Martedì 23 marzo 1954 LA CASA EL MANZONI -...

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:ORRIEREII RLLA SERA Martedì 23 marzo 1954 LA CASA EL MANZONI t a a ci Nel settembre 1838 Guglielmo Gladstone scendeva a Milano al- de la Ville. Una delle principali ragioni della sua fer- mata, in viaggio verso Roma e Napoli, era di incontrarsi col Manzoni. E su quell'incontro so- no venute alla luce alcune let- tere pubblicate da Barbara Rey- nolds, che completano le notizie che ne dà John Morley nella sua Vita del grand'uomo politi- co inglese. Il 21 settembre, dopo i neces- sari preparativi, esce dall'albergo chiedendo dove abitasse il Man- zoni. Ma, con sua meraviglia, nessuno gliene sa dir nulla: (C'erano tanti Manzoni!... Si, sì pensa Gladstone — ma il mio era il celebre autore,. Nessuna maggior soddisfazione alle sue insistenti domande in proposito. Eppure il nome di Manzoni era già famoso nel mondo e la pri- ma edizione dei Promessi Sposi rimontava a undici anni prima. Finalmente incontra un vecchio prete dall'aspetto dignitoso, e- stremamente cortese, che si met- te a fargli da guida, voltando e rivoltando una mezza dozzina di volte (e si che dalla Corsia dei Servi alla Contrada del Morone la via non era lunga): (di qua... » eh! meglio di qua » no, no, meglio di qua» (le pa- role in corsivo sono nel testo della lettera scritte in italiano). Per via gli parla della lingua, del Metastasio il cui vocabola- rio « è assai limitato, di Gold- amali. che legge facilmente in Inglese, di Lord Byron che capi- sce meno, e di Shakespeare (quasi affatto... ». Ma ciò che davvero ci interessa è il giudizio Inatteso del colto sacerdote sulla personalità del Manzoni: ('Mi disse — scrive il Gladstone — che l'avrei trovato un poco stra- vagante». Giudizio che, tuttavia, ci sconcerta meno di quello di altri sacerdoti del mondo elet- to milanese, riferito dal Gladsto- ne stesso e che si legge nella ri- cordata Vita del Morley. «Egli (il Manzoni) è persona interessantis- sima, ma mi sono accorto che è ritenuto dai preti più fashionable di Milano come un bacchetto- ne.... Dove ci troviamo di fron- te .a due parole difficili da tra- durre nel loro senso vero, poi- chè fashionable in questa circo- stanza aveva, sotto la penna del Gladstone, un significato alquan- to diverso che non il semplice alla moda; e bacchettone uno più sottile che non di ipocrita in cui, tra parentesi, l'aveva tra- dotto il Gladstone stesiti.. Più che ai vocabolari dobbiamo quindi riferirci alla storia, e non biso- gna dimenticare che la ricerca della poco nota casa del celebre autore, nel labirinto delle viuz- ze del centro di Milano, avve- niva proprio a quindici giorni dalla famosa incoronazione di Ferdinando nel Duomo, e che preti e non preti della buona so- cietà erano ancor commossi e esultanti per lo spettacolo aulico e avevano nell'orecchio la mu- sica di quella parodia degli inni sacri che son le strofe composte per l'Augusta Maestà Austria- ca... «Tutti gli angeli disponi - sul cammin de' passi suoi... E se infosca la procella . Ferdinando come stella - sulla terra piova il gaudio • del suo lume alle- grator. ». Mentre il Manzoni in quell'an- no — proprio per non parteci- pare a quel frastuono, a quegli esaltamenti, a quella politica tra trono e altare che non era la sua — se ne stava appartato al Brusuglio, e ci sarebbe rimasto più a lungo del solito — fino al 30 ottobre — tanto che il Gladstone, dopo tante pene per la ricerca, giunto alla casa seppe che il Manzoni era assente e che per trovarlo bisognava andare « at his villeggiatura». .Strava- ganza, per quel mondo, l'assen- teismo da una simile festa di giubilo concorde... Ma più stra- vagante (l'avesse indovinato il buon prete che gli aveva fatto da guida), il fatto che l'autore dei Promessi Sposi, come un so- vrano, rifiutava la visita del mi- nistro austriaco Kolowrat, men- tre