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L’ASTRONOMIA INTRODUZIONE L’astronomia dei Greci, nata nelle scuole della Ionia e dell’Italia e fondata su deboli principi, si è continuamente arricchita nel corso del tempo,fino a pervenire al suo punto più alto con Tolomeo verso la metà del secondo secolo a.C. attraverso varie ipotesi ed osservazioni ha portato,addirittura, alla multiforme compagine degli accentri e degli epicicli,offrendo,in tal modo,a qualsiasi osservatore e studioso uno spettacolo interessante quasi come lo sviluppo di tale campo da Copernico ai nostri giorni. Se gli stadi di tale lavoro hanno ricevuto una loro sistemazione nella “Grande composizione matematica”, di tutto ciò che si è verificato e realizzato prima di Ipparco e fuori della scuola di Alessandria dopo Ipparco, non sono rimaste che deboli ed imperfette tracce e notizie. Addirittura,quel poco esistente non è risultato considerato e ponderato con la dovuta diligenza, per cui qualche notizia si può cercare solo presso gli studiosi di filologia e dell’antichità classica,piuttosto che nei libri degli specialisti in materia, quali Bailly, di Montucla e di Delambre. Il danno ancor più grande di tale difficoltà di interpretazione di tutti i più importanti monumenti dell’astronomia greca,dall’Almagesto in poi,dovuta alla pochezza dei ricordi (si tratta dell’astronomia greca non alessandrina),consiste,poi,nel fatto che ciò ha indotto molti ad ignorarla o,addirittura,disprezzarla. Ciò ha originato la falsa opinione che tutta l’astronomia greca è contenuta nell’Almagesto,come è stato fortemente sostenuto da Delambre: ”… l’astronomia non è stata studiata veramente oltre che in Grecia e quasi soltanto da due uomini Ipparco e Tolomeo”. Gli astronomi,così,nello 1

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L’ASTRONOMIA

INTRODUZIONE

L’astronomia dei Greci, nata nelle scuole della Ionia e dell’Italia e

fondata su deboli principi, si è continuamente arricchita nel corso del

tempo,fino a pervenire al suo punto più alto con Tolomeo verso la

metà del secondo secolo a.C. attraverso varie ipotesi ed osservazioni ha

portato,addirittura,

alla multiforme compagine degli accentri e degli epicicli,offrendo,in tal

modo,a qualsiasi osservatore e studioso uno spettacolo interessante

quasi come lo sviluppo di tale campo da Copernico ai nostri giorni. Se

gli stadi di tale lavoro hanno ricevuto una loro sistemazione nella

“Grande composizione matematica”, di tutto ciò che si è verificato e

realizzato prima di Ipparco e fuori della scuola di Alessandria dopo

Ipparco, non sono rimaste che deboli ed imperfette tracce e notizie.

Addirittura,quel poco esistente non è risultato considerato e ponderato

con la dovuta diligenza, per cui qualche notizia si può cercare solo

presso gli studiosi di filologia e dell’antichità classica,piuttosto che nei

libri degli specialisti in materia, quali Bailly, di Montucla e di

Delambre. Il danno ancor più grande di tale difficoltà di

interpretazione di tutti i più importanti monumenti dell’astronomia

greca,dall’Almagesto in poi,dovuta alla pochezza dei ricordi (si tratta

dell’astronomia greca non alessandrina),consiste,poi,nel fatto che ciò

ha indotto molti ad ignorarla o,addirittura,disprezzarla. Ciò ha

originato la falsa opinione che tutta l’astronomia greca è contenuta

nell’Almagesto,come è stato fortemente sostenuto da Delambre: ”…

l’astronomia non è stata studiata veramente oltre che in Grecia e quasi

soltanto da due uomini Ipparco e Tolomeo”. Gli astronomi,così,nello

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scrivere la storia della loro scienza non solo si occuparono leggermente

degli studi degli Ionii, Pitagorici e di Platone,ma di tutti i lavori della

scuola di geometri,che fiorì in Grecia tra gli anni 400 e 300 a.C.,

parlarono inesattamente o tacquero. Eppure in tale intervallo,e prima

che avesse inizio la scuola di Alessandria,si elaborava in Grecia il

materiale degli “Elementi” di Euclide,si studiavano ed inventavano le

sezioni del cono,si imparava a risolvere i problemi per mezzo della

descrizione meccanica delle linee curve e rappresentavano i fenomeni

celesti con ipotesi geometriche. E così,attraverso un tipo di ricerca

scientifica che si può già ritenere anticipatrice di quella

moderna,nacque il sistema delle sfere omocentriche, cui è fortemente

legato il nome di Eudosso di Cnido. Non trovando,però,tale scoperta

,pur nella sua originalità di concetto e sottigliezza di costruzioni

geometriche,adeguata considerazione,per non essere il loro autore un

alessandrino e per essere vissuto,altresì,in un tempo anteriore ad

Ipparco, le sfere omocentriche non furono considerate dai narratori

della storia dell’astronomia e procurarono più biasimo che lode. Il che

è testimoniato dall’espressione “assurdo”, con cui il Bailly considera il

sistema di Eudosso e della severità delle parole che su di esse scrive

Montucla: ”si attribuisce ad Eudosso una specie di ipotesi psico-

astronomica che male si addice alla reputazione che egli ebbe presso gli

antichi. Un ipotesi anche assurda e poco conforme ai fenomeni celesti

non meritava che di essere rigettata con disprezzo dei matematici

giudiziosi”. Ed ancora,nella storia dell’astronomia di Delambre, che dà

a quella antica un grande spazio,non si trova neanche una parola sulle

sfere di Eudosso, o perché gli sfuggì,o perché non ha voluto annoiare il

lettore con l’esposizione di cose estranee alla scuola di Alessandria,

fuori della quale per lui non c’è storia dell’astronomia. Una lieve

allusione al sistema di Eudosso appare in un passo del suo “Discorso

preliminare“, dove così si legge: ”Platone consigliò agli astronomi di

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cercare la spiegazione dei movimenti celesti nella combinazione di

