzionale puro, codificato originariamente nello statuto speciale

all’ articolo 25 ed ora abrogato, sul punto, dalla legge costituzionale 31 gennaio 2001 n. 2 alla

luce soprattutto di questa sentenza della Corte, “non è destinato”, a giudizio del giudice delle

leggi, “a sollecitare, né tanto meno ad assicurare la rappresentanza dei gruppi linguistici” e,

a maggior ragione, non tollera la previsione di elementi che rendano più gravoso il gioco

elettorale ed il confronto tra i gruppi linguistici che “intendano proporsi in quanto tali” cioè

indipendentemente dalla loro consistenza numerica (vedi il punto 3 del considerato in diritto).

Infatti è significativo che il passo più importante della decisione sia quello relativo al collegio

elettorale di Trento (262): proprio perché si tratta di realizzare un bilanciamento tra beni diversi

da tutelare, di cui quello della funzionalità dell’organismo elettivo è di comune interesse

anche dei gruppi linguistici minoritari che scarsi o nulli benefici avrebbero dall’ essere

rappresentati in organi strutturalmente incapaci di decidere, stupisce che si sia esaminata la

questione della rappresentanza delle minoranze “in quanto tali” senza nessuna considerazione

storica concreta, nient’affatto infrequente nei giudizi di ragionevolezza e nella specifica

giurisprudenza in materia. Infatti le dimensioni quantitative della minoranza ladina in

Trentino sono comunque tali da impedire in via assoluta ad una lista etnica di giungere alla

rappresentanza con il sistema proporzionale puro che, come si è visto, è stato totalmente

censurato dalla Corte. Si sarebbe potuto rivolgere, a mio personale intendimento, un monito al

legislatore affinchè, attraverso la previsione statutaria di un collegio uninominale ad hoc

comprendente i comuni ladini, si giunga a garantire un seggio alla medesima minoranza

(262) Si veda, T. FROSINI-S. CECCANTI, Tra tutela delle minoranze e rischi etnici. Commento alla sentenza n. 356/1998 della Corte Costituzionale, op. cit., p. 2750

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linguistica. E’ però comprensibile che la Corte non abbia proceduto in tal senso dato che il

monito avrebbe potuto costituire un’ indebita intrusione in una sfera di competenza del

legislatore dello Statuto d’ autonomia.

Inoltre, a fronte della scelta tra costituzionalità ed incostituzionalità della legge regionale n.

5/1998, poteva esservi anche la soluzione, non accolta dalla Corte, ma prospettata dallo stesso

ricorrente e non avversata dalla regione oltre che in parte richiamata dallo stesso giudice delle

leggi con sentenza n. 438/1993, di consentire l’esenzione dalla soglia di sbarramento per le

liste espressive di tutte le minoranze etniche nella regione ovvero della sola minoranza

linguistica ladina; e questo principio trovava, a ragione del ricorrente, il suo presupposto

(263), desumibile dallo Statuto, nella corrispondenza tra gruppi linguistici e liste etniche, molto

frequente in ordinamenti costituzionali stranieri ove è molto forte e particolarmente sentita la

problematica della tutela e salvaguardia di gruppi linguistici minoritari.

4.5: I ladini fassani - Pur condividendo con l’omologo gruppo altoatesino la condizione, per

molti aspetti favorevole, di minoranza nella minoranza, le misure di tutela gradualmente

intervenute e migliorate nei confronti dei ladini della Provincia autonoma di Trento sono,

almeno in parte, riconducibili al maggior grado di protezione accordato ai ladini di Bolzano.

Solo in sede d’ attuazione statutaria, il legislatore ha cercato, per fasi successive,

l’avvicinamento dei regimi di tutela dei due gruppi ladini che non sono comunque pariordinati

né tra loro né tantomeno nei confronti della superprotetta comunità germanofona. Alla

reiezione della delibera formulata da alcuni comuni fassani per il distacco dalla provincia di

Trento e l’aggregazione alla Provincia di Bolzano, ai sensi dell’articolo 133 primo comma

(263) Il presupposto consiste nel fatto che ogni gruppo linguistico esistente ed operante all’ interno della regione, dovrebbe raccogliersi in liste che siano espressione delle problematiche e progettualità del gruppo medesimo. La formazione più interessante è sicuramente costituita dal Volkspartei che rappresenta la proiezione politica della minoranza linguistica tedesca in Sudtirol o Alto Adige.

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(264) della Costituzione, i partiti politici SVP e PPTT facevano seguire un disegno di legge

costituzionale (265), mai discusso alla Camera dei deputati, che proponeva di parificare il

trattamento giuridico dei due gruppi ladini mediante la proiezione automatica al gruppo

trentino delle misure di tutela statutariamente disposte per i ladini del Sudtirol. Inoltre dalla

VII legislatura, le proposte d’iniziativa regionale o parlamentare diventavano più articolate e

la convinzione che soltanto intervenendo sulla fonte di rango superiore si sarebbe potuto

sanare il divario esistente all’ interno della comunità ladino-dolomitica, suggeriva alle forze

politiche di concentrare le richieste di revisione statutaria sull’ introduzione della

rappresentanza ladina garantita in seno al Consiglio regionale e provinciale di Trento, sulla

modificazione del sistema scolastico trentino, sull’ ampliamento delle competenze del

Tribunale amministrativo regionale a giudicare gli atti amministrativi ritenuti lesivi del

principio di parità dei cittadini ladinofoni residenti nella provincia di Trento.

