Mastros de paraula, mastros de vida

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1 Vincenzo Pira “Mastros de paraula, mastros de vida” Cultura e identità : dalla Sardegna al Mondo

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Ogni terra ha i suoi poeti. La Sardegna tra queste. Poesie nate in una cultura che tradizionalmente ha fatto del silenzio e della riservatezza il suo scudo protettore: “Allega pacu po non faddire meda” . Che ha sempre diffidato della scrittura . “Nde morit prus sa pinna chi non sa balla”. Cultura che ha ritualizzato, a modo suo, momenti fondamentali della vita: il nascere, l’innamorarsi, l’amicizia, il godere, il morire. E trova gli strumenti adeguati per poter esprimere adeguatamente questo: non con nude parole improvvisate ma con il canto, la poesia, la musica, il ballo. Diventa bene comune di tutti e non un privilegio aristocratico degli eletti per diritto divino. Di poter esprimere i propri sentimenti senza paura di sminuire la propria virilità e mantenere il giusto equilibrio di uomo lavoratore della campagna e di uomo di comunità e di cultura.

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Vincenzo Pira

“Mastros de paraula, mastros de vida”

Cultura e identità :

dalla Sardegna al Mondo

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A SOS MASTROS DE PARAULA

POETAS E CANTADORES

MASTROS DE VIDA

ISCUSORZOS DE SARDINNA

BENES DE S’UMANIDADE 1

1 Ai maestri della parola, poeti e cantori, maestri di vita, tesori della Sardegna,

beni dell’umanità.

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Maestri della parola, maestri di vita

“Sos contos si contan’a de notte,

ca est a de notte

chi su sacru s’amustrat;

chie ischit a contare

narat ca sa paraula est cussu

chi sa paraula cheret narrere” .2

Alla fine ciò che conta è garantire la

sopravvivenza dell’umanità. E per fare

questo ogni comunità s’inventa

comportamenti, stili di vita che

propongono il miglior modo di esistere.

Si creano regole di vita che hanno come

fine il far sta meglio le persone e le

comunità. Oggi non solo le comunità

locali ma il mondo globale.

E ogni comunità e società assume un

codice di riferimento che diventano

norme, leggi, abitudini, valori che ogni

membro deve conoscere e rispettare.

I genitori educano i figli; lo stato

codifica e fa rispettare le leggi; le

persone cercano tra loro serenità,

benessere, libertà.

E per far questo si comunica con i

gesti, con le parole, con tutto ciò che

si scrive o costruisce.

L’insieme organico di tutto questo viene

chiamato cultura. Che si elabora e

impara in ogni luogo, non solo nelle

scuole.

2 I racconti si narrano di notte, perché è di notte che il sacro si svela , chi sa

narrare dice che la parola significa ciò che la parola vuol esprimere.

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4

Nelle società tradizionali il compito di

educare, di trasmissione dei saperi, non

avveniva in un posto specializzato per

tale fine (scuola, università) e neanche

vi erano persone incaricate

specificamente a tale compito.

Era una funzione, prima di tutto della

famiglia, e poi di tutta la comunità, di

educare, insegnare, condividere regole e

modi di comportarsi. Nel progredire dei

tempi e con l’acquisizione di nuove

tecnologie tutto cambia.

Gli spostamenti diventano più facili, i

mezzi di comunicazione non sono più

legati alla trasmissione orale e

diretta. Si obbliga tutti ad andare per

tanti anni a scuola, a seguire programmi

che spesso sono decisi lontano dalle

comunità locali, ad imporre nuovi

contenuti e nuove esigenze che cambiano

la vita.

Nella mia scuola, non era scritto in un

cartello, ma i professori lo ripetevano

come fosse la norma più importante di

condotta: “A SCUOLA NON SI PARLA IN

SARDO”. Confesso che ho preso più volte

sette in condotta e il marchio che mi

porto impresso da allora: “studia ma è

molto indisciplinato”. Un giorno, in

una calda mattina del maggio 1968, nella

Scuola Media Statale Salvatore Fancello

di Dorgali mi succede qualcosa di

inatteso. Alla Sorbona di Parigi e alla

Cattolica di Milano esplodeva la

protesta degli studenti.

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5

Noi della prima A, pensavamo ad altro:

al Cagliari che stava per vincere lo

scudetto, ai primi amori giovanili, ai

sequestri di persona che coinvolgevano

anche un paese tranquillo come il

nostro, ai manifesti con le foto dei

banditi e la taglia di cinque milioni di

lire a chi aiutava ad arrestarli, alle

poche prospettive di lavoro esistenti e

alla possibilità di emigrare. Ma La

novità la portò la professoressa

Balzarini insegnante di educazione

musicale. Per la prima volta ci chiede

di cantare al registratore qualche

canzone in sardo. La cosa ci sembrò così

strana che nessuno trovava il coraggio

di alzarsi. Dopo qualche minuto di

titubanza, tra le risate dei compagni,

uno di noi si alzò e con voce decisa

cantammo una delle poche canzoni in

sardo che avevamo imparato da bambini:

Cando ippi minoreddu a tetteledda

Aiamus unu porcu mannalitu

Andau soe a li tocare su piritu

E m’at tirau una mossa a sa pilledda. 3

A scuola, alla mia generazione non hanno

insegnato a scrivere o a comporre né in

italiano e tanto meno in sardo. Non ci

hanno insegnato come si compone un

racconto, un romanzo o una poesia.

3 Quand’ero in vestaglietta piccolino /avevamo un piccolo maialino / quando

gli ho toccato il suo musino / m’ha dato un morso al pisellino.

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Non ci hanno insegnato le tecniche della

composizione in nessuna lingua. Chi

imparava a cantare o comporre poesie o

canti in sardo lo doveva all’ovile,

alla cantina o al focolare non alla

scuola.

Si è elaborato cultura “cumponende

grobes” celebrando i luoghi, i simboli

di tante vite, canti ripetuti per

alleviare la monotonia del lavoro e per

accelerare la percezione del tempo che

fatica a passare.

Poesie per segnare i momenti

dell’esistenza fino agli ultimi canti

funebri ‘sos Attitos’, alimento e pegno

per favorire il passaggio a un altro

modo di esistere che è più difficili da

capire e accettare per chi resta.

Per questo ci si affida a ‘sos mastros

de paraula’ , cantori e poeti – uomini e

donne – che sanno dire bene quello che

si sente nel cuore e che le parole

usuali del comunicare non possono dar

conto.

L’immenso sforzo della persona umana per

afferrare il senso delle parole,

condividerle come patrimonio culturale

comune e usarle per migliorare la

qualità della vita, personale e

comunitaria, a livello locale e globale.

E la poesia è una forma privilegiata

per questa finalità.

Perché è la forma ordinata più arcaica

di comunicazione, prodotto della parte

più antica del cervello.

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Poesie da recitare e poi ricordare e

trasformare.

Poesie che non solo descrivono il

momento ma lo fanno vivere e rivivere

con maggior intensità ed emozione.

Poesie che nella loro forma

(significante) trasmettono oltre il

contenuto stesso delle parole

(significato).

Uno spazio di confine aperto tra il

divino e l’umano, tra il concreto e

l’astratto, tra l’emotivo e il razionale

tra il sacro e il profano.

Un ponte tra il cielo e la terra che

attraverso il linguaggio della poesia,

con le metafore che comunicano forma e

contenuto in modo inscindibile,

permettono un sentire e un coinvolgersi

molto più di quanto può fare la

condivisione di codici di riferimento

basati su concetti razionali.

Per questo non è eccessiva

l’affermazione che soprattutto nella

poesia è contenuta l’essenza della

nostra identità. I riferimenti

primordiali di quello che siamo, il

timbro originale di chi ha costruito la

nostra forma comunitaria di essere. In

esse, come anche nei proverbi

tradizionali (dizzos) sto ricercando

quei segni che contraddistinguono da

sempre la cultura dei sardi.

Ad iniziare dalla lingua per arrivare a

conoscere alcuni modelli del modo di

pensare, a qualcosa che non è del tutto

definito ma che fa parte del modo di

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essere che lo psicologo Karl Jung ha

denominato “inconscio collettivo” o miti

di fondamento del modo di essere e di

vivere meglio.

Come diceva Gilbert Keith Chesterton

(quello di Padre Brown) : “Le fiabe non

insegnano ai bambini che i draghi

esistono, i bambini che i draghi

esistono lo sanno già, le fiabe

insegnano ai bambini che i draghi

possono essere sconfitti!".

Page 9: Mastros de paraula, mastros de vida

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IN SARDU

“Sa limba est comente una emmina, si

s’abbizat ca la chircas chin amore, si

rendet, non si cuat”.(Paolo Pillonca)

Sa prima limba c’appo imparau e chi m’at

fattu connoschere sos primos sentidos

est su sardu chi s’allegat in Durgali.

In iscola m’an obricau a allegare in

d’una attera limba. M’an imparau a

iscriere e a lezzere in italianu.

Apustis, a mannu, appo istudiau peri

ateras limbas: inglesu, portoghesu,

ispagnolu, franzesu. Medas limbas e sa

gana de connoschere ene su sensu de sas

paraulas e de sa vida.

Appo lettu sos iscrittos de Tullio De

Mauro, de Antonio Gramsci e de atteros

istudiaos chi achen sa differessia tra

limba e dialettu.

Sa limba est s’istrumentu po podere

numenare, cumprendere, allegare e

iscriere de donnia cosa chi si pessat.

Narant ca su dialettu, imbezzes, est

fattu de paraulas de itianu, po sos

travallos umiles, no balet po s’iscola,

non si podet bortare in atera allega. O

menzus, narant ateros, su dialettu è

unu modu de interpretare una limba in

d’unu locu minore.

In su libru “Alice nel paese delle

meraviglie” de Lewis Carroll appo lettu:

“Cando impero una paraula custa cheret

narrere propriu cussu chi cherzo ieo –

nudda de prus e nudda de mancu.

Page 10: Mastros de paraula, mastros de vida

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- Sa dimanda est si si podet fachere

in modu chi sas paraulas cherzana

narrere medas cosas, at rispostu Alice.

Ma sa dimanda zusta est: Chie cumandat?

E tottu finidi inoche.” Chie cumandat po

dezidere comente allegare e in cale

limba?

Chie dezidit ghite mantennere e ite

cambiare in su modu de narrere e de

bivere?

Sas limbas poden esser bortasas s’una

chin s’atera dande contu de su sensu e

de su valore de sos pessamentos; cosa

chi sos dialettos, naram in medas, non

be resessini o est meda prus diffizile.

Sos mastros de limbas narant ca su sardu

est una limba. At tottu sos trastes de

grammatica, de sintassi po essere a su

propriu livellu de s’ateras limbas

naschias dae su latinu.Sas limbas sone

unu produtu de sa vida e de su trattu de

sas pessones in sociedade e in familia.

S’imparana, si cambiana, s’allegana a

pare, limba chin limba, e s’adattana sas

paraulas a su modu de narrere de cada

una. Su sardu s’allegat, si faedat, si

questionat, in modu diversu in cada idda

de Sardinna. E gasi depet essere. Oje

est su documentu de identitade prus

veru.

Ieo non connosco prus a tottu mancu in

bidda mia, ma intendende s’allega isco

derettu si unu est durgalesu o si est de

Baronia o de Uliana...

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No est prus su istire o s’andonzu; sos

cuccos o sas zoicas; est sa limba chi

narat de nue sese. Sos ischìos han

cuncordau regulas de comente depet

essere iscritta; sas regulas de sa

grammatica de comente si narant sas

parualas (fonetica) e creo chi siat una

cosa zusta e chi servit a dare valore a

custa prenda chi non depimus isperdere.

Po podere dare contu de tottu sos

pessamentos in modu zustu si mischian

paraulas de ateras limbas (eris su

latinu, s’ispagnolu, su catalanu,

s’arabu; oje s’italianu, su franzesu e

meda de prus s’inglesu).

Comente in donnia sociedade moderna b’at

diferessias in s’allega de sos tècnicos:

medas modos de narrere non s’usan prus.

Su mundu est cambiau e medas paraulas si

son perdende, dae cando sos mannos chi

bivian in cuile e in d’una idda inue

quasi tottu ini pastores, massios o

mastros artigianos.

Sos prus de sos pizzinos chi istudian

oje, forzis, no ischin prus chite est

unu ettazou o unu paralimpu; una

calavrina o una mannalita, unu odde o

una pranita. O ateras paraulas chi sone

sinzale de una vida colà o sone imperas

in zertos travallos e non son prus

connotas dae tottu.

Appo intesu allegande pizzinnos chi

imperant su sardu e un’italianu

porcheddinu, chin paraulas inglesas

bortas in sardu.

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Oje si podet intendere unu durgalesu

narande osi: “Callia deddè, ca soe

travallande in su computer e mi ses

istressande chin cussa televisione” … Sa

limba est s’anima de sa cultura.

S’ispricu de s’identidade.

Semus bivende irfidas noas de su locu,

de sa idda, de sa Sardinna, chin sos

problemas de s’Italia, de s’Europa e de

su mundu.

“Locale e globale” naramus in italianu,

sa cussorza e su mundu. E una gherra

inue una banda de su mundu nos cheret

tottu uguales: allegande sa propria

limba, mandicande sas proprias cosas,

estinde uguale, in cale si siat banda de

sa terra. E custu no andat bene. Depimus

mantennere ìa sa cultura nostra, de

Durgali e de sa Sardinna, imparande e

imperande cosas noas ma dande valore a

s’eressia chi nos ane lassau sos mannos

: sa limba, su mandiconzu, sos ballos,

sos cantos, sos dizzos, sas poesias. E

non comente cosa de ammustrare a sos

turistas istranzos, ma comente undamentu

de su modu de bivere e de pessare. Chi

sone s’unica cosa nostra. Non cambio,

alu oje, unu tattaliu, una cordedda, unu

cazzu, o unu canzu de casu muchidu e su

pane carasau, chin nudd’atteru in su

mundu. Medas cosas cambiant e est zustu

osi. Ma sos cambiamentos depene essere

seperaos chin liberdade e non depene

essere impostos dae fora.

Page 13: Mastros de paraula, mastros de vida

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Sa limba sarda, po mene su durgalesu, si

depet appropriare de cantu de prus

bellu e de prus interessante esistit in

sas ateras limbas.

Ischinde ca si podet narrere cale si

siat cosa mischiande sas paraulas,

ortandelas in poesia, in canzones, in

dizzos o in grobes. Po cussu appo proau

a iscriere in durgalesu e in italianu. A

dare valore a cantu ane iscrittu sos

poetas sardos e durgalesos.

E a sa vine appo provau, belle che po

jocu, a iscriere ieo, in durgalesu,

pessande a poesias, canzones e dizzos

de su mundu intreu. Cantu be sia

resessiu non disco. Ispero chi

interessen a calicunu.

A mimmi m’es aggradau e serviu.

Alternando italiano e sardo con uguale

dignità e valore. Da dorgalese, sardo e

da cittadino del mondo, Italia ed Europa

incluse.

Vincenzo Pira , agosto 2012

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IN ITALIANO

“La lingua è come la donna, se s’accorge

che la cerchi con amore, si svela, non

si nasconde”. (Paolo Pillonca)

La prima lingua che ho imparato, e che

mi ha fatto conoscere i primi

significati, è il sardo che si parla nel

paese di Dorgali. A scuola mi hanno

obbligato a parlare in un’altra lingua.

Mi hanno insegnato a scrivere e leggere

in italiano. Successivamente, da grande,

ho studiato anche altre lingue :

inglese, portoghese, spagnolo, francese.

Molte lingue e il desiderio di conoscere

bene il significato delle parole e della

vita.

Ho letto gli studi di Tullio De Mauro,

di Antonio Gramsci e di altri esperti

che analizzano le differenze tra lingua

e dialetto.

La lingua è lo strumento per poter

nominare, capire, trasmettere e scrivere

ogni pensiero.

Dicono che il dialetto, invece, è fatto

di parole del quotidiano, per i lavori

umili, non serve per la scuola, non

serve per le traduzioni da altre lingue.

O meglio, affermano altri, il dialetto è

una maniera di interpretare una lingua

in una piccolo territorio.

Nel libro “Alice nel paese delle

meraviglie” di Lewis Carroll ho letto:

Page 15: Mastros de paraula, mastros de vida

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Quando io uso una parola, questa

significa quello che io voglio farle

significare, nè più nè meno.”

- Ma la questione è”, disse Alice, “se

può dare alle parole tanti significati

diversi…”

- “La questione è” ripetè Humpty Dumpty,

“chi è che comanda… ecco tutto.”

Chi comanda e decide sul come si parla e

in quale lingua?

Chi decide cosa mantenere e cosa

cambiare nei modi di dire e di vivere?

Le lingue possono essere tradotte l’una

con l’altra dando conto del significato

e del valore dei pensieri; e ciò, dicono

alcuni, non è possibile o è più

difficile con i dialetti.

I linguisti dicono che il sardo è una

lingua. Ha tutti i riferimenti

grammaticali, di sintassi per essere

considerata al livello di tutte le altre

lingue neo latine.

Le lingue sono un prodotto della vita e

delle relazioni tra le persone in

società e nella famiglia. Si imparano,

si cambiano, si parlano tra loro, lingua

con lingua, e si adattano le parole ai

modo di dire di ognuna di loro.

Il sardo si parla in modo diverso in

ogni paese di Sardegna. E così deve

essere. È oggi il documento di identità

più vero. Io non riconosco più neanche i

miei paesani più giovani, ma ascoltando

il parlare capisco subito se uno è di

Dorgali, di Baronia o di Oliena…

Page 16: Mastros de paraula, mastros de vida

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Non è più il modo di vestire o il modo

di camminare; la pettinatura o i

gioielli; è la lingua che indica la

provenienza.

Gli esperti in linguistica hanno

proposto regole del come scrivere in

sardo; codificato regole grammaticali e

della fonetica e credo sia una scelta

adeguata che aiuta a valorizzare questo

tesoro che non dobbiamo disperdere.

Per poter esprimere adeguatamente ogni

pensiero si usano parole provenienti da

altre lingue (in passato si faceva

riferimento al latino, lo spagnolo, il

catalano, l’arabo; oggi si usa

l’italiano, il francese e, in modo più

preponderante, l’inglese).

Come in ogni società moderna vi sono

modalità diverse nei linguaggi tecnici e

modi di dire che non si usano più.

Il mondo è cambiato e molte parole si

sono perse, da quando i nostri avi

vivevano soprattutto negli ovili, e

tutti erano pastori, contadini o

artigiani.

La maggior parte degli studenti di oggi,

forse, non sanno cos’è un “ettazou” o un

“paralimpu”; una “calavrina” o una

“mannalita”, un “odde” o una “pranita”.4

4 Ettazou e paralimpu: persone incaricate a verificare la possibilità di

fidanzamento – Calavrina : cavallina – Mannalita:capra domestica - Odde :

mantice – Pranita : piccola pialla.

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O altre parole che sono evocazione di

una vita passata o che sono usate ancora

nell’ambito professionale e tecnico e

non sono più conosciute da tutti.

Si sentono i ragazzi parlare usando il

sardo o l’italiano pieno di sardismi,

con parole inglesi tradotte in sardo.

Oggi può succedere di sentire un

dorgalese dire: “Stai zitto, ragazzino,

perché sto lavorando al computer e mi

stai stressando con quella televisione”…

La lingua è l’anima di una cultura. Lo

specchio dell’identità.

Dobbiamo assumere nuove sfide locali,

nel paese, in Sardegna, con i problemi

dell’Italia, dell’Europa e del mondo.

Locale e globale, il proprio territorio

e il mondo.

E un confronto in cui una parte del

mondo ci vorrebbe tutti uguali :

parlando un’unica lingua, mangiando gli

stessi alimenti, indossando gli stessi

vestiti, in ogni parte della terra. E

ciò non va bene.

Dobbiamo mantenere viva la nostra

cultura, di Dorgali e della Sardegna,

imparando ed utilizzando cose nuove ma

dando valore all’eredità che ci hanno

lasciato i nostri avi: la lingua, il

cibo, i balli, i canti, i proverbi, le

poesie.

E non come oggetti da mostrare ai

turisti, ma come fondamenta del modo di

vivere e di pensare. In quanto sono il

nostro vero capitale.

Page 18: Mastros de paraula, mastros de vida

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Non cambierei, un tattaliu, una

cordedda, un cazzu, o un pezzo di

formaggio marcio e il pane carasau, con

nessun altro cibo al mondo.

Molte cose cambiano ed è giusto che sia

così.

Ma i cambiamenti devono essere scelti

liberamente e non possono essere imposti

dall’esterno.

La lingua sarda, per me la sua versione

dorgalese, si deve appropriare di tutto

ciò che di più bello e di più

interessante esiste nelle altre lingue.

Sapendo che si può esprimere qualsiasi

cosa mescolando le parole, traducendole

in poesia e canzoni, in proverbi o in

cantici.

Per questo ho tentato di scrivere in

dorgalese e in italiano.

Valorizzando quanto hanno scritto i

poeti sardi e i poeti dorgalesi. E,

infine, ho provato, quasi per gioco, a

scrivere in dorgalese, ispirandomi a

poesie, canzoni e proverbi del mondo

intero. Quanto ci sia riuscito non lo

so, Spero interessino ai miei quatto

lettori. A me è piaciuto e mi è stato

molto utile.

