(Marposs): «La Borsa «Fusione in Romagna è all’orizzonte ...

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Lunedì, 4 Luglio 2016 www.corrieredibologna.it UOMINI, AZIENDE, TERRITORI IMPRESE EMILIA -ROMAGNA Prove tecniche di futuro Le imprese emiliano-romagnole alle prese con Industry 4.0. Roland Berger: «Qui imprenditori più consapevoli che altrove». Si muove tutto il sistema Confindustria e la Regione. Il caso Warrant: un integratore di innovazione. Ma Bonfiglioli Consulting avverte: «La digitalizzazione non è dietro l’angolo. Bisogna procedere per gradi» L’editoriale Brexit e Ttip, un’occasione «europea» di Giorgio Prodi «G rande è la confusione sotto il cielo, la situazione è eccellente», diceva Mao Tze Dong. Non si può negare che il detto di Mao sia, oggi, di grandissima attualità. Brexit, lo stallo nelle negoziazioni per il Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP), i dubbi sulla rettifica da parte del Senato americano del Trans-Pacific Partnership (TTP) stanno minando le basi dell’architettura istituzionale internazionale uscita dalla seconda guerra mondiale. Con sfumature diverse tutti questi fatti sono una risposta a un sentimento comune di sfiducia che vede la democrazia soccombere agli interessi dei grandi gruppi di potere, della grande finanza, delle istituzioni internazionali. Il Regno Unito decide di uscire perché i suoi cittadini credono di aver ceduto troppa sovranità a Bruxelles, l’opinione pubblica europea vede nel TTIP una minaccia alla sovranità dei singoli Paesi, e non si crede che l’Ue sia in grado o voglia proteggere i principi, come il principio di precauzione, che pur il Parlamento Europeo nel suo mandato alla Commissione per i negoziati ha definito non in discussione. La Brexit è sicuramente l’espressione più visibile di un disagio che si sta diffondendo in moltissimi paesi europei. I «burocrati di Bruxelles» in questi anni sono sti utilizzati come scusa per giustificare qualsiasi politica impopolare messa in atto a livello nazionale. Spesso non era così ma, ormai, poco importa. continua a pagina 15 Poste Italiane Sped. in A.P. D.L. 353/2003 conv. L.46/2004 art. 1, c1 DCB Milano. Non può essere distribuito separatamente dal Corriere della Sera L’intervista Stefano Possati (Marposs): «La Borsa è all’orizzonte» 5 Affari di spiaggia Ombrelloni e lettini superstar, quelli di Nanni sbarcano a Miami 11 Primo piano L’intervento Le corporate academy Uno strumento strategico al servizio delle aziende I n questi anni, nonostante il perdurare del- le difficoltà economiche del Paese, nume- rose imprese italiane hanno scelto di per- seguire la strada dell’innovazione, privile- giando coraggiosi cambiamenti dei loro mo- delli di business e concentrando gli investimenti sul capitale umano. Invece che chiudersi contraendo gli investimenti, le im- prese di successo hanno scommesso sui fat- tori di competitività tangibili e intangibili. All’ampliamento della ricerca di nuovi mer- cati, dell’acquisto di nuovi macchinari e del- l’introduzione di innovazioni, si aggiungono come risorsa strategica gli investimenti nel settore della ricerca e sviluppo e della forma- zione. In particolare la formazione aziendale rap- presenta, mai come ora, un punto nevralgico nei modelli di crescita sul capitale umano e le Corporate Academy stanno diventando uno degli strumenti privilegiati per le azien- de più strutturate per formare in maniera innovativa, allineando le proprie attività di sviluppo di competenze e conoscenze alta- mente specializzate con le strategie di cresci- ta nel medio e lungo periodo. Nate per for- mare prioritariamente il personale interno, le Academy si vanno progressivamente aprendo agli altri stakeholder, dai clienti ai fornitori, ad altre aziende del gruppo. continua a pagina 15 di Concetta Rua e Sara Teghini Tecnologia Un terzo delle imprese italiane ha già avviato tre o più progetti utilizzando tecnologie digitali innovative (dati Politecnico di Milano) Confindustria Italo Carfagnini: «Fusione in Romagna con un arbitro terzo» 7

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Lunedì, 4 Luglio 2016 www.corrieredibologna.it

UOMINI, AZIENDE, TERRITORI

IMPRESEEMILIA-ROMAGNA

Prove tecniche di futuroLe imprese emiliano-romagnole alle prese con Industry 4.0. Roland Berger:

«Qui imprenditori più consapevoli che altrove». Si muove tutto il sistema Confindustria

e la Regione. Il caso Warrant: un integratore di innovazione. Ma Bonfiglioli Consulting avverte:

«La digitalizzazione non è dietro l’angolo. Bisogna procedere per gradi»

L’editoriale

Brexit e Ttip, un’occasione «europea»di Giorgio Prodi

«Grande è laconfusionesotto il cielo,la situazioneè eccellente»,

diceva Mao Tze Dong. Non si può negare che il detto di Mao sia, oggi, di grandissima attualità. Brexit, lo stallo nelle negoziazioni per il Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP), i dubbi sulla rettifica da parte del Senato americano del Trans-Pacific Partnership (TTP) stanno minando le basi dell’architettura istituzionale internazionale uscita dalla seconda guerra mondiale. Con sfumature diverse tutti questi fatti sono una risposta a un sentimento comune di sfiducia che vede la democrazia soccombere agli interessi dei grandi gruppi di potere, della grande finanza, delle istituzioni internazionali. Il Regno Unito decide di uscire perché i suoi cittadini credono di aver ceduto troppa sovranità a Bruxelles, l’opinione pubblica europea vede nel TTIP una minaccia alla sovranità dei singoli Paesi, e non si crede che l’Ue sia in grado o voglia proteggere i principi, come il principio di precauzione, che pur il Parlamento Europeo nel suo mandato alla Commissione per i negoziati ha definito non in discussione. La Brexit è sicuramente l’espressione più visibile di un disagio che si sta diffondendo in moltissimi paesi europei. I «burocrati di Bruxelles» in questi anni sono sti utilizzati come scusa per giustificare qualsiasi politica impopolare messa in atto a livello nazionale. Spesso non era così ma, ormai, poco importa.

continua a pagina 15

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L’intervistaStefano Possati (Marposs): «La Borsa è all’orizzonte»

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Affari di spiaggiaOmbrelloni e lettini superstar, quelli di Nannisbarcano a Miami

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Primo piano

L’interventoLe corporate academyUno strumento strategico al servizio delle aziende

I n questi anni, nonostante il perdurare del-le difficoltà economiche del Paese, nume-rose imprese italiane hanno scelto di per-

seguire la strada dell’innovazione, privile-giando coraggiosi cambiamenti dei loro mo-delli di business e concentrando gliinvestimenti sul capitale umano. Invece chechiudersi contraendo gli investimenti, le im-prese di successo hanno scommesso sui fat-tori di competitività tangibili e intangibili.All’ampliamento della ricerca di nuovi mer-cati, dell’acquisto di nuovi macchinari e del-

l’introduzione di innovazioni, si aggiungonocome risorsa strategica gli investimenti nelsettore della ricerca e sviluppo e della forma-zione.

In particolare la formazione aziendale rap-presenta, mai come ora, un punto nevralgiconei modelli di crescita sul capitale umano ele Corporate Academy stanno diventandouno degli strumenti privilegiati per le azien-de più strutturate per formare in manierainnovativa, allineando le proprie attività disviluppo di competenze e conoscenze alta-mente specializzate con le strategie di cresci-ta nel medio e lungo periodo. Nate per for-mare prioritariamente il personale interno,le Academy si vanno progressivamenteaprendo agli altri stakeholder, dai clienti aifornitori, ad altre aziende del gruppo.

continua a pagina 15

di Concetta Rua e Sara Teghini

TecnologiaUn terzo delle imprese italiane ha già avviato tre o più progetti utilizzando tecnologie digitali innovative (dati Politecnico di Milano)

ConfindustriaItalo Carfagnini: «Fusione in Romagna con un arbitro terzo»

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2 Lunedì 4 Luglio 2016 Corriere Imprese

PRIMO PIANO

Crapelli (Roland Berger): «Sulla via Emilia imprenditori più consapevoli che altrove. Vendere di più e integrare la filiera»

«Industry 4.0? Cambiare il modo di fare affari»

«Il nuovo modello produt-tivo? In Emilia-Romagnanon è ancora nato, peròvi sono imprese conpunte di performance

più elevate che nel resto del Pae-se». Roberto Crapelli, managingdirector di Roland Berger Italia,prima società al mondo ad averconiato il termine Industry 4.0, èmolto netto quando posa il suosguardo sulla via Emilia. «In Italiaesiste un 25% di aziende che dopola crisi è diventata una piccola mul-tinazionale; un altro 25% in concla-mata crisi; e un restante 50% cheha bisogno di politiche industriali,ecco — dice Crapelli — nella vo-stra regione queste percentualimutano rispettivamente in 26%,poco meno del 25% e 40%. Tra ivostri imprenditori c’è più consa-pevolezza rispetto ai colleghi delCentro-Nord della necessità di di-gitalizzare i processi manifatturie-ri».

Bastava essere all’ultima assem-blea generale di Confindustria Mo-dena per accorgersi di quanto altofosse l’interesse per il tema. Nonsono tantissimi i pilastri della ma-nifattura 4.0, dodici per la precisio-ne: realtà aumentata, stampa in 3d,collegamento a monte e a valle del-la produzione con amministrazio-ne e logistica, big data per antici-pare la richiesta del mercato, flessi-bilità nelle soluzioni su misura delcliente, robot di nuova generazio-ne, identificazione automatica deipezzi, controllo di qualità, dialogotra le macchie e controllo dell’effi-cienza delle stesse da remoto, con-trollo del prodotto e manutenzionenel post vendita. Ma sono parame-tri vitali per rimanere sul mercatoglobale. Secondo l’OsservatorioSmart Manufacturing della Schoolof Management del Politecnico diMilano quasi un terzo delle impre-se italiane ha già avviato tre o piùprogetti utilizzando tecnologie di-gitali innovative come l’IndustrialInternet of Things, l’IndustrialAnalytics, il Cloud Manufacturing,l’Advanced Automation, l’AdvancedHuman Machine Interface o l’Addi-tive Manufacturing. E il mercatodello Smart Manufacturing nel2015 in Italia vale già 1,2 miliardi dieuro: per quest’anno poi è previstauna crescita del 30%. Di tutti questi

aspetti, quello più sperimentato —la stampa in 3d — quest’anno rag-giungerà i 7,3 miliardi di euro, chepotrebbero lievitare a 21 entro il2020 (Consumer Technology Asso-ciation e United Parcel Service).

E tornando all’Emilia-Romagna?Siamo i primi per numero di FabLab in Italia con 19 laboratori dedi-cati alla fabbricazione digitale; laLombardia, seconda, ne ha 16 intutto. E proprio in fatto di hub,Modena e Reggio Emilia avrebberodato via a un derby, con la primache vorrebbe concentrare al Demo-center il centro di eccellenza sullafabbrica intelligente, mentre la se-conda vorrebbe fare altrettanto alTecnopolo Reggio Innovazione,

mettendo insieme internet dellecose e meccatronica. La giunta Bo-naccini dal canto suo si è mossaper tempo. In questi giorni infattidovrebbero uscire i risultati delbando per innovare le competenzedelle imprese emiliano-romagnolefinanziato con 10 milioni di eurodel Fondo sociale europeo. Tra iprogetti presentati anche quello diConfindustria regionale; se otterràil finanziamento, dall’autunno sen-sibilizzerà a tappeto tutte le Pmisui concetti di industria 4.0. L’asso-ciazione degli industriali si staspendendo molto in questo senso:a giugno si sono contate ben treassemblee — Piacenza, Ravenna eModena — dedicate all’argomento,

e così ha fatto parimenti Crif-No-misma nel convegno Industria2030. Lo stesso Valter Caiumi, nu-mero uno degli imprenditori gemi-niani, lo ha detto chiaro e tondo: ilproblema principale della nostraindustria è salvaguardare le filiere,la manifattura 4.0 è una grandeopportunità in quanto facilita unsistema di produzione diffuso e adistanza, ma interconnesso. La sfi-da è mettere in condizione anche ipiccoli fornitori di entrare in con-nessione con l’azienda capofilieraattraverso internet delle cose.

Tre settimane fa invece l’asses-sore Patrizio Bianchi ha annuncia-to il finanziamento di 42 borse didottorato di ricerca, primo tassello

del programma triennale delle po-litiche formative 2016-18 e che nellamanifattura 4.0 ha una delle suepietre angolari. In regione, gliesempi sul campo si sprecano.Sacmi ha recentemente inauguratonel distretto meccatronico di Pia-cenza la nuova sede di Gaiotto,azienda del gruppo imolese specia-lizzata nella progettazione e com-mercializzazione di soluzioni perl’automazione industriale (dai ro-bot all’handling), dedicando pro-prio un convegno a questa nuovavisione, su cui vuole puntare moltogià a partire d quest’anno. La Sy-stem di Franco Stefani, dice il suopatron «ha abbracciato da 15 anniil movimento futuribile e futuristae già è entrata in industria 10.0»:fattura quasi 500 milioni di eurosenza una sola macchina utensileinterna, bensì ricorrendo a una fi-liera tutta emiliana e controllandoa distanza con i computer i 4.000codici di ogni macchina e impian-to.

