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Capitolo III

L’ANATOCISMO

di Marzia Scura

Il fenomeno anatocistico ha un notevole impatto sull’equilibrio economico dei contratti bancari. Nel presente capitolo ne verrà descritta e ricostruita la disciplina, che, a partire dall’entrata in vigore del codice civile, ha subito plurimi e, spesso, drastici interventi da parte sia del legislatore, sia della giurisprudenza. Non di rado nel corso del medesimo rapporto tra la banca e il cliente, l’anatocismo si trova soggetto ratione temporis a discipline differenti, se non opposte, che pongono i contraenti stessi, oltre agli operatori del diritto, dinanzi a significative incertezze e a complesse problematiche applicative.

Sommario: 1. La disciplina generale dettata dall’art. 1283 c.c. – 2. Evoluzione della disciplina sull’anatocismo nella giurisprudenza e nella legislazione degli anni ’90 – 2.1. Usi bancari e deroga al divieto di anatocismo. Evoluzione giurisprudenziale dall’introduzione del Codice Civile sino al revirement della Corte di Cassazione del 1999 – 2.2. Le modifiche introdotte dal legislatore del 1999 e la Delibera CICR 09/02/2000. Legittimazione dell’anatocismo bancario – 2.3. Le sentenza della Corte Costituzionale n. 425 del 17/10/2000 e n. 341 del 12/10/2007 – 3. La disciplina delle clausole anatocistiche stipulate prima e dopo l’entrata in vigore della Delibera CICR 09/02/2000 – 3.1. I contratti “chiusi” ante Delibera e i contratti in corso, fino all’adeguamento – 3.2. Le pattuizioni anatocistiche stipulate dopo l’entrata in vigore della Delibera CICR 09/02/2000 – 4. Il nuovo art. 120 TUB alla luce delle modifiche introdotte dalla “Legge di stabilità 2014”. Il ripristino del divieto di anatocismo – 4.1. Esegesi ed entrata in vigore della norma – 4.2. La recente giurisprudenza di merito – 5. Il fenomeno anatocistico nei contratti di mutuo – 5.1. Brevi cenni al dibattito sulla natura astrattamente anatocistica del mutuo contratto sulla base di un piano di ammortamento c.d. “alla francese” – 5.2. Natura intrinsecamente anatocistica del contratto di mutuo in ipotesi di inadempimento del pagamento delle rate – 5.2.1. La disciplina speciale applicabile ai contratti di mutuo fondiario fino al 1994 – 5.2.2. Effetti della disciplina generale del fenomeno anatocistico sui contratti di mutuo – 6. Anatocismo e usura: due fenomeni distinti.

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Casi: 1. La Delibera CICR 09/02/2000 quale “spartiacque” nella valutazione sulla legittimità delle clausole anatocistiche nei contratti bancari – 2. L’adeguamento dei contratti di conto corrente ai sensi dell’art. 7 della Delibera CICR 09/02/2000 – 3. Ripristino del divieto di anatocismo alla luce delle modifiche introdotte dalla “Legge di Stabilità 2014” – 4. Anatocismo in caso di piano di ammortamento c.d. “alla francese” e in caso di inadempimento.

Riferimenti normativi: artt. 1283 e 1813 c.c.; art. 120, D.Lgs. 01/09/1993, n. 385 (TUB); Delibera CICR del 09/02/2000.

1. LA DISCIPLINA GENERALE DETTATA DALL’ART. 1283 C.C.

Nell’ambito delle obbligazioni pecuniarie l’anatocismo è comunemente ravvisato nel fenomeno giuridico-contabile consistente nella produzione e computo di ulteriori interessi sugli interessi scaduti e dovuti dal debitore, mediante sommatoria di questi ultimi al capitale sul quale erano stati calcolati (c.d. capitalizzazione)1.Nel nostro ordinamento la disciplina generale del fenomeno anatocistico è dettata dal Codice Civile, che all’art. 1283 dispone:«In mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi»2.L’anatocismo è oggi quindi generalmente vietato dal Codice Civile e consentito da quest’ultimo in sole tre ipotesi:

– in presenza di una apposita domanda giudiziale successiva alla scadenza degli interessi, con riferimento a interessi dovuti per almeno sei mesi (anatocismo giudiziale)3;

1 Nel Codice Civile del 1865 l’anatocismo era indicato all’art. 1232, comma 2, come «l’interesse degli interessi», intesa come capacità degli interessi scaduti, a determinate condizioni, di produrre altri interessi.2 Si tratta di una norma pacificamente ritenuta di carattere imperativo e di natura eccezionale (così Cass. 12/04/1980, n. 2355, in Giur. it., 1982, I, p. 238), a mezzo della quale il legislatore del 1942 ha introdotto nell’ordinamento alcune deroghe al divieto di anatocismo, innovando rispetto al precedente codice del 1865, dove la disciplina del fenomeno era contemplata in termini maggiormente restrittivi. L’art. 1232 del precedente codice civile restringeva infatti la possibilità di produzione di interessi sugli interessi alla condizione che questi ultimi fossero «dovuti per una annata intera» ed esclusivamente «in forza di giudiziale domanda e dal giorno di questa, o nella misura che verrà pattuita in forza di convenzione posteriore alla scadenza dei medesimi». Era inoltre consentita la deroga al divieto di anatocismo a fronte di usi e consuetudini «nelle materie commerciali».3 Ciò significa che una condanna al pagamento, emessa su una obbligazione composta da debito originario e interessi, può considerare le due componenti come un unico debito indifferenziato. In tal caso il calcolo

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– in presenza di un accordo in tal senso fra le parti, anch’esso successivo alla scadenza degli interessi e con riferimento a interessi dovuti per almeno sei mesi (anatocismo convenzionale)4;

– in presenza di un uso contrario al disposto dell’art. 1283 c.c., in grado di derogare alla disciplina tipica dettata da quest’ultimo (anatocismo c.d. usuale).

Con specifico riferimento ai rapporti bancari, il dibattito dottrinario e giurisprudenziale in tema di anatocismo sin dall’entrata in vigore del Codice Civile si è concentrato proprio sulla portata di dette deroghe, e tutt’ora pone gli operatori di fronte a problematiche di non semplice soluzione.Il fenomeno anatocistico ha infatti un notevole impatto sull’equilibrio economico dei contratti bancari5, circostanza che imporrebbe l’adozione di una disciplina chiara e univoca, tale da consentire a entrambe le parti del rapporto di obbligarsi reciprocamente con la piena consapevolezza del valore del vincolo contratto.Tuttavia, come si vedrà, l’incessante e spasmodico susseguirsi di modifiche normative e di revirement giurisprudenziali che si è verificato in tema di anatocismo – non di rado con l’adozione di approcci e soluzioni differenti di fronte a medesime questioni – ha determinato il verificarsi di una crescente incertezza, favorendo una accesa conflittualità tra le parti del rapporto bancario e il moltiplicarsi dei contenziosi.Nel valutare e inquadrare il fenomeno anatocistico e i suoi effetti nei diversi negozi bancari – i quali peraltro, per loro stessa natura, si estrinsecano per la maggior parte in archi di tempo molto ampi –, banche e clienti si trovano quindi

degli interessi legali avverrà anche sugli interessi originari, con decorrenza dalla data della domanda (anche mediante ricorso per decreto ingiuntivo) e sempre che gli interessi originari siano scaduti da almeno sei mesi dalla data della medesima. Quando introdotta in corso di causa, inoltre, alla domanda di anatocismo è attribuito carattere innovativo (cfr. Cass. 04/06/2001, n. 7507, in Mass. Giust. civ., 2001, p. 1120). Sulla necessità che la domanda di interessi anatocistici sia formulata in termini autonomi e distinti rispetto a quella relativa agli interessi principali, cfr. Cass, SS. UU., 14/10/1998, n. 10156, in Contratti, 1999, p. 227, con nota di Delconte. In dottrina, sull’anatocismo giudiziale, cfr. Farina, Recenti orientamenti in tema di anatocismo, in Rass. dir. civ., 1991, p. 767.4 Ciò significa che, se alla scadenza di un debito (con i relativi interessi) le parti si accordano per rinnovare il debito medesimo, concordando una proroga per il pagamento, la somma complessiva (composta da debito e interessi originari) può essere considerata come un unico capitale soggetto a nuovi interessi. A condizione, come detto, che la convenzione tra le parti sia posteriore alla scadenza, non potendo invece essere prevista ab origine, in automatico o, comunque, senza il consenso del debitore.5 Suggestiva, al riguardo, la descrizione proposta da Gambino, Il rapporto obbligatorio, in Tratt. Sacco, 2015, p. 540: «Il debito di denaro produce altro debito di denaro, secondo un moto progressivo, implacabile quanto il tempo, che procede senza dar tregua. Il denaro, come in un fenomeno di generazione spontanea, si auto-riproduce. Emerge, in tutti gli aspetti, giuridici e meta-giuridici, la singolarità del debito di una somma liquida ed esigibile: destinata, nel persistere dell’inadempimento, ad incrementarsi a dismisura. Si spiega così, in questo quadro a tinte fosche, la vigenza di presupposti, limiti e garanzie che dominano la disciplina sull’anatocismo».

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oggi di fronte a notevoli difficoltà operative, a partire dall’individuazione della regola correttamente applicabile ratione temporis, alla necessità di verificare che non siano state introdotte, magari per tramite della legislazione d’urgenza, eventuali modifiche normative, sino anche all’accertamento di quale sia la corretta interpretazione da attribuire alla normativa applicabile individuata.L’inquadramento di dette problematiche, senza pretesa di esaustività, sarà oggetto dei prossimi paragrafi.

2. EVOLUZIONE DELLA DISCIPLINA SULL’ANATOCISMO NELLA GIURISPRUDENZA E NELLA LEGISLAZIONE DEGLI ANNI ’90

2.1. Usi bancari e deroga al divieto di anatocismo. Evoluzione giurisprudenziale dall’introduzione del Codice Civile sino al revirement della Corte di Cassazione del 1999

L’inquadramento del fenomeno anatocistico è indissolubilmente connesso, ancora oggi, al disposto dell’art. 1283 c.c., alla sua interpretazione e alla eventuale capacità derogatoria degli interventi normativi successivi.Per lungo tempo, successivamente alla entrata in vigore del Codice Civile del 1942, la giurisprudenza di merito e di legittimità ha avallato la qualificazione degli usi bancari che ammettevano la validità dell’anatocismo – prevedendo in particolare la capitalizzazione degli interessi debitori annotati e portati in conto con periodicità trimestrale –, alla stregua di usi idonei a derogare al disposto dell’art. 1283 c.c.La Suprema Corte, infatti, ha costantemente riconosciuto – si consideri la sentenza n. 6631 del 15/12/19816, l’esistenza di usi bancari normativi in materia bancaria, individuabili nelle norme bancarie uniformi (NUB) predisposte dall’associazione di categoria ABI (Associazione Bancaria Italiana)7. Queste ultime prevedevano in particolare, in deroga ai criteri legali stabiliti dall’art. 1283 c.c., la validità della capitalizzazione trimestrale degli interessi composti relativamente ai soli interessi debitori, con esclusione degli interessi creditori, per i quali la capitalizzazione era prevista con periodicità annuale.