La revisione statutaria del 2001, ha recepito l’ inclinazione da tempo manifestata, nel senso di

assicurare al territorio coincidente con quello dei comuni espressamente numerati ove è

insediato il gruppo linguistico ladino-dolomitico di Fassa un seggio nel Consiglio provinciale

di Trento (articolo 48 terzo comma). Nella medesima occasione è stata, inoltre, disposta a

favore della popolazione ladina della provincia di Trento la destinazione di stanziamenti per

promuovere la tutela e lo sviluppo culturale ed economico (articolo 15), mentre

l’accertamento della lesione del principio di parità tra i cittadini di lingua italiana, ladina,

mochena e cimbra consente, anche a vantaggio del gruppo ladino fassano, di ricorrere al

meccanismo di cui all’ articolo 92 secondo comma dello Statuto “Parimenti gli atti

amministrativi degli enti ed organi della pubblica amministrazione aventi sede nella regione,

ritenuti lesivi del principio di parità tra i cittadini di lingua italiana, ladina, cimbra, mochena

(264) L’ articolo 133 primo comma della Costituzione recita “Il mutamento delle circoscrizioni provinciali e l’ istituzione di nuove province, nell’ ambito di una Regione, sono stabiliti con leggi della Repubblica, su iniziativa dei Comuni, sentita la Regione stessa.”. (265) Il progetto di legge costituzionale, mai approvato, è il n. 9/1973.

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residenti nella provincia di Trento, possono essere impugnati dinanzi al Tribunale regionale

di giustizia amministrativa di Trento da parte dei consiglieri regionali o provinciali e, in caso

di provvedimenti dei comuni, anche da parte dei consiglieri comunali dei comuni delle

località ladine, mochene e cimbre, qualora la lesione sia riconosciuta da un quinto del

consiglio comunale”.

Ma al di là del regime dettato dallo statuto in relazione ai ladini della Regione speciale

Trentino-Alto Adige/Sudtirol, applicabile evidentemente anche al nucleo trentino, nei

confronti di quest’ ultimo venivano infatti in considerazione, anche prima della riforma

statutaria del 2001 e tuttora vigenti, benefici particolari, sebbene in maniera più sommessa

rispetto ai ladini della Provincia autonoma di Bolzano/Bozen, relativi al settore scolastico.

Infatti, alla luce dell’ articolo 2 del d.P.R. n. 592 del 1993 (266) (267) ( Normativa d’ attuazione

dello Statuto concernente disposizioni di tutela delle popolazioni ladina, mochena e cimbra), è

stato previsto, nell’ ambito della provincia autonoma di Trento, l’insegnamento della lingua e

cultura ladina come un quid obbligatorio e la possibilità d’ utilizzare la lingua ladina, nelle

scuole di ogni ordine e grado, come lingua veicolare. Inoltre, migliorando la formulazione

della precedente disciplina in materia di reclutamento del personale scolastico, il d.P.R. n.

592/1993, all’articolo 2 terzo comma, ha sostituito al discusso meccanismo della “precedenza

assoluta” quello della “riserva” dei posti vacanti e disponibili nelle procedure per le

assunzioni, i trasferimenti, le utilizzazioni ed i passaggi di cattedre del personale direttivo e

docente presso le scuole di ogni ordine e grado delle località ladine della Provincia di Trento

agli aspiranti che, oltre ai requisiti richiesti dalla normativa vigente, dimostrino la conoscenza

della lingua e cultura ladina da accertarsi da parte di un’ apposita commissione. (266) Già prima del d.P.R. n. 592/1993, c’ erano già stati tentativi, sul piano legislativo, di fornire misure di tutela positiva ai ladini fassani soprattutto nel settore scolastico. Infatti l’ articolo 14 del d.P.R n. 405/1988 prevedeva l’ obbligo d’ impartire almeno un’ ora settimanale d’ insegnamento del ladino oltre alla facoltà di usare il ladino come strumento d’ insegnamento secondo i criteri stabiliti dal colleggio dei docenti. (267) Il d.P.R n. 592/1993, è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 16 febbraio 1994 n. 38.

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Infine va sottolineato come la garanzia dei diritti linguistici, postuli la conoscenza dell’idioma

ladino, da valutarsi a cura di apposite commissioni paritetiche, da parte degli aspiranti

all’impiego che, presso le amministrazioni delle località ladine della provincia di Trento

compresi gli enti e le società concessionarie di servizi pubblici, hanno titolo alla precedenza

assoluta nell’ ambito delle procedure per i trasferimenti e le assegnazioni di sedi provvisorie o

definitive (articoli 3 e 3 bis del d.P.R. n. 592/1993 come modificato sul punto dall’ articolo 3

del d.P.R. n. 321/1997 (268)).

4.6: I cimbri ed i mocheni della provincia di Trento - La valorizzazione della lingua e della

cultura ladina nel territorio della provincia di Trento ha determinato l’effetto d’ estendere il

riconoscimento per via legislativa, prima ancora che costituzionale, ai gruppi germanofoni

localizzati in alcuni comuni della provincia autonoma di Trento.

Il d.P.R. n. 592/1993, originariamente rivolto alla tutela del solo gruppo ladino trentino,

veniva modificato con l’ inserimento di una disposizione d’ apertura, espressa all’articolo 1, ai

sensi della quale, analogamente a quanto sancito a favore della comunità ladina, le

amministrazioni statale, regionale, provinciale e degli enti locali, nell’ ambito delle proprie

competenze e rispettivi ordinamenti, sono tenute ad assicurare “anche” nei confronti della

popolazione mochena e cimbra stanziate nei comuni espressamente inviduati come

Fierozzo/Vlarotz, Frassilongo/Garait, Palù del Fersina/Palae en Bernstol e Sant’Orsola Terme,

le finalità di tutela e promozione linguistica e culturale disposte con riferimento alla

minoranza ladina della provincia.

Più recentemente e nella prospettiva di potenziare il regime giuridico della tutela delle

comunità germanofone della Provincia autonoma di Trento, la riforma dello Statuto speciale

del 2001 si segnala per il fatto di riconoscere alle popolazioni mochena e cimbra, oltre che

(268) Il d.P.R. n. 321/1997, è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 23 settembre 1997 n. 222.

