MAREEMIGRANTI - Regione Siciliana - Sito Ufficiale · l’importanza del ruolo centrale della...

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A cura di M. Emanuela Palmisano Regione Siciliana Assessorato dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana Dipartimento dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana Soprintendenza del mare ARGONAUTI MARE E MIGRANTI Progetto Scuola-Museo

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A cura di M. Emanuela Palmisano

Copia fuori commercio Vietata la vendita

Regione SicilianaAssessorato dei Beni Culturali e dell’Identità SicilianaDipartimento dei Beni Culturali e dell’Identità SicilianaSoprintendenza del mare

ARGONAUTI

MARE E MIGRANTI

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Progetto Scuola-Museo

Regione SicilianaAssessorato dei Beni Culturali e dell’Identità SicilianaDipartimento dei Beni Culturali e dell’Identità SicilianaSoprintendenza del mare

A cura di M. Emanuela Palmisano

ARGONAUTIMARE E MIGRANTI

Progetto Scuola-Museo

© 2010 REGIONE SICILIANAAssessorato dei Beni Culturali e dell’Identità SicilianaDipartimento dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana

Area Soprintendenza del MareSoprintendente Sebastiano Tusa

Servizio Beni Storico-artistici e Demo AntropologiciDirigente responsabile M. Emanuela Palmisano

Unità Operativa III - Conoscenza, Tutela e Valorizzazione del Patrimonio Storico-artistico ed Etno-antropologicoDirigente responsabile Alessandra Nobili

Progetto Scuola-MuseoARGONAUTI: MARE E MIGRANTIa cura di Maria Emanuela Palmisano

Testi Anna Ceffalia, Antonino Cusumano, Mario G. Giacomarra, Gabriella Monteleone,Alessandra Nobili, Fulvio Vassallo Paleologo, M. Emanuela Palmisano, Isidoro Passanante,Marcello Saija, Sebastiano Tusa

Il volume integra l’omonimo corso di aggiornamento per gli istituti medi e superiori sviluppato negli anni scolastici 2006/07, 2007/2008 e 2008/2009.

Hanno collaborato al corso Anna Ceffalia, Liliana Centinaro, Vito Carlo Curaci, Gianfranco La Seta Catamancio, Gabriella Monteleone, Giuseppa Palumbo, Isidoro Passanante.

Un ringraziamento particolare ad Assunta Lupo, Dirigente dell’Unità Operativa XV - Attività diEducazione Permanente di questo Dipartimento che ha accolto con entusiasmo la proposta.

Progetto grafico e impaginazione Maurizio Accardi

Stampa e allestimento Officine Grafiche Riunite SpA Palermo

Dato alle stampe il 31 maggio 2010

Argonauti : mare e migranti : progetto scuola-museo / a cura di M. Emanuela Palmisano. - Palermo : Regione siciliana, Assessorato dei beni culturali e dell’identità siciliana, Dipartimento dei beni culturali e dell’identità siciliana, 2010.ISBN 978-88-6164-150-11. Migrazioni – Storia. I. Palmisano, Maria Emanuela <1957->.304.809 CDD-22 SBN Pal0229117

CIP - Biblioteca centrale della Regione siciliana “Alberto Bombace”

[6] ARGONAUTI: MARE E MIGRANTI di M. Emanuela Palmisano

[9] DAL PASSATO AL PRESENTEIN UN MARE DI MIGRANTI di Sebastiano Tusa

[12] GLI ESPLORATORI NAVIGATORIALL’INIZIO DELL’ETÀ MODERNA di M. Emanuela Palmisano

[20] IMMIGRAZIONE E IDENTITÀ di Mario G. Giacomarra

[25] IL MAGHREB IN SICILIA di Antonino Cusumano

[30] CAUSE E DINAMICHE DELLA GRANDEMIGRAZIONE SICILIANA VERSO GLI STATI UNITI di Marcello Saija

[37] L’AFFONDAMENTODEL TRANSATLANTICO“ANCONA” di Alessandra Nobili

[43] LA NUOVA DIMENSIONE ESTERNA DELLEPOLITICHECOMUNITARIE IN MATERIA

DI IMMIGRAZIONE E ASILO di Fulvio Vassallo Paleologo

[49] IL MARE E LA DIASPORA DEGLI ALBANESIIN SICILIA di Anna Ceffalia e Isidoro Passanante

[61] L’ARCHIVIO SCRIGNO DELLA STORIA di Gabriella Monteleone

INDICE 5

Uno dei tratti distintivi e più significativi della fasestorica che stiamo attraversando, in rapporto coni paesi del terzo mondo, è il ritmo particolare

della dinamica dei flussi migratori, che induce milionidi persone a raggiungere, nella speranza di miglioricondizioni di vita, i paesi della comunità europea.Gran parte di questi flussi avviene attraverso le vie delmare. Il fenomeno, com’è noto, nei suoi caratterigenerali non è nuovo.Fin dall’età antica la storia delle aree territorialieuropee è stata caratterizzata da una permanentemobilità delle presenze umane.Ciò non è stato determinato esclusivamente da ragioniambientali, si pensi alle oscillazioni climatiche,economiche, causate dalle carestie, o sanitarie, nelcaso di epidemie, quanto a periodici massiccispostamenti di popolazioni da un territorio all’altro.Alcune regioni e tra queste la Sicilia, hanno vistoscomporsi e ricomporsi più volte la loro identità etnica.Una storia antropologica, questa di cui intendiamotrattare, segnata da radicali trasformazioni. Si pensi atale proposito alla conquista dei musulmani e quelloche ha comportato in termini di rivoluzione culturaleper il nostro territorio, la loro permanenza in Sicilia.Queste trasformazioni dovute ai flussi migratori sindalle origini delle civiltà hanno interessato lepopolazioni del bacino del Mediterraneo.Lo scenario attuale è tuttavia naturalmente enotevolmente diverso rispetto al passato. Lo è per ilnumero degli individui interessati che si misura ormaiin milioni di persone che transitano da un luogoall’altro in un inarrestabile flusso migratorio.Diversamente dall’età antica e medievale non si tratta,comunque, di spostamenti di interi popoli o parti diessi per decisione autonoma o per imposizionedall’alto, piuttosto di trasferimenti provocati, ma nondiversamente che in passato, dalla ricerca disopravvivenza.Un fenomeno della medesima portata, ma con diversemodalità, lo ritroviamo nell’800 e nel 900, nelcontinente americano, interessato allo spostamento dalvecchio continente di milioni di individui.Per effetto dei flussi migratori da cui è stato investito,l’assetto antropologico dell’Europa, è risultatoprofondamente modificato.

I caratteri di questo cambiamento sono tuttavia ancorain corso ed è impossibile anticipare l’esito di questoincontro tra diverse realtà culturali.Sicuramente ci siamo trovati spesso d’innanzi ad unincontro/scontro fra le differenti culture che sonovenute a contatto nel medesimo territorio geografico.Quanto sopra ha inevitabilmente prodotto e continueràa produrre anche nel futuro dinamiche e processi dicambiamento, tanto inevitabili quanto da cogliere neisuoi aspetti assolutamente positivi di reciprococambiamento delle popolazioni che saranno oggetto diun conseguente nuovo assetto antropologico.Qualcuno, volendo fare previsioni su quanto potràaccadere, potrebbe suggerire che l’Europa si avviaverso una perdita delle proprie identità culturali.Ma a questo punto dovremmo chiederci perché questoprocesso di degrado e di perdita, così come alcunivorrebbero vederlo, non interessi ugualmente lepopolazioni migranti, portatrici di una cultura “altra”,che viene ad incontrarsi/scontrarsi con la culturadominante occidentale, basata sul potereeconomico/politico.A nostro avviso è opportuno riflettere sul contatto traOccidente e altre civiltà e sul rapporto che ne èderivato a tutto vantaggio per la nostra civiltàoccidentale.Ed è proprio dalla scuola che intendiamo partire,indirizzando il presente progetto verso un processoformativo finalizzato alla comprensione diproblematiche inerenti questi aspetti.È estremamente importante a nostro avviso acquisire laconsapevolezza del profondo cambiamento sociale giàavviato nel mondo occidentale da lungo tempo, ma cheadesso si configura come un’emergenza sociale per lemille sfaccettature che il problema della conoscenza diquesti fenomeni impone.Il progetto che in questa sede si intende proporre e cheè rivolto agli Istituti di istruzione di II grado dell’interaRegione Siciliana, è stato articolato in un ciclo dilezioni rivolte ai docenti e agli alunni, tenute da espertidel settore.Le tematiche affrontate riguardano la conoscenza dellastoria delle migrazioni in rapporto alle vie marittime,con la Sicilia al centro del bacino del Mediterraneo,luogo emblematico per la storia dei contatti tra civiltà

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ARGONAUTI: MARE E MIGRANTIM. Emanuela Palmisano

che attraverso il mare hanno trovato le loro vie diincontro con nuovi sistemi sociali e culturali.Sono stati affrontati di volta in volta da studiosi delsettore temi come la storia della civiltà occidentale che,già a partire dalla fine del Medioevo, comincia adavere un ruolo centrale nei fenomeni migratori.Si è iniziato trattando il tema dell’invenzione delle navitransoceaniche e lo sviluppo di sempre più sofisticatecapacità militari atte a conquistare, che determinaronograndi spostamenti di popolazioni attraverso il mare.Sono state affrontate problematiche riguardanti gliinteressi degli stati rivolti ad una espansioneterritoriale ed economica che ha alimentato l’attivitàdei viaggi per mare volti alla conquista di popoli esoprattutto delle loro ricchezze.È stata trattata e approfondita la figura dell’esploratore– Colombo, Vasco De Gama, Magellano – che haassunto il compito di aprire nuove vie alla navigazione,di scoprire nuove fonti di materie prime e di forzalavoro. È seguita l’analisi di questi processi diesplorazione, dopo la conquista armata e gli spietatifenomeni di distruzione e di etnocidio.Si è affrontata la situazione attuale dalloscontro/incontro culturale determinato dai flussimigratori, analizzando le popolazioni migranti soggetteallo spostamento fisico e all’abbandono dei propriterritori di provenienza, spesso costrette a rinunciarealla loro identità etnica. Scopo del progetto è stato quello di guidare nelpercorso formativo scolastico verso una correttacomprensione degli aspetti culturali trattati.È importante comprendere che la cultura è memoria ecancellare una cultura è un impoverimento non soloper i suoi portatori. Come è stato osservato quando siconsente di cancellare una cultura è come distruggereun monumento.Completato l’ambito degli aspetti storici che nel tempohanno determinato le migrazioni di migliaia diindividui, si è passato ad analizzare l’etàcontemporanea e come il trasferimento di milioni diindividui dai paesi del III mondo in Europa abbiaportato o meno alla progressiva integrazione nellacultura di accoglienza.Ci si propone di fare comprendere questi fenomenicorrettamente, non volendo identificare la culturacome un insieme di fatti cristallizzati, nell’ottica di unreciproco scambio, così come è giusto che avvenga inun incontro tra culture diverse.

Questo in ragione del fatto che l’integrazione di unindividuo in una cultura diversa, non è un fattoassolutamente passivo.È stato anche affrontato il tema della nostra identitàinsulare, analizzando come la Sicilia, al centro delMediterraneo, abbia vissuto nei secoli e continua avivere questa emergenza dei flussi migratori.La nostra storia culturale rimanda ai continui rapporticon il mondo magrebino e non solo e per intuire lafutura identità culturale cui andranno soggetti i popolimigranti, il nostro territorio può apparire emblematico.Questa area geografica dunque come punto diosservazione privilegiato per il fenomeno diimmigrazione. Il presente progetto si è posto dunque come finalitàuna corretta comprensione delle problematiche sopraevidenziate: partendo dalla storia dei grandi flussimigratori del passato sino ad arrivare all’etàcontemporanea per una corretta politica diintegrazione culturale e di comprensione dell’“altro”da sé.Per la diffusione della conoscenza delle tematichesopra esposte, e per la tutela delle culture ad esseconnesse, si è ritenuto essenziale partire dalla scuola,per incidere sul percorso formativo più delicato e alcontempo più efficace. Ciò che si propone, da inserirenell’ambito delle iniziative sviluppate dalDipartimento Beni Culturali e dell’Identità Siciliana,come attività di Educazione Permanente, è pertanto,un progetto di educazione scolastica alleproblematiche relative alle migrazioni da e per l’Isola,per mare, nei secoli, in un’ottica che sottolineil’importanza del ruolo centrale della Sicilia nelMediterraneo. Il progetto si pone su un percorso giàavviato anni fa con un progetto didattico diarcheologia subacquea denominato Archeosub -L’archeologia subacquea nelle scuole. Il mare comemuseo diffuso sugli aspetti di natura archeologica,poi proseguito con il progetto Ippocampo. Tecniche,strutture e ritualità della cultura del mare sulletematiche dei beni culturali materiali e immaterialimarini di natura squisitamente etno-antropologica econ il progetto Il patrimonio ritrovato. Navisottomarini e aerei dei nostri fondali, sui temi delpatrimonio subacqueo storico-culturale isolano di etàmoderna e contemporanea. Il presente progetto sirivolge agli Istituti Medi e Superiori della regione,mirando contenuti e attività a detto target.

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Cos’è il passato che riemerge. È la metafora di uncontinuo apparire di segni che dalle nebbiedell’oblio ritornano vivi e portatori di messaggi,

di notizie, di microstorie che diventano macrostorie estorie allorquando più segni si riuniscono come avvienenell’ambito della ricostruzione del patrimonio geneticoallorché dai singoli segmenti si passa alla completacatena del DNA mitocondriale. Ma così come ilgenetista deve essere abile nel ricostruire le catenegenetiche, così lo storico, l’antropologo e l’archeologodevono essere capaci di non fermarsi alla meradescrizione dei segni materiali che emergono dallaterra o dal mare, ma deve interpretarli alla luce dimodelli cognitivi che l’antropologia sociale, culturalema anche l’etnografia e l’etnologia possono offrirgli.Come diceva uno dei più grandi archeologi moderni –Grahame Clark – è venuto il momento chel’archeologo perda la sua ingenuità e passi dalla meradescrizione degli oggetti del passato alla lorointerpretazione secondo un percorso ipoteticodeduttivo che lo avvicini sempre più alla risposta aduna domanda che, parafrasando il titolo di un saggiodi interpretazione storico-archeologica epocale scrittonel 1942 da Vere Gordon Childe, tutti ci poniamo:“What happened in history?”: Che cosa accadde nellastoria?Non è facile il mestiere dell’archeologo se condotto inquesta prospettiva di ricostruzione ipotetico deduttiva,ma è quello che chi, come noi, ama questa disciplina,ha il dovere di fare evitando la facile scorciatoia dellamera descrizione dei reperti.È quello che abbiamo cercato di fare applicando questometodo al tema affascinante, per la sua fortissimaattualità, delle migrazioni. Il tema delle migrazioni ci pone in una dimensioneormai planetaria, ma il nostro caro e familiareMediterraneo rappresenta sempre l’elemento storicounificante e la nostra costante scena di riferimento cosìcome lo è l’acqua: elemento che unisce come affermavaHegel nelle “Lezioni sulla filosofia della storia” nellontano 1837 quando ancora l’archeologia subacqueaera una chimera che animava la fantasia di non pochiletterati che favoleggiavano di tesori sommersi.Il Mediterraneo è, quindi, metafora e realtà di genti eluoghi in perenne collegamento a partire

dall’immagine che di esso ne diedero i primi storici delmondo occidentale. Da Polibio a Sant’Agostino ilMediterraneo è sia metafora che reale fusione di trecontinenti attraverso complessi fenomeni migratori.Il Mediterraneo è il luogo dell’espansione di ogniinnovazione da Est verso Ovest, ma anche tragicaquinta della caduta di imperi solenni edapparentemente immortali. Roma ne esalta l’unitarietà, ma ne sanzionerà ladisgregazione con l’apparente contraddizione dimantenerne imperitura la capitale: Roma che talecontinua ad essere non foss’altro che perché sededell’immortalità dello spirito.Tuttavia le epoche a venire vedranno vacillare edaddirittura a volte scomparire anche il benché minimobarlume di unitarietà mediterranea lacerata da conflittireligiosi e d’interesse, da entità statali in perenne lottatra loro e da entità parastatali costantemente in “corsadi mare” per rendere il Mediterraneo insicuro edinospitale. È nei tempi moderni che ritorna l’idea di Mediterraneoche unisce. Uno dei suoi cantori sarà Pirenne, veroteorizzatore del Mediterraneo come oggetto e soggettodella storia. La sua è una visione complessacaratterizzata da una sorta di meccanico equilibrio trale due entità complementari: Mediterraneo ed Europapersonificate nel dualismo Maometto e Carlomagno(peraltro titolo di un suo indimenticabile saggiopubblicato nel 1937). Il suo pensiero sul Mediterraneo venne, com’è noto,sviluppato da Braudel nel 1949-53 con il ben notosaggio Imperi e civiltà del Mediterraneo dove concetticome il mare che non separa, ma unisce ol’identificazione simbolica arbustiva fra ambiente eciviltà identificabile nella vite, nell’olivo e nella palmao anche il palinsesto ineluttabile tra città e commercio,assumono uno spessore teorico concettuale tale dainfluenzare il pensiero successivo e travalicare laristretta cerchia degli scienziati.Ma la fretta della ricerca delle citazioni e dei concetti ciporta spesso alla superficiale attitudine di fermarci aipiù noti e, lasciatemelo dire, gettonati autoricontemporanei tralasciando la lettura, o megliorilettura, degli antenati che tanti concetti ed originaliintuizioni avevano già elaborato. È proprio il caso del

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DAL PASSATO AL PRESENTE IN UN MARE DI MIGRANTISebastiano Tusa

Mediterraneo che già in Hegel (Lezioni sulla filosofiadella storia, 1837, ed.it.1941) diventa un concetto.Esso è descritto come “asse della storia” e come“elemento connettivo”. Al centro del pensierohegeliano vi è il rapporto mare-terra inteso comeacqua-terra. “Nulla riunisce tanto quanto l’acqua”. PerHegel la storia inizia con le civiltà fluviali dell’Asia(concetto poi brillantemente ripreso da Wittfogel) dovel’unione terra-acqua da vita alle prime forme distruttura socio-economica evoluta ed organizzata: gliimperi. Da lì questo processo si trasmette versoOccidente e raggiunge il nostro Mediterraneo dove,però, la rete di comunicazioni è ben più complessa edarticolata dando luogo ad un singolare e “speciale tipodi vita” che alimenta l’anelito alla libertà, allo spiritodel commercio, istiga al coraggio, all’astuzia che siconquista con la consuetudine con un elementoingannevole poiché falsamente innocente: il mare. Ilcontatto tra terra ed acqua nel Mediterraneo diventacontatto tra terre ed acque e quindi genera diversiMediterranei dove campeggia a simbolo di supremasuperiorità dell’uomo e delle sue idee la simbolicafigura di Ulisse, primo vero migrante per necessità e

libera scelta della storia. È per questo che ilMediterraneo diventa teatro non di una ma dimolteplici Odisee: da quella di Ulisse a quella di Enea,da quella dei Crociati a quella di Dragut, da quella di Nelson a quella di Napoleone ed a quella deitantissimi naviganti senza nome che hanno creato esupportato l’idea ed il mito del Mediterraneo, nonchédi tanti volti vaganti tra le sue sponde in cerca difortuna o per sfuggire a tragici epiloghi.Al di là dei tanti che hanno scritto sul Mediterraneocome mare condiviso, tra i quali ricordiamo JeanGuilaine con il suo “La mer partagée” che ci fa capirecome questa idea di bacino unitario nasca nella piùremota preistoria, è senza dubbio Predrag Matvejevic(Mediterraneo. Un nuovo breviario, 1987, ed.it.1991)ad avere al meglio interpretato e descritto questatotalità di uomini, ambienti, storie, culture, suoni,odori e sapori in una maniera del tutto originale. Dacotanta letteratura emana un sospetto che tutto ciò chenoi intendiamo come Mediterraneo o Mediterranei avolta sia qualcosa di assolutamente estraneo ad esso,se non altro a livello di origine. È il caso delpomodoro, così intrinsecamente legato ai sapori

DAL PASSATO AL PRESENTE IN UN MARE DI MIGRANTI 9

Cratere geometrico da Tebe. Una delle piu antiche rappresentazioni di imbarcazione a due ordini di remi. Fine secolo VIII a.C. - Toronto, Royal Ontario Museum

Sebastiano Tusa10

Fronte di sarcofago con raffigurazione di nave commerciale. Da Sidone, Beirut, Museo Nazionale

mediterranei, ma anche del ficodindia entratoprepotentemente nello stereotipo pittorescodell’immagine di tante terre mediterranee. Ne risultache nulla è immobile nel Mediterraneo, tutto si crea esi distrugge come se esso fosse un grande laboratorioalchemico. Ritorna in questo concetto l’idea deicontrasti hegeliani tra terra e acqua veri e proprimotori della storia dove tutto è divenire. Ma tutto ciò lonota mirabilmente Fernand Braudel nell’introduzionedell’antologia “Il Mediterraneo. Lo spazio, la storia, gliuomini, le tradizioni” (1977, ed. it. 1987) quandosottolinea che ciò che appare “tipicamente”mediterraneo nelle piante (dagli agrumi al pomodoroal cipresso), nei paesaggi e negli uomini, è talvolta ilfrutto di introduzioni recenti. Quanto detto ci porta acredere che la fisionomia più autentica delMediterraneo è quella di un luogo reale e metaforicodove «da millenni tutto vi confluisce». Coacervo di vite, genti, ambienti e nature, ma anche disostrati e parastrati della storia che in questo mare simescolano lasciando molteplici tracce a volteindividuabili in reali figure e personaggi, tal altra in

milioni di esseri umani senza un volto e senza un nomenella memoria o nelle memorie. È a questi ignoti naviganti e migranti del Mediterraneoe degli Oceani, che hanno lasciato le loro tracce sulfondo del mare talvolta con il sacrificio della vita, maanche nei molteplici e affascinanti palinsesti culturali,che va il nostro favore e la nostra riconoscenza.Attraverso le loro tracce ricostruite dal diuturno edassiduo lavoro di ricercatori di fondali e di terre emersee non di tesori venali, bensì di tesori umani, di storie,di idee, si snoda un percorso di conoscenza che soltantoil connubio fruttuoso tra l’archeologo, l’antropologo elo storico, con le loro esperienze, scienze e coscienzeriesce a decodificare oggi anche con l’ausilio delle piùsofisticate tecniche e metodologie scientifiche estrumentali. Raccattiamo con tanta passione quelli chel’indimenticabile maestro Vere Gordon Childe chiamavai “frammenti del passato” con la convinzione che, comediceva un altro grande maestro, Ranuccio BianchiBandinelli, “l’intelligenza del presente risiede nellaconoscenza del passato” e che tutto ciò serva a rendercipiù solidali e meno egoisti.

DAL PASSATO AL PRESENTE IN UN MARE DI MIGRANTI 11

Gli esploratori navigatori dell’inizio dell’EtàModerna, convenzionalmente indicata a partiredalla scoperta dell’America, furono i primi a

riportare al rientro dalle loro imprese i resoconti deicostumi delle popolazioni incontrate e a descrivere iterritori d’oltreoceano. Già in Età Antica e sino alla data del 1492, si ritenevache eventuali terre presenti al di là dell’Oceanopotessero essere sede delle più mostruose creature, dicui la mitologia e la letteratura classica avevano fornitoinnumerevoli descrizioni. Questo retaggio culturale continuò in parte adinfluenzare i resoconti dei primi esploratori all’iniziodell’Età Moderna.Gli autori classici avevano collocato in terre lontane ed

inesplorate ogni sorta di stravagante figura. Uominidalle gigantesche orecchie o altri esseri forniti di ununico occhio sulla fronte, cinocefali o con il voltocompleto di occhi, naso e bocca sul tronco. Incisioni astampa della fine del Quattrocento riportano leraffigurazioni di queste orride figure. Idee preconcette,retaggio della cultura greca, latina e medievalecontinuavano ancora in buona parte ad alimentareogni tipo di fantasia e ad influenzare sino alla vigiliadelle prime esplorazioni d’oltreoceano il pensierooccidentale. Ma insieme alle descrizioni più o meno fantasiose edimprontate su una visione medievale del pensierooccidentale, pervennero anche le prime notizie diinteresse etnografico riguardanti informazioni accurate

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GLI ESPLORATORI NAVIGATORI ALL’INIZIODELL’ETÀ MODERNAContesto storico e primi resoconti dal Nuovo MondoM. Emanuela Palmisano

Ritratto allegorico di Cristoforo Colombo, incisione a bulino, Bologna, Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio (da Walter Tega, a cura di, “Il Viaggio-Mito eScienza”, Bologna 2007, p. 139)

dei luoghi e dei nativi che, inviate in Europa dai primicoloni avventuratisi nei nuovi territori, assunserofondamentale importanza per il progredire delleconoscenze scientifiche del tempo. La scoperta del continente americano e lo spostamentoattraverso l’Oceano di un numero incalcolabile diindividui, avrebbe causato da quel momento in poiradicali trasformazioni anche in Europa. Come è noto l’inizio delle esplorazioni e dei viaggisull’intero globo in Età Moderna ha origine da precisiinteressi e non soltanto dello spirito intraprendente dialcuni uomini. I potenti stati europei governati da monarchie assoluteintravidero attraverso le attività esplorative, lapossibilità di estendere i propri poteri creando nuoviregni.Fu così che il desiderio di espansione venne ad unirsiall’intraprendenza di alcuni abili navigatori alla ricercadi nuove vie per il commercio (C. Tullio-Altan 1983,29-31).Nella metà del XV secolo la situazione generale delMediterraneo e, dunque, l’intero sistema delle viecommerciali marittime, di cui Venezia deteneva ilprimato, tra gli stati italiani, insieme a Pisa e Genova,doveva fare i conti con una ulteriore incombente

minaccia che veniva a profilarsi ad Oriente attraversol’accrescersi del potere ottomano. Nel 1453 laconquista di Costantinopoli, che aveva fatto cadere inmano turca l’ultimo baluardo della cristianità orientale,fece temere nuovi imprevedibili sviluppi per le vie delcommercio nel Mediterraneo.Queste ragioni di carattere politico furonodeterminanti nel ridisegnare quello che di lì a pocosarebbe stato il nuovo futuro assetto dei viaggi permare. Allo scopo, dunque, di aggirare il blocco islamico chesbarrava agli europei la strada per l’Oriente e mossiquesti ultimi dal desiderio di avventura, furonointraprese campagne di esplorazione, dapprima daparte dei portoghesi lungo le coste africane e inseguito dagli spagnoli attraverso l’Oceano, checostituirono il fattore determinante e l’elemento diimpulso verso nuove politiche economiche e sociali.In questo contesto, la figura dell’esploratore costituisceil punto di riferimento per gli Stati che intravedono neinuovi viaggi di esplorazione la possibilità di accrescereil proprio potere economico e politico.Allo scopo di reperire figure specializzate da utilizzarein questo nuovo indirizzo perseguito dai Regni neiviaggi di esplorazione, furono create apposite strutture,atte alla formazione di competenti navigatori. Conquesto specifico scopo erano sorte scuole nautichespecializzate per formare i piloti alle tecniche dellanavigazione oceanica.Lisbona e Siviglia costituivano i due centri principalidelle scienze della navigazione nel periodo dellescoperte.Il calcolo della longitudine e della latitudine, laperfetta conoscenza astronomica e dei venti

GLI ESPLORATORI NAVIGATORI ALL’INIZIO DELL’ETÀ MODERNA 13

Hartmann Schedel, “Liber chronicarum”, Norimberga 1493, Bologna,Biblioteca Universitaria (da W. Tega, a cura di, op. cit, Bologna 2007, p. 94).Particolare tratto dal libro di Schedel, che tratta della storia del mondo.Nell'opera sono raffigurati i popoli mostruosi che abitavano, secondo lamitologia greca, latina e medievale, terre lontane

Galea turca nel Mediterraneo, particolare della carta nautica di GraziosoBenincasa

costituivano conoscenze indispensabili per tutti coloroche avessero voluto intraprendere il mestiere dinavigatore.Figura emblematica di questo momento storico e cheincarna perfettamente in tal senso lo spirito dei tempiè Cristoforo Colombo.Le sue imprese costituirono un modello per tutticoloro che in seguito intesero perseguire quantointrapreso dal navigatore genovese, venendosi in talmodo a determinare il più imponente movimentod’espansione d’oltremare, mai prima verificatosi. Glistati che riuscirono a conquistare i territorid’oltreoceano, grazie alla scoperta di nuovepopolazioni, animali e piante, prima d’allorasconosciute, diedero attraverso i resoconti dei priminavigatori, un importante contributo alle conoscenzedel tempo e nuovo impulso alla ricerca, checominciava in questo modo ad affrancarsi dal saperemedievale, indirizzandosi verso una trasformazioneepocale delle scienze e del sapere.Cristoforo Colombo, volle sperimentare una viamarittima alternativa, concependo il progetto di

M. Emanuela Palmisano14

Cristoforo Colombo, olio su tela, sec. XVI, Como Civica Pinacoteca di PalazzoVolpi. Il ritratto del navigatore genovese, realizzato presumibilmente a Romaall’inizio del Cinquecento viene attribuito a Bartolomeo Colombo, fratello diCristoforo (da “I Borgia”, Roma 2002, p. 108)

La scoperta dell’America si inserisce in un lungoprocesso che affonda le sue radici nel Medioevo. Dietroil tentativo di attraversare l’Atlantico vi erano stati tuttauna serie di viaggi, effettuati lungo il XV secolo e ancheprima dai Portoghesi, realizzati con lo scopo di scoprire

la via marittima che doveva portare verso le Indie.La conquista di Ceuta nel 1415, città dell’Africasettentrionale, dove i portoghesi organizzarono il loroprimo insediamento d’oltremare, diede un primo forteimpulso ai movimenti di espansione europea.

