De vez en cuando, en medio de una vida ordinaria, El amor ...
Mastros de paraula, mastros de vida
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Transcript of Mastros de paraula, mastros de vida
1
Vincenzo Pira
“Mastros de paraula, mastros de vida”
Cultura e identità :
dalla Sardegna al Mondo
2
A SOS MASTROS DE PARAULA
POETAS E CANTADORES
MASTROS DE VIDA
ISCUSORZOS DE SARDINNA
BENES DE S’UMANIDADE 1
1 Ai maestri della parola, poeti e cantori, maestri di vita, tesori della Sardegna,
beni dell’umanità.
3
Maestri della parola, maestri di vita
“Sos contos si contan’a de notte,
ca est a de notte
chi su sacru s’amustrat;
chie ischit a contare
narat ca sa paraula est cussu
chi sa paraula cheret narrere” .2
Alla fine ciò che conta è garantire la
sopravvivenza dell’umanità. E per fare
questo ogni comunità s’inventa
comportamenti, stili di vita che
propongono il miglior modo di esistere.
Si creano regole di vita che hanno come
fine il far sta meglio le persone e le
comunità. Oggi non solo le comunità
locali ma il mondo globale.
E ogni comunità e società assume un
codice di riferimento che diventano
norme, leggi, abitudini, valori che ogni
membro deve conoscere e rispettare.
I genitori educano i figli; lo stato
codifica e fa rispettare le leggi; le
persone cercano tra loro serenità,
benessere, libertà.
E per far questo si comunica con i
gesti, con le parole, con tutto ciò che
si scrive o costruisce.
L’insieme organico di tutto questo viene
chiamato cultura. Che si elabora e
impara in ogni luogo, non solo nelle
scuole.
2 I racconti si narrano di notte, perché è di notte che il sacro si svela , chi sa
narrare dice che la parola significa ciò che la parola vuol esprimere.
4
Nelle società tradizionali il compito di
educare, di trasmissione dei saperi, non
avveniva in un posto specializzato per
tale fine (scuola, università) e neanche
vi erano persone incaricate
specificamente a tale compito.
Era una funzione, prima di tutto della
famiglia, e poi di tutta la comunità, di
educare, insegnare, condividere regole e
modi di comportarsi. Nel progredire dei
tempi e con l’acquisizione di nuove
tecnologie tutto cambia.
Gli spostamenti diventano più facili, i
mezzi di comunicazione non sono più
legati alla trasmissione orale e
diretta. Si obbliga tutti ad andare per
tanti anni a scuola, a seguire programmi
che spesso sono decisi lontano dalle
comunità locali, ad imporre nuovi
contenuti e nuove esigenze che cambiano
la vita.
Nella mia scuola, non era scritto in un
cartello, ma i professori lo ripetevano
come fosse la norma più importante di
condotta: “A SCUOLA NON SI PARLA IN
SARDO”. Confesso che ho preso più volte
sette in condotta e il marchio che mi
porto impresso da allora: “studia ma è
molto indisciplinato”. Un giorno, in
una calda mattina del maggio 1968, nella
Scuola Media Statale Salvatore Fancello
di Dorgali mi succede qualcosa di
inatteso. Alla Sorbona di Parigi e alla
Cattolica di Milano esplodeva la
protesta degli studenti.
5
Noi della prima A, pensavamo ad altro:
al Cagliari che stava per vincere lo
scudetto, ai primi amori giovanili, ai
sequestri di persona che coinvolgevano
anche un paese tranquillo come il
nostro, ai manifesti con le foto dei
banditi e la taglia di cinque milioni di
lire a chi aiutava ad arrestarli, alle
poche prospettive di lavoro esistenti e
alla possibilità di emigrare. Ma La
novità la portò la professoressa
Balzarini insegnante di educazione
musicale. Per la prima volta ci chiede
di cantare al registratore qualche
canzone in sardo. La cosa ci sembrò così
strana che nessuno trovava il coraggio
di alzarsi. Dopo qualche minuto di
titubanza, tra le risate dei compagni,
uno di noi si alzò e con voce decisa
cantammo una delle poche canzoni in
sardo che avevamo imparato da bambini:
Cando ippi minoreddu a tetteledda
Aiamus unu porcu mannalitu
Andau soe a li tocare su piritu
E m’at tirau una mossa a sa pilledda. 3
A scuola, alla mia generazione non hanno
insegnato a scrivere o a comporre né in
italiano e tanto meno in sardo. Non ci
hanno insegnato come si compone un
racconto, un romanzo o una poesia.
3 Quand’ero in vestaglietta piccolino /avevamo un piccolo maialino / quando
gli ho toccato il suo musino / m’ha dato un morso al pisellino.
6
Non ci hanno insegnato le tecniche della
composizione in nessuna lingua. Chi
imparava a cantare o comporre poesie o
canti in sardo lo doveva all’ovile,
alla cantina o al focolare non alla
scuola.
Si è elaborato cultura “cumponende
grobes” celebrando i luoghi, i simboli
di tante vite, canti ripetuti per
alleviare la monotonia del lavoro e per
accelerare la percezione del tempo che
fatica a passare.
Poesie per segnare i momenti
dell’esistenza fino agli ultimi canti
funebri ‘sos Attitos’, alimento e pegno
per favorire il passaggio a un altro
modo di esistere che è più difficili da
capire e accettare per chi resta.
Per questo ci si affida a ‘sos mastros
de paraula’ , cantori e poeti – uomini e
donne – che sanno dire bene quello che
si sente nel cuore e che le parole
usuali del comunicare non possono dar
conto.
L’immenso sforzo della persona umana per
afferrare il senso delle parole,
condividerle come patrimonio culturale
comune e usarle per migliorare la
qualità della vita, personale e
comunitaria, a livello locale e globale.
E la poesia è una forma privilegiata
per questa finalità.
Perché è la forma ordinata più arcaica
di comunicazione, prodotto della parte
più antica del cervello.
7
Poesie da recitare e poi ricordare e
trasformare.
Poesie che non solo descrivono il
momento ma lo fanno vivere e rivivere
con maggior intensità ed emozione.
Poesie che nella loro forma
(significante) trasmettono oltre il
contenuto stesso delle parole
(significato).
Uno spazio di confine aperto tra il
divino e l’umano, tra il concreto e
l’astratto, tra l’emotivo e il razionale
tra il sacro e il profano.
Un ponte tra il cielo e la terra che
attraverso il linguaggio della poesia,
con le metafore che comunicano forma e
contenuto in modo inscindibile,
permettono un sentire e un coinvolgersi
molto più di quanto può fare la
condivisione di codici di riferimento
basati su concetti razionali.
Per questo non è eccessiva
l’affermazione che soprattutto nella
poesia è contenuta l’essenza della
nostra identità. I riferimenti
primordiali di quello che siamo, il
timbro originale di chi ha costruito la
nostra forma comunitaria di essere. In
esse, come anche nei proverbi
tradizionali (dizzos) sto ricercando
quei segni che contraddistinguono da
sempre la cultura dei sardi.
Ad iniziare dalla lingua per arrivare a
conoscere alcuni modelli del modo di
pensare, a qualcosa che non è del tutto
definito ma che fa parte del modo di
8
essere che lo psicologo Karl Jung ha
denominato “inconscio collettivo” o miti
di fondamento del modo di essere e di
vivere meglio.
Come diceva Gilbert Keith Chesterton
(quello di Padre Brown) : “Le fiabe non
insegnano ai bambini che i draghi
esistono, i bambini che i draghi
esistono lo sanno già, le fiabe
insegnano ai bambini che i draghi
possono essere sconfitti!".
9
IN SARDU
“Sa limba est comente una emmina, si
s’abbizat ca la chircas chin amore, si
rendet, non si cuat”.(Paolo Pillonca)
Sa prima limba c’appo imparau e chi m’at
fattu connoschere sos primos sentidos
est su sardu chi s’allegat in Durgali.
In iscola m’an obricau a allegare in
d’una attera limba. M’an imparau a
iscriere e a lezzere in italianu.
Apustis, a mannu, appo istudiau peri
ateras limbas: inglesu, portoghesu,
ispagnolu, franzesu. Medas limbas e sa
gana de connoschere ene su sensu de sas
paraulas e de sa vida.
Appo lettu sos iscrittos de Tullio De
Mauro, de Antonio Gramsci e de atteros
istudiaos chi achen sa differessia tra
limba e dialettu.
Sa limba est s’istrumentu po podere
numenare, cumprendere, allegare e
iscriere de donnia cosa chi si pessat.
Narant ca su dialettu, imbezzes, est
fattu de paraulas de itianu, po sos
travallos umiles, no balet po s’iscola,
non si podet bortare in atera allega. O
menzus, narant ateros, su dialettu è
unu modu de interpretare una limba in
d’unu locu minore.
In su libru “Alice nel paese delle
meraviglie” de Lewis Carroll appo lettu:
“Cando impero una paraula custa cheret
narrere propriu cussu chi cherzo ieo –
nudda de prus e nudda de mancu.
10
- Sa dimanda est si si podet fachere
in modu chi sas paraulas cherzana
narrere medas cosas, at rispostu Alice.
Ma sa dimanda zusta est: Chie cumandat?
E tottu finidi inoche.” Chie cumandat po
dezidere comente allegare e in cale
limba?
Chie dezidit ghite mantennere e ite
cambiare in su modu de narrere e de
bivere?
Sas limbas poden esser bortasas s’una
chin s’atera dande contu de su sensu e
de su valore de sos pessamentos; cosa
chi sos dialettos, naram in medas, non
be resessini o est meda prus diffizile.
Sos mastros de limbas narant ca su sardu
est una limba. At tottu sos trastes de
grammatica, de sintassi po essere a su
propriu livellu de s’ateras limbas
naschias dae su latinu.Sas limbas sone
unu produtu de sa vida e de su trattu de
sas pessones in sociedade e in familia.
S’imparana, si cambiana, s’allegana a
pare, limba chin limba, e s’adattana sas
paraulas a su modu de narrere de cada
una. Su sardu s’allegat, si faedat, si
questionat, in modu diversu in cada idda
de Sardinna. E gasi depet essere. Oje
est su documentu de identitade prus
veru.
Ieo non connosco prus a tottu mancu in
bidda mia, ma intendende s’allega isco
derettu si unu est durgalesu o si est de
Baronia o de Uliana...
11
No est prus su istire o s’andonzu; sos
cuccos o sas zoicas; est sa limba chi
narat de nue sese. Sos ischìos han
cuncordau regulas de comente depet
essere iscritta; sas regulas de sa
grammatica de comente si narant sas
parualas (fonetica) e creo chi siat una
cosa zusta e chi servit a dare valore a
custa prenda chi non depimus isperdere.
Po podere dare contu de tottu sos
pessamentos in modu zustu si mischian
paraulas de ateras limbas (eris su
latinu, s’ispagnolu, su catalanu,
s’arabu; oje s’italianu, su franzesu e
meda de prus s’inglesu).
Comente in donnia sociedade moderna b’at
diferessias in s’allega de sos tècnicos:
medas modos de narrere non s’usan prus.
Su mundu est cambiau e medas paraulas si
son perdende, dae cando sos mannos chi
bivian in cuile e in d’una idda inue
quasi tottu ini pastores, massios o
mastros artigianos.
Sos prus de sos pizzinos chi istudian
oje, forzis, no ischin prus chite est
unu ettazou o unu paralimpu; una
calavrina o una mannalita, unu odde o
una pranita. O ateras paraulas chi sone
sinzale de una vida colà o sone imperas
in zertos travallos e non son prus
connotas dae tottu.
Appo intesu allegande pizzinnos chi
imperant su sardu e un’italianu
porcheddinu, chin paraulas inglesas
bortas in sardu.
12
Oje si podet intendere unu durgalesu
narande osi: “Callia deddè, ca soe
travallande in su computer e mi ses
istressande chin cussa televisione” … Sa
limba est s’anima de sa cultura.
S’ispricu de s’identidade.
Semus bivende irfidas noas de su locu,
de sa idda, de sa Sardinna, chin sos
problemas de s’Italia, de s’Europa e de
su mundu.
“Locale e globale” naramus in italianu,
sa cussorza e su mundu. E una gherra
inue una banda de su mundu nos cheret
tottu uguales: allegande sa propria
limba, mandicande sas proprias cosas,
estinde uguale, in cale si siat banda de
sa terra. E custu no andat bene. Depimus
mantennere ìa sa cultura nostra, de
Durgali e de sa Sardinna, imparande e
imperande cosas noas ma dande valore a
s’eressia chi nos ane lassau sos mannos
: sa limba, su mandiconzu, sos ballos,
sos cantos, sos dizzos, sas poesias. E
non comente cosa de ammustrare a sos
turistas istranzos, ma comente undamentu
de su modu de bivere e de pessare. Chi
sone s’unica cosa nostra. Non cambio,
alu oje, unu tattaliu, una cordedda, unu
cazzu, o unu canzu de casu muchidu e su
pane carasau, chin nudd’atteru in su
mundu. Medas cosas cambiant e est zustu
osi. Ma sos cambiamentos depene essere
seperaos chin liberdade e non depene
essere impostos dae fora.
13
Sa limba sarda, po mene su durgalesu, si
depet appropriare de cantu de prus
bellu e de prus interessante esistit in
sas ateras limbas.
Ischinde ca si podet narrere cale si
siat cosa mischiande sas paraulas,
ortandelas in poesia, in canzones, in
dizzos o in grobes. Po cussu appo proau
a iscriere in durgalesu e in italianu. A
dare valore a cantu ane iscrittu sos
poetas sardos e durgalesos.
E a sa vine appo provau, belle che po
jocu, a iscriere ieo, in durgalesu,
pessande a poesias, canzones e dizzos
de su mundu intreu. Cantu be sia
resessiu non disco. Ispero chi
interessen a calicunu.
A mimmi m’es aggradau e serviu.
Alternando italiano e sardo con uguale
dignità e valore. Da dorgalese, sardo e
da cittadino del mondo, Italia ed Europa
incluse.
Vincenzo Pira , agosto 2012
14
IN ITALIANO
“La lingua è come la donna, se s’accorge
che la cerchi con amore, si svela, non
si nasconde”. (Paolo Pillonca)
La prima lingua che ho imparato, e che
mi ha fatto conoscere i primi
significati, è il sardo che si parla nel
paese di Dorgali. A scuola mi hanno
obbligato a parlare in un’altra lingua.
Mi hanno insegnato a scrivere e leggere
in italiano. Successivamente, da grande,
ho studiato anche altre lingue :
inglese, portoghese, spagnolo, francese.
Molte lingue e il desiderio di conoscere
bene il significato delle parole e della
vita.
Ho letto gli studi di Tullio De Mauro,
di Antonio Gramsci e di altri esperti
che analizzano le differenze tra lingua
e dialetto.
La lingua è lo strumento per poter
nominare, capire, trasmettere e scrivere
ogni pensiero.
Dicono che il dialetto, invece, è fatto
di parole del quotidiano, per i lavori
umili, non serve per la scuola, non
serve per le traduzioni da altre lingue.
O meglio, affermano altri, il dialetto è
una maniera di interpretare una lingua
in una piccolo territorio.
Nel libro “Alice nel paese delle
meraviglie” di Lewis Carroll ho letto:
15
Quando io uso una parola, questa
significa quello che io voglio farle
significare, nè più nè meno.”
- Ma la questione è”, disse Alice, “se
può dare alle parole tanti significati
diversi…”
- “La questione è” ripetè Humpty Dumpty,
“chi è che comanda… ecco tutto.”
Chi comanda e decide sul come si parla e
in quale lingua?
Chi decide cosa mantenere e cosa
cambiare nei modi di dire e di vivere?
Le lingue possono essere tradotte l’una
con l’altra dando conto del significato
e del valore dei pensieri; e ciò, dicono
alcuni, non è possibile o è più
difficile con i dialetti.
I linguisti dicono che il sardo è una
lingua. Ha tutti i riferimenti
grammaticali, di sintassi per essere
considerata al livello di tutte le altre
lingue neo latine.
Le lingue sono un prodotto della vita e
delle relazioni tra le persone in
società e nella famiglia. Si imparano,
si cambiano, si parlano tra loro, lingua
con lingua, e si adattano le parole ai
modo di dire di ognuna di loro.
Il sardo si parla in modo diverso in
ogni paese di Sardegna. E così deve
essere. È oggi il documento di identità
più vero. Io non riconosco più neanche i
miei paesani più giovani, ma ascoltando
il parlare capisco subito se uno è di
Dorgali, di Baronia o di Oliena…
16
Non è più il modo di vestire o il modo
di camminare; la pettinatura o i
gioielli; è la lingua che indica la
provenienza.
Gli esperti in linguistica hanno
proposto regole del come scrivere in
sardo; codificato regole grammaticali e
della fonetica e credo sia una scelta
adeguata che aiuta a valorizzare questo
tesoro che non dobbiamo disperdere.
Per poter esprimere adeguatamente ogni
pensiero si usano parole provenienti da
altre lingue (in passato si faceva
riferimento al latino, lo spagnolo, il
catalano, l’arabo; oggi si usa
l’italiano, il francese e, in modo più
preponderante, l’inglese).
Come in ogni società moderna vi sono
modalità diverse nei linguaggi tecnici e
modi di dire che non si usano più.
Il mondo è cambiato e molte parole si
sono perse, da quando i nostri avi
vivevano soprattutto negli ovili, e
tutti erano pastori, contadini o
artigiani.
La maggior parte degli studenti di oggi,
forse, non sanno cos’è un “ettazou” o un
“paralimpu”; una “calavrina” o una
“mannalita”, un “odde” o una “pranita”.4
4 Ettazou e paralimpu: persone incaricate a verificare la possibilità di
fidanzamento – Calavrina : cavallina – Mannalita:capra domestica - Odde :
mantice – Pranita : piccola pialla.
17
O altre parole che sono evocazione di
una vita passata o che sono usate ancora
nell’ambito professionale e tecnico e
non sono più conosciute da tutti.
Si sentono i ragazzi parlare usando il
sardo o l’italiano pieno di sardismi,
con parole inglesi tradotte in sardo.
Oggi può succedere di sentire un
dorgalese dire: “Stai zitto, ragazzino,
perché sto lavorando al computer e mi
stai stressando con quella televisione”…
La lingua è l’anima di una cultura. Lo
specchio dell’identità.
Dobbiamo assumere nuove sfide locali,
nel paese, in Sardegna, con i problemi
dell’Italia, dell’Europa e del mondo.
Locale e globale, il proprio territorio
e il mondo.
E un confronto in cui una parte del
mondo ci vorrebbe tutti uguali :
parlando un’unica lingua, mangiando gli
stessi alimenti, indossando gli stessi
vestiti, in ogni parte della terra. E
ciò non va bene.
Dobbiamo mantenere viva la nostra
cultura, di Dorgali e della Sardegna,
imparando ed utilizzando cose nuove ma
dando valore all’eredità che ci hanno
lasciato i nostri avi: la lingua, il
cibo, i balli, i canti, i proverbi, le
poesie.
E non come oggetti da mostrare ai
turisti, ma come fondamenta del modo di
vivere e di pensare. In quanto sono il
nostro vero capitale.
18
Non cambierei, un tattaliu, una
cordedda, un cazzu, o un pezzo di
formaggio marcio e il pane carasau, con
nessun altro cibo al mondo.
Molte cose cambiano ed è giusto che sia
così.
Ma i cambiamenti devono essere scelti
liberamente e non possono essere imposti
dall’esterno.
La lingua sarda, per me la sua versione
dorgalese, si deve appropriare di tutto
ciò che di più bello e di più
interessante esiste nelle altre lingue.
Sapendo che si può esprimere qualsiasi
cosa mescolando le parole, traducendole
in poesia e canzoni, in proverbi o in
cantici.
Per questo ho tentato di scrivere in
dorgalese e in italiano.
Valorizzando quanto hanno scritto i
poeti sardi e i poeti dorgalesi. E,
infine, ho provato, quasi per gioco, a
scrivere in dorgalese, ispirandomi a
poesie, canzoni e proverbi del mondo
intero. Quanto ci sia riuscito non lo
so, Spero interessino ai miei quatto
lettori. A me è piaciuto e mi è stato
molto utile.
19
POETA SI NASCE O SI DIVENTA ?