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ladina, dei comuni espressamente numerati nella provincia tridentina, “Il diritto alla

valorizzazione delle proprie iniziative ed attività culturali, di stampa e ricreative, nonché al

rispetto della toponomastica e delle tradizioni delle popolazioni stesse”, aggiungendo la

garanzia dell’ insegnamento della lingua e cultura tedesca, oltre che ladina, nelle scuole dei

comuni della provincia ove quelle lingue sono parlate (articolo 102 dello Statuto). Inoltre, allo

scopo di assicurare lo sviluppo culturale, sociale ed economico della popolazione cimbra e

mochena, nonché ladina, la Provincia autonoma di Trento garantisce la destinazione di

finanziamenti, tenendo conto della loro entità e dei loro bisogni. Infine particolarmente

significativa è l’ estensione della facoltà riconosciuta dalla revisione dell’ articolo 92 secondo

comma dello Statuto d’Autonomia, d’impugnare davanti al Tribunale di giustizia

amministrativa di Trento gli atti amministrativi ed i provvedimenti dei comuni,

rispettivamente da parte dei consiglieri regionali o provinciali ed anche, nel secondo caso, da

parte dei consiglieri comunali previo accertamento ad opera di un quinto del consiglio

comunale, qualora quei provvedimenti risultino lesivi del principio di parità tra i cittadini di

lingua italiana, ladina, mochena e cimbra residenti nella provincia di Trento (269).

4.7: La minoranza francese in Valle d’ Aosta ed i walser - Dopo aver analizzato

minuziosamente il caso emblematico del Trentino-Alto Adige/Sudtirol, passiamo ad

occuparci di un’ altra regione italiana ad ordinamento differenziato, la Valle d’ Aosta/Vallée

d’ Aoste, ove incontriamo, accanto ovviamente alla popolazione di lingua italiana, due

minoranze linguistiche: quella francese, che è la più numerosa, e quella tedesca la quale va a

formare il gruppo alloglotto dei walser.

Per comprendere appieno la portata della tutela minoritaria offerta dall’ordinamento

costituzionale a favore di questi due diversi gruppi linguistici, è necessario prendere in

(269) Cfr., a proposito delle popolazioni cimbre e mochene della provincia autonoma di Trento, V. PIERGIGLI, Lingue minoritarie ed identità culturali, op. cit., pp. 234-236.

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considerazione lo Statuto speciale della Regione Valle d’ Aosta/Vallée d’ Aoste, contenuto

nella legge costituzionale 26 febbraio 1948 n. 4 (270) come parzialmente modificata dalla

legge costituzionale del 31 gennaio 2001 n. 2.

Relativamente alla minoranza linguistica francese, non sorgono particolari problemi; infatti lo

statuto regionale ha optato per un sistema di bilinguismo totale, in conseguenza del quale la

lingua francese è equiparata in tutto e per tutto a quella italiana dal momento che gode del

regime di coufficialità. Recita infatti l’ articolo 38 primo comma dello Statuto “Nella Valle d’

Aosta la lingua francese è parificata a quella italiana”; da ciò discendono tutta una serie di

conseguenze particolarmente importanti, come, ad esempio, il fatto che gli atti pubblici

possano essere redatti nell’una o nell’altra lingua, eccettuati i provvedimenti dell’ autorità

giudiziaria che sono trascritti in italiano, che le amministrazioni statali assumano in servizio

possibilmente funzionari originari della Regione o che conoscano la lingua francese ecc.

(articolo 38 secondo e terzo comma). Ma particolarmente significativo è il settore scolastico,

in quanto lo Statuto prevede espressamente che nelle scuole di ogni ordine e grado, dipendenti

dalla regione, all’insegnamento della lingua francese sia dedicato un numero di ore

settimanali pari a quello della lingua italiana, prevedendo addirittura l’ insegnamento di

alcune materie nella lingua francese intesa come lingua veicolare, previo parere di

commissioni miste composte di rappresentanti del Ministero dell’ Istruzione, dell’ Università

e della Ricerca, di rappresentanti del Consiglio della Valle e di rappresentanti degli insegnanti

( articoli 39 e 40 dello Statuto ) (271).

Ma è la minoranza alloglotta d’origine tedesca dei walser, che risulta essere interessante in termini

di misure di tutela positiva. Infatti la comunità linguistica in esame, concentrata nella Valle

del Lys, in Valle d’Aosta, condivide le caratteristiche di minoranza nella minoranza e

(270) Lo Statuto speciale della Valle d’ Aosta/Vallée d’ Aoste, che ha rango di fonte costituzionale, è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 10 marzo 1948 n. 39. (271) Cfr., per le notizie relative alla minoranza linguistica francese, V. PIERGIGLI, Le minoranze linguistiche nell’ ordinamento italiano: recenti sviluppi normativi, op. cit., pp. 11-12.

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rappresenta un’ isola tedesca nell’ambito della più ampia e meglio tutelata minoranza

nazionale francofona. La lingua e la cultura walser hanno ricevuto espresso riconoscimento

giuridico con la revisione dello Statuto speciale, avvenuta con legge costituzionale n. 2/1993

la quale, mediante l’introduzione dell’ articolo 40 bis primo comma “Le popolazioni di lingua

tedesca dei comuni della Valle del Lys individuati con legge regionale hanno diritto alla

salvaguardia delle proprie caratteristiche e tradizioni linguistiche e culturali”, ha

implicitamente conferito alla comunità stessa lo status giuridico di minoranza linguistica

riconosciuta. Se si esclude il compatto gruppo germanofono dell’ Alto Adige/Sudtirol, i

walser formano una delle tre porzioni dell’ arcipelago tedesco che si estende lungo l’ arco

alpino da ovest ad est. In termini di misure di “ius positum”, la comunità tedesca walser

beneficia, come visto sopra in base all’ articolo 40 bis dello Statuto, di un preciso fondamento

statutario che consente il potenziamento e miglioramento delle tradizioni linguistiche e

culturali della popolazione di lingua germanica nell’ ambito dei territori dei comuni della