Carta nautica di Grazioso Benincasa, ms sec. XV, membranaceo in forma di rotolo, miniato, Bologna Biblioteca Universitaria. La carta è una accurata descrizione delleconoscenze geografiche del mondo mediterraneo alla vigilia dei viaggi d’oltreoceano(da Walter Tega, a cura di, “Il Viaggio-Mito e Scienza”, Bologna 2007, pp. 110-111)

raggiungere l’Oriente navigando verso Occidente.Questo progetto più volte rifiutato, anche dalPortogallo cui era stato sottoposto, venne accoltofavorevolmente dai sovrani spagnoli. Ferdinando eIsabella diedero al navigatore genovese la possibilità diarmare tre caravelle, la Niña, la Pinta e la Santa Maria,con le quali riuscì a raggiungere le coste del NuovoMondo. Partito da Palos il 3 luglio del 1492, il 12ottobre sbarcò sull’isola di Guanahani, nelle odierneBahamas, ribattezzandola San Salvador, nellaconvinzione di avere raggiunto il continente asiatico. Inquesto viaggio, il primo dei quattro che Colomboeffettuò nel continente americano, furono scoperteanche Cuba ed Haiti, ribattezzata Hispaniola. In un

secondo viaggio effettuato dal navigatore nel 1493,furono scoperte alcune delle Piccole Antille e laGiamaica e in una terza spedizione nel 1498, laPenisola di Paria. Una rivolta scoppiata tra i colonispagnoli di Haiti aveva, intanto, provocato l’interventodi un commissario reale, Francesco de Bobadilla, chearrestò Colombo, accusato di avere commesso atrocità.Rispedito in Spagna, dopo le sue argomentazioniespresse ai sovrani, fu liberato ottenendo nel 1502 dipotere effettuare un’altra spedizione, l’ultima, nellaquale costeggiò l’America centrale sino ad arrivare inColombia. Al suo rientro in patria, ormai stanco emalato, morì a Valladolid, ignorando di avere scopertoun nuovo mondo.

GLI ESPLORATORI NAVIGATORI ALL’INIZIO DELL’ETÀ MODERNA 15

I portoghesi avevano acquisito l’esperienza di marinai,attraverso l’esercizio della pesca d’altura oceanica eper le conoscenze trasmesse dai navigatori genovesi,che erano entrati a far parte della loro marina. Laposizione geografica del piccolo Stato affacciato sulmare, ineludibile realtà per lo spostamento di uomini emerci, aveva spinto ad intraprendere nuoveesplorazioni allo scopo di trovare rotte alternative perle Indie Orientali. Con questo specifico obiettivo i navigatori portoghesi siandarono spingendo sempre più a sud, sino a quandonel 1487 Bartolomeu Dias riuscì a doppiare il Capo diBuona Speranza, raggiungendo per la prima voltal’Oceano Indiano. Dopo venti anni ripeterà l’impresaVasco de Gama, primo europeo che riuscirà ad

approdare con la sua flotta lungo le coste occidentalidell’India. Di lì a poco il Portogallo sarebbe riuscito a spingersisino alla Cina e al Giappone assumendo così ilcontrollo dei traffici a lunga distanza tra Europa eIndia. Chiunque avesse voluto intraprendere uncommercio con i paesi d’Oriente avrebbe dovuto daquel momento in poi sottomettersi alle decisioni deiportoghesi e chiedere l’autorizzazione per il commerciolungo le vie marittime sottoposte al loro controllo perscongiurare l’affondamento dell’imbarcazione e lacattura. Lisbona veniva in questo modo ad assumere ilruolo di grande emporio dell’Occidente, che sino aquel momento era stato rivestito dalla città di Venezia(A. Caterino 2007, 335-338).

Cartografia dell’isola di Haiti, la colombiana Hispaniola, 1516, membranaceo manoscritto, Bologna, Biblioteca Universitaria. Attribuita a Bartolomeo Colombo,abile cartografo, che soggiornò a lungo nell’isola (da Walter Tega, a cura di, “Il Viaggio...”, Bologna 2007, p. 119)

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Il periodo storico in cui questi fatti avvennero ha comeprotagonisti i monarchi spagnoli, Ferdinandod’Aragona ed Isabella di Castiglia, nominati re cattolicida Papa Alessandro VI per l’impegno da loro assunto indifesa della cristianità. La Spagna costituiva il centrodel potere da cui queste vicende ebbero inizio.I due sovrani unendosi in matrimonio nel 1469,avevano fuso in un’unica corona i propri regni, dandoorigine ad un unico potente regno.Il primo impegno che Ferdinando e Isabella volleroassumere fu quello della Reconquista. Liberare lapenisola iberica dalla presenza dei musulmani fu unadelle priorità politiche e la principale preoccupazioneper i monarchi che a questo scopo si impegnarono peroltre vent’anni in azioni militari. Nel 1478 venne istituito nel regno di Spagna iltribunale dell’Inquisizione, per fronteggiare laminaccia delle false conversioni dei moriscos, cioèmusulmani divenuti cristiani non per reale convinzionereligiosa ma esclusivamente per ragioni di opportunità.In questa politica di nuove strategie messe in atto daFerdinando e Isabella, dopo l’istituzione del tribunalereligioso, fu determinata con un editto l’espulsionedegli Ebrei dalla Spagna. Nel 1492 la revoca del dirittodi soggiorno agli Ebrei non convertiti si tradusse nellaloro totale espulsione dal territorio iberico.

Ferdinando II di Aragona, detto il Cattolico, olio su tavola, sec. XVI, ViennaKunsthistorisches Museum (da “I Borgia”, Roma 2002, p. 110)

Rodrigo Borgia, Papa Alessandro VI, olio su pelle conciata. Il ritratto delPontefice, conservato nella Cattedrale di Valencia, sua città natale, che lasciònel 1492 quando fu eletto papa (da “I Borgia”, Roma 2002, p. 61)

Isabella la Cattolica, olio su tavola, fine sec. XV, Madrid, Museo del Prado (da“I Borgia”, Roma 2002, p. 109)

Nel contesto delle buone relazioni esistenti tra Chiesa eRegno di Spagna e dopo le scoperte dei nuovi territorida parte di Colombo fu emanata nel 1493, su richiestadei sovrani spagnoli, la bolla Inter Coetera, conosciutacome la bolla di demarcazione. La bolla pontificia nacque per rivedere un trattato, giàstipulato con il Portogallo e senza mediazione papale aToledo nel 1480, relativo ai diritti sulle isoledell’Atlantico. In tal modo la Chiesa interveniva perdirimere contenziosi tra i regni cristiani impegnati apropagare la fede cristiana, riservando all’una eall’altra nazione determinate zone dove potere svolgereattività esplorativa. A questo fine venne rivista la divisione degli spazi dovepotere navigare, assumendo il Papa il compito di

tracciare il confine delle terre assegnate alle duenazioni cristiane che si proponevano di divulgare laparola del Vangelo. Con questa divisione alla Spagnafurono concesse le nuove terre scoperte da Colombo.Furono però necessari ulteriori documenti perintervenire su nuovi contrasti fra Spagna e Portogallo ea questo scopo vennero emanate ben sei bollealessandrine fra il 1493 e il 1501. Con il Trattato diTordesillas fu spostata la linea di demarcazione a ovest,per consentire al Portogallo di affermare la propriasovranità sul Brasile.All’inizio del periodo coloniale gli Stati europei si eranolimitati al controllo delle coste e delle rotte marittime.Erano stati stretti accordi con le popolazioni native, alloscopo di potere continuare a procacciarsi i prodotti del

GLI ESPLORATORI NAVIGATORI ALL’INIZIO DELL’ETÀ MODERNA 17

La vittoria sui musulmani si concretizzerà con laconquista di Granada il 2 gennaio dello stesso anno.Quest’ultimo evento rappresenta uno dei piùimportanti della politica europea del tempo, chedeterminò grande compiacimento in tutto il mondocristiano e soprattutto presso la corte pontificia. L’entusiasmo generato da questo avvenimento costituìuna delle ragioni per le quali fu accolto favorevolmentee sostenuto il progetto di Colombo, già respinto da altripoiché ritenuto dispendioso ed inutile.Il documento con il quale fu dato il via alla spedizionedi Colombo è la Capitulaciones de Santa Fe, che vennefirmato a Granada dopo la conquista della città.Nell’autorizzare il viaggio di Colombo, negato in

precedenza dal re del Portogallo, i due sovrani avevanointuito che questa impresa avrebbe potuto apportarealla Spagna grossi vantaggi. I buoni rapporti con lacorte pontificia, avrebbero inoltre consentito il possessodei nuovi territori, attraverso l’emanazione di appositebolle pontificie, che davano giurisdizione ai giovanisovrani sui nuovi territori scoperti. I portoghesicostituivano in tal senso una minaccia per lasupremazia e il controllo dei territori raggiunti a seguitodelle ultime imprese di esplorazione. Alla fine del 1494 Alessandro VI concesse ai sovrani iltitolo di “re cattolici”, per l’impegno profuso in difesadella fede e per la sottomissione dei mori con la resa diGranada.

Bolla Inter Coetera I, 3 maggio 1493, emanata da Alessandro VI, Siviglia, Archivio di Indias (da “I Borgia”, Roma 2002, p. 116)

luogo, preziosa merce di scambio per gli europei. Di lìa breve la conquista dei territori avrebbe però svelatole vere intenzioni degli Stati sovrani, ossia la creazionedi colonie e imperi coloniali, dove si iniziò a fareconfluire la popolazione dalla madrepatria. Da questo momento in poi il vero volto deiconquistadores non tardò a rivelarsi. Le popolazioniindigene dovettero subire vessazioni di ordine politicoe sociale, che determinarono lo scontro armato e l’annientamento dei nativi americani. Ma al di là delle conseguenze tragiche di questiavvenimenti, i viaggi e le esplorazioni sull’intero globo,all’inizio dell’Età Moderna, avevano aperto la via aduna nuova concezione del mondo. Il successo dell’impresa di Cristoforo Colombo costituìun esempio per gli sviluppi che determinò, spianandocon la sua temeraria impresa la strada ai successori.Vasco de Gama nel 1498, riuscì a compiere il periplodell’Africa, arrivando via mare sino alla lontana India.Questo risultato costituì il maggiore trionfo per ilPortogallo, grazie anche agli sforzi compiuti dal suomonarca Enrico il Navigatore (1394-1460), che in talsenso aveva indirizzato le sue strategie politiche. Ilsovrano si era fortemente impegnato per individuarenuove rotte per il commercio e nuovi collegamenti tra

gli oceani al fine di ampliare la sua egemonia e peraggirare il blocco islamico. Enrico aveva fondatol’accademia navale di Sagres, dove venivano formati imigliori naviganti e astronomi del tempo, che grazieall’osservazione del cielo, con strumenti atti a stimarela posizione della nave, compirono grandi progressinella navigazione.Partito con la sua flotta dal Portogallo nel 1497 Vascode Gama puntò direttamente verso l’estremitàmeridionale del continente africano. Il suo viaggioaveva richiesto un lungo lavoro di preparazione che sibasava sulla conoscenza nautica acquisita dainavigatori portoghesi, grazie ai risultati ottenuti nelcampo della navigazione e attraverso l’esperienzaaccumulata da coloro che prima di lui erano scesilungo le coste dell’Africa. La flotta del navigatoreportoghese comprendeva due navi, la São Gabriel e laSão Rafael, che erano state costruite appositamenteper l’impresa e dotate di cannoni, più altre due navi,con le quali riuscì nell’impresa. Nel 1499 il reEmanuele I di Portogollo celebrò l’impresa delnavigatore, che era riuscito a raggiungere, per la primavolta nella storia della navigazione, l’Indiacircumnavigando l’Africa e a riportare indietro al portodi partenza la flotta portoghese.

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Amerigo Vespucci, incisione a Bulino, 1592 ca., Bologna, Biblioteca comunale dell’Archiginnasio (da W. Tega, a cura di, op. cit., Bologna 2007, p. 139).

Nello stesso periodo in cui Vasco de Gama compiva ilsuo viaggio verso le Indie, Amerigo Vespucci (1454-1512), uomo d’affari fiorentino, compiva due viagginelle Americhe, seguendo il percorso marittimo tracciatoda Colombo. Il primo di questi viaggi venne effettuato alservizio della corona spagnola, mentre il secondo per ilPortogallo. Al suo rientro dall’America Centrale e daiCaraibi venne nominato pilota maior di Spagna.Tra il 1519 e il 1521 fu Ferdinando Magellano acircumnavigare l’intero globo, passando a sud delcontinente americano, anche se riuscì a rientrare inpatria soltanto una parte del suo equipaggio decimatodalla fame e dallo scorbuto. Lui stesso rimase uccisoper questioni politiche locali su una spiaggia delleFilippine. La flotta di Magellano, composta da cinquenavi, aveva attraversato l’Atlantico arrivando in Brasilee in seguito in Patagonia, dove trascorse l’inverno.Sedata una rivolta dell’equipaggio che aveva tentatoun ammutinamento, fu ripreso il viaggio, sinoall’attraversamento della punta estrema del continenteamericano, che da quel momento in poi assunse ilnome di stretto di Magellano, uno dei canali piùpericolosi per la navigazione a causa delle sue acquesempre tempestose e per le forti ed imprevedibilicorrenti. All’impresa del navigatore si aggregò AntonioPigafetta cui fu ufficialmente affidato il compito diannotare tutte le notizie sui luoghi e i popoli incontrati. Alle esplorazioni seguirono le conquiste armate deiterritori, che sotto il nome di colonialismo diederoinizio a forme di sfruttamento ed etnocidio dellepopolazioni indigene, private brutalmente dei loro benie della loro cultura tradizionale. In particolar modo gliSpagnoli contribuirono a dare vita a questo fenomeno,a danno delle popolazioni del Nuovo Mondo. Vi fu comunque che si ribellò e protestò verso questeforme di prevaricazione e brutalità. Figura diriferimento in tal senso è quella di Padre BartolomeoLas Casas, autore della Storia apologetica degli

Indiani. Il testo rappresenta una delle primetestimonianze di questo atteggiamento di rifiuto versole azioni di forza degli stati europei che in nome della“Conquista” e ufficialmente al fine di propagandare lafede cristiana perpetuarono i più efferati crimini. All’opera di Las Casas seguirono altre testimonianze, trale quali ricordiamo Comentarios reales que tratan delorigen de los Incas di Garcilaso de la Vega, pubblicatonel 1609 e nel 1616 e una Storia naturale e moraledelle Indie tanto orientali che occidentali. Questi testicostituiscono fonti preziose di informazioni su usi ecostumi di antiche popolazioni, che sparirono dai loroterritori nativi insieme alla loro cultura, sterminate daiconquistadores e delle quali non sapremmo nulla senzail prezioso contributo di queste opere.Molte altre informazioni seguirono a questi primetestimonianze, che fornirono ulteriori resoconti dicarattere etnografico, stimolando sempre piùl’interesse verso l’attività di ricerca e l’interpretazionedei dati. Questi documenti pur costituendo un primoimportante contributo per la ricerca antropologica,rimasero in alcuni casi poco divulgati se nonaddirittura clandestini. I resoconti etnografici, chepervennero dal periodo del primo colonialismooccidentale, rimasero spesso sconosciuti. Leinformazioni inviate dai primi esploratori rivestivanocarattere di segretezza in quanto le indicazionicontenute, che furono in alcuni casi coperte dal segretod’ufficio, avrebbero potuto riguardare un possibileobiettivo di sfruttamento coloniale (C. Tullio- Altan,1983, 30). Le prime descrizioni etnografiche diedero anche impulsoad argomentazioni pseudo-scientifiche, dove l’inferioritàdegli indigeni Americani diventava tema centrale deldibattito. Un esempio emblematico lo ritroviamo in unopera edita per la prima volta nel 1512, dal titolo Nuovaadditio al Chronicon di Eusebio, scritta in latino, in cui sinarra del trasferimento di alcuni nativi in Europa. Vi sidescrive la povertà del sistema pilifero degli indigeni, icui capelli vengono paragonati al crine dei cavalli.Quest’ultimo esempio sarà uno dei temi oggetto didibattito per avvalorare la tesi, in questo casoriguardante l’ambito della virilità, sull’inferiorità diqueste popolazioni (I. Magli, 1983, 17).

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Ferdinando Magellano, incisione a Bulino, 1592 ca., Bologna, Biblioteca comunaledell'Archiginnasio (da W. Tega, a cura di, op. cit., Bologna 2007, p. 138)

AA.VV., I Borgia, Electa, Roma 2002.F. BRAUDEL, Il Mediterraneo - Lo spazio, la storia, gli uomini, letradizioni, Bompiani, Milano 2003.I. MAGLI, Introduzione all’antropologia culturale, Edizioni Laterza, 1983.W. TEGA, a cura di, Il Viaggio - Mito e Scienza, Officine Grafiche Litosei,Bologna 2007.C. TULLIO-ALTAN, Antropologia - Storia e problemi, Feltrinelli, Milano1983.

PERAPPROFONDIRE

Le migrazioni nella storia del Mediterraneo

Fernand Braudel ha definito il Mediterraneo unospazio di movimento. “Il Mediterraneo – scrive – èun insieme di vie marittime e terrestri collegate tra

loro, e quindi di città che, dalle più modeste allemedie, alle maggiori si tengono tutte per mano. Stradee ancora strade, ovvero tutto un sistema di circolazione.Attraverso tale sistema possiamo arrivare acomprendere fino in fondo il Mediterraneo, che si puòdefinire, nella totale pienezza del termine, uno spazio-movimento. All’apporto dello spazio circostante,terrestre o marino, che è la base della sua vitaquotidiana, si assommano i doni del movimento. Piùquesto si accelera, più tali doni si moltiplicano,manifestandosi in conseguenze visibili” (1992, 51).Quali ne sono stati, e sono ancora, gli effetti? IlMediterraneo attuale è “mille cose insieme. Non unpaesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare,ma un susseguirsi di mari. Non una civiltà, ma unaserie di civiltà accatastate le une sulle altre... Tuttoquesto perché il Mediterraneo è un croceviaantichissimo. Da millenni tutto vi confluisce,complicandone e arricchendone la storia: bestie dasoma, vetture, merci, navi, idee, religioni, modi divivere... E a voler catalogare gli uomini delMediterraneo, quelli nati sulle sue sponde o discendentidi quanti in tempi lontani ne solcarono o ne coltivaronole terre e i campi a terrazze, e poi i nuovi venuti che divolta in volta lo invasero...” (ivi, 7-9).Gli storici concordano nel rilevare come il quadroattuale del Mediterraneo sia opera di tre grandimovimenti migratori, distribuiti nell’arco di tremillenni. Non invasioni, come una storia etnocentricaci ha insegnato a chiamarle, ma migrazioni di popolialla ricerca di condizioni di vita migliori. Il primocorrisponde all’arrivo degli indoeuropei i quali, apartire dal secondo millennio a.C., giungono aoccupare e popolare le penisole che da Nord sipropendono verso Sud. Esso si svolge in direzione est-ovest, comprendendo ittiti e greci, italici e celti, esegue tre rotte marittime che solcano il Mediterraneoseguendo appunto il senso dei paralleli. Attraversa ilmare, toccando una catena di isole (Cipro, Creta,Malta, la Sicilia, la Sardegna, le Baleari). Il secondo

grande movimento migratorio si svolge nel lungo arcodi tempo che accompagna lo sfaldarsi dell’Imperoromano. Allora si verifica tutto un mélange di etnieguerriere che non lasciano però impronte durature,eccezion fatta per i franchi, i longobardi e gli slavi, iquali hanno un impatto forte e duraturo siasull’insediamento che sulla lingua e su certi tratti dellacultura. Il terzo grande movimento migratorio si svolgetra basso Medioevo ed Età moderna. È costituito danuclei di popolazione infinitamente più numerosi, chescendono dalle montagne, dove si registrano allora altedensità di popolazione: essi in un primo tempoforniscono alle pianure cerealicole, povere di uomini,la manodopera necessaria al tempo dei raccolti; in unsecondo tempo forniscono braccia alle fabbriche,attivando la più o meno recente urbanizzazione. Le migrazioni professionali si distinguono ulteriormentedal grande esodo contemporaneo, che parte da fineOttocento, in quanto mostrano in primo luogo che ilMediterraneo ha in qualche modo perduto il controlloeconomico del mondo e affronta l’era industriale conritardo, “in una situazione rischiosa, di dipendenza. InItalia, dopo l’Unità, in Africa del nord nel periodocoloniale, nella Spagna e nel Portogallo degli anniCinquanta, nella Jugoslavia e nella Turchia degli anniSessanta e Settanta, si ripete la stessa storia: l’aperturaverso l’esterno di tali paesi ancora fragili e la volontà deiloro dirigenti di integrarli nell’economia sviluppatacomportano la crisi delle società rurali tradizionali”(Aymard 1992, 221-2). Ieri sono stati, tra gli altri, arabi,normanni, galloitalici e antichi albanesi a migrare. Oggisono popolazioni del Maghreb e dell’Africa subsahariana,oppure nuclei provenienti dall’oriente europeo e asiatico.La moderna Europa, e non più il solo bacino delMediterraneo, è sempre più interessata da fenomenimigratori di vaste proporzioni: essa è perciò diventataluogo di destinazione di flussi di migranti da Sud versoNord e da Est verso Ovest. Nuova terra di opportunità,come in passato lo è stata la terra d’America.Ormai da sessant’anni la Germania accoglie spagnoli,turchi e greci, oltre che italiani, e i lavoratoriextracomunitari costituiscono dal 6 al 10% dellapopolazione. La Francia o il Belgio non sono da meno:tunisini, algerini, ivoriani e capoverdiani vi si sonoinsediati ormai da decenni, di seguito al venir meno

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IMMIGRAZIONI E IDENTITÀMario G. Giacomarra

del colonialismo. Certo, non sono mancati momenti ditensione o veri e propri conflitti: si pensi a quelliregistratisi anni addietro, quando i sans papiers,immigrati in attesa di regolarizzazione, protestavanonelle chiese francesi reclamando i loro diritti. Non c’èdubbio però che la convivenza alla lunga prevale suiconflitti e ogni paese ha tutto da guadagnare da unacondizione di multietnicità. I conflitti infatti, nelnecessario ricomporsi, producono mutamento sociale,come hanno prodotto innovazione sociale e tecnologicanegli USA: se oggi essi sono quello che sono, sul pianoeconomico e tecnologico, sociale e culturale, è ancheperché son diventati nell’ultimo secolo terramultietnica e multiculturale ad un tempo. L’Europa nonè da meno, e il nostro Paese giunge buon ultimo.

Dall’assimilazione all’integrazione:quali passi verso l’intercultura?

I modi secondo cui interagiscono “culture in contatto”si possono ricondurre sostanzialmente a tre:assimilazione, convivenza, integrazione. E tutti e tresono stati oggetto di politiche migratorie variamenteesitate.Assimilazione rimanda ad un processo di inserimentodegli immigrati nella società ospite, la quale però liobbliga a rinunciare ai loro tratti originari, facendolidiventare in qualche modo americani con gli americanie francesi con i francesi. È quanto sembra essereavvenuto nella grande emigrazione europea verso leAmeriche, quando italiani, polacchi, olandesi eranotutti spinti a entrare nella grande insalatiera etnica delMelting Pot. Sappiamo quanto questo processo siastato difficile e doloroso, perché spingeva a spogliarsidella propria identità per acquisirne una del tuttonuova; processo spesso fallimentare perché, quandonon riusciva in pieno, ingenerava tristi fenomeni qualierano i ghetti dei neri d’America, le Little Italies o iChina Towns, da valutare ben al di là delle lorosopravvivenze folkloriche. Convivenza rimanda a forme di interazione che sonofrequenti, e normali, nelle prime fasi del contatto fraportatori di culture diverse, ma che diventano anormalie a rischio (perché generano conflitti e abolisconosolidarietà) nel prosieguo del tempo. È quello cheaccade fra gruppi etnici rassegnati a convivenze prontea esplodere quando vengono meno condizioni d’ordinepolitico (è il caso della ex Jugoslavia), economiche oculturali in genere. Anche la convivenza sembrarientrare insomma fra le soluzioni perdenti, promosse ofavorite, da una parte, e sopportate, dall’altra, comeesito di processi non riusciti.Viene per ultima l’integrazione, della quale diremo.Rimane però da porre una domanda: è possibileconnettere multiculturalismo e integrazione? Possono

convivere tante culture che non comunicano tra loro?L’esplosione del disagio maghrebino nelle banlieuxparigine e di quello pakistano nei sobborghi londinesi,dove pure ci si era illusi che tutto andasse per ilmeglio, devono far pensare. Come la cronaca ha avutomodo di dimostrare, quella realizzata in quei paesi eraforse più una convivenza che un’integrazione. E laconvivenza esplode quando vengono meno certecondizioni politiche, o economiche e sociali. O no? Ilmulticulturalismo si può considerare figlio delrelativismo culturale teorizzato da Melville Herskovits:sommamente democratico, in apparenza. Solo che, anon voler entrare nelle modalità di operare di unacultura, si finisce col ghettizzarla, ignorandone l’intimacomplessità che si fa problematica quando entra incontatto con altre culture.È all’intercultura che occorre fare appello, invece,perché si superi lo stato di convivenza e si procedaverso l’integrazione. E l’integrazione non può checominciare con l’interazione, ovvero con quella cheGoffman chiama reciproca influenza. E le interazionipersonali o di gruppo, a loro volta, come le “interazioniquasi mediate” generate dai media, sono esiti dellacomunicazione . Da qui l’esigenza che dalmulticulturalismo si proceda consapevolmente versol’intercultura, che si attivi e si diffonda quallacomunicazione interculturale esito a sua volta diprocessi molteplici e articolati (da quelli interpersonalia quelli mediatici, fino a quelli su rete). L’esigenzainfine di una società interculturale, dove le cultureinteragiscano, comunichino, si meticcino e siarricchiscano scambievolmente. Del resto, se è stata lacomunicazione, pur a fronte degli .squilibri fra Nord eSud del mondo, a mettere in moto i recenti flussimigratori, è alla comunicazione che dobbiamo fareappello perché si avviino a soluzione i problemi che nederivano nei tempi lunghi di braudeliana memoria.

Integrazione e questioni d’identità

Il complesso delle questioni sollevate tocca, per forzadi cose, l’aspetto che spesso sembra costituire il nododi resistenza ai processi di integrazione: l’identità dellepopolazioni in movimento. Sotteso a un termine spessoabusato, è un concetto fluido, posto al convergeredell’area antropologica con quella sociologica,psicologica (nonché psichiatrica, per gli aspetticonnessi). Le prospettive di interpretazione e usodivergono, se non altro perché sono diverse ledomande che provengono dai vari settori. In ogni caso,per quello che qui ci serve, l’identità si può intenderecome “il sistema di rappresentazioni in base al qualel’individuo sente di esistere come persona, si senteaccettato e riconosciuto come tale dagli altri, dal suogruppo e dalla sua cultura di appartenenza... Il

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problema dell’identità non si pone dunque a livelloindividuale o a livello sociale come autonomi e distinti,bensì nell’ambito io-mondo sociale; esiste infatti unastretta relazione tra l’identità come elementoindividuale o personale, come esperienza soggettiva, el’identità come elemento inter-soggettivo, condivisocioè da più soggetti” . Si può andare, appunto,dall’idea di personalità individuale a quella dipersonalità collettiva o “psicosociale”, come la chiamaErikson (1968), ed è usuale parlare di identitàpersonali a fronte di identità di gruppi, di culture, direligioni, di sessi.Quali sono i fattori costituenti l’identità di un grupposociale? Neanche qui le risposte abbondano, a menoche non si dia per scontata la connessione tra identitàe personalità di base del singolo, e identità e culturedei popoli. Particolarmente in questo secondo caso, trale componenti dell’identità collettiva si possonorichiamare quelle stesse che vengono fatte rientrare nelconcetto antropologico di cultura: “patrimoniointellettuale e materiale... costituito da: a) valori,norme, definizioni, linguaggi, simboli, segni, modellidi comportamento, tecniche mentali e corporee, aventifunzione cognitiva, affettiva, valutativa, espressiva,regolativa, manipolativa; b) le oggettivazioni, isupporti, i veicoli materiali o corporei degli stessi; c) imezzi materiali per la produzione e la riproduzionesociale dell’uomo” . Sono componenti che distinguonouna comunità dall’altra, perché rispondono agli“imperativi biologici” degli uomini in maniera diversaa seconda dell’ambiente in cui si insediano; nellostesso tempo esse offrono modelli di orientamento,visioni del mondo, atteggiamenti valoriali ecc. Èpossibile allora coniugare in una la cultura e l’identitàdi un popolo, dal momento che quest’ultima vieneconferita da quella: “La cultura è la componenteprincipale della personalità o del carattere sociale, anzila cultura e la personalità non sono altro che dueaspetti del medesimo fenomeno”.Loredana Sciolla, in un saggio introduttivo dedicatoalle teorie dell’identità, dopo aver ripercorso gliapporti che al concetto provengono da diversi settoriscientifici, ritiene opportuno incardinarlo su almeno tredimensioni: “L’identità – scrive – ha innanzitutto unadimensione locativa, nel senso che attraverso essal’individuo si colloca all’interno di un campo(simbolico) o, in senso più lato per alcuni autori,definisce il campo in cui collocarsi. ... L’identità hainoltre una dimensione selettiva, nel senso chel’individuo, una volta che ha definito i propri confini eassunto un sistema di rilevanza, è in grado di ordinarele proprie preferenze, di scegliere alcune alternative edi scartarne o differirne altre. L’identità ha infine unadimensione integrativa, nel senso che attraverso essa

l’individuo dispone di un quadro interpretativo checolleghi le esperienze passate, presenti e futurenell’unità di una biografia. Mentre attraverso ladimensione locativa l’individuo diventa capace distabilire una differenza tra sé e l’altro, tra sé e ilmondo, attraverso la dimensione integrativa l’individuodiventa capace di mantenere nel tempo il senso diquesta differenza, ossia il senso della continuità delsé”.Che succede quando le componenti, individuali ocollettive che siano, entrano in crisi? E prima ancora,per quali motivi vengono meno?Per lungo tempo le cause generatrici di crisi di identitàsono state individuate nella crisi delle società e delleculture tradizionali coinvolte nei processi diomologazione attivati dalle moderne società di massa:“Quali sono – si chiede ancora Lanternari – le forzeprevaricatrici in gioco? Il complesso quadro deifenomeni... ci porta irreversibilmente a identificarle neigruppi di potere economico, che volta a volta siconcretano nel ‘consumismo’ ovvero nel ‘colonialismo’(o meglio ancora ‘neocolonialismo’) interno, ossia voltocontro gruppi classi e comunità interne, ai fini dellaloro strumentalizzazione e dello sfruttamentoeconomico... Consumismo e colonialismo, oneocolonialismo, in questo quadro, vengono acostituire due aspetti complementari d’un unicofenomeno che indicheremo come ‘sfida’ deculturatrice,il cui effetto, ad amplissimo raggio, è lacrisi d’identità che coinvolge l’intera società moderna”.Ne scaturivano vasti processi di omologazione, suiquali ha tanto insistito Pasolini che rimpiangeva“l’Italia dei campanili” o “il tempo delle lucciole”. Iltimore era che essi annullassero il valore del passatodelle comunità, cancellassero le differenze e mettesseroin discussione, infine, l’essenza stessa delle culturetradizionali: ne derivavano le crisi d’identità che, neicasi più gravi, consistevano in stati di alienazione,disturbi mentali, malesseri di tipo psicosomatico,rigurgiti di magismo, per giungere infine al suicidio.“Erich Fromm ha delineato con estrema chiarezzaquesto processo di disgregazione della personalitàindividuale, e quindi dell’identità personale e sociale,come effetto del sistema industriale moderno nella suafase monopolistica: ‘Esistono fattori – scrive Fromm –che favoriscono lo sviluppo di una personalità che sisente impotente e sola, ansiosa e insicura’”.Le risposte, individuali o collettive, spontanee oorganizzate, che venivano date alle crisi erano tante:andavano dai movimenti nativisti, alle manifestazionidette folkloristiche, dai folk music revivals alleesperienze misticheggianti (frequentazioni dei Guruindiani, adesione agli Are Khrishna...). Pur nellagrande varietà, tutte erano considerate altrettante

