Maria Peron 30 aprile 2005. Maria Peron nasce nel 1915 a SantEufemia, frazione di Borgoricco, un...
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Maria Peron
30 aprile 2005
Maria Peron nasce nel 1915 a Sant’Eufemia,
frazione di Borgoricco, un piccolo paese in
provincia di Padova.
La sua è una famiglia contadina molto
povera.
Rimane presto orfana di padre, caduto
durante la prima Guerra Mondiale.
Però con volontà e molti sacrifici, Maria
va a Ravenna a studiare e prende il
diploma da infermiera.
A Milano
Nel 1940 trova lavoro presso
l’Ospedale Niguarda di Milano.
Dopo il 1943 sente di doversi mettere
dalla parte dei più deboli ed entra a far
parte di un’organizzazione clandestina
che opera all’interno del Niguarda.
Ecco le sue parole:
“Poco dopo l’8 settembre 1943 avevo già
fatto la mia scelta: stare dalla parte dei
più deboli”.
“I primi di essi che incontrai e che avevano
immediato bisogno di aiuto furono gli ebrei”.
“Così mi trovai a far parte di
un’organizzazione clandestina che si
incaricava di salvare gli ebrei, che
venivano fatti ricoverare come falsi
malati a Niguarda e di lì, attraverso la
nostra organizzazione, accompagnati
in Svizzera”.
“Poi cominciammo con i politici detenuti nel
carcere di S. Vittore”.
Aiuta molti ebrei a salvarsi dalla
deportazione.
Aiuta i prigionieri politici che sono in
attesa del plotone di esecuzione.
Nell’aprile del 1944 il gruppo viene
scoperto e Maria deve fuggire da
Milano.
“Tutto andò bene fin verso la metà di
aprile del 1944, poi vi furono degli arresti
tra l’organizzazione clandestina
dell’ospedale.
Io dovetti fuggire saltando da una finestra
e allontanarmi di corsa attraverso i campi”.
Maria racconta:
Dopo la fuga Maria rimane nascosta per
un po’ di tempo a casa di un’amica, dove
riceve la visita di un partigiano che le
propone di andare a fare l’infermiera in
una formazione partigiana in Val Grande.
Maria accetta.
In Val Grande
Maria entra a far parte della Formazione
Partigiana Valdossola comandata dal
Maggiore Dionigi Superti, con sede del
comando a Orfalecchio, un alpeggio
della Val Grande.
È accolta con amicizia e diventa
infermiera partigiana.
Lei stessa racconta:
“Subito rimasi colpita dalla vita misera
di quei partigiani della montagna; una
vita povera e priva di ogni conforto
oltre ogni immaginazione”.
“Nonostante la differenza con la vita
della città, che da pochi giorni avevo
lasciato, fosse enorme, mi adattai
presto alle abitudini e alle necessità
quasi primordiali di quella nuova vita.
Anzi, tutto mi sembrava facile e bello
come se vivessi per la seconda volta
quella vita”.
“Mi faceva sorridere in modo infantile
dormire su semplici assi coperte con poche
foglie, saltare il pasto o contentarsi di poca
polenta senza sale e castagne cotte.
Era una sensazione dolce e forte…”.
Maria organizza piccole infermerie un po’
ovunque in Val Grande e si prende cura
non solo dei partigiani, ma anche della
gente dei paesi e degli alpeggi.
Salva la vita a molte persone eseguendo
anche interventi chirurgici con i pochi
strumenti a sua disposizione.
In quei giorni è il “medico” della Val Grande e le viene attribuito il grado di Medico di Brigata.
Non teme la fatica e lavora senza mai
risparmiarsi fino alla fine della guerra.
Una partigiana senza armi
Maria è una partigiana senza armi
per sua precisa scelta.
È cattolica praticante e la sua scelta di
diventare una combattente senza armi
è il proseguimento di quella scelta, fatta
al Niguarda, di stare sempre dalla parte
dei più deboli e oppressi.
“Malgrado i rischi non sparai mai
un colpo.
Non volevo farlo e non lo feci”.