accoglieva uomini di Stato, liberali, come il Thiers ed il Gladstone. Col quale ebbe poi al Brusuglio un lungo colloquio di carattere religioso, in cui il Man- zoni era apparso al protestante uomo di fermi principi « transal- pini (cattolico romani).., ma di fervida pietà e carità Il di- scorso era stato portato sulla questione dell'unità e dell'auto- rità della Chiesa, affermando il Manzoni « la necessità di una vi- vente e personale autorità per mantenere e restaurare l'unità re- ligiosa, dopo che, dalla divisione della Cristianità, il mondo av- verso aveva tratto tutte le sue 'forze ». Ma il Mànzoni aveva an- che espresso la sua «forte e in- descrivibile emozione » nel ritro- vare simpatie tra lui cattolico ed altri — non cattolici... — « Dif- ficilmente riusciva a comprende- re se con più piacere o con pe- na...' aggiungeva. E al Gladsto. ne prometteva le preghiere per il suo (accoglimento della ve- rità ». Tutti indovinelli per la maggior parte dei devoti mila- nesi del 1838, che della comples- sità della vita religiosa e po- litica del grande cattolico ne ca- pivano ben poco e se la cava- vano con il vago attributo di bacchettone, che significa nulla e pare incredibile a noi. Però quanto a difficoltà di ri- cerca della casa del Manzoni non le riterrei minori, oggigior- no, per uno straniero che si met- tesse in strada a chiederne noti- zie... Gladstone esprimeva in pro- posito le sue impressioni mila- nesi nella lettera del 24 settem- bre: « La gente è qui così in- daffarata che non ha nemmeno il tempo di parlare la propria bellissima lingua. Brusuglio di- venta niente più che Brusù »... Figuriamoci se, nella Milano di oggi, ne ha per occuparsi delle case dei morti... 1:§ 3 Ti disinteresse cittadino per la casa di via Morone l'ho sentito, nella mia ultima visita giorni fa, ben più che cent'anni dopo l'in- coronazione di Ferdinando e mentre la figura di Alessandro Manzoni cresce ogni giorno e ci sta di fronte col risalto di uno dei maggiori ispiratori di quel Risorgimento, di cui, attraverso I suoi stessi errori, l'Italia vive, viviamo tutti. C'è un senso di abbandono in quelle modeste camere: nelisa- lotto a pian terreno con lalbi- blioteca e il caminetto spento e le poltrone vuote su cui ombre di morti continuano il loroulia- logo; o nella camera al primo piano, dove il poeta quasi* no- nagenario si è spento e ha avuto finalmente pace la sua grande anima travagliata. Ma la malin- conica trascuranza è più confa- cente alla meditazione e ai ri- cordi che non l'accurata manu- tenzione del giardino venuto nel- le mani di un istituto bancario, che con ogni buona intenzione gli ha fatto perdere i misteri delle sue ombre e della sua Lel- vatichezza. Io l'ho ancora‘ in mente qual era quando avevo vent'anni. Venivo allora a visi- tare Giovanni Visconti Venosta (Don Gino), il fratello minore di Emilio, che abitava l'apparta- mento al secondo piano che dà proprio su quell'angolo remoto e verde dove il Manzoni amava di camminare meditando... Il Manzoni aveva voluto bene al Visconti Venosta, spirito arguto, finissimo e, basti dire, autore del- lo scherzo poetico cui deve una certa celebrità; « il prode An- selmo,. E gli aveva fatto qual- che importante confidenza come è riferito in «Ricordi di Gio- ventù, che è un bel libro, Con commozione, ora ram- mento il racconto che egli mi fece su una delle ultime volte che aveva visto il grande vegliar- do errare, conversando con se stesso, per il suo giardino... Le ombre già si addensavano intor- no al geffio morente. Ma negli intervalli lucidi il Manzoni ri- trovava se stesso, mentre imma- gini, pensieri, idee che avevano lavorato dentro di lui per tutta la vita riaffioravano di improv- viso. Quel giorno non giunge- vano dal basso, all'orecchio del Visconti, che frasi rotte, disperse parole, frammenti di un collo- quio;... domande e risposte, tra pause di silenzio, con