6 Cass. 15/12/1981 n. 6631, in Riv. dir. comm., 1982, II, p. 89.7 Introdotte nel 1951, si tratta, come è noto, di schemi contrattuali predisposti dall’ABI e caldamente raccomandate dall’associazione a tutte le banche aderenti per regolare il rapporto con la clientela. Con riferimento al periodo antecedente all’introduzione delle NUB è possibile rinvenire solo una sentenza che esamini il problema sull’anatocismo (Cass. 05/10/1953, n. 3181, in Giust. civ., I, 1953, p. 3037 ss.), la quale, tuttavia, svolge le proprie osservazioni esclusivamente sugli interessi anatocistici semestrali, senza alcun riferimento a prassi di capitalizzazione con periodicità trimestrale. In senso critico circa la preesistenza di un uso normativo contrario prima dell’introduzione delle NUB, cfr. Lotito, Anatocismo e interessi bancari: orientamenti giurisprudenziali, in Riv. crit. dir. priv., 1989, p. 127.

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Per quasi un intero ventennio la giurisprudenza di legittimità ha unanimemente sostenuto che gli usi riassunti nelle NUB fossero qualificabili alla stregua di usi normativi – in ragione dei caratteri oggettivi della costanza, generalità e durata (usus), nonché del carattere soggettivo della opinio juris ac necessitatis propri della norma giuridica consuetudinaria – e che in base a tali usi la produzione di interessi anatocistici nell’ambito dei contratti bancari potesse prescindere dai limiti fissati dall’art. 1283 del Codice Civile8.In questo periodo anche nella giurisprudenza di merito le voci di dissenso furono pochissime e assolutamente isolate.Qualche primo segnale di cambiamento nella regolamentazione dei rapporti economici tra banche e clienti, tuttavia, era stato avvertito a seguito di alcuni interventi legislativi, in gran parte attuativi della normativa comunitaria, adottati nei primi anni ‘90. La legislazione speciale di quel periodo, infatti, recependo modelli e principi già presenti in altri paesi europei, si è orientata verso una maggiore tutela della clientela bancaria e più in generale del contraente considerato debole, concentrando il proprio intervento sui temi della trasparenza contrattuale, della libera concorrenza e della giustizia contrattuale9.In particolare l’art. 4, L. n. 154/1992 e poi l’art. 117, D.Lgs. n. 385/1993, sancendo, seppure in diversi contesti, la nullità delle clausole contrattuali di rinvio agli usi, avevano lasciato presagire un atteggiamento più diffidente nei confronti dell’impiego di questi ultimi per disciplinare i rapporti contrattuali bancari.Fu con la celeberrima sentenza della Corte di Cassazione 16/03/1999, n. 237410, confermata dalla immediatamente successiva sentenza della Corte di Cassazione 30/03/1999, n. 109611, che il dibattito sull’individuazione di

8 Cfr., ex plurimis, Cass. 19/08/1983, n. 5409, in Mass. Foro it., 1983; Cass. 05/06/1987, n. 4920, in Foro it., 1988, I, p. 2352; Cass. 20/06/1992, n. 7571, in Mass. Giust. civ., 1992; Cass. 01/09/1995, n. 9227, in Fall., 1996, p. 163; in Dir. fall., 1996, II, p. 240; Cass. 17/04/1997, n. 3296, in Mass. Foro it., 1997). In dottrina, si veda sul punto Pavone La Rosa, Le operazioni bancarie, a cura di Portale, Milano, 1978, p. 31.9 Tra i principali interventi normativi nella relazione banca-cliente si ricordano la L. 17/02/1992, n. 154, «Norme per la trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari» (c.d. Legge sulla trasparenza bancaria), che ha imposto nei contratti bancari l’indicazione specifica e in forma scritta di ogni prezzo e condizione contrattuale; il D.Lgs. 01/09/1993, n. 385, «Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia» (c.d. TUB), che ha al Titolo VI recepito in modo più rigoroso ed esteso la precedente disciplina sulla trasparenza delle condizioni contrattuali; la L. 07/03/1996, n. 108, «Disposizioni in materia di usura», che ha modificato l’art. 644 c.p., determinando il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari e stabilendo come debba essere determinato il tasso di interesse usurario.10 Cfr. Cass. 16/03/1999, n. 2374, in Foro it., 1999, I, p. 1153, con nota di Palmieri, Pardolesi; in Corr. giur., 1999, p. 562, con nota di Carbone; in Giust. civ., 1999, I, p. 1301, con nota di Giacalone; in Contratti, 1999, p. 437, con nota di De Nova.11 Cfr. Cass. 30/03/1999, n. 3096, in Foro it., 1996, I, p. 1153, con nota di Palmieri, Pardolesi; in Corr. giur., 1999, p. 561, con nota di Carbone; in Giust. civ., 1999, I, p. 1301, con nota di Giacalone. Cfr., altresì, Cass. 11/11/1999, n. 12507, in Foro it., 2000, I, p. 451, con nota di Palmeri, Nigro.

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quali fossero gli «usi contrari», indicati dall’art. 1283 c.c., in grado di limitare il generale divieto di anatocismo, ebbe una svolta epocale. Con detta sentenza, infatti, il giudice di legittimità, letteralmente invertendo quello che sino ad allora era stato il prevalente orientamento giurisprudenziale12 e accogliendo, al contrario, le obiezioni da tempo sollevate dalla dottrina e da una parte assolutamente minoritaria della giurisprudenza di merito13, ha precisato che «gli “usi contrari”, ai quali il legislatore fa riferimento, sono i veri e propri usi normativi, di cui gli artt. 1, 4 e 8 delle disp. prel. al c.c. che, secondo la consolidata nozione, consistono nella ripetizione generale, uniforme, costante, frequente e pubblica di un determinato comportamento (usus), accompagnato dalla convinzione che si tratti di comportamento (non dipendente da un mero arbitrio soggettivo ma) giuridicamente obbligatorio, e cioè conforme a una norma che già esiste o che si ritiene debba far parte dell’ordinamento (opinio juris ac necessitatis)», concludendo che «in materia non hanno, quindi, alcun rilievo, in quanto tali (indipendentemente cioè dalla loro eventuale efficacia probatoria di un preesistente uso normativo conforme, di cui si tratterà oltre), le cosiddette norme bancarie uniformi predisposte dall’associazione di categoria (Associazione bancaria italiana – A.B.I.), che non hanno natura normativa, ma solo pattizia, nel senso che si tratta di proposte di condizioni generali di contratto indirizzate dall’associazione alle banche associate (la cui validità, peraltro, in relazione alla disciplina comunitaria e interna della concorrenza, è stata di recente, per alcuni aspetti non secondari, messa in discussione dalle autorità amministrative di vigilanza)» e che «la previsione contrattuale della capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente, in quanto basata su un uso negoziale, ma non su una vera

12 Cfr. Cass. 19/08/1983, n. 5409, cit.; Cass. 05/06/1987, n. 4920, cit.; Cass. 06/06/1988, n. 3804, in Arch. civ., 1989, p. 40; Cass. 30/05/1989, n. 2644, in Foro it., 1989, I, p. 3127; in Giur. it., 1989, I, 1, p. 1692; in Giust. civ., 1989, I, p. 2034, con nota di Costanza; Cass. 20/06/1992, n. 7571, in Banca, borsa, tit. cred., 1993, II, p. 358; Cass. 01/09/1995, n. 9227, cit.; Cass. 17/04/1997, n. 3296, cit.13 Farina, Recenti orientamenti in tema di anatocismo, in Rass. dir. civ., 1991, p. 757; Inzitari, Convenzione di capitalizzazione trimestrale degli interessi e divieto di anatocismo ex art. 1283 c.c. (nota a Trib. Vercelli, 21 luglio 1994), in Giur. it., 1995, I, 2, p. 408; Inzitari, Profili del diritto delle obbligazioni, Padova, 2000, p. 387, il quale, in particolare, richiamato il carattere inderogabile dell’art. 1283 c.c., tale da impedire la formazione legittima di una prassi contraria, rilevava: «Deve essere in primo luogo osservato che legittimi ed efficaci potranno necessariamente risultare solo ed unicamente quegli usi che erano già riconosciuti ed in vigore al momento in cui entrò in vigore il codice civile del 1942. Nello stabilire il divieto di anatocismo con l’allora entrato in vigore art. 1283, il codice fece, infatti, salvi gli eventuali usi contrari e, con questo, ha riconosciuto efficacia a quegli usi che già allora consentivano di pattuire convenzionalmente la produzione degli interessi. Ciò significa che, successivamente all’entrata in vigore del codice, non hanno mai potuto, per le ragioni sopra esposte, essersi formati validamente altri usi normativi rispetto a quelli che erano già esistenti al momento di entrata in vigore del codice. Non possono essere riconosciuti efficaci usi normativi il cui contenuto, ad esempio, preveda una più intensa produzione anatocistica rispetto a quella che costituiva, appunto, un uso riconosciuto nel mondo bancario nel 1942, in quanto, come abbiamo visto, la stessa formazione dell’uso si sarebbe basata su una prassi contrattuale invalida e contra legem».

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e propria norma consuetudinaria è nulla, in quanto anteriore alla scadenza degli interessi».Escludendo che le NUB potessero essere qualificate come uso normativo ed escludendo, quindi, che il contenuto delle stesse potesse avere una qualsivoglia efficacia derogatoria del disposto dell’art. 1283 c.c., veniva così riconosciuta piena efficacia al divieto di anatocismo dallo stesso previsto.Si è trattato di un revirement non a torto definito “rivoluzionario”, che ha di fatto travolto la prassi degli istituti creditizi di capitalizzare ogni trimestre gli interessi debitori – sino a quel momento considerata perfettamente lecita – creando comprensibili e significative incertezze, prima di tutto applicative, in tutti gli operatori in ambito bancario. Basti considerare che, tradendo un comprensibile affidamento sul precedente uniforme insegnamento giurisprudenziale circa la validità delle clausole di capitalizzazione trimestrale degli interessi e imponendo agli istituti di credito adeguarsi da un momento all’altro, molti rapporti bancari venivano a rammostrare un saldo sostanzialmente illegittimo, in quanto “falsato” dall’applicazione, divenuta (rectius: riconosciuta14) illegittima, di interessi anatocistici.