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pratiche intese a “recuperare identità”, connesse cioèal bisogno di ritrovare un senso del sé che il singolo ola collettività ritenevano perduto: ogni ricerca diidentità si accompagnava, perciò, ad una prospettivapolitica, e si proponeva di offrire risposte consapevolial “neocapitalismo massificante e livellatoredelle multinazionali e degli organismi politiciassociati”, rileva ancora Lanternari.È facile capire che il percorso di pensiero qui delineatocollocava l’identità su uno sfondo legato a un passatoormai scomparso, o in ogni caso smarrito dai singoli odai gruppi nel loro complesso. Solo che le grandi crisidi identità non si accontentano di risposte rivolte alpassato, come aveva ben chiaro Erik H. Erikson: “Lacrisi non significa (sempre e soltanto) un colpomortale, ma piuttosto... un tempo cruciale o un puntodi svolta ineludibile per il meglio o per il peggio. Con‘meglio’ intendo il confluire di energie costruttivedell’individuo e della società... Con ‘peggio’ intendouna protratta confusione di identità nel giovane comenella società, che smarrisce la leale attivazione delleenergie giovanili”.Proprio le crisi di identità registrabili nelle attualisituazioni migratorie, non si sono risolte, o non sirisolvono ancora, guardando al passato (il ‘peggio’ diErikson), ma bensì attivando “energie giovanili” rivolteal futuro. Ciò si spiega sia per ragioni di tipodemografico, essendo la popolazione migrante formatasempre più da giovani che da anziani, sia per ragionilegate alla modernizzazione: l’ampliarsi infatti dellecomunicazioni, come vedremo meglio più avanti, haprodotto effetti sul piano stesso della delimitazione deigruppi; le mobilità sociali e territoriali hanno messo incrisi fattori di discendenza, unità di caratteri somatici,lingue, valori e religioni.In tale nuova situazione quali tratti di identità passatesi possono recuperare, se la comunità di riferimentonon è più chiaramente delimitabile? L’identità di ungruppo, nelle componenti più di frequente rivendicate,non si può far coincidere, in ogni caso, con dati di fattocon i quali si era abituati a convivere. Non si può piùfare appello, sempre e in ogni luogo, a conformazioni e“immagini culturali” di una comunità che valgano unavolta per tutte. Il modo di presentarsi di ognunadipende ancora da ragioni storiche e geografiche, chelentamente stanno svelando una loro dimensionesociale; dipende perciò dal complesso delle relazioniche i singoli istituiscono e coltivano nei diversi contestidi vita e di lavoro.A questo punto non sappiamo se sia ancora il caso diparlare di “crisi e ricerca di identità”, o non piuttostodi cominciare a parlare di costruzione di identità. Nonsi tratta cioè di andare a cercare un sistema di segni diriferimento, preesistente ai diversi soggetti: l’identità

della quale parliamo appare sempre più chiaramentecome l’esito di un processo. Per altro verso, lemodernizzazioni non è detto che comportinoimmediatamente la messa in crisi delle identitàtradizionali, né tanto meno l’omologazione ai modelliculturali dominanti, secondo l’allarme degli“apocalittici” di un tempo: l’entrare a far parte del“villaggio globale” non significa sempre enecessariamente annullare le specificità etniche di unacomunità. Fra i moderni immigrati il contattoprolungato con la civiltà occidentale non conduce,infine, all’omologazione con i gruppi dominanti inquesta parte del mondo: accanto ai fenomeni previsti,e in qualche modo scontati, sono emerse infattitendenze nuove, tra cui la tensione a “creare etnicità”o al conformarsi di nuove identità culturali, che con leantiche “radici” possono non avere molto in comune .Recenti fenomeni appaiono incomprensibili sianell’ottica del “paradigma della modernizzazione” chein quella passatista. Possono essere invece compresi sevengono letti nella chiave che qui stiamo proponendo.Le osservazioni sul terreno non mancano: simoltiplicano infatti le occasioni di affermazione diidentità; si celebrano etnicismi che, a tutta prima,parrebbero un semplice ritorno agli arcaismi e agliintegralismi del passato. Il diffondersi in Francia, esempre più in Italia, dell’uso del chador tra le giovaniimmigrate musulmane; il tornare a vestire l’abitoindigeno della festa fra le donne ghanesi, somale eindiane; l’attivazione di moschee, e relativi culti, inmolti centri urbani del nostro e di altri Paesi interessatiall’immigrazione araba; il recente riproporsi eampliarsi della pratica del Ramadan: sono tutti esempiche si possono agevolmente richiamare.Altri fenomeni sono stati osservati e registrati ormai datempo in altre regioni, europee e non. Gli IndianiHurok conformano sempre più la loro antica identitàsul moderno folklore del moderno Québec. A Londra,Parigi, Bruxelles, e più di recente a Roma e Milano, igruppi preservano le loro specificità etnichegenerando, ognuno, inattese identità mentre siconformano alla società ospite. “Molte società tribalidel Terzo Mondo sono state smantellate e moltediversità culturali cancellate dalle moderne istituzioni”– osserva E.E. Roosens – ma ciò che più si imponeall’attenzione, ogni giorno che passa, è che “i gruppietnici riaffermano se stessi in maniera sempre piùdecisa. Essi promuovono la loro nuova identitàculturale mentre si va erodendo la loro antica identità”(1990, 9). La nuova identità, appunto, non deriva soloda una antica cultura da tutelare o da tradizioni daconservare: essa viene invece conformata, modificata,ricreata o creata ex novo dai nuovi gruppi di immigratinelle moderne società industriali.

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A questo punto siamo nelle condizioni di connettere ledue dimensioni socioculturali che finora abbiamotenute distinte e, apparentemente, in contraddizione:l’integrazione e l’identità. Sulla base dei fenomeniosservati, in realtà, è possibile sostenere che il cresceredelle comunicazioni fisiche e simboliche, l’ampliarsidelle relazioni sociali, lungi dall’abolire le differenze,le esalta. Il fatto che comunità culturalmente esocialmente diverse rivendichino come prioritario ilrispetto della loro differenza, promovendomanifestazioni nativiste, può appunto intendersi comericerca di inserimento nella società ospite: le“costruzioni” di identità possono considerarsi premessea processi di integrazione; il delinearsi di etnicismi puòintendersi come il segnale che un gruppo stamuovendosi in quel senso. Differenziarsi per integrarsi,paradossalmente.È lecito allora chiedersi: è ancora da ritenersinecessario che si dissolvano le identità originarieperché abbia successo una politica di integrazione? ol’operare della comunità non rappresenta già di per sél’inizio di un processo del genere? Le azioni cheabbiamo delineato possono offrire risposte: esse infattinon smentiscono qualsiasi processo di integrazione, maquello consistente nella pura e semplice assimilazioneai modelli dominanti. L’integrazione nel senso più riccodel termine è invece quella che, lungi dal tenereinsieme parti già rese omogenee (il che sarebbepacifico!), fa coesistere insiemi eterogenei.“L’integrazione presuppone la eterogeneità delle partiche stanno in relazione tra di loro; ... L’integrazione di,o fra, parti diverse è resa possibile dall’esistenza di

qualcosa che le accomuna conservandole, e dunque dalmodo in cui taluni strumenti, o valori-base... vengonopartecipati, condivisi o usati nel sistema ai finiaggregativi... Si ricava così il legame tra integrazioneed eterogeneità sociale: mentre quest’ultima rivelacaratteri empirici direttamente rilevabili , l’integrazionecostituisce una delle possibili condizioni di stato di uninsieme eterogeneo” .Saranno le azioni di scambio (economico, sociale osimbolico) a mettere in comunicazione i fattieterogenei: una sorta di Communicative Integration,distinta dalle integrazioni di tipo normativo (o politico)e da quelle di tipo funzionale (o associativo). In questadirezione è infine possibile comprendere i conflitti, se èvero che essi nascono dall’accostamento di realtàeterogenee che fanno fatica a coesistere in un tempo ein una situazione dati.

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E.E. ERIKSON, Identity (psycosocial), in International Encyclopedia ofSocial Sciences, London, vol. IV, p. 63.L. GALLINO, Op. cit., s.v., p. 194.M.G. GIACOMARRA, Migrazioni e identità. Il ruolo delle comunicazioni,Palumbo, Palermo 2000.M.G. GIACOMARRA, Comunicare per condividere. Relazioni sociali emediazioni culturali per l’integrazione, Palumbo, Palermo 2008.V. LANTERNARI, Crisi e ricerca di identità, Guida, Napoli 1977, pp. 234-35.E.E. ROOSENS, (ed.), Creating Ethnicity: the Process of Ethnogenesis,London 1990, p.9.L. SCIOLLA, Teorie dell’identità, in Id. (a cura di), Identità: percorsi dianalisi in sociologia, Loescher, Torino 1983, p. 22.A. SCIVOLETTO, Art. cit., pp. 1057-59.N. TESSARIN, Identità, in Demarchie al., Op. cit., p. 970.

PERAPPROFONDIRE

Nelle pagine del Decamerone di Boccaccio si hagià notizia della presenza di pescatori cristianitrapanesi che vivono e lavorano nella

musulmana Tunisia. Durante la lunga guerra da corsa,prìncipi e tonnaroti, uomini di affari e corallari, vescovie poeti siciliani, passati per disgrazia in terramaghrebina, vi si sono lungamente trattenuti fino adeleggerla a loro seconda patria.Che la Tunisia sia stata terra d’immigrazione italiana esoprattutto siciliana è storia che nella letteraturadell’emigrazione è rimasta ai margini. Eppure solol’esperienza in Argentina è paragonabile a quellatunisina, per densità di permanenza, di contatti e dipenetrazione economica e culturale. Pochi storici epochissimi studiosi si sono occupati di queste vicenda.L‘Africa maghrebina fu a lungo percepita come ilnaturale prolungamento della penisola e delle isole,assumendo i contorni di una terra promessa, allastregua di una vera e propria nazione irredenta.Siciliana era la comunità straniera più numerosastabilmente insediata a partire dal secolo XIX inTunisia, prima che questa diventasse protettoratofrancese. Vi hanno trovato riparo e fortuna esuli politicidel Risorgimento: carbonari, mazziniani, affiliati allaGiovane Italia, perseguitati dalla polizia borbonica, lostesso Garibaldi sotto il nome di G. Pane. Ma vi si sonoinsediati pure commercianti del sale, tonnaroti,pescatori di spugne e del corallo, braccianti agricoli,operai e artigiani, tecnici, professionisti, intellettuali.Perfino sotto il protettorato francese, la Tunisia sembròessere una colonia italiana amministrata da funzionarifrancesi e i Siciliani occuparono uno spazio sociale eculturale non irascurabile tra colonizzatori ecolonizzati.Nella seconda metà dell’800 Tunisi era città davveromulticulturale, con larghe presenze di emigrantisiciliani che fuggivano la coscrizione obbligatoria,fondavano giornali, costituivano società di mutuosoccorso, davano vita a moderne aziende agricole,colonizzando terre e impiantando vigneti. Sulla spintadella crisi economica di fine secolo e a seguitodell’istituzione del collegamento settimanale deltraghetto Palermo-Tunisi, interi nuclei familiari sitrasferirono nei villaggi e nelle campagne della Tunisia.Nella penisola di Capo Bon, nei dintorni di Kelibia, era

attestata una cospicua comunità di papeschi dediti allaviticoltura. Muratori e tagliatori di pietre lavoravanonei cantieri per la costruzione di strade e ferrovie.Minatori erano impegnati nell’estrazione dei fosfatinella regione di Gafsa.Agli inizi del Novecento 80 mila circa erano gli italiani,quasi tutti siciliani. Durante il regime fascista vi sirifugiarono non pochi uomini politici dell’opposizione,tra i quali Giorgio Amendola e Velio Spano, e siverificarono significativi episodi di solidarietà siculo-tunisina. Quando nel settembre 1937 venne ucciso aTunisi da sicari fascisti il militante della Lega Italianaper i diritti umani, Giuseppe Miceli, si registrò unaforte reazione di sdegno da parte dei lavoratoritunisini, in particolare degli scaricatori di porto che perprotesta paralizzarono le attività di sbarco delle mercidelle navi italiane.Attorno a La Goulette, il porto di Tunisi, si aggregòpiano piano una Piccola Sicilia, formata da famiglie dipescatori, di tipografi, di fornai, di sarti, di falegnami,di commercianti che per la loro origine comunediedero vita a una comunità fortemente coesa maanche aperta ad una feconda convivenza con gliautoctoni. La Petite Sicile è stata una felice esperienzadi meticciamento urbano e di sincretismo culturale,avendo i Siciliani sovrapposto senza dissonanze nédiscontinuità il tessuto abitativo alla preesistentemorfologia della medina. Un film documentario (Unconfine di specchi), girato nel 2002 dal regista sicilianoStefano Savona, nel ricostruire la fitta trama direlazioni tra la Sicilia e la Tunisia, ha recuperato letestimonianze di quanti tra le famiglie di originesiciliana ancora vivono in questo quartiere, oggi assaidegradato, e, sul filo di uno straordinario racconto perimmagini, ha incrociato le loro memorie con le voci deitunisini immigrati oggi in Sicilia.All’atto della dichiarazione di indipendenza (1956), inTunisia erano circa 67 mila italiani. Un numerosuperiore a quello dei tunisini immigrati oggi in Sicilia,attestato intorno ai 45 mila, su più di 1OO milastranieri soggiornanti.Se è vero che la storia non si ripete mai eguale,tuttavia frequenta spesso gli stessi luoghi. Quel marestretto che chiamiamo Canale di Sicilia e dall’altra rivachiamano Canale di Tunisi è uno di quegli spazi che la

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IL MAGHREB IN SICILIAAntonino Cusumano

storia delle migrazioni ha sempre frequentato. Quipassa il confine tra due continenti, tra il nord e il suddel mondo, ma – come ci ha insegnato Matvejevic – iconfini sul mare sono per loro stessa natura liquidi edeffimeri, e il mare nella sua immensità e nel suomovimento si comporta come un «un cerchio di gesso»,la costa ne segnala il margine per un attimo, per poicancellarlo subito dopo, e ogni volta disegnarne unodifferente. Questo breve tratto di poche miglia si trovanel punto d’incrocio di quel movimento pendolare cheda millenni investe e percorre in profondità le vicendeumane delle comunità che vi si affacciano, lì semprestato via di comunicazione e di scambio, luogo dinegozi e di traffici ma anche di antiche e nuove guerrepuniche, di tensioni e di sfide, di persecuzioni eritorsioni. Ieri erano i contadini e i pescatori siciliani acercare fortuna nelle acque di Capo Bon e nelle terredegli “infedeli”. Oggi sono soprattutto i maghrebini aspingersi sulle nostre coste, a coltivare le nostrecampagne, a pescare sulle nostre imbarcazioni.I pescatori siciliani e tunisini che oggi gettano insiemele reti nello stesso mare dalla stessa imbarcazioneripetono in fondo, senza averne piena consapevolezza,antichi gesti, sembrano replicare involontariamente esilenziosamente gli invisibili segni e disegni dellastoria. Se guardiamo a questo fenomeno, sulla scortadelle categorie di Braudel, come a una storia di lungadurata che ha operato come un pendolopermanentemente oscillante tra le due sponde delMediterraneo, questo flusso di maghrebini approdatooggi in Sicilia appare come un ritorno, un’ondasuperficiale della più grande e incessante migrazionedi uomini e cose che da sempre attraversa questospazio mediterraneo, via di fuga e di transito ma ancheterra di mezzo, laboratorio di secolari rapporti.Per comprendere quanto accade e perché accade cisoccorre dunque la storia di cui dobbiamoriappropriarci, la memoria di quell’esperienza collettivache abbiamo frettolosamente rimosso. Del resto,quando ci interroghiamo sull’immigrazione e sugliimmigrati, in realtà ci interroghiamo sulla nostrasocietà e su noi stessi. Gli immigrati per il fatto stessodi esistere tra di noi, di abitare e lavorare accanto anoi, ci costringono a ragionare sui nostri modi di viveree di pensare, sul senso di ciò che facciamo, dei gestiche compiamo, delle parole che diciamo, delle identitàche agitiamo o rivendichiamo. Quando parliamo diloro, parliamo in verità di noi stessi. L’immigrazionenon è soltanto un test probatorio della nostra memoriastorica, è anche una cartina di tornasole della tenutademocratica delle nostre comunità, un nervo scopertonel corpo del nostro sistema di convivenza civile. Seguardiamo però agli aspetti meno contingenti e menoappariscenti, può trasformarsi in una grande leva del

cambiamento, che lascia intravedere il profilo di nuoviorizzonti, i piccoli mutamenti carsici che si preparanonel sottosuolo delle nostre società.L’immigrazione in Sicilia è soprattutto immigrazionemaghrebina. La comunità straniera più numerosasoggiornante in Sicilia è quella tunisina, presente in ogniprovincia. Secondo i dati dell’ultimo Dossier Statisticodella Caritas (2008) a Ragusa rappresenta il 41% deltotale, a Trapani il 26%, a Palermo il 13%. Unostraniero su 5 in Sicilia è tunisino. I marocchini sono ingran parte concentrati nel Ragusano. La consistentecatena migratoria d’origine maghrebina che si è radicatanelle diverse province siciliane sembra ribadire ancoraoggi la centralità dell’Isola nel contesto dei processieconomici e sociali maturati nell’area integrataeuromediterranea. La sua genesi è tuttavia riconducibileall’interno della storia dei rapporti tra le due rive. Lapresenza dei Tunisini in Sicilia è in fondo un effetto dirifrazione della presenza storica dei Siciliani in Tunisia.L’immigrazione tunisina e maghrebina in Siciliacomincia a Mazara del Vallo alla fine degli anniSessanta. Qui erano sbarcati gli arabi per la primavolta nell’827. Da qui avevano costruito le basi perl’occupazione di tutta l’Isola. Qui, a Mazara, sonotornati, senza armi e senza un esercito. Lavorano abordo dei motopesca e come braccianti nellecampagne mazaresi. La loro immigrazione è il caso piùprecoce in Italia di formazione di una comunitàstraniera stabile. Si inserisce – come abbiamo detto –nel quadro storico di un lungo e consolidato sistema direlazioni, in entrambi i sensi di marcia, fra le duesponde del Mediterraneo e fra la città di Mazara eMahdia in particolare. A guardar meglio dentro lacomunità tunisina di Mazara si scopre, infatti, che lagran parte degli immigrati proviene dallo stesso paese,Mahdia, città di pescatori dove a lungo, fino al secondodopoguerra, hanno soggiornato e lavorato non pochisiciliani della provincia di Trapani. Non è senzasignificato che sulle labbra di parecchi tunisini il nomedi Mazara del Vallo sia stato ribattezzato come Mahdiadel Vallo, quasi a voler rimarcare il rapporto difamiliarità e il sentimento di appartenenza con questocentro siciliano. Tra Mazara e Mahdia sembra esserestato costruito in questi anni un formidabile ponteumano su un braccio di mare che non ha mai cessatodi essere spazio di fluttuazioni e crocevia di speranze.La prossimità geografica e le assidue vicende storicheche legano le due città hanno finito col produrrenell’immaginario degli immigrati una terza città chenelle forme simboliche della rappresentazionecollettiva contamina, mescola e ibrida il luogo d’arrivoe quello d’origine, il qui e Paltrove, e aiuta a coltivareun’illusione di ubiquità ovvero una condizione disospensione tra le due rive.

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Lo stanziamento degli immigrati si è concentrato nellaparte più antica di Mazara, nel cuore del centro storico,in quel denso tessuto di catoi, vicoli e cortili, costruitonel IX secolo dagli arabi. La tipologiadell’insediamento, nell’accentuare l’alterità di questospazio rispetto al resto della città, ha accelerato ilprocesso di abbandono già in atto da parte dei locali.La struttura ad albero del quartiere l’assimila allamorfologia della vecchia medina e le conferisce iconnotati di un’area semiprivata quasi impermeabile,riconoscibile per delle soglie che sembrano scoraggiarel’intrusione e incoraggiare la separazione. Lariappropriazione di luoghi agli immigrati in qualchemodo familiari favorisce i fenomeni di inclusionespaziale e di mutualità e interdipendenza all’interno diun fitto reticolo comunitario. Ma né a Mazara né inSicilia questo considerevole capitale socialetesaurizzato nelle forme residenziali è stato maiutilizzato per strategie di ostentazione etnica o peresasperati etnicismi. L‘Islam in Sicilia ha tratti miti edomestici, non ha nulla di minaccioso. I tunisini chel’interpretano non l’espongono, lo vivono con sobrietà,quasi con pudore. La pratica religiosa in emigrazioneappare un fatto prevalentemente privato. Gliappartenenti alla comunità si riconoscono cometunisini prima ancora che come musulmani, anche sel’essere musulmani non è rimosso né rinnegato econserva una eminente funzione identitaria. Hacertamente un peso la lettera del Corano sulla loro vita.E, sulla base di questi orientamenti etici, gli anziani, lefamiglie tradizionali esprimono in tutta evidenzaalcune riserve sulla società occidentale, sulconsumismo che appanna e dissolve ogni forma disolidarietà comunitaria. Nei giovani invece siregistrano atteggiamenti più aperti, più distanti dallapratica rituale delle preghiere e dal rispetto rigoroso dialcuni divieti. Senza mettere in discussione il valorenormativo dell’Islam, il suo potere tradizionale diorientare l’individuo nel mondo, si rinuncia alla suastretta applicazione, alla sua interpretazione letterale.Siamo ben lontani da atteggiamenti oltranzisti, cosìcome non può dirsi che le nuove generazioni abbianodel tutto cancellato i segni della loro identità dimusulmani.Per molti giovani tunisini uscire dai confini dellacomunità significa liberarsi dalle pressioni esercitatedalle famiglie, dall’occhiuta censura della collettività edalla stringente vigilanza delle istituzioni pubbliche.Da qui muovono certe spinte centrifughe chescompaginano il quadro rassicurante delle normemorali tradizionali senza necessariamente tradursi nellepratiche culturali della mera e passiva assimilazionedei modelli di consumo occidentali. Sta crescendo aMazara una generazione di giovani figli di immigrati

che si sentono diversi dai loro padri e pure diversi dailoro coetanei italiani, adolescenti che cercanoindipendenza e libertà e sembrano trovarsi a loro agiotra diversi contesti identitari, riconoscendosi in unaelaborazione cumulativa piuttosto che sostitutiva disimboli e valori. Nell’oggettiva ambivalenza di questacondizione, nella capacità cioè di stare in between, inmezzo alle due rive come sospesi in un guado infinito,si gioca una sfida culturale in cui non possono nonessere coinvolti anche gli autoctoni. Le politiche localihanno in questo spazio un ruolo fondamentale.La verità è che per i giovani tunisini nati in Italia illuogo che abitano non è pienamente ancora Italia manon è più Tunisia. Quest’ultima si configura comespazio delle vacanze, laddove Mazara, la Sicilia, l’Italiaè il luogo del presente e del futuro. Non si dichiaranoné sono formalmente cittadini italiani ma piuttostosentono di essere tunisini di Mazara. Da qui lacontraddizione solo apparente fra la scelta di attestarel’identità tunisina e il desiderio di restare in Sicilia. Nelsistema di rappresentazione dei giovani immigrati,Tunisia e Sicilia si pongono in alternanza più che inalternativa, restando la stessa forma di stanziamento,radicato ma in qualche modo mobile, legato apersistenti forme di pendolarismo.L’andirivieni tra le due sponde, incentivato dallaprossimità geografica, nel descrivere fisicamentel’attraversamento simbolico delle frontiere etniche, èmetafora dell’ondivago e incerto percorso compiuto daimigranti. Gli stessi viaggi periodici in Tunisiaparadossalmente non contribuiscono a rendere piùchiara e vicina la prospettiva del definitivo ritorno. Alcontrario, immettono nella dialettica culturale nuovielementi conflittuali e problematici. Ogni provvisorio eperiodico rientro durante l’estate al proprio Paesed’origine, nel favorire la ripresa dei contatti con ilmondo e la vita lasciati alle spalle, introduce in quelmondo e in quella vita oggetti e segni della nuovaesperienza esistenziale maturata in Italia: prodottimateriali, beni di consumo, ma anche idee, usi,abitudini. Sono i simboli del successo dell’impresamigratoria: automobili, scooter, elettrodomestici,articoli high-tech comprati in Italia e trasportati inTunisia. Sono anche rappresentazioni di nuovi miti estili di vita, che possono produrre invidie e ammirazionipresso i connazionali e perfino disagi tra gli stessiimmigrati, sensazioni di spaesamento e diestraniamento nei luoghi della propria infanzia,distanze sempre più critiche tra la cultura dei padri equella dei figli. In questo incessante movimento ciclicoche li farà ripartire e forse ancora ritornare in Tunisia, imigranti sono probabilmente destinati a passare perquei percorsi di ibridazione culturale nei quali siintrecciano più e diversi modelli cognitivi e normativi.

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È in occasione delle feste che sembra esternarsi inqualche modo una certa identità comunitaria. Così lapratica del digiuno nel mese di ramadan e lecerimonie festive che commemorano la nascita delProfeta, il sacrificio di Abramo e la fine dell’astinenzapenitenziale (Ayd Kabir), costituiscono momentiessenziali della ritualizzazione dei legami all’interno eall’esterno dell’ambito familiare: ci si raduna inpreghiere collettive in grandi spazi pubblici all’apertosotto la guida dell’imam; si portano in dono abiti nuovie dolci di miele ai bambini, che vestono in quellegiornate eleganti costumi tradizionali; si cucina in casail montone come prescritto dal Corano; le donne sidipingono le mani e i piedi con l‘henne. Quello che inpassato era nel calendario degli immigrati tunisiniappuntamento irrinunciabile per rientrare in patria, hatrovato nel tempo forme di adattamento e dirifunzionalizzazione nella città d’accoglimento, conripiegamenti privatistici ma anche con manifestazionidi attesa e partecipata convivialità, di intensamutualità, di eccessi codificati. Nel nuovo contestodell’emigrazione il ramadan, con le scansioni ritualiche l’accompagnano, sembra, in verità, incorporare aisignificati religiosi valori eminentemente sociali, di unasocialità che nel ribadire i vincoli di appartenenzaetnica tende tuttavia a sporgersi al di là del perimetrodella communitas. Sotto la protettiva identificazionenel sistema rassicurante e aggregante della festa, gliimmigrati mostrano il desiderio di comunicare con lacittà di condividere in qualche modo con i cittadini laloro speciale esperienza culturale. Accade pertanto chenell’orizzonte simbolico delle offerte cerimoniali siiscrivono gli scambi dei cibi rituali con i vicini di casa,con i nuovi amici italiani, anche attraverso lamediazione dei figli e dei bambini.I segni di inclusione spaziale all’interno del centrostorico della città di Mazara sono senza dubbioprogrediti e incrementati nel corso di questiquarant’anni di immigrazione. Dentro un perimetroassai ridotto si è formata una mappa di riferimentisignificativi di luoghi e di persone, si è ricostituita unavita di strada e di vicinato, si va ricomponendo attornoai percorsi degli immigrati il tessuto smagliato di vicolie catoi lungamente abbandonati. Si sono aperti localidove si beve il tè alla menta e si fuma il narghilè, sonosorte macellerie che vendono la carne secondo letecniche di macellazione halal, si sono moltiplicati icentri import-export, i punti di telefonie internazionali,gli sportelli finanziari per l’invio delle rimesse (moneytransfer). Si tratta di attività per lo più intraprese econdotte dagli stessi immigrati, che inventano eautoproducono beni e servizi. Una tavola calda,allestita da una famiglia tunisina, offre le specialitàgastronomiche della cucina maghrebina. C’era un

laboratorio di tessitura, gestito da una cooperativa didonne tunisine e italiane, che metteva sul mercatotappeti tradizionali realizzati al telaio verticale. La crisieconomica lo ha costretto alla chiusura. Altri negozicon insegne arabe e prodotti dell’artigianato vannoprendendo il posto di vecchie botteghe dismesse. Si fastrada dunque una certa vocazioneall’autoimprenditorialità degli immigrati; prende formaun attivo circuito di economia etnica, i cui servizidestinati eminentemente alla comunità si propongonocomunque all’intera città e con s suoi cittadini entranoin contatto.In questo processo di progressiva penetrazione eappropriazione territoriale si registra da qualche announa svolta determinante: l’acquisto da parte deglistessi immigrati, grazie alla contrazione di mutuibancari, delle case dove abitano, in gran parteall’interno della antica medina. Acquisire la proprietàdegli alloggi significa riarticolare il progetto migratorioin direzione di un radicamento, di un definitivotrasferimento nel Paese d’accoglienza. Significaspostare il centro degli interessi e investire la propriavita e quella dei propri familiari nella città di adozione,compiere un coraggioso atto di fiducia nel propriofuturo e un doloroso strappo con il passato e i luoghi diorigine. Segno inequivocabile di un cambiamento negliorientamenti programmatici di alcuni immigrati, ilpossesso giuridicamente formalizzato dell’alloggiomodifica lo status dello straniero, assicurandopermanenza alla sua residenza e maggiore forzanegoziale al suo diritto di cittadinanza. La stabilità diuna rete di insediamenti regolarmente abitati dailavoratori tunisini che ne sono diventati legittimiproprietari, trasforma quegli spazi in luoghi condivisi enon più separati dalla trama delle relazioni urbane. Nelriposizionamento dei tunisini in rapporto al lorosoggiorno a Mazara si coglie una precisa indicazionedel grado di maturità raggiunto dal processomigratorio e se ne intuiscono i possibili e non lontanisviluppi. Se dobbiamo valutare i livelli di integrazionesociale dobbiamo prendere atto che contraddittori sonoi segni fin qui evidenziati: cresce il numero dei tunisiniinseriti negli elenchi telefonici ma rimangono assairidotti e limitati i casi di matrimonio misti. Aumentanoi pensionati che decidono di restare in città ma èancora sostanzialmente scarso il numero di coloro cheottengono la cittadinanza. Si registra un lieveincremento degli iscritti ai sindacati locali, ma restasolo e senza poteri il consigliere aggiunto che fa partedel consiglio comunale. Cresce il numero deipartecipanti ai corsi professionali, ma rimaneconsistente l’area del lavoro nero. Sono lecontraddizioni di un fenomeno dagli esiti ancoraaperti, che scorre sottotraccia nelle vene della città,

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molto spesso nell’inconsapevolezza dei suoi stessicittadini.È certo che Mazara ha conosciuto in questi ultimi anniun’evidente e graduale mutazione demografica,registrando in pochi anni una crescita esponenzialenelle nascite di bambini tunisini e nella residenza diminori stranieri, tanto da detenere in questo dato unvero e proprio primato, essendo il numero deigiovanissimi pari circa ad un terzo dell’intera comunitàimmigrata, più di mille su un totale di circa 3.500. Glistessi studenti stranieri compensano o contrastano latendenza locale alla denatalità: 400 circa sonoattualmente gli iscritti nelle scuole italiane di ogniordine e grado, circa 150 nella elementare tunisina. Èappena il caso di precisare che il decisivoabbassamento dell’età media e la formazione di unaconsistente seconda generazione hanno introdottonella vicenda migratoria nuovi equilibri e significativevariabili, contribuendo a connotare il casodell’immigrazione tunisina a Mazara con tatti distintivie peculiari.Per la sua dimensione microareale l’esperienzamazarese ha una sua esemplarità che si offreall’attenzione degli studiosi dei movimenti migratoricome laboratorio di significati in via di germinazione,come luogo di produzione di nuove morfologie disimbolizzazione spaziale, come osservatorio disperimentazione di traiettorie culturali c di ipoteticimodelli di convivenza e di integrazione interetnica.Quanto succederà a Mazara nei prossimi anni potràessere di qualche utilità per capire quale ipotesi disviluppo potrebbe assumere l’immigrazione stranieranel nostro Paese. Molto dipenderà dalle scelte dei figlidegli immigrati ma il futuro sarà determinato anche daquanto faranno i figli delle famiglie italiane, dallaqualità della convivenza che si riuscirà a realizzare. Aguardare oggi le attuali tendenze si può forseaffermare che i figli degli immigrati si muovono tradue opposti modelli culturali rappresentati dalla scuolaitaliana e dalla famiglia tunisina, e sembrano volerdeclinare questi due contesti senza soluzioni di

continuità e senza apparenti contraddizioni.Nell’impossibilità di essere allo stesso tempo tunisini eitaliani, dicono di essere tunisini e mazaresi, senzaavvertire alcuna incompatibilità tra la fedeltà al Paesed‘origine dei propri genitori e il sentimento diappartenenza alla città siciliana in cui sono nati eabitano.Se è vero che nel contesto transnazionale del nostrotempo le pratiche di ibridazione culturale passanoattraverso i linguaggi e le culture giovanili,particolarmente permeabili alle reciprochecontaminazioni, c’è da augurarsi che i giovani, i figlidegli immigrati stranieri e dei cittadini italiani,costruiscano insieme, attraverso l’esperienza deldialogo e della convivenza, un mondo in cui le identitànon siano minacciose clave da brandire per escluderema beni e risorse da dividere o negoziare per includeree confrontarsi.