differenti cerchi:seguono questo consiglio a dispetto di idee abbastanza

precise e di buone osservazioni e si moltiplicano i cerchi oltre misura e

senza alcun successo”. In tale ambito le sfere di Eudosso vengono

considerate come un primo abbozzo della Teoria degli epicicli. Il primo

che,in un certo senso,ha cercato di introdursi nello studio del sistema in

discorso è stato Corrado Schaubach, con il suo testo “Sopra le idee di

Eudosso intorno al sistema planetario”, senza, però, riuscire a cogliere

il nodo della questione;per aver male interpretato i numeri assegnati da

Eudosso alle rivoluzioni sinodiche dei cinque pianeti. Il solo che,con

parziale successo, ha dimostrato di avere compreso il meccanismo

essenziale delle sfere omocentriche è stato Ludovico Ideler. Egli nella

sua eccellente monografia su Eudosso, stampata fra le Memorie

dell’Accademia Reale di Berlino negli anni 1820-1830,si è reso conto,

attraverso l’utilizzo di un globo ordinario,del modo con cui Eudosso ha

spiegato le stazioni e le retrogradazioni dei pianeti,nonché il loro

movimento in latitudine,pur con qualche ombra interpretativa. E

Schiaparelli, continuando l’opera e la ricerca di Ideler, ha potuto

mostrare agli astronomi e ai geometri le varie ed ingegnose

combinazioni nascoste sotto il sistema di Eudosso, così ridicolizzate o

considerate non degne di attenzione. E’ stata così, finalmente,chiarita la

natura di quella elegante epicicloide sferica che,detta da Eudosso

“ippopeda” rappresenta il cardine fondamentale di tutto il suo

sistema;nel contempo,sono stati sottolineati tutti quegli elementi che

poi,ripresi e riconsiderati,hanno aperto il cammino ad altre scoperte. Il

che, anche per dimostrare che nelle speculazioni del passato,pur nelle

loro imperfezioni,non c’è nulla di assurdo o di ridicolo,in quanto la

scienza moderna ha raggiunto i suoi alti traguardi proprio perché si è

approfittato degli errori e delle scoperte degli studiosi che ci hanno

preceduto.

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LE SFERE OMOCENTRICHE DI EUDOSSO,

CALLIPPO E ARISTOTELE.

Le sfere omocentriche di Eudosso e Callippo.

Lo studio, attento, delle dottrine astronomiche di Platone ci ha

permesso di sapere che intorno alla prima metà del quarto secolo a.C.

vi erano dei filosofi che potevano vantare qualche conoscenza del moto

dei pianeti. Eudosso di Cnido, contemporaneo di Platone,fu il primo

filosofo che,con il suo sistema astronomico,tentò di spiegare le

irregolarità più notevoli di tali movimenti. Eudosso deve i suoi natali a

Cnido, situato in Asia Minore,dove nacque intorno al 408 a.C., e morì a

53 anni,intorno al 355.All’età di 23 anni si recò ad Atene,dove,per

alcuni mesi,divenne discepolo di Platone;a causa degli scarsi profitti

conoscitivi ricavati dal soggiorno in Grecia Eudosso si recò in Egitto

ove vi rimase almeno un anno grazie alle lettere di raccomandazione

del re di Sparta Agesilao al re d’Egitto Nectanebo I°. Secondo

l’autorevole parere di Seneca Eudosso raggiunse la conoscenza dei

moti planetari proprio in Egitto. Nonostante la sua non longeva vita

Eudosso divenne uno dei massimi matematici Greci. Infatti la maggior

parte del V° libro di Euclide si deve sicuramente a lui,così come il

metodo di Esaustione, per mezzo del quale i Greci risolsero molti

problemi di misurazione senza far uso di infinitesimi. Nella storia

dell’astronomia egli è noto anche per aver proposto per primo il ciclo

solare di 4 anni,uno di 366 giorni e 3 di 365 che fu introdotto da Giulio

Cesare 300 anni dopo. Il fine dei suoi intensi studi fu quello di creare

un architettonico sistema cosmico che rappresentava i principali

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fenomeni celesti. Il sistema di sfere concentriche di Eudosso, che fu

adottato da Callippo il quale vi apportò un leggero miglioramento,ci è

pervenuto attraverso una breve annotazione contenuta nella

“Metafisica” di Aristotele e attraverso la prolissa esposizione di

Simplicio nel suo commentario al “De Caelo” di Aristotele. Anche se fu

un ingegnosissimo sistema finì per essere soppiantato dal sistema di

Ipparco e da quello di Tolomeo e fu ricordato dai successivi storici

dell’astronomia se non per poche e sprezzanti osservazioni sulla sua

assurdità. In due comunicazioni edite negli atti dell’Accademia di

Berlino del 1828 e 1830 Ideler richiamò l’attenzione sulla teoria di

Eudosso e ne spiegò i princìpi. Ma l’onore e il merito di aver

interpretato in modo imperante e di aver reso la giusta ragione dei

fenomeni osservati spetta di sicuro a Schiaparelli, il quale ha

giustamente,non senza attenti studi e riflessioni,mostrato quanto

ingiuste siano state la dimenticanza e il disprezzo che per tanto tempo

hanno circondato la figura senza dubbio ingegnosa di Eudosso

soprattutto per quanto riguarda il sistema delle sfere concentriche.

Quindi aiutati dagli studi dello Schiaparelli e dalla sua esposizione in

merito illustreremo il suo sistema. Benché si riscontrino enormi

differenze sia nei princìpi generali sia in elementi e aspetti particolari

dei vari sistemi cosmici proposti dai filosofi sin dai tempi più antichi

sino all’epoca di Keplero, esse sono accomunati da un’idea:che i pianeti

si muovano in orbite circolari. Eudosso fece suo questo principio

integrandolo però con un altro per rendere simmetrico e semplice il

suo sistema. Egli suppose che tutte le sfere,da lui introdotte poiché lo

ritenne necessario,fossero disposte una dentro l’altra e che tutte fossero

concentriche alla Terra;di qui il nome,tramite il quale divenne famoso

in tempi di molto posteriori a lui,di sistema delle sfere omocentriche.

Eudosso supponeva che ogni corpo celeste fosse posto sull’equatore di

una sfera ruotante con velocità uniforme intorno ai suoi due poli. Egli

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per spiegare le stazioni e le retrogradazioni dei pianeti,come anche il

loro moto in latitudine,suppose che i poli di una sfera planetaria

fossero mobili in quanto trasportati da una sfera più grande e

concentrica alla prima che ruotava con velocità diversa intorno ad altri

due poli. Ma due sfere non bastarono per spiegare i fenomeni quindi

Eudosso collocò i poli della seconda sfera sulla superficie di una terza

sfera,sempre concentrica a quelle che l’avevano preceduta,e più

grande,che ruotava a sua volta su altri due poli con una propria

velocità. Egli trovò che,tramite una più idonea scelta di poli e velocità

di rotazione,poteva rendere possibile la rappresentazione del moto del

Sole e della Luna supponendo tre sfere per ognuno di loro;per i moti

più complicati dei restanti pianeti (cinque)furono necessarie quattro

sfere ciascuno mettendo in evidenza,inoltre, l’indipendenza,da quelle

degli altri delle sfere che muovevano un pianeta. In oltre precisò che

per produrre la rotazione diurna del cielo per le stelle fisse bastava una

sfera. Quindi il numero complessivo delle sfere era 27. Riflettendo bene

sugli studi,tramandati,di Eudosso sembra di capire che egli non si pose

il problema di indagare sulla causa di tutte queste rotazioni ne sulla

sostanza,lo spessore o simmetriche distanze delle sfere;né che si

propose di capire come fossero collegati l’un l’altro i moti dei vari

gruppi di sfere. Tutti i suoi scritti andarono perduti. Aristotele,

appartenente ad una generazione successiva,era venuto a conoscenza

del sistema di Eudosso grazie a Polemarco il quale si poteva fregiare

dell’onore di aver conosciuto di persona Eudosso. Così come andarono

perdute la storia dell’astronomia di Eudemo dove descrisse,si

suppone,dettagliatamente il sistema;stessa sorte toccò per

l’esposizione del sistema in un’opera sulle sfere redatta da Sosigene, un

filosofo peripatetico vissuto nella seconda metà del II° secolo d.C..