un invisi- bile interlocutore: un dialogo ora appassionato or dolente per una di quelle grandi pene del cuore che su (l'orlo della vi- ta' diventano preghiera e ge- mito. Il testimonio, quasi intimo- rito di trovarsi di fronte al tra- gico lavorio di una simile co- scienza, si era ritirato dalla fi- nestra. Ma ciò che gli era rima- sto come persuasione sicura, vi- va, era che l'interlocutore non visibile fosse lui stesso, il giovine Manzoni ribelle, scapigliato, in- solente, con le sue passioni av- verse a Dio e alla Chiesa... Un Manzoni « fiero », su cui i beatificatori trascorrono volentie- ri, ma che vien fuori convincente da certe notizie date dal curato di Brusuglio, don Paolo Pecchio, a Giovanni Sforza e contenute nel suo Zibaldone. «Manzoni gli ha detto che da giovane voleva diventare ateo e leggeva appas- sionatamente, furiosamente, tut- te le opere che propugnano l'ateismo; ma nessuna lo appa- gava e lo persuadeva; e se ne sdegnava e cercava con più fu- rore altre opere, ma da nessuna era persuaso. Pecchio ritiene che questa lettura fosse una delle cause della sua conversione. Nel- la conversione manzoniana si tro- va della somiglianza con quella di S. Agostino... ». Era il Man- zoni di cui lo stesso don Pec- chio diceva, ricordando le sue confidenze: « Appassionato per il gioco in modo, nella gioventù, che appena alzato non sognava che il gioco, non desiderava che il gioco, smaniava che venisse presto la sera per andare al Ri- dotto (della Scala)... Non pen- sava ad altro... ». Il Manzoni, che aveva inten- samente sentito l'aura e i co- stumi della Rivoluzione, di quel- la rivoluzione francese che gli era rimasta sempre nel sangue, col-suo fermentante lievito di li- bertà e di rivolta, con la sua ideologia e gli stessi orrori che, ripudiando, egli studiava e ristu- diava con equità di giudizio che rivela la comprensione fino di Robespierre, in quel magistrale quasi ritratto nel Dialogo del- l'Invenzione. Tanto potentemen- te radicata in lui la sua giovi- nezza e tanto complessa la sua conversione, che non era stata un semplice voltar di pagina, ma una illuminazione della Grazia continuata in un alto tormento e in una appassionata ricerca del vero. • , Il dramma religioso, intimo, di tutta la sua vita e in cui si af- fondavano le radici della sua ispirazione, si conchiudeva così in quel colloquio con l'invisibile, cio1 suo io giovanile, staccato da fui, che gli parlava le parole stesse della sua antica empietà, che gli poneva i problemi, i dubbi e le tentazioni della ribel- lione della età che era stata sua. Tragico dialogo, anche se colto appena attraverso a sillabe, a frasi brevi e concitate di interro- gazione e di risposta del grande vecchio, che come Re Lear de- mente, lungo la spiaggia deserta, riempiva della sua angoscia la casa abbandonata — tutti morti i suoi cari — e svelava a se stes- so, in lampi di lucidità, « con senso agostiniano di peccato e di rimorso », il suo segreto. Tommaso Gallarati Scotti Rubava automobili per portare a spasso le amiche Torino 22 marzo, notte. La polizia ha tratto in arre- sto nei giorni scorsi un indivi- duo, la cui attività è stata quanto mai strana. Si tratta del trentacinquenne Carlo Bue- ciano, che da anni lavora nel- la stessa ditta ed è considera- to come una persona di irre- prensibili costumi. L'altra se- ra, il Bucciano veniva sorpre- so mentre tentava di rubare un'automobile in corso Galileo Ferraris 103. Tradotto in Questura, egli confessava che negli ultimi tempi aveva rubato complessi- vamente sei macchine: se ne serviva per alcune ore e poi le abbandonava alla periferia. I funzionari gli hanno chiesto il motivo di tale comportamento, il Bucciano ha spiegato che le automobili gli servivano per condurre a spasso delle ami- che: semplici bravate, a suo dire. Naturalmente, è stato de- nunciato all'autorità giudizia- ria in stato d'arresto.