Valle del Lys da individuarsi in seguito a legge approvata dal Consiglio regionale. Risulta

dunque particolarmente significativo, alla luce delle considerazioni ora svolte, il disposto

statutario dell’ articolo 40 bis secondo comma il quale riconosce al gruppo walser, l’

insegnamento della lingua tedesca nelle scuole attraverso opportuni adattamenti alle necessità

locali. Il che sta ad indicare che è facoltà sia del legislatore statale sia regionale estendere il

regime scolastico vigente, con riferimento all’ insegnamento della/nella lingua francese, alle

scuole frequentate da alunni della popolazione walser, ovvero disporre un ordinamento

analogo a quello operante per le scuole delle comunità ladine della Provincia autonoma di

Bolzano/Bozen (272).

(272) Cfr., sulla comunità linguistica walser, V. PIERGIGLI, Lingue minoritarie ed identità culturali, op. cit., pp. 236-239.

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Gruppi minoritari nazionali

133

4.8: Gli sloveni del Friuli-Venezia Giulia - Analogamente a quanto dispone l’ articolo 2 dello

Statuto del Trentino-Alto Adige/SudTirol, ma senza far seguire al contenuto programmatico

strumenti giuridici di garanzia né meccanismi di rilevazione dell’ appartenenza linguistica, al

principio d’uguaglianza dei cittadini indipendentemente dal gruppo linguistico ed alla

salvaguardia delle rispettive caratteristiche etniche e culturali, devono conformarsi le attività

della Regione speciale Friuli-Venezia Giulia (273), come espressamente indicato all’articolo 3

dello Statuto d’ Autonomia contenuto nella legge costituzionale 31 gennaio 1963 n. 1 (274).

Tra le minoranze linguistiche presenti nella regione soltanto quella slovena, e precisamente la

componente insediata nel territorio della provincia di Trieste, ha formato direttamente oggetto

di considerazione sul piano del diritto internazionale e del diritto interno statale italiano, al

punto di meritare la menzione di minoranza linguistica riconosciuta da parte della

giurisprudenza costituzionale con le sentenze n. 28/1982 e n. 62/1992, delle quali abbiamo già

parlato nel capitolo terzo della presente trattazione; mentre ad un livello inferiore o addirittura

assente di tutela per la differente situazione storica ed ambientale, si collocavano i restanti

nuclei autoctoni sloveni residenti nelle Province di Udine e Gorizia. Limitatamente ai gruppi

etnici italiano e iugoslavo delle ex zone A e B del territorio di Trieste, infatti, lo Statuto

speciale allegato al Memorandum di Londra del 1954, stipulato dai governi d’ Italia, Gran

Bretagna, Stati Uniti e Jugoslavia, aveva introdotto un regime di protezione che, a condizioni

di parità con gli altri abitanti delle due zone, assicurava un catalogo piuttosto dettagliato di

situazioni giuridiche soggettive, a dimensione individuale e collettiva, concernenti l’ uso della

lingua materna nei settori dell’ istruzione e del pubblico impiego, davanti alla pubblica

(273) La X disposizione transitoria della Costituzione collegava espressamente l’ istituzione della regione Friuli-Venezia Giulia alla tutela delle minoranze linguistiche, dimostrando così di concepire una tale regione alla stregua della Valle d’ Aosta e del Trentino-Alto Adige/SudTirol. Tuttavia la medesima disposizione prevedeva, “provvisoriamente”, che la medesima regione fosse sottoposta al comune trattamento delle regioni italiane ad ordinamento comune. Ma l’ esistenza di uno speciale ordinamento nel Territorio Libero di Trieste, rendeva in partenza inapplicabile questa parte della X disposizione transitoria. (274) L’ attuale e vigente Statuto speciale del Friuli-Venezia Giulia, è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana il 1° febbraio 1963 n. 29.

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Gruppi minoritari nazionali

134

amministrazione, nella toponomastica ecc. Il mancato recepimento nell’ordinamento italiano

degli impegni internazionali assunti e la loro prevalente attuazione con provvedimenti

amministrativi impediva la piena efficacia delle garanzie linguistiche , anche dopo l’entrata in

vigore del Trattato di Osimo del 1975 (275), che determinava la decadenza del precedente

accordo, disponendo il mantenimento delle misure già adottate dai due governi a favore delle

rispettive minoranze (articolo 8 del Trattato di Osimo). Con riguardo alla tripartizione slovena

nella regione, la situazione restava pertanto invariata, confermandosi il rilievo giuridico del

solo nucleo jugoslavo della Provincia di Trieste, tanto che, a seguito della dissoluzione della

Jugoslavia, la Repubblica di Slovenia manifestava inizialmente il proprio rifiuto alla ratifica

del Memorandum d’ Intesa sulla protezione della minoranza italiana in Slovenia e Croazia (15

gennaio 1992), a causa della non accettazione, da parte italiana, di una clausola di reciprocità

finalizzata a garantire il trattamento uniforme degli sloveni nell’ intero territorio della

Regione Friuli-Venezia Giulia (276).