Page 19: Mastros de paraula, mastros de vida

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POETA SI NASCE O SI DIVENTA ?

“Il più umile canto popolare, se un

raggio d’umanità vi splende, è poesia, e

può stare a fronte di qualsiasi altra e

sublime poesia” (Benedetto Croce)

Che cosa è la poesia? Dice un dizionario

di lingua italiana: “in senso generale è

l’arte e tecnica dell'esprimere in versi

una determinata visione del mondo”.

Poi, da un manuale di poetica ho appreso

che “Chiamasi poeta chi possiede la

facoltà di concepire l'idea del bello e

di renderlo sensibile ad altri. Quindi

la poesia, considerata come produzione

del poeta, altro non è che la

manifestazione del bello da esso

concepito. Il fine cui tende la poesia è

di signoreggiare il cuore e la fantasia,

ovvero l'una e l'altra insieme, rendendo

sensibile ad altri il bello concepito

dal poeta. Il mezzo con cui la poesia

ottiene questo fine è il diletto. Così

definita la poesia, si vede che regna

su tutte le belle arti e che si può

trovare in tutte le opere della parola,

quindi è piaciuto a qualcuno, per

contrapposto di chiamare 'prosaiche'

quelle composizioni di qualsiasi arte

sia, senza fuoco, senza sangue,

senz'anima che sono frutto

dell'esperienza più presto che

dell'intero sentimento”.

Page 20: Mastros de paraula, mastros de vida

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Parole messe insieme con musicalità,

armonia, emozione. Con successive regole

condivise dai poeti e spiegate nei

manuali. Ma saper dosare, come ogni buon

impasto riuscito, forma e contenuto,

stile, impegno civile e sociale. Conta

il parere di Giacomo Leopardi ?

Eccolo : “Molti ripongono tutto il

pregio della poesia, anzi tutta la

poesia, nello stile, e disprezzano

affatto, anzi neppure concepiscono, la

novità dei pensieri, delle immagini, dei

sentimenti; e non avendo né pensieri né

immagini né sentimenti, tuttavia per

riguardo dello stile si credono poeti, e

poeti perfetti e classici; questi tali

sarebbero forse ben sorpresi se a loro

si dicesse, non solamente che chi non è

buono alle immagini, ai sentimenti, ai

pensieri non è poeta, il che

negherebbero schiettamente o

implicitamente, ma che chiunque non sa

immaginare, pensare, sentire, inventare

non può possedere un buon stile poetico,

né tenerne l’arte, né giudicarlo nelle

opere proprie ed altrui”.5

Benedetto Croce ci aiuta valorizzando la

spontaneità e freschezza dei poeti

popolari: “E poetici non sono solo gli

Ettori e gli Aiaci e le Antigoni e le

Didoni, e le Francesche e le Margherite,

e i Macbeth e i Lear, ma anche i

Falstaff e i Don Chisciotte e i Sancio

Panza; e non solo le Cordelie e le

5 Leopardi, Giacomo, Lo Zibaldone, Mondadori, 2004

Page 21: Mastros de paraula, mastros de vida

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Desdemone e le Andromache, ma anche le

Manon Lescaut e le Emme Bovary, o le

contesse e i cherubini del mondo di

Figaro.

E non solo il sentire di un Foscolo, di

un De Vigny o di un Keats, ma anche

quello di un Villon. E non solo poetici

suonano gli esametri virgiliani, ma

anche gli esametri maccaronici di Merlin

Cocai, che hanno tratti bellissimi di

fresca umanità.

Non solo i sonetti del Petrarca, ma

persino quelli pedantesco-burleschi di

Fidenzio Glottocrisio.

Il più umile canto popolare, se un

raggio d’umanità vi splende, è poesia, e

può stare a fronte di qualsiasi altra e

sublime poesia. In particolare, una

boria di falsa gravità rende ritrosi a

siffatto riconoscimento dinanzi a opere

in cui si vede dispiegarsi la gaiezza e

il riso, quanto invece propensi dinanzi

ad altre in cui si addensano il solenne,

il doloroso, il tragico, il

terrificante; se non ché accade non di

rado che questi ultimi toni si

presentino rigidi, crudi, violenti,

impoetici, laddove quella gaiezza e quel

riso scoprono, a chi ben le guardi, la

venatura del dolore e la comprensione

dell’umanità.

A rendere l’impressione che la poesia

lascia di sé nelle anime, è affiorata

«malinconia»; e veramente, la

conciliazione dei contrari, nel cui

combattersi solamente palpita la vita ,

Page 22: Mastros de paraula, mastros de vida

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lo svanire delle passioni che insieme al

dolore apportano non so qual voluttuoso

tepore, il distacco dalla terrestre

aiuola che ci fa feroci, ma è nondimeno

l’aiuola dove noi godiamo, soffriamo e

sogniamo, questo innalzarsi della poesia

al cielo è insieme un guardarsi indietro

che, senza rimpiangere, ha pur del

rimpianto.

La poesia è stata messa accanto

all’amore quasi sorella e con l’amore

congiunta e fusa in un’unica creatura,

che tiene dell’uno e dell’altra.

Ma la poesia è piuttosto il tramonto

dell’amore, se la realtà tutta si

consuma in passione d’amore: il tramonto

dell’amore nell’euthanasìa del ricordo.

Un velo di mestizia par che avvolga la

Bellezza, e non è velo, ma il volto

stesso della Bellezza”.6

6 Croce, Benedetto, La poesia, Laterza, Bari, 1953, pag. 3-12

Page 23: Mastros de paraula, mastros de vida

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POESIA E SARDEGNA

Ogni terra ha i suoi poeti. La Sardegna

tra queste. Poesie nate in una cultura

che tradizionalmente ha fatto del

silenzio e della riservatezza il suo

scudo protettore: “Allega pacu po non

faddire meda”7. Che ha sempre diffidato

della scrittura . “Nde morit prus sa

pinna chi non sa balla”.8 Cultura che ha

ritualizzato, a modo suo, momenti

fondamentali della vita: il nascere,

l’innamorarsi, l’amicizia, il godere, il

morire. E trova gli strumenti adeguati

per poter esprimere adeguatamente

questo: non con nude parole improvvisate

ma con il canto, la poesia, la musica,

il ballo. Che rispondono a regole

condivise e permettono di vincere, nel

rito, l’inadeguatezza personale,

l’ignoranza, la vergogna, il timore di

non essere all’altezza. Diventa bene

comune di tutti e non un privilegio

aristocratico degli eletti per diritto

divino. Di poter esprimere i propri

sentimenti senza paura di sminuire la

propria virilità e mantenere il giusto

equilibrio di uomo lavoratore della

campagna e di uomo di comunità e di

cultura. Tentare di evitare la dicotomia

tra natura e cultura ma cercare una

equilibrata sintesi e simbiosi che non

esasperi più rigidamente la divisione

7 Parla poco per non sbagliare tanto . 8 Ne uccide più la penna del proiettile

Page 24: Mastros de paraula, mastros de vida

24

dei compiti di lavoro o la separazione

dei ruoli basati sul genere – compiti

che sono da donna e compiti dell’uomo.

Problema ancora irrisolto nelle nostre

famiglie : la modernità richiede pari

opportunità e che se la donna lavora

anche fuori casa l’uomo può occuparsi

della cura dei figli e delle faccende

domestiche. I nostri modelli di

riferimento tradizionali fanno fatica ad

accettare socialmente ciò.

L’avvicinarsi alla produzione poetica

popolare ha appassionato tanti studiosi.

Tra questi Antonio Gramsci che con

grande lungimiranza ha scritto : “Si

può dire che finora il folclore sia

stato studiato prevalentemente come

elemento ‘pittoresco’. Occorre

studiarlo, invece, come ‘concezione del

mondo e della vita’ implicita in grande

misura, di determinati strati

(determinati nel tempo e nello spazio)

della società, in contrapposizione

(anch’essa per lo più

implicita,meccanica, oggettiva) con le

concezioni del mondo ‘ufficiale’ …”.9

La culture nazionali, egemoni, hanno

storicamente teso a subalternizzare ogni

cultura locale. Col disprezzo degli usi

e costumi, con il deridere la lingua

riducendola a dialetto, imponendo

modelli e strumenti di comunicazione

estranei alla comunità locale. E la

cultura locale entra in crisi, perde la

9 Gramsci, Antonio, Letteratura e vita nazionale, Editori Riuniti, pag. 267

Page 25: Mastros de paraula, mastros de vida

25

fiducia in sé stessa, muore nei suoi

membri il senso di appartenenza di

orgoglio e si rifugia nella

folclorizzazione, nel mostrare aspetti

pittoreschi in processi di

spettacolarizzazione.

Riti che non evocano più la vita ma la

mercificazione dei miti di riferimento.

In contrapposizione a ciò sorge un

movimento spontaneo di resistenza e di

difesa dell’identità originaria.

Un rifiuto a ‘folklorizzare’,

‘mercificare come spettacolo pittoresco

di varietà’ la propria identità

culturale. Non una semplice nostalgia

della riscoperta, spesso a fini di

mercato turistico, della produzione

arcaica, ma una riproposizione rinnovata

della memoria collettiva e un uso

vitale, vivo, per capire e migliorare la

propria esistenza. Chi sono ? Perché

esisto ? Che senso e che fine ha la vita

delle persone ? E su questo si

definiscono alcuni aspetti fondamentali

su cui anche i poeti sardi hanno

discusso e cantato.

Privilegiare la poesia nel contesto

della narrazione orale (recitata o

cantata) o anche scriverla ?

A chi si pensa e a chi ci si rivolge nel

comporre le poesie?

E quindi in quale lingua ?

In sardo o in italiano ?

Page 26: Mastros de paraula, mastros de vida

26

Le origini erano l’oralità,

l’improvvisazione e l’uso esclusivo del

sardo. Una produzione che è patrimonio

di tutti; non occorre aver frequentato i

licei o le università per fare poesia.

Nasce anzi spontaneamente per

incorniciare i momenti della vita

quotidiana: il lavoro, i momenti di

divertimento, le situazioni importanti

della esistenza.

Il legame con la terra in cui si è nati,

il legame con la famiglia, gli affetti,

l’amicizia, l’amore, il dolore,

l’allegria.

Page 27: Mastros de paraula, mastros de vida

27

Antioco Casula, Montanaru, poeta di

Desulo (1878 – 1957) la pensava così:

It’est sa poesia?…

Est sa lontana bell’immagine

bida e non toccada,

unu vanu disizu, una mirada,

unu ragiu ’e sole a sa fentana,

Unu sonu improvisu de campana,

sas armonias d’una serenada

o sa oghe penosa e disperada

de su entu tirende a tramuntana.

It’est sa poesia?…

Su dolore, sa gioia,

su tribagliu, s’isperu,

sa oghe de su entu e de su mare.

Sa poesia est tottu, si s’amore

nos animat cudd’impetu sinceru,

e nos faghet cun s’anima cantare10.

10 Che cos’è la poesia ? / È la lontana bella immagine/vista e non toccata/ un

vano desiderio, uno sguardo/ un raggio di sole alla finestra./ Un suono

improvviso della campana/ le armonie di una serenata/ la voce penosa e

disperata/ del vento che soffia a tramontana./ Che cos’è la poesia ? Il dolore,

la gioia / il lavoro l’attesa/ la voce del vento e del mare./ La poesia è tutto, se

l’amore/ ravviva questo impeto sincero/ e ci fa con l’anima cantare./

Page 28: Mastros de paraula, mastros de vida

28

Sono bella poesia la spontaneità delle

espressioni estemporanee che

accompagnano la quotidianità - le nenie

(anninnia), i canti funebri (attittos) i

canti della trebbia o della tosatura, le

serenate notturne o i canti della

baldoria, i canti delle donne durante i

lavori domestici.

Molto si è perso nella vita quotidiana.

In molti casi non esistono più le

attività lavorative che venivano

accompagnate dai canti, in altri la

lingua sarda ha perso la funzione

primaria a favore dell'italiano con

tutte le conseguenze comunicative che

ciò comporta.

Alla fine del secolo XIX si hanno, in

Sardegna, le prime rappresentazioni

pubbliche con un corrispettivo in soldi,

regolamentate da una giuria e sono anche

oggi ancora molto diffuse.

L'apprendimento della arte estemporanea

si affida ai sistemi tradizionali tipici

delle culture dell'oralità:imparare

praticamente a fare poesia, come si

impara a suonare la musica anche se non

si sa leggere il pentagramma. Comporre

rispettando le regole metriche e la rima

senza averlo imparato dai libri ma a

orecchio. Ciò non significa che non sia

possibile far riferimento alla cultura

classica (greca, romana e sarda) che è

patrimonio conosciuto e molto citato dei

poeti.

Page 29: Mastros de paraula, mastros de vida

29

Come anche l’ispirazione a poeti loro

contemporanei che compongono in altre

lingue (latino, italiano o spagnolo)

attingendo a parole “sardizzate” che

meglio danno il senso del concetto che

si vuole esprimere. Contaminazione

positiva tra diverse lingue che è sempre

avvenuto e porta a una migliore sintesi

comunicativa tra locale e globale senza

perdere troppo della identità originaria

e favorendo una più universale

comprensione.

Alla graduale scomparsa dei sistemi

tradizionali di trasmissione (quelli che

l’antropologo Michelangelo Pira (Bitti,

1928 – Capitana 1980) definiva “Scuola

Impropria”) non pare vi sia allo stesso

tempo un simile sviluppo dei nuovi

mezzi di formazione nella scuola formale

o nei mezzi di comunicazione

tradizionali.

La cultura sarda, nel suo insieme, e la

poesia o il canto in particolare, è poco

presente nella programmazione didattica

e nella formazione accademica. Lo spazio

riservato, per esempio alla espressione

poetica estemporanea o ai canti si trova

oggi nelle tradizionali feste paesane e

a disposizione, sempre, in internet nei

video di “Youtube”. Chi vuole così

trova, con il computer, la produzione

poetica cantata, ma anche le nuove

produzioni scritte in sardo in diversi

siti nati con il fine di promuoverla e

valorizzarla.

Page 30: Mastros de paraula, mastros de vida

30

Juanne Antoni Carta, poeta logudorese,

recita in un video questo sonetto di

Antoni Lugheddu, sulla questione del

come fare poesia :

http://www.youtube.com/watch?v=r3pzpyHqg

F4

Basare la poesia sull’erudizione o sulla

conoscenza delle tecniche (rima e

metrica)?

Zertos crene chi a forza de cultura

diventare poetas sutta mastru

ma a lu videre non naschit in cuss’astru

e guerrat invanu contra a sa natura.

S’arte pro mese unit s’innestadura

cambiat in pira ona su pirastru

ma si a pira iffertit su ozzastru

perdet tempus, tassellos e fatura.

Zuchent sa limba po impiastrare

versos guastos cun rima forzada

che a sa matessi cosa a vaidare.

Una pianta de frutos ispozzada

a che la cheres a forza falare

ite nde falas si non b’indada?11

Conoscere i temi ma anche saperli

raccontare con metodo, spessore e

serietà.

11 Alcuni credono che a forza di cultura/ si possa diventare poeti sotto il maestro/ ma a

vedere chi nasce con questo astro/ e lotta invano contro natura./ L’arte al mese unisce

l’innesto/ e cambia in buona pera l’albero infruttuoso/ma se vuole tirar pere dalla

quercia/ perde tempo, tasselli e fattura./ Hanno la lingua per impiastrare/ versi guasti

con rima forzata/ che è la stessa cosa che vigilare./ Una pianta spoglia dei propri frutti/

e la vuoi per forza raccogliere/ che cerchi se non c’è nulla ?

Page 31: Mastros de paraula, mastros de vida

31

Unire in una sintesi equilibrata sia

forma e contenuti, sia temi e metrica.

“Unu tempus sa poesia fit cosa seria, po

imparare a resonare. Oje cheren

s’ispettaculu, sas barzelletas comente

achen in televisione. Sa poesia no est

ispettaculu comicu, sa poesia est

cultura”.

Medas poetas naran : “Chene rima, chene

regula non si achet bella poesia”. 12

Tra questi cito il dorgalese Giovanni

Antonio Mereu (Tottoi Cosaona, Dorgali,

1913 - 2008) che nella sua raccolta di

poesie ha scritto :

“Sa rima li dat prus valore”:

Si d’essere poeta ti nde antas

chi ses de poesia produtore

e cantas chene rima o cantadore

chin su cantonzu tou pacu incantas.

Modas de bi cantare bind’hat tantas

ma sa rima li dat prus valore

però si cantas e no hat tenore

est menzus cree a mie,

si non cantas”.13

12 “Un tempo la poesia era cosa seria, per imparare, per ragionare. Oggi

vogliono lo spettacolo, le barzellette come in televisione. La poesia non è

spettacolo, la poesia è cultura”. “Molti poeti dicono: senza rima, senza regola

non si fa bella poesia”. 13 Se ti vanti di essere poeta / di essere uno scrittore di poesie / e canti senza

rima, o cantore/ con il tuo cantare poco incanti./ Modi di cantare ve ne sono

tanti/la la rima gli da più valore/però se canti e non hai tenore/è meglio,

credimi / se non canti./

Page 32: Mastros de paraula, mastros de vida

32

Nenie, preghiere, canti, proverbi e

poesie. Consapevolezza del senso del

tempo, di quello sacro e di quello

profano; di quello serio e di quello in

cui prevale la giocosità. Del caldo e

del freddo, delle stagioni e dei suoi

frutti; delle feste e del lavoro; del

sole e delle luna, del giorno e della

notte. Dell’amore e della ‘disamistade’.

Di tante cose che si possono dire con le

parole e di tante altre, più numerose e

importanti, da scoprire nel silenzio,

custodite nel cuore ed espresse solo

nella poesia. O nel canto e nel ballo.

L’ordinario vissuto in modo regolare e

ripetitivo ogni giorno e lo

straordinario che spesso irrompe

cambiando strutturalmente le cose.

“Dae s’Anninnia po drommire sos pipios a

sas grobes de istima po s’amicu, po

s’amorada o po s’isposa”.14

Il primo argomento significativo, che

abbiamo già affrontato nelle pagine

precedenti, è quello della lingua e

della capacità espressiva.

Tema che tocca la storia della

letteratura sarda e dei suoi autori. E

non possiamo che rifarci alla memoria

popolare, alle fonti storiche, alle

pubblicazioni, da quando si è iniziato a

scrivere anche in sardo.

14 Dalla ninna nanna per addormentare i bambini ai canti di stima per l’amico,

per la fidanzata e per la sposa.

Page 33: Mastros de paraula, mastros de vida

33

Inizialmente la maggior parte di chi

deve scrivere in Sardegna appartiene al

clero o alla nobiltà. E quindi le

composizioni sono traduzioni di

preghiere o elaborazioni ispirate a

fonti di riferimento colte.

Il popolo, i pastori, i contadini e gli

artigiani compongono e comunicano

nell’ambito della sola oralità.

Alcuni di questi “intellettuali”

diventano mediatori tra la produzione

culturale dei subalterni e quella

egemone dei colti.

Tra questi ricordiamo, come il più

importante, Giovanni,Spano

(Ploaghe,1803–Cagliari,1878).

In “Proverbi sardi” ha raccolto

espressioni significative della vita

quotidiana dell’Isola (dizzos), in molte

delle quali si trova riflesso l’intero

sistema di riferimenti morali, religiosi

e simbolici che stanno a fondamento

della cultura sarda.

Pubblicò i risultati dei primi studi

archeologici nel Bollettino archeologico

sardo (1858-68). Pubblicò varie opere

sulla lingua sarda: Ortografia sarda

nazionale, ecc. (1840); Vocabolario

sardo-italiano e Italiano-sardo (1851-

52); Vocabolario sardo geografico,

patronimico ed etimologico (1872) e la

raccolta “Canzoni popolari inedite in

dialetto sardo centrale ossia logudorese

(1863 la Parte prima canzoni popolari

inedite storiche e profane e nel 1865 la

Page 34: Mastros de paraula, mastros de vida

34

seconda parte – Canzoni sacre e

didattiche). Nel 1873 pubblica “Canti

popolari in dialetto sassarese.

Ed è il Logudorese la lingua di

riferimento per i poeti che iniziano a

trascrivere poesie declamate nelle gare

poetiche paesane. Gare che per tanto

tempo si realizzavano senza regole

precise. Oltre al cantare tra amici,

spesso, i poeti più dotati si esibivano

in pubblico in occasioni di feste e riti

religiosi o civili.

Fino a quando a Ozieri nel 1896, per

iniziativa di Antonio Cubeddu (Ozieri,

1863 – Roma 1955) la gara in piazza

venne regolarizzata quasi cosi come oggi

la conosciamo noi.