“Il più umile canto popolare, se un
raggio d’umanità vi splende, è poesia, e
può stare a fronte di qualsiasi altra e
sublime poesia” (Benedetto Croce)
Che cosa è la poesia? Dice un dizionario
di lingua italiana: “in senso generale è
l’arte e tecnica dell'esprimere in versi
una determinata visione del mondo”.
Poi, da un manuale di poetica ho appreso
che “Chiamasi poeta chi possiede la
facoltà di concepire l'idea del bello e
di renderlo sensibile ad altri. Quindi
la poesia, considerata come produzione
del poeta, altro non è che la
manifestazione del bello da esso
concepito. Il fine cui tende la poesia è
di signoreggiare il cuore e la fantasia,
ovvero l'una e l'altra insieme, rendendo
sensibile ad altri il bello concepito
dal poeta. Il mezzo con cui la poesia
ottiene questo fine è il diletto. Così
definita la poesia, si vede che regna
su tutte le belle arti e che si può
trovare in tutte le opere della parola,
quindi è piaciuto a qualcuno, per
contrapposto di chiamare 'prosaiche'
quelle composizioni di qualsiasi arte
sia, senza fuoco, senza sangue,
senz'anima che sono frutto
dell'esperienza più presto che
dell'intero sentimento”.
20
Parole messe insieme con musicalità,
armonia, emozione. Con successive regole
condivise dai poeti e spiegate nei
manuali. Ma saper dosare, come ogni buon
impasto riuscito, forma e contenuto,
stile, impegno civile e sociale. Conta
il parere di Giacomo Leopardi ?
Eccolo : “Molti ripongono tutto il
pregio della poesia, anzi tutta la
poesia, nello stile, e disprezzano
affatto, anzi neppure concepiscono, la
novità dei pensieri, delle immagini, dei
sentimenti; e non avendo né pensieri né
immagini né sentimenti, tuttavia per
riguardo dello stile si credono poeti, e
poeti perfetti e classici; questi tali
sarebbero forse ben sorpresi se a loro
si dicesse, non solamente che chi non è
buono alle immagini, ai sentimenti, ai
pensieri non è poeta, il che
negherebbero schiettamente o
implicitamente, ma che chiunque non sa
immaginare, pensare, sentire, inventare
non può possedere un buon stile poetico,
né tenerne l’arte, né giudicarlo nelle
opere proprie ed altrui”.5
Benedetto Croce ci aiuta valorizzando la
spontaneità e freschezza dei poeti
popolari: “E poetici non sono solo gli
Ettori e gli Aiaci e le Antigoni e le
Didoni, e le Francesche e le Margherite,
e i Macbeth e i Lear, ma anche i
Falstaff e i Don Chisciotte e i Sancio
Panza; e non solo le Cordelie e le
5 Leopardi, Giacomo, Lo Zibaldone, Mondadori, 2004
21
Desdemone e le Andromache, ma anche le
Manon Lescaut e le Emme Bovary, o le
contesse e i cherubini del mondo di
Figaro.
E non solo il sentire di un Foscolo, di
un De Vigny o di un Keats, ma anche
quello di un Villon. E non solo poetici
suonano gli esametri virgiliani, ma
anche gli esametri maccaronici di Merlin
Cocai, che hanno tratti bellissimi di
fresca umanità.
Non solo i sonetti del Petrarca, ma
persino quelli pedantesco-burleschi di
Fidenzio Glottocrisio.
Il più umile canto popolare, se un
raggio d’umanità vi splende, è poesia, e
può stare a fronte di qualsiasi altra e
sublime poesia. In particolare, una
boria di falsa gravità rende ritrosi a
siffatto riconoscimento dinanzi a opere
in cui si vede dispiegarsi la gaiezza e
il riso, quanto invece propensi dinanzi
ad altre in cui si addensano il solenne,
il doloroso, il tragico, il
terrificante; se non ché accade non di
rado che questi ultimi toni si
presentino rigidi, crudi, violenti,
impoetici, laddove quella gaiezza e quel
riso scoprono, a chi ben le guardi, la
venatura del dolore e la comprensione
dell’umanità.
A rendere l’impressione che la poesia
lascia di sé nelle anime, è affiorata
«malinconia»; e veramente, la
conciliazione dei contrari, nel cui
combattersi solamente palpita la vita ,
22
lo svanire delle passioni che insieme al
dolore apportano non so qual voluttuoso
tepore, il distacco dalla terrestre
aiuola che ci fa feroci, ma è nondimeno
l’aiuola dove noi godiamo, soffriamo e
sogniamo, questo innalzarsi della poesia
al cielo è insieme un guardarsi indietro
che, senza rimpiangere, ha pur del
rimpianto.
La poesia è stata messa accanto
all’amore quasi sorella e con l’amore
congiunta e fusa in un’unica creatura,
che tiene dell’uno e dell’altra.
Ma la poesia è piuttosto il tramonto
dell’amore, se la realtà tutta si
consuma in passione d’amore: il tramonto
dell’amore nell’euthanasìa del ricordo.
Un velo di mestizia par che avvolga la
Bellezza, e non è velo, ma il volto
stesso della Bellezza”.6
6 Croce, Benedetto, La poesia, Laterza, Bari, 1953, pag. 3-12
23
POESIA E SARDEGNA
Ogni terra ha i suoi poeti. La Sardegna
tra queste. Poesie nate in una cultura
che tradizionalmente ha fatto del
silenzio e della riservatezza il suo
scudo protettore: “Allega pacu po non
faddire meda”7. Che ha sempre diffidato
della scrittura . “Nde morit prus sa
pinna chi non sa balla”.8 Cultura che ha
ritualizzato, a modo suo, momenti
fondamentali della vita: il nascere,
l’innamorarsi, l’amicizia, il godere, il
morire. E trova gli strumenti adeguati
per poter esprimere adeguatamente
questo: non con nude parole improvvisate
ma con il canto, la poesia, la musica,
il ballo. Che rispondono a regole
condivise e permettono di vincere, nel
rito, l’inadeguatezza personale,
l’ignoranza, la vergogna, il timore di
non essere all’altezza. Diventa bene
comune di tutti e non un privilegio
aristocratico degli eletti per diritto
divino. Di poter esprimere i propri
sentimenti senza paura di sminuire la
propria virilità e mantenere il giusto
equilibrio di uomo lavoratore della
campagna e di uomo di comunità e di
cultura. Tentare di evitare la dicotomia
tra natura e cultura ma cercare una
equilibrata sintesi e simbiosi che non
esasperi più rigidamente la divisione
7 Parla poco per non sbagliare tanto . 8 Ne uccide più la penna del proiettile
24
dei compiti di lavoro o la separazione
dei ruoli basati sul genere – compiti
che sono da donna e compiti dell’uomo.
Problema ancora irrisolto nelle nostre
famiglie : la modernità richiede pari
opportunità e che se la donna lavora
anche fuori casa l’uomo può occuparsi
della cura dei figli e delle faccende
domestiche. I nostri modelli di
riferimento tradizionali fanno fatica ad
accettare socialmente ciò.
L’avvicinarsi alla produzione poetica
popolare ha appassionato tanti studiosi.
Tra questi Antonio Gramsci che con
grande lungimiranza ha scritto : “Si
può dire che finora il folclore sia
stato studiato prevalentemente come
elemento ‘pittoresco’. Occorre
studiarlo, invece, come ‘concezione del
mondo e della vita’ implicita in grande
misura, di determinati strati
(determinati nel tempo e nello spazio)
della società, in contrapposizione
(anch’essa per lo più
implicita,meccanica, oggettiva) con le
concezioni del mondo ‘ufficiale’ …”.9
La culture nazionali, egemoni, hanno
storicamente teso a subalternizzare ogni
cultura locale. Col disprezzo degli usi
e costumi, con il deridere la lingua
riducendola a dialetto, imponendo
modelli e strumenti di comunicazione
estranei alla comunità locale. E la
cultura locale entra in crisi, perde la
9 Gramsci, Antonio, Letteratura e vita nazionale, Editori Riuniti, pag. 267
25
fiducia in sé stessa, muore nei suoi
membri il senso di appartenenza di
orgoglio e si rifugia nella
folclorizzazione, nel mostrare aspetti
pittoreschi in processi di
spettacolarizzazione.
Riti che non evocano più la vita ma la
mercificazione dei miti di riferimento.
In contrapposizione a ciò sorge un
movimento spontaneo di resistenza e di
difesa dell’identità originaria.
Un rifiuto a ‘folklorizzare’,
‘mercificare come spettacolo pittoresco
di varietà’ la propria identità
culturale. Non una semplice nostalgia
della riscoperta, spesso a fini di
mercato turistico, della produzione
arcaica, ma una riproposizione rinnovata
della memoria collettiva e un uso
vitale, vivo, per capire e migliorare la
propria esistenza. Chi sono ? Perché
esisto ? Che senso e che fine ha la vita
delle persone ? E su questo si
definiscono alcuni aspetti fondamentali
su cui anche i poeti sardi hanno
discusso e cantato.
Privilegiare la poesia nel contesto
della narrazione orale (recitata o
cantata) o anche scriverla ?
A chi si pensa e a chi ci si rivolge nel
comporre le poesie?
E quindi in quale lingua ?
In sardo o in italiano ?
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Le origini erano l’oralità,
l’improvvisazione e l’uso esclusivo del
sardo. Una produzione che è patrimonio
di tutti; non occorre aver frequentato i
licei o le università per fare poesia.
Nasce anzi spontaneamente per
incorniciare i momenti della vita
quotidiana: il lavoro, i momenti di
divertimento, le situazioni importanti
della esistenza.
Il legame con la terra in cui si è nati,
il legame con la famiglia, gli affetti,
l’amicizia, l’amore, il dolore,
l’allegria.
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Antioco Casula, Montanaru, poeta di
Desulo (1878 – 1957) la pensava così:
It’est sa poesia?…
Est sa lontana bell’immagine
bida e non toccada,
unu vanu disizu, una mirada,
unu ragiu ’e sole a sa fentana,
Unu sonu improvisu de campana,
sas armonias d’una serenada
o sa oghe penosa e disperada
de su entu tirende a tramuntana.
It’est sa poesia?…
Su dolore, sa gioia,
su tribagliu, s’isperu,
sa oghe de su entu e de su mare.
Sa poesia est tottu, si s’amore
nos animat cudd’impetu sinceru,
e nos faghet cun s’anima cantare10.
10 Che cos’è la poesia ? / È la lontana bella immagine/vista e non toccata/ un
vano desiderio, uno sguardo/ un raggio di sole alla finestra./ Un suono
improvviso della campana/ le armonie di una serenata/ la voce penosa e
disperata/ del vento che soffia a tramontana./ Che cos’è la poesia ? Il dolore,
la gioia / il lavoro l’attesa/ la voce del vento e del mare./ La poesia è tutto, se
l’amore/ ravviva questo impeto sincero/ e ci fa con l’anima cantare./
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Sono bella poesia la spontaneità delle
espressioni estemporanee che
accompagnano la quotidianità - le nenie
(anninnia), i canti funebri (attittos) i
canti della trebbia o della tosatura, le
serenate notturne o i canti della
baldoria, i canti delle donne durante i
lavori domestici.
Molto si è perso nella vita quotidiana.
In molti casi non esistono più le
attività lavorative che venivano
accompagnate dai canti, in altri la
lingua sarda ha perso la funzione
primaria a favore dell'italiano con
tutte le conseguenze comunicative che
ciò comporta.
Alla fine del secolo XIX si hanno, in
Sardegna, le prime rappresentazioni
pubbliche con un corrispettivo in soldi,
regolamentate da una giuria e sono anche
oggi ancora molto diffuse.
L'apprendimento della arte estemporanea
si affida ai sistemi tradizionali tipici
delle culture dell'oralità:imparare
praticamente a fare poesia, come si
impara a suonare la musica anche se non
si sa leggere il pentagramma. Comporre
rispettando le regole metriche e la rima
senza averlo imparato dai libri ma a
orecchio. Ciò non significa che non sia
possibile far riferimento alla cultura
classica (greca, romana e sarda) che è
patrimonio conosciuto e molto citato dei
poeti.
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Come anche l’ispirazione a poeti loro
contemporanei che compongono in altre
lingue (latino, italiano o spagnolo)
attingendo a parole “sardizzate” che
meglio danno il senso del concetto che
si vuole esprimere. Contaminazione
positiva tra diverse lingue che è sempre
avvenuto e porta a una migliore sintesi
comunicativa tra locale e globale senza
perdere troppo della identità originaria
e favorendo una più universale
comprensione.
Alla graduale scomparsa dei sistemi
tradizionali di trasmissione (quelli che
l’antropologo Michelangelo Pira (Bitti,
1928 – Capitana 1980) definiva “Scuola
Impropria”) non pare vi sia allo stesso
tempo un simile sviluppo dei nuovi
mezzi di formazione nella scuola formale
o nei mezzi di comunicazione
tradizionali.
La cultura sarda, nel suo insieme, e la
poesia o il canto in particolare, è poco
presente nella programmazione didattica
e nella formazione accademica. Lo spazio
riservato, per esempio alla espressione
poetica estemporanea o ai canti si trova
oggi nelle tradizionali feste paesane e
a disposizione, sempre, in internet nei
video di “Youtube”. Chi vuole così
trova, con il computer, la produzione
poetica cantata, ma anche le nuove
produzioni scritte in sardo in diversi
siti nati con il fine di promuoverla e
valorizzarla.
30
Juanne Antoni Carta, poeta logudorese,
recita in un video questo sonetto di
Antoni Lugheddu, sulla questione del
come fare poesia :
http://www.youtube.com/watch?v=r3pzpyHqg
F4
Basare la poesia sull’erudizione o sulla
conoscenza delle tecniche (rima e
metrica)?
Zertos crene chi a forza de cultura
diventare poetas sutta mastru
ma a lu videre non naschit in cuss’astru
e guerrat invanu contra a sa natura.
S’arte pro mese unit s’innestadura
cambiat in pira ona su pirastru
ma si a pira iffertit su ozzastru
perdet tempus, tassellos e fatura.
Zuchent sa limba po impiastrare
versos guastos cun rima forzada
che a sa matessi cosa a vaidare.
Una pianta de frutos ispozzada
a che la cheres a forza falare
ite nde falas si non b’indada?11
Conoscere i temi ma anche saperli
raccontare con metodo, spessore e
serietà.
11 Alcuni credono che a forza di cultura/ si possa diventare poeti sotto il maestro/ ma a
vedere chi nasce con questo astro/ e lotta invano contro natura./ L’arte al mese unisce
l’innesto/ e cambia in buona pera l’albero infruttuoso/ma se vuole tirar pere dalla
quercia/ perde tempo, tasselli e fattura./ Hanno la lingua per impiastrare/ versi guasti
con rima forzata/ che è la stessa cosa che vigilare./ Una pianta spoglia dei propri frutti/
e la vuoi per forza raccogliere/ che cerchi se non c’è nulla ?
31
Unire in una sintesi equilibrata sia
forma e contenuti, sia temi e metrica.
“Unu tempus sa poesia fit cosa seria, po
imparare a resonare. Oje cheren
s’ispettaculu, sas barzelletas comente
achen in televisione. Sa poesia no est
ispettaculu comicu, sa poesia est
cultura”.
Medas poetas naran : “Chene rima, chene
regula non si achet bella poesia”. 12
Tra questi cito il dorgalese Giovanni
Antonio Mereu (Tottoi Cosaona, Dorgali,
1913 - 2008) che nella sua raccolta di
poesie ha scritto :
“Sa rima li dat prus valore”:
Si d’essere poeta ti nde antas
chi ses de poesia produtore
e cantas chene rima o cantadore
chin su cantonzu tou pacu incantas.
Modas de bi cantare bind’hat tantas
ma sa rima li dat prus valore
però si cantas e no hat tenore
est menzus cree a mie,
si non cantas”.13
12 “Un tempo la poesia era cosa seria, per imparare, per ragionare. Oggi
vogliono lo spettacolo, le barzellette come in televisione. La poesia non è
spettacolo, la poesia è cultura”. “Molti poeti dicono: senza rima, senza regola
non si fa bella poesia”. 13 Se ti vanti di essere poeta / di essere uno scrittore di poesie / e canti senza
rima, o cantore/ con il tuo cantare poco incanti./ Modi di cantare ve ne sono
tanti/la la rima gli da più valore/però se canti e non hai tenore/è meglio,
credimi / se non canti./
32
Nenie, preghiere, canti, proverbi e
poesie. Consapevolezza del senso del
tempo, di quello sacro e di quello
profano; di quello serio e di quello in
cui prevale la giocosità. Del caldo e
del freddo, delle stagioni e dei suoi
frutti; delle feste e del lavoro; del
sole e delle luna, del giorno e della
notte. Dell’amore e della ‘disamistade’.
Di tante cose che si possono dire con le
parole e di tante altre, più numerose e
importanti, da scoprire nel silenzio,
custodite nel cuore ed espresse solo
nella poesia. O nel canto e nel ballo.
L’ordinario vissuto in modo regolare e
ripetitivo ogni giorno e lo
straordinario che spesso irrompe
cambiando strutturalmente le cose.
“Dae s’Anninnia po drommire sos pipios a
sas grobes de istima po s’amicu, po
s’amorada o po s’isposa”.14
Il primo argomento significativo, che
abbiamo già affrontato nelle pagine
precedenti, è quello della lingua e
della capacità espressiva.
Tema che tocca la storia della
letteratura sarda e dei suoi autori. E
non possiamo che rifarci alla memoria
popolare, alle fonti storiche, alle
pubblicazioni, da quando si è iniziato a
scrivere anche in sardo.
14 Dalla ninna nanna per addormentare i bambini ai canti di stima per l’amico,
per la fidanzata e per la sposa.
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Inizialmente la maggior parte di chi
deve scrivere in Sardegna appartiene al
clero o alla nobiltà. E quindi le
composizioni sono traduzioni di
preghiere o elaborazioni ispirate a
fonti di riferimento colte.
Il popolo, i pastori, i contadini e gli
artigiani compongono e comunicano
nell’ambito della sola oralità.
Alcuni di questi “intellettuali”
diventano mediatori tra la produzione
culturale dei subalterni e quella
egemone dei colti.
Tra questi ricordiamo, come il più
importante, Giovanni,Spano
(Ploaghe,1803–Cagliari,1878).
In “Proverbi sardi” ha raccolto
espressioni significative della vita
quotidiana dell’Isola (dizzos), in molte
delle quali si trova riflesso l’intero
sistema di riferimenti morali, religiosi
e simbolici che stanno a fondamento
della cultura sarda.
Pubblicò i risultati dei primi studi
archeologici nel Bollettino archeologico
sardo (1858-68). Pubblicò varie opere
sulla lingua sarda: Ortografia sarda
nazionale, ecc. (1840); Vocabolario
sardo-italiano e Italiano-sardo (1851-
52); Vocabolario sardo geografico,
patronimico ed etimologico (1872) e la
raccolta “Canzoni popolari inedite in
dialetto sardo centrale ossia logudorese
(1863 la Parte prima canzoni popolari
inedite storiche e profane e nel 1865 la
34
seconda parte – Canzoni sacre e
didattiche). Nel 1873 pubblica “Canti
popolari in dialetto sassarese.
Ed è il Logudorese la lingua di
riferimento per i poeti che iniziano a
trascrivere poesie declamate nelle gare
poetiche paesane. Gare che per tanto
tempo si realizzavano senza regole
precise. Oltre al cantare tra amici,
spesso, i poeti più dotati si esibivano
in pubblico in occasioni di feste e riti
religiosi o civili.
Fino a quando a Ozieri nel 1896, per
iniziativa di Antonio Cubeddu (Ozieri,
1863 – Roma 1955) la gara in piazza
venne regolarizzata quasi cosi come oggi
la conosciamo noi.
Tra i poeti popolari, per più di 40 anni
Raimondo Piras (ziu Remundu - Villanova
Monteleone, 1905 – 1978) fu protagonista
di memorabili gare con gli avversari del
momento, in molte piazze di vari paesi
delle Sardegna. Si ricorda il suo
debutto nei palchi a 19 anni neppure
compiuti. Resta vittima però della
proibizione voluta da vescovi e fascismo
ed è costretto al silenzio per tredici
anni, dal 1932 al 1945, a causa del
divieto a cantare imposto a tutti i
“cantadores” di quel periodo. Riprende a
cantare nel dopoguerra richiestissimo
nelle piazze di tutta l’isola. La sua
produzione non è stata solo orale.