14 Sul valore meramente ricognitivo del revirement giurisprudenziale verificatosi nel 1999 si veda diffusamente, per tutte, Cass. 04/11/2004, n. 21095, in Giur. it., 2005, pp. 66 e 741: «Si sostiene che la giurisprudenza del ‘99 abbia correttamente accertato l’inesistenza attuale, ma erroneamente escluso l’esistenza pregressa della consuetudine in parola. E si auspica per ciò, dunque, che essa vada superata nel senso di constatare che “la convinzione degli utenti del servizio bancario della normatività dell’uso di capitalizzazione trimestrale degli interessi, originariamente sussistente, è venuta meno dopo lungo tempo” [id est: la consuetudine si è estinta per desuetudine in relazione al venire meno della opinio iuris del comportamento sottostante] “proprio a seguito di quello stesso processo di mutamento di prospettiva che ha indotto la Cassazione medesima a mutare il proprio precedente orientamento. (…) L’evoluzione del quadro normativo – impressa dalla giurisprudenza e dalla legislazione degli anni ‘90, in direzione della valorizzazione della buona fede come clausola di protezione del contraente più debole, della tutela specifica del consumatore, della garanzia della trasparenza bancaria, della disciplina dell’usura – ha innegabilmente avuto il suo peso nel determinare la ribellione del cliente (che ha dato, a sua volta, occasione al revirement giurisprudenziale) relativamente a prassi negoziali, come quella di capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti alle banche, risolventesi in una non più tollerabile sperequazione di trattamento imposta dal contraente forte in danno della controparte più debole. Ma ciò non vuole dire (e il dirlo sconterebbe un evidente salto logico) che, in precedenza, prassi siffatte fossero percepite come conformi a ius e che, sulla base di una tale convinzione (opinio iuris), venissero accettate dai clienti. Più semplicemente, di fatto, le pattuizioni anatocistiche, come clausole non negoziate e non negoziabili, perché già predisposte dagli istituti di credito, in conformità a direttive delle associazioni di categoria, venivano sottoscritte dalla parte che aveva necessità di usufruire del credito bancario e non aveva, quindi, altra alternativa per accedere ad un sistema connotato dalla regola del prendere o lasciare. Dal che la riconducibilità, ab initio, della prassi di inserimento, nei contratti bancari, delle clausole in questione, ad un uso negoziale e non già normativo (per tal profilo in contrasto dunque con il precetto dell’articolo 1283 c.c.), come correttamente ritenuto dalle sentenze del 1999 e successive».In senso contrario, cfr. Scozzafava, L’anatocismo e la Cassazione: così è se vi pare, in Contratti, 2005, p. 221, il quale, proprio in occasione della emissione della sentenza del 2004 appena citata, ha ribadito il proprio dissenso verso l’orientamento consolidatosi con la giurisprudenza del ’99. Detto orientamento, secondo l’Autore, corrisponderebbe a una sorta di petizione di principio, come sarebbe dimostrato dal richiamo alla relazione al Codice Civile (n. 594), la quale «prevede espressamente che tale norma possa essere derogata

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2.2. Le modifiche introdotte dal legislatore del 1999 e la Delibera CICR 09/02/2000. Legittimazione dell’anatocismo bancario

Il rischio che venisse instaurato un numero esponenziale di controversie spinse il legislatore ad intervenire in tema di anatocismo. Venne pertanto emanato il D.Lgs. 04/08/1999, n. 432 («Modifiche al decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385, recante il testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia»)15, cosiddetto «decreto salva banche», che all’art. 25 modificava l’art. 120 TUB, facendo salve le pregresse pattuizioni anatocistiche e prevedendo, per il futuro, che le modalità con cui potevano essere prodotti interessi sugli interessi venissero determinate dall’autorità amministrativa, nello specifico il Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio (CICR)16.Con Delibera del 09/02/2000, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 43 del 22/02/2000 ed entrata in vigore il 22/04/2000, il CICR riconobbe di fatto agli istituti bancari la possibilità di capitalizzare gli interessi con cadenza anche infrannuale nell’ambito dei rapporti di conto corrente, a condizione che venisse stabilita una pari periodicità per gli interessi a debito e a credito (artt. 1 e 2)17.

dai privati, tanto è vero che essa evoca la formazione di usi (in materia civile) ancora non vigenti». Cfr., altresì, Gambino, op. cit., p. 548.15 Nel preambolo della legge è precisato che la medesima costituisce attuazione dell’art. 1, comma 5, L. 24/04/1998, n. 128 («Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dalla appartenenza dell’Italia alle Comunità europee» – “Legge comunitaria 1995-1997”), che delegava il Governo ad emanare – nel termine previsto dal comma 1 e con le modalità di cui ai commi 2 e 3 – «disposizioni integrative e correttive» al testo unico bancario, «nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi e con l’osservanza della procedura indicati nell’art. 25 della legge 19 febbraio 1992, n. 142».16 La norma, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 233 del 04/10/1999, entrò in vigore il 20/10/1999. La si riporta, di seguito, per intero:“Art. 25. Modalità di calcolo degli interessi1. La rubrica dell’articolo 120 t.u. è sostituita dalla seguente: “Decorrenza delle valute e modalità di calcolo degli interessi”.2. Dopo il comma 1 dell’articolo 120 t.u. è aggiunto il seguente:“2. Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che nelle operazioni in conto corrente sia assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori”.3. Le clausole relative alla produzione di interessi sugli interessi maturati, contenute nei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della delibera di cui al comma 2, sono valide ed efficaci fino a tale data e, dopo di essa, debbono essere adeguate al disposto della menzionata delibera, che stabilirà altresì le modalità e i tempi dell’adeguamento. In difetto di adeguamento, le clausole divengono inefficaci e l’inefficacia può essere fatta valere solo dal cliente».17 Cfr. Circ. ABI, 03/04/2000, serie legale n. 11, lett. A), punto 1: «con l’emanazione di questa delibera si perfeziona l’iter regolamentare predisposto dal legislatore, con la conseguenza che le modalità e i criteri per la capitalizzazione degli interessi nell’ambito dell’attività bancaria e finanziaria trovano sua regolamentazione nel testo unico, a conferma della specialità che tale attività riveste (…). L’ art. 1 della delibera ribadisce quanto ora detto, affermando che nell’attività bancaria e finanziaria “gli interessi possono produrre a loro volta interessi secondo le modalità e i criteri indicati negli articoli che seguono”».

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Artt. 1-2 Delibera 09/02/2000Art. 1 (Ambito di applicazione)

1. Nelle operazioni di raccolta del risparmio e di esercizio del credito poste in essere dalle banche e dagli intermediari finanziari gli interessi possono produrre a loro volta interessi secondo le modalità e i criteri indicati negli articoli che seguono.

Art. 2 (Conto corrente)

1. Nel conto corrente l’accredito e l’addebito degli interessi avviene sulla base dei tassi e con le periodicità contrattualmente stabiliti. Il saldo periodico produce interessi secondo le medesime modalità.

2. Nell’ambito di ogni singolo conto corrente deve essere stabilita la stessa periodicità nel conteggio degli interessi creditori e debitori.

3. Il saldo risultante a seguito della chiusura definitiva del conto corrente può, se contrattualmente stabilito, produrre interessi. Su questi interessi non è consentita la capitalizzazione periodica.

Per i contratti stipulati a seguito dell’entrata in vigore della suddetta Delibera vennero, inoltre, prescritte alcune misure finalizzate a garantire agli utenti dei servizi bancari un adeguato livello di trasparenza delle pattuizioni concernenti l’anatocismo, mediante la previsione della obbligatoria indicazione nel testo contrattuale della periodicità della capitalizzazione e del tasso di interesse applicato, della obbligatoria indicazione, nel caso di periodicità infrannuale, del valore del tasso, rapportato su base annua, tenendo conto degli effetti della capitalizzazione18 e della obbligatoria approvazione per iscritto, a pena di inefficacia, delle clausole relative alla capitalizzazione degli interessi (art. 6).Specifiche modalità per la produzione di interessi sugli interessi vennero introdotte all’art. 3 con riferimento ai contratti di mutuo («Finanziamenti con piano di rimborso rateale»)19.Venne inoltre dettata all’art. 7 una specifica disciplina per i rapporti già in corso, con la quale veniva previsto che le condizioni contrattuali vigenti avrebbero dovuto essere adeguate al contenuto della Delibera, e cioè entro il 30/06/2000, con effetti a decorrere dal successivo 1 luglio (art. 7, comma 1).

18 Il tasso annuo nominale (TAN) è normalmente di qualche decimo di punto percentuale inferiore al tasso annuo effettivo (TAE), perché sul primo incide l’effetto della capitalizzazione per periodi inferiori l’anno, in genere per trimestre (Si cfr. al riguardo anche il successivo capitolo VI).19 Sui contratti di mutuo si veda specificamente il successivo paragrafo 5. Con riferimento alle operazioni coinvolte dalla Delibera, cfr. poi Circ. ABI, 03/04/2000, serie legale n. 11, lett. A), punto 2: «La delibera indica le operazioni suscettibili di capitalizzazione non in modo analitico, bensì raggruppandole in tre tipologie: le operazioni in conto corrente (art. 2), i finanziamenti con rimborso rateale (art. 3) e le operazioni di raccolta (art. 4), nel presupposto che a tali tipologie siano riconducibili tutti i rapporti interessati e che per gli altri che a questi non possano far capo funziona la disposizione di chiusura dell’art. 6».

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In caso di adeguamento non peggiorativo per la clientela delle condizioni precedentemente applicate, le banche e gli intermediari finanziari avrebbero potuto limitarsi, entro il predetto termine del 30/06/2000, a pubblicare nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana la comunicazione delle nuove condizioni, dandone notizia per iscritto alla clientela nella prima occasione utile e comunque entro il 30/12/2000 (art. 7, comma 2). In caso di adeguamento peggiorativo, le nuove condizioni contrattuali avrebbero invece dovuto essere approvate dalla clientela per iscritto (art. 7, comma 3)20.

2.3. Le sentenze della Corte Costituzionale n. 425 del 17/10/2000 e n. 341 del 12/10/2007

Numerosi tribunali21 promossero giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 25, D.Lgs. n. 342/1999, nella parte in cui stabiliva che le clausole riguardanti la produzione degli interessi sugli interessi maturati, contenute nei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della Delibera CICR 09/02/2000, fossero valide ed efficaci sino a tale data e che, dopo di essa, dovessero essere adeguate – a pena di inefficacia da farsi valere solo dal cliente – al disposto della menzionata delibera, con le modalità e i tempi ivi previsti.Secondo le prospettazioni dei giudici rimettenti, detta norma si poneva, per diversi ordini di ragioni e gruppi di questioni, in contrasto con gli artt. 77, 76, 3, 24, 101, 102, 104 e 47 Cost.22.

20 Sul punto si tornerà al successivo paragrafo n. 3.2.21 Trib. Benevento 21/10/1999, in www.diritto.it; Trib. Lecce 21/10/1999, in Foro it., 1999, I, c. 3637, con nota di La Rocca; in Corr. giur., 1999, p. 1488, con nota di Carbone; Trib. Lecce 29/10/1999, in Corr. giur., 1999, p. 1486, con nota di Carbone; Trib. Lecce 10/12/1999, in www.diritto.it; Trib. Brindisi 08/11/1999, in Foro it., 2000, I, c. 453, con nota di Palmieri, Nigro; Trib. Brindisi 09/12/1999, in Corr. giur., 2000, p. 356, con nota di Carbone; Trib. Civitavecchia 14/01/2000, in www.diritto.it; Trib. Bari 23/11/1999, in Corti Bari, Lecce e Potenza, 2000, I, p. 172.22 In dettaglio:«a) contrasto con l’art. 77 Cost., per eccesso rispetto alla legge di delegazione, stante la dedotta mancata previsione, in questa, della possibilità di derogare retroattivamente al disposto dell’art. 1283 c.c. (recante un generale divieto di anatocismo) e di far dipendere dalle determinazioni del CICR la validità e l’efficacia delle clausole di anatocismo bancario;b) contrasto con l’art. 76 Cost.:b1) per l’inosservanza del termine previsto dall’art. 1 della l. n. 128 del 1998 ai fini dell’esercizio delle delega (cioè di un anno a decorrere dal 22 maggio 1998) a fronte dell’emanazione solo in data 4 agosto 1999 del d.lgs. n. 342 del 1999, in vigore dal 19 ottobre 1999;b2) per la mancanza, nella legge di delegazione, di qualsiasi principio o criterio direttivo attinente all’anatocismo;b3) per la sua non riconducibilità al compito, fissato nella legge di delegazione, di integrare o correggere il testo unico bancario (decreto legislativo n. 385 del 1993), tenuto conto che tale testo unico non contempla l’istituto dell’anatocismo;b4) per la mancanza di previsione, nella legge di delegazione, del potere per il legislatore delegato di emanare norme di interpretazione autentica, nonché di far dipendere dalle determinazioni del CICR la validità e l’efficacia delle clausole sull’anatocismo bancario;