Tra i poeti popolari, per più di 40 anni

Raimondo Piras (ziu Remundu - Villanova

Monteleone, 1905 – 1978) fu protagonista

di memorabili gare con gli avversari del

momento, in molte piazze di vari paesi

delle Sardegna. Si ricorda il suo

debutto nei palchi a 19 anni neppure

compiuti. Resta vittima però della

proibizione voluta da vescovi e fascismo

ed è costretto al silenzio per tredici

anni, dal 1932 al 1945, a causa del

divieto a cantare imposto a tutti i

“cantadores” di quel periodo. Riprende a

cantare nel dopoguerra richiestissimo

nelle piazze di tutta l’isola. La sua

produzione non è stata solo orale.

Piras ci ha lasciato anche delle poesie

di genere più meditato che hanno avuto

una larga diffusione dopo la sua morte.

Page 35: Mastros de paraula, mastros de vida

35

In particolare si ricordano più

frequentemente “Misteriu”, raccolta di

sonetti, “Bonas Noas”, satire e terzine,

“Sas Modas”, canti lunghi che

concludevano le gare poetiche e “A

bolu”, raccolta di ottave improvvisate.

Poco prima di morire, nel 1977, Remundu

Piras ha pubblicato un sonetto dal

titolo “Non sias isciau”, che è

diventato in qualche modo il manifesto

delle rivendicazioni culturali

dell’isola in merito alla tutela e

valorizzazione della lingua sarda.

In internet si trova parte della sua

opera:

http://www.poesias.it/poeti/piras_raimon

do/piras_raimondo.htm

Page 36: Mastros de paraula, mastros de vida

36

NON SIAS ISCIAU

O sardu, si ses sardu e si ses bonu,

Semper sa limba tua apas presente:

No sias che isciau ubbidiente

Faeddende sa limba ‘e su padronu.

Sa nassione chi peldet su donu

De sa limba iscumparit lentamente,

Massimu si che l’essit dae mente

In iscritura che in arrejonu.

Sa limba ‘e babbos e de jajos nostros

No l’usades pius nemmancu in domo

Prite pobera e ruza la creides.

Si a iscola no che la jughides

Po la difunder menzus, dae como

Sezis dissardizende a fizos bostros. 15

15 Non essere schiavo / O sardo se si sardo e buono/ abbi sempre in

considerazione la tua lingua./Non essere come uno schiavo obbediente/

parlando la lingua del padrone./ La nazione che perde il dono/ della lingua

scompare lentamente/soprattutto se dimentica/ sia la scrittura sia il ragionare./

La lingua dei nostri padri e nonni/ non l’usate più neanche in casa/ perché la

ritenete povera e rozza./ Se non la portate a scuola/ per difenderla meglio da

subito/ state distruggendo l’identità sarda dei vostri figli./

Page 37: Mastros de paraula, mastros de vida

37

Si ricorda una gara che ebbe luogo nel

1947, in occasione della festa di San

Leonardo il poeta si rivolge al Santo,

invocandolo per alcuni compaesani

dispersi in guerra.

Lenaldu sun tres annos chi ti prego

pro sos dispersos de custa dimora.

Sun otto o noe chi mancana ancora,

chi no si nd'at ischidu fin'a oe:

sas mamas s'isperantzia ana peldìdu

e preghende a torrare oju non tàncana

sun otto o noe chi ancora màncana

chi non si nd'at ischidu fin'a oe

sunu ancora chi màncana otto o noe

chi fin'a oe non si nd'at ischidu.

Sas mamas s'isperantzia ana peldìdu

no tancana oju a torrare preghende.

cando partidos sunu, adìu nende

totu a s'altare tou sun bennìdos

adìu nende cando sun partidos,

sun tot'ennidos a su tou altare:

ca tando isperain de torrare

t'ana leadu a protetore issoro.

Cando mai si tue asa unu coro

su piantu 'e sas mamas lassas gai?

Si de sos presoneris ses su santu,

si non a tie, a chie pregan tando?

Page 38: Mastros de paraula, mastros de vida

38

Prevale per tanto tempo, anche in

Sardegna, il riferimento al movimento

letterario della Arcadia: un richiamo

alla mitologia classica, alla vita

pastorale idealizzata in paesaggi

bucolici imbelliti da amori romantici in

paesaggi sardi con ispirazione ai

latterati nazionali e antichi classici

(da Metastasio a Virgilio). Le immagini

di bellissime ninfe che giocano e

corrono in una rigogliose foreste,

pastori che compongono musiche divine

con le loro launeddas. Ragazze sarde

paragonate a figlie delle Janas, simili

a Diana e a Venere. Il principale

esponente di tale movimento è Luca

Cubeddu (Pattada,1748–Oristano,1828).

Padre Luca è il poeta dell’Arcadia

sarda. Figura discussa e poco amata dai

suoi superiori. Si rifugiò per anni tra

i monti di Dorgali vivendo con i caprai.

Alterna temi di difesa della morale e

della religione con argomenti più

mondani e poco coerenti coi i voti

religiosi.

A una ragazza che gli chiedeva in dono

dei fiori gli risponde declamando parole

poco adeguate alla veste sacerdotale :

A tie ti narant Rosa

et dimandas rosas tres.

Ma si tue Rosa ses?

Dimandami atera cosa16.

16 Ti chiamano Rosa / e mi chiedi tre rose / Ma se tu sei Rosa / chiedimi

un’altra cosa./

Page 39: Mastros de paraula, mastros de vida

39

Assume e ripropone anche i modelli

metrici che nell'ambito della poesia "in

limba" influenzerà i secoli a venire.

Tra le sue opere più conosciute, i

poemetti a sfondo morale che riprendono

favole antiche o temi classici

dell'edificazione morale e in difesa

della religione. Tra i titoli più famosi

"Su cucu e sa rùndine", "Su leone e

s'ainu", "Si fit a modu de ti nde

furare” e il più famoso e imitato “

Isculta Clori ermosa”.

Isculta, Clori hermosa,

si comente ses bella ses amante,

isculta pro un istante;

Clori, ch'in hermosura inches sa rosa,

ses cara e preziosa

pius de s'oro indianu et de s'arghentu:

inantis de partire

ti prego de ammittire

de su amante tou cust'ammentu …17

Altri poeti sardi da considerare sono

Sebastiano Satta (Nuoro,1867 – 1914, che

ha scritto sia in sardo sia in

italiano), il già ricordato Montanaru,

Melchiorre Murenu, Paolo Mossa,

Salvatore Poddighe, Diego Mele,

Antonino Mura Ena e Peppino Mereu.

17 Ascolta, Clori bella/ siccome sei bella sei amante,/ascolta per un

istante;/Clori, con bellezza superi la rosa/sei cara e preziosa/più dell’oro

indiano e dell’argento:/prima di partire/ti prego de ammettere del tuo amante

questo ricordo./

Page 40: Mastros de paraula, mastros de vida

40

Sono riusciti, usando il sardo, a

svolgere un discorso modernissimo

attribuendo maggiore dignità letteraria

ad un codice nato e cresciuto nel

contesto dell'oralità tipica delle

società agro- pastorili. Assumere un

punto di vista culturale che media tra

il folklorismo evasivo e mistificatorio

di fine Ottocento, in cui prevale

l’immagine da cartolina della Sardegna

arcaica e barbarica e l’esigenza di

appartenere al movimento di unificazione

nazionale non solo a livello politico ma

anche culturale e linguistico.

Riprendersi la propria dignità, non

prostituirsi, come denuncia Sebastiano

Satta:

…linghende sos pratos

mesu boidos

che canes de isterzu.

Istan menzus sos bandidos

bellos, balentes e malos.

Menzus su bisonzu

Chi non custos

Fizzos de semenes burdos. 18

18 Leccando i piatti /semivuoti / come cani da cortile / Stanno meglio i banditi/

belli, coraggiosi e cattivi./ Meglio la necessità/ che non questi/ figli di semi

sterili./

Page 41: Mastros de paraula, mastros de vida

41

Melchiorre Murenu, (Macomer 1803-1854)

celebrato come “Omero sardo”, era

analfabeta e cieco. Proveniva da una

famiglia originariamente non povera,

caduta poi in disgrazia con l'arresto

del padre e la sua probabile morte in

carcere. I contemporanei celebrarono

l’eccezionale memoria di Murenu,

certamente favorita dal suo essere non

vedente, che lo obbligò a imparare sui

moduli e sui modelli proverbiali tipici

della cultura orale. Il suo scrivere

risente notevolmente dell'ascolto

attento delle omelie dei predicatori ed

anche la vena moralistica che attraversa

i suoi versi è di chiara ispirazione

della Chiesa cattolica. Cantò spesso il

tema della povertà dovuta al sopruso del

ricco, denunciando l'arbitrio con cui

pochi privilegiati divenivano sempre più

ricchi, e molti poveri sempre più

poveri. Non andò, però, mai oltre la

condanna morale, evitando di dare

valenza politica o sociale ai suoi

testi, nonostante l'avversione esplicita

manifestata contro l'Editto delle

chiudende del 1822.

Esentes e ispozzados

De 'ogni bene paternu,

Cun su cor' e cun s'esternu

Fattende cumparsa trista;

E sos ch’haiant sa vida

Cun sos affannos terrenos.

A servidores anzenos

Tottu frades sunt beidos.

Page 42: Mastros de paraula, mastros de vida

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Gasi semus reduidos

Ruinados in su tottu.

Deo, privu de s’annottu,

Cun lagrimas mi mantenzo. 19

Non manca, nelle sue poesie, il tema

dello scherno del nemico, del dileggio

del potente, costantemente additato al

pubblico sotto mentite spoglie, o della

satira campanilistica (sono notissimi i

suoi versi contro Bosa):

Su culu 'ostr'est meda volenteri

Po ingrassare sos terrinos lanzos;

Bois ischides dar'a sos istranzos

De part' e cibu, pudidu fragheri.

Chircadebos un'ateru merderi

Cun d'unu carrettone ben’armadu… 20

Murenu fu veramente per formazione e

pubblico a cui si rivolse un poeta

popolare. Venne ucciso e i suoi

assassini rimasero impuniti.

Alcune sue poesie si trovano nel sito:

http://www.poesias.it/poeti/murenu_melch

iorre/murenu.htm

19 Defraudati e spogliati / di tutti i beni paterni/ Con il cuore e l’esterno/

Facendo triste comparsa;/E coloro che avevano la vita/ con gli affanni

terreni./A servitori degli altri/tutti fratelli sono visti./Così siamo

ridotti/rovinati del tutto./Io, privo dell’eredità/Con lacrime sopravvivo. / 20 Il vostro culo molto volentieri/per ingrassare i terreni magri;/Voi sapete

dare ai forestieri/parte del cibo putrido e maleodorante./ Cercateti un altro

merdaio/ con un grande carro ben armato…/

Page 43: Mastros de paraula, mastros de vida

43

Paolo Mossa, detto “Paulicu”,(Bonorva,

1821 – 1892.)

Rimase orfano che era ancora un bambino.

Conclusi gli studi ginnasiali nello

stesso paese natio, conseguì a Sassari

il Magistero dove intraprese i corsi

universitari. Prese parte a lotte

politiche suscitando l’invidia degli

avversari, possidentes, dalla mentalità

grezza. Mossa subì due attentati; uno la

sera del giugno 1886, mentre sedeva

sull’uscio di casa e sei anni più tardi,

precisamente il 6 agosto 1892 sulla

strada di Nurapè, a pochi chilometri da

Bonorva. Si tramanda che Paulicu aveva

sin da bambino il dono

dell’improvvisazione.

Compone in logudorese: sciolto,

scorrevole ed elegante, ha nella poesia

un ritmo sonoro e piacevole. Mossa

schiuse nuovi orizzonti alla lirica

logudorese; o imitando Catullo in “Su

Canariu de Flora”, oppure emulando

Ovidio in “S’isula fortunata” o

riproducendo i propri affetti e quelli

dei contadini isolani in Baddemala,

S’attitidu, Sa tempesta, oppure in

quelle più liricamente significative

come In morte de Gisella o in Dori

Lontana.

Si possono leggere le sue poesie in :

http://www.poesias.it/poeti/mossa_paolo/

mossa.htm

Page 44: Mastros de paraula, mastros de vida

44

S'isula de sa fortuna (a Flora)

Ite pensamos fagher, Flor'amada,

In custa terra ingrata traitora?

Non bides cantos viles a un'ora

Chircan s'amore nostru avvelenare?

Flora mia ponzemus pe' in mare,

Andemus a sa terra fortunada.

Ispettende nos est de sa fortuna

S'isula fortunada veramente,

Ue in festa continua sa zente

Vivet senza molestia peruna;

Nè b'incontran sos rajos de sa luna

Luttuosas iscenas de piantu:

Inìe est tot'incantu e de s'incantu

No si poden sos coros saziare.

Flora mia, ponzemus pe' in mare.

Est motivu de gioia e de consolu

Cantu ti si reparat a sa vista:

Su culumbinu, sa turture trista

Cantend'amore leana su ölu;

E-i s'armoniosu russignolu

Pienat de lamentos sa campagna,

Ma non tardat sa dozile cumpagna

Cun versos de amore a lu giamare.

Flora mia, ponzemus pe' in mare.

S'abe brunda, sa pinta mariposa

Sighin s'amante da-e rampu in rampu;

Nè b'hat fiore in buscu, arvur'in campu

Chi non ti mustret s'indul'amorosa:

Su giorminu s'istringhet a sa rosa

E s'abbrazzat a s'ulumu sa ïde,

Immagine perfetta de sa fide

Page 45: Mastros de paraula, mastros de vida

45

Ch'inìe solen tennere in amare.

Flora mia, ponzemus pe' in mare.

Est pro vida s'amore professadu,

Han sagros sos affettos già promissos;

E pro cussu pioet subr'a issos

Ogni grascia chi Deus hat formadu:

Su terrinu produit senz'aradu

Laores cantu nd'hat in bidatone;

Sas arvures de fruttu ogn'istajone

Dan fruttos de sabore singulare.

Flora mia, ponzemus pe' in mare.

Totu in cussu beneficu orizzonte

Est abbundanscia e vera biadìa;

Benit mancu sa ruzza limba mia

Pro chi sas maraviglias tinde conte.

Fina da-e sos chercos de su monte

Be-i curret su mele a perdimentu

E chito su manzanu andat s'armentu

De per isse su latte a presentare.

Flora mia, ponzemus pe' in mare.

Ite piùs? S'ierru a larga manu

Non bi ëttat da-e altu abbas e nies

Ne-i s'istiu inzendiat sas dies

Cun caldanas de sole fittianu ;

Pezzi sempre in delissias d'ëranu

Passan inìe su tempus insoro,

Un'aeritta cun alas de oro

Faghet solu sas fozas tremulare.

Flora mia, ponzemus pe' in mare.

Page 46: Mastros de paraula, mastros de vida

46

Posca in totue padros e giardinos

Sullevan de profumos una nue,

Allegros puzoneddos in totue

Cantan umpare, faghene festinos;

In totue rizolos cristallinos

Rinfriscan sa campagna fiorida...

Vida de Paradisu est cussa vida,

E proite tardamos a b'andare?

Flora mia, ponzemus pe' in mare.

Andemus, s'est ch'abberu m'has amore,

Ma giuremus torrare in custa terra,

Da chi no hat a fagher piùs gherra

A columbos e turtures s'astore;

Su leone de feras distruidore,

Dare cazza non det piùs a fera,

Nadare den sos pisches in s'aera,

E in s'abba sas aes den bolare.

Flora mia, ponzemus pe' in mare.

Da chi pro maraviglias de avanzu

Su rù hat a bundire senz'ispina

E de sa giorva s'aspra raighina

Fruttu det render su piùs liccanzu;

Da chi nascher in mare det s'aranzu

E brancas de coraddu in sa foresta;

Tando mancari muat sa tempesta,

Isolvemus sas velas pro torrare.

Flora mia, ponzemus pe' in mare.

Però custas aeras ti sun caras

E da-e te traith abbisu so...

Ahi! ch'in coro tou has nadu: no,

Mancari non l'isplichene sas laras...

It'has determinadu? ite mi naras?

In modu risolutu ti cumporta:

Page 47: Mastros de paraula, mastros de vida

47

Ma de perder a mie t'accunnorta

O chirca custos dubbios lassare.

Flora mia, ponzemus pe' in mare.

In s'istante sos dubbios ammella,

Ca, si no, cantu prestu m'ïdes mortu:

Allestrida sa nae est in su portu,

Andemus como, Flora mia bella...

Propiziu su ëntu e ogn'istella

Nos faghen a partire violenzia…

Oh gioja! tue has fissu sa partenzia

E non cherzo un'istante durittare!

Flora mia, ponzemus pe' in mare.

Finis acconos intro a su navìu,

Sa vel'est tesa e dadu est su segnale..

Adìu, dura patria fatale,

Parentes e amigos totu adìu;

Como bos lasso e cantu duro ïu,

Cun Flora parto a logos differentes;

In issa amigos, patria, parentes

In Flora ogni contentu app'a lobrare!

Flora mia, ponzemus pe' in mare.

Page 48: Mastros de paraula, mastros de vida

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Salvatore Poddighe, (Sassari 1871 -

Iglesias 1938) Poeta autodidatta. Nato a

Sassari da genitori di Dualci fece

ritorno nel paese di origine solo dopo

poche settimane di vita. A Dualchi visse

fino ai diciotto anni e da qui, attratto

dalle possibilità di trovare lavoro

nelle miniere dell'Iglesiente, si

trasferì ad Iglesias dove lavorò come

minatore nei pozzi di Monteponi e San

Giovanni.

A Iglesias Poddighe conobbe altri poeti

con i quali si incontrava la sera nelle

bettole per improvvisare. Poddighe è

influenzato dal pensiero anarchico e

socialista. Le sue convinzioni politiche

sono radicali, fuori dagli schemi, con

una decisa propensione alla giustizia

sociale. La rivolta, i morti di Buggerru

del 1904, la sindacalizzazione, hanno

forgiato il carattere del poeta che nel

frattempo non aveva mai smesso di

leggere. L'opera che gli diede fama in

tutta l'isola e a cui è legata

universalmente il suo nome è “Sa Mundana

cummedia”.

De Dante su poeta de Toscana,

sa Divina Cummedia leggimos;

e noi sardos prite non faghimos

un'attera Cummedia mundana?

Pro dare lughe a sa zente isolana

sos chi s'estru poeticu tenimos,

pro chi non bastat sa Divina sola

a sa Sardigna nostra a dare iscola.

Dante, de una mente illustre e digna,

tra sos poetas hat sa prima sedia;

Page 49: Mastros de paraula, mastros de vida

49

in versos hat descrittu una Cummedia;

contra a sa setta perfida maligna,

e nois cantadores de Sardigna

nos istamos a morrer de inedia?

no, no, frades, bintramos tottu in

giostra,

a fagher puru sa partida nostra.

Opera che però creò non pochi problemi

al suo autore. Sa mondana commedia è

infatti un’opera di forte denuncia

sociale dello sfruttamento del povero e

in cui non manca un acceso

anticlericalismo.

“Deus chi est sapiente e bonu mastru

sende unu babbu zustu e imparziale

hat dau a tottu dirittu uguale

e no hat fattu unu izzu e unu izzastru.

No est po nascere in bonu o mal astru

si istamus chie ene chie male

tuttu dipendet dae sa faccenda

de no esser in comune sa sienda”

Nel 1924 il Concilio dei vescovi sardi

aveva vietato ai poeti estemporanei di

trattare argomenti di dottrina

ecclesiastica. E in un crescendo di

multe e divieti, Chiesa e fascisti erano

riusciti a bandire le gale poetiche dal

'32 al '37. Salvatore Poddighe soffrì

profondamente per questo ignobile atto

di censura, cadde in una forte

depressione e morì suicida ad Iglesias

il 14 novembre 1938.

http://www.poesias.it/poeti/poddighe_salvat

ore/poddighe.htm

Page 50: Mastros de paraula, mastros de vida

50

Diego Mele (Bitti 1797 - Olzai 1861)

prete, poeta e amico di Giovanni Spano.

Autore di poesie aspre e mordaci,

dovette fuggire dal suo paese per le

inimicizie che i suoi versi gli avevano

procurato.

“Accusato di avversare la Legge delle

Chiudende e di incitare il popolo a

sostenere il bestiame girovago, e a

diffondere il comunismo territoriale”,

fu mandato per punizione

dall’Arcivescovo Bua, in esilio ad

Ozieri presso i padri Cappuccini.

Inviato poi a Lodè, a Mamoiada e infine

ad Olzai, visse tranquillamente in

questo paese sino alla morte.

La sua poesia, specie quella satirica, è

schietta espressione della società agro-

pastorale in cui visse, dando spesso

voce ai suoi conterranei nei dialoghi in

cui lamentavano le tristi condizioni di

vita e degli abusi che subivano da parte

dei potenti. Anche se erano della sua

stessa chiesa.

Alcune sue poesie nel sito web:

http://www.poesias.it/poeti/mele_diego/m

ele.htm

Page 51: Mastros de paraula, mastros de vida

51

Como diventat riccu su Rettore

Como diventat riccu su Rettore

ca s'est fattende bonu negoziante,

in breve tempus diventat mercante

ca tenet prinzipale su Duttore.

Tenzende su Duttore prinzipale

un'e atteru restat vantaggiadu,

chi perdonet li naran a Viale

e a Rossi, mancari nominadu:

a su riu interesse e capitale

han che bonu custode incumandadu,

isse hat sas mercanzias trasportadu

a mare, babbu sou e genitore.