Piras ci ha lasciato anche delle poesie
di genere più meditato che hanno avuto
una larga diffusione dopo la sua morte.
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In particolare si ricordano più
frequentemente “Misteriu”, raccolta di
sonetti, “Bonas Noas”, satire e terzine,
“Sas Modas”, canti lunghi che
concludevano le gare poetiche e “A
bolu”, raccolta di ottave improvvisate.
Poco prima di morire, nel 1977, Remundu
Piras ha pubblicato un sonetto dal
titolo “Non sias isciau”, che è
diventato in qualche modo il manifesto
delle rivendicazioni culturali
dell’isola in merito alla tutela e
valorizzazione della lingua sarda.
In internet si trova parte della sua
opera:
http://www.poesias.it/poeti/piras_raimon
do/piras_raimondo.htm
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NON SIAS ISCIAU
O sardu, si ses sardu e si ses bonu,
Semper sa limba tua apas presente:
No sias che isciau ubbidiente
Faeddende sa limba ‘e su padronu.
Sa nassione chi peldet su donu
De sa limba iscumparit lentamente,
Massimu si che l’essit dae mente
In iscritura che in arrejonu.
Sa limba ‘e babbos e de jajos nostros
No l’usades pius nemmancu in domo
Prite pobera e ruza la creides.
Si a iscola no che la jughides
Po la difunder menzus, dae como
Sezis dissardizende a fizos bostros. 15
15 Non essere schiavo / O sardo se si sardo e buono/ abbi sempre in
considerazione la tua lingua./Non essere come uno schiavo obbediente/
parlando la lingua del padrone./ La nazione che perde il dono/ della lingua
scompare lentamente/soprattutto se dimentica/ sia la scrittura sia il ragionare./
La lingua dei nostri padri e nonni/ non l’usate più neanche in casa/ perché la
ritenete povera e rozza./ Se non la portate a scuola/ per difenderla meglio da
subito/ state distruggendo l’identità sarda dei vostri figli./
37
Si ricorda una gara che ebbe luogo nel
1947, in occasione della festa di San
Leonardo il poeta si rivolge al Santo,
invocandolo per alcuni compaesani
dispersi in guerra.
Lenaldu sun tres annos chi ti prego
pro sos dispersos de custa dimora.
Sun otto o noe chi mancana ancora,
chi no si nd'at ischidu fin'a oe:
sas mamas s'isperantzia ana peldìdu
e preghende a torrare oju non tàncana
sun otto o noe chi ancora màncana
chi non si nd'at ischidu fin'a oe
sunu ancora chi màncana otto o noe
chi fin'a oe non si nd'at ischidu.
Sas mamas s'isperantzia ana peldìdu
no tancana oju a torrare preghende.
cando partidos sunu, adìu nende
totu a s'altare tou sun bennìdos
adìu nende cando sun partidos,
sun tot'ennidos a su tou altare:
ca tando isperain de torrare
t'ana leadu a protetore issoro.
Cando mai si tue asa unu coro
su piantu 'e sas mamas lassas gai?
Si de sos presoneris ses su santu,
si non a tie, a chie pregan tando?
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Prevale per tanto tempo, anche in
Sardegna, il riferimento al movimento
letterario della Arcadia: un richiamo
alla mitologia classica, alla vita
pastorale idealizzata in paesaggi
bucolici imbelliti da amori romantici in
paesaggi sardi con ispirazione ai
latterati nazionali e antichi classici
(da Metastasio a Virgilio). Le immagini
di bellissime ninfe che giocano e
corrono in una rigogliose foreste,
pastori che compongono musiche divine
con le loro launeddas. Ragazze sarde
paragonate a figlie delle Janas, simili
a Diana e a Venere. Il principale
esponente di tale movimento è Luca
Cubeddu (Pattada,1748–Oristano,1828).
Padre Luca è il poeta dell’Arcadia
sarda. Figura discussa e poco amata dai
suoi superiori. Si rifugiò per anni tra
i monti di Dorgali vivendo con i caprai.
Alterna temi di difesa della morale e
della religione con argomenti più
mondani e poco coerenti coi i voti
religiosi.
A una ragazza che gli chiedeva in dono
dei fiori gli risponde declamando parole
poco adeguate alla veste sacerdotale :
A tie ti narant Rosa
et dimandas rosas tres.
Ma si tue Rosa ses?
Dimandami atera cosa16.
16 Ti chiamano Rosa / e mi chiedi tre rose / Ma se tu sei Rosa / chiedimi
un’altra cosa./
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Assume e ripropone anche i modelli
metrici che nell'ambito della poesia "in
limba" influenzerà i secoli a venire.
Tra le sue opere più conosciute, i
poemetti a sfondo morale che riprendono
favole antiche o temi classici
dell'edificazione morale e in difesa
della religione. Tra i titoli più famosi
"Su cucu e sa rùndine", "Su leone e
s'ainu", "Si fit a modu de ti nde
furare” e il più famoso e imitato “
Isculta Clori ermosa”.
Isculta, Clori hermosa,
si comente ses bella ses amante,
isculta pro un istante;
Clori, ch'in hermosura inches sa rosa,
ses cara e preziosa
pius de s'oro indianu et de s'arghentu:
inantis de partire
ti prego de ammittire
de su amante tou cust'ammentu …17
Altri poeti sardi da considerare sono
Sebastiano Satta (Nuoro,1867 – 1914, che
ha scritto sia in sardo sia in
italiano), il già ricordato Montanaru,
Melchiorre Murenu, Paolo Mossa,
Salvatore Poddighe, Diego Mele,
Antonino Mura Ena e Peppino Mereu.
17 Ascolta, Clori bella/ siccome sei bella sei amante,/ascolta per un
istante;/Clori, con bellezza superi la rosa/sei cara e preziosa/più dell’oro
indiano e dell’argento:/prima di partire/ti prego de ammettere del tuo amante
questo ricordo./
40
Sono riusciti, usando il sardo, a
svolgere un discorso modernissimo
attribuendo maggiore dignità letteraria
ad un codice nato e cresciuto nel
contesto dell'oralità tipica delle
società agro- pastorili. Assumere un
punto di vista culturale che media tra
il folklorismo evasivo e mistificatorio
di fine Ottocento, in cui prevale
l’immagine da cartolina della Sardegna
arcaica e barbarica e l’esigenza di
appartenere al movimento di unificazione
nazionale non solo a livello politico ma
anche culturale e linguistico.
Riprendersi la propria dignità, non
prostituirsi, come denuncia Sebastiano
Satta:
…linghende sos pratos
mesu boidos
che canes de isterzu.
Istan menzus sos bandidos
bellos, balentes e malos.
Menzus su bisonzu
Chi non custos
Fizzos de semenes burdos. 18
18 Leccando i piatti /semivuoti / come cani da cortile / Stanno meglio i banditi/
belli, coraggiosi e cattivi./ Meglio la necessità/ che non questi/ figli di semi
sterili./
41
Melchiorre Murenu, (Macomer 1803-1854)
celebrato come “Omero sardo”, era
analfabeta e cieco. Proveniva da una
famiglia originariamente non povera,
caduta poi in disgrazia con l'arresto
del padre e la sua probabile morte in
carcere. I contemporanei celebrarono
l’eccezionale memoria di Murenu,
certamente favorita dal suo essere non
vedente, che lo obbligò a imparare sui
moduli e sui modelli proverbiali tipici
della cultura orale. Il suo scrivere
risente notevolmente dell'ascolto
attento delle omelie dei predicatori ed
anche la vena moralistica che attraversa
i suoi versi è di chiara ispirazione
della Chiesa cattolica. Cantò spesso il
tema della povertà dovuta al sopruso del
ricco, denunciando l'arbitrio con cui
pochi privilegiati divenivano sempre più
ricchi, e molti poveri sempre più
poveri. Non andò, però, mai oltre la
condanna morale, evitando di dare
valenza politica o sociale ai suoi
testi, nonostante l'avversione esplicita
manifestata contro l'Editto delle
chiudende del 1822.
Esentes e ispozzados
De 'ogni bene paternu,
Cun su cor' e cun s'esternu
Fattende cumparsa trista;
E sos ch’haiant sa vida
Cun sos affannos terrenos.
A servidores anzenos
Tottu frades sunt beidos.
42
Gasi semus reduidos
Ruinados in su tottu.
Deo, privu de s’annottu,
Cun lagrimas mi mantenzo. 19
Non manca, nelle sue poesie, il tema
dello scherno del nemico, del dileggio
del potente, costantemente additato al
pubblico sotto mentite spoglie, o della
satira campanilistica (sono notissimi i
suoi versi contro Bosa):
Su culu 'ostr'est meda volenteri
Po ingrassare sos terrinos lanzos;
Bois ischides dar'a sos istranzos
De part' e cibu, pudidu fragheri.
Chircadebos un'ateru merderi
Cun d'unu carrettone ben’armadu… 20
Murenu fu veramente per formazione e
pubblico a cui si rivolse un poeta
popolare. Venne ucciso e i suoi
assassini rimasero impuniti.
Alcune sue poesie si trovano nel sito:
http://www.poesias.it/poeti/murenu_melch
iorre/murenu.htm
19 Defraudati e spogliati / di tutti i beni paterni/ Con il cuore e l’esterno/
Facendo triste comparsa;/E coloro che avevano la vita/ con gli affanni
terreni./A servitori degli altri/tutti fratelli sono visti./Così siamo
ridotti/rovinati del tutto./Io, privo dell’eredità/Con lacrime sopravvivo. / 20 Il vostro culo molto volentieri/per ingrassare i terreni magri;/Voi sapete
dare ai forestieri/parte del cibo putrido e maleodorante./ Cercateti un altro
merdaio/ con un grande carro ben armato…/
43
Paolo Mossa, detto “Paulicu”,(Bonorva,
1821 – 1892.)
Rimase orfano che era ancora un bambino.
Conclusi gli studi ginnasiali nello
stesso paese natio, conseguì a Sassari
il Magistero dove intraprese i corsi
universitari. Prese parte a lotte
politiche suscitando l’invidia degli
avversari, possidentes, dalla mentalità
grezza. Mossa subì due attentati; uno la
sera del giugno 1886, mentre sedeva
sull’uscio di casa e sei anni più tardi,
precisamente il 6 agosto 1892 sulla
strada di Nurapè, a pochi chilometri da
Bonorva. Si tramanda che Paulicu aveva
sin da bambino il dono
dell’improvvisazione.
Compone in logudorese: sciolto,
scorrevole ed elegante, ha nella poesia
un ritmo sonoro e piacevole. Mossa
schiuse nuovi orizzonti alla lirica
logudorese; o imitando Catullo in “Su
Canariu de Flora”, oppure emulando
Ovidio in “S’isula fortunata” o
riproducendo i propri affetti e quelli
dei contadini isolani in Baddemala,
S’attitidu, Sa tempesta, oppure in
quelle più liricamente significative
come In morte de Gisella o in Dori
Lontana.
Si possono leggere le sue poesie in :
http://www.poesias.it/poeti/mossa_paolo/
mossa.htm
44
S'isula de sa fortuna (a Flora)
Ite pensamos fagher, Flor'amada,
In custa terra ingrata traitora?
Non bides cantos viles a un'ora
Chircan s'amore nostru avvelenare?
Flora mia ponzemus pe' in mare,
Andemus a sa terra fortunada.
Ispettende nos est de sa fortuna
S'isula fortunada veramente,
Ue in festa continua sa zente
Vivet senza molestia peruna;
Nè b'incontran sos rajos de sa luna
Luttuosas iscenas de piantu:
Inìe est tot'incantu e de s'incantu
No si poden sos coros saziare.
Flora mia, ponzemus pe' in mare.
Est motivu de gioia e de consolu
Cantu ti si reparat a sa vista:
Su culumbinu, sa turture trista
Cantend'amore leana su ölu;
E-i s'armoniosu russignolu
Pienat de lamentos sa campagna,
Ma non tardat sa dozile cumpagna
Cun versos de amore a lu giamare.
Flora mia, ponzemus pe' in mare.
S'abe brunda, sa pinta mariposa
Sighin s'amante da-e rampu in rampu;
Nè b'hat fiore in buscu, arvur'in campu
Chi non ti mustret s'indul'amorosa:
Su giorminu s'istringhet a sa rosa
E s'abbrazzat a s'ulumu sa ïde,
Immagine perfetta de sa fide
45
Ch'inìe solen tennere in amare.
Flora mia, ponzemus pe' in mare.
Est pro vida s'amore professadu,
Han sagros sos affettos già promissos;
E pro cussu pioet subr'a issos
Ogni grascia chi Deus hat formadu:
Su terrinu produit senz'aradu
Laores cantu nd'hat in bidatone;
Sas arvures de fruttu ogn'istajone
Dan fruttos de sabore singulare.
Flora mia, ponzemus pe' in mare.
Totu in cussu beneficu orizzonte
Est abbundanscia e vera biadìa;
Benit mancu sa ruzza limba mia
Pro chi sas maraviglias tinde conte.
Fina da-e sos chercos de su monte
Be-i curret su mele a perdimentu
E chito su manzanu andat s'armentu
De per isse su latte a presentare.
Flora mia, ponzemus pe' in mare.
Ite piùs? S'ierru a larga manu
Non bi ëttat da-e altu abbas e nies
Ne-i s'istiu inzendiat sas dies
Cun caldanas de sole fittianu ;
Pezzi sempre in delissias d'ëranu
Passan inìe su tempus insoro,
Un'aeritta cun alas de oro
Faghet solu sas fozas tremulare.
Flora mia, ponzemus pe' in mare.
46
Posca in totue padros e giardinos
Sullevan de profumos una nue,
Allegros puzoneddos in totue
Cantan umpare, faghene festinos;
In totue rizolos cristallinos
Rinfriscan sa campagna fiorida...
Vida de Paradisu est cussa vida,
E proite tardamos a b'andare?
Flora mia, ponzemus pe' in mare.
Andemus, s'est ch'abberu m'has amore,
Ma giuremus torrare in custa terra,
Da chi no hat a fagher piùs gherra
A columbos e turtures s'astore;
Su leone de feras distruidore,
Dare cazza non det piùs a fera,
Nadare den sos pisches in s'aera,
E in s'abba sas aes den bolare.
Flora mia, ponzemus pe' in mare.
Da chi pro maraviglias de avanzu
Su rù hat a bundire senz'ispina
E de sa giorva s'aspra raighina
Fruttu det render su piùs liccanzu;
Da chi nascher in mare det s'aranzu
E brancas de coraddu in sa foresta;
Tando mancari muat sa tempesta,
Isolvemus sas velas pro torrare.
Flora mia, ponzemus pe' in mare.
Però custas aeras ti sun caras
E da-e te traith abbisu so...
Ahi! ch'in coro tou has nadu: no,
Mancari non l'isplichene sas laras...
It'has determinadu? ite mi naras?
In modu risolutu ti cumporta:
47
Ma de perder a mie t'accunnorta
O chirca custos dubbios lassare.
Flora mia, ponzemus pe' in mare.
In s'istante sos dubbios ammella,
Ca, si no, cantu prestu m'ïdes mortu:
Allestrida sa nae est in su portu,
Andemus como, Flora mia bella...
Propiziu su ëntu e ogn'istella
Nos faghen a partire violenzia…
Oh gioja! tue has fissu sa partenzia
E non cherzo un'istante durittare!
Flora mia, ponzemus pe' in mare.
Finis acconos intro a su navìu,
Sa vel'est tesa e dadu est su segnale..
Adìu, dura patria fatale,
Parentes e amigos totu adìu;
Como bos lasso e cantu duro ïu,
Cun Flora parto a logos differentes;
In issa amigos, patria, parentes
In Flora ogni contentu app'a lobrare!
Flora mia, ponzemus pe' in mare.
48
Salvatore Poddighe, (Sassari 1871 -
Iglesias 1938) Poeta autodidatta. Nato a
Sassari da genitori di Dualci fece
ritorno nel paese di origine solo dopo
poche settimane di vita. A Dualchi visse
fino ai diciotto anni e da qui, attratto
dalle possibilità di trovare lavoro
nelle miniere dell'Iglesiente, si
trasferì ad Iglesias dove lavorò come
minatore nei pozzi di Monteponi e San
Giovanni.
A Iglesias Poddighe conobbe altri poeti
con i quali si incontrava la sera nelle
bettole per improvvisare. Poddighe è
influenzato dal pensiero anarchico e
socialista. Le sue convinzioni politiche
sono radicali, fuori dagli schemi, con
una decisa propensione alla giustizia
sociale. La rivolta, i morti di Buggerru
del 1904, la sindacalizzazione, hanno
forgiato il carattere del poeta che nel
frattempo non aveva mai smesso di
leggere. L'opera che gli diede fama in
tutta l'isola e a cui è legata
universalmente il suo nome è “Sa Mundana
cummedia”.
De Dante su poeta de Toscana,
sa Divina Cummedia leggimos;
e noi sardos prite non faghimos
un'attera Cummedia mundana?
Pro dare lughe a sa zente isolana
sos chi s'estru poeticu tenimos,
pro chi non bastat sa Divina sola
a sa Sardigna nostra a dare iscola.
Dante, de una mente illustre e digna,
tra sos poetas hat sa prima sedia;
49
in versos hat descrittu una Cummedia;
contra a sa setta perfida maligna,
e nois cantadores de Sardigna
nos istamos a morrer de inedia?
no, no, frades, bintramos tottu in
giostra,
a fagher puru sa partida nostra.
Opera che però creò non pochi problemi
al suo autore. Sa mondana commedia è
infatti un’opera di forte denuncia
sociale dello sfruttamento del povero e
in cui non manca un acceso
anticlericalismo.
“Deus chi est sapiente e bonu mastru
sende unu babbu zustu e imparziale
hat dau a tottu dirittu uguale
e no hat fattu unu izzu e unu izzastru.
No est po nascere in bonu o mal astru
si istamus chie ene chie male
tuttu dipendet dae sa faccenda
de no esser in comune sa sienda”
Nel 1924 il Concilio dei vescovi sardi
aveva vietato ai poeti estemporanei di
trattare argomenti di dottrina
ecclesiastica. E in un crescendo di
multe e divieti, Chiesa e fascisti erano
riusciti a bandire le gale poetiche dal
'32 al '37. Salvatore Poddighe soffrì
profondamente per questo ignobile atto
di censura, cadde in una forte
depressione e morì suicida ad Iglesias
il 14 novembre 1938.
http://www.poesias.it/poeti/poddighe_salvat
ore/poddighe.htm
50
Diego Mele (Bitti 1797 - Olzai 1861)
prete, poeta e amico di Giovanni Spano.
Autore di poesie aspre e mordaci,
dovette fuggire dal suo paese per le
inimicizie che i suoi versi gli avevano
procurato.
“Accusato di avversare la Legge delle
Chiudende e di incitare il popolo a
sostenere il bestiame girovago, e a
diffondere il comunismo territoriale”,
fu mandato per punizione
dall’Arcivescovo Bua, in esilio ad
Ozieri presso i padri Cappuccini.
Inviato poi a Lodè, a Mamoiada e infine
ad Olzai, visse tranquillamente in
questo paese sino alla morte.
La sua poesia, specie quella satirica, è
schietta espressione della società agro-
pastorale in cui visse, dando spesso
voce ai suoi conterranei nei dialoghi in
cui lamentavano le tristi condizioni di
vita e degli abusi che subivano da parte
dei potenti. Anche se erano della sua
stessa chiesa.
Alcune sue poesie nel sito web:
http://www.poesias.it/poeti/mele_diego/m
ele.htm
51
Como diventat riccu su Rettore
Como diventat riccu su Rettore
ca s'est fattende bonu negoziante,
in breve tempus diventat mercante
ca tenet prinzipale su Duttore.
Tenzende su Duttore prinzipale
un'e atteru restat vantaggiadu,
chi perdonet li naran a Viale
e a Rossi, mancari nominadu:
a su riu interesse e capitale
han che bonu custode incumandadu,
isse hat sas mercanzias trasportadu
a mare, babbu sou e genitore.