Il modello Industry 4.0 di Ima èstato adottato a inizio della crisi: il

presidente Alberto Vacchi ha sele-zionato una quindicina di fornitorie poi è entrato in società con loro,con quote di minoranza per finan-ziare investimenti nei sistemi dicollegamento informatizzato con lacasa madre; eccola la filiera intelli-gente, che ha permesso di recupe-rare il 30% di produttività, diven-tando ancora più pericolosa per icompetitor asiatici. Lo stesso Stefa-ni ha rilanciato su un’«Industry 4.0all’italiana», rispetto a quella «allatedesca».

«Ma le fabbriche in Germaniasono il doppio delle nostre, inve-stono più risorse, più capitali —ragiona Crapelli — in Italia mancaancora una parte software che au-menti la digitalizzazione». Insom-ma a cosa devono puntare gli im-prenditori emiliano-romagnoli epoi italiani? «Qualcosa di Industry4.0 si comincia a vedere nella logi-stica, ad esempio con il traccia-mento dei prodotti — concedeCrapelli — ma l’obiettivo è venderedi più, perché in Italia siamo forni-tori del mercato di qualcun altro.Basta uno di quei 12 pilastri. Indu-stry 4.0 significa cambiare modo difare affari, portando dentro qual-che pezzo della filiera o affidandoin maniera integrata il processo aqualcuno che prima era esterno».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

GRUPPO DIFORNITORI

La fabbrica del futuro

Fonte: Roland Berger

ComplessitàProduzione collaborativaCreatività

Meccanismi controllati dacomputer che lavorano conalgoritmiComando numerico:-piena automazione-sistemi totalmente

interconnessi-comunicazione

macchina-macchina

CLOUD COMPUTING

SISTEMI DI PRODUZIONEAVANZATA

Eliminazione dei residuiRapida prototipazioneCustomizzazione di massa

STAMPA 3D EPRODUZIONE ADDITIVA Piena trasparenza

sulla trasmissione dei datiProduzione autonoma

in tempo reale

MACCHINE/ ROBOT

Ottimizzazione del movimentoAumento della sicurezza

Costi più bassi

VEICOLIAUTOMATICI

Errori minimiReattivitàTracciabilitàPredittività

SENSORI

BIG DATA

Familiarità con i clientie il mercatoFlessibilitàCorrispondenza perfettatra bisogni del clienteed efficiente produzionedi massaProduzione on demand

PERSONALIZZAZIONEDI MASSA

Comunicazione traoggetti su onde radioa bassa frequenzaEtichettatura oggettiAcquisizione datiin tempo realeRifornimenti ottimizzatisprechi ridotti

INTERNET DELLECOSE

Filiera di fornitoripienamente integrataSistemi interconnessiCoordinazione perfetta

LOGISTICA4.0

RISORSE FUTURE

piano del futuro A

CLIENTI

Solida protezioneper produzione basatasu internetProdotti tecnologicicon una duratapiù lunga

CYBER SICUREZZA

Differenziazione tecnicaConnettivitàProdotti di qualità

NANOTECNOLOGIEMATERIALI AVANZATI

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GEOTERMICASOLAREALTERNATIVEEOLICO

piano del futuro Bgruppo di piani

di Andrea RinaldiChi sono

Valter Caiumi, presidente Confindustria Modena e presidente della Holding Cifin, che controlla il Gruppo Emmegi

Alberto Vacchi, numero uno di Unindustria Bologna e presidente e ad di Ima

Cristian Cassani, direttore generale di Sacmi

Roberto Crapelli, ad di Roland Berger Italia

Fondi europeiLa Confindustria regionale presenta un progetto formativo per tutte le pmi

Modelli a confrontoIma e System già dentro la fabbrica del futuro. Stefani: «Non copiamo i tedeschi»

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3Lunedì 4 Luglio 2016Corriere Imprese

«Steve Jobs non hainventato niente,tuttavia ha crea-to Apple, l’azien-da più innovativa

degli ultimi quarant’anni. Il suosegreto? Aver intuito i bisognidei consumatori prima che lorostessi se ne rendessero conto eaver integrato le tecnologie esi-stenti per soddisfarli».

Il ragionier Fiorenzo Bellellivorrebbe vedere nella sua terra,l’Emilia-Romagna, centinaia ecentinaia di piccole Apple. «Al-cuni ingredienti, come l’intra-prendenza e il saper fare, ci so-no già — aggiunge —. Quelloche manca ai nostri piccoli im-prenditori è la curiosità di guar-dare il mondo fuori dai confinidell’azienda. Stanno ancora 14ore in bottega, mentre fuori tut-to cambia sempre più veloce-mente. Chi perde d’occhio ilcambiamento è finito. Però War-rant Group è qui apposta». War-rant Group è la sua creatura. Sipotrebbe definire una società diconsulenza; ma in realtà è qual-cosa di più e di più specifico: èun integratore di strumenti perl’innovazione. Una piccola Appledel terziario. Non tanto piccola,poi. Con 25 milioni di euro difatturato consolidato previstoper quest’anno, 5.000 clienti,uno staff di 150 professionisti,

30 dei quali ingegneri specialistidell’hi-tech, è una delle maggio-ri realtà italiane, forse la primain assoluto se si escludono lebranch italiane delle grandimultinazionali della consulenza.Nonostante una sede ostinata-mente mantenuta a Correggio,paese d’origine di Bellelli, ha uf-fici in tutta Italia e si articola inun una mezza dozzina di societàoperative. La fondò nel 1995,uscendo dallo storico grupporeggiano di arti grafiche Ventu-rini dove era responsabile del-l’area finanza e contabilità.

«Mi ero reso conto — rac-conta — di quante difficoltàavessero le Pmi a rapportarsicon le banche e ad accedere aglistrumenti di sostegno agli inve-stimenti. Quasi nessuno, peresempio, immagina che som-mando diverse agevolazioni traloro cumulabili, spesso è possi-bile coprire anche il 100% deicosti di un’innovazione. Di quil’idea di offrire un servizio chele aiutasse». In 21 anni di lavoroWarrant ha curato 15.723 pro-getti di finanza agevolata auto-matica, regionale, nazionale ecomunitaria, per un valore com-plessivo di 12 miliardi di euro eun beneficio finanziario e fisca-le per le aziende clienti di circa810 milioni di euro. A tutto que-sto vanno aggiunti i 2.000 pro-

getti attualmente in corso, perun valore di altri 1,3 miliardi eun beneficio atteso di 130 milio-ni. Molti tra questi sono tran-snazionali, finanziati all’internodel programma Horizon2020, inqualche modo il fiore all’oc-chiello di Warrant che ha untrack record di 80 progetti ap-provati e finanziati ogni 100 pre-sentati. Spaziano dai nuovi ma-teriali compositi all’edilizia aconsumi zero, dalla sensoristicaalla generazione da fonti rinno-vabili, dai motori all’idrogeno eibridi ai nanomateriali, dall’irri-gazione a basso consumo allesoluzioni di riciclo dei materiali,fino alla modellazione matema-tica per le simulazioni compute-rizzate dei flussi. I clienti sonograndi imprese come Ferrari,Lamborghini, Brembo, Tetra-pack, Bonfiglioli e Beghelli, maanche medie aziende come Mo-delleria Brambilla, Dallara eAma; e con loro decine di Pmidella filiera.

«Il dramma dei piccoli — di-ce Bellelli — è che nemmenoconoscono il loro fabbisogno diinnovazione; quando lo capisco-no è già tardi. Con l’accorcia-mento dei cicli di vita dei pro-dotti, infatti, un’azienda può fi-nire fuori mercato nel giro diuno o due anni, a volte di qual-che mese». Così anche WarrantGroup ha dovuto pan pianocambiar pelle, diventando essastessa suggeritore e stimolatoredi innovazione. Ha creato unsuo laboratorio per la ricerca in-dustriale, Innovation Lab, uncentro di formazione, Warran-

training, una società per il tra-sferimento tecnologico, MoxOff, in joint venture con il Poli-tecnico di Milano, e infine War-rant Energy Side per l’efficienta-mento energetico delle imprese.«L’innovazione richiede unaprecisa metodologia: deve esse-re vissuta come investimentostrategico anziché come un co-sto e va pianificata su un oriz-zonte pluriennale». Warrantparte da una carta d’identità tec-nologica di ogni cliente, indicagli obiettivi e le potenzialità del-l’innovazione da introdurre, in-dividua le tecnologie esistentisul mercato e i soggetti che pos-sono fornirle, reperisce i finan-ziamenti agevolati nella jungladegli incentivi comunitari, na-zionali e regionali. «Il sistemadelle incentivazioni è farragino-so e lento rispetto ai tempi del

«Ci vuole metodo per innovare: Warrant lo insegna»Il fondatore Bellelli: «Una rivoluzione industriale in 3-4 anni, siamo in ritardo»

Da filosofia gestionale emanageriale, il leanmanufacturing, la pro-duzione snella che ab-batte gli sprechi del

30%, diventa tecnologia con In-dustria 4.0. La diffusione dell’ap-proccio lean in Italia è iniziata20 anni fa a Casalecchio di Reno,dove Bonfiglioli Consulting ope-ra dal 1973 e oggi prosegue conMichele Bonfiglioli, dopo il pas-saggio generazionale e un mer-cato che ha superato i confini: 7milioni di euro, per il 60% inItalia (un terzo del quale in Emi-lia-Romagna), il 40% all’estero, soprattutto in Germania (15%) ela partnership con la rete di con-sulenza internazionale Corden-ce. Dalle risposte di Bonfiglioliemerge grande interesse ma al-trettanta prudenza, con qualchepunta di scetticismo.

Industria 4.0 è una oppor-tunità o una rivoluzione che vitravolgerà?

«La ragione del grande suc-cesso dell’approccio lean sta nel-la semplicità e nella chiarezzadei concetti. Perciò credo checontinuerà a lungo. Industry 4.0ha in comune la continua ricercadegli sprechi: applicata con giu-dizio, moltiplicherà gli effetti

della lean. Si parla molto di que-sto trend, ma c’è anche tantaconfusione».

Uno degli effetti più temutiriguarda l’occupazione. Maanche il lean, per accrescere laproduttività e ridurre i costiindustriali, determina certa-mente riduzioni di personale.

«Siamo molto attenti alle per-sone, ma a volte le situazionisono talmente critiche che alcu-ne scelte dolorose vanno com-piute. Le persone saranno sem-pre necessarie, perché i prodottie i modelli di business sonosempre più complessi. Solo leorganizzazioni con persone mo-tivate e formate potranno soddi-sfare la domanda di clienti sem-pre più esigenti e impazienti».

In effetti attribuite le ineffi-cienze alla carenza di forma-zione, non all’eccesso di ma-nodopera.

«La conoscenza e l’apprendi-mento continuo sono la base perrestare sul mercato del lavoro. Lanostra pensione sta in quelloche sappiamo: finché conoscere-mo e sapremo fare qualcosa diinnovativo, troveremo sempre nuove occasioni di lavoro. Ab-biamo messo in pratica nella no-stra Lean Factory School questo

concetto: imparare facendo».Un sondaggio di Roland

Berger sulla strategia indu-striale 4.0, condotto fra 250top manager per il Forum eco-nomico italo-tedesco, sostieneche l’industria italiana è menopronta a questa ulteriore in-novazione ma potrebbe riceve-

re un grande impulso dallapartnership con l’industria te-desca.

«L’industria italiana è estre-mamente capace ad adattarsi aicambiamenti, perché ha fattodella flessibilità e della velocitàla propria forza. Vedo tanto fer-mento e voglia di sperimentare,

«La digitalizzazione non è dietro l’angolo»Michele Bonfiglioli: «Tecnologie da valutare caso per caso. Tutto e subito è molto pericoloso»

ma è bene evitare facili entusia-smi rincorrendo le mode delmomento. Ogni azienda deve ca-pire quali tecnologie implemen-tare. Fare tutto e subito può es-sere pericoloso».

La stessa ricerca ritiene chegli effetti sull’occupazione sa-ranno assorbiti, con un saldopositivo nell’arco di 20 anni.Chi sopravviverà, potrà conso-larsi...

«È assai difficile prevedere co-sa succederà nel 2035. Pensiamoal commercio elettronico: se neparla dalla fine degli anni ’90,ma è realtà quotidiana solo dapochi anni. Sarà così anche sta-volta, prima che la digitalizzazio-ne delle imprese divenga un fe-nomeno diffuso».

All’Emilia-Romagna basteràrafforzare la partnership conla Germania?

«In regione facciamo il 20%del fatturato. I nostri clienti han-no bisogno di risposte globali eper assecondarli dobbiamo esportare modelli organizzativiin ogni parte del globo. Stiamogià valutando la presenza direttain India, Brasile e Vietnam. Perora è un progetto...».

Angelo Ciancarella© RIPRODUZIONE RISERVATA

mercato — lamenta —. In Fran-cia ogni domanda ha una rispo-sta in 60 giorni, in Italia, chepure è un’isola felice, media-mente ci vogliono sei mesi».