Gasi sa mercanzia incumandada

non si tenet de perdita paura,

sende bene sa sorte assegurada

sa fortuna dêt esser pius segura:

simizante negoziu non b'hada

ch'est de fraude liberu e d'usura,

su Rettore non perdet congiuntura

ca s'est fattende un'ispeculadore…

Page 52: Mastros de paraula, mastros de vida

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In Olzai non campat pius mazzone

Ca nde l'hana leadu sa pastura,

Sa gente ingolumada a sa dulcura

Imbentat sapa dae su lidone.

De nou hana bogadu cust'imbentu

Pro sedare veementes appetitos,

Leadu han’a mazzone s’alimentu

Però l'han a piangher sos caprittos,

No li faghent a isse impedimentu

Nemancu de Dualchi sos iscrittos:

De mazzone aumentant sos delittos

Non codiat porcheddu ne anzone.

Sas puddas et caprittos et porcheddos

Pianghent de sa gente sos errores,

Et de sos affliggidos anzoneddos

Mi paret de intender sos clamores;

A dolu mannu de sos pastoreddos

Chi nde provant et sentint sos dolores,

Custos suni sos gustos et sapores

De sa sapa de noa invenzione.

Tottu canta sa gente est post'in motu

Pro fagher sos coccones de ghennargiu,

Ch'hana isperimentadu et han connottu

Chi superat sa sapa de su vargiu,

Pera Marras accudi a s'abbolottu

No istes pro fatica et pro incargiu,

Ischi chi tue puru ses porcargiu

Non ti dormas in custa occasione...

Page 53: Mastros de paraula, mastros de vida

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Antonino Mura Ena (Bono,1908 –

Roma,1994)

Dopo le scuole primarie frequentate a

Lula, Mura termina gli studi superiori a

Cagliari e nel 1938 si laurea in

Pedagogia all'Università di Roma.

Alla fine dell'insegnamento intensifica

la sua attività creativa di poeta e di

narratore. Raccoglie schede, vocaboli,

massime e detti sardi, traduce

L'Apologia di Socrate in lingua sarda,

compone poesie e ne progetta la raccolta

in volume. Nel 1988 vince un premio

speciale al Concorso nazionale di

Letterature dialettali "Pompeo Calvia"

di Sassari e riprende a lavorare con

maggiore intensità ai racconti “Le

memorie del tempo di Lula” e alla

revisione della “Raccolta di poesie

Recuida”.

Recuida significa grande ritorno,

riappropriazione dell'identità e

rivelazione di verità non illusorie.

Quattro sillogi in cui il più grande

poeta in lingua sarda del Novecento è

riuscito a valorizzare la tradizione

melodica della lirica sarda,

confrontando l'universo antropologico e

culturale sardo con la cultura

umanistica, da Platone a sant'Agostino,

ad Hegel, ai classici della letteratura

europea.

Page 54: Mastros de paraula, mastros de vida

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Peraula Bia

Una peraula bia

cando est offerta e nada

ed est sa prima orta

chi dae bucca bessit,

in s'istante matessi est accabada.

Est cunsumida e morta.

E gai naraian

chin milli arresionos

sabidores antigos,

e serios e bonos.

e sos appentados

fideles, bi creian.

Ma eo,

chi non so sabidore

ne antigu e ne nou,

ma cunsideradore

de bonu cunsideru

darelis potto prou

chi 'onzi umana peraula

nada a omine biu, e ascultada

in risu o in piantu, tando solu

incomintzat a vivere.

Ed est de pensamentu eternu bolu.

Page 55: Mastros de paraula, mastros de vida

55

Banditore chin trumba

Su chimbe de su mese 'e sant'Andria,

Corittu, su poeta banditore,

a sas otto 'e manzanu,

at bocatu sa trumba armoniosa.

E at ghettatu su bandu

ch'it 'inita sa gherra vittoriosa.

Et a cantatu in poesia goi:

-Si avertet sa populassione

chi 'erisero est 'inita sa gherra

in chelu, mare e terra.

E in tottue.

-Si avertet sa populassione

sas troppas nostras an picatu a Trento

e 'nche son irbarcatas in Trieste.

S'Austriacu a fine 'e tantu istrughere

tzedit sas armas e benit a rughere.

-Si avertet sa populassione

chi venzat tottucanta a su Tedeu.

e a sa portessione.

-Si avertet sa populassione

chi 'eris a manzanu,

a s'essita 'e sa missa

m'an datu notissa

chi est mortu Bostianu, su 'izu meu.

Si avertet sa populassione

chi venzat tottucanta a su Tedeu.

Page 56: Mastros de paraula, mastros de vida

56

Peppino Mereu (Tonara, 1872 -1901), fu

un poeta che seppe unire una ricca,

consapevole e aggiornata cultura

letteraria, col forte radicamento rurale

e paesano rappresentato proprio della

lingua sarda.

Affronta i temi della inquietudine,

della precarietà della vita (era

tisico), della malinconica nostalgia dei

piccoli orizzonti affettivi del paese

che caratterizzano i suoi testi.

Il sardo, lingua povera di nomi astratti

esprime i sentimenti, la lode e lo

scherno con metafore e similitudini

tratte col lessico rustico.

Peppino Mereu, riuscì a svolgere un

discorso modernissimo con una lingua

arcaica, ossia riuscì ad attribuire

dignità letteraria ad un codice nato e

cresciuto nel contesto dell'oralità

tipica delle società rurali.

http://www.poesias.it/poeti/mereu_peppin

u/mereu.htm

L’amore per i posti in cui si è nati o

in cui si vive è tema comunemente

affrontato.

Page 57: Mastros de paraula, mastros de vida

57

A Tonara

O gentile Tonara,

terra de musas, santa e beneitta,

Patria mia cara,

cand'est chi b'happ'a benner in bisitta?

E m'has a dare sa jara

abba de Croccoledda tantu fritta?

A cando 'ider sas nies,

sas c'happo appettigadu ateras dies?

Ah dura lontananzia!

a sa chi m'hat sa sorte cundennadu.

Mi 'enit s'arregordanzia

de unu tempus ispensieradu,

s'onesta comunanzia

de amigos chi happo abbandonadu;

mi torrat a sa mente

unu tempus passadu allegramente.

A' cussu pensamentu

già' m'abbizo de cantu happo perdìdu,

e vivo cun lamentu

che puzzone ch'est foras dae nidu;

proende un'isgumentu

chi mai happo proadu ne sentìdu.

Su pensamentu 'olat

a tie, terra gentile, e si consolat…

Page 58: Mastros de paraula, mastros de vida

58

Aritzo

Post’in alt’a sa tua capitale,

dispensera de abbas cristallinas;

poetica, gentile industriale,

terza de sas alturas montaninas.

De cor’aperta, franca e liberale,

a su progressu curres e camminas:

ses una zittadedda geniale,

in te s’isprigant sas biddas bighinas.

Onesta tue trivaglias e divignas;

de s’onestade tu’andas fiera,

ismentinde de Dante sas iscritas.

Fentomada, sas tuas carapignas

faghent su giru s’Isul’intera,

cunfirmende sa fama chi meritas.

Page 59: Mastros de paraula, mastros de vida

59

Come anche solidarietà e condivisione di

chi lotta e pena per sopravvivere :

S'ambulante tonaresu

Cun d'unu cadditteddu feu e lanzu

sa vida tua a istentu la trazas;

da’una ‘idda a s’attera viazas,

faghes Pasca e Nadale in logu istranzu.

A caldu e frittu girende t'iscazas

pro chimbe o ses iscudos de 'alanzu,

dae s'incassu de sett'otto sonazas

chi malamente pagant'unu pranzu.

Sempre ramingu senza tenner pasu,

de una 'idda a s'attera t'ifferis

aboghinende inue tottu colas:

«Discos nobos pro fagher su casu

e chie leat truddas e tazeris

e palias de forru e de arzolas!».

Page 60: Mastros de paraula, mastros de vida

60

Antioco Casula “Montanaru”, nato a

Desulo nel 1878 e scomparso nel 1957.

Poeta che ha saputo rinnovare il modo di

comunicare dando al sardo dignità e una

originale capacità espressiva. Convinto

assertore del valore della lingua sarda

e dell'importanza del suo insegnamento

nelle scuole, partecipò, nel 1925 a

Milano, per rappresentare la Sardegna,

al primo congresso nazionale dei

dialetti d'Italia. Conobbe la

sofferenza: la morte prematura dei figli

e della prima moglie; nel 1928,

l'umiliazione del carcere, con l'accusa

di legami con i banditi barbaricini,

accusa pretestuosa, orchestrata dai

gerarchi fascisti che mal tolleravano

questa emblematica figura di

intellettuale non conformista e

soprattutto impegnato nella difesa

dell'isola e della sua lingua.

Tradizione e innovazione, difesa del

territorio e della sua gente e della sua

cultura.

http://www.poesias.it/poeti/casula_antio

co%28montanaru%29/casula_antioco%28monta

naru%29.htm

Page 61: Mastros de paraula, mastros de vida

61

A SOS AMIGOS DE DURGALI

Amigos mios fortes e bellos de Durgali

ieo sempere bos’amo d’affettu naturale,

e bos’amento sempere, cantu istis vonos,

che i sa terra ostra de cantos e de sonos.

Oh! Durgali graniticu, sa perla de sa Sardinna,

cando curriat a rios su inu in donnia inza

e passaian superbas comente ’e imperadoras

de oriente sas tuas brunas binnennadoras.

E a sos ultimos seros, lenos e luminosos,

de capidanni enian sos carros gloriosos

de achina niedda e mustu, de mustu prepotente,

buddinde chei su sambene de custa brava zente.

E dae amicu amicu, a fine de Sant’Andria,

mudaos andaian in manna cumpannia

a istupare cuntentos sas nòdidas carradas

de inu veru, de annos e annos aragaddadas.

In sos frundacos friscos nieddos aranzolados

mai dae sa lughe e su sole disturbaos.

E monte Ardia avvesu a tottu cussas festas

dae sas altas biancas e poderosas crestas,

che unu Deus anticu de forza e d’energia

beneighiad’a tie terra de Baronia.

Beneighiat sas serras lontanas de Nuoro

desoladas comente su nostru forte coro.

E cantaian cuntentas sas bellas durgalesas

de cuddas’anticas e liberas impresas

contr’e sos Corsaros crudeles de Turchia,

cando pesad’in armas curriat Baronia.

Abochinande in sos montes chin ira e maiestade

morte a su Turcu! O frades, vivat sa libertade!

Oje però sas vinzas sone isperdias malamente.

Prus che a prima alligra no est sa bona zente;

oje prus non buddit su inu in sos cupones

e sas binnennadoras non cantan prus canzones.

Page 62: Mastros de paraula, mastros de vida

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Ma isperae, isperae frades de Baronia

ca mai eterna durat nessuna maladia.

Coment’in donnia coro sicau in su dolore

a frorire torrad’isplendidu s’amore.

Gasi sas vinzas vostras a nou ane a torrare

e i su inu famosu in summa de buffare

a sos frundacos friscos, nieddos aranzolados

mai dae sa lugh’e su sole disturbaos.

De nou in sas binnennas brunas binnennadoras

comente una troppa de Janas incantadoras

depen passare ponende in briu sa cussorza

ettande coizzolos de achina a sa corcadorza.

Inue lizeru, siccu, fieru e cambi nudu

unu catticadore ezzu, arvi canudu,

serenu che i s’atonzu lenu de Durgali

li s’hat a narrer: «Bellas mai bos tocchet male

e sien sos fizzos vostros ricos de coro e fide,

comente ricca de achina occannu fit sa ide!».

Page 63: Mastros de paraula, mastros de vida

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A BADDORE ISPANU

Carissimu Baddore, de torrare

mi enit su disizu frequente,

a su mont’e Durgali risplendente

a monte Ardia bellu facc’ a mare;

E intender su dulche faeddare

de sa baroniesa cara zente

inue hapo passadu allegramente

sas mezzus dies de su militare.

Cando det esser chi hap’a cumprire

su disizu ’e torrare in Baronia,

raessende sas serras de Nùoro?

De in dì in die mi bido fuire

sos mezzus annos de sa vida mia

e mai cuntentadu hapo su coro.

Page 64: Mastros de paraula, mastros de vida

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NOTTE ‘E LUNA

Est una notte ‘e luna

de cuddas lunas de atonzu craras,

chi cando tue t'affazzas

a sa ider'andare,

isperas novamente in sa fortuna.

At propiu meda

tottu sa die. Pariat sa terra

in s'adde e in sa serra,

tra sos fenos siccaos,

bestia de antichissimu prantu.

Ma ecco in su serenu

avanzare sa notte; craru su chelu

risplendere e che velu

de isposa, sa luna,

bestit de biancore donnia terrenu.

Page 65: Mastros de paraula, mastros de vida

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Adiosu ochile anticu

In domo mia mischina

una cucina moderna m’an piazzau;

est bella tott'in ferru verniciau,

elegante che una sinnorina.

E tanta zente appenas chi l'han bista:

«Ateru che a tenner su ochile!…».

Chin cussu trastu lùchidu e gentile

podes narrer chi passas bella vida!…

E zeo imbezes triste pesso a tie

foghile antigu, inue mamma mia

si seiat chin babbu in cumpanzia

filande lana candida che nie.

Cando chin ocros santos de amore,

po non perder faina miraiada,

e chin su pe' su brozzolu mofiada

inue dromiat su prus minore.

Ite caros sos seros, in sos frittos

ierros de Barbagia, s'istare,

in ziru a su oghile a resonare

allegande de anzones e crapittos;

Cando chi sa framma a su cannizzu

si pesaiat che lama lughente

colorande de ruiu sa zente,

e traessas pesantes de sartizzu.

Zeo de cussos seros bido tantos

nd'hapo chin ispetaculos gentiles.

Mi soe pesau in ziru a sos fochiles

e poto narrer chi sos mios cantos

Page 66: Mastros de paraula, mastros de vida

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Nàschios sone in mesu 'e sas brasas

e a su umu in nottes tempestosas

tra miradas de virgines isposas

e serenos contos de massaias.

E su ochile nostru praticau

fit dae zente meda in allegria;

ca po intendere sa bona mamma mia

tott'accurrian dae ichinadu.

In foras fit su entu e i s'iscuru

chin s'abba forte. E babbu in mes'istoa

buffande inu de s'annada noa,

e zeo sighinde umbras in su muru.

Ite dulzura!… Fit su mundu miu

su ochile chin babbu e mamma mia,

sos amigos; nè ater'e'ischia,

si no chi prus de tottu be siat Deu.

Mamma sich'est anda e poi babbu

e gasi atera zente ch'amaia.

Tue solu arrumbau ses ebbia

oghile ludu semplice irgrabbu.

E po mi narrer'omine civile

m'hapo leau noa sa cucina.

Ma s'anima in segretu poverina

pranghed'a tie rusticu ochile.

Page 67: Mastros de paraula, mastros de vida

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A su inu

Naran chi ses velenu, o sardu inu,

puru deo ti buffo e vivo sanu.

So arrivadu a omine anzianu

e ando senza baculu in camminu.

Non possido unu mannu magasinu

chei cuddos chi sunu in Campidanu,

ma però tenzo semper a sa manu

unu barrile de cudd’ozastrinu.

Mi si riscaldat su samben in venas

e si coloran sas cosas in bonu

finzas in dies mannas de tristura.

Intono tando bellas cantilenas

pro gloriare custu santu donu

chi a s’omine offerit sa natura.

Page 68: Mastros de paraula, mastros de vida

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Molte delle tematiche espresse da

Montanaru furono in tempi successivi

riprese da Michelangelo Pira, il quale,

a proposito di coloro che criticavano

una certa "impurità" del sardo usato dal

poeta, eccessivamente inquinato da

acquisti dell'italiano, scrisse: «Essi

non sapevano o non sanno quello che

Montanaru aveva capito d’istinto: che

nel nostro secolo il sardo, venuto a

contatto con la lingua italiana, è

venuto modificandosi nelle sue strutture

lessicali, sintattiche, morfologiche,

fonetiche e semantiche. Egli tentò in

definitiva l’integrazione possibile con

la lingua italiana all'interno della

lingua sarda, facendo brillare in ogni

vocabolo di questa quel che

"nell'esausta lingua italiana aveva

perduto ogni sapore.

Con Montanaru il sardo fu ancora una

volta lingua, mentre già nelle poesie

nuoresi del Satta aveva un sapore

dialettale».

Page 69: Mastros de paraula, mastros de vida

69

DONNE IN POESIA

Guardando indietro nella storia pochi,

pochissimi nomi di donne poeta si sono

affiancati a quegli degli uomini e di

alcune di coloro che avrebbero potuto

essere alla medesima altezza è rimasta

appena una traccia.

Non è sufficiente ne consolatorio

ricordare i nomi di Saffo, di Ada Negri,

di Alda Merini e per la Sardegna, con

elaborazioni letterarie diverse,

Eleonora d’Arborea, Anna Maria Falchi

Massidda, Grazia Deledda, Tetta

Becciu,Paola Alcioni, Milena Agus,

Michela Murgia, …

Ho difficoltà a capire, se non per le

analisi culturali legate ai ruoli

femminili nella società e nella

famiglia, perché non si valorizzi la

qualità della produzione poetica

femminile che c’è ed è diffusa. Anche in

Sardegna.

Mi faccio aiutare da Camilla Bisi,

giornalista femminista, che nel 1916

pubblica un opera dal titolo “Poetesse

d’Italia” dove ha scritto:

“Mai come oggi, penso, scrivere poesia

significò, per una donna, rivelare tutto

di sè; mai come oggi colei che è o che

si crede chiamata nascose con tanto

pudore, talvolta come una colpa, i suoi

versi che la esporrebbero denudata alla

critica ...

Page 70: Mastros de paraula, mastros de vida

70

Forse perchè ieri ancora abbiamo visto

ricercare nella vita di una nostra

poetessa tutto quanto fosse celato o si

prestasse all’ equivoco, per smania di

scandalo, sapore più sapido, per alcuni,

della schietta ignoranza? Certo, mai

come oggi si disse e si affermò che la

poetessa è, necessariamente, creatura di

passione e di senso; certo con nessun

altro che con la donna il pubblico si

mostra più severo: le critiche ai libri

femminili di prosa e di poesia sono

vivisezioni… Ma di questo le donne non

si lamentano: troppo buon seme fu

gettato nel vasto campo della poesia

perchè anch’ essa non voglia

raccoglierne, a messe matura, un

manipolo; e per una che cade altre

vengono innanzi e raccolgono a piene

mani…Siete create per la maternità e per

la casa: è forse necessario che

cantiate? Siete essere passivi: perchè

gridate le inutili parole di rivolta? Ci

sono tanti uomini che scrivono, che

bisogno abbiamo delle donne?Ma una donna

che scrive poesia è una donna che canta!

Ma non credete dunque che i figli da lei

nutriti, da lei cresciuti al ritmo

armonioso che è dentro di lei, non

credete ch’ essi debbano essere i più

belli, i più buoni, i più armonicamente

felici?”

Ecco dunque la testimonianza di alcune

poetesse sarde ambasciatrici di un nuovo

che deve crescere e diffondersi,

vincendo ogni discriminazione :

Page 71: Mastros de paraula, mastros de vida

71

Anna Maria Falchi Massidda (1824 –

1873)

Una delle pochissime poetesse sarde. Era

nata a Bortigali in famiglia nobile e

benestante. Intorno ai 20 anni sposò Don

Pietro Paolo Massidda, un ricco

possidente di Santulussurgiu. La sua

produzione poetica (ora raccolta in una

importante pubblicazione) è ricca di

liriche raffinate; la sua fama varcò i

confini dell’isola.

Lenta sonat sa campana

Lenta sonat sa campana,

tristu de morte un’ispiru,

sonat de dantza unu giru,

una chitarra profana.

Sa chitarra armoniosa

dat pro su ballu trasportu,

nos avvisat chi ch’at mortu,

sa campana lamentosa

e, sonende luttuosa,

mustrat ch’ogni pompa est vana:

ca cando si crêt lontana

sa morte messat in giru,

già chi de morte un’ispiru

lenta sonat sa campana.

Fusu e a cordas filadu,

unu e atteru est metallu,

unu at sonadu unu ballu

s’atteru a mortu at toccadu:

su coro meu affannadu,

ch’appena traet respiru,

non pius da danza in su giru

dêt sigundare su pe,

Page 72: Mastros de paraula, mastros de vida

72

ma dêt sonare pro me

tristu de morte un’ispiru.

Chissà, Su chi hat formadu

s’unu e s’atteru sonu,

s’in cuss’ora su perdonu

m’at a dare s’appo erradu,

cando su coro, portadu

de giovanile regiru,

de su ballu in su deliru

currìat s’ora festosa,

ca sa chitarra briosa

sonât de dantza unu giru.

Ca cando in sa gioventude

sas festas nos faghen corte,

no si pensat a sa morte,

no si curat sa salude:

bi cheret troppu virtude

e fortza pius che umana,

pro chi sa trista campana

sa morte a pensare ispingat,

cando su coro lusingat

una chitarra profana.