Gasi sa mercanzia incumandada
non si tenet de perdita paura,
sende bene sa sorte assegurada
sa fortuna dêt esser pius segura:
simizante negoziu non b'hada
ch'est de fraude liberu e d'usura,
su Rettore non perdet congiuntura
ca s'est fattende un'ispeculadore…
52
In Olzai non campat pius mazzone
Ca nde l'hana leadu sa pastura,
Sa gente ingolumada a sa dulcura
Imbentat sapa dae su lidone.
De nou hana bogadu cust'imbentu
Pro sedare veementes appetitos,
Leadu han’a mazzone s’alimentu
Però l'han a piangher sos caprittos,
No li faghent a isse impedimentu
Nemancu de Dualchi sos iscrittos:
De mazzone aumentant sos delittos
Non codiat porcheddu ne anzone.
Sas puddas et caprittos et porcheddos
Pianghent de sa gente sos errores,
Et de sos affliggidos anzoneddos
Mi paret de intender sos clamores;
A dolu mannu de sos pastoreddos
Chi nde provant et sentint sos dolores,
Custos suni sos gustos et sapores
De sa sapa de noa invenzione.
Tottu canta sa gente est post'in motu
Pro fagher sos coccones de ghennargiu,
Ch'hana isperimentadu et han connottu
Chi superat sa sapa de su vargiu,
Pera Marras accudi a s'abbolottu
No istes pro fatica et pro incargiu,
Ischi chi tue puru ses porcargiu
Non ti dormas in custa occasione...
53
Antonino Mura Ena (Bono,1908 –
Roma,1994)
Dopo le scuole primarie frequentate a
Lula, Mura termina gli studi superiori a
Cagliari e nel 1938 si laurea in
Pedagogia all'Università di Roma.
Alla fine dell'insegnamento intensifica
la sua attività creativa di poeta e di
narratore. Raccoglie schede, vocaboli,
massime e detti sardi, traduce
L'Apologia di Socrate in lingua sarda,
compone poesie e ne progetta la raccolta
in volume. Nel 1988 vince un premio
speciale al Concorso nazionale di
Letterature dialettali "Pompeo Calvia"
di Sassari e riprende a lavorare con
maggiore intensità ai racconti “Le
memorie del tempo di Lula” e alla
revisione della “Raccolta di poesie
Recuida”.
Recuida significa grande ritorno,
riappropriazione dell'identità e
rivelazione di verità non illusorie.
Quattro sillogi in cui il più grande
poeta in lingua sarda del Novecento è
riuscito a valorizzare la tradizione
melodica della lirica sarda,
confrontando l'universo antropologico e
culturale sardo con la cultura
umanistica, da Platone a sant'Agostino,
ad Hegel, ai classici della letteratura
europea.
54
Peraula Bia
Una peraula bia
cando est offerta e nada
ed est sa prima orta
chi dae bucca bessit,
in s'istante matessi est accabada.
Est cunsumida e morta.
E gai naraian
chin milli arresionos
sabidores antigos,
e serios e bonos.
e sos appentados
fideles, bi creian.
Ma eo,
chi non so sabidore
ne antigu e ne nou,
ma cunsideradore
de bonu cunsideru
darelis potto prou
chi 'onzi umana peraula
nada a omine biu, e ascultada
in risu o in piantu, tando solu
incomintzat a vivere.
Ed est de pensamentu eternu bolu.
55
Banditore chin trumba
Su chimbe de su mese 'e sant'Andria,
Corittu, su poeta banditore,
a sas otto 'e manzanu,
at bocatu sa trumba armoniosa.
E at ghettatu su bandu
ch'it 'inita sa gherra vittoriosa.
Et a cantatu in poesia goi:
-Si avertet sa populassione
chi 'erisero est 'inita sa gherra
in chelu, mare e terra.
E in tottue.
-Si avertet sa populassione
sas troppas nostras an picatu a Trento
e 'nche son irbarcatas in Trieste.
S'Austriacu a fine 'e tantu istrughere
tzedit sas armas e benit a rughere.
-Si avertet sa populassione
chi venzat tottucanta a su Tedeu.
e a sa portessione.
-Si avertet sa populassione
chi 'eris a manzanu,
a s'essita 'e sa missa
m'an datu notissa
chi est mortu Bostianu, su 'izu meu.
Si avertet sa populassione
chi venzat tottucanta a su Tedeu.
56
Peppino Mereu (Tonara, 1872 -1901), fu
un poeta che seppe unire una ricca,
consapevole e aggiornata cultura
letteraria, col forte radicamento rurale
e paesano rappresentato proprio della
lingua sarda.
Affronta i temi della inquietudine,
della precarietà della vita (era
tisico), della malinconica nostalgia dei
piccoli orizzonti affettivi del paese
che caratterizzano i suoi testi.
Il sardo, lingua povera di nomi astratti
esprime i sentimenti, la lode e lo
scherno con metafore e similitudini
tratte col lessico rustico.
Peppino Mereu, riuscì a svolgere un
discorso modernissimo con una lingua
arcaica, ossia riuscì ad attribuire
dignità letteraria ad un codice nato e
cresciuto nel contesto dell'oralità
tipica delle società rurali.
http://www.poesias.it/poeti/mereu_peppin
u/mereu.htm
L’amore per i posti in cui si è nati o
in cui si vive è tema comunemente
affrontato.
57
A Tonara
O gentile Tonara,
terra de musas, santa e beneitta,
Patria mia cara,
cand'est chi b'happ'a benner in bisitta?
E m'has a dare sa jara
abba de Croccoledda tantu fritta?
A cando 'ider sas nies,
sas c'happo appettigadu ateras dies?
Ah dura lontananzia!
a sa chi m'hat sa sorte cundennadu.
Mi 'enit s'arregordanzia
de unu tempus ispensieradu,
s'onesta comunanzia
de amigos chi happo abbandonadu;
mi torrat a sa mente
unu tempus passadu allegramente.
A' cussu pensamentu
già' m'abbizo de cantu happo perdìdu,
e vivo cun lamentu
che puzzone ch'est foras dae nidu;
proende un'isgumentu
chi mai happo proadu ne sentìdu.
Su pensamentu 'olat
a tie, terra gentile, e si consolat…
58
Aritzo
Post’in alt’a sa tua capitale,
dispensera de abbas cristallinas;
poetica, gentile industriale,
terza de sas alturas montaninas.
De cor’aperta, franca e liberale,
a su progressu curres e camminas:
ses una zittadedda geniale,
in te s’isprigant sas biddas bighinas.
Onesta tue trivaglias e divignas;
de s’onestade tu’andas fiera,
ismentinde de Dante sas iscritas.
Fentomada, sas tuas carapignas
faghent su giru s’Isul’intera,
cunfirmende sa fama chi meritas.
59
Come anche solidarietà e condivisione di
chi lotta e pena per sopravvivere :
S'ambulante tonaresu
Cun d'unu cadditteddu feu e lanzu
sa vida tua a istentu la trazas;
da’una ‘idda a s’attera viazas,
faghes Pasca e Nadale in logu istranzu.
A caldu e frittu girende t'iscazas
pro chimbe o ses iscudos de 'alanzu,
dae s'incassu de sett'otto sonazas
chi malamente pagant'unu pranzu.
Sempre ramingu senza tenner pasu,
de una 'idda a s'attera t'ifferis
aboghinende inue tottu colas:
«Discos nobos pro fagher su casu
e chie leat truddas e tazeris
e palias de forru e de arzolas!».
60
Antioco Casula “Montanaru”, nato a
Desulo nel 1878 e scomparso nel 1957.
Poeta che ha saputo rinnovare il modo di
comunicare dando al sardo dignità e una
originale capacità espressiva. Convinto
assertore del valore della lingua sarda
e dell'importanza del suo insegnamento
nelle scuole, partecipò, nel 1925 a
Milano, per rappresentare la Sardegna,
al primo congresso nazionale dei
dialetti d'Italia. Conobbe la
sofferenza: la morte prematura dei figli
e della prima moglie; nel 1928,
l'umiliazione del carcere, con l'accusa
di legami con i banditi barbaricini,
accusa pretestuosa, orchestrata dai
gerarchi fascisti che mal tolleravano
questa emblematica figura di
intellettuale non conformista e
soprattutto impegnato nella difesa
dell'isola e della sua lingua.
Tradizione e innovazione, difesa del
territorio e della sua gente e della sua
cultura.
http://www.poesias.it/poeti/casula_antio
co%28montanaru%29/casula_antioco%28monta
naru%29.htm
61
A SOS AMIGOS DE DURGALI
Amigos mios fortes e bellos de Durgali
ieo sempere bos’amo d’affettu naturale,
e bos’amento sempere, cantu istis vonos,
che i sa terra ostra de cantos e de sonos.
Oh! Durgali graniticu, sa perla de sa Sardinna,
cando curriat a rios su inu in donnia inza
e passaian superbas comente ’e imperadoras
de oriente sas tuas brunas binnennadoras.
E a sos ultimos seros, lenos e luminosos,
de capidanni enian sos carros gloriosos
de achina niedda e mustu, de mustu prepotente,
buddinde chei su sambene de custa brava zente.
E dae amicu amicu, a fine de Sant’Andria,
mudaos andaian in manna cumpannia
a istupare cuntentos sas nòdidas carradas
de inu veru, de annos e annos aragaddadas.
In sos frundacos friscos nieddos aranzolados
mai dae sa lughe e su sole disturbaos.
E monte Ardia avvesu a tottu cussas festas
dae sas altas biancas e poderosas crestas,
che unu Deus anticu de forza e d’energia
beneighiad’a tie terra de Baronia.
Beneighiat sas serras lontanas de Nuoro
desoladas comente su nostru forte coro.
E cantaian cuntentas sas bellas durgalesas
de cuddas’anticas e liberas impresas
contr’e sos Corsaros crudeles de Turchia,
cando pesad’in armas curriat Baronia.
Abochinande in sos montes chin ira e maiestade
morte a su Turcu! O frades, vivat sa libertade!
Oje però sas vinzas sone isperdias malamente.
Prus che a prima alligra no est sa bona zente;
oje prus non buddit su inu in sos cupones
e sas binnennadoras non cantan prus canzones.
62
Ma isperae, isperae frades de Baronia
ca mai eterna durat nessuna maladia.
Coment’in donnia coro sicau in su dolore
a frorire torrad’isplendidu s’amore.
Gasi sas vinzas vostras a nou ane a torrare
e i su inu famosu in summa de buffare
a sos frundacos friscos, nieddos aranzolados
mai dae sa lugh’e su sole disturbaos.
De nou in sas binnennas brunas binnennadoras
comente una troppa de Janas incantadoras
depen passare ponende in briu sa cussorza
ettande coizzolos de achina a sa corcadorza.
Inue lizeru, siccu, fieru e cambi nudu
unu catticadore ezzu, arvi canudu,
serenu che i s’atonzu lenu de Durgali
li s’hat a narrer: «Bellas mai bos tocchet male
e sien sos fizzos vostros ricos de coro e fide,
comente ricca de achina occannu fit sa ide!».
63
A BADDORE ISPANU
Carissimu Baddore, de torrare
mi enit su disizu frequente,
a su mont’e Durgali risplendente
a monte Ardia bellu facc’ a mare;
E intender su dulche faeddare
de sa baroniesa cara zente
inue hapo passadu allegramente
sas mezzus dies de su militare.
Cando det esser chi hap’a cumprire
su disizu ’e torrare in Baronia,
raessende sas serras de Nùoro?
De in dì in die mi bido fuire
sos mezzus annos de sa vida mia
e mai cuntentadu hapo su coro.
64
NOTTE ‘E LUNA
Est una notte ‘e luna
de cuddas lunas de atonzu craras,
chi cando tue t'affazzas
a sa ider'andare,
isperas novamente in sa fortuna.
At propiu meda
tottu sa die. Pariat sa terra
in s'adde e in sa serra,
tra sos fenos siccaos,
bestia de antichissimu prantu.
Ma ecco in su serenu
avanzare sa notte; craru su chelu
risplendere e che velu
de isposa, sa luna,
bestit de biancore donnia terrenu.
65
Adiosu ochile anticu
In domo mia mischina
una cucina moderna m’an piazzau;
est bella tott'in ferru verniciau,
elegante che una sinnorina.
E tanta zente appenas chi l'han bista:
«Ateru che a tenner su ochile!…».
Chin cussu trastu lùchidu e gentile
podes narrer chi passas bella vida!…
E zeo imbezes triste pesso a tie
foghile antigu, inue mamma mia
si seiat chin babbu in cumpanzia
filande lana candida che nie.
Cando chin ocros santos de amore,
po non perder faina miraiada,
e chin su pe' su brozzolu mofiada
inue dromiat su prus minore.
Ite caros sos seros, in sos frittos
ierros de Barbagia, s'istare,
in ziru a su oghile a resonare
allegande de anzones e crapittos;
Cando chi sa framma a su cannizzu
si pesaiat che lama lughente
colorande de ruiu sa zente,
e traessas pesantes de sartizzu.
Zeo de cussos seros bido tantos
nd'hapo chin ispetaculos gentiles.
Mi soe pesau in ziru a sos fochiles
e poto narrer chi sos mios cantos
66
Nàschios sone in mesu 'e sas brasas
e a su umu in nottes tempestosas
tra miradas de virgines isposas
e serenos contos de massaias.
E su ochile nostru praticau
fit dae zente meda in allegria;
ca po intendere sa bona mamma mia
tott'accurrian dae ichinadu.
In foras fit su entu e i s'iscuru
chin s'abba forte. E babbu in mes'istoa
buffande inu de s'annada noa,
e zeo sighinde umbras in su muru.
Ite dulzura!… Fit su mundu miu
su ochile chin babbu e mamma mia,
sos amigos; nè ater'e'ischia,
si no chi prus de tottu be siat Deu.
Mamma sich'est anda e poi babbu
e gasi atera zente ch'amaia.
Tue solu arrumbau ses ebbia
oghile ludu semplice irgrabbu.
E po mi narrer'omine civile
m'hapo leau noa sa cucina.
Ma s'anima in segretu poverina
pranghed'a tie rusticu ochile.
67
A su inu
Naran chi ses velenu, o sardu inu,
puru deo ti buffo e vivo sanu.
So arrivadu a omine anzianu
e ando senza baculu in camminu.
Non possido unu mannu magasinu
chei cuddos chi sunu in Campidanu,
ma però tenzo semper a sa manu
unu barrile de cudd’ozastrinu.
Mi si riscaldat su samben in venas
e si coloran sas cosas in bonu
finzas in dies mannas de tristura.
Intono tando bellas cantilenas
pro gloriare custu santu donu
chi a s’omine offerit sa natura.
68
Molte delle tematiche espresse da
Montanaru furono in tempi successivi
riprese da Michelangelo Pira, il quale,
a proposito di coloro che criticavano
una certa "impurità" del sardo usato dal
poeta, eccessivamente inquinato da
acquisti dell'italiano, scrisse: «Essi
non sapevano o non sanno quello che
Montanaru aveva capito d’istinto: che
nel nostro secolo il sardo, venuto a
contatto con la lingua italiana, è
venuto modificandosi nelle sue strutture
lessicali, sintattiche, morfologiche,
fonetiche e semantiche. Egli tentò in
definitiva l’integrazione possibile con
la lingua italiana all'interno della
lingua sarda, facendo brillare in ogni
vocabolo di questa quel che
"nell'esausta lingua italiana aveva
perduto ogni sapore.
Con Montanaru il sardo fu ancora una
volta lingua, mentre già nelle poesie
nuoresi del Satta aveva un sapore
dialettale».
69
DONNE IN POESIA
Guardando indietro nella storia pochi,
pochissimi nomi di donne poeta si sono
affiancati a quegli degli uomini e di
alcune di coloro che avrebbero potuto
essere alla medesima altezza è rimasta
appena una traccia.
Non è sufficiente ne consolatorio
ricordare i nomi di Saffo, di Ada Negri,
di Alda Merini e per la Sardegna, con
elaborazioni letterarie diverse,
Eleonora d’Arborea, Anna Maria Falchi
Massidda, Grazia Deledda, Tetta
Becciu,Paola Alcioni, Milena Agus,
Michela Murgia, …
Ho difficoltà a capire, se non per le
analisi culturali legate ai ruoli
femminili nella società e nella
famiglia, perché non si valorizzi la
qualità della produzione poetica
femminile che c’è ed è diffusa. Anche in
Sardegna.
Mi faccio aiutare da Camilla Bisi,
giornalista femminista, che nel 1916
pubblica un opera dal titolo “Poetesse
d’Italia” dove ha scritto:
“Mai come oggi, penso, scrivere poesia
significò, per una donna, rivelare tutto
di sè; mai come oggi colei che è o che
si crede chiamata nascose con tanto
pudore, talvolta come una colpa, i suoi
versi che la esporrebbero denudata alla
critica ...
70
Forse perchè ieri ancora abbiamo visto
ricercare nella vita di una nostra
poetessa tutto quanto fosse celato o si
prestasse all’ equivoco, per smania di
scandalo, sapore più sapido, per alcuni,
della schietta ignoranza? Certo, mai
come oggi si disse e si affermò che la
poetessa è, necessariamente, creatura di
passione e di senso; certo con nessun
altro che con la donna il pubblico si
mostra più severo: le critiche ai libri
femminili di prosa e di poesia sono
vivisezioni… Ma di questo le donne non
si lamentano: troppo buon seme fu
gettato nel vasto campo della poesia
perchè anch’ essa non voglia
raccoglierne, a messe matura, un
manipolo; e per una che cade altre
vengono innanzi e raccolgono a piene
mani…Siete create per la maternità e per
la casa: è forse necessario che
cantiate? Siete essere passivi: perchè
gridate le inutili parole di rivolta? Ci
sono tanti uomini che scrivono, che
bisogno abbiamo delle donne?Ma una donna
che scrive poesia è una donna che canta!
Ma non credete dunque che i figli da lei
nutriti, da lei cresciuti al ritmo
armonioso che è dentro di lei, non
credete ch’ essi debbano essere i più
belli, i più buoni, i più armonicamente
felici?”
Ecco dunque la testimonianza di alcune
poetesse sarde ambasciatrici di un nuovo
che deve crescere e diffondersi,
vincendo ogni discriminazione :
71
Anna Maria Falchi Massidda (1824 –
1873)
Una delle pochissime poetesse sarde. Era
nata a Bortigali in famiglia nobile e
benestante. Intorno ai 20 anni sposò Don
Pietro Paolo Massidda, un ricco
possidente di Santulussurgiu. La sua
produzione poetica (ora raccolta in una
importante pubblicazione) è ricca di
liriche raffinate; la sua fama varcò i
confini dell’isola.
Lenta sonat sa campana
Lenta sonat sa campana,
tristu de morte un’ispiru,
sonat de dantza unu giru,
una chitarra profana.
Sa chitarra armoniosa
dat pro su ballu trasportu,
nos avvisat chi ch’at mortu,
sa campana lamentosa
e, sonende luttuosa,
mustrat ch’ogni pompa est vana:
ca cando si crêt lontana
sa morte messat in giru,
già chi de morte un’ispiru
lenta sonat sa campana.
Fusu e a cordas filadu,
unu e atteru est metallu,
unu at sonadu unu ballu
s’atteru a mortu at toccadu:
su coro meu affannadu,
ch’appena traet respiru,
non pius da danza in su giru
dêt sigundare su pe,
72
ma dêt sonare pro me
tristu de morte un’ispiru.
Chissà, Su chi hat formadu
s’unu e s’atteru sonu,
s’in cuss’ora su perdonu
m’at a dare s’appo erradu,
cando su coro, portadu
de giovanile regiru,
de su ballu in su deliru
currìat s’ora festosa,
ca sa chitarra briosa
sonât de dantza unu giru.
Ca cando in sa gioventude
sas festas nos faghen corte,
no si pensat a sa morte,
no si curat sa salude:
bi cheret troppu virtude
e fortza pius che umana,
pro chi sa trista campana
sa morte a pensare ispingat,
cando su coro lusingat
una chitarra profana.
73
Rosalba Satta Ceriale, insegnante
elementare in pensione, è nata a Nuoro,
nel rione antico di San Pietro, nel
1948. Da oltre trent’anni risiede a
Budoni, dove è stata Assessore alla
Pubblica Istruzione , alla Cultura e
allo Spettacolo. Figlia d’arte – il
padre è il famoso poeta in lingua sarda
Franceschino Satta, scomparso nel 2001.