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La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 425 del 17/10/200023, ritenuta «fondata […] la questione concernente l’eccesso di delega prospettato da quasi tutti i ricorrenti», ha dichiarato «che la norma in esame viola l’art. 76 della Costituzione […] restando assorbito ogni altro profilo delle sollevate questioni».La disamina condotta dal giudice costituzionale sulla conformità alla norma delegante della norma delegata ha portato a concludere che «per quanto ampiamente possano interpretarsi le finalità di “integrazione e correzione” perseguite dal legislatore delegante, nonché i princìpi e criteri direttivi posti a base del testo unico bancario, è certamente da escludersi che la suddetta delega legittimi una disciplina retroattiva e genericamente validante, sia pure nell’esercizio del potere di armonizzazione di tale testo unico con il resto della normativa di settore […]. L’indeterminatezza della fattispecie di cui al comma 3 dell’art. 25 del decreto legislativo n. 342 del 1999 non consente di ricondurre la denunciata norma nell’àmbito dei princìpi e criteri della legge di delegazione. Questi, infatti, non possono ragionevolmente interpretarsi come abilitanti all’emanazione d’una disciplina di sanatoria (per il passato) e di validazione

c) contrasto con l’art. 3 Cost:c1) per l’ingiustificata disparità di trattamento tra soggetti ai quali si applica la norma che consente l’anatocismo bancario ed i soggetti per i quali, non trovando applicazione il testo unico bancario, vige il generale divieto di anatocismo di cui all’art. 1283 c.c.;c2) per l’ingiustificata deroga al principio dell’irretroattività delle legge (art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale), tale da rendere valide clausole anatocistiche stipulate solo per talune categorie di rapporti, in modo da favorire un contraente “forte”, quale la banca;c3) per l’ingiustificata diversità di trattamento ratione temporis, stante l’efficacia retroattiva della denunciata norma, di situazioni identiche;c4) per l’ingiustificata disparità di trattamento, nei confronti dei clienti delle banche, nella fase anteriore al regime fissato con la delibera del CICR, tra la posizione debitoria verso la banca – con validità dell’anatocismo trimestrale – e la posizione creditoria – con invalidità di tale anatocismo.c5) per l’irragionevole attribuzione di validità a clausole anatocistiche già riconosciute illecite dalla Corte di Cassazione, con le sentenze 16 marzo 1999, n. 2374; 30 marzo 1999 n. 3096 e 11 novembre 1999, n. 12507.d) contrasto con l’art. 24 Cost., per la menomazione della tutela giurisdizionale di chi abbia agito contro una banca, fidando nel diritto (all’epoca) vivente sulla nullità – per contrasto con l’art. 1283 c.c. – di clausole anatocistiche bancarie;e) contrasto con gli artt. 101, 102 e 104 Cost., perché il legislatore delegato avrebbe intenzionalmente disposto al solo fine di dirimere il contenzioso pendente tra banche e clienti sulle clausole anatocistiche bancarie, così violando la riserva ai magistrati della funzione giurisdizionale e ledendo l’indipendenza e l’autonomia di questi;f) contrasto con gli art. 3 e 47 Cost., per l’irragionevole favore accordato alla pericolosa pratica oligopolistica e di cartello dell’anatocismo, tale da minare la stabilità dei prezzi e dell’intero sistema economico, erodendo l’entità del risparmio;g) contrasto con «i limiti costituzionali al potere di emanare leggi interpretative» (cfr. Corte cost. n. 425/2000).23 Est. Ruperto, in Foro it., 2000, I, c. 3045; in Corr. giur., 2000, p. 1453, con nota di Carbone. Fra i primi commentatori della sentenza, cfr. Shlesinger, Un passo falso del legislatore, in Il Sole 24 Ore, 18 ottobre 2000, 23; Vinci, Consulta, stangata alle banche, in La Repubblica, 17 ottobre 2000, 57; Riccio, La capitalizzazione degli interessi nel conflitto fra iurisdictio e legislatio, in Contr. e impr., 2000, III, p. 1156.

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anticipata (per il periodo compreso tra la data di entrata in vigore della legge delegata e quella della delibera del CICR) di clausole anatocistiche bancarie, del tutto avulsa da qualsiasi riferimento ai vizi ed alle cause di inefficacia da tenere per irrilevanti: quindi – stante il difetto di distinzioni e precisazioni nella legge delegata – senza una necessaria e sicura rispondenza (diretta od indiretta) ai princìpi e criteri informatori del testo unico bancario». La Corte ha inoltre precisato, contrariamente a quanto era stato affermato dalle banche costituite, che «non si tratta, evidentemente, di una norma interpretativa – che pure era stata suggerita nel corso dei lavori parlamentari (seduta del 17 giugno 1999 della sesta Commissione: pag. 35 del relativo verbale) – perché la disposizione, così come strutturata, non si riferisce e non si salda a norme precedenti intervenendo sul significato normativo di queste, dunque lasciandone intatto il dato testuale ed imponendo una delle possibili opzioni ermeneutiche già ricomprese nell’àmbito semantico della legge interpretata. Al contrario, con efficacia innovativa e (in parte anche) retroattiva, essa rende “valide ed efficaci”, sino alla data di entrata in vigore della deliberazione del CICR, tutte indistintamente le clausole anatocistiche previste nei contratti bancari già prima della legge delegata o comunque stipulate anteriormente all’entrata in vigore della suddetta deliberazione».L’eliminazione ab origine e con effetto retroattivo del comma 3 dell’art. 25, D.Lgs. n. 342/1999 ha portato al consolidamento del principio, successivamente “dogmatizzato” dalla sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 21095/200424, per cui le clausole contrattuali stipulate anteriormente all’entrata in vigore della Delibera CICR 09/02/2000, restano, «secondo i principi che regolano la successione delle leggi nel tempo, sotto il vigore delle norme anteriormente in vigore, alla stregua delle quali, per quanto si è detto, esse non possono che essere dichiarate nulle, perché stipulate in violazione dell’art. 1283 c.c. (cfr. Cass. n. 4490/02)25».

24 Cass. 04/11/2004, n. 21095, in Giur. it., 2005, pp. 66 e 741.25 In questi termini, successivamente, Cass. 25/02/2005, n. 4093, in Mass. Giust. civ., 2005: «In tema di capitalizzazione trimestrale degli interessi sui saldi di conto corrente bancario passivi per il cliente, a seguito della sentenza della Corte cost. n. 425 del 2000, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’art. 76, Cost., l’art. 25, comma 3, D.lgs. n. 342 del 1999, il quale aveva fatto salva la validità e l’efficacia – fino all’entrata in vigore della delibera Cicr di cui al comma 2 del medesimo art. 25 – delle clausole anatocistiche stipulate in precedenza, siffatte clausole, secondo i principi che regolano la successione delle leggi nel tempo, sono disciplinate dalla normativa anteriormente in vigore e, quindi, sono da considerare nulle in quanto stipulate in violazione dell’art. 1283, c.c., perché basate su un uso negoziale, anziché su un uso normativo, mancando di quest’ultimo il necessario requisito soggettivo, consistente nella consapevolezza di prestare osservanza, operando in un certo modo, ad una norma giuridica. Tale nullità è rilevabile d’ufficio, ai sensi dell’art. 1421 c.c., anche nel giudizio di gravame, quando (come nella specie), persista contestazione sul titolo posto dalla banca a sostegno della richiesta degli interessi anatocistici, rientrando nei compiti del giudice l’indagine sulla sussistenza delle

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È venuto pertanto a delinearsi il seguente quadro: il divieto di cui all’art. 1283 c.c. manteneva la sua piena efficacia fino all’entrata in vigore della Delibera CICR 09/02/2000, con conseguente nullità delle convenzioni anatocistiche anteriori26. Il medesimo divieto subiva invece una deroga con riferimento alle clausole introdotte successivamente alla Delibera medesima, le quali, quando adottate nel rispetto delle indicazioni e condizioni prescritte dal CICR, erano da considerarsi perfettamente legittime e produttive di effetti.Gli ulteriori dubbi circa la incostituzionalità del comma 2 dell’art. 25, D.Lgs. n. 342/199927, sollevati da una parte della dottrina e della giurisprudenza sulla base delle stesse argomentazioni che sorreggono la sentenza della Corte cost. n. 425/2000, hanno invece subito un arresto con la pronuncia della Corte cost. 12/10/2007, n. 341.Parte della dottrina aveva in particolare ipotizzato un eccesso di delega da parte del Governo rispetto a quanto effettivamente necessario all’«adempimento di obblighi derivanti dalla appartenenza dell’Italia alle Comunità Europee» (la delega al Governo era difatti da rivenirsi, come detto, nella L. 24/04/1998, n. 128, c.d. “Legge comunitaria 1995-1997”).La Corte, investita della questione di legittimità costituzionale dal Tribunale di Catania28, soffermandosi in particolare sul primo motivo di censura sopra esposto (eccesso di delega), ha tuttavia concluso per la perfetta legittimità della norma e, conseguentemente, di quelle successivamente emesse sul suo presupposto, rilevando: «[…] non può negarsi, alla luce delle precedenti considerazioni, che la questione relativa alla capitalizzazione degli interessi nell’esercizio del credito bancario, per la quale vi erano nei principali stati dell’Unione normative divergenti rispetto a quella che in Italia si era consolidata dopo la nuova lettura dell’art. 1283 c.c. da parte del giudice di legittimità, nonché, nel caso l’anatocismo bancario fosse stato ritenuto lecito, la relativa periodizzazione, rientravano nell’ambito dell’attività di adeguamento che il legislatore delegante aveva demandato al legislatore delegato».

condizioni dell’azione»; si veda altresì Cass. 30/11/2007, n. 25016, in Guida dir., 2008, III, p. 60; Cass., SS.UU., 26/05/2005, n. 10127, in Riv. dir. comm., 2005, II, p. 163, con nota di Colombo.26 In questo senso, recentemente, con riferimento a una richiesta si «pagamento di somma corrispondente al saldo di un conto corrente intercorso tra le parti sino al luglio 1988», cfr. Cass. 07/05/2015, n. 9169, in www.ilcaso.it, Sez. Giurisprudenza, 12986, 2915: «È affetta da nullità rilevabile d’ufficio dal giudice, anche quindi in assenza di una tempestiva deduzione ad opera dell’interessato, la clausola anatocistica di capitalizzazione trimestrale degli interessi sui saldi passivi, inserita nel contratto di conto corrente bancario».27 Mediante il quale, si rammenta, era stato modificato il comma 2 dell’art. 120 TUB, prevedendo che «2. Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che nelle operazioni in conto corrente sia assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori».28 Trib. Catania 09/08/2005, in www.gazzettaufficiale.it, il quale nella norma in questione rilevava carenza di delega, violazione del principio di eguaglianza di trattamento e violazione di riserva di legge.

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La Corte Costituzionale, «muovendo dunque dall’esame comparatistico della disciplina dell’anatocismo bancario negli altri principali Stati dell’Unione e dalla considerazione che l’omogeneità della disciplina dell’anatocismo bancario era funzionale alla libertà di prestazione dei servizi bancari, giungeva dunque a ravvedere implicitamente nella direttiva 89/646/CEE quei principi informatori del sistema bancario che il legislatore italiano, nel formulare la legge delega n. 142/1999, non aveva più bisogno di esplicitare»29.Nonostante qualche voce contraria30, pertanto, l’introduzione della Delibera CICR 09/02/2000, divenuta un vero e proprio “spartiacque” nella valutazione del fenomeno anatocistico applicato ai contratti bancari, è stato il principale parametro di riferimento utilizzato dagli operatori nel corso dell’’ultimo decennio, per valutare la illegittimità/nullità (ante Delibera) e la validità/efficacia (post Delibera) delle clausole anatocistiche. Ciò, fino alla recente modifica dell’art. 120 TUB a opera dell’art. 1, comma 629, L. 27/12/2013, n. 147, di cui si darà atto nel successivo paragrafo 4.