Page 73: Mastros de paraula, mastros de vida

73

Rosalba Satta Ceriale, insegnante

elementare in pensione, è nata a Nuoro,

nel rione antico di San Pietro, nel

1948. Da oltre trent’anni risiede a

Budoni, dove è stata Assessore alla

Pubblica Istruzione , alla Cultura e

allo Spettacolo. Figlia d’arte – il

padre è il famoso poeta in lingua sarda

Franceschino Satta, scomparso nel 2001.

Ha iniziato a scrivere da adolescente.In

seguito alla pubblicazione di alcune sue

poesie nel settimanale "L’Ortobene",

viste le sollecitazioni e i

riconoscimenti ricevuti da parte di

lettori più o meno conosciuti, ha

pubblicato, nel 1986, a cura delle Arti

Grafiche AR.P.E.F di Nuoro, il suo primo

libro “Poesie”, con prefazioni dello

scrittore Mario Lodi e del poeta nuorese

Giovanni Piga. Convinta da sempre che la

poesia sia un’opportunità in più per

contribuire a costruire un mondo a

misura d’uomo, ha portato avanti nel suo

"fare scuola", per oltre vent’anni, un

progetto di sperimentazione alla

scrittura poetica dei bambini – che

comprendeva anche l’insegnamento della

lingua sarda nelle sue varianti –

raggiungendo risultati di rilievo a

livello e prestigiosi riconoscimenti a

livello regionale e nazionale . Nel mese

di febbraio 2011 ha pubblicato (a cura

della casa editrice Terza Pagina

Edizioni) il suo secondo libro “A scuola

con la poesia”, con prefazioni di Albino

Bernardini e Federica Morrone.

Page 74: Mastros de paraula, mastros de vida

74

Ma sa poesia non morit

Mi cubo inintro a tie

terra istimada…

Su tempus

- nigheddu -

imbruttat su chelu

de malesa e de fele.

M’arrimo inintro a tie

terra pistada

…chin s’astragu in su coro.

Commo tue ses pranghende

…e deo chin tecus.

Su manzanu paret notte

in s’ifferru ’e sa vida.

Male assortau, ferit tottube,

e tottube

frorin tristura e tejos .

Ma sa poesia non morit:

juchet ocros d’incantu

e gana d’amistade.

Irfaghinat ischintizzas

de pache e de recreu.

Secat cadenas…

Ischidat sas bertudes

bentulande banderas ’e libertade.

Cheret battire

prendas de lucore

chin sa frusa de sa luche ’e su coro

Page 75: Mastros de paraula, mastros de vida

75

Unu tempus credio…

Unu tempus credio

chi fin fundos raros

sa malissia

e tottu sos irbirgos

pro cuffunder s’onestu.

Unu tempus credio

chi a tessere

sas tramas de s’ingannu

fit un’aranzoleddu

maladiosu e solu.

Oje bio

fundos de cada casta

chi si nutrin de petta

e aranzolos a isumbru

in tottube

maladios…de gana ’e cumandare!

Ma sa chichera cantat.

E-i sa tirìa,

a laddara ’e luche,

tinghet sa die de grogo…

Page 76: Mastros de paraula, mastros de vida

76

A un’anzelu

( A frade meu, Paulu )

Non ti chi ses andau…

Tue ses bolau

-prus liberu ’e su bentu-

a firmare su tempus.

E su tempus

abbellu abbellu s’est firmau

…e intinghet de frina

sa caminera mea.

S’affranzu ’e sa terìa

mi fachet cumpannia.

Su gravellu

pimpirinau ’e chelu

isparghet s’alinu durche

e m’accasazat.

Hapo intesu

toccheddare a su coro…

Ses torrau!

Page 77: Mastros de paraula, mastros de vida

77

Tetta Becciu è nata ad Ozieri il 1952 e

qui vive. Scrive dal 1993, fino ad oggi

ha sempre partecipato ai vari Concorsi

letterari dell'isola e del continente,

riscuotendo numerosi riconoscimenti.

Le sue poesie sempre in limba-sarda

logudorese sono pubblicate nelle

migliori antologie dei premi letterari e

in riviste del settore. Ha collaborato

con l'Università Cattolica di Madrid e

l'Università di Berlino per la

pubblicazione di un antologia "Bentu 'e

terra manna", una raccolta di poesie di

poetesse sarde.

Le poesie sono state tradotte in

tedesco, galiziano e inglese.

La Becciu ha tradotto dal napoletano al

sardo-logudorese due commedie di Eduardo

de Filippo, 'Filomena Marturano" e

"Natale in casa Cupiello", e dallo

spagnolo la commedia "L'estanquera de

Vallecas" di Luis Alonso de Santos.

Page 78: Mastros de paraula, mastros de vida

78

Sa Poesia

Sa poesia

est un'alentu,

un'aeresitta,

a bortas

un'allutta 'e fogu,

un'ardore

chi t'azzendet

sos cavanos

e ti supuzat

s'anima...

Sa poesia

est musica

chi non si podet

leggere

a libru ispartu,

a bortas

est abbile

chi ti che pijat

a chimas de incantu,

subra pentumas

chi sa resone

podet solu affinare.

Sa poesia

est binu

ch'imbreagat,

est piantu

chi ligat su coro,

attìtu chena consolu…

... peraulas

che alas de mudesa.

Page 79: Mastros de paraula, mastros de vida

79

Pianghet sa Terra...

Pianghet sa Terra

sos fizos chi pianghene ...

a boghe manna

jubilat

sos turmentos suos

de mama ...

in s’orizonte serradu

ue no brotant

in libertade sos fiores ...

sas mamas cantant

attittidos de dolore

ue naes de sole

carignant de travessu

sa Terra.

Finzas su ‘entu

non trazat pius sas nues

e sas arvures

mujant sas chimas

abbrazzadas in d’una istrinta ‘e fogu.

S’inghenia ‘e su male

appeddat in biddas ischirrioladas

ue sa morte a sa zega

ferret, chena seberu ...

In chelos chen’isteddos,

hat a brotare una die

su semene ‘e s’ispera,

su semene ‘e sa vida

pro su mare ‘e s’incrasa ...

... ... e non hat a sambenare

pius su sole,

non s’han’a appojare

intro sos coros

sas lagrimas

su sambene

su risu attogadu

de sos pitzinnos.

Page 80: Mastros de paraula, mastros de vida

80

Paola Alcioni, nata a Cagliari il 1955,

è laureata in Giurisprudenza. Ha vinto

numerosi premi di poesia in lingua sarda

e tra questi si ricordano i primi premi

più importanti: Ozieri, Romangia,

Posada; alcune sue poesie sono state

pubblicate e tradotte in inglese, in

tedesco e in galiziano. Nel 2003 ha

pubblicato il romanzo "La stirpe dei Re

perduti" con la casa editrice Il

Maestrale e nel 2004 il romanzo per

ragazzi Il segreto della casa

abbandonata e il romanzo Addìa scritto

con il poeta di Torpè Antonimaria Pala,

entrambi per le edizioni Condaghes.

Totu est poesia

Castia, intzimiat a proi.

Annuadas a bentu arrevesciu

nais de ghisciu

trassant in sa bizarra 'e su celu

sinnus chi no cumprendu.

Ma no ddi fait nudda: totu est poesia.

Proit, fillu miu, sa dì afrigia

stiddiendi in pous di annugiu

arraminadas lagrimas de grunda.

Fintzas in su stugiu 'e is sentidus

tzivinat e s'unda de Maistrali

incrubat acuzzas tzinnigas de dolori.

Po m'avesai a su marigosori 'e sali

de custu mali de bivi, deu, sossoìni

de pena, in s'arena arrexinis emu postu.

Page 81: Mastros de paraula, mastros de vida

81

Nùas mi ddas lassàt 'onnia sbentuliàda

e no 'nd allebiàt s'acua s'asciutori.

Imoi, candu sa mannària 'e su celu

in cascias de umbra

is neas s'aguantad asurìa,

de sa manu mia si strobint arannias

sintzieddus i arrandant tirinnia

de fueddus

in sa trama tirada de s'abetu. Aici

sciortu su spantu de sogas di apretu

totu si fait cantu e poesia

in custa 'ia de nebida e de vida.

E mancai si scurighint is bisus

in is trobeas de su tempus

no lassu prus chi arrisus axedint

che binu intristau.

Tui mi dd'as imparau,

limbichendi de pixidas currentis

de axìu su prexu di essi biu.

Castia maìstu miu piticu, bisadori,

de bisus mannus mannus: no proit

prus. Nais de craboni

trassant in sa pruinca 'e su celu

bolidus chi si stesiant.

Ti 'nd'as andai tui puru?

Si strobint de sa manu mia in su saludu

de cilixia caus e de ressinniu.

De sa tua arrundilis chi lestras

torrant in carinniu di allirghia

narendi: est berus, totu

-totu! - est poesia.

Page 82: Mastros de paraula, mastros de vida

82

Anna Cristina Serra è nata il 1960

originaria di San Basilio.

Scrive lingua sarda, inizia a

partecipare ai concorsi letterari nel

1993. Tra i tanti ha vinto il Premio

Ozieri per ben due volte, il Premio

Michelangelo Pira, il Premio Premio

S.Antoni de su 'ou di Mamoiada nel 1994

e nel 1997, a Milano il Premio

Internazionale nel 1997, Olmedo nel

1993, 1994, 1995, Tissi nel 1993, il

Premio Partigiani nel 1995, Silius nel

1994, Porto Torres nel 1998, Cossoine

nel 1999, Osilo nel 1996, il Premio

A.C.L.I. nel 1997, Dolianova nel 1993,

il Premio Colleziu nel 1997, il Premio

"Paolo Mossa" (Bonorva) nel 1999, il

Premio "Benvenuto Lobina"

(Villanovatulo) nel 1996, il Premio "Se

Fermentu" (Marrubiu) nel 1995, Premio S.

Caterina di Mores nel 2001, Il 4° Premio

della Circoscrizione n° 2 del comune di

Sassari nel 2010. In prosa ha vinto il

Premio "Sa terzina" nel 1998.

Ha pubblicato con la Tema Editrice la

silloge "Su fragu 'e su 'entu"

vincitrice del Premio Michelangelo Pira

1996. tante sue poesie sono state

pubblicate in "S'Ischiglia", nella

"Grotta della vipera", in "Nur", nel

"Notiziario", su "Nae".

Page 83: Mastros de paraula, mastros de vida

83

Tempus nostru

No ddu sciu chi est cust’enna aberta

in su crofu ’e su scuriu

a sbeliai is bisus de notesta

o si est ancora s’umbra

impostada in sa luna bagamunda

candu s’ora si stitillat

e no est totu su chi ti nau.

In cust’ànima chi tzérriat

no ddu at babbu e no ddu at fillu:

ddoi at unu titillu

imbriagu e cantadori

peliendu ancora a tui.

No ddu scit ca ses mori chi si pendit

tra pitzioleddas e lutzinas

in is orus cuaus

de un’andera antiga

ancà t’incraras timarosu.

In su tempus aresti

fust nasciu che spiga

po obrescidroxus de arrosa.

E imoi ses dònnia cosa

chi mi ndi torrat una stòria arrèscia

de ancà si spannat un’àlidu ‘e memòria.

No Apu Postu Cosas Medas

No ddoi apu postu cosa meda

in sa bertula prima ‘e saludai

ca est apretu ‘e sciri

custa stula arregordu ‘e trigu

e immoi fogu chi abruxat fogu.

Movu, de sa perda manna posta a castiu

siguin ateras tundas e avrigadas

chi m’amostant su mori.

Tenint sabori

de memorias e di erriu

e de cuddu niu

fungudu che –i– s’anima de s’acua

ancà nascit vida.

Page 84: Mastros de paraula, mastros de vida

84

Ma si custu est dolori ‘e dispidida

est semini ch’inzeurrat candu

no nascit ebra frisca in terra noas

e custu viagiu tra coru e inferru

est liaga chi trigat a sanai.

Aditziu aditziu una cantzoni

Fortzis furiat s’arrosu

de is follas iscarescias

o fortzis is istiddius

de s’acua tua di aiseru,

is chi m’ant sciustu is ogus

notesta in su scuriu.

Aici ti pregontu, erriu,

de is pannus mius

e mi nas ca oi no funt beridadis

e parint sciacuaus cun acua ‘e mari

che is chi, scarescius, nci tragas tui.

E deu

chi pannus de pannus

no sciu scerai

ma’catu ca acua di acua

no sciu pratziri

ni sali de sali.

Ma tui deretu andas

facias a cuss’acua manna

chi in sali acollit

donnia durciura ‘e obrescidroxu.

De tui a mimi,

In custu scurigadroxu

Chi in coru si fait perdaxu,

aditziu ditziu una cantzoni

circat de ponni’ paxi in custu tretu.

Page 85: Mastros de paraula, mastros de vida

85

ITE CANTAN SOS POETAS DURGALESOS

“Soe naschiu poveru ma appo biviu

liberu. Su chi iscrio est sinzale de sa

libertade mia, de su pessamentu, de sa

vida.

“La poesia per me è il segno più alto di

libertà. Scrivendo quello che penso e

comunicandolo agli altri”.

Queste parole sono di Pietro Sotgia

(Predu Lana, poeta dorgalese – 1925-) e

riassumono bene il perché della poesia e

della sua funzione principale di

risposta all’esigenza di libertà,

condizione indispensabile per poter

parlare anche del resto.

I poeti dorgalesi, come quelli di tante

altre parti della Sardegna, attingono

alle due fonti principali: la

composizione spontanea trasmessa

oralmente e la lettura dei grandi poeti

locali e del mondo.

Come tutti i poeti “cantadores” si

cimentano in diversi temi che toccano la

vita delle persone e prevale quello che

il tema predominante del genere umano :

perpetuare la specie, garantire la

continuità dell’esistenza della vita in

comunità. E quindi il canto per

l’amore, l’attenzione particolare alla

donna e alle donne, l’innamorarsi,

sposarsi. La famiglia come appartenenza,

come fonte di riferimento per le regole

di comportamento, per poter vivere in

comunità.

Page 86: Mastros de paraula, mastros de vida

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Il definire il cibo per il corpo e

quello per l’anima.

Per questo è importante riproporre e

studiare in ogni scuola sarda quanto i

poeti e cantadores hanno scritto.

Cercare di esprimere compiutamente la

condizione perenne dell’uomo sardo,

proporsi come fatto culturale locale e

globale allo stesso tempo, produrre

cultura, non solo studiarla,

interpretare i segni dei tempi e

trasformalrli in vita vissuta.

Evitare le banalità, il ripetere gli

stessi temi, reazionari e qualunquisti,

di fondamentalismi di opposte fazioni,

procedere nella difesa e innovazione

della lingua sarda continuando un

processo di comunicazione in grado di

esprimere i bisogni dell’uomo sardo come

cittadino del mondo.

Billia Fancello ha curato una Antologia

di poesia dorgalese e risale alla metà

del secolo XIX per trovare le prime

poesie di dorgalesi. L’oralità e la

memoria hanno avuto una funzione

preziosa e possiamo leggere con diletto

il sentire dei nostri nonni.

L’Antologia propone due categorie

iniziali: “s’Amore ducau” e “S’amore a

sa grussa”.

Alla prima appartengono le poesie che

proclamano l’amore “educato”, puro,

romantico, bucolico, con richiami dal

dolce stil novo a Leopardi.

Nella seconda troviamo componimenti in

cui si lasciano da parte le buone

Page 87: Mastros de paraula, mastros de vida

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maniere e prevale l’insulto, il

risentimento per offese subite o per

dinieghi a offerte amorose.

Poeti dorgalesi, del secolo scorso,

alcuni colti (Giuseppe Angelo Fancello

Brotza, Giovanni Mulas, Ignazio Serra)

altri cresciuti nella scuola impropria

(Antonio e Pantaleo Cucca, Antonistene

Branca, Chiricu Marras, Chiricu Lai,

Jacu Pira) che ci hanno lasciato un

patrimonio letterario che merita di

essere conosciuto e valorizzato.

Qui ne diamo solo alcuni cenni, come

invito ad andare a leggere e studiare

nelle pubblicazioni originali.

Il più celebrato è don Zuanni Mulas

(Dorgali, 1864 – 1945); nel 1906

pubblica a sue spese la raccolta

“Riflessos” , ristampata nel 1962 e nel

1995 (con la bellissima commedia

teatrale “zia Bernarda”). L’amore, le

donne, il lavoro, le amicizie, il vino

sono i suoi temi prediletti. Scrive con

sapienza e competenza seguendo stile e

metrica dei grandi poeti regionali e

nazionali. Il richiamo alla luna nel

sonetto intitolato Incantu, ripropone i

temi della sofferenza del vivere, della

fatica dell’esistenza di leopardiana

memoria :

Page 88: Mastros de paraula, mastros de vida

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Supra monte luminosa,

s’alzat piena sa luna

de maju simile a una

selenada candida rosa.

Ed est de latte dogni cosa

Dae Bardia a Monte Pruna

Solu una tinta bruna

Pesistit a badde ombrosa.

Zeo la sigo in sa sia

Funda de su firmamentu

Chin totu s’anima mia,

e dogni pena e turmentu

de su coro angustìa

po issa olvido unu momentu.

Salvo poi, giocosamente, come già fece

Montanaru, celebra il nettare che

rasserena il cuore e la mente:

O soave e belisimu licore

Chi rasserenas coro e mente accendes,

nettare purissimu risplendes

ed as de su belludu su colore,

e cale terra ‘eneitta su sapore

e profumu ti desit chi cumprendes?

Dae cale logu mai est chi dipendes

O nettare armoniosu che fiore?

Ah! L’isco: sa risposta mi l’est dande

Allegru e soavissimu su coro

Chi po tene in su sinu palpi tende:

Baunei tue ses, ‘inu chi adoro,

‘inu gentile ch’istas alzande

In valore sas perlas e i s’oro.

Page 89: Mastros de paraula, mastros de vida

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Zosepe Anzelu Brotza (Dorgali 1842 –

Viterbo 1875) magistrato emigrato in

continente, ripercorre gli stessi temi

di Don Zuanni: la luna, la fatica del

vivere, l’amore, il viaggiare…

Disisperu

Est iscritta in su destinu

Pro me bida de agonia;

certos travaglian continu

ma pustis an allegria.

Ogni cosa de natura

Cambiat sempre de aspettu;

in mesu a ogni malgura

brillat lughente s’ispettu.

Solu pro mene est negadu

De ottener unu reposu

Ca mi bido abandonadu

Dae s’oggetu diciosu.

Sa terra est ottenebrada

De sa notte dae su mantu;

ma benit illuminada

de candida luna intantu.

Passada s’oscuridade

Risplendet in terra su sole;

ma sa mia infelicidade

prus s’accreschet de mole.

Si pesat burrasca in mare

Si calmat passada s’ora;

solu non deen acabare

sas penas mias ancora…

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S’amore a sa grussa est che a sa mola

ezza, ocat prus talau …

Una proposta di fidanzamento respinta,

un bisticcio tra vicini, sono occasione

per cantare e divertirsi anche con versi

satirici. Francesco Marras (Tanazeri –

vissuto nella seconda metà del ‘800)

così si vendica per una bocciatura

amorosa nella poesia Adios :

Sa cumpanza de mannai

Chin sa cara mesu sica,

si mi nche pones sas fricas

a mimi ingrussat su cazu;

ca as dadu a su baratu

cosas chi non cumbenian.

Regala ti troddiona

Adios cunnispilìa.

A ti l’amentas in s’àidu de s’ortu

Cando ti l’apo bistu tentu a pare ?

De s’allegria azomai soe mortu,

ca podio lomper a ti lu tocare,

ca che juchias s’acadedu isortu

a jai ti lu podias cucuzare.

Adios cunnispilìa / Regala ti troddiona!

Cando ti das a tussire

Po non t’intender ca tròddias,

e sas ancas imbòddias

po no lu lassare bessire,

pones sa zente a fuire

ca tròddias a tulungrones

Adios cunnispilìa / regala ti troddiona

! …

Page 91: Mastros de paraula, mastros de vida

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Un posto importante tra i poeti

dorgalesi è occupato da Pantaleo Cucca e

da Antoni Cucca.

Pantaleo Cucca (Dorgali 1884 – 1979)

partecipò alla prima guerra mondiale e

lavorò per alcuni anni come guardia di

finanza. Lavorò poi come contadino e

condusse una vita poco agiata non avendo

possibilità, come invece desiderava, di

pubblicare le poesie che scriveva.

Si rivolse al vice parroco, don Nunzio

Calaresu, che pubblicava a Dorgali un

periodico ciclostilato dal titolo “Ziri

ziri” per chiedergli di pubblicare il

libro con le sue composizioni.

L’edizione esce nel 1962 con il titolo

“Sutta sa ruche ‘e Monte Bardia” .

Poesie dedicate all’amore:

Rosa Superba

Carchi die lu disizas

E lu sospiras invanu

Rosa superba in beranu

Mira chi in s’istiu allizas!