Se con la pronuncia n. 28/1982 (277) in tema d’ uso della lingua slovena nel processo penale, il

giudice costituzionale ha segnato una svolta nell’ interpretazione della situazione giuridica

degli sloveni di Trieste ai quali, in quanto appartenenti ad una minoranza linguistica

riconosciuta, non avrebbe dovuto applicarsi il disposto dell’ articolo 137 del vecchio codice di

procedura penale, il thema decidendum ed il petitum non consentivano, d’altra parte,

d’estendere l’efficacia delle argomentazioni adottate oltre l’ambito spaziale in cui le questioni

di legittimità erano state sollevate. Non potendo tenere conto delle soluzioni adottabili per le

minoranze slovene insediate in altri parti della Regione Friuli-Venezia Giulia (punto 1 cons.

dir.), la sentenza si rivolgeva alla popolazione di lingua slovena nel territorio di Trieste e

(275) Il Trattato di Osimo del 1975, è stato ratificato dal parlamento italiano con legge ordinaria n. 73/1977. (276) Cfr., in merito a queste notizie storiche, L. PALADIN, Diritto Regionale, Padova, Cedam, 2000, pp. 20-22. (277) Cfr., per il contenuto della sentenza, la rivista giuridica Giur. Cost., 1982, p. 808 e ss.

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Gruppi minoritari nazionali

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deduceva, in assenza d’ una tutela normativa globale, “ l’ operatività minima degli articoli 6

della Costituzione e 3 dello Statuto speciale, entrambe norme direttive e dall’ applicazione

differita quanto meno per il territorio triestino” (punto 2 del cons. in dir.)

Solo in tempi abbastanza recenti iniziative (278) del Consiglio regionale del Friuli-Venezia

Giulia, la costituzione di appositi organismi di studio, proposte di legge sganciate dai lavori

parlamentari d’ attuazione con legge generale dell’ articolo 6 della Costituzione, sono riuscite

nell’ intento d’ allargare l’ ambito territoriale e/o materiale della protezione originariamente

accordata al gruppo sloveno della provincia di Trieste, in quanto al di là del disposto statutario

contenuto all’ articolo 3 e analizzato in apertura di paragrafo, lo Statuto speciale non contiene

nessun’ altra norma volta a salvaguardare la minoranza linguistica slovena della regione. La

circostanza che la legge ordinaria dello Stato 15 dicembre 1999 n. 482, riconducesse, all’

articolo 2, “le popolazioni slovene” tra i beneficiari delle misure di protezione accordate alle

altre minoranze linguistiche storiche, non impediva la prosecuzione delle iniziative rivolte

specificatamente ai gruppi slavofoni della regione Friuli-Venezia Giulia allo scopo di

pervenire, con gradualità, ad una tutela globale, capace di superare le frammentazioni esistenti

tra gli appartenenti alle diverse frazioni della comunità slovena.

La legge ordinaria dello Stato n. 38/2001 (279), che ha unificato svariate proposte presentate

nel corso della XIII legislatura, ha attuato il pieno e completo riconoscimento della minoranza

slovena delle province di Trieste, Udine e Gorizia, cui si applicano le misure di protezione

contemplate dalla legge n. 482/1999 salvo quanto espressamente disposto dall’ iniziativa de

(278) Tra le iniziative in questione ricordiamo, a titolo esemplificativo, la legge n. 19/1991 ove, all’ articolo 14, si prevedeva l’ erogazione di un contributo speciale per il sostegno ad iniziative culturali ed artistiche relative alla minoranza linguistica slovena. (279) La legge ordinaria n. 38/2001, è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 7 marzo 2001 n. 38. Tra le iniziative unificate dalla legge n. 38/2001, ricordiamo il disegno di legge n. 2750 comunicato alla presidenza il 5 settembre 1997 (Provvedimento in favore delle popolazioni di lingua slovena delle province di Trieste, Udine e Gorizia) ed il disegno di legge n. 3826 presentato alla presidenza il 5 giugno 1997 (Norme per la tutela della minoranza slovena nel Friuli-Venezia Giulia).

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Gruppi minoritari nazionali

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qua (articolo 1). Entro le aree territoriali d’insediamento tradizionale della minoranza, da

individuarsi con decreto del Presidente della Repubblica sulla base d’una tabella predisposta a

cura di un Comitato istituzionale paritetico (articolo 3) e su richiesta di almeno il 15 per cento

dei cittadini iscritti nelle liste elettorali o su proposta di un terzo dei consiglieri interessati

(articolo 4), sono introdotte garanzie in materia di onomastica e denominazioni nella lingua

minoritaria (articolo 7), nonché nella toponomastica e nelle insegne pubbliche (articolo 10),

viene assicurata la facoltà di usare la lingua slovena nei rapporti con le pubbliche

amministrazioni, comprese le autorità giudiziarie locali, nelle adunanze degli organi elettivi

con esclusione dei rapporti con le forze armate e le forze di polizia (articoli 8-9). Inoltre sono

previste iniziative di sostegno, da parte della Regione, ad iniziative culturali, artistiche,

ricreative, sportive, formative ed editoriali (articolo 16); iniziative, da parte del governo della

Repubblica, per favorire lo sviluppo delle relazioni culturali con la Repubblica di Slovenia

(articolo 17), la tutela del patrimonio storico-artistico e degli interessi sociali, economici ed

ambientali nei territori dei comuni appositamente individuati (articoli 20 e 21), l’ accesso ai

ruoli del personale direttivo ed insegnante riservato, nelle zone ove è insediata la minoranza

slovena, riservato ai candidati di madrelingua slovena o con piena conoscenza dello sloveno

selezionati tramite procedura concorsuale (articolo 11 primo comma) ed infine viene disposta

l’estensione, alle organizzazioni sindacali e di categoria che svolgono la loro attività

prevalentemente in lingua slovena e siano rappresentative nei comuni previamente individuati

della minoranza stessa, dei diritti riconosciuti dalla legge alle associazioni aderenti alle

confederazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale (articolo 22) (280).

(280) Cfr., in tema di misure di tutela positiva per la minoranza slovena in Friuli-Venezia Giulia, M. BERTOLISSI, voce Friuli-Venezia Giulia, in Enc. Dir, XXXIX, Milano, Giuffrè, 1988, p. 354 e ss.