Nonostante la perdita, come già detto, di quest’opera, c’è stato

conservato un lungo estratto di essa nel commentario di Simplicio al

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“De Caelo”; ed è grazie a tale commentario che possediamo un

esposizione accurata del sistema di Eudosso.Mentre tutti gli altri

sistemi cosmologici antichi e medievali(tolto quelli che ammettono la

rotazione della Terra) spiegano il moto diurno del Sole,della Luna e dei

pianeti supponendo che la sfera delle stelle fisse, durante la sua

rotazione diurna,si trascini dietro tutte le altre sfere,nel sistema di

Eudosso esiste un meccanismo separato per ogni pianeta aggiungendo

quindi complessivamente sette sfere al numero delle sfere già

introdotte per altri fini. Così il moto della Luna viene spiegato

mediante la rotazione di tre sfere; la prima e più esterna di esse ruota

da est verso ovest in 24 ore come le stelle fisse;la seconda ruota da

ovest verso est intorno all’asse dello zodiaco,producendo così il moto

mensile della Luna;la terza sfera ruota lentamente,a parere di

Simplicio, nella stessa direzione della prima (da est verso ovest)

intorno a un asse inclinato rispetto a quello dello zodiaco di un angolo

uguale alla massima latitudine raggiunta dalla Luna la quale è sita su

quello che è possibile chiamare l’equatore di questa terza sfera.

Insomma la terza sfera doveva spiegare il moto retrogrado dei nodi

dell’orbita lunare con un periodo di 18 anni e mezzo. Ma Simplicio (per

Ideler) commise un errore con l’affermazione riguardante il

movimento molto lento della sfera più interna la quale si muoveva in

27 giorni. In questo modo i fenomeni venivano spiegati precisamente

ma ciò valeva ovviamente per Eudosso nella misura in cui li conosceva.

Infatti Eudosso non sapeva che il moto della Luna in longitudine non è

uniforme,cosa della quale invece Callippo, intorno al 325 a.C., era a

conoscenza. Per quanto riguarda la teoria solare,grazie ad

Aristotele,veniamo a conoscenza del fatto che anch’essa dipendeva da

tre sfere;la prima aveva lo stesso moto diurno della sfere delle stelle

fisse;la seconda si muoveva di moto rivoluzionario lungo lo zodiaco e

la terza lungo un cerchio inclinato rispetto allo zodiaco. Anche su

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questa teoria interverrà Simplicio il quale la confermerà aggiungendo

però che,contrariamente alla Luna,la terza sfera non ruota nella

direzione opposta a quella della seconda ma nella stessa direzione

quindi secondo l’ordine dei segni dello zodiaco comunque sempre più

lentamente della seconda sfera. Affermando ciò sulla terza sfera

commette nuovamente un errore simile a quello precedente poiché il

moto lento deve riguardare, appunto,la seconda sfera la quale si

muove lungo lo zodiaco, mentre il moto della terza sfera si deve

compiere in un anno lungo il grande cerchio inclinato, descritto, come

si suppone, dal centro del Sole il quale è fatto ruotare attorno all’asse

dello zodiaco per opera della seconda sfera. Per quanto riguarda il

moto annuo del Sole si è supposto che fosse perfettamente uniforme

quindi la notevole scoperta fatta da Metone ed Euctemone 60 o 70 anni

prima che riguardava la non uniformità della velocità orbitale del Sole

(il Sole non impiega lo stesso tempo a percorrere i 4 quadranti della sua

orbita compresi tra i 2 solstizi o i 2 equinozi) non era stata accettata da

Eudosso. Ma nonostante ciò egli ammetteva come reale l’idea

immaginaria che il Sole non compisse il suo moto annuo lungo

l’eclittica ma lungo un cerchio inclinato di un piccolo angolo rispetto a

quest’ultima;questo come per Eudosso così per gli altri che lo avevano

preceduto avveniva perché,secondo Simplicio,erano stati tratti in

inganno dall’osservazione che ai solstizi estivo e invernale il Sole non

sorge allo stesso punto dell’orizzonte. Secondo Plinio l’inclinazione

sarebbe 1° e il punto dove il Sole raggiunge la sua massima latitudine il

29° dell’Ariete. Schiaparelli dimostra che supponendo un inclinazione

di ½° tra gli assi della seconda e della terza sfera,così come era stato

affermato da Teone di Smirne il quale espose più dettagliatamente il

problema,i punti solstiziali avrebbero oscillato di 2°28’. Il tutto influisce

naturalmente sulla lunghezza dell’anno tropico. Questo strano errore è

stato sostenuto ancora,nel V secolo,dal compilatore Marziano

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Capella.Bisogna però osservare che la precessione degli equinozi(la

vera causa di questa differenza) è ignota a tutti questi autori. Ma il

compito più arduo si presentò quando bisognava affrontare le teorie

degli altri 5 pianeti,poiché era necessario render ragione delle stazioni e

delle retrogradazioni di questi corpi.

Delle quattro sfere assegnate a ogni pianeta la prima e più esterna

produceva la rotazione diurna del pianeta intorno alla Terra in 24

ore;la seconda determinava il moto lungo lo zodiaco in un periodo che

per i tre pianeti esterni era uguale rispettivamente ai loro periodi

siderei di rivoluzione,mentre per Mercurio e Venere era uguale a un

anno. Poichè in tutti i casi veniva supposto che la rotazione di questa

seconda sfera fosse uniforme,se ne desume che Eudosso non conosceva

le variazioni nella velocità orbitale dei pianeti dipendenti

dall’eccentricità delle loro orbite, ma credeva che i punti dello zodiaco

in cui i pianeti si trovavano nelle successive opposizioni(o

congiunzione) fossero perfettamente equidistanti l’uno dall’altro. In

più egli non suppose neppure che le loro orbite fossero inclinate

rispetto all’eclittica,ma fece muovere lungo questo cerchio la seconda

sfera di ogni pianeta mentre riteneva che le latitudini dei pianeti

dipendessero esclusivamente dalla loro elongazione dal Sole e non

dalla loro longitudine. Una terza e una quarta sfera vennero introdotte

per ogni pianeta al fine di rappresentare questo moto in latitudine e

nello stesso tempo l’anomalia in longitudine dipendente dalla loro

elongazione dal Sole. La terza sfera ai suoi due poli situati in due punti

opposti dello zodiaco(sulla seconda sfera)e ruota intorno ad essi in un

periodo uguale al periodo sinodico del pianeta,ovvero all’intervallo tra

due successive opposizioni o congiunzioni col Sole. Questi poli

differivano da pianeta a pianeta;solo Mercurio e Venere avevano i

stessi poli per quanto riguarda il verso della rotazione di questa terza

sfera Simplicio non ci riferisce la direzione da lui adottata. Sulla

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superficie della terza sfera erano fissati i poli della quarta;l’asse di

quest’ultima manteneva un’inclinazione, costante,diversa da pianeta a

pianeta,rispetto all’asse della terza sfera. La rotazione della quarta sfera

si compiva nello stesso tempo ma in direzione opposta a quella della

terza. Il pianeta fissato all’equatore della quarta sfera,risulta quindi

dotato di 4 moti:io moto diurno,il moto orbitale, lungo lo zodiaco,e

altri due moti nel periodo sinodico.