29 Cfr. Cassano, Il Mutuo. Il sistema delle tutele, Milano, 2009, p. 339.30 Voci contrarie sono state riscontrate, da una parte, nell’ambito di un filone interpretativo “pro utenza”, propenso a negare validità anche alle clausole anatocistiche successive alla Delibera CICR. Si veda in proposito Riccio, Anatocismo: svolta clamorosa della corte costituzionale, in Contr. e impr., 2007, VI, p. 1395, il quale, da sempre sostenitore dell’illegittimità costituzionale anche del comma 2 dell’art. 25, D.Lgs. n. 342/1999 (v. anche Riccio, La capitalizzazione degli interessi passivi è definitivamente nulla, in Contr. e impr., 2004, p. 961; Riccio, Ancora sull’anatocismo, in Contr. e impr., 2007, p. 391; Riccio, Alcune sentenze di merito in materia di anatocismo nelle more della decisione della Consulta, in Contr. e impr., 2007, p. 912) esprime dure critiche alla sentenza con cui, vice versa, il giudice delle leggi ha rigettato la relativa questione sollevata dal Tribunale di Catania. L’autore, in particolare, rilevata la «non vincolatività della sentenza di rigetto della Consulta» afferma che «i giudici di merito e di legittimità, dunque, ben potranno, alla luce della ratio decidendi della precedente e vincolante sentenza n. 425 del 2000 della Corte costituzionale, ed in base ad una interpretazione costituzionalmente orientata della normativa in questione, considerare anche per il futuro illegittimo l’anatocismo bancario in contrasto con l’art. 1283 c.c., ritenuta norma cardine del nostro ordinamento».Nel senso della validità delle clausole anatocistiche anche prima dell’entrata in vigore della Delibera CICR 09/02/2000, cfr., invece, Moscuzza, L’anatocismo nel contratto di conto corrente ordinario e nel contratto di conto corrente bancario, in Giur. civ., 1999, I, p. 1588; in giurisprudenza Trib. Roma 26/05/1999, in Foro it., 1999, I, p. 2370; Trib. Roma 14/04/1999, in Contratti, 1999, 653, con nota di Zorzoli, Capitalizzazione Trimestrale e periodica chiusura del conto. L’autore rileva come detto filone giurisprudenziale «reputa ininfluente l’esistenza di usi normativi bancari che giustifichino la deroga convenzionale all’art. 1283 Codice civile. La legittimità della capitalizzazione trimestrale degli interessi nel corso del rapporto è infatti ritenuta una naturale conseguenza dell’applicazione ai contratti di conto corrente bancario della disciplina degli art. 1823 ss. che regolano il contratto di conto corrente ordinario. In particolare: 1) l’art. 1831 Codice civile stabilisce che il conto corrente sia chiuso periodicamente (alle scadenza previste dal contratto, dagli usi, o in mancanza ogni sei mesi) con liquidazione del saldo; 2) l’art 1823 comma 2 Codice civile prevede che tale saldo costituisca la prima rimessa di un nuovo conto con rinnovazione del contratto a tempo indeterminato a meno che non sia chiesto il pagamento; 3) a norma dell’art. 1825 Codice civile sulle rimesse così costituite decorrono gli interessi nella misura stabilita dal contratto, dagli usi ovvero, in mancanza, in quella legale. La capitalizzazione trimestrale costituirebbe dunque la conseguenza – prevista dall’art. 1823 comma 2 – della chiusura del conto, chiusura disposta dalle parti ogni tre mesi secondo la facoltà loro accordata dall’art. 1831 Codice civile». Tale ultimo orientamento è stato di recente nuovamente disatteso da Cass. 02/07/2014, n. 15135, in DeJure.

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CASO 1. - LA DELIBERA CICR 09/02/2000 QUALE “SPARTIACQUE” NELLA VALUTAZIONE SULLA LEGITTIMITÀ DELLE CLAUSOLE ANATOCISTICHE

Fatti: un correntista instaurava un procedimento ordinario nei confronti della banca, deducendo la illegittima applicazione della capitalizzazione trimestrale degli interessi nel corso di un rapporto di conto corrente aperto nel 1988. All’esito del secondo grado di giudizio il correntista ricorreva al giudice di legittimità, sostenendo che il giudice di merito aveva errato per non aver rilevato la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi prevista dal contratto.Domande delle parti: la banca chiedeva il rigetto del ricorso del correntista e la conferma della sentenza di appello, la quale aveva ritenuto valida la clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi applicata dalla banca sulla base: – della natura normativa e non negoziale degli usi in materia di capitalizzazione degli interessi (con conseguente dedotta inapplicabilità dell’art. 1283 c.c.); – della legittimità di detti usi, anche tenuto conto del riconoscimento normativo di cui alla L. 17/02/1992, n. 154, art. 8, (sull’obbligo della banca di fornire informazioni sulla capitalizzazione degli interessi); – della inapplicabilità dell’art. 1283 c.c., in tema di anatocismo ai rapporti di conto corrente bancario sul presupposto dell’applicazione dell’art. 1831 c.c., dettato per il contratto di conto corrente ordinario al conto corrente bancario.Il correntista chiedeva la cassazione della impugnata sentenza per violazione dell’art. 1283 c.c. e falsa applicazione degli artt. 1194, 1823, 1825, 1831 e 1857 c.c., e L. n. 154/1992, art. 8, deducendo, al contrario di quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi sulle aperture di credito.Particolarità del caso: La pronuncia che definisce il giudizio prende una precisa posizione sulla disciplina applicabile alle clausole di capitalizzazione trimestrale degli interessi pattuite prima della entrata in vigore del D.Lgs. n. 342/1999 e della Delibera CICR 09/02/2000, rilevando che – anche a seguito della sentenza della Corte cost. n. 425/2000, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’art. 76 Cost., il D.Lgs. n. 342/1999, art. 25, comma 3, il quale aveva fatto salva la validità e l’efficacia, fino all’entrata in vigore della Delibera CICR di cui al comma 2 del medesimo art. 25, delle clausole anatocistiche stipulate in precedenza – siffatte clausole sono disciplinate dalla normativa anteriormente in vigore e, quindi, sono da considerare nulle in quanto stipulate in violazione dell’art. 1283 c.c., perché basate (per «principio costantemente enunciato da questa Corte») su un uso negoziale, anziché su un uso normativo, mancando di quest’ultimo il necessario requisito soggettivo, consistente nella consapevolezza di prestare osservanza, mantenendo un determinato comportamento, ad una norma giuridica.La Corte prende inoltre posizione sulla applicabilità al rapporto di conto corrente bancario della disciplina dettata dall’art. 1831 per la chiusura del conto corrente ordinario e precisa (richiamando Cass. n. 6187/2005, n. 870/2006, n. 15218/2007) che il contratto di conto corrente bancario differisce dal contratto di conto corrente ordinario per struttura e funzione e l’art. 1857 c.c., peraltro, non richiama

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l’art. 1831 c.c., tra le norme applicabili alle operazioni bancarie regolate in conto corrente.La Corte ha quindi accolto il ricorso del correntista e cassato la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello per la applicazione del principio sopra enunciato.(Cass. civ. 13/09/2013, n. 21027).

3. LA DISCIPLINA DELLE CLAUSOLE ANATOCISTICHE STIPULATE PRIMA E DOPO L’ENTRATA IN VIGORE DELLA DELIBERA CICR 09/02/2000

3.1. I contratti “chiusi” ante Delibera e i contratti in corso fino all’adeguamento

Come anticipato, in linea di massima, la posizione su cui si è orientata la giurisprudenza maggioritaria a seguito della sentenza della Corte cost. n. 425/2000 è stata quella di considerare insanabilmente nulle ex art. 1418, comma 1, c.c., per violazione di norma imperativa, le clausole anatocistiche stipulate prima della Delibera CICR 09/02/2000, entrata in vigore il 22/04/2000, che il legislatore aveva tentato di sanare con l’art. 25, comma 3, D.Lgs. n. 342/1999, poi dichiarato incostituzionale.Con riferimento ai contratti “chiusi” ante Delibera e ai contratti in corso, fino all’adeguamento previsto dall’art. 7 della Delibera medesima31, occorre quindi individuare le conseguenze della dichiarazione di nullità delle clausole di capitalizzazione trimestrale degli interessi.Trattandosi di clausole che assumerebbero, verosimilmente ed eventualmente, valore essenziale solo per la parte creditrice, la giurisprudenza ha concordemente rilevato il valore “parziale” della nullità in esame, ai sensi dell’art. 1419, comma 1, c.c.32, rilevabile d’ufficio ai sensi

31 Il termine previsto, lo si ricorda, era quello del 30/06/2000, entro il quale la generalità degli istituti bancari ha provveduto mediante la pubblicazione della comunicazione delle nuove condizioni nella Gazzetta Ufficiale.32 Trib. Brescia 18/01/2010, in www.ilcaso.it: «La nullità della clausola di anatocismo trimestrale comporta la nullità parziale del contratto ex art. 1419 c.c. ma non dell’intero contratto. Affermata la nullità della clausola regolante la capitalizzazione trimestrale ne deriva che non vi è possibilità di inserzione automatica di clausole prevedenti capitalizzazioni di diversa periodicità in quanto l’anatocismo è permesso dalla legge ma soltanto a determinate condizioni e, in mancanza di valida pattuizione tra le parti, esso rimane non pattuito tra le medesime. Ovviamente la problematica della nullità della clausola anatocistica, come sopra visto, non riguarda i contratti bancari stipulati dopo il 22 aprile 2000 (art. 25 d. lgs. 342/1999) in relazione ai quali è valida la clausola che prevede l’anatocismo sugli interessi debitori purché con periodicità identica a quella degli interessi creditori. Per i contratti stipulati in data anteriore al 22 aprile 2000, invece, l’anatocismo deve ritenersi valido se decorrente dal giorno 1 luglio 2000 previo adeguamento delle disposizioni alla reciprocità dell’anatocismo tra interessi debitori e creditori».