La velocità oggi è tutto. Se-condo Bellelli Internet delle co-se, industria 4.0, i sistemi distampa in 3d rivoluzionerannola manifattura nel giro di 4-5anni. «Noi siamo indietro: Il si-stema della ricerca applicata èancora polverizzato in tanti pic-coli rivoli di campanile, leaziende stanno ancora alla fine-stra. Eppure c’è ancora unagrande gap da colmare in termi-ni di integrazione dei software,potenziamento delle reti, forma-zione del personale. O ci muo-viamo in fretta, o perderemo iltreno».

Massimo Degli Esposti© RIPRODUZIONE RISERVATA

Presa di posizioneUn investimento strategicoe non un costo Le aziende non sanno che gli incentivi coprono fino al 100%

11.624

2008

2009

2010

2011

2012

2013

2014

2015

9.326.659.028

TOTALE

627.005.641

41.396.975

I progetti finanziatiprogetti su clienti

Dati statistici - FAA Warrant Group0 500000000 1000000000 1500000000

0 500 1000 1500 2000

costi rendicontati benefici fiscali

1.755

1.866

1.596

1.053

1.043

1.258

1.572

1.481

1.280.173.734

1.611.472.565

1.340.006.104

993.419.770

1.031.457.185

976.452.268

1.060.378.361

1.033.299.041

128.802.695

163.117.545

135.997.032

38.880.597

40.064.319

38.123.567

40.622.911

-2,725

-2,7

-2,91,1

1,9

6,7 26,4

20352015

15,1 15,5

19,76,7

+6%

Occupati e competitività in Europa

Fonte: Roland Berger

PERCENTUALEPOSTI

DI LAVORO

1 2

3

45

6

7 8

2 - PRODUTTIVITÀ STORICAProduttività storica osservata nel 2000-2015Include automatizzazione, lean manufact., etc.3 - STORICA PERDITA DI PRODUTTIVITÀChiusura delle fabbriche e nessun ulteriore investimento per viadella perdita di competitività4 - RAMP UP INDUSTRIA 4.0Progressiva introduzione di soluzioni dell'industria 4.0nell’assetto attuale (fino al 50% nel 2035)Include automatizzazione,smartmachines, digitalizzazione, etc..5 - RICOLLOCAZIONE/MANTENIMENTOMantenimento delle fabbriche grazie alla riacquistatacompetitività. Riallocazione delle attività sulla base i nuovimodelli di business i 4.06 - NUOVE ATTIVITÀ INDUSTRIALIRe-investimento del capitale risparmiato e nuovi profitti in nuoviprodotti industriali, macchinari (piattaforme con startups/scaleups ecosystem)7 - NUOVI SERVIZIRe-investimento del capitale risparmiato in nuovi servizi einiziative (start-up, scale ups)

Chi è

Fiorenzo Bellelli,reggiano, ha fondato Warrant group nel 1995

Prima aveva lavorato alle arti grafiche Venturini come responsabile finanza e contabilità

Sul sitoTutti gli articoli e le analisisi possono condivideree commentare sul sito corrieredibologna.it

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4 Lunedì 4 Luglio 2016 Corriere Imprese

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5Lunedì 4 Luglio 2016Corriere Imprese

«Quella Padania che vince inGiappone» titolava Repubblicadel 31 marzo 1989 raccontandol’incredibile storia di Marposs.A quel tempo il Sol Levante era

la nuova frontiera della manifattura mondiale.Era però una meta preclusa perfino ai big delmade in Italy, figuriamoci alle medie impreseemiliano-romagnole. Eppure Marposs, che allo-ra fatturava l’equivalente di 60 milioni di euro enon aveva più di un migliaio di dipendenti, inGiappone c’era già da vent’anni; con 110 tecnici,una sede imponente, clienti come Toyota. Una«caso» nazionale, celebrato infatti sulle coperti-ne dei principali settimanali economici europei.Al timone c’era ancora il fondatore Mario Possa-ti; sarebbe mancato l’anno successivo lasciandoil suo piccolo impero nelle mani del primogeni-to Stefano. Il quale potrebbe vantarsi di avernemoltiplicato per dieci i confini, ma, indossandol’abituale understatement, ci accoglie nella sededi Bentivoglio, alla periferia Nord di Bologna,ricordando che «parlare poco è già parlare trop-po».

Via, presidente, ammetta almeno che sietestati i pionieri italiani di quell’internazionaliz-zazione oggi invocata da tutti...

«Erano altri tempi. Bastava un ragazzo con lavoglia di viaggiare e una segretaria che parlassetre lingue. Cominciammo così quando ci ren-demmo conto che non potevamo abbandonarele nostre macchine di misurazione a bordo dimacchine automatiche vendute da altri. Fu unascelta vincente perché ci permise di accreditarcianche in Paesi difficili e lontani come il Giappo-ne, però grandi importatori di macchine italianee tedesche. Oggi, però, andare all’estero anchecon una struttura minima costa milioni, cifrenon alla portata di aziende medio piccole. An-che per questa ragione ora le dimensioni sonoun fattore di competitività cruciale».

Marposs è cresciuta tanto. Due anni fa ave-te raddoppiato la fabbrica cinese, avete colle-zionato una decina di acquisizioni anche inGermania, Francia, Stati Uniti, siete entrati innuovi settori, come i controlli di qualità perl’aerospazio e il biomedicale. Continuerete?

«Le strategie possibili sono due: difendersi ocrescere. Noi, pur con molti concorrenti di di-

mensioni per lo più medio piccoli non vediamoaltra via che crescere. Lo faremo continuandocon le acquisizioni di realtà più piccole ma red-ditizie, che possano portarci su nuovi mercati insettori che già conosciamo bene, o in nuovisettori su mercati che già presidiamo: vogliamoaffrontare equazioni con una sola incognita,non con due».

«Adelante Pedro con juicio...». Ha scelto laprudenza?

«Vede, gli imprenditori di prima generazionehanno genio e grande passione. Le secondegenerazioni, invece, possono fare qualcosa dibuono se agiscono insieme ai loro dirigenti,guardando al lungo termine e usando la virtùdella pazienza. Quando l’ho capito, quattordicianni fa, ho lasciato la carica di ad a un manager,Mario Gelsi che è un grande dirigente e uncompagno di lavoro da 35 anni, restando presi-dente e azionista con i miei fratelli. Da quelgiorno Marposs ha cambiato marcia».

Qualche mese fa si era sparsa la voce di un

vostro possibile debutto in Borsa. Conferma?«Confermo: sul finire dell’anno scorso av-

viammo contatti con ambienti finanziari in pro-spettiva di una quotazione».

Però?«Il progetto non è stato abbandonato, ma

solo rinviato. Ora abbiamo le idee più chiare suciò che comporterebbe lo sbarco in Borsa, sia-mo preparati ad affrontarlo e non escludo chepossa concretizzarsi nel giro di qualche anno,vista anche l’accoglienza molto lusinghiera delmercato. Abbiamo deciso di lasciarlo nel casset-to perché abbiamo già risorse adeguate per pos-sibili acquisizioni e per i prossimi investimentie nel frattempo preferiamo occuparci di altrepriorità».

Cosa vi aveva spinto, invece, a pensare allaBorsa?

«La necessità di dare al gruppo un assetto piùstrutturato in vista della futura successione. Og-gi siamo tre azionisti, io e due dei miei fratelli,ciascuno con il 33%. Uno di loro ha scelto direstare fuori dall’azienda. Poi ci sono i nostrifigli e le 3.000 famiglie dei nostri dipendenti. Èuna responsabilità grossa, da maneggiare concura e lungimiranza».

Voi siete da sempre una delle miglioriaziende hi-tech italiane. Come vi preparatealla rivoluzione di Industria 4.0?

«Per noi non vedo rivoluzioni, ma piuttostoun processo, iniziato 15-20 anni fa, che avanza.Le nostre macchine di misurazione, infatti, giàda tempo sono in grado di dialogare con lemacchine utensili per correggere gli errori osegnalare il rischio di un probabile guasto. Ècome un’auto che dice al conducente quando èil momento di cambiare le gomme. Oggi lastessa auto può anche prenotare il gommista.Domani andrà a cambiare le gomme da sola. Latecnologia c’è; basta avere la fantasia per imma-ginarsi applicazioni che la utilizzino».

Forse voi siete l’eccezione che conferma laregola. Il sistema Italia è più indietro?

«Non ha più molto senso parlare di sistema:il sistema non è la media, come insegna il pollodi Trilussa, ma un insieme di situazioni radical-mente diverse: in Italia c’è un gruppo di forsemille aziende fra i 50 milioni e i due miliardi difatturato, tutte eccellenti e coerenti con un pae-se industriale avanzato e le altre, adagiate su unun ambiente un po’ troppo “amichevole” e “pro-tetto”, che oggi soffrono la concorrenza dei Pae-si emergenti».

Quindi?«In passato i governi erano spaventati da lob-

by anche piccole. In queste condizioni è difficiledare una sferzata di efficienza al Paese...»

Lei è stato fino a pochi giorni fa e per 15anni membro del Consiglio superiore diBankitalia. Come ha vissuto le polemiche diquesti ultimi mesi?

«La qualità delle persone di Bankitalia è ec-cellente, gente capace e molto in gamba. Tra iconsiglieri ho conosciuto solo persone moltolibere, che hanno sempre difeso l’istituzione dalle ricorrenti pressioni della politica. Una bellaesperienza, giunta ormai a scadenza naturale».

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L’azienda

La precisione bolognese che ha conquistato i cinque continenti

S essantaquattro anni di sto-ria (fu fondata nel 1952), da46 anni radicata in Giappo-

ne, da 30 in Cina dove oggi lavo-rano 600 dipendenti in uno sta-bilimento raddoppiato appenadue anni fa. Marposs è uno diquei gioielli industriali che han-no proiettato la meccanica hi-te-ch di precisione bolognese sullaribalta nazionale e mondiale. Ilnome deriva dalle iniziali del fondatore, Mario Possati, classe‘22, già dirigente del gruppomeccanico Maccaferri. Si misein proprio quando, agli alboridell’elettronica, intuì le poten-zialità industriali di nuovi stru-menti di misurazione capaci discendere nell’universo dei mi-cron. Oggi è il primo produttoreal mondo nel settore della me-trologia e del controllo di quali-tà in ambiente industriale; lesue macchine equipaggiano gliutensili impiegati in quasi tuttal’industria mondiale dell’auto-motive, di buona parte dell’in-dustria aerospaziale, di quellabiomedicale, della telefonia mo-bile e dei tablet. Per il 50% viag-giano a bordo di stazioni di la-voro prodotte da terzi, per il 50%sono vendute ai clienti finali, daVolkswagen a Toyota, da Sonyad Apple, da Airbus a Boeing.Presente con sedi e stabilimentiun una ventina di Paesi dei cin-que continenti, il gruppo bolo-gnese occupa nel mondo 3.100dipendenti (1.100 in Italia, granparte dei quali nella storica sededi Bentivoglio, alla periferiaNord di Bologna); ha chiuso il2015 con 436 milioni di euro difatturato, record storico assolu-to, e un Ebitda del 18%. Per que-st’anno è prevista un’ulteriorecrescita fino a 460 milioni circa,con redditività analoga o legger-mente inferiore a causa delleoscillazioni dei cambi; il 58% deiricavi, infatti, è realizzato in va-lute diverse dall’euro, compresequelle dei principali Paesi asiati-ci. La Cina è il secondo mercatodi sbocco dopo la Germania, mail primo considerando che tuttii colossi automobilistici tede-schi utilizzano gli strumentiMarposs per equipaggiare i loroimpianti asiatici. Stefano Possa-ti, nato nel 50, guida il gruppodal 1990, dopo la morte del pa-dre. È il primogenito di quattrofratelli, uno dei quali vive inAmerica dal ‘76 e fu liquidatonegli anni 80. Un secondo, Al-berto, il più giovane dei quattro,è ancora azionista e consiglierema non è più in azienda, men-tre il terzogenito Edoardo è vice-presidente con responsabilità sui fatti societari e sulla finanzadel gruppo. Il primo figlio diStefano, laureato in giurispru-denza alla Bocconi, lavora perMarposs in Cina. Come il padre,anche Stefano è Cavaliere delLavoro e fino a pochi giorni fa èstato membro del Consiglio su-periore di Banca d’Italia, ora so-stituito da un altro big bologne-se, l’ex vicepresidente di Confin-dustria Gaetano Maccaferri. Inpassato ha ricoperto anche lacarica di presidente dell’associa-zione di categoria Ucimu.