Figura 1

Il tutto è stato studiato accuratamente da Schiaperelli, il quale ha

dimostrato che la soluzione del problema era alla portata di un

geometra dell’abilità, da tutti riconosciuta, di Eudosso. Il risultato è che

la traiettoria sul cerchio è simmetrica rispetto alla linea AB, che ha un

punto doppio su di essa, e che non è altro che la ben nota “figura a

otto”o lemniscata, la cui equazione è r =a cos 2 H, o, a rigore, una

figura di questo genere giacente però sulla superficie della sfera

celeste;per questa ragione Schiaparelli la chiama appunto lemniscata

sferica. L’asse longitudinale della curva si trova sullo zodiaco e la sua

lunghezza è uguale al diametro del cerchio descritto da P, il polo della

sfera che porta il pianeta.

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A

R

PuPP

Q

90°

B

8 4

5

6 2 3

7

1

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Figura 2

pianeta descrive la curva movendo nel senso delle frecce (FIG. 2) e

percorre in tempi uguali gli archi 1-2, 2-3, 3-4, 4-5, 6-7, 7-8. Finora

abbiamo considerato il moto del punto M solo per quanto concerne

l’azione su di esso esercitata dalle rotazioni della terza sfera e della

quarta sfera. Adesso bisogna ricordare il fatto che l’asse AB ruota

attorno all’eclittica con lo stesso periodo della rivoluzione siderea del

pianeta. Durante questo moto l’asse longitudinale della lemniscata

coincide sempre con l’eclittica ,lungo la quale la curva è portata con

velocità uniforme. Quindi di può sostituire la lemniscata, sulla quale il

pianeta si muove nel modo descritto sopra, alla terza e quarta sfera .La

combinazione di questo moto col moto della curva lungo l’eclittica da

origine al moto apparente del pianeta attraverso le costellazioni. Il

moto del pianeta sulla lemniscata consiste in un oscillazione avanti e

indietro,con lo stesso periodo della rivoluzione sinodica. Quindi i moti

devono essere combinati in modo che il pianeta passi attraverso questo

con un moto diretto al tempo della congiunzione superiore col Sole ,

quando la velocità apparente del pianeta in longitudine è massima,

mentre deve trovarsi nel punto doppio, ma animato di moto

retrogrado, al tempo dell’opposizione o della congiunzione inferiore

quando sembra che il pianeta abbia il moto retrogrado più veloce. A

questa combinazione di moti dev’essere ovviamente associato un certo

moto in latitudine dipendente dalla larghezza della lemniscata. I Greci

chiamarono questa curva ippopeda “ippoupedh” perché nelle scuole

d’equitazione era in uso far descrivere al cavallo questa curva al

piccolo galoppo; e Simplicio nella sua esposizione della teoria

planetaria di Eodosso dichiara espressamente che un pianeta descrive

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la curva chiamata da Eudosso ippopeda. Questo termine compare più

volte nel commento al primo libro di Euclide scritto da Proclo; ciò

prova che Eudosso e i suoi seguaci avevano una chiara idea delle

proprietà della curva che rappresenta la risultante del moto della terza

e della quarta sfera. Anche Teone di Smirne nella sua esposizione della

teoria astronomica del platonico Dercillide accenna alla curva e alla sua

applicazione ma rifiuta il moto sulla lemniscata escogitato da Eudosso.

Per poter sottoporre a verifica la teoria, abbiamo bisogno di conoscere

il periodo sidereo, il periodo sinodico e la distanza tra i poli della terza

e della quarta sfera , distanza che Schiaparelli chiama inclinazione .Né

Aristotele né Simplicio ci comunicano l’entità di questa distanza

adottata da Eudosso per ogni pianeta, e solo Simplicio riporta in cifra

tonda i periodi. Per conoscere meglio i valori accettati da Eudosso è

opportuno presentare un grafico nel quale siano contenuti i suoi valori

comparati con quegli attuali.

Osservando le cifre qui sopra riportate vediamo che, eccezion fatta per

Marte, mostrano che le rivoluzioni dei pianeti sono state osservate con

una certa cura. Se solo noi conoscessimo l’inclinazione da cui

dipendono le dimensioni dell’ippopeda, potremmo ricostruire

perfettamente tutte le teorie planetarie di Eudosso. Poiche l’obbiettivo

principale del sistema era certamente quello di render conto dei moti

retrogradi, Schiaparelli a supposto per i tre pianeti esterni che i valori

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PIANETAPERIODO

SINODICO

VALORE

MODERNO

PERIODO

ZODIACALE

VALORE

MODERNO

MERCURIO 110 giorni 116 giorni 1 anno 1,0 anni

VENERE 19 mesi 584 giorni 1 anno 1,0 anni

MARTE 8 mesi e 20 giorni 780 giorni 2 anni 1,88 anni

GIOVE 13 mesi 399 giorni 12 anni 11,86 anni

SATURNO 13 mesi 378 giorni 30 anni 29,46 anni

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delle inclinazioni fossero stati scelti in modo da far si che gli archi

retrogradi si accordassero con quelli osservati .L’arco retrogrado di

Saturno è di circa 6°, e con un periodo zodiacale di 30 anni , un periodo

sinodico di 13 mesi e un’ inclinazione di 6° tra gli assi della terza e della

quarta sfera la lunghezza dell’ippopeda risulterà di 12° e la sua semi-

larghezza, cioè la massima declinazione del pianeta

dall’eclittica,risulterà essere 9’, una quantità insensibile per le

osservazioni di quei tempi. La situazione era completamente diversa

per quanto riguarda Marte,ma non c’è da stupirsene,se si pensa che

anche Keplero stentò per molto tempo prima di elaborare una teoria

soddisfacente per questo pianeta. Non è facile rendersi conto di come

Eudosso possa avere stimato il periodo sinodico di Marte uguale a 8

mesi e 20 giorni(ossia 260 giorni),mentre esso è in realtà di 780

giorni,ovvero esattamente il triplo. Tutte le edizioni di Simplicio

riportano le stesse cifre, e per ciò sembra infondato il suggerimento di

Ideler, di leggere 25 mesi al posto di 8. Per quanto concerne Mercurio e

Venere,dobbiamo notare innanzi tutto che il luogo medio di questi

pianeti coincide sempre col Sole, cosicché il centro dell’ippopeda giace

sempre nel Sole. Poichè questo centro dista 90° dai poli di rotazione

della terza sfera,se ne desume che questi poli coincidono per i due

pianeti. Quest’osservazione fornisce tra l’altro una prova valida

dell’esattezza delle deduzioni di Schiparelli. Poiché la massima

elongazione di ciascuno di questi pianeti dal Sole è uguale a metà della

lunghezza dell’ippopeda ossia dell’inclinazione della terza e della

quarta sfera, Eudosso determinò certamente l’inclinazione osservando

le elongazioni,egli non poteva infatti servirsi dei modi retrogradi,che

nel caso di Venere sono difficilmente osservabili e in quello di

Mercurio del tutto al di fuori delle possibilità d’osservazione. Un

difetto molto più grave risiede nel fatto che secondo la teoria di Venere

dovrebbe impiegare lo stesso tempo per passare dall’estremo orientale

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dell’ippopeda a quello occidentale e viceversa,cosa che non è in