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dell’art. 1421 c.c.33. La clausola anatocistica si ha quindi per non apposta, senza che venga privato di efficacia l’intero contratto.La nullità della pattuizione conferisce pertanto il diritto di ripetere ai sensi dell’art. 2033 c.c. gli importi già pagati a titolo di interessi, per i quali viene a mancare una giusta causa di attribuzione, nonché il diritto di rifiutare legittimamente il pagamento di interessi anatocistici dovuti in forza della previsione contrattuale contraria al divieto di cui all’art. 1283 c.c.Tuttavia, mentre l’azione di nullità è imprescrittibile, a norma dell’art. 1422 c.c., l’azione di ripetizione rimane soggetta a prescrizione.In ambito bancario il tema della prescrizione con riferimento all’azione di ripetizione di indebito è stato oggetto di acceso dibattito, sia in dottrina, sia in giurisprudenza. Allo stesso il presente volume dedica un apposito capitolo34, al quale si rimanda con riferimento alle questioni più generali, che, seppure in gran parte sollevate nell’ambito dell’elaborazione giurisprudenziale e dottrinaria in tema di anatocismo, sono in ogni caso applicabili ogni qual volta sia ipotizzabile un diritto di ripetizione nell’ambito di rapporti contrattuali bancari (ad esempio, qualora il cliente agisca per la restituzione di quanto percepito dalla banca a titolo di interessi ultralegali, di commissione di massimo scoperto, di spese e di valute antergate o postergate, ecc.).Trattando in questo capitolo il tema degli “interessi sugli interessi”, occorre tuttavia precisare sin da subito che con riferimento al periodo prescrizionale non trovano applicazione gli artt. 2947 e 2948, n. 4, c.c., i quali prevedono la ridotta prescrizione quinquennale.L’ipotesi di ripetizione di importi indebitamente corrisposti a titolo di interessi anatocistici resta infatti estranea a entrambe le accennate fattispecie, quanto all’art. 2947 c.c., in quanto applicabile alle sole azioni risarcitorie (e non alle altre azioni – quale quella di ripetizione di indebito – derivanti da fatto illecito), e quanto all’art. 2498, n. 4, c.c., in quanto relativo alla diversa ipotesi di diritti di credito per interessi “dovuti”, contrariamente a quanto avviene in caso di violazione del divieto di anatocismo, dove il diritto di credito assume

33 Cfr. Cass. 13/10/2005, n. 19882, in Mass. Giust. civ., 2005, p. 10: «La nullità della clausola anatocistica di capitalizzazione trimestrale degli interessi sui saldi passivi, inserita nel contratto di conto corrente bancario da cui deriva il credito azionato in giudizio, è rilevabile d’ufficio dal giudice anche in grado di appello, rimanendo irrilevante, a tal fine, l’assenza di una deduzione (o di una tempestiva deduzione) del profilo di invalidità ad opera dell’interessato, la quale rappresenta una mera difesa, inidonea a condizionare, in senso positivo o negativo, l’esercizio del potere di rilievo officioso della nullità del contratto (art. 1421 c.c.)». Conformi Cass. 10/10/2007, n. 21141, in www.dirittoegiustizia.it; Cass. 25/11/2010, n. 23974, in Mass. Giust. civ., 2010. Ovviamente le deduzioni sulla rilevabilità d’ufficio della nullità in esame presuppone un giudizio promosso dalla banca per far valere un suo preteso credito; più complesse valutazioni debbono essere compiute per i giudizi promossi in accertamento negativo del cliente (al riguardo si veda il capitolo VII).34 Si cfr. il successivo Capitolo VIII.

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la natura di credito di ripetizione, traendo origine proprio dal fatto che sono stati corrisposti interessi “non dovuti”, i cui importi possono essere ripetuti.Rimandando pertanto, come detto, ad altro capitolo del presente volume la trattazione del tema della prescrizione, con particolare riferimento alla questione del dies a quo da cui decorre il termine prescrizionale, si precisa che anche l’azione di ripetizione di importi corrisposti in violazione dell’art. 1283 c.c. è soggetta all’ordinaria prescrizione decennale di cui all’art. 2946 c.c.35.Occorre a questo punto valutare, sotto un profilo più pratico, come debbano essere conteggiati gli interessi con riferimento ai rapporti chiusi prima dell’entrata in vigore della Delibera CICR, oppure, per quelli ancora in corso, con riferimento al periodo precedente all’eventuale adeguamento.A fronte del revirement attuato dal giudice di legittimità nella primavera del 1999, infatti, le corti di merito si sono trovate ad affrontare quello che è stato definito un «paradosso economico».Perseguito l’obiettivo di accertare la legittimità – o meno – delle clausole di anatocismo trimestrale, problema definitivamente risolto, come più volte detto, nel senso di considerare le medesime nulle per violazione di norma imperativa, si configurava una situazione in cui, di fatto, veniva esclusa qualsivoglia tutela (per la banca)/sanzione (per il cliente) per le ipotesi di inadempimento derivante dal mancato/ritardato pagamento di interessi.Al fine di evitare tale conseguenza, da alcuni reputata eccessiva, una parte della dottrina e della giurisprudenza aveva ipotizzato una capitalizzazione sostitutiva con periodicità annuale, di fatto applicata da molti tribunali all’indomani delle sentenze della Corte di Cassazione del ‘99. Secondo tale orientamento, la capitalizzazione annuale, la quale trovava il suo referente normativo nell’art. 1284 c.c., escludendo termini di scadenza degli interessi troppo ravvicinati tra loro, avrebbe scongiurato il pericolo di un eccessivo moltiplicarsi dell’obbligazione di interessi, pur non violando il divieto di cui all’art. 1283 c.c., la cui ratio sarebbe stata solo quella di impedire il menzionato effetto moltiplicatore, e non di escludere tout court la responsabilità del debitore nel caso di inadempimento dell’obbligazione di interessi.Si è trattato tuttavia di un orientamento minoritario, che non si è consolidato ed è stato definitivamente superato con la sentenza della Cass., SS. UU., 02/12/2010, n. 24418, la quale ha definitivamente sancito che «dichiarata la nullità della previsione negoziale di capitalizzazione trimestrale degli interessi

35 Cfr., tra le più recenti, Trib. Reggio Emilia 23/04/2014, n. 650, in DeJure: «il termine di prescrizione del diritto a conseguire la ripetizione delle somme versate per anatocismo, è quello decennale ordinario ex art. 2946 c.c., non applicandosi né l’art. 2947 c.c., che si riferisce al solo risarcimento del danno, mentre qui si tratta di obbligazione nascente dalla legge e non ex delicto, né l’art. 2948 n. 4, che riguarda la domanda di conseguire gli interessi maturati, non già la loro restituzione per indebito pagamento (Cass. Sez. Un. n. 24418/2010)». Conformi, Trib. Teramo 18/01/2010, in DeJure; Trib. Nocera Inferiore 09/01/2009, in DeJure.

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passivi in una apertura di credito in conto corrente, per il contrasto con il divieto di anatocismo sancito dall’art. 1283 c.c., gli interessi a debito del correntista devono essere calcolati senza operare capitalizzazione alcuna, perché il medesimo art. 1283 osterebbe anche a una eventuale previsione negoziale di capitalizzazione annuale e perché nemmeno potrebbe essere ipotizzato come esistente, un uso, anche non normativo, di capitalizzazione con quella cadenza»36.Il giudice di legittimità, con riferimento alle pattuizioni anatocistiche precedenti all’entrata in vigore della Delibera CICR, ha dunque in più occasioni affermato l’inderogabilità, anche solo mediante applicazione di una capitalizzazione con periodicità più estesa, del divieto di anatocismo di cui all’art. 1283 c.c.

3.2. Le pattuizioni anatocistiche stipulate dopo l’entrata in vigore della Delibera CICR 09/02/2000

Con riferimento alle clausole stipulate successivamente all’entrata in vigore della Delibera CICR, come detto, l’efficacia derogatoria del divieto di cui all’art. 1283 c.c. è stata invece generalmente riconosciuta all’art. 25, comma 2, D.Lgs. n. 342/1999, il quale, sopravvissuto al vaglio di costituzionalità, ha ammesso l’introduzione nell’ordinamento del fenomeno anatocistico, delegando all’autorità amministrativa, il CICR appunto, di stabilire tempi e modalità attuativi (art. 120, comma 2, TUB, come modificato dall’art. 25, comma 2, D.Lgs. n. 342/1999).È ancora tuttavia oggetto di acceso dibattito e fonte di contenzioso la questione delle modalità con le quali le banche avrebbero potuto validamente ed efficacemente procedere all’adeguamento dei contratti pendenti.

36 Cass., SS. UU., 02/12/2010, n. 24418, in Foro it., 2011, I, c. 428. Conforme Cass. 03/09/2013, n. 20172, in dirittoegiustizia.it; App. Torino 23/02/2012, in www.ilcaso.it. Il principio è stato ribadito, recentemente, da Cass. 06/05/2015, n. 9127, in www.dirittobancario.it, secondo la quale, con riferimento alla capitalizzazione annuale, più che di assenza di un uso normativo, non se ne riconosce proprio l’uso: «usi siffatti non si rinvengono nella realtà storica, o almeno non nella realtà storica dell’ultimo cinquantennio anteriore agli interventi normativi della fine degli anni novanta del secolo passato: periodo caratterizzato da una diffusa consuetudine (non accompagnata però dalla opinio iuris ac necessitatis) di capitalizzazione trimestrale, ma che non risulta affatto aver conosciuto anche una consuetudine alla capitalizzazione annuale degli interessi debitori, né di necessario bilanciamento con quelli creditori». Cfr. altresì, nella giurisprudenza di merito anteriore, Trib. Milano 06/02/2008, in www.tidona.com: «La ritenuta nullità comporta l’esclusione di ogni capitalizzazione, in quanto non si rinviene nella normativa alcun criterio sussidiario che legittimi una capitalizzazione seppur a periodicità maggiore del trimestre; non è possibile il richiamo all’art. 1831 c.c. (relativo al conto corrente ordinario) laddove l’art. 1857 c.c. ne esclude espressamente l’applicabilità al conto corrente bancario. Ciò non solo per il periodo anteriore all’entrata in vigore del D.Lgs. 4.8.1999 n. 342, in particolare dell’art. 25 comma 2, e della delibera CICR attuativa, ma anche successivamente. Non risultano infatti espresse successive pattuizioni tra le parti in relazione alla previsione di una capitalizzazione paritaria tra interessi attivi ed interessi passivi».

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Mentre per i nuovi contratti l’art. 6 della Delibera CICR 09/02/2000 prevede che le «clausole relative alla capitalizzazione degli interessi non hanno effetto se non sono specificamente approvate per iscritto», per i contratti in corso la norma transitoria dell’art. 7 prevede che l’adeguamento debba essere esplicitamente approvato dalla clientela solo nel caso in cui le nuove condizioni contrattuali comportino un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate.Suscitando diverse reazioni sia in ambito dottrinario che giurisprudenziale, all’indomani della introduzione della Delibera CICR 09/02/2000 la generalità degli istituti bancari e creditizi procedette all’introduzione della pari periodicità trimestrale della capitalizzazione nei contratti preesistenti, optando per la modalità operativa prescritta dalla Delibera per il caso di adeguamento delle condizioni contrattuali non peggiorativo per la clientela, limitandosi quindi alla pubblicazione delle nuove condizioni sulla Gazzetta Ufficiale e alla comunicazione delle modifiche in estratto conto.Tale modalità di adeguamento, prevista dall’art. 7 della Delibera per i casi di introduzione di modifiche non peggiorative per la clientela, è stata aspramente criticata da una consistente rappresentanza della dottrina e della giurisprudenza di merito37, che ne hanno affermato la illegittimità – con conseguente nullità delle clausole anatocistiche così introdotte – per diversi ordini di ragioni.È stato innanzitutto rilevato che con la dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 25, comma 3, D.Lgs. n. 342/1999, sarebbe venuta meno la norma che delegava al CICR di stabilire le modalità di adeguamento per i contratti preesistenti, con conseguente perdita di efficacia dell’art. 7 della Delibera 09/02/2000, che sulla base di detta norma era stato predisposto («L’art. 7 della delibera CICR, nella parte in cui disciplina l’adeguamento unilaterale delle clausole anatocistiche, è divenuta “orfana” della norma sub-delegante, ossia dell’art. 25, comma 3, del decreto legislativo 342/99»38). L’art. 7, pertanto, quale norma di natura regolamentare e secondaria, non assoggettabile al vaglio di costituzionalità, dovrebbe essere direttamente disapplicato, eventualmente dal giudice in corso di causa, in quanto contrario alla Costituzione39.Anche a prescindere dall’invalidità dell’art. 7 della Delibera CICR, inoltre, secondo l’orientamento in esame il sistema di adeguamento adottato dalle banche dovrebbe considerarsi illegittimo per due ordini di ragioni.In primis, perché nel caso di specie non si potrebbe parlare di “adeguamento”, data la pacifica nullità delle clausole anatocistiche contenute nei contratti in vigore prima del 20/04/2000 (data in cui è entrata in vigore la Delibera). In

37 In giurisprudenza cfr. Trib. Venezia 07/03/2014, n. 518, in www.iusimpresa.com.38 Cfr. Trib. Mondovì 17/02/2009, in www.ilcaso.it. In questo senso Trib. Messina 21/03/2013, n. 618, reperibile in massima in www.altalex.com.39 In questi termini Trib. Torino 05/10/2007, in Foro it., 2008, I, c. 646.