M. D. E.© RIPRODUZIONE RISERVATA

La storia

di Massimo Degli Esposti

«La Borsa all’orizzonte»

Le seconde generazioni possono fare qualcosa di buono se agiscono insieme ai dirigenti con prudenza e lungimiranza Abbiamo la responsabilità di 3.000 famiglie, dobbiamo maneggiare l’impresa con cura

L’INTERVISTA

Stefano Possati«Crescita, via obbligata per Marposs. L’anno scorso avviammo i contatti per la quotazione». L’obiettivo: preparare la successione e un futuro a lungo termine

Chi è

Stefano Possati (Bologna, 1950) è presidente di Marposs, azienda fondata dal padre nel 1952. È entrato in Marposs nel 1974 dopo aver terminato gli studi, nel 1983 è diventato direttore generale, nel 1991 presidente

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6 Lunedì 4 Luglio 2016 Corriere Imprese

Promec, la piccola Ice modenese in panne. «Lavoriamo nell’ombra»Tagliati i finanziamenti alla Camera di commercio, saltano i grandi progetti per sostenere l’export. Il direttore dell’agenzia Bellei interviene per smentire le voci di una chiusura

Chi presiederà la Cameradi commercio di Mode-na dopo Maurizio Tor-reggiani, che ha forma-lizzato l’uscita nel Con-

siglio del 24 giugno, avrà sottola propria egida anche Promec,azienda speciale dell’ente conuna carta di identità ormai ul-traventennale. La mission, ilsupporto commerciale alle pmicon voglia di internazionalizzar-si, di cercare in sostanza nuoviclienti all’estero, la rende unasorta di piccolo Ice. Da ultimo lenotizie non hanno tuttavia ab-bondato, se non per gli stanzia-menti camerali, ridotti in generedai voleri governativi e nel casodi Promec passati da oltre 1 mi-lione l’anno a 850.000 euro nel2014 e 700.000 nel 2015: sembra-no noccioline, ma per le pminon lo sono. «Questo progetto èassolutamente centrale per noi,si va avanti nonostante tutto»,spiega però l’avvocato StefanoBellei, direttore dell’agenzia inquanto segretario generale diVia Ganaceto.

L’azienda speciale nacque il23 febbraio 1995 perché, recita il

verbale della Giunta della Came-ra di quel giorno, «la competi-zione internazionale si fa sem-pre più accanita e avvincente», ealle imprese modenesi servival’appoggio di un’agenzia con personale «limitato ma qualifi-cato, che conosce le lingue este-re», che viaggi e lavori accettan-do orari «che non possono esse-

re imposti al personale camera-le». Con la grande crisi del2008, all’interno dell’ente partìuna riflessione sull’esatto ruolodi Promec. L’esito è consistito inuna struttura manageriale auto-noma, o quasi: nel settembre2008 la presidenza è passata aErio Luigi Munari, dominus del-la Lapam. Poi, tramite bando, è

stato scelto come direttore Ago-stino Pesce, proveniente dallaCamera di commercio italiana aNizza. Quindi, con l’agenziagiunta a una quindicina di ad-detti, ecco i protocolli conUnioncamere Emilia-Romagna eRegione, nell’ottica di diventarel’agenzia di sviluppo di riferi-mento di tutte le pmi da Piacen-za a Rimini. La logica, visto an-che il budget già limitato a unamanciata di milioni annui, nonera quella dei finanziamenti apioggia: alle imprese assistite,dalla meccanica all’agroalimen-tare passando per il biomedica-le, si chiedeva una comparteci-pazione alle spese, in sostanzaun co-investimento in attività diformazione e marketing, comela partecipazione a fiere italianeed estere o come l’ospitalità for-nita ai buyers stranieri in visita aModena. Come risultato, ognianno Promec prevedeva decine,se non un centinaio, di iniziativein Paesi che andavano dalla Ger-mania al Qatar.

I sogni, anzi, parevano persi-no più ampi, almeno guardandoal nuovo nome scelto nel 2011:

ModenaLa sede della Camera di Commercio e di Promec nella città della Ghirlandina in via Ganaceto

Italy Empowering Agency. Ma, afine 2012, Pesce tornò in Fran-cia, Munari passò alla presiden-za del polo Democenter-Sipe e ilvertice aziendale tornò a coinci-dere con quello camerale.

«Da allora — dice Bellei —abbiamo ritenuto che la promo-zione estera delle nostre pminon comporti il livello di esposi-zione pubblica, e perfino media-tica, del passato. Ci occupiamoancora delle missioni alle fiereinternazionali, ma non la rite-niamo l’unica strategia vincente.Lavoriamo lontano dai riflettoricon un’attenta opera di analisi escouting, per offrire alle impre-se modenesi non vetrine generi-che, ma contatti b2b concreti,opportunità ben strutturate, cu-cite su misura. Promec, adesempio, è stato scelto come ca-pofila del progetto di sistemaTemporary Export Manager».Sparito in fretta il marchio ItalyEmpowering Agency, è rimastoil sito ExpoMo.com, vetrinamultilingue delle eccellenze mo-denesi con quasi 2.350 aderenti.

Nicola Tedeschini© RIPRODUZIONE RISERVATA

MONOPOLI

La vicenda Promec è un’azienda della Camera di Commercio di Modena che favorisce l’internazionalizzazione delle pmi

È nata nel 1995 e nel 2011 è diventata Italy Empower Agency

Con l’addio di Maurizio Torreggiani al vertice dell’ente camerale si aspetta una nuova guida per Promec

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7Lunedì 4 Luglio 2016Corriere Imprese

«La fusione in Confindustria Romagna?Ci vuole un arbitro super partes»La proposta di Italo Carfagnini (Sof.T.Er), neoeletto presidente degli imprenditori di Forlì-Cesena

Un chimico e un lupo di mare. L’assembleadi Confindustria Forlì-Cesena ha pensatoche ci voleva un uomo esperto di alchimiee un abile timoniere per guidare l’associa-zione dopo i travagli degli ultimi mesi,

quelli che hanno inceppato la fusione con Riminie Ravenna e hanno portato alle dimissioni delvecchio presidente Vincenzo Colonna. Nuovo nu-mero uno è stato eletto Italo Carfagnini, 73 anni,radici abruzzesi, marinaio, gioviale, ma pragmati-co, fondatore e patron della So.F.Ter di Forlì, pro-duttrice di elastomeri e tecnopolimeri da oltre 300milioni di ricavi.

Presidente partiamo da dove tutto è finito epoi ricominciato. Forlì-Cesena aderirà a Confin-dustria Romagna?

«Penso di sì, se si vuole creare questo spiritodella Romagna. In associazione ci sono state presedi posizione forti e malintesi che io voglio ripiana-re: voglio ripartire da dove si è lasciato il discorso.Certo, non bisogna farla a tutti i costi, fusione nonsignifica fare un minestrone. Si deve attuare congiudizio e affidando una due diligence a una perso-na terza, come se si dovesse fare un’acquisizione incampo aziendale, anche perché ci sono società diservizi che sono srl: se le fusioni si fanno allacarlona poi possono sorgere problemi a livello fi-scale».

Chi potrebbe essere questo certificatore terzo?«Qualcuno come Kpmg, ci sono tante società

abilitate a studiare questi casi. Anche se verrà acostare 10.000 euro poi ce li divideremo tra noi,Ravenna e Rimini».

Ci sono punti oscuri in questa unione chesecondo lei meritano attenzione?

«Non vedo criticità, però bisogna organizzarel’integrazione in maniera attenta, senza una rincor-sa alle poltrone. Noi siamo qui per fare l’interessedegli associati. Mi hanno eletto e come probovirovedo divisioni che mi fanno molto male, ma, ripe-to, non ci deve essere nessuna caccia alla poltrona.Questa è una buona occasione per proiettare laromagnolità ad ampio raggio e all’estero. Ovvia-mente in un’ottica di risparmio di gestione e deicosti».

Quali sono i punti di forza del tessuto impren-ditoriale che va a rappresentare e su quali do-vrebbe scommettere?

«I nomi ci sono e sono altisonanti, proiettatiall’estero e con orizzonte sempre più ampio: Ama-dori, Ferretti, Bonfiglioli, Marcegaglia, Electrolux,Martini, Technogym, noi come So.f.Ter. Quanto aisettori, l’agroalimentare ha ancora tanto da darecosì come il wellness. E poi ci sono artigiani ammi-rabili che vanno aiutati nell’internazionalizzazione,penso ai liutai di Forlì o a imprese come il cravatti-ficio Regal di Sarsina, fondato da una ex-commessa

di via Montenapoleone e oggi portato avanti daViletta Righi».

Ha già qualche idea?«Cercando di far incontrare chi già va all’estero

con chi è rimasto sul territorio e così far scaturiredelle idee per internazionalizzare i secondi e atrovare i sistemi finanziari per aprirsi all’estero.Purtroppo qui nella Romagna alta c’è ancora unaforte cultura contadina, sono un po’ tutti invidiosidell’orto del vicino, ognuno sta per conto suo…(ride)».

Intanto il Regno Unito ha deciso di usciredall’Unione europea…

«Quei signori lì, gli inglesi, erano in una situa-zione di comodo, da tempo giocavano su due cam-pi e la cosa gli ha permesso di ottenere dall’UnioneEuropea più finanziamenti di quelli che gli eranorichiesti, ma sono convinto che potremo otteneredei vantaggi. Bisognerà vedere le conseguenze fi-nanziarie, al momento non riesco a valutarle bene,ma come So.F.Ter non abbiamo molto Oltremanicaquindi non mi preoccupo. Vent’anni fa ho fattoparte di un gruppo inglese con altre 50 aziende esiamo sempre stati premiati per la miglior redditi-vità. Gli imprenditori inglesi cambiano macchinarisolo quando diventano inservibili, noi invece livendiamo prima che diventino vecchi e così ciripaghiamo quelli nuovi: la nostra mentalità èavanti, dunque sono tranquillo».

Ora, invece, le chiediamo della sua carica dipresidente di So.F.Ter.

«Abbiamo 320 dipendenti, nel 2015 abbiamoassunto 55 persone e abbiamo avuto risultati tal-mente buoni che abbiamo erogato al personale una15esima. Nei primi 33 anni non ho mai distribuitoutili, perché, essendo un chimico, non voglio avereproblemi finanziari. Il fatturato 2015 è stato di circa300 milioni di euro e nel 2016 contiamo di arrivarea 320-330 milioni. Il profitto è aumentato del 40%e le tonnellate di materiali lavorati del 12%».

A questo risultato ha contribuito la crisi deimercati emergenti, grandi esportatori di materieprime?

«Sì, ma sa una cosa? Io mi son fatto un indice:un’azienda va in crisi quando i suoi oneri finanziarisono superiori al 3% del fatturato, perché si creauna spirale perversa, per cui si finisce a pagare piùgli interessi alle banche che il resto. Noi siamocostantemente sotto l’1%».

Come guarda a questa seconda parte del 2016So.f.Ter.?

«Ci stiamo avventurando nei polimeri non otte-nuti da petrolio, cioè ricavati da fonti rinnovabili,non biodegradabili e duraturi. All’ultimo Salonedel Mobile, per esempio, c’era la sedia Organic diKartell realizzata con il nostro “Biodura”, un mate-riale messo a punto da mio figlio e ricavato dascarti dell’agrochimica. Stiamo poi realizzandocomponenti per auto in plastiche rinforzate da fi-bre vegetali con caratteristiche meccaniche uguali aquelle ottenute con fibre di vetro; hanno un vantag-gio: sono più leggeri. La Bmw l’ha già omologato».

Pensate di crescere con la finanza?«No, cresciamo con le fabbriche. Abbiamo appe-

na realizzato un impianto negli Usa e ora ci sposte-remo verso Est, in India o in Cina, con un nuovostabilimento produttivo».

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di Andrea Rinaldi

MONOPOLI

PresidenteItalo Carfagnini,73 anni, patron della So.f.Ter di Cesena è stato appena chiamato a guidare Confindustria Forlì-Cesena

Il viaggio di Enea

di Giovanni Fracasso

Francesco Mutti, la leadershipche costruisce il contesto

Il settore della trasformazione del pomodoroha radici antiche a Parma e ha subito pro-fondi cambiamenti nel corso del tempo:viene da chiedersi se sia ancora possibilecrescere con un ritmo impetuoso in un set-

tore così maturo. Ebbene proprio la Mutti Spa,azienda con oltre un secolo di storia, lo dimo-stra.

«La tradizione è custodire il fuoco, nonadorare le ceneri» diceva Mahler. FrancescoMutti alla guida dell’azienda dal 1994, proni-pote del fondatore Marcellino, è riuscito neldifficile compito di coniugare tradizione (unadoppia tradizione quella dell’azienda e quelladella storia culinaria italiana) con l’innovazio-ne e con la ricerca costante del miglioramentoqualitativo. Consolidando gli antichi successi eaprendo la strada per i nuovi. Si può studiareil successo della Mutti Spa usando diverselenti. Analizzando ad esempio l’ottima strate-gia di marketing. Oppure sottolineando glieffetti positivi delle (azzeccate) campagne pubblicitarie: come non rimanere incantati

dallo spot che riprende l’«Ode al pomodoro»del poeta Pablo Neruda?

Ma è sulla filiera che ci si deve soffermareper comprendere le ragioni profonde dellacrescita continua della Mutti. Qui sta uno deisegreti del successo dell’azienda: una filieraintegrata consente di garantire un alto con-trollo della qualità e una maggiore efficienzanei processi produttivi. Da decenni, soprattut-to per le grandi multinazionali alimentari, gliincrementi della produzione sono avvenutianche a scapito della qualità del prodotto. LaMutti, invece, ha cercato di superare il tradeoff qualità/produzione, puntando sulla qualitàdella materia prima, trasformandola in van-taggio competitivo. Mutti ha siglato un accor-do con il Wwf per la riduzione dell’impattoambientale: l’azienda esegue il controllo deiconsumi idrici durante tutto il ciclo di produ-zione del pomodoro. Dal 1999, prima in Italia,ha una certificazione per la produzione inte-grata e dal 2001 per la non presenza di ogmsia sulle piantine sia sul pomodoro fresco che

sul prodotto finito. Nel 2000 ha istituito ilpremio «Pomodorino d’Oro»: lo scorso annosono stati selezionati 40 agricoltori sugli oltre400 conferitori. Di questi 40 è stata premiatala piccola azienda agricola Aschieri per il pro-dotto di miglior qualità. Nel 2015 la raccolta dipomodoro conferita alla Mutti è stata di280.000 tonnellate, quando Francesco Muttiprese in mano l’azienda era di circa 20 milatonnellate.