accordo con i fatti,poiché in realtà Venere impiega 440 giorni per

passare dalla massima elongazione occidentale alla massima

elongazione orientale e solo 143 giorni circa per trasferirsi

dall’elongazione orientale a quella occidentale, un fatto che è

facilmente osservabile. La teoria è altrettanto insoddisfacente per

quanto riguarda la latitudine poiché l’ippopeda interseca l’eclittica in

quattro punti,alle due estremità e nel punto doppio;di conseguenza

Venere dovrebbe intersecare l’eclittica quattro volte durante ogni

periodo sinodico,ciò che non corrisponde ai fatti. Ma nonostante le

numerose imperfezioni nei dettagli,il sistema di sfere omocentriche di

Eudosso merita la nostra attenzione e ammirazione,in quanto è il

primo serio tentativo di render ragione dei moti apparentemente senza

legge dei pianeti. Per Saturno e Giove,e praticamente anche per

Mercurio,il sistema spiegava soddisfacentemente il moto in

longitudine,mentre era insufficiente nel caso di Venere e falliva

completamente solo quando affrontava il moto di Marte. Ma bisognava

tener presente che Eudosso non può aver avuto a disposizione un

numero sufficiente di osservazioni;egli aveva appreso probabilmente

in Egitto i fatti principali relativi ai punti stazionari e alle

retrogradazioni dei pianeti esterni,così come i loro periodi di

rivoluzione,che i Babilonesi e gli Egizi conobbero certamente con

buona esattezza,mentre si può dubitare che osservazioni sistematiche

siano mai state compiute in Grecia. E anche se si deve ripetere l’antica

lagnanza sulla terribile complessità del sistema,bisogna tener ben

presente,come osserva Schiaparelli, che Eudosso nelle sue teorie

planetarie usò solo tre elementi:l’epoca di una congiunzione

superiore,il periodo della rivoluzione siderea(di cui il periodo sinodico

è una funzione)e l’inclinazione dell’asse della terza sfera rispetto a

quello della quarta mentre noi oggi,per lo stesso scopo,abbiamo

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bisogno di sei elementi. Anche se il sistema si fondava su una quantità

insufficiente di osservazioni,una trentina di anni dopo la pubblicazione

dell’opera di Eudosso vediamo infatti una suo seguace, Callippo di

Cizico, il quale si impegna a migliorare il sistema del suo maestro.

Callippo ci è anche ben noto per aver perfezionato il ciclo lunisolare di

Metone, e ciò dimostra che deve aver posseduto una conoscenza

notevolmente precisa della lunghezza del periodo di rivoluzione della

Luna. Simplicio asserisce che Callippo, che aveva studiato con un

conoscente di Eudosso, Polemarco, venne con lui ad Atene per

discutere le teorie di Eudosso con Aristotele,e per correggerle e

completarle col suo aiuto. Questo fatto può essersi verificato durante il

regno di Alessandro Magno(336-323),periodo nel quale Aristotele

soggiornò ad Atene. Dalle ricerche di Callippo risultò un importante

perfezionamento del sistema di Eudosso, su cui riferiscono Aristotele e

Simplicio, e poiché il primo lo attribuisce interamente a Callippo,

sembra probabile che non vi abbia egli stesso una parte,benché lo

approvi con cordialità.Callippo scrisse sulla sua teoria planetaria un

libro,andato però, purtroppo,perduto già prima del tempo di

Simplicio; questi conobbe perciò l’opera di Callippo solo attraverso la

storia dell’astronomia di Eudemo,che ne dava un’esposizione. Il

principio delle sfere omocentriche si adattava bene,come vedremo nel

prossimo capitolo,alle idee cosmologiche di Aristotele e doveva perciò

essere conservato;a tal fine Callippo fu costretto ad aggiungere al

sistema a più sfere,nel tentativo di conservarle la validità nel confronto

con le operazioni. Egli considerava le teorie di Giove e di Saturno

sufficientemente corrette le lasciò intatte,ciò che dimostra che egli non

si era accorto dell’ineguaglianza ellittica nel moto di nessuno dei due

pianeti,benché essa possa raggiungere il valore di 5 o 6°. Cercò invece

di correggere le grandissime insufficienze della teoria di Marte

introducendo una quinta sfera per produrre un moto retrogrado senza

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essere costretto a commettere un grave errore nel periodo sinodico. Ma

tutto questo appena detto si tratta solo di una supposizione,poiché non

abbiamo nessuna testimonianza precisa sul fatto che Callippo abbia

aggiunto una sfera ciascuna alle teorie di Marte,Venere e Mercurio,ma

Schiparelli ha mostrato come la sfera addizionale possa produrre una

retrogradazione senza influire indebitamente sul moto in latitudine.

Nella teoria solare Callippo introdusse due nuove sfere per render

conto delle irregolarità nel moto del Sole in longitudine scoperte un

centinaio di anni prima da Metone ed Euctemone attraverso la

diseguale lunghezza delle quattro stagioni. Il cosiddetto Papiro di

Eudosso ci fornisce i valori adottati da Callippo per la lunghezza delle

stagioni e benché queste lunghezze,in giorni,siano espresse in numeri

interi (95, 92, 89, 90, cominciando con l’equinozio invernale), i valori

sbagliano in ogni caso di meno di un giorno mentre i valori

corrispondenti determinati da Euctemone intorno al 430 presentano un

errore di 1 ¼-2 giorni. Se ne desume che nel periodo 430-330 a.C.

l’osservazione del Sole aveva fatto in Grecia grandi progressi.

Aggiungendo altre due sfere alle tre di Eudosso, Callippo doveva

semplicemente seguire lo stesso principio secondo il quale Eudosso

aveva rappresentato le ineguaglianze sinodiche dei pianeti,e di fatto

un’ippopeda di 4° in lunghezza e 2’ in larghezza rappresenta in modo

perfettamente soddisfacente l’ineguaglianza massima di 2°.

Analogamente fu accresciuto di due il numero delle sfere della Luna,e

benché Simplicio non sia molto esplicito al riguardo,è chiaro che

secondo lui bisogna intendere che la causa sia simile a quella che

abbiamo appena determinato nel caso del Sole. In altri termini,

Callippo dev’essersi reso conto del l’ineguaglianza ellittica della luna.