Cantas zovanas s’at bidu

E intesu nominare

Chi po cherrer seperare

Sun restàas chene maridu …

Page 92: Mastros de paraula, mastros de vida

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In difesa dell’amico lasciato dalla

fidanzata :

S’amore de Andria

… ma lassamus sa bria

E torramus amicos

Comente cheret e cumandat Deu;

intendo chi po Andria

b’at àpiu impiricos

chi proibin s’amorosu impreu …

O l’immancabile sonetto sulla richiesta

di aprire la porta della cantina alla

compagnia assetata di vino :

Disizu de binu

Ah, ite avversu destinu

Soe divertinde unu luttu

Che frore dae bentu jutu

Dae in caminu in caminu.

A totus dimando binu

Ma chene perunu fruttu

Apan doppiu produttu

Sos che nd’an in magasinu.

Dae tene o caru frade

Ispeto unu consolu

A custos lamentos mios;

Aperi, ajò, tene piedade

Semus tantos, non soe solu,

ma semus todos sidìos.

Page 93: Mastros de paraula, mastros de vida

93

Antoni Cucca (Dorgali 1881 – 1972) è

stato giustamente celebrato con la la

pubblicazione delle sue poesie, nel

libro “Antoni Cucca poeta durgalesu”,

curato da Nanneddu Corrias e Billia

Fancello.

Gli autori ci informano che il poeta era

solito, come altri pastori della zona,

leggere la Gerusalemme Liberata, i libri

di Deledda, i poeti logudoresi.

Nell’introduzione Blasco Ferrer richiama

ai “sinnos”, la simbologia significante

dell’identità della comunità locale

dell’epoca: “Sa Grotza” rustica

giacchetta trovata nella spiaggia e

diventa un piccolo bene del poveraccio

che l’ha trovata nonostante la derisione

dei nipoti. Il rituale del saluto sardo

con l’italiano di ziu Bonassera, il

rispetto verso gli adulti, i rapporti

tra vicini.

Ziu Antoni Cucca non celebra Ulisse,

Paride, Elena, Venere, ma ziu

Portoledda, ziu Bonassera, sa ichina che

guarda i rattoppi del vestito e deride

un povero sventurato o il poco decoro

dell’ufficio pubblico postale di Dorgali

diventato un immondezzaio.

Un libro che vale la pena di leggere e

meditare.

Page 94: Mastros de paraula, mastros de vida

94

Ziu Portoledda est unu chene casile e

chene amparu, uno senza casa che vive di

sotterfugi.

Ha la sorte di trovare una vecchia

giacca da marinaio, impermeabile,

trovata nella spiaggia di Gonone , una

grotza che gli sarà utile sia per il

freddo sia per la pioggia. Rimpiange

che qualcuno gli abbia rubato i

pantaloni impermeabili, avrebbe avuto la

divisa completa. E chiede ai nipoti

rispetto e riconoscimento non derisione

e presa in giro.

“… Ohi sa grotza de isposu

Isperdia chin mecus.

Deppo parrer unu pecus

A dainnantis e a palas

E de visura mala

Cantu mai !

E ite nde narais :

bella m’at a istare ? …

Custu est su cappotto

De sa betzesa …

Non miro sa bellesa

Pezis su cumbeniu;

mi la besto a inzeniu

timende a mi tazare

e nemos nd’at a bocare

yanchetta che a issa…

Page 95: Mastros de paraula, mastros de vida

95

Ziu Antoni Cucca,ha scritto anche una

poesia dal titolo “S’Orassione”,

ricordando zia Mallena che guarisce con

una orazione che il poeta ripete

immediatamente a memoria. La curatrice

meravigliata commenta :

“ Umbra at bistu custu pitzinnu!” -

Credo che né zia Mallena né ziu Antoni

Cucca avevano in mente il concetto

elaborato da Karl Jung di Ombra, ma lo

utilizzano allo stesso modo.

Peri Sisinni, sante Sisinni,

sante Simone…

Anna de cannone, cannone de canna,

misura manna a s’isperradura.

Santu Bonaentura ti crescat sa natura

Sant’Anastasia sa mundia.

Comente ti l’assinno yeo ti l’assinnet

Su Babbu, su Fizu, s’ispidu ruyu santu

de Tillai

Sas tres pessones, sos tres maimones,

Sos tres pistapones de s’anima tua.

Si custu non ti yuat

Ya mi-nch’apo a torrare,

ya mi-nche torro…

Tàppulos e ifforros cosias a bussedda,

in die de oye est séttia Paschichedda,

in die de oye Pasca de Nadale…

A largu e a intundu

Ti colet su male,

fizu mi’ !

Tzia Mallena:Umbra at bistu custu

pitzinnu!

Page 96: Mastros de paraula, mastros de vida

96

Lodes a una bichina

Su tàppulu male postu

T’at dadu ite matulare

E zeo a ti venerare

A tie mi soe dispostu.

Za chi tue ses in gala

Rìdeti de s’isventuradu

Ch’est tota vida ispozadu

Marcande s’annada mala,

obrigadu a zucher a pala

custu pesu a dogni costu;

ma custu est s’istare nostru

e de ogni malassortadu

e tue m’as appuradu

su tàppulu male postu. …

Infine cherias presa,

pezis apo male cumpresu;

tristu a chie t’at a pesu

s’abarras a sa betzesa;

a cando in sa pitzinnia

ses gosi a cherveddu tostu,

conca de cocher a orrostu

e canes a la rosicare;

custas lodes a ti dare

a tie mi soe dispostu.

Page 97: Mastros de paraula, mastros de vida

97

Ignazio Serra (Dorgali 1872 – Vercelli

1949) pubblica nel 1923 una prima

raccolta di poesie “Rosas d’atonzu” ,

che viene riproposta dalla associazione

culturale don Milani in una versione

arricchita nel 2000. Il legame ai luoghi

dell’infanzia, gli amici e l’amicizia,

l’origine mitica del paese di Dorgali, i

paesi vicini, la celebrazione di grandi

poeti sardi, per ognuno ha una poesia

che vale la pena scoprire e con diletto,

declamare.

Origine di Dorgali

Tra sa Costa e Sant’Elene

Sutta Bardia in d’una altura

Chi sovrastad sa pianura

Contr’a Sòvana e Oméne…

Sas elighes de Bardia,

sas attas de Tului,

De Pranos sos laores,

sas baddes de Gustui,

Miran pienas de ispantu

s’iscena armoniosa…

Sas campagnas dan tricu, orzu e pastura

Mele dae s’ape e casu dae s’armentu

Sas vinzas binu brundu e podulentu

Senza misura.

Orga manna! Orgale! Ecco sa pura

Raichina de Durgali, patria mia!

Origine impastada de allegria

E de vriscura.

Page 98: Mastros de paraula, mastros de vida

98

A don Zuanni Mulas poeta durgalesu

Anima fortemente innamorada

De dogni umana virtude e de su bene,

andad orgogliosa oe de tene

sa nostra bella patria adorada;

s’arte tua che nie immaculada

contra dogni bassesa si mantened

ca s’altu coro tou la sustened

dae dogni bruttura sullevada.

Su cantu tou misuradu a fundu

Ogni sublime altesa, ogni dolore,

luttos e allegrias de su mundu.

Zuighe serenu e forte pensadore,

istudiosu d’animas profundu,

cignu de sa bellesa e de s’amore.

Page 99: Mastros de paraula, mastros de vida

99

Sa Boboa de Lussurgia

In s’aspra punta, bianca e solitaria

Fantasma de presentes e passados,

sos pizzinnos ti miran timorados

misteriosa in sa massa calcaria;

isfinge dura, muda e milenaria

ch’ischis cantu in sos seculos andados

operes in sos nostros antenados

in s’esistenzia insoro tantu varia.

Nos narad sa legenda chi unu die

Tue puru de carre ses’istada;

ma pro aer fattu (non s’ischid a chie),

male, de preda dura ses restada,

indifferente a sole, a abba e nie

ue sa mala sorte ti ad firmada.

Page 100: Mastros de paraula, mastros de vida

100

Pietro Sotgia

Nato a Dorgali nel 1925, dovette

abbandonare gli studi subito dopo il

ciclo elementare e seguire la famiglia

che si era trasferita nella vallata di

Oddoene per coltivare un appezzamento di

terreno. E iniziò da presto a dedicarsi

alla poesia. Nel 1997 ha raccolto nel

volume “Per un istante almeno” (Nuoro,

Il Maestrale) una prima scelta dei suoi

versi sardi e italiani.

Antonio Fancello (Tonino Errina) ha

curato per le edizioni N’UR la

pubblicazione di una antologia di poesie

di Sotgia dal titolo “Ulisse es’

toccheddande” con una bella introduzione

di Felì Secci, che tanto avrebbe voluto

vedere il completamento del lavoro per

cui aveva tanto lavorato. Scrive Secci :

“Per Pietro il poeta è quindi un

messaggero, colui che ricorda all’uomo

la sua relatività, regalandogli

contemporaneamente le ali mentali per

intuire il valore della Vita e

realizzare un mondo migliore. Per

assolvere questo mandato, le parole,

unico strumento del poeta, devono non

essere solo parole, come scriveva Pietro

nella premessa del suo primo libro

pubblicato (Per un istante almeno,

Maestrale 1997), ma trasformarsi

nell’essenza stessa di quel sogno da cui

promanano. È proprio per questo che, in

questa nuova raccolta di poesie, Pietro

Sotgia risolve, supera, dissolve ogni

Page 101: Mastros de paraula, mastros de vida

101

alibi linguistico. Le sue poesie si

susseguono libere, non più classificate

e raggruppate per capitoli in lingua

sarda e in lingua italiana. La lingua

sarda cessa di essere una bandiera e

un’ossessione e, come la lingua

italiana, come tutte le lingue, si

rivela solo un mezzo e non un fine

espressivo. Il suo atto d’amore per la

Sardegna non cessa di essere autentico e

struggente, ma egli non si identifica

più con una lingua, con un popolo, con

una Patria. Non può più farlo chi, come

lui, si sente un cittadino

dell’Universo.

La sua univa vera Patria è li, a due

passi a lui, è il suo stesso pensiero.

Un pensiero che è capacità d’intendere

l’essenza delle cose, della natura,

degli uomini, della storia, della vita.

Tutte le sue poesie ci rivelano questa

consapevolezza che diventa grido di

dolore, monito e insieme estremo atto di

amore, quando rivolge il suo sguardo

alla follia umana, al suo camminare

senza scopo, al fallimento di tutte le

utopie, alle rovine e alle macerie

seminate lungo il suo cammino, alla

continua profanazione della vita

perpetrata in nome di qualsivoglia

bandiera o ideale, a quel sibilo di

morte che mai si è spento nel cuore

dell’uomo”.

In una intervista video Pietro Sotgia

commenta il suo essere poeta :

“Non lo ho imparato a scuola. Ho

Page 102: Mastros de paraula, mastros de vida

102

imparato leggendo gli altri poeti,

ascoltando i poeti tradizionali come si

usava in Sardegna. Poi ho iniziato a

partecipare ai Concorsi e qualcuno lo ho

anche vinto. Ho pubblicato le miei

poesie in un libro. Ho voluto con questo

affermare il sentimento è più profondo,

quello della famiglia, della vita in

campagna, del lavoro. E poi i temi di

oggi. Scrivo una protesta affinché anche

i poeti diano il loro contributo per

migliorare la società. Scrivo in sardo e

in italiano. La lingua sarda è povera di

vocaboli. Serviva bene in una certa

epoca e serve ancora fino ad un certo

punto. Oggi mi sembra che non sia

abbastanza comunicativa. Oggi riesco ad

esprimermi meglio in italiano. E così la

lingua viene capita da più persone. Io

continuo a scrivere anche in sardo ma

per esprimere i temi di oggi mi sembra

meglio l’italiano.

Certe traduzioni non sono possibili tra

le due lingue. La poesia è un modo

efficace di comunicare quello che l’uomo

ha in mente. E’ come la musica un

linguaggio universale”.

Page 103: Mastros de paraula, mastros de vida

103

Ulisse est tocchedande

In sos campos predosos

Caddos han curtu un’istoria ligà

E frottas de massaios chene pane

Han sighiu chimeras in s’ aera

In millennios de mùtria

Han fattu festas

A Deus istranzos

Pregadorande in limbazu de teracos

Trazzande una miseria de vida

E sa dignidade de s’anima catticà

Dae millennios de iscuridade

Ma cale notte durat eterna ?

E cale ispada diat truncare sa aera

Chi oje s’est pesande in su desertu

Surcau solu de arados de ocu ?

Custa terra diat istendere in su mare

Sos brazzos de una mamma

Chene edade.

Naschinde a unu chelu non connotu

Sos frores appassios

in nottadas de tumbas

Ane a mandare isticchizzas de ocu

Ulisse est tocchedande

Cheret ponnere pè in custa terra

E po sa prima orta

At a tremere Antinoo

E su tessinzu de una tela noa.

Page 104: Mastros de paraula, mastros de vida

104

A mare, a mare!

“E commo tott’a corcare!

- narà mamma -

ca cras pesammus chitto

po idere da-e su monte

s’ispantu ‘e su sole

essinde da-e mare

po dare luche a su mundu”.

Ed ecco chi s’aperit s’orizzonte

a s’infiniu.

E mare e chelu si ettan ‘a pare.

Ajò! A mare, a mare!

E fi’tott’una ettada

umbrosa d’eliche antica,

e undada nuscosa ‘e romasinu

fin’a mare.

E chietu, fit su mare, e umanu.

Undicheddas de seda,

a s’iscusiu

si sizin’ a pare

chi pariana sa tunica allibrà

d’isposa andande a festa.

Vaporosu

sapore ‘e cozzula

in lavras sidias.

E zocos de leccucos

in s’ispiaggia predosa

chi parian (chissai)

sos primmos conzeddos

chin su semmene ‘e sa vida,

in fundue ‘e mare;

e-i sa Fa Marina

chin sa cara ‘e lazzìna,

terrestre divinidade,

‘e sa bellesa umana.

E cando, chi sos gravosos

lecuccos de sa vida

nos aggrucan sa carena,

zeo torro, chin s’ammentu,

a sa maghia ‘e cussos

zocos de preda

d’un’ispiaggia luntana.

Page 105: Mastros de paraula, mastros de vida

105

Al mare al mare

“E adesso tutti a dormire!

- diceva mamma -

Domani ci alziamo presto

per assistere,

dal monte,

allo stupore del sole che sorge dal mare

per illuminare il mondo!”.

Eccolo

l’orizzonte che si allarga,

che si stende all’infinito

dove mare e cielo si confondono.

Andiamo!

Al mare! Al mare!

La discesa

è un manto ombroso

di leccio antico

e l’onda inebriante del rosmarino

ci ricongiunge al mare.

Quieto ci accoglie il mare, e umano.

Minuscole onde di seta

si inseguono in silenzio

e si allibrano:

come tunica di sposa

che và alla festa.

Vaporoso sapore di freschi molluschi

sulle labbra assetate.

Giochi di ciottoli,

nella spiaggia,

che sembrano,

ma chissà,

i primi crogioli

con il seme della vita

in fondo al mare.

E quel viso marmoreo nella pietra,

sulla Fà Marina:

dipinto primigenio

e terrestre divinità

della bellezza umana.

Ora che altri ciottoli

appesantiscono il mio corpo

e la mia vita,

rammento ancora

la magia di quei giochi di pietra

in quella spiaggia lontana.

Page 106: Mastros de paraula, mastros de vida

106

Beni

Bènimi chin su sole

de sar miradas tuas

po chi sos ocros mios si pàscan

de cuss'incantu

ch'aperin chelos

a iscaccallios de risu.

Bènimi chin cuddos

passitteddos

chi mi dànzan

in coro

furisteras melodias

e bisiones d'astros lontanos

Bènimi chin su cantu

che codda 'oche tua

chi s'anima m'inundat

de cantones de vrores naschinde.

Bènim'

e porrim'

in manos

su donu 'e sa vida,

che un'Ostia d'amore.

Bàttumi

su chi su sole non connoschet.

Page 107: Mastros de paraula, mastros de vida

107

Gonario Carta Brocca

Nato nel 1943 a Dorgali, ha frequentato

poche scuole e ha conosciuto

l’emigrazione. Tornato a Dorgali ha

avviato un’attività artigianale e ha

iniziato a coltivare più intensamente la

poesia, passando dalla rima al verso

libero e distinguendosi nei concorsi di

tutta l’isola e vincendone centinaia.

Scrive anche in prosa, ha vinto il

“Casteddu de sa fae” di Posada col

romanzo Sa sedda de sa Passalitorta

(2004).

Vincendo il premio “Romangia” ha

ottenuto la pubblicazione della raccolta

di versi Sos cantos de s’ae (Sassari,

TAS, 1996).

La motivazione parla dell’impiego di

«una lingua dorgalese senza logorii di

tempo e di stagioni»; e di componimenti

animati dalla «freschezza di chi vuole

cogliere i problemi alle radici, in

meravigliosi congiungimenti di uomo

paese terra natura che conducono,

spesso, alla speranza».

In una intervista in sardo, così

commenta il suo fare poesia :

“Su tipu de poesia chi iscrio ieo est sa

poesia de su mundu, de sa vida, de

s’oje, de su crasa. Dae nue enimus, a

nue andamus, s’omine, sa divinidade, su

bene e su male.Custu est su tipu de

poesia chi m’agradat de prus. Chi mi

creat prus emozione.Po iscriere una

poesia cheret a ischire ite est una

Page 108: Mastros de paraula, mastros de vida

108

poesia. E po custu cheret a nde lezzere

medas; e non solu poesias ma peri ateras

cosas. Cheret a iscriere e a lezzere.Sa

poesia mia, po mene, est unu sognare.

Unu disizzare unu mundu menzus chi

ispero b’at a essere.Ieo appo iscrittu

poesias peri in italianu, ma s’italianu

lu ido comente una cosa anzena, de

ateros.Imbezzes su sardu est su miu.

Cando soe nechidau abbochino in sardu,

frastimo in sardu. Mi emoziono in sardu.

Una poesia iscritta in sardu e bortà in

italianu non dat sa propria resa. No est

sa propria cosa. Ma podet rendere s’idea

de cussu chi cherimus narrere. B’at

cosas chi andat bene a narrere in sardu

e ateras chi est menzus a narrere in

italianu.Pesso chi in sardu si podet

fachere tottu.Si podet iscriere unu

romanzu, unu trattau, unu discursu

politicu, tottu. Sa poesia de oje est

una poesia de dae intro, de s’anima.

Comente a fachere un’ispogliarello de

s’anima. Tra chent’annos sa poesia at a

essere una cosa differente in su modu de

narrere e in sas cosas chi contat. Peri

sa poesia sarda est cambà non solu sa

italiana. Intas a trinta anos fachet sa

poesia sarda idi solu in rima. Chene

rima non fit poesia. Oje sos poetas de

Durgali son connotos po sa poesia chene

rima.

Page 109: Mastros de paraula, mastros de vida

109

Una poesia de frinas carinnosas

Un'urtima poesia cherzo pintare

chin arrodaos chintales

e isprumas de mare furiosas

chi irfranchien sas dozas de su mundu.

Una poesia chi drinnat

tra montes de ispera:

chi cantet sa zustissia de sa vida

sa zustissia 'e sa morte

e cudda veridade

chi chircan chene pasu

sonniadores armados de paraulas

in lacanas de notes e de dies

e in disintzertas lacanas de coros.

Una poesia de frinas carinnosas

chi cruset sas praas de su discodiu

e illughidet sas demos

de 'isiones caentes;

una poesia braghera

chi intritzet sas tramas de s'iscuru

chin frumenes de lughe

chin padentes de omines

chi allegan de vida a manu tenta

e prenden in s'artare de sa luna

sas allegas de brunzu.

Una poesia chi azuet a si pesare

cuddos chi medas bortas sone rutos

e meda an batallau

a caddu 'e Ronzinante

cumbatende sas umbras de su mundu

o chircande

in su coraddu allutu de sos chelos

s'amore 'e Dulcinea:

donnia passu unu sonniu

donnia sonniu un'isteddu

chi galanias promintet su manzanu.

Una poesia chi ponzat alas levias

e in buzacca

un'urtimu dilliriu de durcura.

Page 110: Mastros de paraula, mastros de vida

110

Una poesia di tenere ariette

Un'ultima poesia voglio dipingere

con bagliori affilati

e spume di mare furiose

che artiglino i dolori del mondo.

Una poesia che squilli

fra alture di speranza:

che canti la giustizia della vita

la giustizia della morte

e quella verità

che instancabili cercano

sognatori armati di parole

in frontiere di notti e di giorni

e in ambigui limiti di cuori.

Una poesia di tenere ariette

che rimargini le piaghe di solitudine

e illumini le case

di festose visioni;

una poesia elegante

che tessa le trame delle tenebre

con fiumi di luce

con foreste d'uomini

che fra di loro parlano di vita

e annodano sull'altare della luna

i discorsi di bronzo.

Una poesia che aiuti a rialzarsi

quelli che tante volte son caduti

e moltissima duellarono

a cavallo di Ronzinante

combattendo le ombre della terra

o cercando

nel fiammante corallo dei cieli

l'amore di Dulcinea:

ogni passo un sogno

ogni sogno una stella

che incanti promette l'indomani.

Una poesia che ponga ali leggere

e in tasca

un ultimo delirio di dolcezza.