Il leader è un costruttore di «contesti». L’at-tenzione che la Mutti ha dedicato alla filieratestimonia questa leadership. La crescita del-l’azienda ha avuto ripercussioni positive sullasua filiera, innescando un circolo virtuoso: siè verificata una pregiata osmosi tra l’azienda egli agricoltori che le conferiscono la materiaprima. Francesco Mutti ha saputo cogliere leopportunità del «crescere insieme». La suaesperienza imprenditoriale testimonia che laqualità non può che essere l’ubi consistam delMade in Italy alimentare.

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Dinastia Francesco Mutti, 47 anni, è ad del gruppo dal 1994 e figlio di Marcellino, il nipote del fondatore Giovanni

I numeri dell’associazione

manifatturierecon più di 10

dipendenti

imprese con oltre100 dipendenti

LE GRANDI AZIENDE PRESENTISUL TERRITORIO

TreviTechnogymAmadoriSo.F.Ter.Ferretti

ElectroluxBonfiglioliMarcegagliaMartini

400Imprese associate

25.000Addetti

90Anni di storia

il 19% di tutti questi occupatitrova impiego nelle aziendeaderenti a Confindustria

177.000Occupati in provinciadi Forlì-Cesena,di cui il 74,8%lavoratore dipendente

747

102 67

associatea Confindustria

Forlì-Cesena

InternazionalizzazioneBisogna far incontrare chi è andato all’estero con gli artigiani rimasti sul territorio

FilosofiaQuesta è una buona occasione per proiettare la romagnolità ad ampio raggio e all’estero

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8 Lunedì 4 Luglio 2016 Corriere Imprese

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9Lunedì 4 Luglio 2016Corriere Imprese

I veneti di Mirandola: «Eccellenza solo qui»Il nuovo stabilimento di Haemotronic sancisce il legame tra la famiglia Ravizza e la capitale del biomedicale modenese. Un boom di investimenti e ricavi dopo i lutti del terremoto

Non sono solo le multi-nazionali a far volarel’export (+ 29% nel2015) e rendere globa-le il polo biomedicale

di Mirandola. La bandiera tri-colore sventola con forza anchegrazie ad un famiglia venetache nel Modenese ha messo ra-dici e in quasi 40 anni di attivi-tà nel nostro territorio ha datoun grosso contributo allo svi-luppo del distretto. Stiamo par-lando della famiglia Ravizzache dieci giorni fa ha inaugura-to il nuovo stabilimento dellaHaemotronic, l’azienda checontrollano, rinata dopo i crollie i lutti — quattro dipendentimorti — dovuti al terremotodel 2012, e ora in crescita espo-nenziale: una novantina di di-pendenti in più negli ultimiquattro anni e un fatturato sali-to da 30 milioni ai quasi 40attuali.

La storia della famiglia Ra-vizza diventa modenese nel1979, quando dal veneto si tra-sferiscono a Mirandola. Unascelta obbligata? «Quasi. C’era-no delle alternative, ma sicura-mente è stata la scelta più in-telligente perché qui c’erano lecondizioni migliori e ottimaliper chi voleva produrre dispo-sitivi in plastica monouso: aMirandola c’era e c’è l’eccellen-

ca nel Modenese dove i figliRenato e Luigi e i nipoti Mattiaed Ettore si sono specializzatinei dispositivi biomedicali.

Attualmente Haemotronicha suddiviso le sue attività inItalia tra Mirandola, CarbonaraPo (in provincia di Mantova) eSan Prospero (in provincia diModena); ma anche uno stabi-limento a Reynosa, in Messico.La presenza in terra straniera«permette una migliore pene-trazione nell’importante mer-cato nordamericano» spiegaMattia. Che aggiunge: «Nonabbiamo nessuna intenzione dispostarci da Mirandola: qui sitroviamo benissimo grazie altessuto di conoscenze diffusepresenti nel territorio che ci as-sicurano una produzione di ec-cellenza e la collaborazionecon le multinazionali. Un sape-re ad alto valore aggiunto checi permette di non trasferirci inaltri territori dove magari sonopresenti maggiori infrastruttu-re di comunicazione e un mi-nore costo del lavoro. I vantag-gi del distretto sono superio-ri». Il livello di competenze lo-cali è la carta vincente diquesta azienda familiare vene-ta, ormai con passaporto mo-denese.

Gian Basilio Nieddu© RIPRODUZIONE RISERVATA

MONOPOLI

za». Mattia Ravizza, businessdevelopment manager di Hae-motronic e portavoce della fa-miglia, spiega il trasferimentonel Modenese, diventata secon-da patria dei Ravizza, con l’am-biente favorevole per una pro-duzione così di nicchia e cosìglobale: «I vantaggi offerti daldistretto sono incalcolabili, cipermettono di essere a stretto

contatto con multinazionaliche fatturano decine di miliar-di di euro e si crea una forteinterdipendenza dovuta al si-stema di produzione che cirende indispensabili gli uniagli altri».

Secondo Mattia Ravizza ilcluster modenese è l’elementoprincipale della loro resistenzain un settore dominato daimarchi internazionali: «I nostrisono dei prodotti certificati,dobbiamo attenerci ai regola-menti dell’ambito sanitario edè un lavoro congiunto che duraanni. Vista la complessità delprocesso è difficile sostituireun fornitore sia per le multina-zionali che per noi stessi. Èfondamentale l’affidabilità».

Un legame stretto, un nododifficile da sciogliere visti glialti standard richiesti dal mer-cato biomedicale, sempre piùtecnologico. «Oggi con Haemo-tronic esportiamo in 55 Paesi evendiamo a oltre 300 clienti iprodotti in un portfolio vertica-lizzato che spazia dalla compo-nentistica, alle sacche per con-tenere farmaci, al prodotto fi-nito confezionato e sterile». Grandi passi avanti da quandoil fondatore dell’impresa, il far-macista veronese Bruno Ettore,quasi quarant’anni fa decise dispostare l’industria farmaceuti-

Mattia RavizzaNon ci spostiamo, qui ci troviamo grazie al tessuto di conoscenze che ci assicuranoproduzione di qualità

TitolariDa sinistra Ettore e Mattia Ravizza, business development manager; e Luigi Ravizza, general manager di Haemotronic

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10 Lunedì 4 Luglio 2016 Corriere Imprese

Se la vacanza slow è da borghigianiL’Emilia-Romagna vanta 4 alberghi diffusi: si dorme in alloggi storici, si pranza in trattoria o si fa la spesa sotto casa. Così ci si immerge nella vita del paese evitandone lo spopolamento

La stagione degli hotel allinclusive e dei pacchettida mille e una notte nontira più come prima, oggii turisti preferiscono vive-

re esperienze autentiche. E pocoimporta se con qualche como-dità in meno. Ciò che conta è ilbagaglio di ricordi che si portacasa. È questa la filosofia che staalla base del modello turisticodell’albergo diffuso, creato neglianni ’80 da Giancarlo Dall’Ara.Oggi in tutta Italia se ne conta-no 120 esempi, quattro in Emi-lia-Romagna.

«L’albergo diffuso — spiegal’ideatore — è una struttura ri-cettiva unitaria, gestita in formaimprenditoriale, che si rivolge achi è interessato a soggiornarein un contesto urbano di pregio,a contatto con i residenti, usu-fruendo dei normali servizi al-berghieri». Un concetto di ospi-talità che porta i turisti a inte-grarsi con gli abitanti del luogo,fino a farli diventare di casa. Glialloggi, divisi in appartamenti ocamere, sono sparsi in diversestrutture, in genere antiche, di-slocate su tutto il centro storico.Prima colazione e servizi di pu-lizia vengono sempre garantiti».«Gestiamo sei case, siamo aconduzione famigliare e non èfacile gestire tutto. Per far trova-re biancheria pulita ogni gior-

no. «Per ora i nostri alloggi sono

collocati in un unico edificio,ma stiamo ristrutturando altriappartamenti — sottolinea Val-gimigli — I visitatori che vengo-no qua potranno mangiare lacarne della macelleria sotto ca-sa, visitare aziende vitivinicole eentrare a far parte della vitaquotidiana di Brisighella». Se-condo la normativa regionalel’albergo è diffuso solo se ri-spetta alcuni criteri: il borgonon deve avere più di 8.000 abi-tanti, e la struttura deve esserecomposta da almeno sette unitàabitative distanti al massimo300 metri dalla reception. «È unmodello che non si presta allenostre coste — ricorda AndreaCorsini, assessore regionale alTurismo —. Tuttavia se qualcu-no ne vuole aprire uno al mare,valuteremo ogni proposta». Mase in spiaggia è poco ambito,per l’Appennino questa realtà èl’ideale. «È un modo per far co-noscere le montagne. Con lanostra struttura abbiamo ridatovita all’intera zona. Dove c’è turi-smo, c’è speranza» ricorda Ales-sandro Mainardi, 30 anni, titola-re dell’albergo «Casa delle favo-le», nel comune di Ferriere (Pia-cenza).

Francesca Candioli© RIPRODUZIONE RISERVATA

BUSINESS DI STAGIONE

no, dobbiamo organizzarci congli orari e fare la spola tra unnumero civico e l’altro. Se sisbaglia bisogna rifare la strada»racconta Silvia Santolini, titolaredell’albergo diffuso «Le CaseAntiche» di Verucchio, nato nel2010 sui ripidi colli di Rimini.C’è poi chi si convenziona con ilbar del paese, chi porta la cola-zione a letto, o chi fornisce una

Il primo in regione a speri-mentare questa filosofia nel2004 è stato Portico di Roma-gna, 400 abitanti, tra Ravenna eFirenze, dove la famiglia di Mas-similiano Cameli ha dato vita a«Al Vecchio Convento». Con treanni d’anticipo rispetto alla de-cisione dell’Emilia-Romagna didotarsi di una legge, poi aggior-nata nel 2013, per normare que-sto genere di strutture. «Primaabbiamo creato un hotel a 3stelle. Poi nel ’94 abbiamo ri-strutturato la prima dependan-ce, e da lì non ci siamo piùfermati. Ora abbiamo camere eappartamenti in tutto il centrostorico» aggiunge Cameli cheha puntato tutto sul marketingdiretto. Negli anni è andato conle sue stesse gambe all’estero araccontare che cosa significasoggiornare in un albergo diffu-so. E oggi a Portico di Romagnail 90% dei turisti è straniero. Ar-rivano qui da tutto il mondo perimmergersi nel ritmo senzastress di un paesino dell'Appen-nino.

Non è però sempre facile da-re vita a realtà come queste, nesa qualcosa Daniele Valgimigli,titolare dell’Albergo ristorante«La Rocca di Brisighella» nel Ravennate. Non sono ancora unesempio ufficiale di ospitalitàdiffusa, ma in un anno lo saran-

di lista di ristoranti convenzio-nati dove mangiare. «Di fatto sivende lo stile di vita di un luo-go. Non è solo il gestore a gua-dagnarci, ma tutto il territorio— sottolinea Dall’Ara-. È unmodo concreto per rivitalizzarei piccoli borghi che rischiano dirimanere senza abitanti. E ilmodello sta andando bene intutta Italia».

Chi è

Giancarlo Dall’Ara, riminese, è ideatore del format albergo diffuso

È coordinatore dell’Accademia dell’Accoglienza e docente di marketing nel turismo

Il primo albergo diffuso è nato in Carnia nel 1976, per di utilizzare a fini turistici case e borghi disabitati in seguito al terremoto

RelaxTuristi stranieri all’albergo diffuso Al Vecchio Convento di Portico di Romagna

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11Lunedì 4 Luglio 2016Corriere Imprese

Un raggio di sole ro-magnolo brilla sullasabbia di Miami. Lariminese Nanni Sald,che realizza lettini da

spiaggia dal 1910, da settembreinizierà la produzione anchein Florida. L’azienda aveva giàmesso radici nel Paese a stellee strisce nel 2011 dove avevafondato la Nanni Usa, fino aoggi rivenditrice dei lettiniprodotti nello stabilimento divia Togliatti a Viserba.

Il salto oltreoceano non èstato semplice. Se in un primomomento la qualità e il madein Italy sembravano bastare, iltitolare Walter Nanni, affianca-to dalla moglie Luisa Acciaio,si è dovuto ricredere. «Ho ere-ditato un’azienda sulla crestadell’onda, ma per continuare asurfare ho dovuto allargare imiei orizzonti».