Quindi si può dire che l’astronomia scientifica di Eudosso e Callippo

ha caratterizzato lo sviluppo storico dell’astronomia. Eudosso fu il

primo ad andar oltre il semplice ragionamento filosofico sulla

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costruzione dell’universo e a tentare sistematicamente di render

ragione dei moti planetari. Una volta che egli ebbe realizzato questo

compito,il problema che si poneva era quello di determinare fino a che

punto questa teoria soddisfacesse i fenomeni osservati; Callippo si

procuro i fatti d’osservazione richiesti per verificare la teoria e

modificò quest’ultima finché i moti previsti teoricamente e quelli

osservati si accordarono, ovviamente entro i limiti della precisione

raggiungibile nelle osservazioni a quel tempo .Da allora in poi vennero

abbandonate in questo campo le speculazioni filosofiche non fondate

su una messe continua di osservazioni ;la scienza aveva trovato la sua

strada.

ARISTOTELE

Il sistema delle sfere omocentriche fu pienamente accettato da

Aristotele (384-322) l’ultimo grande filosofo speculativo che figura

nella storia dell’astronomia antica. A differenza di Platone, egli

investigò l’idea nella sua concreta realizzazione nei fenomeni della

natura, e perciò tutti gli oggetti dell’esperienza e dell’osservazione

attraverso il suo interesse. Poiché la sua filosofia presenta la tendenza a

considerare l’universo come un sistema di unità ciascuna delle quali è

importante per la comprensione del tutto, i suoi scritti hanno un

carattere enciclopedico, abbracciando tutti i campi del sapere:le opere

in cui si occupa di argomenti astronomici sono i quattro libri “De

caelo” e, in qualche misura, i quattro libri “Meteorologico”, in cui sono

affrontati anche alcuni argomenti astronomici (le Comete, la Via lattea).

Il De caelo non è però interamente dedicato all’astronomia , della quale

si occupa di fatto solo il secondo libro ma è opportuno ricordare che

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Aristotele non è probabilmente responsabile né della forma sotto cui i

suoi scritti ci sono pervenuti, ne dei titoli sotto cui li conosciamo. Il

primo dei quattro libri del De caelo è completamente d’argomento

metafisico e tratta problemi quali se l’universo sia infinito o finito ,se

sia stato creato o se sia senza inizio nel tempo,e così via. Per quanto

riguarda il primo problema Aristotele argomenta che l’universo

materiale non può essere infinitamente esteso perché una linea

tracciata dal centro della Terra a un corpo infinitamente lontano non

potrebbe compiere una rotazione completa in un tempo definito (24

ore); e poiché non possono esserci corpi a distanza infinita, neppure lo

spazio può essere infinito, poiché esso è solo un ricettacolo di corpi. I

cieli non hanno principio e sono incorruttibili, poiché l’una cosa non

può essere senza l’altra, contrariamente alla supposizione di Platone

che il mondo sarebbe durato eternamente benché fosse stato creato .Il

secondo libro del De caelo discute la forma del cosmo, il moto e la

natura delle stelle,e infine la posizione e la forma della Terra ,che è in

quiete al centro dell’ universo. Il terzo e il quarto libro non contengono

nulla che riguardi l’astronomia ,ma cominciano l’esposizione,

proseguita poi nel “De generatione et corruptione”, della teoria

aristotelica delle due coppie di opposti ,caldo e freddo ,umido e secco,

la prima coppia attiva ,la seconda passiva; dalle loro varie

combinazioni si formano i quattro elementi: il fuoco, l’aria, l’acqua e la

terra. Nella sua concezione generale del cosmo Aristotele guidato da

argomentazioni puramente metafisiche. L’universo è sferico perché la

sfera e il corpo più perfetto (come il cerchio è la più perfetta tra le

figure piane). In questo universo sferico la sfera più perfetta è quella

che è animata del moto più perfetto, e poiché il moto più perfetto è

quello più veloce, la sfera più esterna ,che è quella che ha la rotazione

più veloce, è di tutte la più perfetta ed è la sede di un ordine

immutabile. Questa sfera subisce direttamente l’influenza della

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primaria causa divina di moto, che dalla circonferenza emana il suo

potere verso il centro,invece di essere situata al centro come la forza

motrice dei Pitagorici, o come l’anima cosmica del Timeo onnipresente

nell’universo. Il moto dei cieli è diretto verso destra(da est a

ovest)poiché questa è la direzione più onorevole , e si compie con

velocità uniforme poiché le singole parti non devono muoversi

“interse”, come possiamo vedere dalla mancanza di mutamenti nelle

costellazioni ;la sfera considerata come un tutto non è soggetta ad

occasionali accelerazioni o ritardi che sarebbero innaturali poiché ciò

significherebbe che la forza motrice è a volte in uno stato di debolezza

e a volte in uno stato di vigore. Quanto alla composizione delle

stelle,che sono eterne e divine, Aristotele ritiene molto ragionevole

supporre che ogni stella sia formata da quella materia cui appartiene il

suo moto,e poiché il moto rettilineo appartiene naturalmente ai quattro

elementi a noi noti (il fuoco ha il moto verso l’alto la terra verso il

basso) il moto circolare deve essere naturale all’elemento primario e

superiore. Le sfere e le stelle sono composte di quest’ elemento e non di

fuoco, e Aristotele ritiene che il calore e la luce dei corpi celesti siano

causati dall’attrito con l’etere durante la rotazione delle sfere,ma in

modo tale che a riscaldarsi sia l’etere adiacente, e non le stelle o le sfere.

Volgendosi ai moti dei corpi celesti, Aristotele considera dapprima il

problema se siano in moto sia le stelle sia le loro sfere e giunge alla

conclusione che sarebbe irragionevole pensare che ogni stella debba

muoversi esattamente con la stessa velocità della sua sfera se fossero

staccate l’una dall’altra,cosa che in realtà dovrebbero fare, poiché

appare che le stelle ritornano al punto di partenza

contemporaneamente alle sfere. Perciò le stelle sono in quiete nelle loro

sfere e soltanto queste ultime sono in moto. Aristotele asserisce che le

stelle non hanno alcun moto individuale;e poiché esse hanno forma

sferica,come possiamo osservare nelle fasi della Luna, ed egli ritiene

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che questa forma sia la meno idonea al moto progressivo,Aristotele

conclude, in base alla loro forma,che esse non hanno moto; poi dalla

loro mancanza di moto indipendente dimostra che devono avere forma

sferica. L’idea pitagorica dell’armonia delle sfere non incontra favore

presso di lui. Nell’undicesimo libro dell’opera composita che nota col

titolo di “Metafisica”,trattando dei sistemi numerici pitagorici e

platonici,egli dà tuttavia una breve esposizione del sistema delle sfere

di Eudosso e Callippo e aggiunge alcune osservazioni personali per

adattarlo al principio da lui introdotto della potenza motrice che agisce

a partire dalla superficie esterna del cosmo verso il centro. Per

Aristotele le sfere non hanno dunque una funzione meramente

sostitutiva di formule matematiche, benché egli dica

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che lo scopo del sistema sia quello di render ragione dei fenomeni;le