IL MAGHREB IN SICILIA 29

G. BONAFFINI, Sicilia e Maghreb tra Sette e Ottocento, Salvatore Sciasciaeditore, Caltanissetta-Roma 1991.CARITAS-MIGRANTES, Immigrazione. Dossier Statistico 2008, EdizioneIdos, Roma 2008.A. CUSUMANO, // ritorno infelice. I Tunisini in Sicilia, Sellerio, Palermo1976.Quando il Sud diventa Nord, in “Archivio Antropologico Mediterraneo”,anno I, n. 0, 1998 pp. 19-33.Cittadini senza cittadinanza, Cresm, Gibellina 2000.Interdipendenza senza integrazione e cittadini senza cittadinanza, in“Archivio Antropologico Mediterraneo”, anno III-IV, n. 3-4, 2001, pp. 25-33.Ascoltare la crescita del grano. Minori stranieri e integrazione linguisticaa Mazara, in “Archivio Antropologico Mediterraneo”, anno VIII-IX, n. 8-9,2005-2006, pp. 73-80.Antropologia e immigrazione. “Il ritorno infelice“ trent’anni dopo, inIsole. Minoranze migranti globalizzazione, a cura di M.G. Giacomarra,Fondazione Ignazio Buttitta, Palermo 2007, vol. 2, pp. 185-204.S. FINZI (a cura di), Memorie italiane di Tunisia, Finzi editore, Tunisi2000; Mestieri e professioni degli Italiani di Tunisia, Finzi editore Tunisi2003.D. MELFA, Migrando a sud. Coloni italiani in Tunisia (1881-1939),Aracne Roma 2008.

PERAPPROFONDIRE

Espulsione ed Attrazione

Il termine “emigrazione” ha sempre evocatoimmagini di uomini miseramente vestiti che,accanto a povere valigie di “spago e cartone”,

attendono, rassegnati, immensi piroscafi. Chi hatentato una spiegazione del fenomeno ha pensatoesclusivamente alla crisi economica che, riducendodrasticamente le possibilità di lavoro, avrebbe avuto lacapacità di espellere intere famiglie, costrette a partiresenza alcuna volontà di farlo, quasi come in un esodo.Depressione e misere condizioni delle classi popolari,tuttavia, sono condizioni endemiche dell’Isola in tutti itempi. Perché quindi, soltanto a cavallo tra Otto eNovecento, la grande migrazione di massa? Quali altrevariabili entrano in campo?A misura che la rivoluzione dei trasporti, nella secondametà dell’Ottocento, determina rivolgimenti economicied accorcia le distanze tra i continenti, sull’Isola sidiffonde una vera e propria cultura dell’emigrazione,veicolata da una fittissima rete di agenti dellecompagnie di navigazione che assolvono al compito divendere il sogno americano.Non ci sono soltanto gli agenti ufficiali, ma migliaia disubagenti che fin nel più sperduto borgo della Siciliadistribuiscono opuscoli e cartoline illustrate con lemagnificenze americane. Così, espulsione ed attrazioneinteragiscono e provocano partenze inizialmente timide edincerte che, però, rapidamente crescono, fino a diventareil fiume emorragico del primo ventennio del Novecento.

Tante Sicilie, tante emigrazioni

Non tutte le zone della Sicilia hanno, però, lemedesime cause e gli stessi comportamenti migratori.Nelle zone agrumetate costiere la crisi dicommercializzazione non è tale da determinare ilblocco delle esportazioni e la riconversione degliaranceti in limoneti finisce per assorbire gran partedella manodopera disoccupata. Uomini e donne, però,partono ugualmente attratti dal miraggio di una vitamigliore. Qui L’America e già nota da tempo, a causadei produttori che già nella prima metàdell’Ottocento, quando gli Stati Uniti erano ancora unmercato privilegiato per gli agrumi siciliani, avevanospostato oltreoceano la sede della propria azienda.

Così dopo la svolta del secolo si aprono inarrestabilicatene di richiamo.Più cogenti, anche se per nulla esaustive, sono leragioni strutturali dell’emigrazione nelle zone costieredel trapanese e nel triangolo isoscele etneo che hacome vertice superiore Randazzo e come base inferiorela costa da Acireale a Fiumefreddo, con al centro ilporto di Riposto. Qui, il modello di sviluppoottocentesco basato sulla produzione ecommercializzazione del vino attraverso importantistrutture di supporto in Francia, Gran Bretagna e negliStati Uniti, entra in crisi con la guerra dei dazidoganali, successiva alle tabelle protezionistiche del1887 e riceve un colpo durissimo, negli anni ’90, conla distruzione di due terzi dei vigneti a causadell’infezione filosserica.La drastica riduzione delleopportunità di lavoro si coniuga sin da subito con lavocazione all’espatrio, particolarmente alta nellapopolazione costiera fatta di marinai e pescatori cheavevano conosciuto anzitempo le rotte mediterranee etransoceaniche sui velieri mercantili frequentati damozzi, sin dall’adolescenza. È difficile, però, ipotizzareche non vi fossero alternative di lavoro in patria. Alcuniproprietari avevano deciso la riconversione delle vignein agrumeto e resisteva comunque un’agricolturatradizionale ortiva ed olearia poco intaccata dalle crisi.Anche in questo caso, quindi, la progressione del primoquindicennio del Novecento è chiaramente ascrivibile

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CAUSE E DINAMICHE DELLA GRANDE MIGRAZIONESICILIANA VERSO GLI STATI UNITIMarcello Saija

Imbarco di emigranti nel porto di Messina negli anni Venti

più ai fattori socioculturali dell’attrazione che non alletrasformazioni strutturali in atto. La Sicilia interna: quella dove, fino al Novecentoinoltrato, il 99% delle terre appartiene all’1% dellapopolazione, e la parte restante è frazionata abeneficio di poche decine di piccoli proprietari; quelladove ogni mattina, sul sagrato della chiesa illuminatodalla incerta luce dell’alba, il gabelloto mafiososceglie, tra decine di jurnateri affamati, a chi toccaguadagnarsi la giornata; quella delle miniere di zolfoe di salgemma che utilizzano i carusi per risparmiaresulla paga concessa agli operai adulti; quella dellamiseria nera attorno allo sfarzo dei palazzi signorili.Questa Sicilia parte subito. Nulla tiene legati gliuomini e le famiglie ad una terra che non consente lasperanza del domani. Certo, quegli strani personaggiche girano per le campagne promettendo Lamerica,suscitano comprensibile diffidenza. Alla fine, però, ilsalto nel buio diventa preferibile al tormento di unasocietà misera,violenta e crudele.Chi parte da questeterre non vuole più tornare; vende le misere cose chepossiede o si indebita fino al collo con parenti eusurai per acquistare il passaggio transoceanico, evolta pagina. Ancora diversa è l’emigrazione dalle piccole isole comele Eolie. Gli abitanti di Salina si accorgono dellafillossera nella primavera del 1889, quando parecchivigneti restano privi di germogli. Poi, in diciotto mesi,assistono impotenti alla morte di quanto era riuscito asopravvivere. Nessuno si aspettava che un piccolo afidesuperasse ventitre miglia di mare e nella festa di fine‘88, al Circolo di conversazione, si era brindato ancoraalla salvezza della malvasia e ai nuovi velieri appenacomprati. Era una filosofia ingenua che, di lì a poco,sarebbe stata spazzata via da un piccolo carico dicanne infette provenienti dalla costa settentrionaledella Sicilia. La monocoltura della vite che aveva resoprospera l’isola nel corso dell’Ottocento facendolievitare una flotta di cento piccoli velieri commerciali,

adesso non lasciava scampo. Padroni marittimi,proprietari terrieri, marinai e contadini non hannoalternative e sono costretti a raggiungere quei tantocriticati compaesani che, nonostante l’eden isolano,per puro spirito d’avventura, a metà Ottocento,avevano stabilito la propria dimora in Sud America onegli Stati Uniti.Nella vicina isola di Lipari, l’attività estrattiva dellapomice languiva in una grave crisi di sovrapproduzioneche portava giù i prezzi a livelli non remunerativi.L’estremo frazionamento della proprietà delle cavealimentava una concorrenza spietata e i pur reiteratitentativi di accordo consortile non avevano avuto esito.Gli operai, non pagati da mesi, erano in permanentestato d’agitazione e il tentativo municipale di diminuirela produzione introducendo una tassa sullo scavatoaveva peggiorato le cose. I vigneti di Corinto nero che producevano passolina eduva passa erano anch’essi devastati dalla fillossera e lealtre isole, colpite come Salina e Lipari dalla malattiadelle viti, non avevano più risorse neanche per i livellidi sussistenza.È in questo stato di cose che l’espatrio diventa sin dasubito l’unica alternativa possibile.Caratteri di più marcata volontarietà hanno invece gliesodi dalle zone iblee. I circondari di Modica, Noto eSiracusa, che fino al dicembre del 1926 sono racchiusinell’unica provincia aretusea, maturano piùlentamente i processi migratori. Episodiche, anche senon rare, sono le partenze per tutto l’Ottocento. Piùdiffuse diventano, invece, nel primo decennio delNovecento, fino ad omologarsi al resto dell’Isola nelperiodo successivo. Spiegare questa peculiarità non èsemplice. Molte cause vi concorrono. Tuttavia, lascarsa incidenza del latifondo e la diffusione dellamedia e piccola proprietà terriera sono,probabilmente, i perni principali attorno a cui èpossibile articolare le ragioni del ritardo. La precocecensuazione enfiteutica delle terre modicane (secoliXV-XVII) e la mobilità negli assetti proprietari che hastoricamente caratterizzato l’intera area finoall’emersione dei ceti massarili nella seconda metàdell’Ottocento, ha fatto del ragusano una delle pochezone della Sicilia nella quale il contadino è riuscito aconservare la speranza nel domani. Così, la piccola emedia proprietà contadina, nonostante i bassi salari aijurnatari (di un terzo inferiori alla media siciliana),riesce a trattenere molti più uomini di quanto faccianoi latifondi o le colture pregiate delle coste. Né èpossibile dire che nell’area degli Iblei non vi fosse lacultura dell’espatrio. Per tutto l’Ottocento da Siracusa,da Pozzallo e da Scoglitti, pescatori, marinai,commercianti e contadini avevano raggiunto Malta evarie località della costa nordafricana ed, in

CAUSE E DINAMICHE DELLA GRANDE MIGRAZIONE SICILIANA VERSO GLI STATI UNITI 31

Emigranti a bordo in viaggio verso l’America

particolare, scalpellini ed operai edili avevano nonpoco contribuito al popolamento delle “Petite Sicile”,durante la fase dell’espansione urbana di Tunisi e LaGoulette. Erano state, però, migrazioni temporaneeche non avevano mai generato catene di richiamo. Ilcentro degli interessi di ragusani e siracusani erasempre rimasto il proprio territorio che avevacontinuato a ricevere i benefici dei profitti ricavatiall’estero. Tutto questo aveva contribuito a fare delcomprensorio ibleo nell’Ottocento, un’areaparticolarmente integrata nella quale, nonostante ledifferenze di ceto e classe descritte da SerafinoAmabile Guastella, i punti di contatto e di reciprocalegittimazione tra gli status sociali erano ben diversida quelli della dicotomica società latifondista. È lastraordinaria espansione demografica, principaleeffetto della diversa condizione contadina, che, agliinizi del Novecento, si coniuga con la frenetica attivitàdi venditori di sogni transoceanici e diventa causadell’emigrazione di massa; ma è anche la sconfitta delsocialismo massimalista ibleo che, nei primi anniventi, completa il quadro delle causalità, generandoanche un’emigrazione politica.

La pressione delle Compagnie di Navigazionee degli agenti migratori

Abbiamo già detto come le cause strutturali nonpossono da sole spiegare il fenomeno migratoriosiciliano. Si ha l’impressione, invece, che le partenzesiano provocate più dalle sirene del richiamo che dallespinte espulsive, del tutto insufficienti a generare dasole decisioni radicali.Appena, a metà ‘800, si apre la stagione migratoriache vede prima partire in massa gli uomini delle vallialpine, del Veneto e del Friuli e poi via via di tutte lealtre regioni d’Italia, in Sicilia aprono lerappresentanze nei porti di Palermo e Messina leprincipali compagnie di navigazione transoceanica: laNavigazione Generale Italiana che nasce sull’isola periniziativa di Florio e Rubattino e che ben presto assorbealtre compagnie minori nate a Messina come la Siculo-Americana ; la Società Italia e il Lloyd Sabaudoanch’esse poi controllate dalla NGI ; la Cosulich ; maanche le principali compagnie di navigazione esterecome la Nordeutcher Lloyd di Brema, la French Line, laCunard e la Anchor Line.In brevissimo tempo le Compagnie di navigazionecreano agenti ufficiali in tante città grandi e piccoledella Sicilia. Gli agenti ufficiali, però, non sono i soli a venderepassaggi transoceanici. Di norma, danno mandato atanti piccoli subagenti che operano fin nei piccolipaesi e talvolta anche nelle frazioni. Costoro eranopersone normalissime che svolgevano le attività più

varie: barbieri, macellai, droghieri ecc. Spessoesponevano fuori dai loro negozi i manifestipropagandistici forniti dalle Compagnie e cercavanoclienti, firmando contratti preliminari prestampati chei danti causa fornivano loro. Le commissioni per gliagenti erano solitamente del 3%, di cui una parteandava al subagente. Confessa un emigrante partito a 14 anni daLinguaglossa nel 1914: “La mia famiglia è stataincoraggiata da un vicino di casa che organizzavapartenze con le navi. Ogni sera, a tavola ci parlavadell’America e mio padre, alla fine decise chedovevamo partire.”Molti altri senza aspettare sollecitazioni dai compaesanivenivano convinti da parenti ed amici che avevano giàda tempo intrapreso la via delle Americhe: scrive unsiculo-americano ad un parente di Fiumedinisi, nel1913: “C’è lavoro in America per chi ha voglia dilavorare. E non è difficile trovarlo. Se vieni te lo cercoio”. E quest’assicurazione era il viatico più efficace.Eradifficile resistere.Gli agenti dell’emigrazione, ufficiali o no che fossero,distribuivano, poi, gratuitamente, guide per gliemigranti nei diversi paesi. Qui, insieme con notizieutili relativi ai passaggi transoceanici, si magnificavanole possibilità di inserimento nelle società dei paesidestinatari. Talvolta si davano anche consigli su comeinvestire i risparmi e spesso si indicavano anche lepossibilità di alloggio con i relativi costi. Una parteveniva poi dedicata a come effettuare le rimesse deisoldi in patria. Le guide più complete ed i manuali sucome apprendere la lingua venivano regalate ovendute a modico costo anche dalle Agenzie diNavigazione nei porti d’imbarco dove gli emigranti sirecavano per ritirare il biglietto prenotato dagli agentio subagenti di zona.A dispensare consigli ed a fornire notizie utili agliemigranti, infine, contribuiva anche il Commissariatoper l’Emigrazione che intratteneva regolarecorrispondenza con tutti i municipi e talvolta provocavaanche inchieste sulle condizioni economiche dellesingole aree al fine di programmare in modo corretto ilfuturo esodo.Così, minacciati dalla crisi, martellati da unapropaganda assordante, i siciliani partono e frotte enel periodo 1902-1925, fanno registrare una nettainversione rispetto all’andamento ottocentesco e, perla prima volta dalla nascita del Regno, nel decennio1901-1911, la popolazione residente subisce unaflessione mai registrata prima. Nei piccoli centriagricoli dell’entroterra, uomini e famiglie, vinta ladiffidenza, si liberano finalmente dal peso dellatifondo, ma anche i paesi e le città costiere nelNovecento registrano percentuali d’esodo altissime.

Marcello Saija32

La preparazione alla partenza

Così come diverse sono le motivazioni della partenza, diversesono anche le modalità. Coloro che partono per puro spiritod’avventura, pur non avendo impellenti necessità di naturaeconomica, si possono permettere il passaggio di prima classe

ed evitano lungaggini burocratiche e formalità che inveceaffliggono gli emigranti per necessità. Percorsi piùagevolati hanno anche coloro che richiamati dai parenti odalle catene migratorie delle Società di Mutuo soccorso,decidono di trasferire oltreoceano una propria attività ocomunque hanno i mezzi per fare piccoli investimenti.

CAUSE E DINAMICHE DELLA GRANDE MIGRAZIONE SICILIANA VERSO GLI STATI UNITI 33

Manifesto propagandistico dell’assicurazione Esperia, diffusissima a partire dal 1904

Decisamente tragica è, invece, la condizione di chi nonha mezzi di sostentamento sufficienti per pagarsi inpassaggio transoceanico. Spesso decidono di venderela propria casa e le poche cose che posseggono e inmolti casi si rivolgono agli usurai di paese che conl’apertura della stagione migratoria aumentano dinumero a causa dell’insolita occasione di fare profitti.Alcuni usurai hanno già fatto l’esperienza americana esono tornati indietro con un po’ di denaro. È il caso dizu’ Peppe Mulè di un paese interno della Siciliadell’area del Vallone che del credito agli emigranti nefa una vera e propria attività. Accadeva spesso che gliemigranti ipotecavano case e terreni, ma non erano poiin condizioni di essere puntuali con i pagamenti per larestituzione dei soldi avuti in prestito. Cosìtempestavano di lettere i debitori e se non riuscivanoad ottenere il dovuto si rivalevano acquistando laproprietà dei beni ipotecati.Altri avevano il problema di lasciare la fidanzata chenon potevano portare con sé per le comprensibiliresistenze della famiglia. Spesso, quindi siimprovvisavano matrimoni. Quando ciò non erapossibile, si programmava un matrimonio per procura,curando di dare il dovuto risalto nella comunità dipartenza.

Dopo la svolta del secolo, le compagnie di navigazioneescogitano un sistema che rende agevole la partenza dichi non ha soldi per il passaggio transoceanico. Gliagenti o i subagenti rastrellano la committenza poi sirivolgono ad un faccendiere in America che a nome delfuturo emigrante chiede ed ottiene un prestito dallebanche italo-americane, garantendolo personalmente.Le banche emettono il biglietto prepagato chespediscono in Italia alle Compagnie di Navigazione. Gliemigranti giunti in America ottengono dal faccendiereun lavoro, ma si vedono trattenere una parte dellabusta paga settimanale fin molto oltre ilsoddisfacimento del credito.

La partenza

Il principale porto di partenza era quello di Palermoche già alla fine dell’Ottocento serviva le lineetransoceaniche, dapprima con scali intermedi nei portidi Napoli o Genova, poi direttamente per New York oper Buenos Aires. Il porto palermitano non era moltoattrezzato a causa dei bassi fondali e le grosse navi nonriuscivano ad attraccare in modo compiuto allebanchine. Un servizio di chiatte trasportava così uominie bagagli fin sotto bordo da dove venivano fattiimbarcare con rudimentali scalette o con paranchi. Col

Marcello Saija34

Comitato direttivo della Società di Mutuo Soccorso Isola di Salina di New York, 1920

tempo, però, gli inconvenienti furono risolti e gliemigranti venivano prima raccolti dietro grandi cancellie poi avviati a piccoli gruppi verso le lunghe scaletteche permettevano l’ingresso a bordo sul fianco deipiroscafi.Pressoché contemporaneamente al porto di Palermo,cominciò ad operare per gli emigranti anche il porto diMessina che fino al 1904 serviva gli scali principali diNapoli e Palermo. Poi anche la città dello stretto ebbela sua linea transoceanica diretta ad opera dellaCompagnia La Veloce. Nel 1908, Messina fu distruttadal terremoto, ma l’agenzia dell’emigrazione de LaVeloce continuò ad operare in una baracca di legno.I porti di Palermo e Messina, agli albori della stagionemigratoria, venivano raggiunti con i tipici carretti chetrasportavano uomini e bagagli. Poi quando alla finedell’Ottocento venne creato un percorso ferroviarioche, seppure tortuosamente attraversava l’intera Sicilia,una linea collegava Siracusa con Messina, toccandotutti i paesi della costa jonica; un’altra, partendo dallostesso capoluogo aretuseo, con diversi cambiattraversava il comprensorio modicano, la provincia diCaltanissetta, l’area del vallone agrigentino fino aPalermo. Una terza linea costiera collegava Marsalacon Trapani e Palermo. Negli anni venti anche Mazaradel Vallo venne collegata con i tracciati esistenti. Daicentri non serviti si operava ancora con i carretti finoallo scalo ferroviario più vicino.

Il viaggio

Pochi giorni prima della partenza o spesso lo stessogiorno, nei porti d’imbarco, presso la sede delleagenzie di Navigazione, gli emigranti si recavano perritirare il biglietto prenotato dagli agenti o subagentidi zona.La traversata durava di regola poco più di un mese. Pergli emigranti era riservata la terza classe che nonconsentiva alcuna privacy. Uomini e donne, se il tempolo permetteva, stavano spesso rannicchiati sul pontecoprendo come potevano i figli più piccoli. Spessosopraggiungevano malattie da raffreddamento epolmoniti che procuravano lutti infiniti. Talvoltascoppiavano epidemie che decimavano i passeggeri. Inquesti casi i cadaveri venivano gettati in mare.

L’arrivo

Chi partiva per gli Stati Uniti, di norma approdava nelporto di New York. Questo, però, non significava cheaveva definitivamente conquistato il suo traguardo.C’erano le formalità di sbarco che per alcuni sitrasformavano in un vero e proprio tormento. Dallebanchine del porto di Manhathan gli emigrantivenivano portati con piccoli battelli nella piccola isoladi Ellis Island, sita a poco meno di un miglio dalla

costa. Qui era ubicato il centro di accoglienza. Dopo laverifica dei documenti e le visite sanitarie e psico-attitudinali, gli ammessi venivano accompagnati inbattello nella penisola di Manhattan e cominciava perloro l’avventura americana. Parecchi, però, per ragionidi salute o di pericolosità sociale, non ottenevanosubito il visto di ingresso e, dopo un periodo diquarantena, da Ellis Island venivano spesso rimandatiai Paesi di origine. Particolarmente severo era l’esamemedico per accertare l’esistenza di malattie infettive econtagiose agli occhi, così come particolarmente duroera l’interrogatorio di coloro che erano sospettati dipraticare idee di sovversivismo sociale. Venivanorispediti indietro anche coloro che non avevano mezzidi sussistenza per vivere il primo periodo e/o nonriuscivano a dimostrare di avere un parente o un amicosul territorio americano che li avesse chiamati o chepotesse garantire per loro. Alla fine dell’Ottocentoveniva rimpatriato anche chi confessava di avere già uncontratto di lavoro a prezzi inferiori ai minimi salarialiconsentiti. Era un durissimo colpo soprattutto percoloro che in patria avevano venduto tutto o si eranoindebitati con gli usurai per pagare il passaggiotransoceanico.

Little Italy

La prima comunità italiana negli Stati Uniti si formanella zona meridionale della penisola di Manhathanattraversata da Mulberry street. Sin dalla finedell’Ottocento i siciliani vi giungono in frotte,richiamati da parenti ed amici. Vivono in grandi

CAUSE E DINAMICHE DELLA GRANDE MIGRAZIONE SICILIANA VERSO GLI STATI UNITI 35

Biglietto di 2ª classe

agglomerati di case misere a più piani,in grandepromiscuità. Poi, piano piano cominciano a spostarsiverso Brooklyn, al di la dell’Hudson river, dove siforma, nel giro di dieci anni la più imponentecomunità italiana d’America. Da Brooklyn italiani esiciliani si spostano ancora fino ad invadere l’interaarea del cosiddetto Greater New York.Qui cominciano la ricerca del lavoro che anche seabbondante ha regole di particolare crudeltà. I mercatigenerali, le attività di scaricamento delle merci dallenavi sono governati da piccoli e grandi caporali checercano manodopera, ma impongono un pizzo sullegiornate lavorative. Per molti non c’è alternativa. Sonocostretti ad accettare i primi ingaggi con salari chepermettono loro soltanto la sopravvivenza. Alcuni

tentano la fortuna e si fanno convincere ad accettareingaggi di lavoro all’interno del territorio americanoper costruire le strade ferrate. Vengono trasferiti inzone malsane dove le compagnie costruisconodormitori di legno freddissimi d’inverno e caldissimid’estate. Spesso anche qui sono soggetti altaglieggiamento dei procacciatori di lavoro e quandonon resistono scappano via alla ricerca di altro, senzaalcuna meta.Se sono fortunati, in alcune piccole città dello Stato diNew York, incontrano embrionali comunità d’italianiche vivono attorno ad una chiesa cattolica e con l’aiutodi qualche prete coraggioso, i nuovi arrivati trovanocondizioni di vita e di lavoro meno onerosi. Chi nonresiste agli stenti ed intende risolvere in breve la suasituazione, se non ha scrupoli legalitari, finisce perpercorrere la via dell’illegalità dove le sirene dellamafia italoamericana sono attivissime nel reclutamentodi manovalanza criminale. A Little Italy domina laMano Nera che controlla il mercato del lavoro, masoprattutto impone tangenti a coloro che si sonocostruiti una piccola attività commerciale. Non c’ènegozio che non venga taglieggiato dalla mafia epersino i piccoli venditori ambulanti di frutta devonopagare il tributo alla banda di zona.Il governo americano tenta di correre ai ripari e reagiscecon retate ed arresti. Sono in molti i poliziottiitaloamericani impegnati nella lotta contro la criminalitàmafiosa e tra essi anche il tenente Joe Petrosino, cheviene spedito in Sicilia al fine di recidere i cordoni tra lecosche dell’Isola e la criminalità newyorkese, ma vi trovala morte in un agguato il 12 marzo 1909.

Marcello Saija36

Lavoratori siciliani nel porto di New York

L’incidente si è verificato in un punto del MarMediterraneo a circa 60 miglia a Nord-NordEstdi Bizerta, subito prima di mezzogiorno del 7

Novembre 1915.L’Ancona era una nuova nave di linea di circa 8.000tonnellate, orgoglio della flotta passeggera italiana.Era al secondo giorno di navigazione del viaggioNapoli - New York, via Messina. Trasportava carico, 496passeggeri e l’equipaggio. A bordo vi erano circa unadozzina di cittadini americani.Il mare era nebbioso e cupo. Sul ponte il CapitanoPietro Massardo aveva ricevuto via radio un avviso cheriferiva di sommergibili nelle vicinanze, ma non nefece cenno ai passeggeri. Essi erano intenti alle soliteoccupazioni di mezzogiorno: c’era chi faceva colazionenella sala pranzo, chi riposava nelle cabine e chigiocava a “Domino”.