Una storia lunga 106 anniquella della Nanni, iniziata inun capannone dove il bisnon-no e il nonno di Walter lavora-vano il ferro. «Producevano lereti da letto a castello per lecolonie marine che il Duceaveva costruito in Riviera. Poicon l’arrivo delle concessionibalneari, mio nonno Pasqualepensò che era arrivato il mo-mento di produrre un articoloda mare. E la Nanni Sald, du-rante il boom economico deglianni ‘60, fu la prima in Italia arealizzare i lettini da spiaggiain ferro. Ricordo che nel 1972costavano 4.500 lire l’uno».

Poi la Nanni continuò a ca-valcare il fermento che neglianni ‘70 e ‘80 pulsava in Rivie-ra. «Le tele dei nostri lettiniabbandonarono le classicherighe colorate rosso, giallo eblu e puntammo sul bianco esul panna. Ma non bastava; il

mercato chiedeva altre novità,così mio padre Aldo, che oggiha 80 anni, pensò di realizzareil primo prototipo di lettino inalluminio». Anche il drammadella mucillagine, che investìla costa romagnola negli anni‘90, non fermò l’azienda. «Inquegli anni il mercato vide unrallentamento e la nostraazienda si poté dedicare alperfezionamento dei dettaglitecnici della brandina in allu-minio — continua WalterNanni, che entrò in aziendanel 1988 — Da quel momentoiniziammo a vendere il nostroprodotto in tutta Italia».

Nel 2005 il padre Aldo pas-sa il testimone dell’azienda alfiglio Walter. «Sono cresciutotra chiodi, tele e lettini e oggilavoro 16 ore al giorno. Ho ini-ziato a guardare Oltreoceanonel 2010, quando in Italia èiniziata la crisi economica. Co-sì ho deciso di esportare e nel2011 è nata la Nanni Usa. Sefino a oggi abbiamo prodottoesclusivamente nello stabili-mento di via Togliatti a Viser-ba e venduto il nostro prodot-to in America, dal prossimosettembre inizieremo a pro-durre a Miami in partnershipcon l’azienda statunitenseSource Outdoor. Abbiamo ce-duto a questa azienda il nostroknow how così produrrà con

una royalty della durata ven-tennale. Non è stato facile en-trare nel mercato americano,ci siamo dovuti fare conosceree avere i primi clienti. Oggiriforniamo i Caffè Segafredo aMiami. Inoltre l’azienda ha ini-ziato ad allargare la gammadei suoi prodotti, commercia-lizzando ombrelloni, tavoli esedie».

E se in Italia continuano leincertezze sul mondo balnea-re, causate dalla direttivaBolkestein, la Nanni Sald al-lunga sempre di più il suosguardo. «I bagnini in Italianon investono più, da qualcheanno cambiano solo le tele efanno piccole manutenzioni.Inoltre partecipare alle fiereitaliane non è più convenien-te, se anni fa si poteva guada-gnare fino all’80% del fattura-to, oggi si fatica ad arrivare al3%. Fortunatamente il nostro

prodotto è richiesto a Malta,ma anche a Formentera, negliEmirati Arabi, a Zanzibar, inThailandia e a Manila».

Nanni ha già pronti i lettinidi domani. «Alla fiera HDExpo a Las Vegas abbiamopresentato due novità. “Odis-seo” è un letto da spiaggia duemetri per due con telaio inalluminio, rivestito in ecopellenautica. Invece “L’energia dellepersone” è una sedia in allu-minio con una stampa dell’ar-tista riminese Gianni Caselli».

La percentuale di exportdell’azienda romagnola si atte-sta intorno al 15%. «In un gior-no riusciamo a produrre 200-250 lettini con telaio in allu-minio e la tela in poliestererivestito in pvc. Per comprareuna brandina in Italia servono130 euro più Iva, negli Usa ilcosto è di 750 dollari – chiari-sce l’imprenditore, che in

Una rivoluzione puòpassare attraverso unombrellone da spiag-gia? A giudicare dallevecchie foto in bianco

e nero del litorale romagnolesi direbbe di sì. Una voltal’unica ombra che poteva rega-lare refrigerio sugli assolati li-di romagnoli del Dopoguerraera quella delle tele sorrettealla buona da un palo di le-gno, come fossero tante vele.Poi quel rudimentale riparo èstato cancellato dagli ombrel-loni. Se oggi quei cerchi d’om-bra in file ordinate sulle spiag-ge sono nell’immaginario dichi sogna vacanze alla «RiminiRimini» il merito è anche del-la Magnani R.T. di Cesena.

Tutto ebbe inizio nel 1948con Renata Turci Magnani —da cui la sigla accanto al co-gnome dell’impresa — che erala nonna di Gianni e vendevagli ombrelli da passeggio neimercati. Le stecche le racco-glieva lungo il fiume Savio se-lezionando le canne migliori.Con il tempo sono aumentateanche le dimensioni degli om-brelli fino a che Magnani ha

deciso di lanciarsi sul mercatodegli ombrelloni per le spiag-ge, andando a contrattare con-dizioni particolarmente van-taggiose per i primi bagniniche avevano deciso di sposarequell’idea per dare conforto ailoro clienti.

«A oggi — racconta l’ad Ro-mano Corradi — abbiamo an-cora degli ombrelloni daspiaggia di quella prima serie.Solo due anni fa il bar CarpeDiem di Cattolica ha voluto lestecche degli ombrelloni inbambù con il fusto del 1948».Alla morte del fondatore, avve-nuta a 50 anni, c’è stato unmomento di impasse lungo 4anni; nel 1994 l’azienda ha do-vuto fare i conti con un bilan-cio che non tornava. A quelpunto le aziende di tessituraFabbri e Selva, con cui c’eranoimportanti rapporti di fornitu-ra, hanno acquisito le quotedell’azienda. Nel capitale delladitta c’è anche la Smeca chenegli anni ‘70 realizzò con laMagnani i lettini in alluminio.Le nuove quote hanno portatoin dote l’onda d’urto produtti-va dell’industria. «Dai 9.000

la tintarella vengono cedute al-la Rimini Rimini che le tra-sforma in borse da mare.«Inoltre gli ombrelloni che so-no ancora in ottimo stato lirivendiamo in Albania che èun po’ la nostra porta perl’Est».

La Magnani ha tenuto durononostante l’effetto Bolkestein.«Delle imprese sono già salta-

Magnani cambia volto alla spiaggia vendendo l’ombraNata nel 1948, realizzava ombrelli da passeggio con le canne di bambù. Oggi esporta in Russia e Costa Rica

te. I bagnini non investononell’ammodernamento perchéc’è incertezza politica e man-canza di linee guida sul futuro.Tutto questo si è tradotto inun 40% in meno di fatturatoche sono riuscito a ripianareparzialmente con l’export eriuscendo a restare in piediper più tempo di alcune con-correnti di cui abbiamo inca-merato parte dei loro ordini».

Oggi gli ombrelloni e i letti-ni con l’etichetta Magnani so-no sparsi lungo le coste italia-ne, in Egitto, Costa Rica, MarNero, Russia. «I ricavi del 2015ammontano a 5 milioni, conun +7% r ispetto i l 2014 .L’export pesa per il 12%».

Anche se il prodotto è deci-samente estivo, il lavoro del-l’azienda va avanti tutto l’anno.Si gettano le basi della stagio-ne successiva nel mese che vada Ferragosto a metà settem-bre. In quell’arco di tempo laforza commerciale va a cacciadi nuovi clienti che alimenta-no gli ordini del ciclo produt-tivo della storica Magnati R. T..

Alessandro Mazza© RIPRODUZIONE RISERVATA

azienda conta dieci dipenden-ti dopo avere recentementeautomatizzato la produzione -Il prezzo americano è cinquevolte più alto perché gli statu-nitensi non chiedono scontisulla qualità».

Infine Nanni spiega il cicloproduttivo che porta il suobrand in tutto il mondo. «Dasettembre a novembre visitia-mo le fiere, da dicembre egennaio ci dedichiamo allaproduzione. Da febbraio adagosto inizia il periodo più in-tenso di lavoro, con ordini,produzione e consegne». LaNanni ha introdotto due lineeproduttive sul modello ameri-cano: una tradizionale e unaveloce. Quest’ultima prevede il5% di maggiorazione sul prez-zo, ma il prodotto viene con-segnato in poche ore.

Anna Budini© RIPRODUZIONE RISERVATA

StoriaUn’operaia dà gli ultimi ritocchi a una partita di ombrelloni nel magazzino cesenate della Magnani R. T.

CorradiDai 9.000 ombrelloni di un tempo si è balzati agli oltre 20.000. I dipendenti sono passati da 9 a 35 a cui hanno fatto seguito investimenti in capannoni e macchinari

BUSINESS DI STAGIONE

EredeWalter Nanni, titolare della Nanni Sald di Rimini in mezzo alle sue brandine. Il papà Aldo gli ha ceduto l’azienda nel 2005

Nanni Sald prende il sole a MiamiL’azienda riminese di brandine a settembre avvierà la produzione anche Oltreoceano grazie a una società in Florida. Una storia lunga 106 anni cominciata con l’arredamento delle colonie in Riviera

Mercato americanoAbbiamo ceduto all’aziendaSource Outdoor il nostro know how e produrrà con una royalty ventennale

La storia

Nanni Sald nasce nel 1910 a Rimini come ditta produttrice di letti in ferro

Vengono prodotte reti per i letti delle colonie

Nel 1972 nasce il primo lettino da spiaggia in ferro zincato a caldo e verniciato

Nel 1977 arriva la prima produzione di lettini prendisole in alluminio anodizzato

Nel 2011 a Miami nasce Nanni Usa

ombrelloni di un tempo — ag-giunge — si è balzati agli oltre20.000. I dipendenti sono pas-sati da 9 a 35 a cui hanno fattoseguito investimenti in capan-noni e macchinari. Magnanirealizza circa 30.000 ombrello-ni all’anno di cui 20.000 exnovo». E le loro tele godonoanche di una seconda vita.Quando sono a fine corsa per

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12 Lunedì 4 Luglio 2016 Corriere Imprese

Anche Modena in pista con l’auto senza pilotaCon il progetto Hercules, Unimore sta realizzando un software di guida automatica. A fine anno il primoprototipo. Bmw, Porsche e Volkswagen interessate. E intanto Vislab trova casa all’ateneo di Parma

Le dimensioni saranno po-co più grandi degli attualismartphone, ma il kit acui stanno lavorando qua-si 50 ricercatori modenesi

e su cui Bmw, Porsche eVolkswagen hanno già puntatogli occhi, non servirà a telefona-re o a navigare in internet. Saràinvece il cervello delle auto delfuturo, quelle che non avrannopiù bisogno dell’uomo per viag-giare (e parcheggiarsi). La sfidadell’ automotive guarda infatticon interesse a questa piccolascatola «magica» che entro lafine del prossimo anno usciràdai laboratori dell’Università diModena e Reggio Emilia. Perl’esattezza dall’High-Performan-ce Real-Time Lab del Diparti-mento di Scienze Fisiche, Infor-matiche e Matematiche, capofiladel Progetto Hercules finanziatocon oltre 3 milioni di euro dallaCommissione europea nell’am-bito di Horizon 2020. Mentre al-l’ateneo di Parma si posa la pri-ma pietra dell’impianto di Vi-slab, il laboratorio che ha giàprodotto quattro veicoli automa-tici elettrici, comprato dagliamericani di Ambarella, a Mo-dena l’auto che si pilota da sé ègià realtà.

L’obiettivo è realizzare un sof-tware che permetta la guida au-tonoma dei veicoli occupando

poco spazio a bordo riducendoil prezzo di vendita e il consumoenergetico. Particolari di nonpoco conto, considerando chegli attuali sistemi prototipali diguida automatica messi a puntodai colossi Mercedes, Audi oToyota — come da Google, Ap-ple e Tesla — dovendo ricorrerea piattaforme computazionalicomplesse con migliaia di mi-liardi di operazioni elaborateogni secondo, necessitano di si-stemi costosi e spesso ingom-branti, che oltre ad occuparebuona parte del bagagliaio ri-chiedono anche fino a 3 ki-lowatt di potenza, quasi comeun generatore di casa.

La mole dei dati da processa-re ogni secondo per rendere laguida automatica sicura è infattiimpressionante, poiché si trattadi analizzare in tempo reale in-formazioni provenienti da tele-camere, sensori e gps, renderlepredicibili per poi intervenirecon una deviazione, una sterzataoppure una brusca frenata. Lascelta dei ricercatori di Unimoreè stata allora quella di sfruttarepiattaforme di elaborazione diultima generazione che integra-no migliaia di core sullo stessosistema: «In un programma diguida automatica girano tantiprocessi: da quello che legge isegnali del radar e dei sensori a

dando così il sistema in tilt».Insomma: un’operazione di in-gegneria informatica di un certospessore che di fatto vede ilcoinvolgimento dei centri di ri-cerca italiani (ed europei) piùall’avanguardia in questo settore.