Ha iniziato a scrivere da adolescente.In
seguito alla pubblicazione di alcune sue
poesie nel settimanale "L’Ortobene",
viste le sollecitazioni e i
riconoscimenti ricevuti da parte di
lettori più o meno conosciuti, ha
pubblicato, nel 1986, a cura delle Arti
Grafiche AR.P.E.F di Nuoro, il suo primo
libro “Poesie”, con prefazioni dello
scrittore Mario Lodi e del poeta nuorese
Giovanni Piga. Convinta da sempre che la
poesia sia un’opportunità in più per
contribuire a costruire un mondo a
misura d’uomo, ha portato avanti nel suo
"fare scuola", per oltre vent’anni, un
progetto di sperimentazione alla
scrittura poetica dei bambini – che
comprendeva anche l’insegnamento della
lingua sarda nelle sue varianti –
raggiungendo risultati di rilievo a
livello e prestigiosi riconoscimenti a
livello regionale e nazionale . Nel mese
di febbraio 2011 ha pubblicato (a cura
della casa editrice Terza Pagina
Edizioni) il suo secondo libro “A scuola
con la poesia”, con prefazioni di Albino
Bernardini e Federica Morrone.
74
Ma sa poesia non morit
Mi cubo inintro a tie
terra istimada…
Su tempus
- nigheddu -
imbruttat su chelu
de malesa e de fele.
M’arrimo inintro a tie
terra pistada
…chin s’astragu in su coro.
Commo tue ses pranghende
…e deo chin tecus.
Su manzanu paret notte
in s’ifferru ’e sa vida.
Male assortau, ferit tottube,
e tottube
frorin tristura e tejos .
Ma sa poesia non morit:
juchet ocros d’incantu
e gana d’amistade.
Irfaghinat ischintizzas
de pache e de recreu.
Secat cadenas…
Ischidat sas bertudes
bentulande banderas ’e libertade.
Cheret battire
prendas de lucore
chin sa frusa de sa luche ’e su coro
75
Unu tempus credio…
Unu tempus credio
chi fin fundos raros
sa malissia
e tottu sos irbirgos
pro cuffunder s’onestu.
Unu tempus credio
chi a tessere
sas tramas de s’ingannu
fit un’aranzoleddu
maladiosu e solu.
Oje bio
fundos de cada casta
chi si nutrin de petta
e aranzolos a isumbru
in tottube
maladios…de gana ’e cumandare!
Ma sa chichera cantat.
E-i sa tirìa,
a laddara ’e luche,
tinghet sa die de grogo…
76
A un’anzelu
( A frade meu, Paulu )
Non ti chi ses andau…
Tue ses bolau
-prus liberu ’e su bentu-
a firmare su tempus.
E su tempus
abbellu abbellu s’est firmau
…e intinghet de frina
sa caminera mea.
S’affranzu ’e sa terìa
mi fachet cumpannia.
Su gravellu
pimpirinau ’e chelu
isparghet s’alinu durche
e m’accasazat.
Hapo intesu
toccheddare a su coro…
Ses torrau!
77
Tetta Becciu è nata ad Ozieri il 1952 e
qui vive. Scrive dal 1993, fino ad oggi
ha sempre partecipato ai vari Concorsi
letterari dell'isola e del continente,
riscuotendo numerosi riconoscimenti.
Le sue poesie sempre in limba-sarda
logudorese sono pubblicate nelle
migliori antologie dei premi letterari e
in riviste del settore. Ha collaborato
con l'Università Cattolica di Madrid e
l'Università di Berlino per la
pubblicazione di un antologia "Bentu 'e
terra manna", una raccolta di poesie di
poetesse sarde.
Le poesie sono state tradotte in
tedesco, galiziano e inglese.
La Becciu ha tradotto dal napoletano al
sardo-logudorese due commedie di Eduardo
de Filippo, 'Filomena Marturano" e
"Natale in casa Cupiello", e dallo
spagnolo la commedia "L'estanquera de
Vallecas" di Luis Alonso de Santos.
78
Sa Poesia
Sa poesia
est un'alentu,
un'aeresitta,
a bortas
un'allutta 'e fogu,
un'ardore
chi t'azzendet
sos cavanos
e ti supuzat
s'anima...
Sa poesia
est musica
chi non si podet
leggere
a libru ispartu,
a bortas
est abbile
chi ti che pijat
a chimas de incantu,
subra pentumas
chi sa resone
podet solu affinare.
Sa poesia
est binu
ch'imbreagat,
est piantu
chi ligat su coro,
attìtu chena consolu…
... peraulas
che alas de mudesa.
79
Pianghet sa Terra...
Pianghet sa Terra
sos fizos chi pianghene ...
a boghe manna
jubilat
sos turmentos suos
de mama ...
in s’orizonte serradu
ue no brotant
in libertade sos fiores ...
sas mamas cantant
attittidos de dolore
ue naes de sole
carignant de travessu
sa Terra.
Finzas su ‘entu
non trazat pius sas nues
e sas arvures
mujant sas chimas
abbrazzadas in d’una istrinta ‘e fogu.
S’inghenia ‘e su male
appeddat in biddas ischirrioladas
ue sa morte a sa zega
ferret, chena seberu ...
In chelos chen’isteddos,
hat a brotare una die
su semene ‘e s’ispera,
su semene ‘e sa vida
pro su mare ‘e s’incrasa ...
... ... e non hat a sambenare
pius su sole,
non s’han’a appojare
intro sos coros
sas lagrimas
su sambene
su risu attogadu
de sos pitzinnos.
80
Paola Alcioni, nata a Cagliari il 1955,
è laureata in Giurisprudenza. Ha vinto
numerosi premi di poesia in lingua sarda
e tra questi si ricordano i primi premi
più importanti: Ozieri, Romangia,
Posada; alcune sue poesie sono state
pubblicate e tradotte in inglese, in
tedesco e in galiziano. Nel 2003 ha
pubblicato il romanzo "La stirpe dei Re
perduti" con la casa editrice Il
Maestrale e nel 2004 il romanzo per
ragazzi Il segreto della casa
abbandonata e il romanzo Addìa scritto
con il poeta di Torpè Antonimaria Pala,
entrambi per le edizioni Condaghes.
Totu est poesia
Castia, intzimiat a proi.
Annuadas a bentu arrevesciu
nais de ghisciu
trassant in sa bizarra 'e su celu
sinnus chi no cumprendu.
Ma no ddi fait nudda: totu est poesia.
Proit, fillu miu, sa dì afrigia
stiddiendi in pous di annugiu
arraminadas lagrimas de grunda.
Fintzas in su stugiu 'e is sentidus
tzivinat e s'unda de Maistrali
incrubat acuzzas tzinnigas de dolori.
Po m'avesai a su marigosori 'e sali
de custu mali de bivi, deu, sossoìni
de pena, in s'arena arrexinis emu postu.
81
Nùas mi ddas lassàt 'onnia sbentuliàda
e no 'nd allebiàt s'acua s'asciutori.
Imoi, candu sa mannària 'e su celu
in cascias de umbra
is neas s'aguantad asurìa,
de sa manu mia si strobint arannias
sintzieddus i arrandant tirinnia
de fueddus
in sa trama tirada de s'abetu. Aici
sciortu su spantu de sogas di apretu
totu si fait cantu e poesia
in custa 'ia de nebida e de vida.
E mancai si scurighint is bisus
in is trobeas de su tempus
no lassu prus chi arrisus axedint
che binu intristau.
Tui mi dd'as imparau,
limbichendi de pixidas currentis
de axìu su prexu di essi biu.
Castia maìstu miu piticu, bisadori,
de bisus mannus mannus: no proit
prus. Nais de craboni
trassant in sa pruinca 'e su celu
bolidus chi si stesiant.
Ti 'nd'as andai tui puru?
Si strobint de sa manu mia in su saludu
de cilixia caus e de ressinniu.
De sa tua arrundilis chi lestras
torrant in carinniu di allirghia
narendi: est berus, totu
-totu! - est poesia.
82
Anna Cristina Serra è nata il 1960
originaria di San Basilio.
Scrive lingua sarda, inizia a
partecipare ai concorsi letterari nel
1993. Tra i tanti ha vinto il Premio
Ozieri per ben due volte, il Premio
Michelangelo Pira, il Premio Premio
S.Antoni de su 'ou di Mamoiada nel 1994
e nel 1997, a Milano il Premio
Internazionale nel 1997, Olmedo nel
1993, 1994, 1995, Tissi nel 1993, il
Premio Partigiani nel 1995, Silius nel
1994, Porto Torres nel 1998, Cossoine
nel 1999, Osilo nel 1996, il Premio
A.C.L.I. nel 1997, Dolianova nel 1993,
il Premio Colleziu nel 1997, il Premio
"Paolo Mossa" (Bonorva) nel 1999, il
Premio "Benvenuto Lobina"
(Villanovatulo) nel 1996, il Premio "Se
Fermentu" (Marrubiu) nel 1995, Premio S.
Caterina di Mores nel 2001, Il 4° Premio
della Circoscrizione n° 2 del comune di
Sassari nel 2010. In prosa ha vinto il
Premio "Sa terzina" nel 1998.
Ha pubblicato con la Tema Editrice la
silloge "Su fragu 'e su 'entu"
vincitrice del Premio Michelangelo Pira
1996. tante sue poesie sono state
pubblicate in "S'Ischiglia", nella
"Grotta della vipera", in "Nur", nel
"Notiziario", su "Nae".
83
Tempus nostru
No ddu sciu chi est cust’enna aberta
in su crofu ’e su scuriu
a sbeliai is bisus de notesta
o si est ancora s’umbra
impostada in sa luna bagamunda
candu s’ora si stitillat
e no est totu su chi ti nau.
In cust’ànima chi tzérriat
no ddu at babbu e no ddu at fillu:
ddoi at unu titillu
imbriagu e cantadori
peliendu ancora a tui.
No ddu scit ca ses mori chi si pendit
tra pitzioleddas e lutzinas
in is orus cuaus
de un’andera antiga
ancà t’incraras timarosu.
In su tempus aresti
fust nasciu che spiga
po obrescidroxus de arrosa.
E imoi ses dònnia cosa
chi mi ndi torrat una stòria arrèscia
de ancà si spannat un’àlidu ‘e memòria.
No Apu Postu Cosas Medas
No ddoi apu postu cosa meda
in sa bertula prima ‘e saludai
ca est apretu ‘e sciri
custa stula arregordu ‘e trigu
e immoi fogu chi abruxat fogu.
Movu, de sa perda manna posta a castiu
siguin ateras tundas e avrigadas
chi m’amostant su mori.
Tenint sabori
de memorias e di erriu
e de cuddu niu
fungudu che –i– s’anima de s’acua
ancà nascit vida.
84
Ma si custu est dolori ‘e dispidida
est semini ch’inzeurrat candu
no nascit ebra frisca in terra noas
e custu viagiu tra coru e inferru
est liaga chi trigat a sanai.
Aditziu aditziu una cantzoni
Fortzis furiat s’arrosu
de is follas iscarescias
o fortzis is istiddius
de s’acua tua di aiseru,
is chi m’ant sciustu is ogus
notesta in su scuriu.
Aici ti pregontu, erriu,
de is pannus mius
e mi nas ca oi no funt beridadis
e parint sciacuaus cun acua ‘e mari
che is chi, scarescius, nci tragas tui.
E deu
chi pannus de pannus
no sciu scerai
ma’catu ca acua di acua
no sciu pratziri
ni sali de sali.
Ma tui deretu andas
facias a cuss’acua manna
chi in sali acollit
donnia durciura ‘e obrescidroxu.
De tui a mimi,
In custu scurigadroxu
Chi in coru si fait perdaxu,
aditziu ditziu una cantzoni
circat de ponni’ paxi in custu tretu.
85
ITE CANTAN SOS POETAS DURGALESOS
“Soe naschiu poveru ma appo biviu
liberu. Su chi iscrio est sinzale de sa
libertade mia, de su pessamentu, de sa
vida.
“La poesia per me è il segno più alto di
libertà. Scrivendo quello che penso e
comunicandolo agli altri”.
Queste parole sono di Pietro Sotgia
(Predu Lana, poeta dorgalese – 1925-) e
riassumono bene il perché della poesia e
della sua funzione principale di
risposta all’esigenza di libertà,
condizione indispensabile per poter
parlare anche del resto.
I poeti dorgalesi, come quelli di tante
altre parti della Sardegna, attingono
alle due fonti principali: la
composizione spontanea trasmessa
oralmente e la lettura dei grandi poeti
locali e del mondo.
Come tutti i poeti “cantadores” si
cimentano in diversi temi che toccano la
vita delle persone e prevale quello che
il tema predominante del genere umano :
perpetuare la specie, garantire la
continuità dell’esistenza della vita in
comunità. E quindi il canto per
l’amore, l’attenzione particolare alla
donna e alle donne, l’innamorarsi,
sposarsi. La famiglia come appartenenza,
come fonte di riferimento per le regole
di comportamento, per poter vivere in
comunità.
86
Il definire il cibo per il corpo e
quello per l’anima.
Per questo è importante riproporre e
studiare in ogni scuola sarda quanto i
poeti e cantadores hanno scritto.
Cercare di esprimere compiutamente la
condizione perenne dell’uomo sardo,
proporsi come fatto culturale locale e
globale allo stesso tempo, produrre
cultura, non solo studiarla,
interpretare i segni dei tempi e
trasformalrli in vita vissuta.
Evitare le banalità, il ripetere gli
stessi temi, reazionari e qualunquisti,
di fondamentalismi di opposte fazioni,
procedere nella difesa e innovazione
della lingua sarda continuando un
processo di comunicazione in grado di
esprimere i bisogni dell’uomo sardo come
cittadino del mondo.
Billia Fancello ha curato una Antologia
di poesia dorgalese e risale alla metà
del secolo XIX per trovare le prime
poesie di dorgalesi. L’oralità e la
memoria hanno avuto una funzione
preziosa e possiamo leggere con diletto
il sentire dei nostri nonni.
L’Antologia propone due categorie
iniziali: “s’Amore ducau” e “S’amore a
sa grussa”.
Alla prima appartengono le poesie che
proclamano l’amore “educato”, puro,
romantico, bucolico, con richiami dal
dolce stil novo a Leopardi.
Nella seconda troviamo componimenti in
cui si lasciano da parte le buone
87
maniere e prevale l’insulto, il
risentimento per offese subite o per
dinieghi a offerte amorose.
Poeti dorgalesi, del secolo scorso,
alcuni colti (Giuseppe Angelo Fancello
Brotza, Giovanni Mulas, Ignazio Serra)
altri cresciuti nella scuola impropria
(Antonio e Pantaleo Cucca, Antonistene
Branca, Chiricu Marras, Chiricu Lai,
Jacu Pira) che ci hanno lasciato un
patrimonio letterario che merita di
essere conosciuto e valorizzato.
Qui ne diamo solo alcuni cenni, come
invito ad andare a leggere e studiare
nelle pubblicazioni originali.
Il più celebrato è don Zuanni Mulas
(Dorgali, 1864 – 1945); nel 1906
pubblica a sue spese la raccolta
“Riflessos” , ristampata nel 1962 e nel
1995 (con la bellissima commedia
teatrale “zia Bernarda”). L’amore, le
donne, il lavoro, le amicizie, il vino
sono i suoi temi prediletti. Scrive con
sapienza e competenza seguendo stile e
metrica dei grandi poeti regionali e
nazionali. Il richiamo alla luna nel
sonetto intitolato Incantu, ripropone i
temi della sofferenza del vivere, della
fatica dell’esistenza di leopardiana
memoria :
88
Supra monte luminosa,
s’alzat piena sa luna
de maju simile a una
selenada candida rosa.
Ed est de latte dogni cosa
Dae Bardia a Monte Pruna
Solu una tinta bruna
Pesistit a badde ombrosa.
Zeo la sigo in sa sia
Funda de su firmamentu
Chin totu s’anima mia,
e dogni pena e turmentu
de su coro angustìa
po issa olvido unu momentu.
Salvo poi, giocosamente, come già fece
Montanaru, celebra il nettare che
rasserena il cuore e la mente:
O soave e belisimu licore
Chi rasserenas coro e mente accendes,
nettare purissimu risplendes
ed as de su belludu su colore,
e cale terra ‘eneitta su sapore
e profumu ti desit chi cumprendes?
Dae cale logu mai est chi dipendes
O nettare armoniosu che fiore?
Ah! L’isco: sa risposta mi l’est dande
Allegru e soavissimu su coro
Chi po tene in su sinu palpi tende:
Baunei tue ses, ‘inu chi adoro,
‘inu gentile ch’istas alzande
In valore sas perlas e i s’oro.
89
Zosepe Anzelu Brotza (Dorgali 1842 –
Viterbo 1875) magistrato emigrato in
continente, ripercorre gli stessi temi
di Don Zuanni: la luna, la fatica del
vivere, l’amore, il viaggiare…
Disisperu
Est iscritta in su destinu
Pro me bida de agonia;
certos travaglian continu
ma pustis an allegria.
Ogni cosa de natura
Cambiat sempre de aspettu;
in mesu a ogni malgura
brillat lughente s’ispettu.
Solu pro mene est negadu
De ottener unu reposu
Ca mi bido abandonadu
Dae s’oggetu diciosu.
Sa terra est ottenebrada
De sa notte dae su mantu;
ma benit illuminada
de candida luna intantu.
Passada s’oscuridade
Risplendet in terra su sole;
ma sa mia infelicidade
prus s’accreschet de mole.
Si pesat burrasca in mare
Si calmat passada s’ora;
solu non deen acabare
sas penas mias ancora…
90
S’amore a sa grussa est che a sa mola
ezza, ocat prus talau …
Una proposta di fidanzamento respinta,
un bisticcio tra vicini, sono occasione
per cantare e divertirsi anche con versi
satirici. Francesco Marras (Tanazeri –
vissuto nella seconda metà del ‘800)
così si vendica per una bocciatura
amorosa nella poesia Adios :
Sa cumpanza de mannai
Chin sa cara mesu sica,
si mi nche pones sas fricas
a mimi ingrussat su cazu;
ca as dadu a su baratu
cosas chi non cumbenian.
Regala ti troddiona
Adios cunnispilìa.
A ti l’amentas in s’àidu de s’ortu
Cando ti l’apo bistu tentu a pare ?
De s’allegria azomai soe mortu,
ca podio lomper a ti lu tocare,
ca che juchias s’acadedu isortu
a jai ti lu podias cucuzare.
Adios cunnispilìa / Regala ti troddiona!
Cando ti das a tussire
Po non t’intender ca tròddias,
e sas ancas imbòddias
po no lu lassare bessire,
pones sa zente a fuire
ca tròddias a tulungrones
Adios cunnispilìa / regala ti troddiona
! …
91
Un posto importante tra i poeti
dorgalesi è occupato da Pantaleo Cucca e
da Antoni Cucca.
Pantaleo Cucca (Dorgali 1884 – 1979)
partecipò alla prima guerra mondiale e
lavorò per alcuni anni come guardia di
finanza. Lavorò poi come contadino e
condusse una vita poco agiata non avendo
possibilità, come invece desiderava, di
pubblicare le poesie che scriveva.
Si rivolse al vice parroco, don Nunzio
Calaresu, che pubblicava a Dorgali un
periodico ciclostilato dal titolo “Ziri
ziri” per chiedergli di pubblicare il
libro con le sue composizioni.
L’edizione esce nel 1962 con il titolo
“Sutta sa ruche ‘e Monte Bardia” .
Poesie dedicate all’amore:
Rosa Superba
Carchi die lu disizas
E lu sospiras invanu
Rosa superba in beranu
Mira chi in s’istiu allizas!
Cantas zovanas s’at bidu
E intesu nominare
Chi po cherrer seperare
Sun restàas chene maridu …
92
In difesa dell’amico lasciato dalla
fidanzata :
S’amore de Andria
… ma lassamus sa bria
E torramus amicos
Comente cheret e cumandat Deu;
intendo chi po Andria
b’at àpiu impiricos
chi proibin s’amorosu impreu …
O l’immancabile sonetto sulla richiesta
di aprire la porta della cantina alla
compagnia assetata di vino :
Disizu de binu
Ah, ite avversu destinu
Soe divertinde unu luttu
Che frore dae bentu jutu
Dae in caminu in caminu.