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:ORRIEREII RLLA SERA

Martedì 23 marzo 1954

LA CASA EL MANZONI

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ci

Nel settembre 1838 Guglielmo Gladstone scendeva a Milano al-

de la Ville. Una delle principali ragioni della sua fer-mata, in viaggio verso Roma e Napoli, era di incontrarsi col Manzoni. E su quell'incontro so-no venute alla luce alcune let-tere pubblicate da Barbara Rey-nolds, che completano le notizie che ne dà John Morley nella sua Vita del grand'uomo politi-co inglese.

Il 21 settembre, dopo i neces-sari preparativi, esce dall'albergo chiedendo dove abitasse il Man-zoni. Ma, con sua meraviglia, nessuno gliene sa dir nulla: (C'erano tanti Manzoni!... Si, sì pensa Gladstone — ma il mio era il celebre autore,. Nessuna maggior soddisfazione alle sue insistenti domande in proposito. Eppure il nome di Manzoni era già famoso nel mondo e la pri-ma edizione dei Promessi Sposi rimontava a undici anni prima. Finalmente incontra un vecchio prete dall'aspetto dignitoso, e-stremamente cortese, che si met-te a fargli da guida, voltando e rivoltando una mezza dozzina di volte (e si che dalla Corsia dei Servi alla Contrada del Morone la via non era lunga): (di qua... » eh! meglio di qua »

no, no, meglio di qua» (le pa- role in corsivo sono nel testo della lettera scritte in italiano). Per via gli parla della lingua, del Metastasio il cui vocabola-rio « è assai limitato, di Gold-amali. che legge facilmente in Inglese, di Lord Byron che capi-sce meno, e di Shakespeare (quasi affatto... ». Ma ciò che davvero ci interessa è il giudizio Inatteso del colto sacerdote sulla personalità del Manzoni: ('Mi disse — scrive il Gladstone — che l'avrei trovato un poco stra-vagante».

Giudizio che, tuttavia, ci sconcerta meno di quello di altri sacerdoti del mondo elet-to milanese, riferito dal Gladsto-ne stesso e che si legge nella ri- cordata Vita del Morley. «Egli (il Manzoni) è persona interessantis- sima, ma mi sono accorto che è ritenuto dai preti più fashionable di Milano come un bacchetto-ne.... Dove ci troviamo di fron-te .a due parole difficili da tra-durre nel loro senso vero, poi-chè fashionable in questa circo-stanza aveva, sotto la penna del Gladstone, un significato alquan-to diverso che non il semplice alla moda; e bacchettone uno più sottile che non di ipocrita in cui, tra parentesi, l'aveva tra-dotto il Gladstone stesiti.. Più che ai vocabolari dobbiamo quindi riferirci alla storia, e non biso-gna dimenticare che la ricerca della poco nota casa del celebre autore, nel labirinto delle viuz-ze del centro di Milano, avve-niva proprio a quindici giorni dalla famosa incoronazione di Ferdinando nel Duomo, e che preti e non preti della buona so-cietà erano ancor commossi e esultanti per lo spettacolo aulico e avevano nell'orecchio la mu-sica di quella parodia degli inni sacri che son le strofe composte per l'Augusta Maestà Austria- ca... «Tutti gli angeli disponi - sul cammin de' passi suoi... E se infosca la procella . Ferdinando come stella - sulla terra piova il gaudio • del suo lume alle-grator. ».

Mentre il Manzoni in quell'an- no — proprio per non parteci-pare a quel frastuono, a quegli esaltamenti, a quella politica tra trono e altare che non era la sua — se ne stava appartato al Brusuglio, e ci sarebbe rimasto più a lungo del solito — fino al 30 ottobre — tanto che il Gladstone, dopo tante pene per la ricerca, giunto alla casa seppe che il Manzoni era assente e che per trovarlo bisognava andare « at his villeggiatura». .Strava-ganza, per quel mondo, l'assen-teismo da una simile festa di giubilo concorde... Ma più stra-vagante (l'avesse indovinato il buon prete che gli aveva fatto da guida), il fatto che l'autore dei Promessi Sposi, come un so-vrano, rifiutava la visita del mi-nistro austriaco Kolowrat, men-tre accoglieva uomini di Stato, liberali, come il Thiers ed il Gladstone. Col quale ebbe poi al Brusuglio un lungo colloquio di carattere religioso, in cui il Man-zoni era apparso al protestante uomo di fermi principi « transal-pini (cattolico romani).., ma di fervida pietà e carità Il di- scorso era stato portato sulla questione dell'unità e dell'auto-rità della Chiesa, affermando il Manzoni « la necessità di una vi-vente e personale autorità per mantenere e restaurare l'unità re-ligiosa, dopo che, dalla divisione della Cristianità, il mondo av-verso aveva tratto tutte le sue