Improvvisamente un colpo di cannone attraversò lascia dell’Ancona ed esplose nello specchio di marevicino. Era un colpo di avvertimento sparato da ungrande sommergibile. Il Capitano Massardo ordinòuna veloce fuga a zig-zag. Il sommergibile si poseall’inseguimento, dirigendo il fuoco direttamentesulla nave. Incapace di eludere l’inseguitore,l’Ancona, raggiunta da tre colpi, si fermò. Ilsommergibile, emerso, dispiegò la bandiera Austro-Ungarica ed espose il segnale “Abbandonare lanave”.Il capitano Massardo tentò di evacuare ordinatamentel’Ancona, ma il panico tra i passeggeri e l’equipaggiovanificò i suoi sforzi. Nella foga di scappare, alcunilanciarono a mare le scialuppe quando ancora l’Anconaera in piena navigazione e furono sommersi all’impattocon le onde. Talune imbarcazioni rimasero impigliate in

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L’AFFONDAMENTO DEL TRANSATLANTICO “ANCONA”Alessandra Nobili

Il luogo dell’affondamento del transatlantico italiano Ancona [Elaborazione G.I.S.: Unità Operativa V - S.I.T. della Soprintendenza del Mare]

elementi dell’equipaggiamento della nave, facendoprecipitare gli uomini in mare. Solo alcuni fra ipasseggeri e gli uomini dell’equipaggio riuscirono aprendere posto correttamente nelle lance di

salvataggio, altri le raggiunsero a nuoto, dopo essersilanciati dal ponte.Ma un piccolo gruppo di passeggeri si rifiutò disbarcare. Questo gruppo, probabilmente 20 persone intutto, era ancora a bordo tre quarti d’ora dopo cheall’Ancona fu intimato l’alt. Allo scopo di affrettarel’evacuazione, il comandante del sommergibile ordinòdi far fuoco a prua della nave, ma ciò non fece cheaumentare il terrore di quanti si trovavano ancora sulpiroscafo. Avendo avuto sentore che una nave si stavaavvicinando, e temendone le intenzioni, pur sapendoche a bordo c’erano ancora dei civili, il comandante del

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Il piroscafo Ancona della “ITALIA” Società di Navigazione a Vapore in unacartolina ad uso dei passeggeri

Le vicende dell’affondamento dell’Ancona nel racconto della dottoressa Greil pubblicato sul The New York Times del 9 gennaio 1916

sommergibile decise di portare a termine comunquel’attacco e, alle 12:35 P.M., ordinò al suo battello diimmergersi e di sparare un siluro alla stiva anterioredell’Ancona. Il piroscafo, colpito, lentamente sisommerse ed infine, alle 1:20 P.M., si inabissò. Tuttiquelli che rimasero a bordo persero la vita.Non è noto il numero esatto delle persone che perirononell’affondamento dell’Ancona, ma secondo le stimenove di loro erano cittadini americani.Dal momento che il sommergibile aveva esposto labandiera austro-ungarica durante l’attacco, il Governodegli Stati Uniti protestò con Vienna. Ne derivò unacrisi diplomatica tra Stati Uniti e Impero Austro-Ungarico».Questi brani, riguardanti l’affondamento del piroscafoitaliano Ancona, sono tratti da un articolo in inglese diGerald H. Davis, The “Ancona” affair: a case ofpreventive diplomacy, pubblicato sulla rivistaamericana “The Journal of Modern History”, nel 1966.

Il piroscafo Ancona

L’Ancona era un piroscafo di nazionalità italianacostruito a Belfast dalla Workman, Clark & Co. Ltd perla compagnia Italia, Società di Navigazione a Vapore -Genova e completato nel 1908. Aveva una stazza di8.210 tonnellate, due eliche, e raggiungeva unavelocità di 16 nodi. Era dotato di un apparato motorecomposto da 2 macchine a triplice espansione chesviluppavano una potenza di 2.000 cavalli. Dimensioni:m 146,99 di lunghezza per m 17,77 di larghezza.Poteva ospitare 60 passeggeri nella prima classe e2.500 nella terza, quasi sempre emigranti.

Il 26 Marzo 1908 fece il suo viaggio inauguralepartendo da Genova e seguendo la rotta Napoli - NewYork - Philadelphia. Fu anche adibito, per un periodo,alla linea Genova - Buenos Aires. In occasione delterremoto di Messina del 1908, venne impiegato per iltrasporto di materiali della Croce Rossa. Nel 1910 subìdelle modifiche e una revisione degli alloggi perl’inserimento della seconda classe (120 passeggeri),raggiungendo le 8.885 tonnellate di stazza lorda.

L’ITALIA, Società di Navigazione a Vapore

L’Italia, Società di Navigazione a Vapore fu fondata aGenova nel 1899 ed effettuava servizi o trasporti fral’Italia e il Sud America. Anche se l’Italia Società diNavigazione era registrata in Italia, la compagnia, difatto, era controllata dalla Hamburg America Line.Nel 1906 la Navigazione Generale Italiana comprò leazioni della parte tedesca dell’Italia. Nel 1908 le navidella compagnia cominciarono a viaggiare per NewYork e Philadelphia. Nel 1917 l’Italia fu assorbitadalla nuova compagnia Transoceanica SocietàItaliana di Navigazione, quasi una filiale dellaNavigazione Generale Italiana. Le più famose navi di

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FOTO E IMMAGINI D’EPOCA DEL TRANSATLANTICO ANCONA (www.agenziabozzo.it): 1 La nave a vapore Ancona in navigazione in una cartolina con i colori dellaCompagnia Italia Società di Navigazione a Vapore di Genova. 1910 ca.; 2 Il piroscafo in una cartolina del 1910 ca.; 3 La nave in una cartolina del 1912;4 Il transatlantico in navigazione in un manifesto a cura della Sede di Napoli della Compagnia Italia Società di Navigazione a Vapore di Genova. EdizioniStabilimento Richter, Napoli. 1910 ca.; 5 Il piroscafo in una accostata. 1910; 6 Il piroscafo alle Chiuse di Gatún festeggia con il pavese il passaggio del Canale diPanama, aperto da qualche mese. 1914.

Manifesto pubblicitario della societàdi navigazione

Il transatlantico Ancona(franck.priot.com)

questa compagnia erano l’Ancona, il Sannio-Napolidi 9.203 tonnellate, il Taormina ed il Verona di 8.240tonnellate.

L’affondamento del piroscafo e l’incidentediplomatico

Nel corso del 1915, per le esigenze belliche, l’Anconavenne requisito. Il piroscafo fu affondato con cannonee siluri dal sommergibile tedesco U-38, battentebandiera Austro-Ungarica, nelle acque a sud-est della

Sardegna il 7 Novembre 1915, mentre, partitodall’Italia, faceva rotta verso New York. Era al suosecondo giorno di navigazione. Aveva fatto scalo aMessina, provenendo da Napoli. Trasportava anche uncarico di 12 bauli di monete d’oro.La nave ha trascinato con sé, negli abissi, i corpi dicirca 20 persone, fra cui 9 cittadini americani.In tutto, nella tragedia, persero la vita più di 200persone. Alcune scialuppe di salvataggio affondarono.Dieci giorni dopo la tragedia furono trovati dei corpi di

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La notizia dell’affondamento dell’Ancona e di 27 cittadini americani scomparsi sul quotidiano Chicago’s American dell’11 novembre 1915

naufraghi sulla spiaggia “Galera” dell’Isola diMarettimo; i giornali locali, ancora ai nostri giorni,ricordano l’episodio.La nave giace in acque internazionali, a circa 90 migliamarine ad Ovest di Marettimo, su un fondale di circa500 metri.Lunghe vicende giuridico-diplomatiche connotarono ilcaso, essendo l’incidente dell’Ancona occorsonell’ambito del periodo di neutralità dell’Americadurante la Prima Guerra Mondiale e avendo coinvoltonell’affondamento cittadini americani noncombattenti.Nella nota di rimostranze che gli Stati Uniti inviarono aVienna si sottolineava che il governo Austro-Ungaricoera a conoscenza della corrispondenza diplomatica traGermania e America (seguita ai casi degli affondamentidel Lusitania e dell’Arabic), nella quale la Germaniaaveva convenuto sulla necessità di provvedere amettere in salvo i non combattenti prima di distruggereuna nave e che quindi l’accaduto si configurava comeuna grave violazione delle leggi internazionali e deidiritti umani.Ritenendo inverosimile che il governo Austriaco avesseconsentito ad un suo sommergibile di provocare lamorte di uomini, donne e bambini indifesi, l’Americapreferì dedurre che fosse stato il comandante adisobbedire agli ordini e quindi chiese che il governoAustro-Ungarico riconoscesse l’affondamentodell’Ancona come illegale, che fosse punito il

comandante e che venisse pagata un’indennità per icittadini americani rimasti uccisi.In una lettera di risposta del 29 Dicembre il governoAustro-Ungarico asserì di concordare sulla tesi dellaresponsabilità del comandante e assicurò che le trerichieste sarebbero state accolte.In realtà l’attacco contro il piroscafo italiano era statosferrato da un sommergibile tedesco – l’U-38,comandato dal Luogotenente Max Valentiner –dispiegante bandiera Austro-Ungarica, e per di piùquando la Germania non era ancora in guerra conl’Italia.Il particolare che il sommergibile fosse tedesco fu svelatoufficialmente agli Stati Uniti solo nel 1925. Di fatto sulmomento, anche se obtorto collo, gli Austro-Ungaricicoprirono il governo tedesco, addossandosi la colpa.Al Luogotenente Valentiner, lungi dall’essere punito,furono invece conferite, insieme ad altri comandantidella marina tedesca, onorificenze di guerra ed elogiper aver affondato navi Britanniche e Francesi, contruppe, e “numerose navi a vapore Italiane”. Laproclamazione reca la firma di Francesco Giuseppe I edè datata 11 Dicembre 1915. Le decorazioni non sono mai state revocate, néValentiner è stato mai punito in altra maniera.Dal 9 Dicembre al 1° Gennaio, Valentiner fu in servizioattivo nel Mediterraneo Orientale: il 30 Dicembre siluròsenza preavviso la nave di linea Inglese Persia, cheaffondò.

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Il sommergibile tedesco U-38 (en.wikipedia.org)

Recentemente, a causa del carico di bauli di moneted’oro che si presume sia in fondo al mare insieme allanave, il relitto è stato oggetto di ricerche e tentativi direcuperi da parte di cercatori di tesori americani.Della vicenda, la Soprintendenza del Mare ha allertatole autorità competenti, interessando nello specifico ilMinistero degli Affari Esteri e il Ministero per i Beni e leAttività Culturali.Ne sono derivate azioni, sia sul piano diplomatico siasul piano giuridico, di particolare complessità edelicatezza, dal momento che il relitto giace in acqueinternazionali. Ci auguriamo che il caso trovirapidamente una positiva soluzione e che il relitto e isuoi morti possano tornare a riposare in pace nel fondodel mare.

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Il comandante del sommergibile tedesco U-38, Max Valentiner(www.max-valentiner.dk)

GERALD H. DAVIS, The “Ancona” affair: a case of preventive diplomacy,pubblicato sulla rivista americana “The Journal of Modern History”, vol.38, n. 3 (Sep. 1966), pp. 267-277. L’articolo si basa su documenti di:United States National Archives (NA), Kriegsarchiv (KA), Haus-, Hof-, undStaatsarchiv (HHSA) divisioni degli Archivi di Stato Austriaci. Molti deidocumenti americani sono stati pubblicati in: Papers relating to theforeign relations of the United States, 1915. Supplement: the world war(Washington, 1928) e in The Lansing papers (2 voll.; Washington, 1939)nella stessa serie.

Gli affondamenti operati dal Valentiner, nel corso della sua carriera,sono descritti nei suoi scritti: 300,000 Tonnen versenkt! Meine U-Boots-Fahrten (Berlin, 1917); Der Schrecken der Meere: Meine U-Boots-Abenteuer (Zurich, 1931); e U-38: Wikingerfarhten eines deutschen O-Bootes (Berlin, 1934).

PERAPPROFONDIRE

I tentativi di depredazione

Il relitto del piroscafo Ancona, per la sua storia e per lesue caratteristiche, rappresenta per l’Italia in generalee per la Sicilia in particolare, una memoria di specialeimportanza.

1.In base all’art. 63 del Trattato CE il Consigliodell’Unione Europea avrebbe dovutoconcludere, già entro il 2004, accordi di

riammissione con i paesi terzi o includere clausolestandard di riammissione negli accordi di cooperazioneeconomica e di associazione. Queste intese sonosostanzialmente fallite per le diverse posizioni deipartner europei nei rapporti con i paesi di origine e diprovenienza (e sulla distribuzioni delle enormi spesedelle politiche di sbarramento delle frontiere e dirimpatrio forzato).Nella Comunicazione della Commissione al Consigliodell’ Unione Europea del 30 novembre 2006“Rafforzare la gestione delle frontiere marittimemeridionali” si individuava “ l’esigenza di cooperarecon i paesi di transito dell’Africa e del Medio Orienteper trattare la questione dei migranti illegali”. La crescita economica di alcuni dei paesi di transito,soprattutto nell’Africa settentrionale, ma non solo, e lericorrenti crisi attraversate dalle istituzioni comunitariee dai singoli paesi europei hanno perà rallentato lapolitica dell’Unione Europea in questa direzione,malgrado gli ambiziosi programmi che periodicamentevenivano annunciati, fino al “Patto europeosull’immigrazione” del 2008 ed adesso al Programmadi Stoccolma per il quinquennio 2009-2014. In variomodo si può comunque ritenere che il principio della“condizionalità migratoria” abbia fortementecondizionato le relazioni tra i paesi europei e gli statiafricani maggiormente interessati per la loro posizionegeografica al transito dei migranti irregolari direttiverso l’Europa. Gli accordi di riammissione e di cooperazione di poliziaa carattere bilaterale sono rimasti lo strumento centraledelle politiche migratorie dei principali paesi europei.Solo negli ultimi anni si è assistito alla stipula diaccordi di riammissione multilaterali, tra l’UnioneEuropea, da una parte, e singoli stati di transito o diprovenienza, dall’altra. Sono così stati stipulati gliaccordi tra l’Unione Europea e paesi lontani diprovenienza, come Hong Kong e Macao, oppure conpaesi di transito più vicini, come la Moldavia, l’Ucraina,l’Albania, mentre continuano a fallire i tentativi diaccordo che diverse agenzie dell’Unione Europeahanno rivolto da tempo ai paesi nordafricani per

riuscire a concludere intese multilaterali aventi adoggetto l’immigrazione.Il contrasto all’immigrazione clandestina, propriograzie agli accordi bilaterali di riammissione, stipulatidai principali paesi europei, si è tradotto così nellosbarramento dei percorsi, sempre più lunghi erischiosi, dell’immigrazione irregolare, l’unica viaconsentita di fatto per raggiungere l’Europa e nellanegazione sostanziale del diritto di asilo e diprotezione umanitaria. Gli accordi bilaterali diriammissione sono stati negoziati o sottoscritti conpaesi, come la Libia e la Turchia, che nonriconoscevano il diritto di asilo, né rispettavano idiritti fondamentali della persona, giungendo apraticare sistematicamente la detenzione inisolamento, senza la possibilità di contatti confamiliari o avvocati, la tortura ed altri trattamentiinumani o degradanti, prevedendo ancora nellalegislazione interna la pena di morte. Ma la situazionedei diritti umani non è migliore in altri paesi come laTunisia, lo Sri Lanka, la Nigeria ed il Pakistan, con iquali l’Italia, al pari degli altri paesi europei, haconcluso accordi bilaterali di riammissione.In molti casi, gli accordi di riammissione hannoconsentito la esecuzione di vere e proprie espulsionicollettive, vietate dalle convenzioni internazionali,come i respingimenti collettivi in mare ed i volicongiunti di rimpatrio degli immigrati scoperti incondizione di soggiorno irregolare, in quanto le formedi riconoscimento da parte dell’autorità diplomaticadel paese ricevente sono state tanto sommarie da nonconsentire neppure una attribuzione certa dellanazionalità. In questi anni si è avuta anche notizia di numerosi casidi respingimento di potenziali richiedenti asilo, e didetenzione in condizioni disumane e degradanti, comesi è verificato nel caso degli eritrei detenuti nel carceredi Misurata ed in altri luoghi di detenzione segreti,anche in fosse scavate nel deserto, persone che unavolta giunti in un paese di transito come la Libia, sonostati consegnati dalle autorità di polizia di quello statoai paesi dai quali fuggivano, come il Sudan e l’Eritrea.Gli accordi di riammissione e la esternalizzazione deicontrolli di frontiera hanno comunque impedito che ipotenziali richiedenti asilo raggiungessero i paesi

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LA NUOVA DIMENSIONE ESTERNADELLE POLITICHE COMUNITARIEIN MATERIA DI IMMIGRAZIONE E ASILOFulvio Vassallo Paleologo

europei e hanno costituito la base per legittimare ladetenzione amministrativa di profughi e migrantieconomici, con la “delocalizzazione” degli apparati dicontrollo ai confini meridionali ed orientali dei centri ditrattenimento. L’Italia, dopo le intese raggiunte tra idiversi governi che si sono succeduti nel tempo eGheddafi, si sta adesso impegnando tramite impreseoperanti nel settore dell’elettronica alla realizzazione diun sistema di controllo della frontiera meridionaledella Libia nell’ambito di un progetto finanziato permetà dal nostro paese e per metà dall’Unione Europea.

2.Il Libro Verde sul rimpatrio delle persone chesoggiornano illegalmente in Europa ribadivanel 2002 che le politiche di rimpatrio dei paesi

dell’Unione devono rispettare non solo la Convenzionedi Ginevra sullo status dei rifugiati ed il Protocollo diNew York del 1967, ma anche le disposizioni dellaConvenzione Europea dei diritti dell’uomo e la Cartadei diritti fondamentali approvata a Nizza nel 2000,che sancisce il diritto di asilo e vieta le espulsionicollettive. Adesso, con l’approvazione del mini trattatodi Lisbona, la Carta di Nizza assumerà valorevincolante, incluso il divieto di espulsioni collettive, ela Corte di giustizia dell’Unione Europea potrebbe- sesolo lo volesse- intervenire per sanzionare gli abusi ed itrattamenti disumani e degradanti che gli stati europeipongono in essere o consentono, ai danni dei migrantiirregolari. Eppure malgrado la Libia non abbia maisottoscritto la Convenzione di Ginevra sui rifugiati emalgrado gli altri paesi nordafricana riconoscano inpochissimi casi la protezione internazionale rilasciatidagli uffici dell’ACNUR si susseguono gli sforzidell’Unione Europea per “esternalizzare” le procedureper il riconoscimento dello status di rifugiato, anchecon la creazione di una nuova Agenzia europea, ancorauna volta su forte sollecitazione del governo italiano,che dovrebbe garantire un trattamento più rapido edomogeneo delle richieste di asilo, anche al di fuori deiconfini dell’Unione.L’esternalizzazione dei controlli di frontiera, cheassume adesso una dimensione effettiva con le intesetra Spagna e Marocco, tra Grecia e Turchia, esoprattutto dopo gli accordi ed i protocolli operativistipulati nel 2007 e nel 2008 dall’Italia con la Libia, lachiusura di tutte le vie di accesso per i potenzialirichiedenti asilo con i respingimenti collettivi in mareed alle frontiere marittime, e le retate operate con“pattuglie miste” delle polizie presenti nei paesi ditransito, come la Libia e la Grecia, ai danni deimigranti irregolari, spesso donne e minori, o altripotenziali richiedenti asilo, stanno aggravando glieffetti devastanti delle politiche proibizioniste adottateda tutti i paesi europei nei confronti dei migranti in

fuga dalle guerre, dai conflitti interni e dalladevastazione economica ed ambientale dei loro paesi. Le responsabilità di questo imbarbarimento delleregole, nella “guerra all’immigrazione illegale” checoinvolge adesso anche i potenziali richiedenti asilo,sono molteplici, sia a livello nazionale che a livellocomunitario e vengono da lontano, a partire dallescelte proibizioniste dei paesi che negano ai migrantiqualsiasi possibilità di accesso legale, dalla creazionedell’agenzia per il controllo delle frontiere esterneeuropee FRONTEX nel 2004, dalla incapacitàdell’Europa di darsi una politica comune dell’asilo,malgrado la produzione alluvionale di Direttive eRegolamenti, limitandosi a legittimare la cd.“cooperazione operativa” tra i vari paesi, unacooperazione operativa che copre gli abusi della poliziedi frontiera e rende impossibile fare valere i piùelementari diritti di difesa.A livello mediatico si va creando un pericoloso sensocomune contrario agli immigrati e persino airichiedenti asilo, trattati come questuanti che ricorronoa sotterfugi per garantirsi un ingresso nel territorioitaliano, magari anche a costo di raccontare di cadaveriche secondo la polizia non sono mai esistiti. Ma poi ilmare conferma tragicamente le prime dichiarazionidegli stessi migranti, riconsegnando le spoglie dellevittime davanti alle spiagge invase dal turismo dimassa, come è successo ancora di recente aLampedusa. Bastano però pochi termini fumosi in unaintervista televisiva o in un comunicato ministeriale,ripreso acriticamente dai mezzi di informazione, perrassicurare l’opinione pubblica e camuffare la continuainvoluzione delle diverse forme di contrastodell’immigrazione irregolare verso la negazionesostanziale dei più elementari diritti fondamentali dellapersona. Il caso dei rapporti tra Italia e Libia è, ancheda questo punto di vista, emblematico.

3.Per quanto riguarda il controllo delle frontieremarittime, a partire dal 2006, si sosteneva daparte della Commissione Europea la necessità

che che l’Unione adottasse una duplice impostazione,individuando “una serie di provvedimenticomplementari che possano essere attuatiseparatamente: a) provvedimenti operativi da eseguireimmediatamente, intesi a combattere l’immigrazioneillegale, proteggere i rifugiati e rafforzare il controllo ela sorveglianza delle frontiere marittime esterne;b) sviluppo delle relazioni già esistenti e dellacooperazione pratica già stabilita con i paesi terzi,tramite il proseguimento e il rafforzamento del dialogoe della cooperazione con i paesi terzi sulle misureoperative nell’ambito degli accordi di associazione

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euromediterranei e dei piani di azione PEV, nonché nelquadro dell’accordo di Cotonou”.Si prendeva comunque atto, da parte dellaCommissione, come l’immigrazione irregolare viamare alle frontiere esterne marittime meridionalidell’Unione europea fosse ormai diventata unfenomeno misto, “comprendente al tempo stessoimmigranti illegali che non richiedono particolareprotezione e rifugiati che necessitano di protezioneinternazionale”. Secondo la Commissione “la rispostadell’Unione va orientata di conseguenza. L’asilo devecostituire un elemento di rilievo di tale risposta eun’opzione efficace per le persone che necessitano diprotezione internazionale. A tale scopo, occorreassicurare che gli Stati membri applichino con coerenzaed efficienza gli obblighi di protezione, per quantoriguarda l’intercettazione e il salvataggio in mare dipersone che possano necessitare di protezioneinternazionale e la sollecita identificazione di questepersone dopo lo sbarco, presso i luoghi di accoglienza.Va sottolineato che, da questo punto di vista, i paesiterzi hanno naturalmente gli stessi obblighi”.Dalla Comunicazione della Commissione al Consiglioadottata nel 2006 fino ai più recenti atti adottati alivello europeo per intensificare il controllo allefrontiere marittime meridionali sono però rimastenumerose questioni irrisolte, dal punto di vistaoperativo e dal punto di vista del rispetto del dirittointernazionale del mare.Si afferma infatti che “determinare più esattamente ilcorretto modus operandi per intercettare leimbarcazioni che trasportano, o che si sospetta chetrasportino, immigranti illegali nell’Unione europeamigliorerebbe l’efficienza, decisamente necessaria,delle operazioni congiunte volte a prevenire e dirottarel’immigrazione illegale via mare, alle quali partecipanole forze di diversi Stati membri che non sempre hannoun’idea comune sul modo e sul momento in cuisvolgere tali intercettazioni. Nello svolgimento delleoperazioni congiunte, la chiave del successo è costituitadal lavoro di squadra e dalle sinergie tra gli Statimembri. In tale contesto, accordi regionali potrebberodefinire il diritto di sorveglianza e di intercettazionedelle imbarcazioni nelle acque territoriali dei paesi diorigine e di transito, agevolando l’attuazione dioperazioni congiunte da parte di FRONTEX, in quantoeviterebbe la necessità di accordi ad hoc per ognisingola operazione”.Si sottolinea tuttavia ancora oggi, nelle proposte direvisione del regolamento 2007/2004/CE che istituiscel’agenzia Frontex, che “una questione da approfondiree chiarire è la determinazione del porto di sbarcopiù appropriato dopo il salvataggio in mare ol’intercettazione; strettamente legato ad essa è il

problema dell’attribuzione delle responsabilità diprotezione tra i vari Stati che partecipano alleoperazioni di intercettazione, ricerca e salvataggio, neiconfronti di coloro che richiedono protezioneinternazionale. Infatti la determinazione del luogoappropriato per lo sbarco implica spesso, in pratica,che lo Stato interessato sia competente per l’esamedelle esigenze di protezione dei richiedenti asilo tra lepersone salvate o intercettate”.Malgrado a livello europeo si rilevi come meritiparticolare attenzione“ la portata degli obblighi diprotezione imposti a uno Stato dal rispetto delprincipio di non respingimento, nelle numerose ediverse situazioni in cui le imbarcazioni di uno Statoattuano provvedimenti di intercettazione o di ricerca esalvataggio, non si sono ancora raggiunte intesegiuridicamente vincolanti ed i casi di respingimentocollettivo continuano a ripetersi. Al “successo” dellepolitiche bilaterali di controllo delle frontieremarittime, come nel caso di Spagna e Marocco e diItalia e Libia, è corrisposto il fallimento dei sistemi di“contrasto dell’immigrazione clandestina” affidati a“pattuglie congiunte” dell’Unione Europea. Al di làdella costituzione ( sulla carta) di un corpo comune dipolizia di frontiera ( RABIT), si ripropone oggi laconvenienza della vecchia politica degli accordiblaterali, e nel mese di maggio di quest’anno Malta harifiutato di ospitare una operazione di Frontex,denominata Chronos 2010 proprio adducendo ilsuccesso degli accordi tra Italia e Libia.I respingimenti collettivi attuati nel 2009 dalle unitàmilitari italiane, in particolare dalla Guardia diFinanza, su ordine del ministero dell’interno, vannoben oltre le regole di ingaggio previste a livellocomunitario e superano persino le attività di“pattugliamento congiunto” e di formazione delpersonale di polizia di frontiera, previste dai protocollisottoscritti nel 2007 da Amato e dal capo della polizia.Gli stessi protocolli prevedono espressamente leattività di salvataggio, nel quadro delle convenzioniinternazionali, proprio da parte dei mezzi impiegatinel pattugliamento congiunto italo-libico. Non si vededunque come si possano giustificare i respingimenticollettivi o attribuire esclusivamente a Malta laresponsabilità per i casi di omissione di soccorsoverificatisi nelle ultime settimane nel canale di Sicilia.Le attività di pattugliamento congiunto, come emergedai protocolli, non comprendono il respingimentocollettivo con il trasbordo dei migranti su unitàitaliane e la riconsegna alla polizia libica. Su questifatti, alla luce dei protocolli e degli accordi sottoscrittidall’Italia con la Libia, dovrà indagare la CommissioneEuropea e la Corte Europea dei diritti dell’Uomo, inattesa che la magistratura italiana prenda atto che gli

LA NUOVA DIMENSIONE ESTERNA DELLE POLITICHE COMUNITARIE IN MATERIA DI IMMIGRAZIONE E ASILO 45

abusi commessi in acque internazionali da autoritàstatali, impegnate in attività di contrastodell’immigrazione ”clandestina”, rientrano nella suacompetenza.