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Brevi cenni sulle minoranze degli ordinamenti stranieri

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CAPITOLO V

BREVI CENNI SULLE MINORANZE DEGLI ORDINAMENTI STRAN IERI

Sommario: 5.1 Gli aranesi della Catalogna – 5.2 – La comunità germanofona in Belgio – 5.3 La minoranza

anglofona in Québec – 5.4 La minoranza francofona nel Rest of Canada

5.1: Gli aranesi della Catalogna - Diversamente da quanto si potrebbe desumere ad una

prima lettura dell’ articolo 3 terzo comma della Costituzione spagnola (281), che sembrerebbe

attribuire alle “modalidades linguisticas” un rilievo circoscritto agli aspetti culturali, la

situazione giuridica degli idiomi linguistici della Spagna appare, in realtà, più variegata e

complessa. Innanzitutto, lungi dal riconoscere al disposto in esame un significato residuale e

di chiusura rispetto alla proclamazione, nel primo comma del medesimo articolo, del carattere

ufficiale del castigliano e delle altre lingue regionali conformemente agli statuti delle

comunità autonome, esso fornisce in realtà la chiave di lettura più adatta, in quanto

denominatore comune ed indispensabile cornice, per una politica di tutela di tutte le lingue di

Spagna; infatti l’esegesi costituzionale più accreditata sul punto, vede nell’ articolo 3 terzo

comma della Costituzione spagnola, la premessa per riconoscere, de iure condendo, alle

espressioni linguistiche che non godono del regime giuridico di coufficialità quanto meno lo

status di lingua semiufficiale o quasi ufficiale, specialmente qualora al senso della

consapevolezza identitaria da parte degli stessi locutori si unisca la circostanza favorevole

della prossimità geografica ad altra comunità minoritaria che beneficia di un grado

significativo e più efficace di tutela.

(281) La Costituzione spagnola è stata approvata al Congresso il 31 agosto 1978 e sottoposta a referendum, con esito positivo, il 6 dicembre dello stesso anno: venne, infine, solennemente proclamata nel Congresso dall’ attuale Re di Spagna Juan Carlos il 27 dicembre 1978. E’ di tipo rigido e si compone di 169 articoli cui si aggiungono una serie di disposizioni aggiuntive, transitorie e finali. La sua entrata in vigore segna l’ inizio, per la Spagna, dell’ avvento della democrazia dopo la morte del dittatore Francisco Franco avvenuta nel 1975.

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Brevi cenni sulle minoranze degli ordinamenti stranieri

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E’ questo il caso della lingua o parlata aranese variante del guascone-occitano, praticata da

circa l’ 81 per cento della popolazione di nove comuni (circa 5.000 persone ) situati nella

comarca della Valle d’ Aran in Catalogna. L’ aranese è dunque l’ idioma linguistico di

un’enclave che ha ricevuto dal legislatore statale ed autonomico, il progressivo rafforzamento

della propria condizione giuridica arrivando ad uno status di quasi-ufficialità. In proposito il

legislatore spagnolo-statutario omette l’ attribuzione del carattere ufficiale della parlata

aranese, ma, rieccheggiando il disposto dell’ articolo 3 terzo comma della Costituzione

spagnola, ne auspica “speciale rispetto e protezione” e ne incoraggia l’insegnamento (articolo

4 quarto comma dello Statuto (282) della Catalogna). Inoltre la legge catalana di

normalizzazione linguistica n. 7/1983 introduceva, per la prima volta, la qualificazione

dell’aranese come lingua propria della Valle (articolo 28), e la successiva legge regionale

n.16/1990 sul regime speciale della Valle d’Aran e la legge regionale n. 1/1998, abrogativa

della n. 7/1983, completavano la legge precedente, aggiungendo il requisito dell’ ufficialità

dell’ idioma nel territorio corrispondente (articolo 2 primo comma), da cui discende il suo

impiego nel sistema scolastico, nell’ amministrazione (283) e nei mezzi di comunicazione

sociale nel territorio in cui l’ aranese è praticato ed utilizzato.

5.2: La comunità germanofona in Belgio - Ad eccezione dei meccanismi istituzionali

predisposti con riferimento ai gruppi linguistici vallone e fiammingo, la Costituzione belga

del 1994, accogliendo la distinzione tra Comunità-collettività politiche, Regioni

amministrative e regioni linguistiche-enti territoriali (articoli 1-4), omette di menzionare

(282) Ai sensi dell’articolo 147 della Costituzione spagnola, gli statuti delle Comunità Autonome “sono la normativa istituzionale fondamentale di ogni Comunità Autonoma e lo Stato le riconoscerà e garantirà come parte del suo ordinamento giuridico”. (283) Nella disciplina dell’organizzazione amministrativa della Valle d’ Aran, la legge dispone il trasferimento da parte della Generalitat di Catalogna al consiglio generale dell’ ente territoriale locale di una serie di attribuzioni tra cui l’ insegnamento, la cultura, la conservazione e gestione del patrimonio storico e artistico ecc.

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Brevi cenni sulle minoranze degli ordinamenti stranieri

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eventuali ed ulteriori minoranze linguistiche e non attribuisce alla scelta federale il significato

di strumento generale per la soluzione delle questioni minoritarie nel paese.

Il regime linguistico vigente in Belgio si rivela pittosto complesso ed alla sua chiarificazione,

più che il processo di decentramento autonomistico intrapreso negli anni ’70 e giunto a

maturazione con l’ entrata in vigore della Costituzione del 1994, ha giovato principalmente il

perfezionamento della legislazione ordinaria sull’ uso delle lingue.