'forze ». Ma il Mànzoni aveva an- che espresso la sua «forte e in-descrivibile emozione » nel ritro-vare simpatie tra lui cattolico ed altri — non cattolici... — « Dif-ficilmente riusciva a comprende-re se con più piacere o con pe-na...' aggiungeva. E al Gladsto. ne prometteva le preghiere per il suo (accoglimento della ve-rità ». Tutti indovinelli per la maggior parte dei devoti mila-nesi del 1838, che della comples-sità della vita religiosa e po-litica del grande cattolico ne ca-pivano ben poco e se la cava-vano con il vago attributo di bacchettone, che significa nulla e pare incredibile a noi.

Però quanto a difficoltà di ri- cerca della casa del Manzoni non le riterrei minori, oggigior-no, per uno straniero che si met-tesse in strada a chiederne noti-zie... Gladstone esprimeva in pro-posito le sue impressioni mila-nesi nella lettera del 24 settem-bre: « La gente è qui così in-daffarata che non ha nemmeno il tempo di parlare la propria bellissima lingua. Brusuglio di-venta niente più che Brusù »... Figuriamoci se, nella Milano di oggi, ne ha per occuparsi delle case dei morti...

1:§3 Ti disinteresse cittadino per la

casa di via Morone l'ho sentito, nella mia ultima visita giorni fa, ben più che cent'anni dopo l'in-coronazione di Ferdinando e mentre la figura di Alessandro Manzoni cresce ogni giorno e ci sta di fronte col risalto di uno dei maggiori ispiratori di quel Risorgimento, di cui, attraverso

I suoi stessi errori, l'Italia vive, viviamo tutti. C'è un senso di abbandono in

quelle modeste camere: nelisa-lotto a pian terreno con lalbi-blioteca e il caminetto spento e le poltrone vuote su cui ombre di morti continuano il loroulia-logo; o nella camera al primo piano, dove il poeta quasi* no-nagenario si è spento e ha avuto finalmente pace la sua grande anima travagliata. Ma la malin-conica trascuranza è più confa-cente alla meditazione e ai ri-cordi che non l'accurata manu-tenzione del giardino venuto nel-le mani di un istituto bancario, che con ogni buona intenzione gli ha fatto perdere i misteri delle sue ombre e della sua Lel-vatichezza. Io l'ho ancora‘ in mente qual era quando avevo vent'anni. Venivo allora a visi-tare Giovanni Visconti Venosta (Don Gino), il fratello minore di Emilio, che abitava l'apparta-mento al secondo piano che dà proprio su quell'angolo remoto e verde dove il Manzoni amava di camminare meditando... Il Manzoni aveva voluto bene al Visconti Venosta, spirito arguto, finissimo e, basti dire, autore del-lo scherzo poetico cui deve una certa celebrità; « il prode An-selmo,. E gli aveva fatto qual-che importante confidenza come è riferito in «Ricordi di Gio-ventù, che è un bel libro,

Con commozione, ora ram-mento il racconto che egli mi fece su una delle ultime volte che aveva visto il grande vegliar-do errare, conversando con se stesso, per il suo giardino... Le ombre già si addensavano intor-no al geffio morente. Ma negli intervalli lucidi il Manzoni ri-trovava se stesso, mentre imma-gini, pensieri, idee che avevano lavorato dentro di lui per tutta la vita riaffioravano di improv-viso. Quel giorno non giunge-vano dal basso, all'orecchio del Visconti, che frasi rotte, disperse parole, frammenti di un collo-quio;... domande e risposte, tra pause di silenzio, con un invisi-bile interlocutore: un dialogo ora appassionato or dolente per una di quelle grandi pene del cuore che su (l'orlo della vi-ta' diventano preghiera e ge-mito. Il testimonio, quasi intimo-rito di trovarsi di fronte al tra-gico lavorio di una simile co-scienza, si era ritirato dalla fi-nestra. Ma ciò che gli era rima-sto come persuasione sicura, vi-va, era che l'interlocutore non visibile fosse lui stesso, il giovine Manzoni ribelle, scapigliato, in-solente, con le sue passioni av-verse a Dio e alla Chiesa...