4.Sembra dunque fallito il sistema di controllodelineato dagli accordi di Schengen e di Dublino,come è confermato dalla crescita esponenziale

dei cd. “overstayers”, migranti irregolari che sono entraticon un visto breve Schengen (VIS) e dalla riduzione deisoggetti che accedono alla procedura di asilo allefrontiere europee, anche per i comportamenti abusivi dipaesi come la Grecia o Malta che non sono apparsiparticolarmente inclini a collaborare nell’ambito di unagestione congiunta delle richieste di asilo. Non è stataneppure approvata la proposta di direttiva del 2001 cheprevedeva la possibilità di canali di ingresso legale perricerca di lavoro.A livello europeo si è raggiunto soltanto un accordo difacciata sulle misure repressive che dovrebberoarginare i movimenti dei migranti irregolari come ilRegolamento Frontex e il regolamento sui volicongiunti di rimpatrio. Senza garantire canali diingresso legali, neppure per i richiedenti asilo, lepolitiche di sbarramento delle frontiere hannoaumentato i rischi delle partenze degli immigratiirregolari, costretti a cambiare continuamente rotta,sempre più ad oriente, e dunque il profitto deitrafficanti, oltre ad arricchire i datori di lavoro chesfruttano i migranti costretti all’ingresso clandestino. Equesto disastro umano viene propagandato come un“successo storico” anche se sono soltanto 80-90.000all’anno i migranti che annualmente riescono adattraversare il Mediterraneo giungendo in Europa,mentre sono diverse centinaia di migliaia coloro cheattraversano clandestinamente le frontiere terrestri, ogiungono negli aeroporti internazionali, oppureancora si trattengono nel territorio europeo dopo lascadenza del visto breve (tre mesi) previsto dal Codicedelle Frontiere Schengen, sottoposto ancora di recentea modifiche ed integrazioni con il Regolamento 526del 2010.Con il programma di Stoccolma per il quinquennio2009-2014 oltre alle premesse per una estesadiscriminazione tra immigrati giunti in Europa da paesiterzi e cittadini comunitari, come emergeinconfutabilmente dall’ossessivo richiamo al termine“cittadino europeo” nella parte riguardante i diritti e lelibertà, si aggiunge un ulteriore rafforzamento inchiave meramente repressiva delle agenzie di controllocome EUROPOL ed EUROJUST, un rilancio, ed unsostanziale rifinanziamento di FRONTEX. Si prospettal’ampliamento dei compiti affidati a questa agenzia,dal mero controllo delle frontiere alla esecuzione delle

operazioni di riaccompagnamento forzato, anche se lestime di budget bloccate dai primi effetti della crisieconomica europea non lasciano presagire miglioririsultati di quelli già “deludenti”, dal punto di vistadella effettività delle misure di accompagnamentoforzato, degli anni passati. Nel Programma diStoccolma si prevedono inoltre risorse finanziare perincentivare la collaborazione di paesi terzi di transito aiquali, sulla base di nuovi accordi bilaterali omultilaterali, si vorrebbe commissionare il compito dibloccare i flussi migratori irregolari e di deportare neipaesi di origine quanti si accingono a partire verso lefrontiere europee. E tutto questo nella prospettiva diun restringimento del diritto di asilo, con la istituzionedi una agenzia europea per il diritto di asilo, di unridimensionamento dei ricongiungimenti familiari, edella riapertura della possibilità di espellere minorinon accompagnati. Ma l’aspetto più preoccupante del Programma diStoccolma è la prospettiva chiaramente tracciata daBruxelles che prevede la collaborazione, nelle politichedi contrasto delle immigrazioni irregolari, con paesiterzi di transito governati da regimi dittatoriali che nonrispettano i diritti fondamentali della persona, comeEgitto, Tunisia e Libia. In questa stessa prospettiva la“esternalizzazione” del diritto di asilo, la cosiddettadimensione esterna del diritto di asilo, richiamataespressamente nello stesso programma, rischia dicancellare del tutto il diritto di asilo e lo stesso accessodei potenziali richiedenti asilo in Europa. Si ribadisceinoltre la centralità della Convenzione di Dublino chestabilisce la competenza dei diversi paesi nell’esamedelle domande di asilo, e si bloccano le possibilità diun suo superamento, al quale si lavorava da tempo alivello comunitario, dopo i fallimenti e gli abusi cheavevano portato molti stati (come la Norvegia e laGermania nei confronti della Grecia) a sospendernel’applicazione. Si stipulano o si auspica la stipula di accordi con paesiche non rispettano i diritti umani e poi si cerca difornire una copertura formale alle operazioni di poliziache si traducono nel respingimento collettivo, nellaviolenza privata o nella omissione di soccorso. Èsingolare, al riguardo il richiamo, nello stessoprogramma di Stoccolma, all’esigenza di trovare unabase legale e nuove regole di ingaggio per leoperazioni congiunte per il contrasto a maredell’immigrazione irregolare. Sulla questione sono allavoro da tempo esperti di diritto internazionale che,anche attraverso convegni finanziati a livellocomunitario, e progetti internazionali di ricerca stannocercando di trovare nuove soluzioni giuridiche chepermettano di eludere i divieti posti dalle Convenzionisul diritto del mare, dalla Convenzione di Ginevra

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(divieto di refoulement) e dalla Convenzione Europea asalvaguardia dei diritti dell’uomo (divieto ditrattamenti inumani o degradanti e divieto diespulsioni collettive).

5.Alla fine di marzo del 2010 il Parlamentoeuropeo ha varato le linee-guida per la ricerca,il soccorso e lo sbarco degli immigrati in

pericolo in mare, con una serie di disposizioni che purnon avendo un carattere strettamente vincolante,riguardano l’Agenzia per le frontiere Frontex, previstadal regolamento 2007/2004/CE. Non si è modificatodunque il regolamento istitutivo dell’Agenzia, ma acausa del suo tenore estremamente generico è statopossibile integrarne la portata con delle “linee guida”.Non sembra che la scelta adottata porterà a prassi piùsicure nei confronti di coloro che tentano la traversataper mare verso l’Europa e notevoli dubbi in tal sensoerano stati sollevati anche dal Comitato LIBE che avevasuggerito al Parlamento la bocciatura della propostadella Commissione. Sembra in sostanza che ladiscrezionalità delle forze di polizia e dei governi nelleoperazioni di respingimento in mare resterà assaielevata e dunque permarranno le ragioni dei ritardiche nel tempo hanno prodotto processi penali a caricodi coloro che intervenivano in azioni di salvataggio edun aumento consistente delle vittime per la sistematicaomissione di soccorso in acque internazionali,omissione preordinata che l’assenza di regolevincolanti in qualche modo agevola e copre.Gli orientamenti proposti dalla Commissione europea,e quindi adottati dal Parlamento europeo riguardano leintercettazioni di navi in mare, le situazioni di ricerca esalvataggio durante le operazioni Frontex disorveglianza delle frontiere marittime esterne e losbarco delle persone intercettate o soccorse. Si prevedesoprattutto che le unità partecipanti alle operazioniprestino assistenza “a qualunque nave o persona inpericolo in mare, indipendentemente dalla cittadinanzao dalla situazione giuridica dell’interessato o dallecircostanze in cui si trova”.Le unità militari Frontex, inoltre, dovranno prendere inconsiderazione l’esistenza di una richiesta diassistenza, la navigabilità della nave, il numero dipasseggeri rispetto al tipo di imbarcazione(sovraccarico), la disponibilità di scorte necessarie(carburante, acqua, cibo, ecc.), la presenza dipasseggeri che necessitano assistenza medica urgente edi donne in stato di gravidanza o di bambini, nonché lecondizioni meteorologiche e marine.Lo sbarco delle persone intercettate o soccorse dovràessere operato in conformità del diritto internazionalee degli eventuali accordi bilaterali applicabili tra gliStati membri e i Paesi terzi. Il Parlamento europeo ha

ribadito inoltre la necessità di un maggiore controlloparlamentare sulle attività dell’Agenzia Frontex, anchealla luce delle critiche formulate dalle agenzieumanitarie come Amnesty ed Human Righs Watch, oltreche dal Commissario ai diritti umani del Consigliod’Europa e dall’ACNUR, sulle procedure utilizzate neiconfronti dei migranti.La proposta della commissione UE intende rendereesplicito l’obbligo di rispettare i diritti fondamentali e idiritti dei rifugiati nelle operazioni di sorveglianzadell’Agenzia Frontex e introduce il divieto di respingerechiunque rischi la persecuzione o altre forme ditrattamenti inumani o degradanti, divieto che siapplicherebbe indipendentemente dallo status delleacque in cui si trovano gli interessati. Si tende dunquealla creazione di una base giuridica di dirittocomunitario per l’esercizio di una serie di competenzenecessarie per l’applicazione efficace del Codicefrontiere Schengen, ad esempio per l’ispezione el’intercettazione di navi. Si stabilisce poi le condizionialle quali tali misure possono essere prese nelle variezone marittime, comprese le acque internazionali. Lecondizioni comprendono norme pertinenti di dirittointernazionale di cui facilitano l’attuazione efficace euniforme nelle operazioni Frontex (autorizzazione delloStato costiero, verifica della bandiera battuta dallanave, autorizzazione dello Stato di bandiera, navi senzabandiera, ecc.). L’obbligo di prestare soccorso in mare e le competenzedelle autorità SAR sono disciplinati dal dirittointernazionale, che però gli Stati membri interpretanoe applicano in modo eterogeneo. La proposta didecisione intende garantire il rispetto di tale obbligointernazionale e l’applicazione del regime SAR ( ricercae soccorso in mare), e stabilisce il principio dellacooperazione con le autorità SAR già prima dell’iniziodelle operazioni, specificando inoltre quale autoritàdebba essere contattata qualora l’autorità responsabilenon risponda, in modo che tutte le unità partecipanticontattino la stessa autorità SAR. Sono queste le lineesulle quali si è registrato un forte dissenso da parte dipaesi più esposti come l’Italia e Malta, soprattutto sulladeterminazione del luogo di sbarco. Questi paesiconcordano invece sulle pratiche di respingimentocollettivo verso la Libia. I divieti di respingimento e gli obblighi di salvataggiosanciti dalle convenzioni internazionali vengonodunque avvertiti come un ostacolo per il pienodispiegamento delle nuove pratiche di contrastodell’immigrazione irregolare via mare. Di fronte aquesti tentativi di nascondere le tragedie del mare e dimodificare le regole del diritto internazionale, chestabiliscono l’obbligo assoluto di salvaguardia dellavita umana e l’obbligo di condurre i naufraghi verso

LA NUOVA DIMENSIONE ESTERNA DELLE POLITICHE COMUNITARIE IN MATERIA DI IMMIGRAZIONE E ASILO 47

un “place of safety”, occorre rilanciare le azioni didenuncia, il collegamento con le associazioniantirazziste e le associazione di familiari di vittimedell’immigrazione clandestina. Vanno smascherati tuttii tentativi di aggirare per via amministrativa o a livellodi prassi (la cosiddetta cooperazione operativa)principi consolidati di diritto internazionale aprotezione dei diritti fondamentali della persona,

quale che sia la sua posizione giuridica quando vienesottoposta ai controlli di frontiera, e per questo saràfondamentale la capacità di produrrecontroinformazione e la creazione di un vastomovimento di migranti e di associazione antirazzisteche sappia superare le barriere di frontiera econtribuire anche nei paesi di transito alla difesa deidiritti della persona umana.

Fulvio Vassallo Paleologo48

Il panorama storico, teatro dell’emigrazione deglialbanesi verso la Sicilia, è abbastanza movimentato.Già alla fine del XIV sec., Venezia aveva raggiunto il

massimo splendore, dominando tutto il Mediterraneodal punto di vista mercantile, mentre il suo prestigiocresceva a dismisura, tra le varie popolazioni cheavevano la possibilità di interscambio con essa. Dicontro, a causa dell’instabilità politica di molti paesi,una grande moltitudine di profughi vennero attratti daiterritori della Serenissima. In quel particolare periodol’Europa intera era tormentata da epidemie e guerre,che crearono un vuoto demografico non indifferente.Anche Venezia non sfuggì al problema, tanto chefavoriva l’immigazione verso i suoi lidi conagevolazioni fiscali e senza chiedere particolaricompetenze a coloro che arrivavano in cerca di una vitamigliore. Così, dopo la peste del 1348, che decimòquasi l’intera popolazione, gruppi di profughi, di variaetnia tra cui albanesi, costretti ad allontanarsi dallapropria patria, cominciarono ad arrivare nella cittàlagunare accolti positivamente. Essi vennero impiegatiin attività produttive di vario genere: ….i mestieri daloro esercitati furono i più disparati,l’artigianato eramolto richiesto, come pure i conoscitori di lingue, chefungevano da interpreti, ma soprattutto venneroingaggiati come marinai nelle galee, oppure comestradioti, soldatesche (...) paragonabili ad una legionestraniera ante litteram… (Di Miceli F., 2006, 84). Allostesso modo, frange di profughi albanesi, giungonoanche in altre regioni d’Italia, non esclusa la Sicilia,come testimoniano atti notarili dell’epoca; infatti aPalermo, nel periodo tra il 1396 e il 1429, gruppi dialbanesi si insediarono nel Mandamento Albergheria enelle contrade di Falsomiele, Villagrazia e Passo diRigano. Tutto questo anticipa la grande emigrazionedei secoli successivi.Nella penisola Balcanica alla fine del XIV sec., troviamouna massiccia presenza turca-ottomana,controbilanciata da quella veneziana, che non accettadi perdere nemmeno un metro di quelle terrestrategiche affacciate sul mare Adriatico, necessarie peril mantenimento della supremazia mercantile. Nel1392, i Veneziani allargano il loro dominio su Durazzo,Alessio, Drivasto e Scutari, mentre le piccole signoriealbanesi schiacciate da ogni parte, preferiscono

sottomettersi al sultano. Anche Giovanni Kastriota,padre di Giorgio, nel 1430, anno in cui verràdefinitivamente sconfitto, si dovrà sottomettere aMurad II. Le clausole della resa che sottoscrive sonopesanti: deve convertirsi all’Islam, dare tutti i figlimaschi in pegno al sultano e cedere la regione diDibra, la fortezza di Sfetigrad e la capitale Kruja,versargli un tributo ma soprattutto contribuire con unesercito alle guerre del sultano. In verità dagli archividi Venezia, si evince che Giorgio era stato dato inpegno nel 1421, all’età di 9 anni, insieme al fratelloReposh, quindi è probabile che nel ‘30 venissero solodati in pegno Stanislao e Costantino.In effetti, le cronache del tempo ci dicono che nel ‘30,Giorgio era già un comandante di cavalleria e un capocarismatico. Veniva chiamato il grande dai suoi uominie per questo fu nominato bey. Il sultano invece amavachiamarlo Jskendèr, che aggiunto a bey diventava

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IL MARE E LA DIASPORA DEGLI ALBANESI DI SICILIAAnna Ceffalia - Isidoro Passanante

Giorgio Kastriota, xilografia, fine XVIII secolo

Jskendèr-bey (ossia Alessandro, con allusione adAlessandro il Macedone), poi Scanderbeg, che egli e isuoi discendenti aggiunsero al cognome. In effettiMurad II lo trattava come un figlio, lo colmava di onorie lo teneva in considerazione, credendo che il principealbanese non l’avrebbe mai tradito e che fossediventato un vero turco ottomano.Alla morte di Giovanni Kastriota (1442), il principatod’Albania passa, per editto del sultano, ad Hassàn beyVersdesa, un rinnegato. Murad II con questo atto,stravolge quanto sottoscritto col vecchio Kastriota. AScanderbeg appaiono ora chiare le intenzioni delsultano: espandere l’impero ottomano in tuttal’Europa. Così nel 1443, quando il sultano gli dal’incarico di affrontare una coalizione di eserciticristiani (in prevalenza serbi e ungheresi), eglidisattende gli ordini non intervenendo nello scontro,decretando per giunta la sconfitta turca. Da quelmomento avrebbe lottato per la causa nazionalealbanese.Nel marzo del 1444, nella cattedrale di S. Nicola adAlessio (Lezha), una grande assise di signori albanesiproclamano Scanderbeg comandante in capo. Alla lucedi ciò il sultano furioso per il tradimento, invia controgli albanesi un esercito di 100.000 uomini. Lo scontroavviene a Torvjoli e i turchi riportano una cocentesconfitta. Il successo dell’impresa arrivò sino alleorecchie di Papa Eugenio IV, il quale incoraggiò subitouna crociata contro l’Islam. Alla crociata vi avrebberopartecipato: Polonia, Ungheria, Venezia, Genova,Bisanzio e la Lega dei signori albanesi. Murad IIspaventato dai preparativi cristiani, chiede la pace euna tregua di 10 anni. Nelle condizioni sottoscritte dal

sultano, si riconosceva implicitamente anche la piccolanazione albanese e la figura del suo Kryekapedan(comandante in capo). Scanderbeg era ora, difensoreimpavido della civiltà, ma soprattutto atleta di Cristo edella cristianità. Egli forgia così, giorno per giorno,l’idea nobile del grande riscatto di un popolo, ossia lalibertà in una libera nazione. Egli diventa leadercarismatico del suo tempo, poiché cerca di creare unacoscienza nazionale attraverso un patto stabilito con isignori locali e una complessa rete di relazioni che sireggeva col sistema dei matrimoni consanguinei. Tuttociò impensierì non poco il governo della Serenissimache, se da un lato aveva bisogno del principe per poterconservare i propri domini, dall’altro temeva un alleatotroppo autonomo. L’Albania del XV sec. era formata dalla parte nord, laGegenia, molto chiusa di confessione latina, vistal’influenza Benedettina e Francescana, dove si parlavail ghego, e dalla parte sud, la Toskeria, più aperta pergli scambi con le popolazioni di lingua greca presentinel territorio, dove si parlava il tosco e gli abitantierano di rito ortodosso. Entrambe le popolazioniavevano un’organizzazione sociale di tipo tribalebasata sui rapporti familiari.

Le migrazioni

Fu dopo la caduta di Corone (1532), ma ancor prima,alla caduta di Costantinopoli (1453) da parte di FatihSultan Mehmet II (Maometto II), che l’avanzata turcaottomana cominciò a diventare inarrestabile, alterandotutti gli equilibri e costringendo all’esodo una buonaparte della popolazione albanese dai luoghi d’origine.Man mano che i turchi: invadevano i territori (...)dell’Albania spegnendo nel sangue le ultime scintilledella libertà, con inauditi sforzi riconquistata, gliillustri campioni, cui non toccò la sorte di pagare conla vita l’estremo tributo alla patria, e le famiglie (...),abbandonavano in preda all’implacabile nemico la

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Anonimo, ritratto del Sultano Murad II, miniatura, XVI sec., Topkapi PalaceMuseum

Jean Cartier, Assedio di Costantinopoli, affresco 1470

terra natia seminata dalle ossa dei congiunti, eritiravansi a subire la prepotenza del vincitore...(Schirò G., 1997, 86-87). In verità è con la morte diScanderbeg per malaria (1468), che si cominciò aprofilare una situazione di profondo disagio. Infatti, daquella data si registra un flusso migratorio verso lecoste dell’Italia meridionale e la Sicilia; da quella datalo stesso Giovanni, figlio ed erede di Scanderbeg, sirifugiò assieme alla madre a Napoli, ospite diFerdinando d’Aragona figlio d’Alfonso. La Sicilia del XV sec. appare spopolata per una serie dicircostanze, condivise dal resto d’Italia, dovute a guerreed epidemie di peste che hanno fatto bruscamentecalare l’indice demografico della popolazione localecausando lo svuotamento di vaste aree abitate ecoltivate, consegnandole alla desertificazione. Questoproblema induce i latifondisti dell’epoca a ripopolarele zone abbandonate, non solo per incrementare laproduzione cerealicola, necessaria alla sopravvivenza ditutto un nucleo sociale, ma perché ciò gli permettevadi accedere di diritto alla Camera Baronale Regia diPalermo. È comprensibile allora, il favore con cui venneaccolta la forza lavoro proveniente dai Balcani, perchéera linfa vitale. Non esistono documenti tali da fornire certezzeincrollabili sulle date dell’arrivo degli albanesi inSicilia, le fonti storiche attendibili sono poche e scarse

le notizie sui loro movimenti e sulle località dipartenza. La storia di uno spostamento di massa, al dilà, della importanza sul piano socio-antropologico cheriveste, ci priva di preziose notizie atte a unacomprensione di più ampio respiro di tutta una vicendache rimane a tutt’oggi con molti punti oscuri.L’interesse per una storia delle origini degli albanesi diSicilia nasce già nel XVIII sec., tuttavia tra i varistudiosi dell’epoca tutti appartenenti alle colonie, sipreferiva rivestire di un aura romantica la diasporaattribuendo ai profughi stessi origini nobili condiscendenze di prestigio. Secondo Francesco Giunta, leondate migratorie dall’Albania alle nostre coste sisvolgono tra il 1453 e il 1532, data quest’ultima, dellacaduta della città di Corone, i cui profughi vennero adimplementare la colonia di Piana degli Albanesi, giàfondata in precedenza.I primi profughi partono dal Peloponneso (Morea), persbarcare a Mazara del Vallo e insediarsi nel vicinocasale di Bizir (forse Bisì Baidhà o Biri Baida). È uncontingente formato forse da mercenari. Essisuccessivamente ripopoleranno i casali abbandonati diContessa, Palazzo Adriano e Mezzoiuso. A tale propositoscrive Tommaso Fazello nel suo De Rebus siculis: …nell’anno di nostra salute 1453, il 29 maggioMaometto re dei turchi, (…), prese Costantinopoli e poila città di Durazzo e il Peloponneso, e allora passaronoin Sicilia molte colonie dei greci. Questi fondaro nomolti villaggi, che ancora si chiamano Casali dei greci.Ai miei tempi quando l’imperatore Carlo V espugnò lacittà di Corone e poco tempo dopo la lasciò ai turchi,tutti i Greci che la abitavano trasferirono le loro dimorein Sicilia. (Fazello, T.-1558, 111-112). Dello stessoavviso era anche Rocco Pirri e successivamente AntonioAmico. Dopo la morte di Scanderbeg, il sultanoMaometto II costrinse Ven ezia, a cedere Scutari, Kruia,Lemmo, e Negroponte. Il 25 gennaio 1479, Antonio DeLezze eseguì gli ordini del Senato della Repubblica diVenezia, di arrendersi al sultano, tutto ciò accadevadopo 16 anni di duro assedio, in cui gli scutarini sierano comportati in modo inappuntabile. Veneziadecise però di ripagarli, e a chi ne facesse richiesta,offriva asilo nei propri territori: … Il 1 ottobre 1480 f uistituita una apposita commissione la ”cinque sapientessuper factis Scutarensium et aliorum Albanesium,” perpredisporre delle pensioni per vedove e orfani diguerra, compito questo che espletava dopo un quartodi secolo. (Schmit, O.J-2001, 23).Da quel momento Maometto II dominava indisturbatol’Albania costringendo le nobili famiglie a cercarerifugio non solo a Venezia ma anche a Napoli enell’Italia settentrionale. Un profugere che nonrisparmia le classi egemoni che comunquestoricamente si assimileranno con il paese di ricezione.

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Gentile Bellini, ritratto del sultano Maometto II, tempera su tavola, 1480,National Gallery

La seconda ondata di profughi, posta nella stessa fasciacronologica degli accadimenti di Scutari, che si rifàanche ad una vecchia tradizione orale riportata dalloSchirò nel 1923, riguarda Piana degli Albanesi, Bronte,Biancavilla, S. Michele di Ganzaria e Santa CristinaGela. Tutti questi sono comuni di nuova fondazione adifferenza dei precedenti. I capitoli di fondazione diPiana, che risalgono al 1488, rappresentano, per lascarsezza di documenti, il termine ante quem perl’arrivo dei profughi. Pare che gli esuli siano arrivati sunavi veneziane (galee), approdando nei pressi diSolanto e peregrinando per un lungo periodo prima difermarsi definitivamente. Sempre secondo GiuseppeSchirò essi erano originari della regione dell’Epiro edalla Chimarra. La Sicilia di quel periodo era dominatadagli Aragonesi e di contro Venezia non poteva passareper Otranto, poiché era sotto il dominio turco-ottomano. Proprio per questo motivo, secondo lostudioso siciliano, le navi veneziane puntarono verso laSicilia, allo stesso tempo fu proibito ai profughi distanziarsi sulle coste per paura di incursioni. La terza ondata, si fa risalire in genere alla caduta diCorone e Modrone; erano queste città portuali dellaMorea sotto il dominio veneziano, già dal XIII sec.,meta di emigranti albanesi che si spostavano dallamadre patria. Tuttavia i rapporti con la popolazionegreca non erano dei migliori, tanto che Venezia

proibiva ad essi, l’avvicinarsi al territorio cittadino,tranne per la vendita dei prodotti agro-pastorali. Nellaseconda metà del XIV sec., nella Morea, gli albanesicostituivano un terzo della popolazione, ma di sicuronon appartenevano alle classi egemoni, nonrappresentavano nessuna nobiltà, così come una certastoriografia settecentesca li dipinge allorquando parladi nobili coronei giunti nelle coste meridionali dellaPenisola. Pietro Pompilio Rodotà nella sua Storia delrito greco in Italia, mette in evidenza tutta una serie diragioni, non basate sulla verità storiche che portarono iprofughi albanesi o meglio, secondo la suainterpretazione, i nobili coronei nelle nostre coste.Nel 1432 Gian Andrea Doria, per ordinedell’imperatore Carlo V salpa dal porto di Messina etocca il Peloponneso, qui conquista Corone, lascia unpresidio e torna a Genova, attraverso lo stretto diMessina. Successivamente l’imperatore Carlo V e MuradII, stipulano un accordo in cui Corone torna in manoturca; il sultano entra in possesso della città che trovadeserta poiché gli abitanti erano fuggiti. A taleproposito, Paolo Petta ci suggerisce come la tradizioneabbia esagerato nel riportare il numero di profughifuoriusciti da Corone, ignorando del tutto le realidimensioni dell’evento. Secondo lo studioso, tutto ciòavviene soprattutto: ... per rendere plausibile, lapretesa dei tanti che, sparsi nel regno di Napoli e in

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Prima emigrazione, prima metà XV sec.Seconda emigrazione, seconda metà del XV sec.Terza emigrazione, prima metà del XVI sec.

Sicilia, rivendicavano a ragione o a torto, la lorodiscendenza coronea, per essere ammmessi a goderedei privilegi concessi da Carlo V (Petta P., 1996, 52).Secondo Matteo Mandalà, …le fonti di cui si è servitoPaolo Petta: ...non sono tutti studi condotti in tempi anoi vicini né si tratta, per molti di essi, di edizionisuccessive al terzo volume del Rodotà; al contrario,molti sono cronache coeve ai fatti di Corone…(Mandalà M., 2008, 177). Petta sostiene inoltre che:cinque navi e uno schirazzo e forse altre piccoleimbarcazioni locali, con a bordo circa tremila profughi,lasciarono Corone, ma non tutti i fuggiaschi vennero inItalia. Molti preferirono le isole greche di Creta e Zante.Le rotte percorse per arrivare in Italia passaronoattraverso Malta per poi giungere a Messina, dovealcuni si fermarono mentre altri proseguirono perPalermo. Qui, nel capoluogo dell’Isola, moltipreferirono soggiornare, altri invece raggiunsero laCampania e Napoli, per poi stanziarsi nelle Puglie. Concludendo, le tre ondate migratorie possono esserecosì riassunte:dalla Morea verso il porto di Mazara del Vallo. Daqui ha origine il primo insediamento atto a ripopolare

casali abbandonati: Palazzo Adriano, i cui capitoli sonoi più vecchi,risalgono al 1482, Mezzojuso e ContessaEntellina;dalla regione della Chimarra verso Solanto. Da quitra il 1479 e il 1481 ha origine il secondoinsediamento, da cui nasce Piana degli Albanesi,Biancavilla, S.Michele di Ganzaria e Santa Cristina Gela. da Corone verso Messina. Per implementare i centrigià esistenti e raggiungere anche Napoli e la Puglia1532 post quem.

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FAZZELLO T., De rebus Siculis decades duae, nunc primum in lucemeditae, Ed. Palermitana, 1558.GIUNTA F., L’opera storica di Nicolò Chetta, in Il contributo deglialbanesi d’Italia allo sviluppo della cultura e della civiltà albanese, Palermo, 1989.LA MANTIA G., I capitoli delle colonie greco-albanesi di Sicilia dei secoliXV e XVI, Palermo, 1904.MANDALÀ M., Mundus vult decipi: i miti della storiografia arbereshe,A.C. Mirror, Palermo, 2007. PETTA P., L’esodo dei Coronei: una pagina della storia degli italo-albanesi, in rivista quadrimestrale di storia e cultura, 1\3, 1996.

PERAPPROFONDIRE

Aspetti della cultura Arbëreshë

Il modo in cui la cultura Arbëreshë si è espressa,caratterizzando i tratti distintivi delle comunità, passa,senza alcun dubbio, attraverso tre punti fondamentali:la lingua, la mistagogia e il costume.La lingua, di origine indoeuropea, discende dall’anticotoske, ed è strettamente imparentato con il dialettocamëriskt, parlato nella regione dell’estremo suddell’Albania e del nord-ovest della Grecia. A causa poi,della grande influenza del greco, del latino edell’italiano-siciliano, si è diversificatasignificativamente dall’albanese standard, tanto daessere ora, considerata una lingua distintiva.La mistagogia invece portata dai profughi della diaspora (XIV-XV sec.) è, la Divina Liturgia e l’Ufficio della Messa, ovverol’azione della chiesa che conduce al mistero di Dio, masoprattutto, secondo il rito bizantino, l’azione di Dio che escedal suo mistero per farsi presente nell’uomo.Lingua e mistagogia possiedono, senz’altro, un potereaggregante non indifferente, tanto che, alla fine del XVsec., aiutano gli esuli, una volta nell’Isola, a superaretutte le difficoltà. Infatti, non si deve dimenticare chele terre loro assegnate, spesso erano paludose e pocofertili, solo un duro lavoro potè alla fine far decollarel’economia delle colonie, e una coesione interna non

indifferente, che si opponeva alle continue ingerenzedel clero latino, pronto ad inglobare nel suo interno unprodotto culturale altro da sé, visto come una minacciaper la sua indipendenza.Con queste premesse si può allora comprendere quantofosse difficile vivere le diversità, in un contestoarretrato e feudale quale la Sicilia dell’epoca.L’organizzazione sociale degli arbëresh era di tipoclanico, e i costumi, specialmente quello femminile,completamente diverso dalla realtà circostante,esprimevano nei colori e nelle fogge, non solo il mododi essere di un intero gruppo etnico, ma diventavanoaddirittura il paradigma vivente di tutta una società.Giuseppe Pitrè, nell’elencare tutte le parti del costumefemminile, ci suggerisce che veniva indossato nellericorrenze festive più importanti, nei battesimi e neimatrimoni. Gaston Vuillier, nella sua opera La Sicilesottolinea invece che la sposa di Piana ...è molto bellanel suo costume antico, è una magnifica regina cheincede (1896, 156); mentre la guida-interpreteasseriva che, la maggior parte di questi abiti vienetrasmessa di padre in figlio, vengono religiosamenteconservati nelle famiglie; sono già serviti a moltegenerazioni (ibidem, 159).Sino alla seconda metà del secolo scorso, il costumefemminile della festa si componeva, di una gonna di

seta rossa arricciata in vita, ricamata in oro a motivifloreali: ncilona. Ne esisteva un’altra versione dettaxhëllona o xhëghona me kurorë, adornata a partiredall’orlo con fasce d’oro o d’argento lavorate altombolo con i fuselli (bala). Le altre componentierano: il grembiule (vanterja), in pizzo o in rete, dalcolore blu di Prussia o nero vite; il busto (cerri) e lacamicia (linja). Quest’ultima, confezionata in linobianco, presentava un ampio collo e dellecaratteristiche maniche da annodare posteriormente.La camicia indossata invece dalle giovani, per la sualinea moderna, era detta levatina. Il prezioso ricamoe lo sfilato veniva operato prima che la camiciavenisse assemblata, era questo un lavoro fatto apunto d’ago da esperte ricamatrici, e esperteartigiane dello sfilato. Seguiva poi, il giubbino(xhipuni) o il corpertto rosso ricamato in oro senzamaniche (krahët), il petini in merletto invece, coprivala parte superiore del seno; ed ancora: la mantellinain seta azzurra e bianca con l’orlo ricamato in oro(mandilina) e un certo numero di fiocchi (shkokat), ilcui numero variava a seconda della collocazione. Siaveva così il fiocco anteriore (shkoka përpara), ilfiocco posteriore (shkoka prapa) e il fiocco cheadornava il capo (shkoka te kryet).Esisteva ancora, per le donne sposate, una versione dicostume invernale, composto da un ampia gonna dipanno nero, un giubbino con collare e polsiniricamati in oro (pucet), una mantellina bianca confiocco per il capo.Nel costume femminile della festa, uno degli accessoriprincipali restava comunque la grossa cintura inargento massiccio, forgiata a stampo e cesellata a

mano dall’argentiere (brezi). Essa raffigurava sempresoggetti di carattere religioso, come: San Giorgio, SanDemetrio, l’Odighitria, San Vito e l’Immacolata. Lacintura assurgeva a simbolo della maternità, per questoveniva donata alla futura sposa dal fidanzato, alcunigiorni prima del matrimonio e in occasione dellaesposizione della dote. Con il dono del brezi alla nuse,si concludeva la teoria degli xènia nunziale che, oltre apropiziare alla donna di essere fecondata e diprocreare, alludeva anche, alle corone che ai due sposivenivano poste e scambiate sul capo durante lamistagogia della coronazione, ovvero, quando il servodi Dio si incorona della serva di Dio.Il brezi, ha un origine sacro-votiva, e questo uso:legato al rito magico della vestizione nunziale, nonappartiene solo al mondo albanese. D’altra parte tuttigli oggetti o ornamenti, a forma di cerchio, cheentrano a far parte della vestizione hanno funzionedichiaratamente magico-protettiva (Stassi L., 1993-1994, 67).Il costume femminile della festa si completava con igioielli: orecchini con pendenti in oro rosso e bianco(pindajet), con incastonati dei preziosi (rubini,smeraldi e diamanti); un girocollo in velluto conpendente (kriqja e kurcetës), sempre con le stessepietre incastonate; un’anello (xhardinelle) in ororosso e bianco a forma di fiore con rubino al centro etanti diamanti grezzi (domanti); una collana a doppiofilo con granati, chiusa in più punti da sfere difiligrana (rusarji), con pendente di diversa forma,contenente in origine una reliquia. Il costumecomprendeva ancora, un pettine e un fazzoletto dacollo (skamandili), mentre, le calzature in pelle,

Anna Ceffalia - Isidoro Passanante54

1 Cintura dell’Immacolata; 2 Cintura di San Giorgio

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erano ornate da fibbie o nastri dello stesso tessutodella gonna.Ai giorni nostri l’uso del costume tradizionale è ormaicircoscritto alla Santa Pasqua (Paschk), mentre l’abitonuziale è ancora utilizzato. Gli elementi checompongono quest’ultimo sono: le lunghe maniche inseta rossa ricamate in oro con motivi floreali, adornateda 12 fiocchi a 4 petali (shkoka me katrë fletë), chesimboleggiano i 12 Apostoli, ma anche i 12 mesidell’anno; un velo finissimo in voile di seta colorecrema (sqepi) fermato dal fiocco posto in testa e dalcopricapo pendente, in velluto verde ricamato in oro eargento (keza), questo copre le trecce annnodate dietrola nuca ed è distintivo dello stato di sposa.In un periodo antecedente, al posto dell’abito di seta,veniva indossato un abito in broccato ricamato con filidi cotone policromi a motivi floreali (panpinija),successivamente soppiantato da uno in tessutodamascato. Vi era poi l’abito del lutto che veniva usatodalle donne sposate. Si indossava senza gioielli e col

solo brezi, il Venerdì Santo durante le funzioniliturgiche e nella processione dell’Addolorata. Esso eracostituito da un’ampia gonna in taffetà nero (fodhija),con l’orlo inferiore listato di velluto nero dal gipponedi seta decorato da merletto di pizzo, un ampiomantello (mënti), di taffetà nero a forma dimezzaluna, fermato sul capo dal keza. Le donne nubiliinvece, nel giorno della morte di Cristo, indossavanosolo una gonna damascata e un manto nero raccoltosu un fianco.