Accanto ai gruppi linguistici “tradizionali” ( 284 ) ossia quello vallone e quello fiammingo, si

è aggiunto, a partire dalla fine della prima guerra mondiale, quello germanofono o tedesco

quantitativamente inferiore rispetto ai primi due. Si è cercato allora, sul piano della

legislazione ordinaria e non costituzionale come sottolineavo precedentemente, d’ adottare un

regime giuridico speciale per la comunità linguistica germanofona ed ora consacrato nello

Statuto della Comunità tedesca, approvato con la legge ordinaria 31 dicembre 1983,

modificato dalle leggi 18 luglio 1990 e 16 luglio 1993. Esso trova applicazione in favore dei

nove comuni della regione di lingua tedesca ad est del paese (c.d. arrondissement de Verviers)

ed ai due comuni germanofoni ubicati nella provincia francofona di Liegi (c.d. Comuni

malmediennes) e prevede, insieme ad alcuni disposti costituzionali, ad esempio, la facoltà

riconosciuta alla Comunità di esercitare, oltre alle competenze proprie nelle materie

comunitarie (titolo III dello Statuto), quelle su materie regolamentari eventualmente trasferite,

con il consenso della Comunità stessa, dalla Regione vallone sul cui territorio è stanziata la

percentuale più elevata di tedeschi (articolo 139 della Costituzione), la titolarità del potere

estero in capo al governo della Comunità ecc.

Tuttavia va evidenziato come, l’affidamento alla sede federale piuttosto che alla stessa

Comunità delle funzioni relative all’impiego della lingua in materia amministrativa,

nell’insegnamento e nei rapporti sociali, la mancata individuazione di un gruppo linguistico

(284) Per gruppi tradizionali si intendono quelli che storicamente sono presenti in territorio belga.

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Brevi cenni sulle minoranze degli ordinamenti stranieri

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germanofono in seno alla Camera e la conseguente impossibilità d’attivare procedure di

garanzia costituzionale, l’esclusione di rappresentanti tedeschi in seno agli organismi, come

Cour d’ Arbitrage, che cercano di prevenire conflitti d’ attribuzione tra gli enti decentrati ecc.

sono espressione d’ una assoluta posizione di svantaggio del gruppo germanofono rispetto

agli altri due e sono il risultato dell’ accordo e della volontà dei due gruppi tradizionali (285).

5.3: La minoranza anglofona in Québec - La composizione della società canadese,

similmente a quella belga, sconsiglia, almeno in prima approssimazione, il ricorso ai concetti

di minoranze linguistiche e gruppi minoritari, dal momento che, ad eccezione delle

popolazioni autoctone, la federazione canadese del 1867 è il risultato di un patto tra due

popoli fondatori: anglofoni-protestanti e francofoni-cattolici.

Quel dualismo, solo teoricamente paritario, riceveva formale consacrazione nell’ articolo 133

della legge costituzionale del 1867, che introduceva un bilinguismo limitato alle istituzioni

parlamentari e giudiziarie nella federazione e nella provincia del Québec; esteso nel 1870 alla

provincia di Manitoba ( articolo 23 legge sul Manitoba del 1870 ), con la legge sulle lingue

ufficiali del 1969 il bilinguismo giungeva a comprendere i servizi amministrativi fino ad

essere costituzionalizzato con la Constitution Act del 1982 ed applicato anche al New

Brunswick.

La situazione minoritaria nel Canada è abbastanza particolare: infatti mentre in Québec la

maggioranza francofona convive storicamente con una minoranza anglofona, nelle restanti

province (il c.d. Rest of Canada) sono le minoranze francofone a doversi confrontare, in modo

problematico con la maggioranza di lingua inglese.

Considerando il caso specifico della provincia canadese del Québec, va detto che l’attuale

status di minoranza anglofona risulta dalla successione e dal vario intrecciarsi di principi

(285), Cfr., in tema di minoranza tedesca in Belgio, V. PIERGIGLI, Lingue minoritarie ed identità culturali, op. cit., pp. 245-256.

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Brevi cenni sulle minoranze degli ordinamenti stranieri

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costituzionali, leggi federali e provinciali, a cui la Corte Suprema non ha mancato di offrire il

proprio supporto esegetico. L’articolo 133 della legge costituzionale del 1867, se letto nella

prospettiva della tutela minoritaria, era ed è tutt’ora rivolto alla protezione della minoranza

anglofona nel Québec infatti il precetto costituzionale permette l’ uso dell’ inglese o del

francese nei dibattiti parlamentari in sede federale e nel Québec. Il favor costituzionale,

associato all’ atteggiamento permissivo e psicologicamente minoritario dei francofoni,

rendeva possibile per circa un secolo il predominio degli anglo-québécois in politica, nelle

attività economiche ecc. Il riconoscimento dell’ ufficialità della lingua inglese e francese e la

previsione del bilinguismo nelle pubbliche amministrazioni (1969-1982) non valevano a

modificare lo status quo. La progressiva presa di coscienza, da parte della comunità francese,

della propria situazione di svantaggio sfociava, conclusa la fase della c.d. rivoluzione

tranquilla, nell’ adozione della legge sulla lingua francese n. 101/1977 che, proclamando il

monolinguismo francese nella provincia e prefiggendosi una sorta di “francesizzazione” dei

diversi settori pubblici, intendeva chiaramente esprimere il dissenso delle istituzioni

quebecchesi rispetto alla politica federale del governo di Ottawa ( pro inglesi ) ed a limitare i

diritti linguistici degli anglofoni. Ma l’ approvazione della Carta canadese dei diritti e delle

libertà del 1982 (286), anche senza il consenso del Québec, e l’interpretazione della normativa

costituzionale da parte della Corte Suprema, contribuivano ulteriormente a rafforzare la

posizione della minoranza anglofona ed a confermare il divario esistente tra le due anime

della società canadese. La normativa provinciale vigente contenuta sia nella legge n. 83/1986

sia nella legge n. 86/1993 e posta a salvaguardia degli inglesi in Québec, prevede: l’impiego

della lingua inglese o francese nella pubblicazione e redazione degli atti legislativi e

regolamentari (legge n. 86/1993), il diritto di ricevere nella madrelingua i servizi sociali e

sanitari ed il corrispondente obbligo del bilinguismo per gli organismi preposti alle relative

(286) La Carta in oggetto è parte integrante della Constitution Act del 1982.