A totus dimando binu
Ma chene perunu fruttu
Apan doppiu produttu
Sos che nd’an in magasinu.
Dae tene o caru frade
Ispeto unu consolu
A custos lamentos mios;
Aperi, ajò, tene piedade
Semus tantos, non soe solu,
ma semus todos sidìos.
93
Antoni Cucca (Dorgali 1881 – 1972) è
stato giustamente celebrato con la la
pubblicazione delle sue poesie, nel
libro “Antoni Cucca poeta durgalesu”,
curato da Nanneddu Corrias e Billia
Fancello.
Gli autori ci informano che il poeta era
solito, come altri pastori della zona,
leggere la Gerusalemme Liberata, i libri
di Deledda, i poeti logudoresi.
Nell’introduzione Blasco Ferrer richiama
ai “sinnos”, la simbologia significante
dell’identità della comunità locale
dell’epoca: “Sa Grotza” rustica
giacchetta trovata nella spiaggia e
diventa un piccolo bene del poveraccio
che l’ha trovata nonostante la derisione
dei nipoti. Il rituale del saluto sardo
con l’italiano di ziu Bonassera, il
rispetto verso gli adulti, i rapporti
tra vicini.
Ziu Antoni Cucca non celebra Ulisse,
Paride, Elena, Venere, ma ziu
Portoledda, ziu Bonassera, sa ichina che
guarda i rattoppi del vestito e deride
un povero sventurato o il poco decoro
dell’ufficio pubblico postale di Dorgali
diventato un immondezzaio.
Un libro che vale la pena di leggere e
meditare.
94
Ziu Portoledda est unu chene casile e
chene amparu, uno senza casa che vive di
sotterfugi.
Ha la sorte di trovare una vecchia
giacca da marinaio, impermeabile,
trovata nella spiaggia di Gonone , una
grotza che gli sarà utile sia per il
freddo sia per la pioggia. Rimpiange
che qualcuno gli abbia rubato i
pantaloni impermeabili, avrebbe avuto la
divisa completa. E chiede ai nipoti
rispetto e riconoscimento non derisione
e presa in giro.
“… Ohi sa grotza de isposu
Isperdia chin mecus.
Deppo parrer unu pecus
A dainnantis e a palas
E de visura mala
Cantu mai !
E ite nde narais :
bella m’at a istare ? …
Custu est su cappotto
De sa betzesa …
Non miro sa bellesa
Pezis su cumbeniu;
mi la besto a inzeniu
timende a mi tazare
e nemos nd’at a bocare
yanchetta che a issa…
95
Ziu Antoni Cucca,ha scritto anche una
poesia dal titolo “S’Orassione”,
ricordando zia Mallena che guarisce con
una orazione che il poeta ripete
immediatamente a memoria. La curatrice
meravigliata commenta :
“ Umbra at bistu custu pitzinnu!” -
Credo che né zia Mallena né ziu Antoni
Cucca avevano in mente il concetto
elaborato da Karl Jung di Ombra, ma lo
utilizzano allo stesso modo.
Peri Sisinni, sante Sisinni,
sante Simone…
Anna de cannone, cannone de canna,
misura manna a s’isperradura.
Santu Bonaentura ti crescat sa natura
Sant’Anastasia sa mundia.
Comente ti l’assinno yeo ti l’assinnet
Su Babbu, su Fizu, s’ispidu ruyu santu
de Tillai
Sas tres pessones, sos tres maimones,
Sos tres pistapones de s’anima tua.
Si custu non ti yuat
Ya mi-nch’apo a torrare,
ya mi-nche torro…
Tàppulos e ifforros cosias a bussedda,
in die de oye est séttia Paschichedda,
in die de oye Pasca de Nadale…
A largu e a intundu
Ti colet su male,
fizu mi’ !
Tzia Mallena:Umbra at bistu custu
pitzinnu!
96
Lodes a una bichina
Su tàppulu male postu
T’at dadu ite matulare
E zeo a ti venerare
A tie mi soe dispostu.
Za chi tue ses in gala
Rìdeti de s’isventuradu
Ch’est tota vida ispozadu
Marcande s’annada mala,
obrigadu a zucher a pala
custu pesu a dogni costu;
ma custu est s’istare nostru
e de ogni malassortadu
e tue m’as appuradu
su tàppulu male postu. …
Infine cherias presa,
pezis apo male cumpresu;
tristu a chie t’at a pesu
s’abarras a sa betzesa;
a cando in sa pitzinnia
ses gosi a cherveddu tostu,
conca de cocher a orrostu
e canes a la rosicare;
custas lodes a ti dare
a tie mi soe dispostu.
97
Ignazio Serra (Dorgali 1872 – Vercelli
1949) pubblica nel 1923 una prima
raccolta di poesie “Rosas d’atonzu” ,
che viene riproposta dalla associazione
culturale don Milani in una versione
arricchita nel 2000. Il legame ai luoghi
dell’infanzia, gli amici e l’amicizia,
l’origine mitica del paese di Dorgali, i
paesi vicini, la celebrazione di grandi
poeti sardi, per ognuno ha una poesia
che vale la pena scoprire e con diletto,
declamare.
Origine di Dorgali
Tra sa Costa e Sant’Elene
Sutta Bardia in d’una altura
Chi sovrastad sa pianura
Contr’a Sòvana e Oméne…
Sas elighes de Bardia,
sas attas de Tului,
De Pranos sos laores,
sas baddes de Gustui,
Miran pienas de ispantu
s’iscena armoniosa…
Sas campagnas dan tricu, orzu e pastura
Mele dae s’ape e casu dae s’armentu
Sas vinzas binu brundu e podulentu
Senza misura.
Orga manna! Orgale! Ecco sa pura
Raichina de Durgali, patria mia!
Origine impastada de allegria
E de vriscura.
98
A don Zuanni Mulas poeta durgalesu
Anima fortemente innamorada
De dogni umana virtude e de su bene,
andad orgogliosa oe de tene
sa nostra bella patria adorada;
s’arte tua che nie immaculada
contra dogni bassesa si mantened
ca s’altu coro tou la sustened
dae dogni bruttura sullevada.
Su cantu tou misuradu a fundu
Ogni sublime altesa, ogni dolore,
luttos e allegrias de su mundu.
Zuighe serenu e forte pensadore,
istudiosu d’animas profundu,
cignu de sa bellesa e de s’amore.
99
Sa Boboa de Lussurgia
In s’aspra punta, bianca e solitaria
Fantasma de presentes e passados,
sos pizzinnos ti miran timorados
misteriosa in sa massa calcaria;
isfinge dura, muda e milenaria
ch’ischis cantu in sos seculos andados
operes in sos nostros antenados
in s’esistenzia insoro tantu varia.
Nos narad sa legenda chi unu die
Tue puru de carre ses’istada;
ma pro aer fattu (non s’ischid a chie),
male, de preda dura ses restada,
indifferente a sole, a abba e nie
ue sa mala sorte ti ad firmada.
100
Pietro Sotgia
Nato a Dorgali nel 1925, dovette
abbandonare gli studi subito dopo il
ciclo elementare e seguire la famiglia
che si era trasferita nella vallata di
Oddoene per coltivare un appezzamento di
terreno. E iniziò da presto a dedicarsi
alla poesia. Nel 1997 ha raccolto nel
volume “Per un istante almeno” (Nuoro,
Il Maestrale) una prima scelta dei suoi
versi sardi e italiani.
Antonio Fancello (Tonino Errina) ha
curato per le edizioni N’UR la
pubblicazione di una antologia di poesie
di Sotgia dal titolo “Ulisse es’
toccheddande” con una bella introduzione
di Felì Secci, che tanto avrebbe voluto
vedere il completamento del lavoro per
cui aveva tanto lavorato. Scrive Secci :
“Per Pietro il poeta è quindi un
messaggero, colui che ricorda all’uomo
la sua relatività, regalandogli
contemporaneamente le ali mentali per
intuire il valore della Vita e
realizzare un mondo migliore. Per
assolvere questo mandato, le parole,
unico strumento del poeta, devono non
essere solo parole, come scriveva Pietro
nella premessa del suo primo libro
pubblicato (Per un istante almeno,
Maestrale 1997), ma trasformarsi
nell’essenza stessa di quel sogno da cui
promanano. È proprio per questo che, in
questa nuova raccolta di poesie, Pietro
Sotgia risolve, supera, dissolve ogni
101
alibi linguistico. Le sue poesie si
susseguono libere, non più classificate
e raggruppate per capitoli in lingua
sarda e in lingua italiana. La lingua
sarda cessa di essere una bandiera e
un’ossessione e, come la lingua
italiana, come tutte le lingue, si
rivela solo un mezzo e non un fine
espressivo. Il suo atto d’amore per la
Sardegna non cessa di essere autentico e
struggente, ma egli non si identifica
più con una lingua, con un popolo, con
una Patria. Non può più farlo chi, come
lui, si sente un cittadino
dell’Universo.
La sua univa vera Patria è li, a due
passi a lui, è il suo stesso pensiero.
Un pensiero che è capacità d’intendere
l’essenza delle cose, della natura,
degli uomini, della storia, della vita.
Tutte le sue poesie ci rivelano questa
consapevolezza che diventa grido di
dolore, monito e insieme estremo atto di
amore, quando rivolge il suo sguardo
alla follia umana, al suo camminare
senza scopo, al fallimento di tutte le
utopie, alle rovine e alle macerie
seminate lungo il suo cammino, alla
continua profanazione della vita
perpetrata in nome di qualsivoglia
bandiera o ideale, a quel sibilo di
morte che mai si è spento nel cuore
dell’uomo”.
In una intervista video Pietro Sotgia
commenta il suo essere poeta :
“Non lo ho imparato a scuola. Ho
102
imparato leggendo gli altri poeti,
ascoltando i poeti tradizionali come si
usava in Sardegna. Poi ho iniziato a
partecipare ai Concorsi e qualcuno lo ho
anche vinto. Ho pubblicato le miei
poesie in un libro. Ho voluto con questo
affermare il sentimento è più profondo,
quello della famiglia, della vita in
campagna, del lavoro. E poi i temi di
oggi. Scrivo una protesta affinché anche
i poeti diano il loro contributo per
migliorare la società. Scrivo in sardo e
in italiano. La lingua sarda è povera di
vocaboli. Serviva bene in una certa
epoca e serve ancora fino ad un certo
punto. Oggi mi sembra che non sia
abbastanza comunicativa. Oggi riesco ad
esprimermi meglio in italiano. E così la
lingua viene capita da più persone. Io
continuo a scrivere anche in sardo ma
per esprimere i temi di oggi mi sembra
meglio l’italiano.
Certe traduzioni non sono possibili tra
le due lingue. La poesia è un modo
efficace di comunicare quello che l’uomo
ha in mente. E’ come la musica un
linguaggio universale”.
103
Ulisse est tocchedande
In sos campos predosos
Caddos han curtu un’istoria ligà
E frottas de massaios chene pane
Han sighiu chimeras in s’ aera
In millennios de mùtria
Han fattu festas
A Deus istranzos
Pregadorande in limbazu de teracos
Trazzande una miseria de vida
E sa dignidade de s’anima catticà
Dae millennios de iscuridade
Ma cale notte durat eterna ?
E cale ispada diat truncare sa aera
Chi oje s’est pesande in su desertu
Surcau solu de arados de ocu ?
Custa terra diat istendere in su mare
Sos brazzos de una mamma
Chene edade.
Naschinde a unu chelu non connotu
Sos frores appassios
in nottadas de tumbas
Ane a mandare isticchizzas de ocu
Ulisse est tocchedande
Cheret ponnere pè in custa terra
E po sa prima orta
At a tremere Antinoo
E su tessinzu de una tela noa.
104
A mare, a mare!
“E commo tott’a corcare!
- narà mamma -
ca cras pesammus chitto
po idere da-e su monte
s’ispantu ‘e su sole
essinde da-e mare
po dare luche a su mundu”.
Ed ecco chi s’aperit s’orizzonte
a s’infiniu.
E mare e chelu si ettan ‘a pare.
Ajò! A mare, a mare!
E fi’tott’una ettada
umbrosa d’eliche antica,
e undada nuscosa ‘e romasinu
fin’a mare.
E chietu, fit su mare, e umanu.
Undicheddas de seda,
a s’iscusiu
si sizin’ a pare
chi pariana sa tunica allibrà
d’isposa andande a festa.
Vaporosu
sapore ‘e cozzula
in lavras sidias.
E zocos de leccucos
in s’ispiaggia predosa
chi parian (chissai)
sos primmos conzeddos
chin su semmene ‘e sa vida,
in fundue ‘e mare;
e-i sa Fa Marina
chin sa cara ‘e lazzìna,
terrestre divinidade,
‘e sa bellesa umana.
E cando, chi sos gravosos
lecuccos de sa vida
nos aggrucan sa carena,
zeo torro, chin s’ammentu,
a sa maghia ‘e cussos
zocos de preda
d’un’ispiaggia luntana.
105
Al mare al mare
“E adesso tutti a dormire!
- diceva mamma -
Domani ci alziamo presto
per assistere,
dal monte,
allo stupore del sole che sorge dal mare
per illuminare il mondo!”.
Eccolo
l’orizzonte che si allarga,
che si stende all’infinito
dove mare e cielo si confondono.
Andiamo!
Al mare! Al mare!
La discesa
è un manto ombroso
di leccio antico
e l’onda inebriante del rosmarino
ci ricongiunge al mare.
Quieto ci accoglie il mare, e umano.
Minuscole onde di seta
si inseguono in silenzio
e si allibrano:
come tunica di sposa
che và alla festa.
Vaporoso sapore di freschi molluschi
sulle labbra assetate.
Giochi di ciottoli,
nella spiaggia,
che sembrano,
ma chissà,
i primi crogioli
con il seme della vita
in fondo al mare.
E quel viso marmoreo nella pietra,
sulla Fà Marina:
dipinto primigenio
e terrestre divinità
della bellezza umana.
Ora che altri ciottoli
appesantiscono il mio corpo
e la mia vita,
rammento ancora
la magia di quei giochi di pietra
in quella spiaggia lontana.
106
Beni
Bènimi chin su sole
de sar miradas tuas
po chi sos ocros mios si pàscan
de cuss'incantu
ch'aperin chelos
a iscaccallios de risu.
Bènimi chin cuddos
passitteddos
chi mi dànzan
in coro
furisteras melodias
e bisiones d'astros lontanos
Bènimi chin su cantu
che codda 'oche tua
chi s'anima m'inundat
de cantones de vrores naschinde.
Bènim'
e porrim'
in manos
su donu 'e sa vida,
che un'Ostia d'amore.
Bàttumi
su chi su sole non connoschet.
107
Gonario Carta Brocca
Nato nel 1943 a Dorgali, ha frequentato
poche scuole e ha conosciuto
l’emigrazione. Tornato a Dorgali ha
avviato un’attività artigianale e ha
iniziato a coltivare più intensamente la
poesia, passando dalla rima al verso
libero e distinguendosi nei concorsi di
tutta l’isola e vincendone centinaia.
Scrive anche in prosa, ha vinto il
“Casteddu de sa fae” di Posada col
romanzo Sa sedda de sa Passalitorta
(2004).
Vincendo il premio “Romangia” ha
ottenuto la pubblicazione della raccolta
di versi Sos cantos de s’ae (Sassari,
TAS, 1996).
La motivazione parla dell’impiego di
«una lingua dorgalese senza logorii di
tempo e di stagioni»; e di componimenti
animati dalla «freschezza di chi vuole
cogliere i problemi alle radici, in
meravigliosi congiungimenti di uomo
paese terra natura che conducono,
spesso, alla speranza».
In una intervista in sardo, così
commenta il suo fare poesia :
“Su tipu de poesia chi iscrio ieo est sa
poesia de su mundu, de sa vida, de
s’oje, de su crasa. Dae nue enimus, a
nue andamus, s’omine, sa divinidade, su
bene e su male.Custu est su tipu de
poesia chi m’agradat de prus. Chi mi
creat prus emozione.Po iscriere una
poesia cheret a ischire ite est una
108
poesia. E po custu cheret a nde lezzere
medas; e non solu poesias ma peri ateras
cosas. Cheret a iscriere e a lezzere.Sa
poesia mia, po mene, est unu sognare.
Unu disizzare unu mundu menzus chi
ispero b’at a essere.Ieo appo iscrittu
poesias peri in italianu, ma s’italianu
lu ido comente una cosa anzena, de
ateros.Imbezzes su sardu est su miu.
Cando soe nechidau abbochino in sardu,
frastimo in sardu. Mi emoziono in sardu.
Una poesia iscritta in sardu e bortà in
italianu non dat sa propria resa. No est
sa propria cosa. Ma podet rendere s’idea
de cussu chi cherimus narrere. B’at
cosas chi andat bene a narrere in sardu
e ateras chi est menzus a narrere in
italianu.Pesso chi in sardu si podet
fachere tottu.Si podet iscriere unu
romanzu, unu trattau, unu discursu
politicu, tottu. Sa poesia de oje est
una poesia de dae intro, de s’anima.
Comente a fachere un’ispogliarello de
s’anima. Tra chent’annos sa poesia at a
essere una cosa differente in su modu de
narrere e in sas cosas chi contat. Peri
sa poesia sarda est cambà non solu sa
italiana. Intas a trinta anos fachet sa
poesia sarda idi solu in rima. Chene
rima non fit poesia. Oje sos poetas de
Durgali son connotos po sa poesia chene
rima.
109
Una poesia de frinas carinnosas
Un'urtima poesia cherzo pintare
chin arrodaos chintales
e isprumas de mare furiosas
chi irfranchien sas dozas de su mundu.
Una poesia chi drinnat
tra montes de ispera:
chi cantet sa zustissia de sa vida
sa zustissia 'e sa morte
e cudda veridade
chi chircan chene pasu
sonniadores armados de paraulas
in lacanas de notes e de dies
e in disintzertas lacanas de coros.
Una poesia de frinas carinnosas
chi cruset sas praas de su discodiu
e illughidet sas demos
de 'isiones caentes;
una poesia braghera
chi intritzet sas tramas de s'iscuru
chin frumenes de lughe
chin padentes de omines
chi allegan de vida a manu tenta
e prenden in s'artare de sa luna
sas allegas de brunzu.
Una poesia chi azuet a si pesare
cuddos chi medas bortas sone rutos
e meda an batallau
a caddu 'e Ronzinante
cumbatende sas umbras de su mundu
o chircande
in su coraddu allutu de sos chelos
s'amore 'e Dulcinea:
donnia passu unu sonniu
donnia sonniu un'isteddu
chi galanias promintet su manzanu.
Una poesia chi ponzat alas levias
e in buzacca
un'urtimu dilliriu de durcura.
110
Una poesia di tenere ariette
Un'ultima poesia voglio dipingere
con bagliori affilati
e spume di mare furiose
che artiglino i dolori del mondo.
Una poesia che squilli
fra alture di speranza:
che canti la giustizia della vita
la giustizia della morte
e quella verità
che instancabili cercano
sognatori armati di parole
in frontiere di notti e di giorni
e in ambigui limiti di cuori.
Una poesia di tenere ariette
che rimargini le piaghe di solitudine
e illumini le case
di festose visioni;
una poesia elegante
che tessa le trame delle tenebre
con fiumi di luce
con foreste d'uomini
che fra di loro parlano di vita
e annodano sull'altare della luna
i discorsi di bronzo.
Una poesia che aiuti a rialzarsi
quelli che tante volte son caduti
e moltissima duellarono
a cavallo di Ronzinante
combattendo le ombre della terra
o cercando
nel fiammante corallo dei cieli
l'amore di Dulcinea:
ogni passo un sogno
ogni sogno una stella
che incanti promette l'indomani.
Una poesia che ponga ali leggere
e in tasca
un ultimo delirio di dolcezza.
111
Poeta
Cantu mi so imbriacau
in sas muscosa andalas de ‘eranu
bufande in sa ‘upada de sos nuscos
chi visiones daian.
Cantu discodiu
lassande sos fedales
a assiendare terras e palatos;
atatos
colan in sas carreras de sa vida.
Custas buzaccas mias
nudda an aorrau
in su contu currente de su tempus:
ne istimas nen cosa.
Ap’amorau chimeras
chi mi jamain chin boghes de amaju
e miradas de luna
chi in sa carre su fogu mi ponian
e pistichinzu in coro
cando chircao
cosas de pacu asore
chi nessunu cheriat
e pessao
d’aere perdiu sos sinnos
de s’umanu colare.