Page 111: Mastros de paraula, mastros de vida

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Poeta

Cantu mi so imbriacau

in sas muscosa andalas de ‘eranu

bufande in sa ‘upada de sos nuscos

chi visiones daian.

Cantu discodiu

lassande sos fedales

a assiendare terras e palatos;

atatos

colan in sas carreras de sa vida.

Custas buzaccas mias

nudda an aorrau

in su contu currente de su tempus:

ne istimas nen cosa.

Ap’amorau chimeras

chi mi jamain chin boghes de amaju

e miradas de luna

chi in sa carre su fogu mi ponian

e pistichinzu in coro

cando chircao

cosas de pacu asore

chi nessunu cheriat

e pessao

d’aere perdiu sos sinnos

de s’umanu colare.

Ma tando ‘ipi minore

e no ischio

d’essere ieo etotu cussu ‘entu

chi ‘e durcuras che di dolcezze

at cust’andare miu populau

semenande iscusorzos

chi si mustrain sos seros

irrajande promintas

e poemas

de leporeddas candidas de prata naschias

dae s’isteddu luchente ‘e chenadorzu

po colorare

una pazina noa

de su coro de s’omine prus riccu:

unu piseddu coro de poeta.

Page 112: Mastros de paraula, mastros de vida

112

Poeta

Quando mi inebriai

su sentieri odorosi

bevendo dalla coppa degli odori

che facevan sognare.

Quanta trascuratezza

nel lasciare i coetanei

a fare incetta di terre e palazzi;

sazi

passano sulle strade della vita.

Queste mie tasche

niente conservarono

nel conto corrente del tempo:

né amori né beni.

Ho amato chimere

che mi invitavano con voci accattivanti

ed occhiate di luna

che il fuoco nel corpo m’infondevano

e frenesia nel cuore

quando cercavo

cose senza valore

che nessuno voleva

e pensavo

d’aver perso la bussola

dell’essenza dell’uomo.

Ero giovane allora

e non sapevo

d’essere io stesso quella brezza

che di dolcezze

ha questo mio vagare popolato

seminando tesori

che ogni sera apparivano

regalando promesse

e poemi

di farfalline candide d’argento

nate

dalla stella più fulgida

per colorare

una nuova pagina

del cuore dell’uomo più ricco:

Il cuore d’un poeta bambino.

Page 113: Mastros de paraula, mastros de vida

113

Paraulas cuadas

Sa terra mia de litos

sa terra mia de preda

in su coro' e carchina

unu bisu secretu at isticchidu:

unu sonniu

de bragas de istimas e de fides

ue craros e iscuros

che omines colamus

sutta su toccu 'e sas fainas nostras;

unu sonniu 'e balentes

armados de s'allega de sos mannos

e leppa 'e dinnidade

chi a s'anzena e nostra identidade

cara noale intregat.

Sa terra mia de sole

sa terra mia 'e siddados

unu fogu de fide at in su sinu

e visiones

de babbos afainados

e mammas

chin su risittu in laras

e cussorzas fecundas

inue in luna 'ona

creschene sos pitzinnos

chene deper fuire

a logos isconnottos

a pedire su pane

a pedire s'orgogliu

d'essere su chi semus.

Unu sonniu

de zente 'e bonu 'ettu

e prufessones mannas

de zente de tottue

in carreras de sole

e portales apertos

a s'allega connotta 'e sos amigos

a s'allega 'e s'istranzu

a paraulas cuadas in su coro

Page 114: Mastros de paraula, mastros de vida

114

Parole nascoste

La mia terra di boschi

la mia terra di pietra

nel suo cuore calcareo

un sogno segreto ha nascosto:

un sogno/di gioia di amori e di fede

dove i chiari e gli scuri

da uomini viviamo

al ritmo delle nostre consuetudini;

un sogno di balentes

armati della lingua degli avi

e spada di dignità

che all'altrui e nostra identità

regala un nuovo volto.

La mia terra di sole

la mia terra di tesori

un fuoco di fede ha nel suo cuore

e visioni

di padri affaccendati

e madri

col sorriso sulle labbra

e campagne feconde

dove senza problemi

crescono i ragazzi

senza dover fuggire

in posti sconosciuti

a chiedere il pane

a chiedere l'orgoglio

d'essere ciò che siamo.

Un sogno

di gente cordiale

e grandi processioni

di tutti quanti popoli

su strade di sole

e porte spalancate

alla voce conosciuta degli amici

alle parlate aliene

alle parole nell'anima nascoste.

Page 115: Mastros de paraula, mastros de vida

115

Tonino Fancello (Dorgali, 1953) e suo

fratello Salvatore Fancello (Dorgali,

1955)- Sono numerose le affermazioni che

le stanno giungendo nei vari concorsi di

tutta l'isola. Tonino con l'Associazione

Culturale "Bardia", promuove con

successo il prestigioso "Premiu 'e

Poesia Sarda Durgali”. nel 1997 durante

l’anno vince il (premio del Campidanu) a

Selargius, (il salotto letterario di

Osilo) ed il premio (Remundu Pira a

Villanova Monteleone). durante gli anni

seguenti si conferma in altri concorsi

come primo classificato vincendo quasi

tutti i premi di poesia sarda

dell’isola. inserendosi con la sua

bravura nella prima rosa dei migliori

poeti della Sardegna. A Ottobre 2011 con

la poesia (Sonnios de pratta) vince il

primo premio del (Logudoro) a Ozieri.

Lunas de trigu (Tonino Fancello)

Eremittas antigos...

perdios...

in scura dinnidade

soliana 'e sa cria 'e sa terra,

arrennadores de entu...

travican galu

sas lunas allatadoras

innidas e piedosas de lacrimas

arestes,

intessias in sos miliares

passilenos de su tempus.

Mimulas de entu...

Page 116: Mastros de paraula, mastros de vida

116

trasportan sas lunas de trigu

iffustas de pruere 'e nuraghe

jumpande sas tramas de neula

in su chelu

faghendeli s'ispola a sa terra.

Aerzos antigos...

a ispassu

in sos surcos fulanos semenados,

trambugan...sos ojos...sa mirada

in s'istincu lughente 'e s'impudile,

seperande in s'adrommu 'e sas nottes

su suntu 'e sa paristoria

intessia

in sas siendas antigas de Sardigna.

Lunas de trigu...

trisinan galu su fragu contomosu 'e

sa tula

murmuttande su tempus mustrencu

'e s'antigu valore...

'ue si son perdios sos bezzos

cussizos.

Lassande...

s'antiga berritta chin s'arche manzàs

de sudore,

solas...solas...

chin su diliriu 'e sos tunchios de

suttaterra.

Page 117: Mastros de paraula, mastros de vida

117

Poetas (Tonino Fancello)

Semus sos leones de vastu valore

in su predariu sardu disitzadu

inue sas grobes bocana s'amore

e chircana su versu temperadu.

Peri in s'ifferru in mesu su calore

cherimus ponne timbru appaneddadu

d'attarzu interi framma iscarfeddadu

chi su dimoniu timmat su cantore.

Predas de terra ch'impastan sa vida

fizas de tempus cumpanzas de pricas

mantenen galu muros a irfida.

Semus su pruere in mesu sa sida

ammus fraicadu casteddos d'ispicas

chin d'una luche a imprestu chida chida.

Page 118: Mastros de paraula, mastros de vida

118

E Proet (Salvatore Fancello)

Andan tazos de nues in s’aera

supra terras de fogu lentinande,

e chin sos pagos gutzos paren dande

sas primas abbas de sa primavera.

Falat marinu durche dae monte

cugutande sas domos ei sas ghìas

e illampizadas mandana maìas

in tottu sa cussorza a s’orizonte.

E selenos bentos de lentore

paren torradas chircande sa luna,

sas fozas d’una rosa a un’a una

ispossiada chin pinzos d’amore.

Rosa chi m’est restada sa talea

a m’ammentare antigas bisiones,

innotzentes pitzinnas passiones

perdias in sos ojos d’una dea.

Eppuru in su fumu ‘e sos ammentos

no intendo una lagrima falare,

solu durches losingas carinnare

su coro a delicados sentimentos.

Proet! E sos gutzos in cust’ora

paren prellas lughidas e craras,

e unu risu limpidu sas laras

iscansan a s’incantu ‘e s’aurora.

S’abba paret chi intonet a tenore

unu cuntzertu ‘e tronos e de lampos,

riden sos padentes, e in sos campos

mudadu est a festa onzi fiore.

Ma resta ‘alu chin megus a disora

chin sas abbas de gosu oh temporada!

S’irvoettare in sa notte ammantada

caros mementos m’ischidat ancora.

Chin tegus oje ballat su ‘eranu

riden sas tancas, e ruppin sas enas,

cantan sos rios, s’apperin sas venas,

e si ‘estit de vida su pianu.

E chin tegus tristuras e allegrias

chin milli riitzolos si cunfunden;

no isco si son abbas chi m’iffunden.

Cantone si ‘olares (Salvatore Fancello)

Page 119: Mastros de paraula, mastros de vida

119

Cantone si ‘olares che saeta

a ferre coros chin s’arcu ‘e s’amore

in logu ‘e martirizu e de dolore

a bardia dias ponne una cometa.

De lughes d’oro e isteddos a coa

che annuntziu de naschida divina

in pruvereras de sa Palestina

chi dae tempus ispettat bida noa.

E dias bide muros de piantu

fraigados, ruende a su lugore

de sa manu gaddada ‘e su Sennore

mortu po sa paghe in logu santu.

Po iscrarire chelos oscurados

supra terras de odiu chene sensu,

inue creschet un’omine propensu

d’azungher a sa rughe atteros craos.

Si affundares sas francas che astore

inue son moribondas sas isperas,

dias aperre sas alas in aèras

immensas de sentidu e de valore

dias pesare cantigos d’affettu

po chie gherrat in bratzos de s’ostinu

peri argas chircande unu paninu

e unu cantzu ‘e cartone a cadalettu

e intonare ninnidos ebbia

dae s’animu nobile profundu

po sos minores de tottu su mundu

vittimas mannas de pedofilia.

E dias togare arcanu un’orizzonte

illacanadu cantu s’universu

si bastaren bellesas d’unu versu

a semenare paghe in donzi fronte

e zughere selenu chin sos cantos

po los pesare in artu sos sentidos,

in sos trettos immensos infinidos

padrona che reina ‘e sos incantos.

Imbentu fantasia ‘e su poeta

chi la chircat s’essentzia de sa vida…

In s’anima ‘e valore impoverida

cantone si ‘olares che saeta.

Page 120: Mastros de paraula, mastros de vida

120

Chiudo questa piccola antologia con una

poesia di Titinu Mereu (Dorgali, 1929 –

Sassari 1984) da ragazzo lavorò come

servo pastore e da adulto come muratore.

Dotato di forte senso dell’umorismo

recitava in sos magasinos e zilleris da

vero attore.

PIPIEDDU –

Cand’ippi minoreddu a primu olu

Po bisonzu appo attu su teracu

Su mere de istrintonia imbriacau

Mi trattadat che unu bestiolu.

Sempere lamentosu fit in dolu

Ca ippi debile e rendio pacu

Chin su reccattu che idi in su sacu

Li restat de appettitu a s’aranzolu.

Mesu iscurtu drominde in sa lapinna

Pacu istire e pacu nutrimentu

Ea de die a sa roba e a sa linna

E ne mai pacau a cumplimentu

Istrapazzau in edade pizzinna

Solu a mi l’ammentare m’es tormentu.

Sarebbero tantissimi altri i poeti

dorgalesi del passato e contemporanei

che meritano di essere letti e ricordati

: tra questi ricordiamo ziu Larettu Loi,

ziu Tottoi Cosaona, i fratelli Paolino e

Michele Pireddu, Paolo Delussu, Antonio

Dettori, Mario Fronteddu, Maristella

Fancello, Elena Monni, Angelina Sotgia,

ecc. ecc. A tutti l’invito di cercare e

leggere le loro opere, alcune citate

nella bibliografia finale.

Page 121: Mastros de paraula, mastros de vida

121

COME SE …

“Non mi dispiachet ca m’inche morzo ma

ca no appo isperimentau”.

Quanto avrei desiderato. Tali parole

assumono un aspetto particolare quando a

dirle è una persona ultra novantenne.

Quando la memoria ritorna verso

l’infanzia è perché il futuro si è

raccorciato e la mente trova compenso

allungando il passato all’indietro, il

più indietro possibile. È quello che

l’esistenza ci chiede, ricordare e

richiamare alla memoria fatti, persone

ed esperienze.

Far tornare alla coscienza quanto

l’inconscio collettivo dei sardi di

Dorgali ci hanno regalato, senza che ne

percepissimo la profondità, come

persone nate e cresciute in queste

terre. Ripenso spesso a miei nonni uno

pastore l’altro capraio a Monte Omene.

Alle invocazioni recitate da mia nonna

vicino al focolare; mi ripenso da quando

occupavo “su brozzolu” e ascoltavo le

prime parole.

E sognavo, come se ….

Page 122: Mastros de paraula, mastros de vida

122

COME DA “ITACA” DI KOSTANTIN KAVAFIS

Itaca è un’isola del Mediterraneo. Un

mito, un ricordo, un richiamo a una

eterna nostalgia. La necessità di

tornare a casa, nel posto dove si è

nati. Sulle orme di povertà di Itaca e

sui sentieri austeri di Dorgali in

Sardegna.

Riflessioni sul senso della vita,

concepita come viaggio verso una meta,

che si raggiungerà dopo lunghe

peregrinazioni. Non bisogna avere fretta

di giungere a destinazione, ma bisogna

approfittare al meglio del viaggio (e

quindi della vita) per esplorare il

mondo, crescere e ampliare il proprio

patrimonio di conoscenze.

In ultima analisi, il senso è proprio

quello di valorizzare più il viaggio che

il destino. "Itaca" come “Sardegna” è

il riferimento alla propria origine e

identità, alla propria terra, che non

può essere mai dimenticata.

E il regalo più grande che ci ha fatto,

la Sardegna nella sua povertà e umiltà,

è proprio quello del viaggio, reale o

metaforico, che ci ha permesso di vivere

e di amarla. Anche se lontani.

Page 123: Mastros de paraula, mastros de vida

123

ITACA E SARDIGNA

Cando cuminzas a viazzare

disizzati chi duret meda,

oro, timanza e seda

de Bisanzio o Itaca as’amare.

Muntones de isiones as a pessare

non timas sas abbas nechidàs

ca sas tantas penas acatàs

dae su coro as’ a poder inneddare.

Lassa chi t’intren in manos

contos, libros e papiros

impara peri sos sospiros

de sos savios e marranos.

E si su sufrimentu

est in totue dolorosu

ista sempere disizzosu

de donnia isperimentu.

Sardigna t’at dau su mare

E unu iazzu tribolau

In cussu c’as imparau

Ch’est sa richesa de abalorare.

(Vincenzo Pira)

Page 124: Mastros de paraula, mastros de vida

124

Come nel CANTO DI UN PASTORE ERRANTE

DELL'ASIA – di Giacomo Leopardi

Gli umili e gli esclusi diventano

protagonisti della storia e della

letteratura. Una scelta che anche

Leopardi ha fatto volendo dimostrare

come tutti, ricchi o poveri,

intellettuali o analfabeti, si pongono

le stesse domande senza un’unica

risposta sul significato della vita e

sull'esistenza del male. Anzi, sulle

labbra di un semplice pastore, sia

dell’Asia o della Barbagia, questi

interrogativi acquistano una forza

particolare, primordiale e assoluta, che

esprime la "radice" comune della

condizione umana. Il pastore immagina

che la luna , contemplando dal cielo lo

spettacolo della vita terrena , possa

vedere ciò che al pastore appare

misterioso ; la luna , infatti ,

dovrebbe essere in qualche modo

consapevole di ciò che l'uomo ignora. La

bellezza della primavera e del cielo

stellato devono giovare a qualcuno, non

possono essere semplici apparenze di un

universo indifferente. Ma lo sconforto

emerge nell'ammissione finale, in cui i

dubbi fiduciosi lasciano spazio a una

certezza terribile: a me la vita è male.

Il pastore si rivolge anche al suo

gregge, che invidia in quanto esso, a

differenza dell'uomo , sente la vita

solo istante per istante , dimentica

subito ogni stento e così non soffre.

Page 125: Mastros de paraula, mastros de vida

125

Cussorzas de chelu

Ite aches tue, luna, in su chelu?

Narami silenziosa luna.

Naschis su sero chene velu

Peri po chie hat pacu vortuna.

Ti ch’istichis in s’andare

illuinande sas vias

istraca de pompiare

sas matessis rias.

Sa vida de cadena

in su chelu serenu

su pastore chin pena

igualas a prenu.

Pesat chito a s’impuddile

moffet su tazzu in su campu

untanas, pasturas e cuile

che li moffen su prantu.

Si pasat su sero istracu

ghite l’hat mai ispantau

narami, o luna si es pacu

a bivere ispramau.

A nue lompet s’andonzu terrenu,

e su camminu de su pastore

sanu, cuntentu e serenu,

o istrazzolau chene onore?

Chin d’unu pesu in s’ischina ,

po montes, tancas e rios ,

li punghet in conca un’ispina,

disizzu de amores proibios.

Page 126: Mastros de paraula, mastros de vida

126

Collinde abba e bentu

uidi innedda isalenau,

urruet e s’arrizat lentu,

irmenticande su colau.

Chene pasu ne reposu,

perdiu in su camminu

chircande isaperanzosu

s’ originale sinu.

O luna virzine lamentosa,

asi est sa vida de su mortale.

Naschit pranghende dolorosa

chircande zustamente sa morale.

Cosa prus zusta in contu

non poden facher sos mannos

che a sos fizzos su cossolu

procurare medas annos.

Si sa vida est patimentu

meda peus de sa presone

o luna chin sentimentu

ti dimando sa resone.

Non connesches sa morte

emina chene edade

de su pastore sa sorte

disizzali chin piedade.

Tanca manna silenziosa,

a lacana chin su chelu

cara triste e dolorosa

pérdia chene velu.

Page 127: Mastros de paraula, mastros de vida

127

Cando luchen sos isteddos

lompet su pessamentu

a prenare sos cherveddos

de donnia suffrimentu.

Dae chelu e dae terra

chene pasu immortale

in s’eterna guerra

po su ene e su male.

Non connosco ene s’istoria

de s’umana miseria

ziros eternos e memoria

son po mene cosa seria.

Tue luna ses chene affannu

e andas chene cadenas

a nois lassas su prantu

e tottu s’ateras penas.

Cando mi drommo in terra

o in sa preda dura

fastidios a caterva

no acatan cura.

No acato pache in locu

uinde dae su vrittu

abba, laore e focu

mi sian de dirittu.

Sa tristura est de pesu

in sa vida pastorile

si sus tempus at resu

miseru su cuile.

Page 128: Mastros de paraula, mastros de vida

128

Si appapiu sas alas

e in sas nues potiu olare

annadas vonas o malas

podia ieo seperare.

Ma a tie luna su cantu

ti siat de dilettu

a su pastore su incantu

daeli chin affettu.

(Vincenzo Pira)

Page 129: Mastros de paraula, mastros de vida

129

COME “IL CANTO DEL SERVO PASTORE”

DI FABRIZIO DE ANDRÈ

Sardegna terra di pastori e del

rosmarino che fa rima con destino. Dove

la fontana oscura (che richiama “sa

tristura”) da un suggerimento di vita:

"prendi la tua tristezza in mano e

gettala nel fiume..."

L’eterna ricerca di senso del pastore

travolto dalla vita e dai suoi eventi.

Figlio della natura alla ricerca di una

propria identità (qual è il mio vero

nome, ancora non lo so).

Non c'è lieto fine; la vita del servo

pastore è e rimane sempre la stessa.

L'unico conforto è il ricordo di quanto

si è imparato e conosciuto : la luna,

la notte, gli alberi in cui incidere, il

dolore addolcito da qualche gesto di

calore e di affetto. E poi si può anche

morire.

La vita dei tanti servi pastori hanno

costruito l’inconscio collettivo della

nostra cultura. E ancora la ritrovo che

batte nei miei pensieri.

Page 130: Mastros de paraula, mastros de vida

130

SU CANTU DE SU TERACU PASTORE

In nue frorit su romasinu

b'at una untana iscura

a nue andat su destinu

unu ilu de tristura.

Cale est sa manu zusta

non mi l'ane mai imparau

cale est su numene eru

alu non mi l'han contau.

Cando sa luna perdet sa lana

e su puzzone sa gana

donnia anzelu in cadenas

e donnia cane appeddat.

Pica sa tristura in manos

e ghettachela a frumene

esti de ozzas su dolore

e prenalu de prumas.

In donnia ozza de lidone

dae neco a mare

c'appo lassau carchi pilu

in donnia eliche un'iscrittu

de sas resorzas mias.

S'amore de domo

s'amore de biancu istiu

no l'appo mai connotu

no l'appo mai traiu .

Page 131: Mastros de paraula, mastros de vida

131

Babbai astore,

mammai pazzarzu

in pittu de sa collina

sos ocros chene undu

accumpanzan sa luna.

Notte notte notte sola

sola che su ocu de domo

pone sa conca tua

in su coro miu

e a pacu a pacu

lassalu morrere.