sfere esistono fisicamente come parti di un immenso meccanismo

mediante il quale i corpi celesti sono mantenuti in moto dalle rispettive

anime. Sorgeva a questo punto il problema di collegare tutti questi

gruppi di sfere,facendo in modo però che il moto delle sfere più esterne

non si trasmettesse a quelle più interne. Dopo l’ultima e più interna

sfera di ciascun pianeta e prima della sfera più interna del pianeta

successivo andando dalla periferia verso il centro del cosmo,egli inserì

perciò un certo numero di sfere addizionali che descrisse

semplicemente come “non rotolanti” (anelittousai). Allo stesso scopo

Aristotele introdusse per ciascuno degli altri pianeti un certo numero

di sfere addizionali, e precisamente per ogni pianeta una sfera in meno

di quelle operanti nel sistema di Callippo: egli aggiunse perciò tre sfere

per Giove e quattro per ciascuno dei pianeti Marte,Mercurio,Venere e

Sole. La Luna non aveva bisogno a suo parere di sfere addizionali

poiché non c’era nulla sotto di essa che potesse essere disturbato dal

suo moto. Il numero totale delle sfere addizionali era perciò di

ventidue,che si aggiunsero alle trentatrè sfere di Callippo,dando un

totale di cinquantacinque sfere. Questa è la cifra data da Aristotele e

non c’è da stupirsi che dopo di lui taluni filosofi abbiano trovato il suo

meccanismo piuttosto ingombrante. Pur non entrando in particolare

per quanto riguarda il funzionamento delle sfere celesti, Aristotele

dedica molto spazio a considerazioni generali su di esse.

Evidentemente lo disturba un po’ il fatto che i pianeti non abbiano tutti

lo stesso numero di sfere, o che questo numero non aumenta

progressivamente dalla sfera delle stelle fisse verso il basso. Noi

troviamo invece,egli dice,che il Sole e la Luna hanno meno moti di

alcuni pianeti, anche se questi ultimi sono certamente più lontani

poiché egli stesso ha osservato la Luna coprire Marte,mentre Egizi e

Babilonesi possiedono molte osservazioni di occultazioni di altri

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pianeti. Aristotele adottò semplicemente le cinque sfere di Callippo per

la Luna,mentre aggiunse quattro sfere alle cinque che Callippo aveva

assegnato al Sole. Poiché egli associa il Sole alla Luna nella

considerazione che hanno meno sfere dei pianeti si ha l’impressione

che avesse dei dubbi sulla necessità di adottare le nuove sfere attribuite

al Sole e alla Luna da Callippo; e ciò è confermato da un’osservazione

contenuta nella sua “Metafisica”, alla fine dell’esposizione del sistema

di Eudosso e Callippo,dove dice che, se tralasciamo le sfere

aggiunte(da Callippo) per il Sole e la Luna, il numero complessivo

delle sfere diventa quarantasette,un evidente errore per quarantanove

che Sosigene fa del suo meglio per giustificare o spiegare. Aristorele

cerca di spiegare nel moto seguente il diverso numero di sfere. La Terra

è in quiete e si trova alla massima distanza dal principio divino, mentre

la sfera delle stelle fisse è sotto l’influenza immediata del motore

divino ed è soggetta a un solo moto; la Luna e il Sole sono i corpi celesti

più vicini alla Terra immobile e hanno perciò un moto minore di quello

dei pianeti situati a maggior distanza di essa, i cui moti sono più

vari,mentre Giove e Saturno essendo più vicini al principio divino,

sono mossi in modo molto più semplice. Ugualmente metafisica,ma

più oscura, è la spiegazione data del fatto che il moto primario governa

un numero immenso di corpi (le stelle fisse)mentre ogni pianeta

richiede più sfere per sé solo. Aristotele sembra pensare che questa

sproporzione sia più apparente che reale. Mentre il problema della

posizione della Terra, di un suo eventuale moto e della sua forma è

discusso diffusamente da Aristotele,con costante riferimento alle

opinioni dei filosofi precedenti. Egli menziona dapprima, ma per

rifiutarlo,il sistema della scuola pitagorica, il quale si fonda

sull’asserzione che al centro deve trovarsi il corpo più

eccellente,mentre egli ritiene che il centro non sia l’origine di nulla, ma

assomigli piuttosto a una fine che ha un principio. Grandi divergenze

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d’opinione ci sono state anche relativamente alla sua forma poiché

alcuni hanno sostenuto che, se la Terra fosse una sfera, il Sole, al

sorgere e al tramonto,non dovrebbe essere nascosto secondo una linea

retta ma secondo una curva:Aristotele rifiuta quest’opinione

adducendo la grande distanza del Sole e la grandezza del cerchio

dell’orizzonte. Intimamente connessa al problema della forma della

Terra,è la questione di che cosa la sostenga:e come l’idea degli Ionici

che la Terra galleggia sull’acqua è contraria all’esperienza,così viene

rifiutata anche la teoria di Anassimere, Anassagora e Democrito,

secondo la quale causa dell’immobilità della Terra è la sua forma

piatta, che le impedisce di aprire l’aria sottostante. Del pari

insostenibile è l’idea di Empedocle secondo cui al principio del tempo

le particelle che formano la Terra furono portate al centro dal veloce

moto rotatorio dei cieli;e allora perché il fuoco sale? La risposta forse

sta nel fatto che la gravità e leggerezza devono essere esistite prima che

avesse inizio il moto rotatorio,e perciò la posizione della Terra non può

essere una conseguenza del moto del cielo. Anassimante suggerì che la

Terra non possa cadere in alcuna direzione particolare in quanto è

situata al centro e ha la stessa relazione a ogni parte della

circonferenza. Ma vediamo che la Terra non solo rimane in quiete al

centro,ma si muove anche verso il centro perciò non è a causa delle sue

relazioni con la circonferenza che rimane in quiete al centro,dovrebbe

anch’esso restarvi,invece di tendere verso l’alto e di disperdersi in

uguali proporzioni sulle parti più esterne (tou escatou), e ciò dovrebbe

accadere anche alla Terra, se il centro non fosse il suo luogo per natura.