Ma tando ‘ipi minore
e no ischio
d’essere ieo etotu cussu ‘entu
chi ‘e durcuras che di dolcezze
at cust’andare miu populau
semenande iscusorzos
chi si mustrain sos seros
irrajande promintas
e poemas
de leporeddas candidas de prata naschias
dae s’isteddu luchente ‘e chenadorzu
po colorare
una pazina noa
de su coro de s’omine prus riccu:
unu piseddu coro de poeta.
112
Poeta
Quando mi inebriai
su sentieri odorosi
bevendo dalla coppa degli odori
che facevan sognare.
Quanta trascuratezza
nel lasciare i coetanei
a fare incetta di terre e palazzi;
sazi
passano sulle strade della vita.
Queste mie tasche
niente conservarono
nel conto corrente del tempo:
né amori né beni.
Ho amato chimere
che mi invitavano con voci accattivanti
ed occhiate di luna
che il fuoco nel corpo m’infondevano
e frenesia nel cuore
quando cercavo
cose senza valore
che nessuno voleva
e pensavo
d’aver perso la bussola
dell’essenza dell’uomo.
Ero giovane allora
e non sapevo
d’essere io stesso quella brezza
che di dolcezze
ha questo mio vagare popolato
seminando tesori
che ogni sera apparivano
regalando promesse
e poemi
di farfalline candide d’argento
nate
dalla stella più fulgida
per colorare
una nuova pagina
del cuore dell’uomo più ricco:
Il cuore d’un poeta bambino.
113
Paraulas cuadas
Sa terra mia de litos
sa terra mia de preda
in su coro' e carchina
unu bisu secretu at isticchidu:
unu sonniu
de bragas de istimas e de fides
ue craros e iscuros
che omines colamus
sutta su toccu 'e sas fainas nostras;
unu sonniu 'e balentes
armados de s'allega de sos mannos
e leppa 'e dinnidade
chi a s'anzena e nostra identidade
cara noale intregat.
Sa terra mia de sole
sa terra mia 'e siddados
unu fogu de fide at in su sinu
e visiones
de babbos afainados
e mammas
chin su risittu in laras
e cussorzas fecundas
inue in luna 'ona
creschene sos pitzinnos
chene deper fuire
a logos isconnottos
a pedire su pane
a pedire s'orgogliu
d'essere su chi semus.
Unu sonniu
de zente 'e bonu 'ettu
e prufessones mannas
de zente de tottue
in carreras de sole
e portales apertos
a s'allega connotta 'e sos amigos
a s'allega 'e s'istranzu
a paraulas cuadas in su coro
114
Parole nascoste
La mia terra di boschi
la mia terra di pietra
nel suo cuore calcareo
un sogno segreto ha nascosto:
un sogno/di gioia di amori e di fede
dove i chiari e gli scuri
da uomini viviamo
al ritmo delle nostre consuetudini;
un sogno di balentes
armati della lingua degli avi
e spada di dignità
che all'altrui e nostra identità
regala un nuovo volto.
La mia terra di sole
la mia terra di tesori
un fuoco di fede ha nel suo cuore
e visioni
di padri affaccendati
e madri
col sorriso sulle labbra
e campagne feconde
dove senza problemi
crescono i ragazzi
senza dover fuggire
in posti sconosciuti
a chiedere il pane
a chiedere l'orgoglio
d'essere ciò che siamo.
Un sogno
di gente cordiale
e grandi processioni
di tutti quanti popoli
su strade di sole
e porte spalancate
alla voce conosciuta degli amici
alle parlate aliene
alle parole nell'anima nascoste.
115
Tonino Fancello (Dorgali, 1953) e suo
fratello Salvatore Fancello (Dorgali,
1955)- Sono numerose le affermazioni che
le stanno giungendo nei vari concorsi di
tutta l'isola. Tonino con l'Associazione
Culturale "Bardia", promuove con
successo il prestigioso "Premiu 'e
Poesia Sarda Durgali”. nel 1997 durante
l’anno vince il (premio del Campidanu) a
Selargius, (il salotto letterario di
Osilo) ed il premio (Remundu Pira a
Villanova Monteleone). durante gli anni
seguenti si conferma in altri concorsi
come primo classificato vincendo quasi
tutti i premi di poesia sarda
dell’isola. inserendosi con la sua
bravura nella prima rosa dei migliori
poeti della Sardegna. A Ottobre 2011 con
la poesia (Sonnios de pratta) vince il
primo premio del (Logudoro) a Ozieri.
Lunas de trigu (Tonino Fancello)
Eremittas antigos...
perdios...
in scura dinnidade
soliana 'e sa cria 'e sa terra,
arrennadores de entu...
travican galu
sas lunas allatadoras
innidas e piedosas de lacrimas
arestes,
intessias in sos miliares
passilenos de su tempus.
Mimulas de entu...
116
trasportan sas lunas de trigu
iffustas de pruere 'e nuraghe
jumpande sas tramas de neula
in su chelu
faghendeli s'ispola a sa terra.
Aerzos antigos...
a ispassu
in sos surcos fulanos semenados,
trambugan...sos ojos...sa mirada
in s'istincu lughente 'e s'impudile,
seperande in s'adrommu 'e sas nottes
su suntu 'e sa paristoria
intessia
in sas siendas antigas de Sardigna.
Lunas de trigu...
trisinan galu su fragu contomosu 'e
sa tula
murmuttande su tempus mustrencu
'e s'antigu valore...
'ue si son perdios sos bezzos
cussizos.
Lassande...
s'antiga berritta chin s'arche manzàs
de sudore,
solas...solas...
chin su diliriu 'e sos tunchios de
suttaterra.
117
Poetas (Tonino Fancello)
Semus sos leones de vastu valore
in su predariu sardu disitzadu
inue sas grobes bocana s'amore
e chircana su versu temperadu.
Peri in s'ifferru in mesu su calore
cherimus ponne timbru appaneddadu
d'attarzu interi framma iscarfeddadu
chi su dimoniu timmat su cantore.
Predas de terra ch'impastan sa vida
fizas de tempus cumpanzas de pricas
mantenen galu muros a irfida.
Semus su pruere in mesu sa sida
ammus fraicadu casteddos d'ispicas
chin d'una luche a imprestu chida chida.
118
E Proet (Salvatore Fancello)
Andan tazos de nues in s’aera
supra terras de fogu lentinande,
e chin sos pagos gutzos paren dande
sas primas abbas de sa primavera.
Falat marinu durche dae monte
cugutande sas domos ei sas ghìas
e illampizadas mandana maìas
in tottu sa cussorza a s’orizonte.
E selenos bentos de lentore
paren torradas chircande sa luna,
sas fozas d’una rosa a un’a una
ispossiada chin pinzos d’amore.
Rosa chi m’est restada sa talea
a m’ammentare antigas bisiones,
innotzentes pitzinnas passiones
perdias in sos ojos d’una dea.
Eppuru in su fumu ‘e sos ammentos
no intendo una lagrima falare,
solu durches losingas carinnare
su coro a delicados sentimentos.
Proet! E sos gutzos in cust’ora
paren prellas lughidas e craras,
e unu risu limpidu sas laras
iscansan a s’incantu ‘e s’aurora.
S’abba paret chi intonet a tenore
unu cuntzertu ‘e tronos e de lampos,
riden sos padentes, e in sos campos
mudadu est a festa onzi fiore.
Ma resta ‘alu chin megus a disora
chin sas abbas de gosu oh temporada!
S’irvoettare in sa notte ammantada
caros mementos m’ischidat ancora.
Chin tegus oje ballat su ‘eranu
riden sas tancas, e ruppin sas enas,
cantan sos rios, s’apperin sas venas,
e si ‘estit de vida su pianu.
E chin tegus tristuras e allegrias
chin milli riitzolos si cunfunden;
no isco si son abbas chi m’iffunden.
Cantone si ‘olares (Salvatore Fancello)
119
Cantone si ‘olares che saeta
a ferre coros chin s’arcu ‘e s’amore
in logu ‘e martirizu e de dolore
a bardia dias ponne una cometa.
De lughes d’oro e isteddos a coa
che annuntziu de naschida divina
in pruvereras de sa Palestina
chi dae tempus ispettat bida noa.
E dias bide muros de piantu
fraigados, ruende a su lugore
de sa manu gaddada ‘e su Sennore
mortu po sa paghe in logu santu.
Po iscrarire chelos oscurados
supra terras de odiu chene sensu,
inue creschet un’omine propensu
d’azungher a sa rughe atteros craos.
Si affundares sas francas che astore
inue son moribondas sas isperas,
dias aperre sas alas in aèras
immensas de sentidu e de valore
dias pesare cantigos d’affettu
po chie gherrat in bratzos de s’ostinu
peri argas chircande unu paninu
e unu cantzu ‘e cartone a cadalettu
e intonare ninnidos ebbia
dae s’animu nobile profundu
po sos minores de tottu su mundu
vittimas mannas de pedofilia.
E dias togare arcanu un’orizzonte
illacanadu cantu s’universu
si bastaren bellesas d’unu versu
a semenare paghe in donzi fronte
e zughere selenu chin sos cantos
po los pesare in artu sos sentidos,
in sos trettos immensos infinidos
padrona che reina ‘e sos incantos.
Imbentu fantasia ‘e su poeta
chi la chircat s’essentzia de sa vida…
In s’anima ‘e valore impoverida
cantone si ‘olares che saeta.
120
Chiudo questa piccola antologia con una
poesia di Titinu Mereu (Dorgali, 1929 –
Sassari 1984) da ragazzo lavorò come
servo pastore e da adulto come muratore.
Dotato di forte senso dell’umorismo
recitava in sos magasinos e zilleris da
vero attore.
PIPIEDDU –
Cand’ippi minoreddu a primu olu
Po bisonzu appo attu su teracu
Su mere de istrintonia imbriacau
Mi trattadat che unu bestiolu.
Sempere lamentosu fit in dolu
Ca ippi debile e rendio pacu
Chin su reccattu che idi in su sacu
Li restat de appettitu a s’aranzolu.
Mesu iscurtu drominde in sa lapinna
Pacu istire e pacu nutrimentu
Ea de die a sa roba e a sa linna
E ne mai pacau a cumplimentu
Istrapazzau in edade pizzinna
Solu a mi l’ammentare m’es tormentu.
Sarebbero tantissimi altri i poeti
dorgalesi del passato e contemporanei
che meritano di essere letti e ricordati
: tra questi ricordiamo ziu Larettu Loi,
ziu Tottoi Cosaona, i fratelli Paolino e
Michele Pireddu, Paolo Delussu, Antonio
Dettori, Mario Fronteddu, Maristella
Fancello, Elena Monni, Angelina Sotgia,
ecc. ecc. A tutti l’invito di cercare e
leggere le loro opere, alcune citate
nella bibliografia finale.
121
COME SE …
“Non mi dispiachet ca m’inche morzo ma
ca no appo isperimentau”.
Quanto avrei desiderato. Tali parole
assumono un aspetto particolare quando a
dirle è una persona ultra novantenne.
Quando la memoria ritorna verso
l’infanzia è perché il futuro si è
raccorciato e la mente trova compenso
allungando il passato all’indietro, il
più indietro possibile. È quello che
l’esistenza ci chiede, ricordare e
richiamare alla memoria fatti, persone
ed esperienze.
Far tornare alla coscienza quanto
l’inconscio collettivo dei sardi di
Dorgali ci hanno regalato, senza che ne
percepissimo la profondità, come
persone nate e cresciute in queste
terre. Ripenso spesso a miei nonni uno
pastore l’altro capraio a Monte Omene.
Alle invocazioni recitate da mia nonna
vicino al focolare; mi ripenso da quando
occupavo “su brozzolu” e ascoltavo le
prime parole.
E sognavo, come se ….
122
COME DA “ITACA” DI KOSTANTIN KAVAFIS
Itaca è un’isola del Mediterraneo. Un
mito, un ricordo, un richiamo a una
eterna nostalgia. La necessità di
tornare a casa, nel posto dove si è
nati. Sulle orme di povertà di Itaca e
sui sentieri austeri di Dorgali in
Sardegna.
Riflessioni sul senso della vita,
concepita come viaggio verso una meta,
che si raggiungerà dopo lunghe
peregrinazioni. Non bisogna avere fretta
di giungere a destinazione, ma bisogna
approfittare al meglio del viaggio (e
quindi della vita) per esplorare il
mondo, crescere e ampliare il proprio
patrimonio di conoscenze.
In ultima analisi, il senso è proprio
quello di valorizzare più il viaggio che
il destino. "Itaca" come “Sardegna” è
il riferimento alla propria origine e
identità, alla propria terra, che non
può essere mai dimenticata.
E il regalo più grande che ci ha fatto,
la Sardegna nella sua povertà e umiltà,
è proprio quello del viaggio, reale o
metaforico, che ci ha permesso di vivere
e di amarla. Anche se lontani.
123
ITACA E SARDIGNA
Cando cuminzas a viazzare
disizzati chi duret meda,
oro, timanza e seda
de Bisanzio o Itaca as’amare.
Muntones de isiones as a pessare
non timas sas abbas nechidàs
ca sas tantas penas acatàs
dae su coro as’ a poder inneddare.
Lassa chi t’intren in manos
contos, libros e papiros
impara peri sos sospiros
de sos savios e marranos.
E si su sufrimentu
est in totue dolorosu
ista sempere disizzosu
de donnia isperimentu.
Sardigna t’at dau su mare
E unu iazzu tribolau
In cussu c’as imparau
Ch’est sa richesa de abalorare.
(Vincenzo Pira)
124
Come nel CANTO DI UN PASTORE ERRANTE
DELL'ASIA – di Giacomo Leopardi
Gli umili e gli esclusi diventano
protagonisti della storia e della
letteratura. Una scelta che anche
Leopardi ha fatto volendo dimostrare
come tutti, ricchi o poveri,
intellettuali o analfabeti, si pongono
le stesse domande senza un’unica
risposta sul significato della vita e
sull'esistenza del male. Anzi, sulle
labbra di un semplice pastore, sia
dell’Asia o della Barbagia, questi
interrogativi acquistano una forza
particolare, primordiale e assoluta, che
esprime la "radice" comune della
condizione umana. Il pastore immagina
che la luna , contemplando dal cielo lo
spettacolo della vita terrena , possa
vedere ciò che al pastore appare
misterioso ; la luna , infatti ,
dovrebbe essere in qualche modo
consapevole di ciò che l'uomo ignora. La
bellezza della primavera e del cielo
stellato devono giovare a qualcuno, non
possono essere semplici apparenze di un
universo indifferente. Ma lo sconforto
emerge nell'ammissione finale, in cui i
dubbi fiduciosi lasciano spazio a una
certezza terribile: a me la vita è male.
Il pastore si rivolge anche al suo
gregge, che invidia in quanto esso, a
differenza dell'uomo , sente la vita
solo istante per istante , dimentica
subito ogni stento e così non soffre.
125
Cussorzas de chelu
Ite aches tue, luna, in su chelu?
Narami silenziosa luna.
Naschis su sero chene velu
Peri po chie hat pacu vortuna.
Ti ch’istichis in s’andare
illuinande sas vias
istraca de pompiare
sas matessis rias.
Sa vida de cadena
in su chelu serenu
su pastore chin pena
igualas a prenu.
Pesat chito a s’impuddile
moffet su tazzu in su campu
untanas, pasturas e cuile
che li moffen su prantu.
Si pasat su sero istracu
ghite l’hat mai ispantau
narami, o luna si es pacu
a bivere ispramau.
A nue lompet s’andonzu terrenu,
e su camminu de su pastore
sanu, cuntentu e serenu,
o istrazzolau chene onore?
Chin d’unu pesu in s’ischina ,
po montes, tancas e rios ,
li punghet in conca un’ispina,
disizzu de amores proibios.
126
Collinde abba e bentu
uidi innedda isalenau,
urruet e s’arrizat lentu,
irmenticande su colau.
Chene pasu ne reposu,
perdiu in su camminu
chircande isaperanzosu
s’ originale sinu.
O luna virzine lamentosa,
asi est sa vida de su mortale.
Naschit pranghende dolorosa
chircande zustamente sa morale.
Cosa prus zusta in contu
non poden facher sos mannos
che a sos fizzos su cossolu
procurare medas annos.
Si sa vida est patimentu
meda peus de sa presone
o luna chin sentimentu
ti dimando sa resone.
Non connesches sa morte
emina chene edade
de su pastore sa sorte
disizzali chin piedade.
Tanca manna silenziosa,
a lacana chin su chelu
cara triste e dolorosa
pérdia chene velu.
127
Cando luchen sos isteddos
lompet su pessamentu
a prenare sos cherveddos
de donnia suffrimentu.
Dae chelu e dae terra
chene pasu immortale
in s’eterna guerra
po su ene e su male.
Non connosco ene s’istoria
de s’umana miseria
ziros eternos e memoria
son po mene cosa seria.
Tue luna ses chene affannu
e andas chene cadenas
a nois lassas su prantu
e tottu s’ateras penas.
Cando mi drommo in terra
o in sa preda dura
fastidios a caterva
no acatan cura.
No acato pache in locu
uinde dae su vrittu
abba, laore e focu
mi sian de dirittu.
Sa tristura est de pesu
in sa vida pastorile
si sus tempus at resu
miseru su cuile.
128
Si appapiu sas alas
e in sas nues potiu olare
annadas vonas o malas
podia ieo seperare.
Ma a tie luna su cantu
ti siat de dilettu
a su pastore su incantu
daeli chin affettu.
(Vincenzo Pira)
129
COME “IL CANTO DEL SERVO PASTORE”
DI FABRIZIO DE ANDRÈ
Sardegna terra di pastori e del
rosmarino che fa rima con destino. Dove
la fontana oscura (che richiama “sa
tristura”) da un suggerimento di vita:
"prendi la tua tristezza in mano e
gettala nel fiume..."
L’eterna ricerca di senso del pastore
travolto dalla vita e dai suoi eventi.
Figlio della natura alla ricerca di una
propria identità (qual è il mio vero
nome, ancora non lo so).
Non c'è lieto fine; la vita del servo
pastore è e rimane sempre la stessa.
L'unico conforto è il ricordo di quanto
si è imparato e conosciuto : la luna,
la notte, gli alberi in cui incidere, il
dolore addolcito da qualche gesto di
calore e di affetto. E poi si può anche
morire.
La vita dei tanti servi pastori hanno
costruito l’inconscio collettivo della
nostra cultura. E ancora la ritrovo che
batte nei miei pensieri.
130
SU CANTU DE SU TERACU PASTORE
In nue frorit su romasinu
b'at una untana iscura
a nue andat su destinu
unu ilu de tristura.
Cale est sa manu zusta
non mi l'ane mai imparau
cale est su numene eru
alu non mi l'han contau.
Cando sa luna perdet sa lana
e su puzzone sa gana
donnia anzelu in cadenas
e donnia cane appeddat.
Pica sa tristura in manos
e ghettachela a frumene
esti de ozzas su dolore
e prenalu de prumas.
In donnia ozza de lidone
dae neco a mare
c'appo lassau carchi pilu
in donnia eliche un'iscrittu
de sas resorzas mias.
S'amore de domo
s'amore de biancu istiu
no l'appo mai connotu
no l'appo mai traiu .
131
Babbai astore,
mammai pazzarzu
in pittu de sa collina
sos ocros chene undu
accumpanzan sa luna.
Notte notte notte sola
sola che su ocu de domo
pone sa conca tua
in su coro miu
e a pacu a pacu
lassalu morrere.
132
COME “I PASTORI”
DI GABRIELE DA’ANNUNZIO
In Abruzzo come in Sardegna :
“Settembre, andiamo. E’ tempo di
migrare.
Ora in terra d’Abruzzi
i miei pastori lascian gli stazzi
e vanno verso il mare:
scendono all’Adriatico selvaggio
che verde è come i pascoli dei monti.
Han bevuto profondamente ai fonti
alpestri, che sapor d’acqua natía
rimanga ne’ cuori esuli a conforto,
che lungo illuda la lor sete in via…
La nostalgia e il rimpianto portano a
concludere :
Ora lungh’esso il litoral
cammina la greggia.
Senza mutamento è l’aria.