Un Manzoni « fiero », su cui i beatificatori trascorrono volentie-ri, ma che vien fuori convincente da certe notizie date dal curato di Brusuglio, don Paolo Pecchio, a Giovanni Sforza e contenute nel suo Zibaldone. «Manzoni gli ha detto che da giovane voleva diventare ateo e leggeva appas-sionatamente, furiosamente, tut-te le opere che propugnano l'ateismo; ma nessuna lo appa-gava e lo persuadeva; e se ne sdegnava e cercava con più fu-rore altre opere, ma da nessuna era persuaso. Pecchio ritiene che questa lettura fosse una delle cause della sua conversione. Nel-la conversione manzoniana si tro-va della somiglianza con quella di S. Agostino... ». Era il Man-zoni di cui lo stesso don Pec-chio diceva, ricordando le sue confidenze: « Appassionato per il gioco in modo, nella gioventù, che appena alzato non sognava che il gioco, non desiderava che il gioco, smaniava che venisse presto la sera per andare al Ri-dotto (della Scala)... Non pen-sava ad altro... ».

Il Manzoni, che aveva inten-samente sentito l'aura e i co-stumi della Rivoluzione, di quel-la rivoluzione francese che gli era rimasta sempre nel sangue, col-suo fermentante lievito di li-bertà e di rivolta, con la sua ideologia e gli stessi orrori che, ripudiando, egli studiava e ristu-diava con equità di giudizio che rivela la comprensione fino di Robespierre, in quel magistrale quasi ritratto nel Dialogo del-l'Invenzione. Tanto potentemen-te radicata in lui la sua giovi-nezza e tanto complessa la sua conversione, che non era stata un semplice voltar di pagina, ma una illuminazione della Grazia continuata in un alto tormento e in una appassionata ricerca del vero. • ,

Il dramma religioso, intimo, di tutta la sua vita e in cui si af-fondavano le radici della sua ispirazione, si conchiudeva così in quel colloquio con l'invisibile, cio1 suo io giovanile, staccato da fui, che gli parlava le parole stesse della sua antica empietà, che gli poneva i problemi, i dubbi e le tentazioni della ribel-lione della età che era stata sua. Tragico dialogo, anche se colto appena attraverso a sillabe, a frasi brevi e concitate di interro-gazione e di risposta del grande vecchio, che come Re Lear de-mente, lungo la spiaggia deserta, riempiva della sua angoscia la casa abbandonata — tutti morti i suoi cari — e svelava a se stes-so, in lampi di lucidità, « con senso agostiniano di peccato e di rimorso », il suo segreto.

Tommaso Gallarati Scotti

Rubava automobili per portare a spasso le amiche

Torino 22 marzo, notte. La polizia ha tratto in arre-

sto nei giorni scorsi un indivi-duo, la cui attività è stata quanto mai strana. Si tratta del trentacinquenne Carlo Bue-ciano, che da anni lavora nel-la stessa ditta ed è considera-to come una persona di irre-prensibili costumi. L'altra se-ra, il Bucciano veniva sorpre-so mentre tentava di rubare un'automobile in corso Galileo Ferraris 103.

Tradotto in Questura, egli confessava che negli ultimi tempi aveva rubato complessi-vamente sei macchine: se ne serviva per alcune ore e poi le abbandonava alla periferia. I funzionari gli hanno chiesto il motivo di tale comportamento,

il Bucciano ha spiegato che le automobili gli servivano per condurre a spasso delle ami-che: semplici bravate, a suo dire. Naturalmente, è stato de-nunciato all'autorità giudizia-ria in stato d'arresto.