Page 132: Mastros de paraula, mastros de vida

132

COME “I PASTORI”

DI GABRIELE DA’ANNUNZIO

In Abruzzo come in Sardegna :

“Settembre, andiamo. E’ tempo di

migrare.

Ora in terra d’Abruzzi

i miei pastori lascian gli stazzi

e vanno verso il mare:

scendono all’Adriatico selvaggio

che verde è come i pascoli dei monti.

Han bevuto profondamente ai fonti

alpestri, che sapor d’acqua natía

rimanga ne’ cuori esuli a conforto,

che lungo illuda la lor sete in via…

La nostalgia e il rimpianto portano a

concludere :

Ora lungh’esso il litoral

cammina la greggia.

Senza mutamento è l’aria.

Il sole imbionda sì la viva lana

che quasi dalla sabbia non divaria.

Isciacquío, calpestío, dolci romori.

Ah perché non son io cò miei pastori? “

Page 133: Mastros de paraula, mastros de vida

133

PASTORES

Capidanni. Tempus de tramudare.

Moffen, su tazzu lentu, sos pastores

andande in chirca de menzus laores

dae sos artos montes a mare.

Sentimentos e cantos a s‘andare

Azuan a irmenticare sos dolores

Isperanzas, ammentos e valores

Acumpanzan su disuzzu e su precare.

Dae innedda ammento custa zente

Lamentos de lontananza chin’amore

De esules chi biven tristemente.

Cantu dolet s’ammentu in malumore

de su nostalgicu ponner a mente

de Sardinna su prus bellu viore.

(Vincenzo Pira)

Page 134: Mastros de paraula, mastros de vida

134

COME “CIAO AMORE CIAO” DI LUGI TENCO

Quando le strade erano tutte uguali,

bianche come il sale, e non grigie di

catrame. Quando facevano contorno al

giallo dei campi di grano e il pane si

sfornava in ogni casa, frutto del sudore

e del lavoro dei contadini.

Quando la natura era lontana dalla

cultura. Quando la vita preparava alla

morte.

E poi ancora il viaggio. Un bel giorno

piantare tutto e andare via. Con il

rischio di perdere ciò che si ama e di

perdersi.

Senza mai sapere se domani ci sarà la

pioggia o il sole, se si deve ancora

vivere oppure se è arrivata l’ora di

morire…

Senza nostalgie inutili, in continua

ricerca, difendendo la memoria e

innovando il presente. Tra natura e

cultura.

In un dolce e continuo rimescolio. Come

ha recitato in sardo, per noi,

Michelangelo Pira in “Morte a Sanremo”.

http://www.youtube.com/watch?v=wQseeznS3

eU

Page 135: Mastros de paraula, mastros de vida

135

ADIOSU

Sa matessi andaledda,

bianca che sale,

su tricu alu a creschere

e sas tancas de arare.

Mirande donnia die

Si proet o si b’est su sole,

po ischere si crasa

si bivedet o si morit.

E una bella die

che piantas tottu e t’icandas.

T’icandas a innedda

a chircare ateros mundos

pedinde perdonu

a sa terra chi lassas,

comente in d’unu isione.

E poi milli camminos

chi paren fumu

in d’unu mondu de luches

in nue non ti connosches.

Bivende chent'annos in d’una die,

dae sos montes de Ghivine

a sos chelos chene vine.

Chene cumprendere nudda

Semper chin gana de amorare.

Chene ischire a facher nudda

In d’unu mundu chi ischit tottu

e chene unu sisinu

po podere torrare. Adiosu.

Page 136: Mastros de paraula, mastros de vida

136

COME NELL’ ULISSE DI UMBERTO SABA

La sfida e la difficoltà del viaggio, la

bellezza del tempo che svela ostacoli

insormontabili, dal piccolo fiume del

paese natio ai grandi fiumi del mondo.

Il tema del viaggio arriva direttamente

al primo verso “Appo cumenzau dae

pizzinnu a biazzare in su mundu” – e

proietta subito il pensiero alla

grandezza degli oceani, come un cumulo

di esperienze, un viaggio attraverso una

vita, a tratti calma ma piena di

insidie.

E la stanchezza del viaggio porta a

desiderare il porto in cui trovare

sicurezza.

In cui poter spendere le conoscenze e la

saggezza accumulate dimenticando la

solitudine e la vita senza amore.

E Ulisse metafora condivisa di tutto

questo.

Page 137: Mastros de paraula, mastros de vida

137

ULISSE

Appo cumenzau dae pizzinnu

a biazzare in su mundu

ma de Sardinna su sinnu

arrumbau m’est in fundu.

Dae terras predosas

de pacos colores

supportande dolores

de zentes zelosas.

Imparande dae tottu

dae pizzinnas e bezzas

dae bellas e lezzas

s’amore isconnottu.

Lompet s’umbra iscura

E t’acatat istracu

chene pache, teracu

de ninfas de tristura.

Oje no appo domo

affocau in sos amentos

bivo in sos lamentos

e chene pache dromo.

(Vincenzo Pira)

Page 138: Mastros de paraula, mastros de vida

138

COME UGO FOSCOLO IN “ZACINTO”

La precarietà della condizione di esule

e il sentimento nostalgico nei confronti

dell’isola del mar Ionio, molto amata,

dove lui è nato.

Ripensando a quando era bambino e

ricorda le bellezze del clima e della

vegetazione dell'isola, creata dalla dea

Venere – nata dalle acque del mare – che

lei rese fertile con il suo primo

sorriso. Mentre Omero celebrò i viaggi

di Ulisse, che potè a ritornare a

baciare la «petrosa Itaca», mentre a lui

non riuscirà di ritornare nella sua

piccola isola.

Il fato avverso lo costringe a

peregrinazioni senza sosta e sente che e

stata stabilita per lui una perenne

nostalgia e una lunga ricerca di pace.

Page 139: Mastros de paraula, mastros de vida

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A DURGALI

Cando appo torrar a bidere

S’ispricu d’abba inue soe naschiu

Locu galanu dae tottu est ischiu

Menzus non b’hat po morrere e bivere.

Po medas annos m’as pesau

Imparandemi sa bramosia

su travallu e s’allegria

de s’eressia tua app’amirau.

Riconnotu hat meda zente

De izzas tuas sa belesa

nudricas de pacu richesa

ma de zeniu prus valente.

Dae pizzinnu a sa ezzesa

Su mundu intreu appo connotu

Irmenticande s’ abolotu

E de tramperis sa pretesa.

Zai su tempus est colande

soe alu innedda dae chentu

De torrare conca a bentu

Su disizzu est aumentande.

Ti regalo custu cantu

De izzu prodigu e disizzosu

De torrar a bidda isperanzosu

po non connoscher prus su prantu.

Page 140: Mastros de paraula, mastros de vida

140

COME “ALLE FRONDE DEI SALICI "

DI SALVATORE QUASIMODO

Alle fronde dei salici” è stata scritta

durante il periodo della guerra contro i

nazisti. Si esprime l’avversità verso

gli “oppressori” e il sacrificio che le

vittime di ogni tempo subiscono.

L’eterno significato simbolico del

“piede straniero”, inteso come gli

invasori di sempre che calpestano i

sentimenti ( il cuore ) di tutto il

popolo.

Come il popolo della Bibbia, ogni popolo

oppresso non può cantare.

Non si può calpestare la dignità della

gente obbligando all’allegria quando si

vuole solo piangere.

Page 141: Mastros de paraula, mastros de vida

141

S’urtimu cantu

E nos pediat a cantare

Sas grobes de Sardigna

In d’una terra indigna

Locu ‘e ifferru de brusare.

Chene gana de precare

Cuss’ anima maligna

Non baiat sorre benigna

po nos poder attittare.

Imbolaos in sa serra

respirande malasorte

e entos pudidos de gherra.

Tocà nos est sa morte

Urtimu cantu ‘e sa terra

de chie pranghet prus forte.

(Vincenzo Pira)

Page 142: Mastros de paraula, mastros de vida

142

Come il Don Chisciotte di Gianni Rodari

Lento, ma inarrestabile, cavalca nei

secoli il cavaliere errante, dietro il

suo scudiero saggio e timoroso. Dalla

Mancha al mondo, con il ricordo di

Dulcinea, la compagnia di Ronzinante e

di Sancho Panza, a lottare contro le

ingiustizie. Il viaggio, il desiderio

di conoscere il nuovo, eroe di paese

sconosciuto che vuole conquistare il

mondo.

“O caro Don Chisciotte,

o Cavaliere dalla Triste Figura

girasti il mondo in cerca d'avventura,

con Ronzinante e Sancio il tuo scudiere,

pronto a combattere senza paura

per ogni causa pura.

Maghi e stregoni ti facevano guerra,

e le pale incantate dei mulini

ti gettavano a terra;

ma tu, con le ossa rotte,

nobile Don Chisciotte,

in sella rimontavi e, lancia in resta,

tornavi a farti rompere la testa.

In cuore abbiamo tutti un Cavaliere

pieno di coraggio,

pronto a rimettersi sempre in viaggio,

e uno scudiero sonnolento,

che ha paura dei mulini a vento...

Ma se la causa è giusta, fammi un segno,

perché - magari con una spada di legno -

andiamo, Don Chisciotte, io son con te!

Page 143: Mastros de paraula, mastros de vida

143

A ziu Pascale Crodazzu

Cadderi fieru e sognadore

naschiu in locu isconnotu

po su zustu as fattu votu

d’essere balente lottadore.

De connoschessias chircadore

chin s’anima in abolotu

lassau as su locu notu

e su primu amore.

Tropu dies de itianu

de una vida intristìa

de unu inchidore metzanu.

Bramande tempos d’armonìa

circaos in locu lontanu

po su ene de s’umana zenìa.

(Vincenzo Pira)

Page 144: Mastros de paraula, mastros de vida

144

Come nella Bibbia, Qoelet, 3, 1-8 :

Tempus po tottu

B’at unu tempus po istimare

E unu tempus po naschire

Unu tempus po partire

E unu tempus po ispettare.

B’at unu tempus po briare

E unu tempus po finire

Unu tempus po muttire

E unu tempus po calliare.

B’at unu tempus po mòlere

Unu tempus de allegria

E unu tempus de morrere.

B’at unu tempus de bria

E unu tempus po pranghere

Ca est longa sa ria.

(Vincenzo Pira)

Page 145: Mastros de paraula, mastros de vida

145

Salvatore Fancello

(Dorgali 1916 – Bregu Rapit Albania

1941)

Page 146: Mastros de paraula, mastros de vida

146

A Salvatore Fancello, giovane artista

dorgalese, morto in guerra, con altri

soldati che avevano lo stesso umore ma

la divisa di un altro colore.

Colores in biazzu

In sa costa de mare

erva zalla brusà

colores de chelu

in sa tanca pintà.

Chin manzas de erveches

biancas che su manzanu

montes frittos che nie

s’oro de su eranu.

De ocu ruiu s’aneddu

che ocrosos istracos

brunetinas sas lavras

che mare nechidau.

Carena bianca che latte

rosa de maju ifriscà

ulias ispricu de nues

anzande abba arzentà.

Pilos nieddos che piche

Umbra iscura de s’eternu

Arva longa canuda

Luchente che isteddu.

Mele ranchiu irruiau

che sa uca tua

un’urtimu asu

po acatare pasu. (Vincenzo Pira)

Page 147: Mastros de paraula, mastros de vida

147

ISCHIDANDE

Unu sonnu profundu

chi che canzellat su tempus

e ti che leat a innedda

po chircare un’imposta.

Miradas arcanas

chi àtunu sol’ispantu

umbras de animas mortas

in ispera de attitu.

Timende sos misterios

chin no acatan crarore

isperande in sa prominta

de una paraula zentile.

Anima suferente

iscarvatà in su profundu

ispettande dae sempere

sinzales de luche.

Peso chitto a s’impuddile

po m’ammentare unu isione

alanzande cussorzas de vida

perdias in sa notte.

(Vincenzo Pira)

Page 148: Mastros de paraula, mastros de vida

148

Innedda

Cant’est innedda

cust’innedda

de bisos non crompios

chi irvettan sa die

cando s’eternidade

s’abeliat

de sas fainas de su tempus.

No, no est innedda

cust’innedda

peri chene fruttos

bales sa galania ‘e su frore

su ‘isione ‘e su semene

s’ispettatia ‘e s’istajone noa

po podere sempere

torrare a cumentzare.

(Vincenzo Pira)

Page 149: Mastros de paraula, mastros de vida

149

COME FARE POESIA ?

La poesia è fatta da strofe che indicano

un raggruppamento di versi

caratterizzato da :

• Numero e tipo dei versi usati

• disposizione delle rime.

La rima

Componente importante del fare poesia,

la rima è l’identità dei suoni della

parte finale di due parole; si presenta

in varie forme, tra le quali ricordiamo:

• la rima baciata, quando unisce due

versi consecutivi secondo lo schema AA;

• la rima alternata, quando appunto

le rime si alternano, secondo lo schema

ABAB;

• la rima incrociata, quando si

presenta con un ordine speculare,

secondo lo schema ABBA;

• la rima incatenata, tipica della

terzina dantesca, secondo lo schema

ABA.BCB.CDC.;

• la rima invertita, quando le rime

di una strofa tornano uguali ma in

ordine inverso, secondo lo schema

ABC.CBA;

• la rima replicata, quando le rime

di una strofa tornano uguali e nello

stesso ordine in una strofa successiva,

secondo lo schema ABC.ABC.

Page 150: Mastros de paraula, mastros de vida

150

Il RITMO è il movimento creato

dall'andamento degli accenti all'interno

del verso. Questo andamento può rendere

ritmicamente differenti versi

metricamente uguali.

Ad esempio un endecasillabo può avere

gli accenti sulle sillabe 1-4-6-8-10,

oppure 2-4-6-8-10, o ancora 3-6-8-10.

Quanto al numero dei versi impiegati e

alla disposizione delle rime, le strofe

più comuni sono:

• il distico (schema AA ):

Su sinnore balente

in bidda est perdente

• la terzina (schema ABA.BCB.CDC)

Per me si va ne la città dolente,

per me si va ne l'etterno dolore,

per me si va tra la perduta gente.

Giustizia mosse il mio alto fattore;

fecemi la divina potestate

la somma sapïenza e 'l primo amore.

Dinanzi a me non fuor cose create

se non etterne, e io etterna duro.

Lasciate ogne speranza, voi ch'intrate.

(Dante Alighieri, Inferno III 1-9 –

poeta di Firenze 1265-1321)

Page 151: Mastros de paraula, mastros de vida

151

• la quartina (schema ABAB oppure

ABBA)

Tancas serradas a muru A

Fattas a s'afferra afferra B

Si su chelu fit in terra B

L'aiant serradu puru A

(Melchiorre Murenu)

• la sestina schema ABABCC - non si

chiamano sestina o sesta rima tutte le

strofe di sei versi, ma solo il tipo

ABABCC.

Pertanto, nell'eventualità in cui si

dovessero riscontrare, per esempio,

strofe con schema: ABABAB o ABCCDD si

dovrà semplicemente parlare di strofe di

sei versi.

• l'ottava (schema ABABABCC)

• la nona rima (ABABABCCB).

Misurare il verso significa “contare le

sillabe” per garantire sia la vocalità e

musicalità della poesia sia il rispetto

della metrica.

Molti poeti contemporanei, con l'impiego

del verso libero, usano solitamente

strofe senza alcuno schema fisso di

versi o di rime.

Page 152: Mastros de paraula, mastros de vida

152

IL SONETTO

Il sonetto è un breve componimento

poetico, tipico soprattutto della

letteratura italiana e ripreso anche da

quella sarda. Nella sua forma tipica, è

composto di quattordici versi

endecasillabi (contrariamente a quanto

si potrebbe dedurre dal nome, è bene

chiarire subito che la nota distintiva

del endecasillabo non è il numero

effettivo di sillabe, bensì il fatto che

in tutti i casi l'accento dell'ultima

parola del verso cada sempre sulla

decima sillaba. È errore comune dunque

pensare che tutti gli endecasillabi

debbano avere sempre e comunque undici

sillabe. Ciò, se pure nella maggior

parte dei casi è vero, non costituisce

una regola).

Molto vario è lo schema ritmico del

sonetto, quello originario era composto

da rime alterne ABAB.ABAB sia nelle

quartine che terzine CDC.DCD, oppure con

tre rime ripetute CDE.CDE. Quello in

vigore nel Dolce Stil Novo introduceva

nelle quartine la rima incrociata:

ABBA/ABBA, forma che in seguito ebbe la

prevalenza.

Ecco un sonetto di ottonari (verso con

gli accenti sulla terza e sulla settima

sillaba – ABBA.ABBA CDC.DCD) di don

Zuanni Mulas:

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A Eleonora

S’ischires cantu ti bramo

Fada bella de su coro

S’ischires cantu ti adoro

Narrer mi dias: si t’amo.

Ti chirco continu e giamo

Si non t’incontro m’acoro

Ca ses s’unicu tesoro

Pro su cale m’infiamo.

Ses che lughente aurora

Chi s’altzat serena in mare

Ses che fada incantadora.

Non ti devo ismentigare

Pura e bella Eleonora

Finas a mi sepultare.

Sos Mutos, sono composizioni sarde, sia

dall’uomo che dalla donna, per

dichiarare il proprio amore ma

utilizzato anche con funzioni ludiche e

conviviali, di sfogo e di scherno in

base alla circostanza. Cantati

solitamente a voce sola o anche

accompagnati da chitarra od organetto.

La versione su tematiche religiose è

chiamata Gosos e ha la stessa forma.

La struttura compositiva dei Mutos

prevede solitamente s’isterrida,

normalmente di tre versi (ma possono

essere anche di più) che poi vengono

Page 154: Mastros de paraula, mastros de vida

154

ripresi in sa torrada a formare tante

strofe, sas cambas, quanto sono i versi

de s’isterrida.

Talvolta non tutti i versi de

s’isterrida vengono ripresi in sa

torrada in altrettante cambas ma solo

alcuni. S’istérrida non è mai sottintesa

ed è invece sempre enunciata

integralmente all’inizio del

componimento e non presenta mai

ripetizioni di versi.Sa torrada ha

sempre la forma «ampliata» e

l’ampliamento è sempre del tipo «per

cambas».

Il verso generalmente adottato nei mutos

è il settenario (verso nel quale

l'accento principale si trova sulla

sesta sillaba).

SETTENARIO. Verso di sette sillabe

metriche o posizioni, con accento fisso

sulla sesta posizione e uno o due

accenti mobili sulle prime quattro. Si

alterna spesso all'endecasillabo, come

nella canzone A Silvia di Leopardi.

Altra forma molto usata nella poesia

sarda è l’ottada torrà di più semplice

fattura.

Page 155: Mastros de paraula, mastros de vida

155

Possiamo distinguervi due tipi:

• quella di ottonari, che chiameremo

ottada torrà minore, ottenuta con la

farcitura di un distico cc nello schema

della sesta torrà : ABBAACCX;

• quella in endecasillabi, ottada

torrà maggiore, che parte dallo schema

dell’ottava rima (ABABABCC, in sardo

ottava serrà) per ottenere la formula:

ABABABBX.

L'ottada è costituita da strofe di otto

versi endecasillabici, sei a rime

alternate iniziali (schema ababab o

ababba o abbaba o abbaab) e due a rima

baciata finali.

Sa Battorina

È costituita da una quartina di

settenari a rima alternata. La quartina

è a sua volta suddivisa in isterrida e

torrada o cobertanza, composte da due

versi. È in genere un canto d'amore, ma

può avere anche altro argomento.

A dispetto del nome, la battorina (dal

sardo battoro, ‘quattro’ più il suffisso

-ina) non è però direttamente

assimilabile alla pura ‘quartina’ di

schema ABBA, come alle strofe libere in

genere, per una sua caratteristica

costante che va dunque presa con la

dovuta considerazione: la ripetizione

del primo verso dopo il quarto

(A1BBAA1):

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Suspiros mios bolade A1

privos de d’ogni recreu; B

s’infelice istadu meu B

a su ch’istimo li nade. A

Suspiros mios bolade. A1

Ecco un esempio di una gara fra tre

poeti estemporanei : Zizi, Sotgiu e

Piras.

SOTGIU: Como cantamos una battorina

Pro appagare un'atter'una idea

Mi non è legge bella o legge fea

Ch'est de legisladores sa faina

Como cantamos una battorina

PIRAS: Como cantamos una battorina

Chi est de sa duina sa corona

Cando s'agattada in duna terra ona

Pone fina sa lande raighina

Como cantamos una battorina

ZIZI: A la cantamos una battorina

Sas legges la lassamos a coa

Como e timere già est sa legge noa

Una tantum, su preziu e sa benzina

Goi si cantada una battorina

SOTGIU: Alla cantamos una battoretta

Su preziu e sa pastura est in ribassu

Ma aumentadu est su trigu e s'ammassu

E preziu leadu non ha sa petta

Como cantamos una batto retta

PIRAS: Como cantamos una battoretta

Già semus pianghinde tottu umpari

Ma basta chi si fina su inari

Calicunu leadu has sa recetta

Como cantamos una battoretta

Page 157: Mastros de paraula, mastros de vida

157

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