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Brevi cenni sulle minoranze degli ordinamenti stranieri

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prestazioni (legge n. 83/1986), il ricorso ad un servizio di traduzione a richiesta di una delle

parti per le decisioni degli organi giurisdizionali o paragiurisdizionali (legge n. 86/1993), la

facoltà di usare o inglese o francese nelle affissioni pubbliche e nella pubblicità commerciale

(legge n. 86/1993) (287).

5.4: La minoranza francofona nel Rest of Canada - La condizione di favore che

l’ordinamento federale canadese e provinciale riserva alla minoranza anglofona, non trova

riscontro nel trattamento giuridico accordato alle minoranze francofone stanziate fuori dal

Québec, nel c.d. Rest of Canada.

Per capire la portata della tutela positiva del gruppo francofono, dobbiamo considerare la

legislazione federale, ed in particolare la Carta canadese dei diritti e delle libertà del 1982,

che tuttavia non permette di giungere a risultati pratici uniformi. Infatti, in linea di massima,

al diritto delle parti di scegliere la lingua del processo non corrisponde il diritto di essere

compresi dai giudici nella madrelingua (tranne che nel New Brunswick), non operando per gli

appartenenti alla magistratura, l’obbligo del bilinguismo, e tuttavia se tale incompletezza non

è fonte di ostacoli insuperabili per gli anglofoni del Québec, dal momento che l’ inglese è

comunque una delle lingue più diffuse e conosciute al mondo, più problematica risulta

l’operatività della garanzia per la minoranza francofona nel Rest of Canada. Quanto ai

rapporti con l’amministrazione provinciale, solo per il New Brunswick vige il diritto dei

cittadini di comunicare nella lingua di propria scelta con gli uffici legislativi del governo e per

ricevere i servizi pubblici. In materia d’istruzione, la tutela delle minoranze francofone

discende dal diritto conferito ai cittadini canadesi di far impartire ai propri figli l’

insegnamento primario e secondario in inglese o francese a seconda della prima lingua

(287) Cfr., per quanto concerne la minoranza anglofona nella provincia canadese del Québec, V. PIERGIGLI, Lingue minoritarie ed identità culturali, op. cit., pp. 257-264 .

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minoritaria “apprise et encore comprise” (articolo 23 lettera a della Carta canadese dei diritti

e delle libertà) dai genitori nella provincia di residenza.

In conclusione, va evidenziato che, al di là delle province di New Brunswick, Manitoba e

Ontario, il bilinguismo legislativo ha finito per rivestire un ruolo poco più che simbolico per

cedere, di fatto, il posto alla lingua inglese e il gruppo linguistico francese è divenuto

minoranza nella minoranza (288).

(288) Cfr., in merito alla minoranza linguistica francofona nel Rest of Canada, V. PIERGIGLI, Lingue minoritarie ed identità culturali, op. cit., pp. 264-269.

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RINGRAZIAMENTI

Alla fine del mio percorso, desidero ringraziare di cuore tutte le persone

che mi sono state vicine in questi anni di studi universitari:

- la mia famiglia, composta da mamma Tiziana, papà Aquilino e dal mio fratellone

Matteo, che mi ha dato l’ opportunità di studiare e mi ha sempre sostenuto e

confortato in questi anni;

- i miei nonni Giorgio, Liliana e Franca per la premura e tenerezza che mi hanno

sempre dimostrato;

- la mia amica e collega di lavoro Cinzia per il suo affetto “materno” e per aver

sempre creduto nelle mie capacità e potenzialità;

- il mio amico e “fratello” Lorenzo con il quale ho condiviso e condivido ogni

istante importante della mia vita;

- mia cugina Michela ed il marito Ivano, i quali mi hanno sempre consigliato,

incoraggiato e stimato, standomi vicino nei momenti lieti e tristi della vita. Li

ringrazio in particolare per il supporto tecnico-grafico;

- i miei zii Marisa e Giancarlo che hanno sempre avuto una particolare attenzione

per me e per i miei studi giuridici, sostenendomi con la loro simpatia;

- i miei zii Wanda e Luigino e i miei cugini per l’affetto che mi hanno sempre

dimostrato;

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- il mio padre spirituale Don Giuseppe, per i suoi preziosi consigli, per la sua

vicinanza e per il bel rapporto di amicizia che sta nascendo in questi mesi;

- le mie colleghe di lavoro ed in particolare la Sandra, per avermi “ sopportato “

in questi anni di studio e lavoro e per le tante preghierine pre-esame che lassù

oramai sono stanchi di sentire;

Inoltre, vorrei ringraziare vivamente:

- il professore ordinario di Diritto Costituzionale dell’ Università degli Studi di

Parma, Antonio d’ Aloia, per avermi dato l’ opportunità di discutere la tesi di

laurea su una tematica costituzionalistica a me molto cara. Lo ringrazio inoltre

per avermi sempre indirizzato, seguito, corretto durante il mio cammino di

laureando e per aver ulteriormente incrementato la mia passione per lo studio del

Diritto Costituzionale;

- la dottoressa Paola Torretta, per l’ aiuto nella stesura della tesi e per essermi

sempre venuta incontro con affabilità e disponibilità;

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Infine, ma non meno importante, vorrei fare un ringraziamento che può

apparire, ai più, insolito ma per me importantissimo:

- un abbraccio filiale a papa Giovanni XXIII (Papa Roncalli) e Giovanni Paolo I

(Papa Luciani), ai quali sono particolarmente devoto, affinchè con la loro carezza

ed il loro sorriso mi proteggano sempre in ogni momento della mia umile esistenza

e mi facciano sentire, attraverso la loro vicinanza, l’ amore del Signore.

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