IL MARE E LA DIASPORA DEGLI ALBANESI DI SICILIA 55

1 Kriqua e Kurcetes; 2 Pindajet (orecchini); 3 Xhardinelle (anello)

CRISPI G., Memorie storiche di talune costumanze appartenenti allecolonie greco-albanesi di Sicilia, Palermo, 1853.PITRÉ G., La famiglia, la casa, la vita del popolo siciliano: costumi delledonne, Palermo 1913.STASSI L., L’abito tradizionale di Piana degli Albanesi come identitàetnica, in BCA Sicilia, Palermo, 1993-1994. VUILIER G., La Sicile, Paris, 1896.

PERAPPROFONDIRE

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«Mezzojuso.Un rito bizantino di benedizione dell’acqua

Il rituale bizantino della S. Teofania che si svolge aMezzojuso il 6 gennaio è incentrato sul Battesimo diGesù nel fiume Giordano. La S. Teofania o festa delleLuci, è la manifestazione della Trinità divina attraversocui l’universo, nella concezione cristiana, si rigeneranella rinnovata nascita del Padre, del Figlio e delloSpirito Santo. Il rituale avrebbe avuto come patria diorigine la città di Gerusalemme. Il fiume Giordano nelquale vennero battezzati il Messia e il suo Precursore e iricordi ad esso connessi avrebbero influito sullaformazione di questo rito. Da Gerusalemme sarebbepassato a Costantinopoli e dall’oriente al mondooccidentale. In origine si usava fare il rito dellabenedizione due volte in chiesa e fuori davanti unafontana. In un secondo momento fu aggiunto il

battesimo della croce nell’acqua al rito primitivo. Lacerimonia veniva compiuta due volte, la vigilia e ilgiorno della festa. Ora come allora la benedizioneavviene in un grande catino all’interno della chiesa. Lafunzione è compiuta dalla massima autorità religiosa esolo in sua assenza da un semplice sacerdote. In chiesaviene recitata l’orazione preliminare e alla fine tuttiescono in processione per recarsi alla vasca. Arrivati sulluogo si dà inizio alle letture sacre dell’Antico e NuovoTestamento. Le orazioni implorano la santificazionedell’acqua. Il Battesimo avviene nel momento in cui siimmerge la croce nell’acqua e il sacerdote traccia conessa il segno della croce. Con l’altra mano il celebranteimmerge un mazzo di rami e fiori e con esso asperge gliastanti. Tutta la cerimonia è accompagnata anche dacanti e le orazioni vengono ripetute per tre volte. Dopola benedizione si ritorna in chiesa e si conclude laliturgia con una breve orazione». (da E. Mauro, M.E.Palmisano, a cura di, “Forme d’acqua - visioni, vicende epratiche nel Mediterraneo”, Palermo 2007, pp. 92-96).

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Le imbarcazioni nel XV e XVI secolo

Se si guardano gli eventi da vicino ci si avvede che,dopo la caduta di Costantinopoli e la presa di Corone eModrone da parte dei turchi- ottomani, si attiva, versole coste della Sicilia, un lento ma costante flussomigratorio in cui si possono individuare delle tappe.Esse avvengono nell’arco di 80 anni ca., dal 1453 al1532, partendo dal Peloponneso (Morea) e dall’Epiro.I nuclei Arbëresh che affrontano tali viaggi, sono dirito greco- bizantino e arrivano con i loro sacerdoti,ed essendo degli agricoltori-pastori (anche seall’occorrenza potevano benissimo trasformarsi insoldati-mercenari, come nel caso di Sciacca del1529), andarono a ripopolare dei vecchi casali arabiabbandonati e a coltivare terre sterili e sassose,ubicate talora in zone impervie e montane. Arrivanodal mare e su dei natanti: ... cinque navi, secondo piùdi una fonte, oppure otto ed uno schirazzo; (...) (e)minori imbarcazioni locali (Petta P., 1996, 52).Portavano con loro il ricordo della madre patria edella Morea, ...o e bucura Moree, u te lee, e me te pee(o bella Morea, io ti abbandonai e più non ti ravvisai)recita infatti, il primo verso di un antico cantonostalgico. Si accompagnano alla PanaghiaOdighitria, all’icona che riproduce, si dice, quellamiracolosa dipinta da S. Luca. La Vergine con inbraccio il Bambino con le fattezze di adulto (simbolodella divina Sapienza), diventa ora la dea bianca delleacque del mare (Leucotea), ma anche la MaterMatuta, ossia la Signora del viaggio per mare. Èsingolare notare che solo alla Theotòkos si affidano,perché è la Santissima Madre di Dio, la verità, la via,la vita, la luce che guida e protegge, ossia la StellaMaris che indica a marinai e profughi la giustanavigazione.Le cinque navi descritte da Petta sono le stesse cuifanno riferimento: Sandoval (Historia de la vida ybecbos del Emperador Carolos V, 1955) e Rosso(Historia delle cose di Napoli sotto l’Impero di CarloQuinto, s.d.), o le otto (...), (o ventisette), di cuiparla Laiglesia (op.cit.,1955), anche se sembranopoche, visto il numero dei profughi, due o tremila.C’è chi ha indicato, talora, la cifra di 200 scafi, sullabase di una tradizione che vuole un gran numero diprofughi. In verità, le fonti sono imprecise. Nonsappiamo quanti fossero i profughi né quanti natantifurono impiegati per la traversata, ma si puòsupporre la loro tipologia in base all’epoca. Nel XV eXVI sec., era facile incontrare per il Mediterraneogalee, galeazze, fuste, schirazzi e altre piccoleimbarcazioni a vela latina.

Galea sottile. Il nome deriva dal greco galeàs, cioèpesce spada, perché la forma assunta richiamava allamente tale pesce, infatti, presentava una proraaffinata in un acuminato sperone ligneo duro. Dalpeso di 300 t. ca., aveva una lunghezza di 50 m., unalarghezza di 7 m. e un pescaggio di 2 m. ca. Lapropulsione a remi la rendeva veloce e manovrabilein ogni direzione. La voga, effettuata con il remo ascaloccio, adattato alla presa di due, tre o quattrorematori, veniva diretta dal guardia ciurma,l’aguzzino che ne vigilava l’andamento lungo lacorsia centrale. Quest’ultima larga 2 m. ca., correvada prua a poppa, consentiva il passaggio dallarembata al castello di poppa, al luogo del comandodove erano custoditi in una chiesula, la bussola e tuttigli strumenti necessari alla navigazione. Sotto ilponte di copertura si stendeva la stiva, un luogosuddiviso in sei o più locali, separati da paratietrasversali e prive di qualsiasi apertura versol’esterno. Serviva da deposito dei viveri, dei cordamie delle vele di ricambio; inoltre era anche il luogo diriposo dei marinai e del barbiere, che fungeva ancheda medico di bordo.La galea aveva uno o due alberi a vela latina(raramente tre) e da ciascun lato 26 banchi per lavoga. La forma lunga e stretta, ideale soprattutto inbattaglia, la rendeva però poco stabile, e il maregrosso e tempestoso la poteva facilmente affondare,perciò il suo impiego era limitato alla stagione estiva,al massimo autunnale; era allora obbligata a seguireuna navigazione di cabotaggio, ossia, una navigazionevicino alle coste, in quanto la sua stiva poco capienteimponeva diverse tappe per i rifornimenti, soprattuttod’acqua.Questa tipica nave è l’evoluzione dell’antica nave daguerra greca, che aveva una forma analoga, ma didimensioni ridotte; infatti, la bireme, la trireme, etc.,con rostro bronzeo sulla punta, rimase immutata sinoall’Alto Medioevo, quando i bizantini svilupparono ildromone, una lunga nave da guerra armata coltemibile fuoco greco (ygròn-pyr), una miscelaincendiaria in grado di ardere anche sull’acqua.La prima galea sottile o galera compare nel XII sec.,nell’arsenale di Venezia e con la nascita dellaRepubblica Marinara. Qui, in quello che fu il piùgrande complesso produttivo, dove lavorarono migliaiadi carpentieri e mastri d’ascia, si arrivarono a varare inun mese ben 25 galee sottili, quasi una al giorno! Inquest’epoca vengono imbarcati a bordo dei cannoni:generalmente un cannone di corsia centrale, più due dicalibro inferiore sulla rembata. Tale artiglieria era peròad avancarica e non poteva facilmente brandeggiare.Per avere un maggior numero di bocche di fuoco, circatrentaquattro grossi cannoni istallati sui fianchi,

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1 Disegno e vista in piano della galea sottile; 2 Jan Huigen van Lischtofen, Fusta, incisione acquarellata a mano, XVII sec.; 3 Anonimo, Galea bastarda, olio su tela,1694; 4 Anonimo, Galeazza, olio su tela, XVI sec.; 5 Vergine Maria, Palermo, modellino in scala dello Schifazzo, opera del Maestro Giovan Battista Provenzano

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bisogna aspettare la galeazza, a alto bordo, concasseretto e castello di comando, con tre alberi a velalatina e bonpresso.Ancora nel XVI sec., nel Mediterraneo, la galea rimanela nave da guerra più usata, mentre, nei paesi dellacosta atlantica, essa venne soppiantata dal galeone,una nave propulsa esclusivamente a vela.

La vita a bordo

Il comando della galea sottile, era affidato alSopracomito, che con due o più giovani aiuti, unPadrone e un Cappellano (tutti nobili uomini),impartiva le direttive alla navigazione. In verità, tutticostoro non avevano alcuna esperienza di mare, perquesto la condotta della navigazione veniva espletatada un Comito e due Sottocomiti, che coadiuvati da unpilota e da una trentina di esperti marinai,manovravano vele, pennoni e alighieri. In genere sulla nave i vogatori erano di tre categorie:galeotti, prigionieri di guerra e malfattori, condannatialla pena del remo, che portavano teste e viso rasato;zontaroli, liberi cittadini coscritti in caso di guerra, mapagati a soldo; bonavoglia, volontari imbarcati astipendio. Sia gli zontaroli che i buonavoglia portavanoper distinguersi dai galeotti, dei grossi mustacci. A Venezia, a differenza delle altre repubblichemarinare, dove la componente forzata erapredominante, i vogatori erano tutti composti dazontaroli e bonavoglia mentre i prigionieri di guerra ei malfattori venivano imbarcati su una ben specificacategoria di nave, la galea sforzata comandata da unComito detto Governatore dè Condannati.A bordo la vita era molto dura: i vogatori erano divisi agruppi che si alternavano in turni di 4 ore. I galeottirimanevano sempre incatenati al banco di voga,mentre i buonavoglia e gli zontaroli non erano tenutiin catena. Quest’ultimi godevano di una certa libertà,infatti avevano il permesso di scendere a terra.La razione giornaliera dell’equipaggio era di due libbredi galletta, una di carne fresca o mezza di carne salata,mezza di formaggio, una pinta di vino e un onciad’olio. Ufficiali, timonieri e maestranze ricevevano unadoppia porzione, i marinai invece una razione e mezza;mentre i galeotti mangiavano una volta al giornosolitamente all’imbrunire per non vedere cosa era statoloro somministrato: una brodaglia con una galletta difarina di frumento impastata con acqua e aceto pernascondere il gusto di marcio o di rancido.Quando la galea era in disarmo, rimanevano a bordo,il Comito il Sottocomito e l’aguzzino; gli zontaroli e ibuonavoglia venivano sbarcati, mentre i galeottisempre in catene rimanevano a bordo ma con maggiorspazio a loro disposizione. D’inverno invece tutto il

personale veniva sbarcato, e i galeotti erano allorarinchiusi nella darsena, il bacino artificiale utilizzatoper l’ormeggio e il rimessaggio dei natanti.In navigazione, la vita a bordo era dura per tutti,comandante ed equipaggio, ma era durissima per icondannati alla pena del remo, perché non potevanomai distendersi per dormire o riposare. L’igiene era poitrascuratissima, infatti erano continuamente infestatida parassiti di ogni genere e da malattie come loscorbuto e la scabbia; poi, data la scarsità dell’acquadolce, si potevano lavare e non tutti i giorni, conl’acqua di mare e sabbia. Queste le condizioni di vita abordo, se tale si può chiamare quella dei galeotti, eben naturale che essi cercassero di evadere; quando ciòriusciva l’aguzzino era punito col pagamento di unammenda, al marinaio di guardia che non l’avevaimpedita, toccava la condanna del remo al posto delfuggitivo e per lo stesso numero anni, mentre aicompagni di banco dell’evaso, che non avevanodenunciato la fuga, veniva tagliato un orecchio o ilnaso.

Fusta. Piccola nave leggera e veloce, con due mortaisu piastre rotanti. Navigava quasi sempre a vela e albisogno armava una ventina di remi sensili per ognifianco. Aveva fondo piatto e un albero maestro a velalatina. Era privo dell’albero di trinchetto, e l’albero dipoppa. L’equipaggio era formato da uomini liberi cheadempivano indifferentemente a tutti i servizi:marinareschi e militari. Per la sua maneggevolezza erausata principalmente per attività di controllo costieroed esplorazione di flotta, inoltre veniva impiegata inattività di servizio permanente. Per i medesimi motiviquesto tipo di nave era preferita dai corsari barbareschiattivi lungo le coste del nord Africa.

Galea bastarda. Galea dalle murate alte, con funzionedi nave capitana, ovvero, di nave ammiraglia. Il nomederiva dal fatto che tale natante risultava essere unincrocio tra la galea sottile e la galea grossa. Neesisteva una versione ridotta, detta bastardella.

Galea grossa. Conosciuta anche come galeamercantile, all’occorrenza poteva benissimo esserearmata per il combattimento. Era in grado ditrasportare al di sotto dei ponti 250 t. ca. di mercanzie.Aveva una lunghezza di circa sei volte la larghezzamassima, contro il rapporto di otto a uno della galeasottile. Era dotata di tre alberi a vele latine, e si servivararamente dei remi, impiegati solo in caso diemergenza o per entrare o uscire dai porti.

Galeazza. Grossa nave a vele e a remi, presentava unalto bordo con casseretto e castello. Era attrezzata con

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tre alberi a vela latina e il bompresso. Aveva il ponte dicoperta e il suo palamento consisteva in 32 banchisottostanti, con remi a scaloccio, pertanto il ponte dicopertura restava libero per la manovra delle vele epoteva portare una batteria di cannoni. Questa grandenave imitazione della galea grossa o mercantile con lesue bocche da fuoco, fu il coronamento degli sforzi permettere le galee in grado di meglio opporsi edifendersi.

Schirazzo. Nel Dizionario di Marina dell’Accademiad’Italia, questo tipo di natante è definito turchesco,questo viene giustificato soprattutto perché Antoine DeConflaus (1516) lo menziona come battello siriaco-cretese. Pantero Pantera lo cita (XVII sec), tra quelli cheveleggiano alla quadra, mentre il Sansovino, nellaprima metà del XVI sec., lo menziona tra il naviglio

minore in uso a Venezia. Il termine schirazzo potrebbeavere dei collegamenti con lo schifazzo, con lasingolare imbarcazione usata in Sicilia nel XIX sec., peril trasporto merci.

ANONIMO, Dizionario di Marina medioevale e moderna, RealAccademia, Roma, 1937.CAPULI M., Le navi della Serenissima: la galea veneziana di Lazise,Venezia, 2003.DI LEO P., Nobiltà etnica tra le sponde dell’Adriatico, in Età Medioevale,Cosenza, 1988.DI MICELI F., Emigrazione albanese a Venezia e Palermo nei secoli XIV-XV, A.C. Mirror, Palermo, 2006.GIACOMARRA M.G., Albanesi di Sicilia: ...in Cinque secoli di culturaalbanese in Sicilia, A.C. Mirror, Palermo, 2002.

PERAPPROFONDIRE

In un’epoca dominata dalla tecnologia come lanostra, in cui prevalgono i contenuti digitali,quando utilizziamo il termine archiviare pensiamo ai

nostri hard disk pieni di documenti consideratiimportanti e degni di essere custoditi. Possono essereatti contabili, le prove di pagamento, ma anchetestimonianze più intime come i nostri pensieri, iricordi o rievocazioni della nostra vita personale ecollettiva, come le foto, i video e i diari.La necessità di raccogliere e conservare i documentidell’attività di un individuo, di una famiglia, di unacomunità, di un governante, di assemblee elettive o diuno stato, ha origini antichissime. Tutti i popoli in ognisecolo hanno allestito propri luoghi per la raccoltaordinata delle carte che oggi chiamiamo archivi.Il termine archivio, etimologicamente, risale al grecoarcheion (¶rceion), con il quale si indicava l’edificiodel magistrato, arconte (©rcwn) o pubblica autorità incui si custodivano gli atti ufficiali dello stato. In seguitola parola identificò tanto lo spazio contenitore che ilcontenuto e in tempi più recenti anche l’organismo,nella maggior parte dei casi pubblico, impegnato nellasua tutela.Naturalmente, non c’è archivio senza scrittura. Le primetestimonianze di queste raccolte sono dunque da collegarestrettamente all’evoluzione dei segni grafici, a cominciaredalle incisioni su tavolette d’argilla o i caratteri cuneiformidegli antichi Assiri ritrovati nella biblioteca costituita da reAssurbanipal. A seguire gli Egizi con i loro papiri, i Caldei,gli Ebrei, i Greci con le pergamene e poi con la carta. Ed èproprio in seno alla civiltà greca che ha origine il primoesempio di “archivio di stato” costituito nella metà del IVsecolo nel Metroon ad Atene.Da quel momento le gentes in grado di darsiun’organizzazione statale hanno costituito una raccoltadi leggi, regolamenti, indirizzi, decisioni chetramandasse la testimonianza della loro storia.Ovviamente i documenti erano destinati esclusivamenteagli addetti ai lavori, ai funzionari pubblici, agliamministratori, agli scribi e più tardi anche ai notai chene curavano materialmente la redazione su indicazionidei re e dei responsabili della cosa pubblica. Col temposi è così ampliato uno straordinario tesoro senza il qualesarebbe impossibile poter ricostruire le vicende deipopoli. Nell’800 gli storici scoprirono gli archivi come

giacimento di vicende, fatti e ricostruzioni e da quelmomento il modo di scrivere la storia si modificòprofondamente rendendo imprescindibile non solo laricerca delle fonti scritte ma anche il loro restauro, laclassificazione, l’inventariazione che vennero affidati aduna disciplina specialistica: l’archivistica, ossia quellascienza storico-giuridica che regola l’ordinamento degliarchivi, intesi quali strutture idonee a raccogliere econservare gli atti conseguenti alle relazioni pubbliche eprivate. Gli addetti si chiamano archivisti.Oggi non c’è comune, azienda o famiglia che non abbiaun suo “archivio”, un deposito più o meno organizzatodi documenti grazie ai quali è possibile ricostruire gliavvenimenti attraversati dalle comunità. Anche lefamiglie che non hanno avuto ruoli pubblici possonocreare propri archivi, raccogliendo atti di acquisti evendite, atti di nascita o morte, atti notarili, cessioni,libri contabili, corrispondenze. Esistono archivispecializzati che si limitano a organizzare materialirelativi a un tema o ad un periodo storico preciso. Unesempio per tutti gli archivi fotografici o le teched’immagini in movimento, siano esse pellicole o video.In anni recenti è stato avviato un vasto lavoro direcupero e digitalizzazione degli archivi a cominciaredai più antichi e preziosi, al fine di consentirne una piùfacile consultazione e di preservarne l’integrità. Sonostati elaborati imponenti database informatizzatiattraverso i quali poter leggere atti custoditi anche inbiblioteche e archivi lontanissimi e interdetti allanormale fruizione. Un lavoro che è ancora lungidall’essere completato e che si protrarrà ancora perdiversi decenni. Si può dunque immaginare che infuturo avremo solo archivi digitali, probabilmente piùfragili degli attuali cartacei e per i quali sarannonecessarie sofisticate tecniche di manutenzione e copia(backup). Tuttavia questi archivi che sono in grado,proprio per mezzo della tecnologia informatica, diintegrarsi fra loro consentono sintesi più avanzate nellaricostruzione delle vicende dei secoli passati.Riepilogando quindi, l’archivio, secondo le definizionipiù diffuse è, un complesso ordinato e sistematico diatti, scritture e documenti prodotti o acquisiti da unsoggetto pubblico o privato (ente, istituzione, famiglia oindividuo nel normale esercizio delle proprie funzioni),durante lo svolgimento della propria attività, e custoditi

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L’ARCHIVIO SCRIGNO DELLA STORIAGabriella Monteleone

in funzione del loro valore di attestazione e di tutelad’interessi amministrativi, giudiziari, scientifici, militari,religiosi o patrimoniali. Pertanto, in relazione all’enteproduttore o conservatore ci sono: archivi statali, archivipubblici non statali, archivi privati e archivi ecclesiastici.

La tutela degli archivi

All’indomani dell’Unità d’Italia, il nuovo Stato (17 marzo1861) si trovò a ereditare tutti gli archivi delle capitalidegli stati preunitari: in particolare i due grandi archividel Regno borbonico delle Due Sicilie di Napoli ePalermo e gli archivi provinciali. Si sviluppò un dibattitosugli organismi più idonei a gestire il controllo di questestrutture. Erano interessati i Ministeri dell’Interno, delleFinanze, della Giustizia e della Pubblica Istruzione. Lapreferenza degli esperti andava all’uno o all’altro asecondo che si privilegiasse il valore culturale o quellopolitico-giuridico dei materiali. Finalmente, con il Realdecreto del 5 marzo del 1874, si decise di assegnare ilcompito al Ministero dell’Interno. Fu così istituito ilConsiglio superiore degli Archivi attivo fino al 1975,quando invece la funzione di gestione e controllo degliarchivi passò al neonato Ministero dei Beni Culturali eambientali. È opportuno qui ricordare che un’importantelegge riguardante gli archivi fu quella del 1939, in epocafascista (legge 22 dicembre 1939, n. 2006 relativa alnuovo ordinamento degli archivi del regno,pubblicatanella Gazzetta Ufficiale n.13 del 17 gennaio 1940) cheindividuò nel Paese 20 Archivi di Stato e 74 sezioni . Legrandi memorie della patria, questo era l’intento,venivano affidate nella loro documentazione agli Archivipoiché, come saggiamente scriveva nel 1632 BaldassareBonifacio nel suo Trattato archivistico dal titolo DeArchivis liber singularis «Nihil est enim ad istruendosatque edocendos homines utilius, nihil ad res obscuraseruendas ac illustrandas, nihil ad patrimonia regnaque,ac demum privata et publica omnia conservanda magisnecessarium, quam voluminum et monumentorum, actabularum, bene ìnstructa suppelex».

Un esempio di ricerca

La ricerca di cui si vuole portare un esempio è relativaall’imponente fenomeno dell’emigrazione siciliana. Inun secolo (dal 1876 al 1976) si calcola che oltre duemilioni e cinquecentomila isolani siano espatriati versogran parte dei continenti. L’obiettivo della ricerca èstato duplice: da una parte un’analisi complessivadell’andamento del grande esodo e in secondo luogol’approfondimento di una particolare storia familiareche fosse in qualche maniera paradigmatica di quantosuccesso ad altri gruppi di siciliani.

La fase propedeutica

Le giornate di studio in archivio sono state preceduteda una paziente e accurata ricerca bibliograficasull’argomento preso in esame, che ha consentito nonsolo di trovare notizie archivistiche di documenti editima ha, soprattutto, contribuito a ricostruire il quadrostorico istituzionale nel quale si formarono gli atti e dicomprenderne la natura e le relazioni reciproche. Ognidocumento, infatti, fa parte di un insieme sistematico eva interpretato in relazione ad esso, giacché isolato dalcontesto perde gran parte del suo significato.Di grande utilità è stata la lettura del saggio“L’emigrazione siciliana” di Matteo Sanfilippo che ,uscendo dai luoghi comuni di tanta pubblicistica eletteratura, ripercorre le ragioni che hanno spinto questagrande comunità a lasciare la terra d’origine,interrogandosi anche sulle destinazioni, sulle connessioni

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Archivio di Stato di Palermo, sede di Corso Vittorio Emanuele

Es. di documento d’archivio: manoscritto in pergamena della metà del sec. X

fra le famiglie che restavano e quelle che si insediavanonel “nuovo mondo” e infine sui processi di adattamentoalle culture, le leggi e le professioni dei nuovi paesi.Fra le fonti archivistiche consultate meritanoparticolare attenzione i seguenti Istituti:• La Direzione centrale di statistica• Le Questure delle nove province• Il Gabinetto di Prefettura • Il Tribunale civileIl materiale archivistico di questi fondi è costituito dabuste, filze, registri, quaderni, fascicoli, termini che,insieme ad altri, fanno parte del dizionario usuale delmateriale d’archivio (vedi glossario in appendice).Di grande rilievo è anche il contributo fornito dal MEI,Museo nazionale dell’emigrazione italiana , inauguratoil 23 ottobre del 2009 dal presidente della RepubblicaGiorgio Napolitano, sito presso il complessomonumentale del Vittoriano a Roma. L’esposizione,ospitata in oltre quattrocento metri quadrati, raccogliemateriali in un percorso articolato dalle origini delfenomeno fino ai tempi più recenti. Spiega il direttoredel MEI Alessandro Nicosia in un’intervista al quotidianoAvvenire che “nel nuovo museo sono allineatidocumenti, fotografie, lettere, cartoline, oggetti rari olegati alla vita quotidiana e al lavoro dei migranti,assieme a pannelli esplicativi, una biblioteca, una salacinema e spazi di approfondimento interattivi condocumentari, film, musica, canzoni e altri materialimultimediali e testimonianze dell’emigrazione,provenienti – ad esempio – dalle Teche Rai e

dall’Istituto Luce”. La struttura è articolata in sezioni:laprima è dedicata alla fase preunitaria. La successiva aglianni dal 1876 al 1915 e può contare sulle prime serieanalisi statistiche. È questo infatti il periodo in cui c’è lapiù alta concentrazione di esodi, avvenuti per lo piùprima della Grande guerra. La terza studia e analizzal’emigrazione fra le due guerre mondiali. L’ultima infinesi occupa di registrare com’è cambiata l’emigrazione,soprattutto con particolare attenzione a quella internaper effetto dei cambiamenti sociali ed economici delpaese e dell’avvio dell’industrializzazione. Unimportante spazio è riservato,inoltre, alla stagioneattuale che ci vede come paese destinazione diimmigrati provenienti da aree difficili del mondo.Dopo la ricognizione bibliografica e la verifica delladocumentazione archivistica, per fare un’analisi storicaoccorre elaborare tutti i dati desunti comparandoli fraloro in modo da ricavare un quadro complessivo dellamateria oggetto di ricerca.