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ragione di ciò, infatti, «ogni successiva previsione anatocistica (pur introdotta in modo conforme alle disposizioni del CICR» sarebbe «da considerarsi nuova, e non semplice adeguamento di una clausola precedente»40.In secondo luogo, «rispetto alla situazione precedente, in cui il correntista non era tenuto a corrispondere alcun interesse sugli interessi (per nullità accertata della relativa pattuizione contrattuale), l’introduzione di una clausola di capitalizzazione (sebbene corrispondente ai requisiti prescritti dal CICR)» dovrebbe «dunque, considerarsi peggiorativa»41.La conclusione a cui portano suddette riflessioni sarebbe quindi quella di considerare nulle in ogni caso, tout court, oltre alle pattuizioni anatocistiche precedenti all’entrata in vigore della delibera CICR, anche quelle successivamente introdotte mediante il sistema previsto dal secondo comma dell’art. 7 della Delibera medesima per i casi di adeguamento “non peggiorativo”, con salvezza delle sole clausole espressamente accettate per iscritto dal correntista.Alle tesi di cui si è appena dato atto, si contrappone l’orientamento che individua il supporto normativo dell’art. 7 della Delibera CICR nell’art. 25, comma 2, D.Lgs. n. 342/1999 (art. 120, comma 2, TUB), il quale, sopravvissuto al vaglio di costituzionalità, avrebbe delegato in generale al CICR di stabilire «modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria».Nel merito, l’orientamento in esame rileva che la “pietra di paragone”, al fine di valutare se le clausole introdotte a seguito della Delibera CICR siano peggiorative rispetto a quelle precedentemente applicate, non può certo essere la stessa nullità della clausola, di cui il legislatore è perfettamente consapevole – e che intendeva, pertanto, sanare –, bensì il contenuto economico della clausola nulla. L’adeguamento successivo all’entrata in vigore della Delibera CICR, pertanto, non potrebbe che essere valutato in termini migliorativi per la clientela. La

40 Cfr. D’Amato, Interessi anatocistici vietati dal 1/1/2014, ma, anche da prima. La delibera CICR 9 febbraio 2000 e le azioni esperibili, in Il Sole 24 Ore del 25/05/2015.41 Cfr. Trib. Venezia 22/01/2007, reperibile in massima in www.filodiritto.it: «Invero, tenuto conto che per le ragioni esposte la capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori fino alla citata modifica legislativa doveva ritenersi in radice nulla, con esclusione pertanto di qualsiasi capitalizzazione degli interessi, va da sé che, nel momento in cui la banca, senza concludere un nuovo contratto, ma intervenendo unilateralmente sulle originarie previsioni negoziali, modifica la periodicità di capitalizzazione dei frutti creditori al fine (nella sua intenzione) di “sanare” e salvare l’originaria clausola relativa alla capitalizzazione trimestrale degli interessi, che altrimenti – come detto – sarebbe nulla, introduce una variazione del tasso di interesse sfavorevole al cliente: ebbene, detta condotta, non risultando alcuna previsione per iscritto rilasciata in tal senso dal cliente medesimo, non è legittima e la relativa nuova clausola risulta nulla ai sensi dell’art. 117 del TUB»; conf.: Trib. Messina 10/03/2015, n. 592, in www.expartecreditoris.it; Trib. Piacenza 27/10/2014, n. 757, in www.altalex.it; Trib. Benevento, 18/02/2008, n. 252, in www.diritto.it; Trib. Padova 27/04/2008, in www.ilcaso.it; in termini simili Trib. Treviso, Sez. dist. Montebelluna, 10/06/2013, in www.ilcaso.it, secondo il quale «il peggioramento è in re ipsa nel passaggio da un anatocismo non dovuto, perché nullo, a un anatocismo valido».

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nuova capitalizzazione trimestrale, infatti, andrebbe in ogni caso a introdurre condizioni più favorevoli per i correntisti, che, prima della introduzione della pari periodicità di capitalizzazione degli interessi debitori e creditori, si vedevano capitalizzati gli interessi creditori con periodicità annuale42.

CASO 2. - L’ADEGUAMENTO DEI CONTRATTI DI CONTO CORRENTE AI SENSI DELL’ART. 7, DELIBERA CICR 09/02/2000

Fatti: un correntista instaurava un procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, eccependo la invalida applicazione della capitalizzazione trimestrale degli interessi per il periodo successivo al 30/06/2000 sul saldo di un rapporto di conto corrente precedentemente instaurato. La banca sosteneva dinanzi al Tribunale la legittimità della capitalizzazione applicata per aver correttamente adeguato il contratto di conto corrente secondo il disposto dell’art. 7, comma 2, Delibera CICR 09/02/2000, mediante avviso pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale e comunicazione al correntista prima del 31/12/2000 sia con lettera sia in estratto conto.Domande delle parti: il correntista chiedeva la restituzione di tutti gli importi addebitati ed incassati dalla banca in forza delle clausole anatocistiche asseritamente nulle.La banca chiedeva che il Tribunale accertasse la legittimità dell’adeguamento effettuato e, quindi, della capitalizzazione trimestrale applicata a partire dal 01/07/2000.Particolarità del caso: la pronuncia che definisce il giudizio accoglie in primis l’orientamento secondo il quale con la sentenza della Corte cost. n. 425/2000 – che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo il D.Lgs. n. 342/1999, art. 25, comma 3 – sarebbe venuto meno il supporto normativo dell’art. 7, Delibera CICR 09/02/2000 e, conseguentemente, la disciplina che consentiva alle banche di adeguare i contratti in corso entro il 30/06/2000.Dando atto, tuttavia, anche della esistenza di orientamenti contrari a quello appena menzionato (che si è visto essere minoritario), il Tribunale dà voce anche all’ulteriore orientamento, secondo il quale, anche considerando efficace l’art. 7, Delibera CICR 09/02/2000, in ogni caso sarebbe inefficace la modalità di adeguamento adottata dalla banca, mediante pubblicazione delle modifiche contrattuali sulla Gazzetta Ufficiale e

42 Così Trib. Torino 17/02/2014, in www.expartecreditori.it: «la doglianza attorea (e le relative domande) riguardante l’asserita violazione del divieto di anatocismo relativa al periodo successivo al 1.7.2000 è da ritenere infondata per quanto sopra detto, poiché dalle produzioni documentali della convenuta emerge che i contratti stipulati sono conformi alle disposizioni della citata delibera, avuto riguardo all’avvenuto adeguamento entro il termine del 30 giugno 2000 mediante la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale delle modifiche delle condizioni contrattuali e la notizia comunicata ai clienti, in forma scritta, dell’adeguamento alla normativa sopravvenuta. Tali modalità appaiono conformi al disposto dell’articolo 7 della citata delibera Cicr, non potendo seriamente dubitarsi della natura peggiorativa delle condizioni dettate dalla delibera, per la reciprocità di capitalizzazione degli interessi instaurata, rispetto al precedente criterio, di applicazione della capitalizzazione trimestrale a solo favore della banca (per questo criterio cfr. Corte App. Torino, sentenza n. 740/2012). Deve, pertanto, affermarsi la legittimità della capitalizzazione degli interessi attivi e passivi eseguita con identica periodicità a far tempo dal 1.7.2000». In dottrina cfr. De Stefano Grigis, Anatocismo e applicabilità della delibera CICR 09 febbraio 2000 ai contratti di conto corrente anteriori, in dirittobancario.it.

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comunicazione al correntista nella prima occasione utile e comunque entro il 31/12/2000.Secondo il giudice, infatti, la nuova previsione dell’anatocismo trimestrale, prima illegittimo e non dovuto, comporta in ogni caso un peggioramento delle condizioni economiche del cliente con la necessità, quindi, di una specifica approvazione dello stesso cliente, approvazione imposta dallo stesso articolo 7 in caso di “peggioramento” delle condizioni applicate. Essendo infatti nulla la clausola di capitalizzazione prima esistente, secondo il Tribunale l’introduzione in forza della delibera CICR di una capitalizzazione trimestrale degli interessi deve intendersi come modifica peggiorativa rispetto alla condizione preesistente, con necessaria specifica pattuizione delle nuove modalità di capitalizzazione.Il Tribunale conclude quindi affermando la illegittimità della capitalizzazione applicata per il periodo successivo al 30/6/2000 in forza di adeguamento delle precedenti condizioni contrattuali.(Trib. Piacenza 27/10/2014, n. 757).

SCHEMA ESEMPLIFICATIVO

REQUISITI DI VALIDITÀ DELLE CONVENZIONI ANATOCISTICHE AI SENSI DELLA DELIBERA CICR 09/02/2000

Contratti stipulati a partire dal 22/4/2000 (entrata in vigore della Delibera CICR 09/02/2000)

espressa previsione contrattuale approvazione scritta del cliente; pari periodicità di capitalizzazione degli interessi debitori e creditori.

Contratti già pendenti al 22/04/2000 (entrata in vigore della Delibera CICR 09/02/2000)

In caso l’adeguamento comporti condizioni peggiorative per il cliente:

inserimento in contratto delle nuove condizioni entro il 30/6/2000 ; specifica approvazione per iscritto da parte della clientela.

In caso l’adeguamento comporti condizioni NON peggiorative per il cliente:

pubblicazione delle nuove condizioni sulla Gazzetta Ufficiale entro il 30/06/2000; comunicazione per iscritto delle nuove condizioni al cliente alla prima occasione utile (es. estratto conto) e comunque entro il 31/12/2000.

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4. IL NUOVO ART. 120 TUB ALLA LUCE DELLE MODIFICHE INTRODOTTE DALLA “LEGGE DI STABILITÀ 2014”. IL RIPRISTINO DEL DIVIETO DI ANATOCISMO

Una ulteriore svolta in tema di anatocismo bancario è arrivata da ultimo con la L. 27/12/2013, n. 147 (c.d. Legge di Stabilità 2014), che all’art. 1, comma 629, ha nuovamente modificato il comma 2 dell’art. 120 TUB, disponendo:«il comma 2 è sostituito dal seguente:«2. Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che: a) nelle operazioni in conto corrente sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori; b) gli interessi periodicamente capitalizzati non possano produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale».Il successivo comma 749 dell’art. 1, inoltre, ha previsto per tutte le disposizioni del provvedimento legislativo, l’entrata in vigore a far data dal 01/01/2014.