Con Unimore infatti lavoranoa Hercules i Politecnici di Zurigoe Praga, Airbus, Magneti Marelli,Evidence, Pitom. Manifestazionidi interesse sono state sotto-

s c r i t te d a B m w , Po r s c h e ,Volkswagen, Autoliv e Continen-tal, entrate a far parte dell’Indu-strial Advisor Board del progettoattraverso cui si seguono i lavorie propongono soluzioni: «Le va-rie compagnie presenti divente-ranno di diritto “early adopter”,ovvero primi utilizzatori del no-stro framework, per sistemi re-al-time altamente innovativi neirispettivi domini applicativi —

spiega Bertogna — Il mercato sista dimostrando ricettivo in talsenso e una soluzione come lanostra si rivolge alle realtà indu-striali e vuole rispondere a esi-genze produttive concrete». Unsettore — quello delle architet-ture real-time per sistemi auto-nomi — sempre più in evoluzio-ne e che non riguarda solo l’au-tomotive. Nell’Industrial AdvisorBoard di Hercules ci sono infattiaziende di più ambiti, comeavionica (Finmeccanica/Leonar-do, Honeywell, Selex, Mbda) eautomazione industriale (Ima,Sacmi). Il progetto partito a gen-naio si concluderà a dicembre2018, ma verso la fine del prossi-mo anno sarà realizzato il primoprototipo. Già identificate sia lepiattaforme hardware di riferi-mento, che gli specifici casid’uso che verranno usati per di-mostrare e validare la tecnologiaottenuta: un sistema di parcheg-gio automatizzato sviluppato daMagneti Marelli e un sistema dimonitoraggio e auto-localizza-zione degli aeroplani, fornito daAirbus. Poi toccherà alla guidaautostradale automatica, magarianche su veicoli italiani. Le trat-tative sono in corso, il progettopiace. E forse si parte proprio daModena.

Gaetano Cervone© RIPRODUZIONE RISERVATA

INNOVATORI

Hi-tech Il prototipo di Hercules con lo staff di Unimore. Il professor Marko Bertogna è il secondo da destra in prima fila

quello che deve calcolare il per-corso, prevedere la traiettoria,frenare — spiega il professoreMarko Bertogna, coordinatoredel progetto — C’è dunque unaserie di task che girano su que-sta piattaforma e che devonoeseguire il loro compito in ma-niera predicibile-. Quando sipassa ad un sistema integrato ladifficoltà sta nel fatto che untask può invadere l’altro, man-

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13Lunedì 4 Luglio 2016Corriere Imprese

Packaging

Studentessa dell’Isiacrea confezioni innovative per la frutta secca

L’ innovazione passa anchedal packaging alimentare.È di Anna Togni, una

25enne dell’Istituto superioreper le industrie artistiche di Fa-enza, il primo studio sull’utiliz-zo dei contenitori monodoseper la frutta secca. A finanziar-glielo è stata Euro Company Srldi Godo Russi, leader nazionalein questo settore con oltre15.000 tonnellate l’anno di pro-dotti venduti, per un totale dioltre 100.000 confezioni.

L’obiettivo iniziale di questaragazza di Ravenna era trovarenuove forme di packaging, inbase alle tecnologie esistenti eai diversi target commercialinel comparto alimentare. Cosìè nato «7fruit»: un progettoche propone tre formati mono-dose da 30 grammi, contenentiun mix di frutta disidratata, aguscio e semi oleosi. Ci sono lebuste quadrate con il nome delgiorno della settimana per cer-care di incentivare uno stile divita sano, le buste rettangolaricon un cartoncino che ne facili-ta l’apertura, e le vaschette pen-sate per un nuovo mercato co-me quello delle mense e degliospedali. «Per un’azienda ali-mentare come la nostra, ilpackaging design è un elemen-to fondamentale — sottolineaIvan Tabanelli, responsabilemarketing di Euro Company—. Per i prossimi mesi abbia-mo in programma di finanziarela realizzazione di tesi anche inaltre discipline, ospitando i ra-gazzi direttamente in azienda eselezionando giovani volentero-si, brillanti e capaci. Credo cheoggi più che mai ci sia bisognod’investire sui giovani e di aiu-tarli a credere in sé stessi».

Francesca Candioli© RIPRODUZIONE RISERVATA

Euro Company

Gli allevatori ovi-ca-prini della via Emiliasono sempre meno.A decretare la scom-parsa in sei anni di

circa 762 aziende dedite allapastorizia sono stati il ripeter-si di attacchi di lupi e unaforte competizione del merca-to, giocata su una concorren-za al ribasso dei prezzi di car-ni e formaggi. Un andamentoche risulta però in controten-denza rispetto a quello nazio-nale dove invece si registrauna ripresa dell’intero com-parto.

In base a un’analisi realizza-ta dalla Coldiretti Emilia-Ro-magna per Corriere Imprese— sulla base di dati dell’Ana-grafe nazionale zootecnica —gli allevamenti ovi-caprini inregione sono passati da 3.306nel 2010 a 2.544 all’inizio del2016. Un calo del 23% che haspinto l’associazione degli im-prenditori agricoli a porre l’at-tenzione sul settore: l’ultimoanno ha visto diminuire laproduzione di carni, latte eformaggi del 5,2% su base re-gionale. Il numero di animalipresenti nelle fattorie è calatodel 12,7%; l’anno scorso erano76.507, 11.142 in meno rispet-to al 2010.

«Una delle cause dell’ab-bandono — spiega Mauro To-nello, presidente di ColdirettiEmilia-Romagna — sono icontinui attacchi di lupi e ca-ni rinselvatichiti. Questi, oltrea decimare le greggi, influi-scono sulla produzione di lat-te degli animali con una pe-sante riduzione dei fatturatiaziendali». Infatti, sempre se-condo le stime di Coldiretti,lo scorso anno in Emilia-Ro-magna sono stati uccisi alme-no 300 capi tra pecore e ca-pre. Numeri che stanno sco-raggiando l’attività di alleva-mento e mettendo a duraprova il lavoro dei pastori, di-ventato sempre più comples-so e oneroso. Oltre ai danniper gli animali uccisi si ag-giungono quelli derivanti dal-lo stress: gli assalti dei preda-tori spaventano gli animali alpunto da indurre aborti e far-gli produrre meno latte.

«Non è più possibile la-

sciarli pascolare allo stato bra-do così come facevamo prima— spiega Andrea Preci, titola-re dell’azienda “Il buon pasto-re” di Montefiore Conca, suicolli riminesi — Dal 2013 ab-biamo una coppia di lupi checi ha già ucciso una ventina dipecore e il nostro fatturato ècalato di quasi 15.000 euro al-l’anno». Una situazione a cuiha posto rimedio con unamaggiore vigilanza su greggi emandrie, sottraendo peròtempo ad altre attività redditi-zie all’interno delle fattorie.«Ho costruito dei recinti, hopreso dei cani da pastore, madevo comunque essere sem-pre presente — continua Pre-ci — Il lupo è come un ladro,studia i tuoi movimenti percapire quando colpire. Per ri-durre gli attacchi servirebbeuna prevenzione attiva parten-do da un monitoraggio conti-

nuo». A influire sull’andamento

delle aziende ovi-caprine c’èanche un aspetto legato almercato dove, secondo il nu-mero uno della Coldiretti,nell’ultimo periodo si sonoinseriti produttori che vendo-no le loro merci a prezzi ri-bassati. «Una competizioneche danneggia qualità ed ec-cellenze del nostro territorio»insiste Tonello. Sfogliando ilreport, infatti, sui 2.544 alle-vamenti presenti in regione,990 producono solo per l’au-toconsumo, mentre quelliaperti al mercato sono 1.544.Di questi, 1.326 sono aziendeche forniscono soprattuttocarne, 157 latte e 3 si dedicanoalla lana. Di conseguenza illatte delle pecore della viaEmilia contribuisce a produr-re ben 6 dei 12 formaggiiscritti all’Albo dei prodotti

tradizionali della regionementre le carni ovi-caprinehanno ottenuto la certificazio-ne Igp grazie all’agnello delcentro Italia.

Ma per il numero uno dellaColdiretti regionale c’è altro:«Il rischio che alla lunga que-ste attività scompaiano è sem-pre più concreto. Un pericolopotrebbe celarsi anche dietroal Ttip (Trattato transatlanticosul commercio e gli investi-menti), l’accordo commercialeper la libera circolazione dimerci e servizi tra Europa eStati Uniti — ragiona — Co-me associazione da tempochiediamo chiarezza su diver-si passaggi-. In particolare sucertificazione, origine e trac-ciabilità dei prodotti in mododa tutelare chi punta sullaqualità».

I lupi però sono solo untassello di un problema piùampio: tra uccelli, nutrie ecinghiali che rovinano i rac-colti, i danni da animali selva-tici subiti nell’ultimo annodalle aziende agricole del-l’Emilia-Romagna superano i2,3 milioni di euro.

Dino Collazzo© RIPRODUZIONE RISERVATA

Allevamenti ovini in calo sulla via EmiliaColpa dei lupi e dei prezzi in picchiataDato in controtendenza rispetto a quello nazionale. Nel 2015 uccise 300 pecore

Stagione per stagione

di Barbara Bertuzzi

Un incrocio tra susina e albicoccaLa novità dell’estate si chiama Metis

Èuna prugna-albicocca molto buona.Da mangiare. «Abbiamo puntatosull’alta qualità: la nuova susina Me-tis rappresenta un modello da se-guire nel nostro panorama fruttico-

lo». Giancarlo Minguzzi la produce e com-mercializza ad Alfonsine (Ravenna) attra-verso l’Op che porta il suo nome, socia delClub (insieme alla cooperativa romagnolaGranfrutta Zani, alla spagnola Royal e allafrancese Blue Whale) che ne detiene inesclusiva il marchio e la vendita in Europa.

Profumata, croccante e dolcissima, sipresenta così: «Di calibro non inferiore a50 millimetri di diametro, ha preso dall’al-bicocca la solidità della polpa mentre dallaprugna sia l’aspetto che il sapore». Costitu-ita dal genetista californiano Glen Bra-dford, che l’ha tradotta in nove varietà de-stinate a coprire l’ampio arco di raccolta

(ma ce ne sono già altre in sperimentazio-ne), è giunta oramai alla sua terza campa-gna e si distingue per il colore esterno in:Metis Oxy con buccia nera e polpa rossa;Metis Safari, tigrata e rossa all’interno poiMetis Tonic che è invece rossa con la polparosata.

Previsioni per l’annata in corso? «Stimia-mo di raddoppiare la produzione italianadel 2015 toccando le 1.000 tonnellate (4.000in Ue) e di arrivare a 3.000 entro il 2020».La coltivazione si concentra tutta, per ora,nelle province di Cesena e Ravenna, «l’area-le più vocato che è in grado di garantire ilgiusto equilibrio di zucchero e acidità, doveoperano frutticoltori specializzati capaci diseguire a puntino ogni fase di sviluppoperché Metis, in campo, ha bisogno di at-tenzioni: gli impianti non devono esseretroppo fitti e occorre diradare almeno due

volte». Ma precisa: «Contiamo di estender-la presto anche fuori Regione: le richiestenon mancano».

La stagione di raccolta comincia i primidi luglio e si chiude a settembre, con varie-tà tardive (tra cui la diffusa September Jam-my) dotate di una shelf-life che ne permet-te la distribuzione anche fino a novembre.«I produttori sono soddisfatti del prezzo,nel 2015 — taglia corto Minguzzi — hannoincassato da 1 a 1.2 euro al chilo. Speriamodi mantenere le stesse quotazioni anchequest’anno».

L’export? «Più della metà del raccolto vaall’estero: Inghilterra, Scandinavia, Germa-nia e Austria». Quali gli sbocchi più ambitiin Italia? «I canali della Gdo che sappianoapprezzare il prodotto: Conad ha rispostobene, adesso aspettiamo gli altri…».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Il fruttoIl susino europeo o prugno europeo è una pianta della famiglia delle Rosacee che produce i frutti noti col nome di susina o prugna. Tra le varietà anche «Metis», il primo in Europa di una serie di nuovi ibridi di susino per albicocco licenziati da Glen Bradford

Preci (Il buon pastore)Da tre anni una coppia di lupi ci ha già ucciso una ventina di pecore e così ogni anno il nostro fatturato è calato di quasi 15.000 euro

L’agenda 4 luglioAll’Università di Parma presentazione del master in Web communication e Social media, alle 11 in aula K10 di via D’Azeglio 85.