Aristotele passa poi a considerare il problema se la Terra sia o no in

moto. Poiché il moto dovrebbe essere stato prodotto per

violenza,sarebbe contro natura e non potrebbe durare eternamente. In

realtà egli si limita a sottolineare di nuovo che il moto naturale delle

parti della Terra e della Terra nel suo complesso è diretto verso il

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centro dell’universo,e che appunto per questa ragione la Terra si trovò

al centro;e se noi ci chiediamo se i gravi si muovono verso il centro

perché è il centro dell’universo o perché è il centro della Terra, egli

spiega che si muovono verso il centro dell’universo,e così come i corpi

leggeri e il fuoco si muovono nella direzione opposta,verso i confini del

mondo. Che il centro della Terra coincida con quello dell’universo lo si

desume poi dal fatto che i gravi non si muovono lungo linee

parallele,ma sotto angoli uguali e di conseguenza verso un centro che è

quello della Terra. E’ anche ben noto che i corpi proiettati in alto con

grande forza ricadono in linea retta nello stesso punto da cui sono stati

lanciati. E’ chiaro dunque,egli pensa,che la Terra non è né in moto né

fuori del centro, e poiché le sue parti hanno la tendenza a muoversi da

ogni lato verso il centro, è impossibile che qualche sua parte possa

essere rimossa dal centro, e quindi che lo possa la Terra nella sua

totalità. Aristotele dimostra che la Terra è una sfera ricorrendo

innanzitutto all’argomentazione che quando particelle pesanti sono

mosse uniformemente da tutte le direzioni verso un centro, su forma

un corpo la cui superficie è ovunque equidistante da questo centro;ma

anche se le particelle non fossero mosse ugualmente verso il centro,le

più grandi sospingerebbero le più piccole finché non si avesse una

disposizione uniforme attorno allo stesso centro. Ma oltre a

quest’argomentazione di carattere speculativo egli produce anche

argomenti più soldi fondati sull’osservazione diretta. Innanzitutto si

riferisce alle eclissi di Luna,nelle quali la linea dell’ombra è sempre

circolare,senza mostrare nessuno dei cambiamenti a cui è soggetta nel

corso di un mese la linea che divide la parte illuminata della Luna da

quella oscura,tale linea diviene infatti successivamente concava,diritta

e convessa:e ciò dimostra che la Terra, che proietta l’ombra, dev’essere

una sfera. Inoltre è dimostrato che la Terra non è una sfera molto

grande poiché i piccoli spostamenti possono provocare grandi

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differenze nei fenomeni celesti. ”E quelli tra i matematici che tentano di

calcolare la lunghezza della circonferenza terrestre,dicono che essa è di

circa 400000stadi;da ci ò risulta quindi che la mole della Terra deve

essere non solo sferica,ma anche non grande rispetto alle dimensioni

delle altre stelle”. Quest’asserzione (con cui si conclude la pate

astronomica del De caelo di Aristotele) rappresenta il più antico

tentativo di stimare le dimensioni della Terra. Non sappiamo né a chi

vada attribuito,né in che modo tale valore sia stato ottenuto,ma poiché

Eudosso fu, a quanto sembra, il primo vero astronomo,non è

improbabile che questa stima si debba a lui ed è possibile che sia

connessa col soggiorno in Egitto. Il valore dato da Aristotele equivale a

un diametro di 20000 km, e poiché il diametro reale è di 12760 km, è

stranocce egli abbia considerato la Terra piuttosto piccola. Secondo

Strobeo, egli ritenne la Luna più piccola della Terra, mentre nei

“Meteorologica”dice semplicemente che la Terra è più piccola di

alcune stelle. Quindi affrontando la difficile questione delle dimensioni

dell’universo Aristotele non fu perciò in grado di aggiungere alcunché

alle vaghe congetture dei filosofi precedenti. Il sistema cosmico

aristotelico distingue nettamente tra i cieli,che rappresentano la regione

dell’ordine immutabile e del moto circolare,e lo spazio inferiore al

concavo della Luna, dove tutto è disordine e mutamento e il solo tipo

di moto naturale è il rettilineo. Quest’ultima regione è occupata dai

quattro elementi,tra i quali la Terra occupa il luogo più vicino al

centro,ed è seguito dall’acqua ,poi dall’aria e infine dal fuoco,che si

innalzi più in alto di tutto. I vari elementi non sono tuttavia separati da

limiti definiti, e Aristotele afferma esplicitamente che non c’è uno

strato di fuoco al di sopra dell’aria. Il fuoco (sostanza arde come fumo)

e prevale nella parte superiore dell’atmosfera, l’aria in quella inferiore.

La materia che si trova nella regione celeste è molto più pura dei nostri

quattro elementi, e ad essa è naturale il moto circolare. Ma anche

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quest’etere non è distribuito uniformemente per quanto riguarda la

purezza, la quale cresce gradualmente con l’aumentare della distanza

della Terra. Esso trasmette alla Terra, attraverso l’aria, il calore

generato dal moto del sole; questo calore è molto più grande di quello

prodotto dal moto della luna nonostante la maggiore prossimità di

quest’ultima, a causa della maggiore velocità del Sole. La parte

superiore dell’atmosfera è un fattore importante nel sistema cosmico

aristotelico: qui si producono infatti stelle cadenti e meteore, le quali

sono esalazioni calde e secche che ,ascendendo agli strati superiori

dell’atmosfera, sono rapite in cerchio dalla sua rotazione

,infiammandosi. In modo simile si produce l’aurora. Quanto alle

comete, Aristotele era costretto a ricorrere a una spiegazione dello

stesso genere a causa delle sua teoria dell’inalterabilità e incorruttibilità

delle regioni eteree, e forse anche perché la natura delle sfere celesti

solide gli rendeva impossibile accettare la dottrina dei pitagorici,

secondo i quali le comete sarebbero state apparizioni di un pianeta

come Mercurio raramente visibile sopra l’orizzonte. Infatti secondo

Aristotele esalazioni calde e secche ,simili a quelle che producono le

stelle cadenti e l’aurora,ascendono talvolta sino alla parte più alta, o

ignea, dell’atmosfera, la quale partecipa della rotazione diurna dei cieli

da est a ovest,e mentre sono portate in giro si infiammano sotto

l’influenza del Sole e ci appaiono come comete ;esse durano finche c’è

materia infiammabile, o finche questa viene riformata dalla Terra. Un

fenomeno dello stesso genere è la Via Lattea, che si forma

costantemente sotto l’influenza del moto delle stelle fisse e perciò

occupa sempre la stessa posizione e divide i cieli come un grande

cerchio lungo il coluro dei solstizi. Mentre il sistema delle sfere

omocentriche, che Aristotele prese a prestito da Eudosso e da Callippo

trasformandolo da teoria matematica in rappresentazione fisica del

cosmo, non influì molto allungo sui filosofi successivi, le sue idee sul

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carattere non celeste delle comete e delle Via Lattea rimasero

dominanti sino alla rinascita dell’astronomia nel XVI secolo. La sua

analisi minuziosa e critica delle opinioni dei filosofi precedenti ci fa

tanto più dolere del fatto che la sua ricerca delle cause dei fenomeni

fosse spesso una mera indagine verbale;e anche quando egli asseriva

enfaticamente di fondare le sue speculazioni su fatti, non riusciva a

svincolare la sua analisi da nozioni puramente ,metafisiche e

preconcette. Ciò nonostante essi erano infatti il primo e per molte

epoche l’unico tentativo di sistematizzare l’intero patrimonio di

conoscenza della natura accessibile all’umanità;mentre la tendenza a

ricercare i princìpi della filosofia naturale attraverso il significato delle

parole usate comunemente per descrivere i fenomeni, che è per noi il

suo massimo difetto, esercitava una forte attrazione sulla mentalità

medievale, e finì purtroppo per ostacolare lo sviluppo delle scienza ai

tempi di Copernico e di Galileo.

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