Il sole imbionda sì la viva lana
che quasi dalla sabbia non divaria.
Isciacquío, calpestío, dolci romori.
Ah perché non son io cò miei pastori? “
133
PASTORES
Capidanni. Tempus de tramudare.
Moffen, su tazzu lentu, sos pastores
andande in chirca de menzus laores
dae sos artos montes a mare.
Sentimentos e cantos a s‘andare
Azuan a irmenticare sos dolores
Isperanzas, ammentos e valores
Acumpanzan su disuzzu e su precare.
Dae innedda ammento custa zente
Lamentos de lontananza chin’amore
De esules chi biven tristemente.
Cantu dolet s’ammentu in malumore
de su nostalgicu ponner a mente
de Sardinna su prus bellu viore.
(Vincenzo Pira)
134
COME “CIAO AMORE CIAO” DI LUGI TENCO
Quando le strade erano tutte uguali,
bianche come il sale, e non grigie di
catrame. Quando facevano contorno al
giallo dei campi di grano e il pane si
sfornava in ogni casa, frutto del sudore
e del lavoro dei contadini.
Quando la natura era lontana dalla
cultura. Quando la vita preparava alla
morte.
E poi ancora il viaggio. Un bel giorno
piantare tutto e andare via. Con il
rischio di perdere ciò che si ama e di
perdersi.
Senza mai sapere se domani ci sarà la
pioggia o il sole, se si deve ancora
vivere oppure se è arrivata l’ora di
morire…
Senza nostalgie inutili, in continua
ricerca, difendendo la memoria e
innovando il presente. Tra natura e
cultura.
In un dolce e continuo rimescolio. Come
ha recitato in sardo, per noi,
Michelangelo Pira in “Morte a Sanremo”.
http://www.youtube.com/watch?v=wQseeznS3
eU
135
ADIOSU
Sa matessi andaledda,
bianca che sale,
su tricu alu a creschere
e sas tancas de arare.
Mirande donnia die
Si proet o si b’est su sole,
po ischere si crasa
si bivedet o si morit.
E una bella die
che piantas tottu e t’icandas.
T’icandas a innedda
a chircare ateros mundos
pedinde perdonu
a sa terra chi lassas,
comente in d’unu isione.
E poi milli camminos
chi paren fumu
in d’unu mondu de luches
in nue non ti connosches.
Bivende chent'annos in d’una die,
dae sos montes de Ghivine
a sos chelos chene vine.
Chene cumprendere nudda
Semper chin gana de amorare.
Chene ischire a facher nudda
In d’unu mundu chi ischit tottu
e chene unu sisinu
po podere torrare. Adiosu.
136
COME NELL’ ULISSE DI UMBERTO SABA
La sfida e la difficoltà del viaggio, la
bellezza del tempo che svela ostacoli
insormontabili, dal piccolo fiume del
paese natio ai grandi fiumi del mondo.
Il tema del viaggio arriva direttamente
al primo verso “Appo cumenzau dae
pizzinnu a biazzare in su mundu” – e
proietta subito il pensiero alla
grandezza degli oceani, come un cumulo
di esperienze, un viaggio attraverso una
vita, a tratti calma ma piena di
insidie.
E la stanchezza del viaggio porta a
desiderare il porto in cui trovare
sicurezza.
In cui poter spendere le conoscenze e la
saggezza accumulate dimenticando la
solitudine e la vita senza amore.
E Ulisse metafora condivisa di tutto
questo.
137
ULISSE
Appo cumenzau dae pizzinnu
a biazzare in su mundu
ma de Sardinna su sinnu
arrumbau m’est in fundu.
Dae terras predosas
de pacos colores
supportande dolores
de zentes zelosas.
Imparande dae tottu
dae pizzinnas e bezzas
dae bellas e lezzas
s’amore isconnottu.
Lompet s’umbra iscura
E t’acatat istracu
chene pache, teracu
de ninfas de tristura.
Oje no appo domo
affocau in sos amentos
bivo in sos lamentos
e chene pache dromo.
(Vincenzo Pira)
138
COME UGO FOSCOLO IN “ZACINTO”
La precarietà della condizione di esule
e il sentimento nostalgico nei confronti
dell’isola del mar Ionio, molto amata,
dove lui è nato.
Ripensando a quando era bambino e
ricorda le bellezze del clima e della
vegetazione dell'isola, creata dalla dea
Venere – nata dalle acque del mare – che
lei rese fertile con il suo primo
sorriso. Mentre Omero celebrò i viaggi
di Ulisse, che potè a ritornare a
baciare la «petrosa Itaca», mentre a lui
non riuscirà di ritornare nella sua
piccola isola.
Il fato avverso lo costringe a
peregrinazioni senza sosta e sente che e
stata stabilita per lui una perenne
nostalgia e una lunga ricerca di pace.
139
A DURGALI
Cando appo torrar a bidere
S’ispricu d’abba inue soe naschiu
Locu galanu dae tottu est ischiu
Menzus non b’hat po morrere e bivere.
Po medas annos m’as pesau
Imparandemi sa bramosia
su travallu e s’allegria
de s’eressia tua app’amirau.
Riconnotu hat meda zente
De izzas tuas sa belesa
nudricas de pacu richesa
ma de zeniu prus valente.
Dae pizzinnu a sa ezzesa
Su mundu intreu appo connotu
Irmenticande s’ abolotu
E de tramperis sa pretesa.
Zai su tempus est colande
soe alu innedda dae chentu
De torrare conca a bentu
Su disizzu est aumentande.
Ti regalo custu cantu
De izzu prodigu e disizzosu
De torrar a bidda isperanzosu
po non connoscher prus su prantu.
140
COME “ALLE FRONDE DEI SALICI "
DI SALVATORE QUASIMODO
Alle fronde dei salici” è stata scritta
durante il periodo della guerra contro i
nazisti. Si esprime l’avversità verso
gli “oppressori” e il sacrificio che le
vittime di ogni tempo subiscono.
L’eterno significato simbolico del
“piede straniero”, inteso come gli
invasori di sempre che calpestano i
sentimenti ( il cuore ) di tutto il
popolo.
Come il popolo della Bibbia, ogni popolo
oppresso non può cantare.
Non si può calpestare la dignità della
gente obbligando all’allegria quando si
vuole solo piangere.
141
S’urtimu cantu
E nos pediat a cantare
Sas grobes de Sardigna
In d’una terra indigna
Locu ‘e ifferru de brusare.
Chene gana de precare
Cuss’ anima maligna
Non baiat sorre benigna
po nos poder attittare.
Imbolaos in sa serra
respirande malasorte
e entos pudidos de gherra.
Tocà nos est sa morte
Urtimu cantu ‘e sa terra
de chie pranghet prus forte.
(Vincenzo Pira)
142
Come il Don Chisciotte di Gianni Rodari
Lento, ma inarrestabile, cavalca nei
secoli il cavaliere errante, dietro il
suo scudiero saggio e timoroso. Dalla
Mancha al mondo, con il ricordo di
Dulcinea, la compagnia di Ronzinante e
di Sancho Panza, a lottare contro le
ingiustizie. Il viaggio, il desiderio
di conoscere il nuovo, eroe di paese
sconosciuto che vuole conquistare il
mondo.
“O caro Don Chisciotte,
o Cavaliere dalla Triste Figura
girasti il mondo in cerca d'avventura,
con Ronzinante e Sancio il tuo scudiere,
pronto a combattere senza paura
per ogni causa pura.
Maghi e stregoni ti facevano guerra,
e le pale incantate dei mulini
ti gettavano a terra;
ma tu, con le ossa rotte,
nobile Don Chisciotte,
in sella rimontavi e, lancia in resta,
tornavi a farti rompere la testa.
In cuore abbiamo tutti un Cavaliere
pieno di coraggio,
pronto a rimettersi sempre in viaggio,
e uno scudiero sonnolento,
che ha paura dei mulini a vento...
Ma se la causa è giusta, fammi un segno,
perché - magari con una spada di legno -
andiamo, Don Chisciotte, io son con te!
143
A ziu Pascale Crodazzu
Cadderi fieru e sognadore
naschiu in locu isconnotu
po su zustu as fattu votu
d’essere balente lottadore.
De connoschessias chircadore
chin s’anima in abolotu
lassau as su locu notu
e su primu amore.
Tropu dies de itianu
de una vida intristìa
de unu inchidore metzanu.
Bramande tempos d’armonìa
circaos in locu lontanu
po su ene de s’umana zenìa.
(Vincenzo Pira)
144
Come nella Bibbia, Qoelet, 3, 1-8 :
Tempus po tottu
B’at unu tempus po istimare
E unu tempus po naschire
Unu tempus po partire
E unu tempus po ispettare.
B’at unu tempus po briare
E unu tempus po finire
Unu tempus po muttire
E unu tempus po calliare.
B’at unu tempus po mòlere
Unu tempus de allegria
E unu tempus de morrere.
B’at unu tempus de bria
E unu tempus po pranghere
Ca est longa sa ria.
(Vincenzo Pira)
145
Salvatore Fancello
(Dorgali 1916 – Bregu Rapit Albania
1941)
146
A Salvatore Fancello, giovane artista
dorgalese, morto in guerra, con altri
soldati che avevano lo stesso umore ma
la divisa di un altro colore.
Colores in biazzu
In sa costa de mare
erva zalla brusà
colores de chelu
in sa tanca pintà.
Chin manzas de erveches
biancas che su manzanu
montes frittos che nie
s’oro de su eranu.
De ocu ruiu s’aneddu
che ocrosos istracos
brunetinas sas lavras
che mare nechidau.
Carena bianca che latte
rosa de maju ifriscà
ulias ispricu de nues
anzande abba arzentà.
Pilos nieddos che piche
Umbra iscura de s’eternu
Arva longa canuda
Luchente che isteddu.
Mele ranchiu irruiau
che sa uca tua
un’urtimu asu
po acatare pasu. (Vincenzo Pira)
147
ISCHIDANDE
Unu sonnu profundu
chi che canzellat su tempus
e ti che leat a innedda
po chircare un’imposta.
Miradas arcanas
chi àtunu sol’ispantu
umbras de animas mortas
in ispera de attitu.
Timende sos misterios
chin no acatan crarore
isperande in sa prominta
de una paraula zentile.
Anima suferente
iscarvatà in su profundu
ispettande dae sempere
sinzales de luche.
Peso chitto a s’impuddile
po m’ammentare unu isione
alanzande cussorzas de vida
perdias in sa notte.
(Vincenzo Pira)
148
Innedda
Cant’est innedda
cust’innedda
de bisos non crompios
chi irvettan sa die
cando s’eternidade
s’abeliat
de sas fainas de su tempus.
No, no est innedda
cust’innedda
peri chene fruttos
bales sa galania ‘e su frore
su ‘isione ‘e su semene
s’ispettatia ‘e s’istajone noa
po podere sempere
torrare a cumentzare.
(Vincenzo Pira)
149
COME FARE POESIA ?
La poesia è fatta da strofe che indicano
un raggruppamento di versi
caratterizzato da :
• Numero e tipo dei versi usati
• disposizione delle rime.
La rima
Componente importante del fare poesia,
la rima è l’identità dei suoni della
parte finale di due parole; si presenta
in varie forme, tra le quali ricordiamo:
• la rima baciata, quando unisce due
versi consecutivi secondo lo schema AA;
• la rima alternata, quando appunto
le rime si alternano, secondo lo schema
ABAB;
• la rima incrociata, quando si
presenta con un ordine speculare,
secondo lo schema ABBA;
• la rima incatenata, tipica della
terzina dantesca, secondo lo schema
ABA.BCB.CDC.;
• la rima invertita, quando le rime
di una strofa tornano uguali ma in
ordine inverso, secondo lo schema
ABC.CBA;
• la rima replicata, quando le rime
di una strofa tornano uguali e nello
stesso ordine in una strofa successiva,
secondo lo schema ABC.ABC.
150
Il RITMO è il movimento creato
dall'andamento degli accenti all'interno
del verso. Questo andamento può rendere
ritmicamente differenti versi
metricamente uguali.
Ad esempio un endecasillabo può avere
gli accenti sulle sillabe 1-4-6-8-10,
oppure 2-4-6-8-10, o ancora 3-6-8-10.
Quanto al numero dei versi impiegati e
alla disposizione delle rime, le strofe
più comuni sono:
• il distico (schema AA ):
Su sinnore balente
in bidda est perdente
• la terzina (schema ABA.BCB.CDC)
Per me si va ne la città dolente,
per me si va ne l'etterno dolore,
per me si va tra la perduta gente.
Giustizia mosse il mio alto fattore;
fecemi la divina potestate
la somma sapïenza e 'l primo amore.
Dinanzi a me non fuor cose create
se non etterne, e io etterna duro.
Lasciate ogne speranza, voi ch'intrate.
(Dante Alighieri, Inferno III 1-9 –
poeta di Firenze 1265-1321)
151
• la quartina (schema ABAB oppure
ABBA)
Tancas serradas a muru A
Fattas a s'afferra afferra B
Si su chelu fit in terra B
L'aiant serradu puru A
(Melchiorre Murenu)
• la sestina schema ABABCC - non si
chiamano sestina o sesta rima tutte le
strofe di sei versi, ma solo il tipo
ABABCC.
Pertanto, nell'eventualità in cui si
dovessero riscontrare, per esempio,
strofe con schema: ABABAB o ABCCDD si
dovrà semplicemente parlare di strofe di
sei versi.
• l'ottava (schema ABABABCC)
• la nona rima (ABABABCCB).
Misurare il verso significa “contare le
sillabe” per garantire sia la vocalità e
musicalità della poesia sia il rispetto
della metrica.
Molti poeti contemporanei, con l'impiego
del verso libero, usano solitamente
strofe senza alcuno schema fisso di
versi o di rime.
152
IL SONETTO
Il sonetto è un breve componimento
poetico, tipico soprattutto della
letteratura italiana e ripreso anche da
quella sarda. Nella sua forma tipica, è
composto di quattordici versi
endecasillabi (contrariamente a quanto
si potrebbe dedurre dal nome, è bene
chiarire subito che la nota distintiva
del endecasillabo non è il numero
effettivo di sillabe, bensì il fatto che
in tutti i casi l'accento dell'ultima
parola del verso cada sempre sulla
decima sillaba. È errore comune dunque
pensare che tutti gli endecasillabi
debbano avere sempre e comunque undici
sillabe. Ciò, se pure nella maggior
parte dei casi è vero, non costituisce
una regola).
Molto vario è lo schema ritmico del
sonetto, quello originario era composto
da rime alterne ABAB.ABAB sia nelle
quartine che terzine CDC.DCD, oppure con
tre rime ripetute CDE.CDE. Quello in
vigore nel Dolce Stil Novo introduceva
nelle quartine la rima incrociata:
ABBA/ABBA, forma che in seguito ebbe la
prevalenza.
Ecco un sonetto di ottonari (verso con
gli accenti sulla terza e sulla settima
sillaba – ABBA.ABBA CDC.DCD) di don
Zuanni Mulas:
153
A Eleonora
S’ischires cantu ti bramo
Fada bella de su coro
S’ischires cantu ti adoro
Narrer mi dias: si t’amo.
Ti chirco continu e giamo
Si non t’incontro m’acoro
Ca ses s’unicu tesoro
Pro su cale m’infiamo.
Ses che lughente aurora
Chi s’altzat serena in mare
Ses che fada incantadora.
Non ti devo ismentigare
Pura e bella Eleonora
Finas a mi sepultare.
Sos Mutos, sono composizioni sarde, sia
dall’uomo che dalla donna, per
dichiarare il proprio amore ma
utilizzato anche con funzioni ludiche e
conviviali, di sfogo e di scherno in
base alla circostanza. Cantati
solitamente a voce sola o anche
accompagnati da chitarra od organetto.
La versione su tematiche religiose è
chiamata Gosos e ha la stessa forma.
La struttura compositiva dei Mutos
prevede solitamente s’isterrida,
normalmente di tre versi (ma possono
essere anche di più) che poi vengono
154
ripresi in sa torrada a formare tante
strofe, sas cambas, quanto sono i versi
de s’isterrida.
Talvolta non tutti i versi de
s’isterrida vengono ripresi in sa
torrada in altrettante cambas ma solo
alcuni. S’istérrida non è mai sottintesa
ed è invece sempre enunciata
integralmente all’inizio del
componimento e non presenta mai
ripetizioni di versi.Sa torrada ha
sempre la forma «ampliata» e
l’ampliamento è sempre del tipo «per
cambas».
Il verso generalmente adottato nei mutos
è il settenario (verso nel quale
l'accento principale si trova sulla
sesta sillaba).
SETTENARIO. Verso di sette sillabe
metriche o posizioni, con accento fisso
sulla sesta posizione e uno o due
accenti mobili sulle prime quattro. Si
alterna spesso all'endecasillabo, come
nella canzone A Silvia di Leopardi.
Altra forma molto usata nella poesia
sarda è l’ottada torrà di più semplice
fattura.
155
Possiamo distinguervi due tipi:
• quella di ottonari, che chiameremo
ottada torrà minore, ottenuta con la
farcitura di un distico cc nello schema
della sesta torrà : ABBAACCX;
• quella in endecasillabi, ottada
torrà maggiore, che parte dallo schema
dell’ottava rima (ABABABCC, in sardo
ottava serrà) per ottenere la formula:
ABABABBX.
L'ottada è costituita da strofe di otto
versi endecasillabici, sei a rime
alternate iniziali (schema ababab o
ababba o abbaba o abbaab) e due a rima
baciata finali.
Sa Battorina
È costituita da una quartina di
settenari a rima alternata. La quartina
è a sua volta suddivisa in isterrida e
torrada o cobertanza, composte da due
versi. È in genere un canto d'amore, ma
può avere anche altro argomento.
A dispetto del nome, la battorina (dal
sardo battoro, ‘quattro’ più il suffisso
-ina) non è però direttamente
assimilabile alla pura ‘quartina’ di
schema ABBA, come alle strofe libere in
genere, per una sua caratteristica
costante che va dunque presa con la
dovuta considerazione: la ripetizione
del primo verso dopo il quarto
(A1BBAA1):
156
Suspiros mios bolade A1
privos de d’ogni recreu; B
s’infelice istadu meu B
a su ch’istimo li nade. A
Suspiros mios bolade. A1
Ecco un esempio di una gara fra tre
poeti estemporanei : Zizi, Sotgiu e
Piras.
SOTGIU: Como cantamos una battorina
Pro appagare un'atter'una idea
Mi non è legge bella o legge fea
Ch'est de legisladores sa faina
Como cantamos una battorina
PIRAS: Como cantamos una battorina
Chi est de sa duina sa corona
Cando s'agattada in duna terra ona
Pone fina sa lande raighina
Como cantamos una battorina
ZIZI: A la cantamos una battorina
Sas legges la lassamos a coa
Como e timere già est sa legge noa
Una tantum, su preziu e sa benzina
Goi si cantada una battorina
SOTGIU: Alla cantamos una battoretta
Su preziu e sa pastura est in ribassu
Ma aumentadu est su trigu e s'ammassu
E preziu leadu non ha sa petta
Como cantamos una batto retta
PIRAS: Como cantamos una battoretta
Già semus pianghinde tottu umpari
Ma basta chi si fina su inari
Calicunu leadu has sa recetta
Como cantamos una battoretta
157
Bibliografia
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concorso Ferragosto dorgalese, Tip. Su
Craminu, Dorgali, 1988
AA.VV. II^ raccolta di poesie del
concorso Ferragosto dorgalese, Tip. Su
Craminu, Dorgali, 1989
AA.VV. premio di Poesia sarda Tiscali,
I^ Edizione, Tip. Su Craminu, Dorgali,
1998
CARTA BROCCA, Gonario, Vocabolariu,
durgalesu – italianu, italiano –
dorgalese, 2010
• Sos canticos , de s’ae,
TAS,sassari, 1996
CIRESE, A.M. Struttura e origine
morfologica dei mutos e dei mutettus
sardi, Gallizzi, Sassari, 1964
CUBEDDU, Luca, Cantones e versos,
E.della Torre, Cagliari, 1982
CUCCA, Pantaleo, Sutta sa ruche ‘e Monte
Bardia, ed. Ziri ziri, Dorgali, 1962
CORRIAS, Nanneddu e FANCELLO, Billia,
Antoni Cucca – poeta durgalesu, Edizioni
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