4 luglioA Bologna il convegno «Fashion. Strategie di valorizzazione del sistema moda regionale», dalle 14 alle 17 in viale Aldo Moro 30

5 luglioAlla Camera di commercio di Reggio Emilia il seminario dedicato agli aspetti contrattuali dei rapporti con controparti straniere. Dalle 9 alle 13 in piazza della Vittoria 3

5 luglioA Bologna si presenta il progetto «Mech Usa 2016» in via San Domenico 4, dalle 10.30 alle 13

6 luglioAlla Business School di Bologna si parla di fashion e innovazione 2.0. A Villa Guastavillani, dalle 16.15 alle 19.30

6 luglioA Reggio Emilia l’incontro «Affamati di Innovazione. Ricette per fare impresa guardando al digitale e ai nuovi mercati», dalle 16 a palazzo Scaruffi in via Crispi 3

FOOD VALLEY

Fonte: elaborazioni Coldiretti Emilia Romagna su dati Anagrafe nazionale zootecnica

gennaio 2010 gennaio 2016NUM. ALLEVAMENTI

autoconsumosenza autoconsumo

3.3061.345 1.961 990 1.554

2.5441.326

157

3

carne*

latte**lana

* sono soprattuttoallevamenti fino a 100 capi* sono soprattuttoallevamenti sopra i 200 capi

NUMERO DI CAPI

76.50787.649

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Così in regione

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14 Lunedì 4 Luglio 2016 Corriere Imprese

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15Lunedì 4 Luglio 2016Corriere Imprese

L’editoriale

Brexit e Ttip, un’occasione «europea»

SEGUE DALLA PRIMA

Èdifficile anche soloimmaginare come sa-rà il futuro per la no-stra regione e le no-stre imprese. Ancora

troppe sono le variabili ingioco. Nel 2015 le impresedell’Emilia-Romagna hannoesportato beni verso la GranBretagna circa 3,4 miliardieuro, il 6,3% del totale delleesportazioni regionali. Mal’effetto più pericoloso per lenostre imprese potrebbe ve-nire da un indebolimentodell’Unione Europea nel suocomplesso, indebolimentoeconomico ed istituzionale.L’impatto economico po-trebbe essere limitato se irapporti tra Europa e RegnoUnito si struttureranno comequelli che l’Unione ha con laNorvegia, Paese parte dellaEuropean Economic Areache garantisce libera circola-zione di merci (con qualcheeccezione) e persone e par-tecipa al finanziamento disvariati progetti europei. Seinvece ci si indirizzerà versouna integrazione minorel’impatto sulle nostre espor-tazioni potrebbe essere piùimportante. Molto dipende-rà anche da se e quanto lasterlina si svaluterà nel lun-go periodo. Una Gran Breta-gna che si isola indeboliscese stessa e allo stesso tempoil mercato europeo.

È l’Unione Europea la di-mensione minima in gradodi confrontarsi con Stati Uni-ti o Cina. L’approvazione delTTIP diventa ancora menoprobabile con l’uscita dallaUe del suo principale soste-nitore. Ma non è bloccandoil TTIP o indebolendo le pre-rogative di Bruxelles sicheaumentano i margini di ma-novra delle imprese naziona-li. L’uscita della Gran Breta-gna è una occasione impor-tante per un’Europa che deverispondere alle esigenze deisuoi cittadini, in particolaredi chi, dalla globalizzazioneha avuto più da perdere: so-prattutto le fasce deboli conmeno competenze e le im-prese medio piccole, questeultime spina dorsale di moltiPjaesi europei. Se questo ac-cadrà, si potranno difenderegli interessi europei ancheall’interno di accordi difficilicome il TTIP. Le reazioni nelRegno Unito stanno dimo-strando come la vita fuoridall’Unione non sarà poi cosìfacile. La grande confusionea cui stiamo assistendo nonporterà forse ad una situa-zione eccellente, ma perchénon provarci?

Giorgio Prodi© RIPRODUZIONE RISERVATA

OPINIONI

& COMMENTI

Il controcanto di Massimo Degli Esposti

CHIESI, VIAGGIO NEGLI USA ALLE FONTI DELL’INNOVAZIONE

Poche aziende in Italia e a maggior ragionein Emilia-Romagna, hanno il dinamismo e lavitalità del gruppo farmaceutico parmigiano Chiesi. Quando circa un anno fa chiedemmo alpresidente Alberto Chiesi quali fossero i suoiobiettivi a breve termine non ci rispose connumeri di fatturato, bensì con quelli degli inve-stimenti. «Vorremmo poter investire in ricercaalmeno 500 milioni all’anno, oggi ne investia-mo 290, vale a dire il 20% circa del nostrofatturato» ci disse, dimostrando quanto sia ri-voluzionaria la strategia di un gruppo che vede

i ricavi come la leva per finanziare l’innovazio-ne, quindi lo sviluppo, e non viceversa.

Una controprova si è avuta una decina digiorni fa quando è stata annunciata l’acquisi-zione dalla statunitense The Medicines Com-pany dei diritti di commercializzazione a livellomondiale di tre nuovi farmaci superspecialisticiad uso ospedaliero, già approvati per il mercatoamericano e ora in procinto di essere commer-cializzati anche in Europa. Si tratta dell’antiag-gregante Kengreal, dell’antipertensivo Cleviprexe dell’anticoagulante per iniezione Argatroban.

Andranno ad arricchire il portafoglio dell’azien-da nei farmaci cardiovascolari. Stupisce il valo-re dell’operazione: 262 milioni di dollari di ac-conto immediato, che possono diventare 742milioni nel caso in cui la commercializzazioneproducesse negli anni livelli di ricavi prefissati.Sono cifre che è poco definire importanti per ungruppo che, pur in crescita l’anno scorso del9,4%, non arriva ancora a fatturare un miliardoe mezzo di euro (1,46 miliardi per l’esattezza).

L’amministratore delegato Ugo Di Francescoha parlato di «una visione che vede nell’inter-nazionalizzazione un asset strategico», in par-ticolare sul mercato statunitense che «offregrandi opportunità di crescita potenziali». Maancora una volta non sono i ricavi immediati ilvero obiettivo, né i consumatori americani iltarget. Come ci spiega il presidente AlbertoChiesi «il 50% dell’innovazione farmaceuticanasce in America ed è lì che anche noi vogliamoessere, come accreditati attori dell’industriafarmaceutica». E infatti, a pochi giorni dall’an-nuncio dell’operazione, sarebbero già arrivatedagli Stati Uniti al quartier generale di Parmadecine di proposte riguardanti farmaci innova-tivi. L’epopea western della Chiesi, insomma,sembra solo all’inizio.

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F are numeri sarebbe un’inutile esercizio e,soprattutto, un’inutile ripetizione di quan-to già riportato nei giorni scorsi. In parti-colare, all’indomani dell’esito del referen-

dum con cui la maggioranza dei cittadini delRegno Unito ha scelto di uscire dall’Unione Eu-ropea. Non significa, però, dimenticare il consi-stente calo che ha colpito l’indice azionario ita-liano. Trascinato al ribasso dalle quotazioni delcomparto bancario. Che, naturalmente, ha coin-volto anche le banche dell’Emilia-Romagna. Di-rettamente, con Banca Popolare dell’Emilia Ro-magna, o indirettamente, tramite Intesa San Pa-olo o Unicredit di cui fanno parte alcune realtàlocali. I crediti deteriorati, il cui peso è impor-tante in molte banche, sono alla base dell’insta-bilità dei prezzi di mercato di gran parte dellebanche italiane, ma non solo. In attesa che,finalmente, l’Ue trovi la compattezza necessariaa risolvere il problema. Compattezza va cercan-do ch’è sì cara come sa chi per le vita rifiuta!Certo è un bel volo pindarico, dall’attualità alPurgatorio dantesco, dove compattezza sostitui-sce libertà. Ma un volo necessario perché l’Ue

finalmente detti i ritmi delle prospettive econo-miche e finanziarie. In modo tale da mettere inangolo quell’attività speculativa in grado, in po-chi attimi, di affossare i mercati finanziari stes-si. In assenza di certezze, in assenza di difesa daparte della Bce, il comparto azionario è senzaprotezione alcuna. E non importa se i fonda-mentali di una parte importante delle aziendequotate ha buoni fondamentali e buone pro-spettive. Ciò che conta, in talune situazioni, èl’invio di ordini multipli a velocità sostenute eper importi rilevanti: così dettano gli algoritmiormai padroni delle Borse. Che effetti negativimodesti hanno mostrato nel comparto obbliga-zionario, dove la Bce è pronta ad acquistaretitoli governativi e societari. Preoccupazione sì,vedendo le perdite in conto capitale. Timorimeno, perché la caduta dei prezzi incarna mo-menti difficili per le banche, ma, soprattutto,momenti felici per chi opera in qualità di «ri-bassista». E il quadro che ne esce non è quelloreale, ma quello che vuole la componente spe-culativa del comparto borsistico.

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I n un recente lavoro, pro-mosso dalla Regione e daAster, Nomisma ha censito

le 120 imprese dell’Emilia-Romagna più grandi in ter-mini di fatturato (100 del ma-nifatturiero e del terziario, 20dei servizi finanziari) e rileva-to la presenza di 29 corporateacademy. Le aziende che sisono dotate di corporate aca-demy sono generalmente im-prese di eccellenza, che cre-scono, investono e innovano:la presenza di risorse umanequalificate, inserite in uncontesto che offra possibilitàdi apprendimento e confron-to, anche a livello internazio-nale, è una delle chiavi diquesta eccellenza.

Le motivazioni che hannospinto le aziende a dotarsi diacademy sono estremamentevariegate, ma è possibile ri-condurle ad alcuni ambiti te-matici comuni: mantenere lospecifico know-how azienda-

le e garantire la trasmissionedi competenze innovative eavanzate; «sviluppare i talen-ti», ovvero individuare, all’in-terno delle organizzazioni, fi-gure ad alto potenziale dicrescita; stimolare i managera conquistare una leadershipdi pensiero all’interno e al-l’esterno dell’azienda, perpianificare e gestire in ma-niera strategica la crescita e ilcambiamento; creare e con-dividere una cultura unitariadell’impresa, soprattutto neimomenti di transizione do-vuti ad acquisizioni, fusioni oampliamenti di mercato; es-sere un laboratorio di inno-vazione in cui vengono pro-posti nuovi progetti da svi-luppare.

Un aspetto potenzialmentecritico è che sono pochi esoprattutto informali i colle-gamenti tra le corporate aca-demy, mentre quasi tutte leacademy hanno collegamenti

con Università e istituti for-mativi.

Le attività di formazionesvolte dalle Academy, oltre aessere un elemento qualifi-cante dell’impresa, possonorappresentare un fattore chearricchisce il territorio nelsuo complesso; in particolarese tale formazione ma vienemessa a disposizione di im-prese più piccole e di altriattori economici del territo-rio e non solo rimane confi-nata alle risorse umane inter-ne all’impresa. Perché ciò av-venga i policy-maker devonoavere un ruolo centrale nellagovernance del processo,monitorandole e integrando-le all’interno del sistema re-gionale dell’alta formazionein modo che diventino unelemento rilevante della stra-tegia di crescita dell’interoterritorio.

Concetta RauResponsabile Area Innovazione

e Assistenza Pubblica Amministrazione di Nomisma

Sara TeghiniConsulente di Nomisma

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L’interventoLe corporate academy, uno strumento strategico al servizio delle aziende

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Supplemento gratuito al numero odierno del

Direttore responsabileLuciano Fontana

Piazza Affari di Angelo Drusiani

Il quadro speculativo dell’euroterremoto

Fatti e scenari

Banca di Romagna, gli ex vertici rispondono alla Negri Zamagni:«L’istituto non era in crisi»

A bbiamo letto l’articolo intitolato «In Ro-magna rovinate da crisi e localismi»,pubblicato il 20 giugno 2016 pagina 3dell’inserto Corriere Imprese, recante

un’intervista rilasciata dalla professoressa Ne-gri Zamagni, la quale, a proposito della situa-zione di Cassa di Risparmio di Cesena, scrive:«Qui i problemi per la gran parte sono statiprodotti dalla Banca di Romagna, Faenza eLugo, una sua controllata: quando si sono ac-corti della sua mala gestio l’hanno incorporatae han cercato di affrontarne i problemi».

L’affermazione non corrisponde al vero ed ècontraddetta dai seguenti dati oggettivi cheavrebbero meritato una verifica, soprattutto daparte di chi dovrebbe essere abituato, comestorico, ad una ricerca delle fonti:

1) Banca di Romagna fu incorporata nell’ot-tobre del 2013 al dichiarato fine di megliopatrimonializzare Cassa di Risparmio di Cese-na come più volte dichiarato da quest’ultima,precisando che l’operazione era voluta da Ban-ca d’Italia proprio a tale fine;

2) la grave perdita, evidenziata nel bilancio2015 (superiore ai 250 milioni di euro), risultaquasi integralmente imputabile agli accantona-menti su crediti deteriorati di Cassa di Rispar-mio di Cesena e non di Banca di Romagna;

3) Banca di Romagna, dopo la fusione, fuvalutata nel bilancio di Cassa di Risparmio diCesena con un assai rilevante valore di avvia-mento, segno inequivocabile della valorizzazio-ne di una Banca affatto in crisi;

4) vi fu una ferma opposizione di diverserealtà locali all’incorporazione di Banca di Ro-magna in Cassa di Risparmio di Cesena pro-prio per il timore (poi rivelatosi realtà) che ilpatrimonio di Banca di Romagna potesse veni-re azzerato ed assorbito dal grave deficit diCassa di Risparmio di Cesena;

5) non a caso, non risulta nessun procedi-mento disciplinare promosso da Banca d’Italiao da CONSOB a carico degli ex esponenti diBanca di Romagna. per conto di un gruppo di ex esponenti dellaBanca di Romagna spa

avvocato Luigi Capucci

Gli ispettori di Visco a RiminiCarim, Bankitalia e mercati fanno slittare l’aumento di capitale

M acchine indietro per l’aumento di capitaleda 40 milioni di Banca Carim, prima tran-che dei 100 milioni necessari al rafforza-

mento. Due i motivi: la debolezza dei mercati el’avvio di una ispezione di «fllow up» di Bankita-lia. I vertici, riuniti giovedì scorso, si dicono«tranquilli» sull’esito dell’ispezione confermandoche i ratios patrimoniali sono ancora in equilibrioe la ripatrimonializzazione può slittare all’autun-no senza compromettere la stabilità della banca.

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