4.1. Esegesi ed entrata in vigore della norma

Esaminando la lett. a) del nuovo comma 2 dell’art. 120 TUB, si può subito notare che, seppure la norma continui a seguire il noto criterio della «pari periodicità», quest’ultima non è più riferita, come nella vecchia formulazione, alla «produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria», bensì, significativamente, alla sola «produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria».La pari periodicità è in sostanza riferita non più alla capitalizzazione, bensì alla liquidazione degli interessi.La norma sembra dunque riprendere, con riferimento a tutte le operazioni di dare e avere, la garanzia della coincidenza temporale (quotidiana, mensile, trimestrale, semestrale, annuale) nell’attività di liquidazione degli interessi, ma senza alcun accenno alla capitalizzazione.Se si esamina poi il tenore della successiva lett. b), cercando di comprendere l’esatta portata del dato letterale, parrebbe emergere l’intenzione del legislatore di escludere definitivamente la capitalizzazione, intesa come trasformazione degli interessi in capitale, a sua volta produttivo di nuovi interessi («gli interessi […] non possano produrre interessi ulteriori che […] sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale»)La non felice formulazione della norma non ha aiutato gli interpreti a comprenderne nell’immediato la portata.Secondo alcuni, infatti, la nuova lett. b) dell’art. 120 TUB, a una prima lettura, sembrerebbe «mantenere in vita, sia pure per una sola volta, la

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capitalizzazione, dal momento che testualmente si riferisce a interessi “capitalizzati”, cioè che si sono trasformati in capitale»43, escludendo che, a fronte delle successive operazioni di capitalizzazione, possano prodursi ulteriori interessi composti.Nei mesi successivi all’entrata in vigore della norma sembrerebbe, tuttavia, essersi consolidato l’orientamento per il quale nella lett. b) in esame in termine «capitalizzazione» sia stato impropriamente utilizzato dal legislatore, il quale intendeva in realtà riferirsi al più semplice concetto di “contabilizzazione”44.Detta disposizione prevedrebbe quindi che gli interessi, periodicamente conteggiati come indicato alla lett. a), non possono a loro volta produrre interessi, i quali potranno maturare esclusivamente sulla sorte capitale45. Capitale e interessi, in sostanza, che prima della modifica legislativa ogni tre mesi andavano a fondersi in un unico importo capitale, debbono ora – a quanto sembra – seguire strade diverse, seppure con modalità contabili che la norma non specifica46.Le reazioni dei primi commentatori al nuovo disposto dell’art. 120 TUB, complice anche, come accennato, la sua formulazione non propriamente cristallina, sono state plurime e contrastanti. In giurisprudenza, inoltre, si è dovuto attendere più di un anno prima che venissero emessi i primi provvedimenti sulla portata della modifica legislativaLa incertezza interpretativa è stata poi certamente acuita dal “transito” nell’ordinamento ancora di una ulteriore norma, dettata dal D.L. 24/06/2014, n. 91, pubblicato in G.U. 24/06/2014 (c.d. Decreto competitività), con il

43 Maimeri, La capitalizzazione degli interessi fra legge di stabilità e decreto sulla competitività, in Riv. dir. banc., 2014, p. 23, il quale, peraltro, espressamente riconosce la estrema «complessità contabile» che da tale interpretazione deriverebbe. In termini simili, cfr. Tanza, Anatocismo bancario: le novità introdotte dalla Legge di stabilità 2014, in www.altalex.com.44 Farina, Le recenti modifiche dell’art. 120 TUB e la loro incidenza sulla delibera CICR 9 febbraio 2002, in dirittobancario.it, 2014; Marcelli, L’anatocismo e le vicissitudini della Delibera CICR 9/2/00. Dall’anatocismo sfilacciato al divieto dell’art. 1283 c.c.: nell’indifferenza dell’Organo di Vigilanza, l’intermediario bancario persevera nella capitalizzazione degli interessi, con oltre € 2 mil. di ricavi illegittimi nell’anno in corso, in www.ilcaso.it, 2014.45 Tale interpretazione viene suggerita, peraltro, dal dossier della Camera dei Deputati (Camera dei Deputati, VII Legislatura, Documentazione per l’esame di progetti di legge, A.C. 1865-A, Dossier n. 95/2 del 19/12/2013), il quale, a proposito della nuova formulazione dell’art. 120 TUB specifica che «mira a introdurre il divieto di anatocismo nell’ordinamento bancario».46 Cfr. Leo, Annunciato emendamento sullo stop all’anatocismo degli interessi bancari; perplessità sulla formulazione della modifica all’art. 120 TUB, in www.kipling90.com: «secondo il dato letterale, nel momento in cui l’interesse viene capitalizzato (secondo quanto si legge nella prima parte del periodo), quelle che originariamente sono due poste distinte – interesse da un lato e capitale dall’altro – diventano un’unica posta, ossia capitale. All’esito di tale fusione la quota parte di interesse trasformata in capitale non deve produrre interessi. La quota parte di capitale (anch’essa fusa con gli interessi) è invece produttiva di interessi. È evidente che, nella pratica, il contenuto della norma non è attuabile, è come dire che dopo avere fatto il pane si possa ancora distinguere l’acqua dalla farina, alla fine si avrà solo un gran pasticcio!».

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quale il legislatore, apparentemente “pentito” della modifica apportata dalla Legge di Stabilità 2014 in tema di anatocismo, solo qualche mese dopo, per mezzo della legislazione d’urgenza, era andato a modificare nuovamente l’art. 120 TUB, reintroducendo la legittimità della produzione di interessi sugli interessi, con modalità, ancora una volta, che avrebbero dovuto essere determinate dal CICR47.L’intento era evidente: legittimare nuovamente l’anatocismo, specificando per di più che sino all’emanazione della nuova delibera da parte del CICR, la Delibera 09/02/2000 avrebbe continuato a trovare applicazione.La norma ha però avuto vita breve. La successiva Legge di conversione del D.L. n. 91/2014 (L. 11/08/2014, n. 116) ha infatti eliminato l’art. 31 citato, riportando l’art. 120 TUB alla formulazione introdotta con la Legge di Stabilità 2014, che nella sostanza, come detto, sembrava vietare definitivamente l’anatocismo48, dando ulteriore conforto alle tesi di coloro che avevano visto nella modifica introdotta con la Legge di stabilità 2014 una chiara intenzione del legislatore, appunto, proprio in tal senso.I dubbi da chiarire sull’applicazione della nuova disciplina e la sua portata sono ad oggi ancora molti, a partire da quello relativo alla sua effettiva entrata in vigore.Non pare infatti praticabile conciliare la disciplina dettata dall’attuale art. 120 TUB con quella rinvenibile nella Delibera CICR 09/02/2000, pretendendo di

47 Recitava in particolare l’art. 31:«1. Il comma 2 dell’articolo 120 del decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385, è sostituito dal seguente:“2. Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione, con periodicità non inferiore a un anno, di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni disciplinate ai sensi del presente Titolo.Nei contratti regolati in conto corrente o in conto di pagamento è assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nell’addebito e nell’accredito degli interessi, che sono conteggiati il 31 dicembre di ciascun anno e, comunque, al termine del rapporto per cui sono dovuti interessi; per i contratti conclusi nel corso dell’anno il conteggio degli interessi è comunque effettuato il 31 dicembre”.2. Fino all’entrata in vigore della delibera del CICR prevista dal comma 2 dell’articolo 120 del decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385, continua ad applicarsi la delibera del CICR del 9 febbraio 2000, recante ‘Modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi scaduti nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria e finanziaria (art. 120, comma 2 del Testo Unico Bancario, come modificato dall’art. 25 del D.lgs. 342/99)’, fermo restando quanto stabilito dal comma 3 del presente articolo.3. La periodicità di cui al comma 2 dell’articolo 120 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n.385, si applica comunque ai contratti conclusi dopo che sono decorsi due mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto; i contratti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge e quelli conclusi nei due mesi successivi sono adeguati entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, con l’introduzione di clausole conformi alla predetta periodicità, ai sensi dell’articolo 118 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385».48 Cfr. in proposito il commento di Maimeri, cit., il quale afferma: «nel giro di poco più di sei mesi si sono registrati due interventi legislativi volti l’uno a eliminare la capitalizzazione e l’altro a ripristinarla, sia pure entro limiti più ristretti […] un’altra manifestazione di schizofrenia di cui le cronache legislative non sono avare».

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ipotizzare un rinvio della prima alla seconda. Quest’ultima (fonte secondaria), che trovava il proprio fondamento nella precedente formulazione dell’art. 120 TUB, si pone infatti in netto contrasto con la nuova disciplina di fonte primaria49. Né la Legge di Stabilità 2014 prevede una disciplina transitoria tra l’entrata in vigore della nuova norma primaria e il tempo intercorrente per avere la nuova delibera attuativa del CICR. E se da una parte la Legge di Stabilità ha stabilito all’art. 1, comma 749, l’entrata in vigore di tutte le sue disposizioni a far data dal 01/01/2014, detta Legge, nel dettare il nuovo art. 120 TUB, ha rimesso la disciplina di dettaglio al CICR, che, a oggi, non ha ancora provveduto (alimentando ulteriori dubbi circa l’attuale efficacia, nelle more, della Delibera 09/02/200050).In assenza di pronunce giurisprudenziali, molti si sono interrogati sull’attuale efficacia dell’intervenuto divieto di anatocismo, e sulla sua eventuale dipendenza dall’introduzione della menzionata disciplina di dettaglio. In tal senso si è espresso ad esempio il Consiglio Nazionale del Notariato, rilevando che l’art. 120 TUB, così predisposto, presenta «un contenuto non sufficientemente delineato dal legislatore primario, con la conseguenza di riconoscere alla delibera del CICR un ruolo non secondario nel completamento del precetto normativo»51. Nello stesso senso si è poi espressa parte della dottrina, che considera tutt’ora in vigore la precedente disciplina di legge con la connessa Delibera CICR 09/02/200052.

49 Cfr. Dolmetta, Sul transito dell’anatocismo bancario dal vecchio regime, in www.ilcaso.it: «Del resto […] il testo sostitutivo si manifesta oggettivamente incompatibile con quello sostituito: la lett. b. della sopraggiunta norma è nel senso eliminativo della riserva bancaria di anatocismo; per contro, la direzione della norma precedente risulta(va) propriamente rivolta alla costituzione della medesima».50 Sul punto cfr. Griffo, Interessi moratori, usura e anatocismo: la querelle infinita, in Contratti, 2015, V, p. 507, secondo il quale «Nelle more dell’intervento del CICR, per come richiesto dalla legge di stabilità 2014, non può ritenersi più in vigore il richiamo (che il comma 2 dell’art. 120 T.U.B. continua a fare) alla precedente delibera CICR 9 febbraio 2000, in quanto fonte secondaria di tipo amministrativo che regolamenterebbe oggi una pratica vietata da una normativa primaria quale è la legge di stabilità n. 147/2013». In senso contrario, cfr. Maimeri, op. cit., secondo il quale «la previsione di un rinvio alla delibera del CICR e la difficoltà a trovare un univoco significato alla disposizione primaria, fa sì che questa possa essere operativa solo dopo che sia stata emanata la menzionata delibera, applicandosi fino ad allora il meccanismo anatocistico secondo quanto stabilito dall’altra deliberazione del Comitato in data 9 febbraio 2000».51 Consiglio Nazionale del Notariato, Ufficio Studi, quesito n. 80-2014/C., che ulteriormente afferma: «occorrerà attendere […] per la piena operatività della nuova norma, la delibera del CICR che al di là dell’aspetto formale di provvedere alla sostituzione della vecchia delibera del 2000, sul piano sostanziale potrà sciogliere ogni dubbio interpretativo, tanto nell’ipotesi in cui presenti un contenuto sostanzialmente riproduttivo della precedente delibera […] quanto nell’ipotesi in cui sia portatrice di un contenuto completamente nuovo […] con cui venga riscritta ex novo la disciplina dell’anatocismo bancario».52 Cfr. Morera-Oliveri, Il divieto di capitalizzazione degli interessi bancari nel nuovo art. 120 comma 2, TUB, in Banca, borsa, tit. cred., 2015, I; Maimeri, op. cit., secondo il quale «la previsione di un rinvio alla delibera del CICR e la difficoltà a trovare un univoco significato alla disposizione primaria, fa sì che questa possa essere operativa solo dopo che sia stata emanata la menzionata delibera, applicandosi fino ad allora il

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