Un dato che serve più di ogni altro a comprendere ledimensioni del fenomeno è quello degli espatri e deglieventuali rimpatri.Dal sito ufficiale del Mei emerge che: “L’emigrazione siciliana, assieme a quella calabrese, è lapiù studiata in Italia e soprattutto è quella che ha piùcolpito l’immaginazione soprattutto cinematografica.Eppure la Sicilia è sempre stata terra d’immigrazione: lo èora dall’Africa, lo è stato nel medioevo e nell’etàmoderna. Sino a tutta la prima metà dell’Ottocento lepartenze furono pochissime e in genere legate a episodidi fuoriuscitismo, per esempio dopo l’insurrezionemessinese del 1682 o i moti del 1821. Nel primo casovenne a costituirsi un nucleo siciliano in Francia, che inun secondo tempo favorì l’emigrazione nel Nord Americae offrì un contraltare al più comune trasferimento inSpagna e alle colonie di questa. Nel secondo caso ungruppo di esuli stabilitisi a New York avviò un proficuocommercio di frutta, che successivamente ispirò unapiccola catena migratoria. Soltanto nel secondoOttocento si alterò l’equilibrio demografico dell’isola:all’incremento demografico corrispose la fuga dallecampagne verso le città.Nell’ultimo decennio del secolo una parte di questi flussifu drenata verso le Americhe grazie al ribasso dei prezzinavali, alla tensione politica succeduta alla sconfitta deiFasci siciliani nel 1893-1894 e al desiderio di una partedei contadini meno disperati e dei piccoli proprietari dirimpinguare i propri capitali. Questi due gruppisfruttarono l’emigrazione temporanea nelle due Americhe(in genere i piccoli proprietari optarono per i lavoriagricoli nel Sud e i contadini senza terra per i lavoriurbani nel Nord), mentre i disoccupati provenienti dallecittà e gli esuli per i Fasci scelsero addirittura di trasferirsi

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Secolo XIX, foto di emigrati

definitivamente negli Stati Uniti, dove preservarono unaforte tradizione di radicalismo politico. Le partenze dallaSicilia aumentarono con regolarità dal 1890 al 1914. Laguerra determinò un forte numero di rientri, ma lepartenze ripresero dopo il 1918 per essere, però, deviateverso l’Italia centro-settentrionale nel Ventennio fascista.Alla ripresa dei flussi dopo la seconda guerra mondialetroviamo una nuova tipologia, per cui all’emigrazioneverso la capitale, il triangolo industriale e il Ponenteligure, spesso definitiva, si accompagnarono permanenzetemporanee in Europa (prima in Francia, poi in Germaniae Svizzera). Non mancarono comunque coloro cheoptarono per le Americhe, in particolare per gli StatiUniti, dove esistevano ancora forti comunità siciliane. Lacrisi dell’edilizia negli anni Settanta interruppe le correntieuropee, allora in parte sostituite da ulteriorispostamenti, anche definitivi, nella Penisola edall’emigrazione cantieristica nel Terzo Mondo. Dalla finedel Novecento sono riprese le partenze verso la Germaniae gli Stati Uniti, nonché verso l’Italia del centro-nord.”La stessa fonte mette a disposizione una tabellaesplicativa dei flussi migratori fra il 1876 e il 2005.

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1876 1.2281877 7671878 1.0651879 8881880 8841881 1.1431882 3.2151883 4.0401884 2.4201885 2.1861886 4.2701887 4.6531888 7.0151889 11.3081890 10.7051891 10.1301892 11.9121893 14.6261894 9.1251895 11.3071896 15.4321897 19.1091898 25.5791899 24.6041900 28.8381901 36.7181902 54.4661903 58.8201904 50.6621905 106.208 8.1331906 127.603 13.7061907 97.620 20.4911908 50.453 45.164

1909 94.833 16.6721910 96.713 25.7081911 50.789 36.4251912 92.788 31.8311913 146.061 28.1351914 46.610 36.6511915 16.169 29.6061916 20.073 7.0601917 6.004 2.8351918 2.087 1.2831919 36.476 17.1701920 108.718 12.1621921 23.082 17.2931922 22.367 11.5041923 36.070 7.0991924 28.956 11.9141925 23.760 11.4701926 22.781 13.6231927 19.595 14.4641928 11.926 9.5891929 13.629 9.1201930 16.257 9.9151931 14.342 11.2461932 7.389 9.4081933 5.941 7.6841934 5.914 6.8611935 5.356 4.2461936 3.701 5.1001937 5.550 4.7831938 5.168 3.6221939 2.928 6.5071940 879 3.7901941 76 619

1942 68 2801943194419451946 6.626 1361947 17.436 2.0411948 25.872 3.8891949 29.101 4.1021950 23.752 3.8981951 27.097 5.5821952 24.965 4.6871953 21.127 5.6551954 26.298 8.7081955 33.479 9.7891956 38.274 11.4211957 35.074 13.4371958 24.865 9.7171959 21.342 9.0581960 35.511 12.5691961 36.432 14.3111962 37.625 15.4731963 28.692 15.3351964 28.745 14.4231965 31.258 15.3421966 33.953 15.5491967 23.879 11.6021968 29.326 10.5351969 21.178 11.8481970 19.136 12.6991971 26.360 11.0001972 19.520 13.0551973 18.713 12.5901974 15.059 13.530

1975 11.275 16.2301976 13.086 15.9041977 10.771 13.1671978 10.393 11.4401979 10.704 10.7211980 11.422 11.9301981 11.847 12.7421982 17.345 14.8631983 13.204 15.3261984 11.164 11.4341985 10.334 9.8971986 9.105 7.0111987 8.406 8.8821988 8.182 7.9801989 15.887 7.5381990 10.769 8.6631991 11.514 7.2521992 11.446 6.7311993 16.152 6.3941994 13.615 5.0481995 7.890 4.4751996 8.349 4.1431997 8.093 4.0541998 7.414 3.9071999 11.455 4.0792000 7.859 4.3182001 7.731 4.8892002 5.801 5.1982003 6.138 5.3042004 6.898 5.5872005 6.553 5.409

Totali 2.883.552 1.065.666

Anno Espatri Rimpatri Anno Espatri Rimpatri Anno Espatri Rimpatri Anno Espatri Rimpatri

Donne emigrate

Da questi dati emerge anche lo sfondo della storia sucui si è concentrata l’attenzione: quella dellamigrazione di alcune famiglie dalla Sicilia alla Spagna.

Gli Orlando: emigranti di successo

Alla fine del XIX sec., in Sicilia, alcune famiglietradizionalmente impegnate nella pesca del pesceazzurro, costrette ad una vita di stenti, con mercatiasfittici condizionati dall’andamento della stagione maanche dalle difficoltà di commercializzazione delprodotto, tentarono la fortuna in altre località marinaredel paese (un esempio fra tutte Genova) ma ancheoltre i confini nazionali. Fra i tanti nomi che siricordano citiamo i Lo Coco, i Trapani, gli Scardina, iD’Amato, i Barbera, i Sanfilippo. Venivano da Trapani,Porticello, Sciacca.La storia, qui di seguito raccontata è quella dellafamiglia Orlando ,originaria di Terrasini un paese apochi chilometri da Palermo che a quell’epoca soffrivadi una grave crisi economica*.Nel 1898 Giuseppe Orlando, giovane pescatore diTerrasini ed esperto nella tecnica di conservazione delpesce azzurro, venne a sapere da alcuni mercanti ebrei,che gestivano a Genova il mercato italiano dellasalagione, che nel nord della Spagna il pescato eraquanto mai abbondante e di ottima qualità. Purtuttavia quelle popolazioni ignoravano l’uso diconservare il pesce fresco non consumato cheregolarmente veniva buttato via. Solo il tonno eralavorato e inscatolato.Giuseppe Orlando decise di sfidare la sorte e con lafamiglia si trasferì nei paesi baschi. Il suo esempio fuseguito da altre famiglie del piccolo borgo siciliano.Gli Orlando, che in Sicilia potevano fregiarsi del titolodi maestri salatori, giunti nel paese Cantabricoimpegnarono quasi tutti i loro risparmi nell’ acquistodi grosse partite di sarde e acciughe e cominciarono alavorarle, addestrando un poco alla volta gli operai delluogo.Su lunghe tavole di legno, Orlando insegnò loro aeviscerare il pesce, a ripulirlo dall’eccesso di squame, aprivarlo della testa con delicatezza per non rovinarlo e ariporlo a strati alternati, cosparso di sale marino, incontenitori di legno (i cosiddetti barilotti) sotto un pesoche ne liberasse il grasso e l’acqua in eccesso. Lamaturazione poteva durare anche diversi mesi. Poi ilcontenitore sigillato raggiungeva i mercati. I primi bariligiunsero in Liguria e ben presto l’anchoa del Nord dellaSpagna incontrò il favore del consumatore italiano.

Giuseppe era un lavoratore instancabile e presto tutti ifigli furono coinvolti nell’attività ma solo il più piccolofra loro, Salvatore, mostrò di avere la stoffadell’imprenditore dando una svolta alla produzione ealla commercializzazione del pesce sotto sale. Così, nel1917, impiantò la prima fabbrica ittico-conservieradella famiglia a Guetaria, un paesino vicino a SanSebastian.Assunse del personale: a parte gli uomini, chiamatibarileros, che sistemavano e lavavano i barili, lamanodopera era costituita da donne, a volte ancheappena adolescenti. Gli Orlando cominciarono avendere il loro prodotto esclusivamente in Italiacreando un ponte diretto fra i due paesi che durò permolti anni (venivano esportati circa 200 quintali diprodotto all’anno). La pesca iniziava il 19 marzoquando le alici si avvicinavano alla costa per deporre leuova sui banchi sabbiosi e terminava a giugno quandola tenerezza e il sapore delle loro carni diminuiva.Un’impresa fortunata, quella del capostipite Giuseppe,che nel giro di alcune generazioni, grazie soprattuttoall’opera indefessa di Salvatore, consentì agli Orlandodi fare il salto di qualità diventando fra i maggioriindustriali del settore e salendo al contempo la scalasociale così da essere una delle famiglie borghesi piùin vista della regione. Per gli spagnoli erano lositalianos e a Salvatore fu dato l’appellativo di el rey dela anchoa. Aveva trasferito la sua conoscenza

L’ARCHIVIO SCRIGNO DELLA STORIA 65

* Le notizie sulla storia della famiglia Orlando sono state tratte da un articolodella giornalista Patrizia Floder Reitter, pubblicato su infoItaliaSpagna.com,rivista e sito degli italiani in Spagna

Salvatore Orlando e la moglie Simona Olosagasti

Il documento originale di Salvatore Orlando nato a Terrasini nel 1897, agenteconsolare dal 1923

dell’antica arte siciliana della salagione a quel popolo. La famiglia nei suoi diversi stabilimenti aperti inSpagna arrivava a lavorare 3500 tonnellate di anchoase sardinas oltre a grandi quantità di tonno chevenivano esportate in tutto il mondo. Lo spiritoimprenditoriale di Salvatore Orlando non si limitò allalavorazione del pesce. La sua azienda promosse anchela catena conserviera dei prodotti vegetali e inparticolare del “tomate frito”, la salsa di pomodoro everdure che riscosse uno straordinario successo di

vendite. Il valore professionale e l’impegno civile esociale di Salvatore furono riconosciuti anche dallacomunità e dal governo che lo nominò nel 1926Console di Guipùzcoa e Navarra e nel 1954 anche delterritorio di Logrono. Salvatore Orlando muore nel1995, consapevole e orgoglioso di aver creato unimpero. L’azienda, tuttavia, era stata venduta,nel1983,alla multinazionale Heinz Iberica con il diritto dicontinuare ad utilizzarne il marchio ,sinonimo sin dallanascita, di tradizione e qualità per tutti gli spagnoli.

Gabriella Monteleone66

Archivio 1) Complesso dei documenti prodotti ocomunque acquisiti da un ente (magistrature, organi euffici centrali e periferici dello State; enti pubbliciterritoriali e non territoriali; istituzioni private, famigliee persone) durante lo svolgimento della propriaattività. I documenti che compongono l’archivio sonopertanto collegati tra loro da un nesso logico enecessario detto «vincolo archivistico». In questaaccezione si usa spesso la parola fondo come sinonimodi archivio; 2) locale in cui un ente conserva il proprioarchivio; 3) istituto nel quale vengono concentratiarchivi di varia provenienza che ha per fineistituzionale la conservazione permanente deidocumenti destinati alla pubblica consultazione.Busta Unità di consistenza. È il contenitore nel qualevengono raccolti e conservati i fascicoli o – nel caso diatti singoli non raggruppati in fascicoli – i documentisciolti. Si usano come sinonimo di busta le parolefaldone e cartella. Si possono trovare usate nello stessosenso anche le parole mazzo, fascio, pacco, filza. Talidenominazioni, specifiche di aree storico-geografichedifferenti, individuano in realtà le originarie unitàarchivistiche costituite, a fini di conservazione, daraggruppamenti più o meno organici di documenti. Laparola filza (che ha assunto significati un po’ diversi indifferenti territori) deriva dall’uso risalente al Medioevodi tenere i documenti d’uso quotidiano infilzati su unlungo ago perpendicolare al tavolo d’ufficio e quindilegati insieme facendo talora passare uno spagoattraverso il foro prodotto dall’ago.Deposito 1) È l’atto mediante il quale gli enti pubblicitrasferiscono, ove non vogliano o non possanoprovvedere direttamente alla conservazione del proprioarchivio storico, la documentazione all’Archivio di Statocompetente. L’ente resta proprietario dell’archivio e

può rientrarne in possesso. Anche i privati possonodepositare le loro carte presso gli Archivi di Stato oaltre istituzioni; 2) locale nel quale un ente conserva ladocumentazione non più occorrente alla trattazionedegli affari in corso.Dichiarazione di notevole interesse storico È l’attoemanato dal soprintendente archivistico, mediante ilquale vengono imposti al privato, possessore odetentore di un archivio, una serie di obblighi tesi agarantirne la conservazione e la consultabilità.Documento Testimonianza scritta di un fatto di naturagiuridica, compilata con l’osservanza di determinateforme che conferiscono al documento pubblica fede eforza di prova. L’archivistica tende a ricomprenderesotto la dizione di documento tutta la documentazionedi cui si compone un archivio, anche se si tratta didocumenti informali, lettere private, documenti astampa, fotografie.Inventario Strumento di ricerca. Descrive in manieraanalitica o sommaria tutte le unità archivistiche di unfondo ordinato.Fascicolo Unità archivistica costituita dai documentirelativi a un determinato affare, collocati – all’interno diuna camicia o copertina – in ordine cronologico. IIfascicolo costituisce I’unità di base, indivisibile, di unarchivio, mentre la busta, che contiene diversi fascicoli,si considera unità soltanto ai fini della conservazionemateriale. Talora il fascicolo comprende documentirelativi ad affari diversi, o a questioni di caratteregenerale. Può essere articolato in sottofascicoli e inserti.Se l’archivio non è organizzato secondo criteri sistematiciè frequente trovare una pluralità di fascicoli miscellanei.Filza Cfr. BustaFondo Cfr. Archivio 1Guida Strumento di ricerca. Descrive sistematicamente

GLOSSARIO DEI TERMINI ARCHIVISTICI CURATO DA PAOLA CARUCCIPER CONTO DELLA DIREZIONE GENERALE PER GLI ARCHIVI PRESSO IL MINISTERODEI BENI E DELLE ATTIVITÀ CULTURALI

L’ARCHIVIO SCRIGNO DELLA STORIA 67

tutti i fondi conservati in un istituto archivistico o inuna pluralità di istituti archivistici che hanno la stessanatura istituzionale. Nel primo caso si parla di guideparticolari, nel secondo di guide generali. Di massimale guide generali e particolari forniscono unadescrizione a livello di fondo, serie o sottoserie.Ordinamento Complesso delle operazioni necessarieper dare un’organizzazione sistematica alle unitàarchivistiche sulla base di un principio teorico. Dallametà del secolo scorso si è affermato in Italia il metodobasato sul rispetto del principio di provenienza ometodo storico che consiste nel restituire alle serie deidocumenti l’ordine originario. Tale metodo comporta lanecessità di studiare I’ordinamento dell’ente che haprodotto le carte, le sue funzioni, I’organizzazionedegli uffici e i criteri secondo cui aveva organizzato ilproprio archivio. Nell’ordinamento si tiene conto dieventuali successivi ordinamenti, dei mutamentiistituzionali e, in corrispondenza con essi, di possibilitrasferimenti di carte da altri uffici o ad altri uffici.Registro Unità archivistica costituita da un insieme difogli rilegati. Nel registro vengono trascritti o registratiper esteso o per sunto documenti e minute didocumenti, ovvero vengono effettuate trascrizioni,registrazioni e annotazioni costitutive dell’attogiuridico. Spesso si usa impropriamente I’espressionevolume come sinonimo di registro.Scarto Operazione con cui si destina al macero partedella documentazione di un archivio prima delversamento nell’Archivio di Stato o nella Sezionestorica dell’archivio di un ente pubblico. Manca inItalia un’espressione specifica per indicare I’operazionedi valutazione per lo scarto che, evidentemente,rappresenta il momento qualificante nella selezione deidocumenti da destinare alla conservazione permanente(cfr. comunque Sorveglianza).Serie Ciascun raggruppamento di documenti concaratteristiche omogenee, all’interno di un fondo

archivistico. Può essere articolata in sottoserie.Sorveglianza Indica l’insieme delle funzioni relative allavalutazione per lo scarto dei documenti prodotti dallapubblica amministrazione, alla preparazione deiversamenti e al controllo della corretta gestione degliarchivi correnti degli uffici statali. Tali funzioni sonoesercitate da apposite commissioni di sorveglianzaistituite per tutti gli uffici centrali e periferici dello Stato edi cui è sempre membro di diritto un archivista di Stato.Titolario Quadro di classificazione articolato incategorie e eventualmente in ulteriori sotto-partizioni,in base al quale i documenti dell’archivio correntevengono raggruppati secondo un ordine logico.Versamento Operazione mediante la quale un ufficiocentrale o periferico dello Stato trasferisceperiodicamente la propria documentazione, non piùoccorrente alla trattazione degli affari, nel competenteArchivio di Stato, previe operazioni di scarto. La leggeprevede che debbano essere versati i documenti relativiagli affari esauriti da oltre un quarantennio, ma oveesista pericolo di dispersione o danneggiamento, gliArchivi di Stato possono accogliere anchedocumentazione più recente.Vigilanza Indica I’insieme delle funzioni attribuitealle Soprintendenze archivistiche relative alla tuteladegli archivi degli enti pubblici, territoriali e nonterritoriali, e degli archivi privati, conservati dimassima presso l’ente produttore o presso istituzioniculturali diverse dagli Archivi di Stato.Vincolo archivistico Nesso che collega in manieralogica e necessaria i documenti che compongonoI’archivio di un ente.Volume Unità archivistica costituita di più foglirilegati insieme. La parola attiene all’aspetto esternodei documenti e distingue quelli che si presentanocome unità rilegate rispetto a quelli sciolti conservati inbuste. Di fatto la parola viene usata spesso comesinonimo di registro.

Gabriella Monteleone68

In un secolo, dal 1876 al 1976, circa duemilioni ecinquecento mila siciliani hanno lasciato la loro terra incerca di fortuna negli altri mondi, tutti nuovi,accarezzando la speranza di un’esistenza più libera dalbisogno e con più diritti.Lo stesso spirito che anima le migliaia di disperati chelasciano le loro capanne e i tuguri in cui vivono, eaffrontano i rischi di un viaggio pericoloso e infido,costretti ad affidarsi a mercanti di uomini senzascrupoli, per cercare un “passaggio” verso una “terramigliore”.Questo doppio punto di vista, dei siciliani emigranti edella Sicilia come destinazione , seppure provvisoria(porta d’accesso più che meta) degli immigrati è il filorosso che lega alcune delle produzionicinematografiche, documentaristiche e teatrali degliultimi anni.Nessuno vuole ovviamente sottovalutare gli altri grandifilm che sono stati dedicati all’esodo di milioni diuomini e donne, anziani e bambini, ma la nostraattenzione vuole puntare su alcuni prodotti, abbastanzarecenti, che hanno trovato anche un linguaggioespressivo nuovo e coinvolgente.

Nuovomondo (Golden door)pellicola di Emanuele Crialese(2006)

Il film racconta la storia di unafamiglia di contadini-pastorisiciliani: i Mancuso. La madreFortunata, e tre figli, il piùgrande dei quali, Salvatore, è ilprotagonista del racconto,decidono di partire per l’America per abbandonare unavita piena di stenti e povertà. Le due figure di rilievosono interpretate da Aurora Quattrocchi e VincenzoAmato. Sulla nave Salvatore incontra una misteriosadonna inglese, interpretata da Charlotte Gainsbourg,che tenta per la seconda volta di passare i rigidicontrolli di Ellis Island. Una storia nella storia.Diversissimi per nascita ed estrazione socialecondivideranno la dura esperienza dell’emigrazionelegati dalla solidarietà che nasce fra chi ha un comunedestino.

Il film punta la cinepresa sui volti, sulle storie, idrammi e le aspettative di questa comunità imbarcataper un viaggio lunghissimo. A tratti la sofferenzatrasfigura nel sogno con la visione fantastica edesagerata di quel “nuovo mondo” pieno di promesse esimboli che alimenta la speranza e fa vincere le paure.Momenti cruciali della narrazione sono: la tempestache sconvolge i viaggiatori e la quarantena dopol’approdo ad Ellis Island.Emanuele Crialese, romano di nascita, con forti radicinella cultura e nella storia della Sicilia, ha vissuto sullasua pelle l’esperienza emotiva comune agli emigrati, dicercare, cioè, fuori dalla sua terra la realizzazione delsuo sogno. Ha studiato cinematografia negli Stati Uniti,dove ha prodotto i suoi primi lavori, fra i quali OnceWe Were Strangers ospite del prestigioso SundanceFestival ideato da Robert Redford. Nel 2002 haottenuto il Premio della critica a Cannes per il filmRespiro, girato a Lampedusa e quindi ha potutorealizzare il film che aveva già in precedenza scritto:Nuovomondo appunto. Il suo ultimo impegno èdedicato ad una nuova storia ambientata in Sicilia,“Terraferma”, con Mimmo Cuticchio, AngelaFinocchiaro e Beppe Fiorello.Crialese parla con commozione di Nuovomondo. Inun’intervista rilasciata ad Arianna Finos e ChiaraUgolini per Repubblica nel settembre del 2006 spiegacosì le ragioni che lo hanno ispirato:«C’è un po’ l’inconscio collettivo in questo film. È unviaggio che ho raccontato attraverso la storia di unpersonaggio perché ho voluto dare identità a quelloche chiamiamo “fenomeno” dell’emigrazione. Un

I MIGRANTI DEL MARE: STORIE DI EMIGRAZIONE NEL TEATROE NEL CINEMA SICILIANO DEGLI ULTIMI ANNI

– Signora, dobbiamo sapere se siete buoni per entrare nel Nuovo Mondo…– E vossia chi siete? Domineiddio? U deciditi vossia si semu boni o no semu bonipe’ trasere na vostra terra dell’altro mondo?da Nuovomondo, di Emanuele Crialese, 2006

Foto di scena di Nuovomondo

fenomeno che poi riguarda le persone, i loro sogni, ledelusioni di viaggi incompiuti, bloccati o finititragicamente. Vorrei dare un po’ di identità a questo“fenomeno” anche se non credo che “Nuovomondo”sia un film sull’emigrazione ma sul sogno, il sogno ditutti quelli che partono lasciando tutto per sperare inun domani migliore.»Decisive non solo le memorie di parenti e amici o leimmagini di famiglia, ma anche l’accurata e lungapreparazione alla sceneggiatura. La svolta, certamente,è stata la visita al museo dell’emigrazione di EllisIsland, che ha reso più chiare ed evidenti le ragioni chel’hanno spinto a fare il film.«Ho trascorso molto tempo ad Ellis Island che oggi èun museo molto bello. Ho ritrovato delle facce simili aquelle dei miei nonni. Ho visto nel portamento, neivolti e anche negli stracci che portavano una grandedignità. Quello che ho scoperto ad Ellis Island, ed èuno dei motivi per cui ho voluto fare il film, è che èstato il primo laboratorio nella storia dell’umanità incui c’era la presunzione di studiare e misurarel’intelligenza. Erano studi che oggi chiamiamoeugenetica, studi iniziati lì che sono degeneratinell’eugenetica nazista. Sottoponevano gli immigrati aquesti test per capire le caratteristiche di ogni razza eper capire chi meglio si sarebbe adattato al nuovomondo, alla catena fordista.»

Ellis Island (2002)opera lirica contemporanea di Giovanni Sollimalibretto di Roberto AlajmoRegia di Marco Baliani e Todd ReynoldsInterprete femminile Elisa

Il tema di Ellis Island, in una forma diversa, quella diopera lirica, è affrontato in maniera originale e unicada Giovanni Sollima, il compositore e violoncellistapalermitano che può essere considerato uno degliartisti più importanti dello scenario internazionale. Sual’idea di dedicare un’opera contemporanea alladrammatica esperienza vissuta da milioni di sicilianinel centro di accoglienza e di smistamentostatunitense. L’incarico di scrivere il libretto fu affidatoa Roberto Alajmo, giornalista e scrittore, anch’eglipalermitano, già noto per i suoi molti romanzi e perquel “Repertorio dei pazzi della città di Palermo” che

catturò l’anima di una città divisa dalle contraddizioni.Alajmo, in un commento, una sorta di diario, cheaccompagna il libretto racconta i dubbi e il suopercorso per piegare l’incredibile mole di informazionie storie raccolte in una lunga fase preparatoria, alleragioni delle composizioni di Sollima. «Uno dei problemi centrali da affrontare è stata lastruttura portante: esclusa in partenza una tramaconvenzionale, decidiamo di fare a meno anche diqualsiasi intelaiatura drammatica. Nasce l’idea di unFinto Reportage Musicale, dove i diversi contributiraccolti sul tema vengono alternati in modo daformare una sorta di disegno che si protrae nel tempo,senza colpi di scena, agnizioni, astratti furori, moralida trarre o, peggio ancora, già tratte...�Nel libretto nonci sono nemmeno versi veri e propri. La metrica èconsistita in qualcosa di molto più artigianale,qualcosa che somiglia a spingere e stringere le parolefino a farle entrare nella musica». L’opera, aggiunge, è un autentico puzzle di voci,canzoni, dati, testimonianze, interviste, nomi, testi dicanzoni dell’epoca. Resta forte però l’immaginedrammatica della condizione vissuta dagli emigrati,attraverso la riproposizione dei meccanismi diselezione, tutti autentici, effettuati ad Ellis Island:«Gli individui subivano una mutazione identitaria eperfino onomastica: il loro nome veniva trascritto alla

L’ARCHIVIO SCRIGNO DELLA STORIA 69

La protagonista principale Elisa sulla scena di Ellis Island.tif

Scena corale di Ellis Island

A. Quattrocchi e V. Amato in una fotodi scena di Nuovomondo

La partenza da Palermo per New York

meno peggio, storpiato o addirittura radicalmentecambiato. C’è il questionario standard di ventinovedomande, alcune addirittura surreali, che venivanosottoposte all’aspirante emigrato; ne sbagliavi una ederi fuori. L’ultima, quella decisiva, era: lei haintenzione di uccidere il presidente degli Stati Unitid’America? Ci sono i funzionari che avevano il compitodi filtrare questo flusso di disperazione sulla base diquel che davvero serviva agli interessi del Paese. Cisono i funzionari-medici che si aggiravano fra le filedegli emigranti impugnando un piccolo uncino, quasiuno strumento di tortura, che serviva a rovesciare lepalpebre dei soggetti scelti a campione. In questomodo veniva riscontrata la presenza invalidante delglaucoma, malattia degli occhi allora particolarmentetemuta. Ci sono i gomitoli di lana che gli emigratilasciavano nelle mani dei parenti venuti a salutarli alporto. Un capo del filo restava invece a loro, e quandola nave salpava il gomitolo cominciava a dipanarsi,fino a rimanere sospeso nel vento...�C’è la scelta deipadri di famiglia chiamati a decidere cosa fare quandoun singolo componente – un figlio, o una madre –veniva respinto: andare avanti lo stesso senza di lui otornare tutti indietro?»Roberto Alajmo per il grande affresco sull’emigrazionesiciliana transoceanica si è avvalso oltre che di testi diautori americani sull’argomento anche del contributodi un siciliano: Tommaso Bordonaro, un contadinopastore semianalfabeta di Bolognetta, emigrato nel1947 con la famiglia in America dove è morto nel2000. Il suo diario in forma di autobiografia,“Laspartenza”, vinse il premio Pieve Santo Stefano per leautobiografie e fu pubblicato da Einaudi con laprefazione di Natalia Ginzburg circa venti anni fa. Illibro è diventato poi il punto di riferimento ed’ispirazione per altre opere. Recentemente anche diuna messinscena dedicata interamente alla suaesperienza, allestita dal Teatro del Baglio di Villafraticon la regia di Enzo Toto, rappresentata dapprima nel2005 alle Orestiadi di Gibellina e riproposta due annidopo nella prestigiosa sede dell’Italian Academy dellaColumbia University di New York.L’opera di Sollima, commissionata e prodotta dal TeatroMassimo di Palermo, è andata in scena nel 2002.

La porta della vita (2010)atto unico musico-teatrale di e con Filippo Lunaadattamento Maria Elena Vittorietti

Per restare al teatro, quello di prosa questa volta,un’esperienza di grande rilievo è quella messa incantiere da Filippo Luna, straordinario e versatile artista,interprete fra l’altro anche del film di Crialese già citato,che ha utilizzato, in forma drammaturgica i testi deireportage del giornalista e inviato di La Repubblica,

Francesco Viviano. La Porta della vita, questo il titolo delmonologo del quale Luna è anche il regista, è natodall’adattamento teatrale di Maria Elena Vittorietti. Lemusiche e gli arrangiamenti dei canti tradizionaliafricani sono del polistrumentista Dario Sulis.La storia raccontata è quella della motonave Pinar: ilmercantile turco che a fine aprile del 2009 su invito diMalta e Italia si trovò a deviare la sua rotta per salvare145 naufraghi e poi venne lasciato in balìa del mareperché nessuno dei due Stati dava al comandante ilpermesso di attraccare. Si trattò del primorespingimento di emigranti alcuni dei quali donne ebambini. Un evento storico, tragico e mortale cheindignò fortemente l’opinione pubblica.Il racconto si dipana attraverso le storie di quattroclandestini della Pinar, il migrante Austine, ilcomandante turco Asik , la nigeriana Florence e suafiglia Sharon:quattro storie parallele di persone cheinvocano rispetto. Urlano la loro umanità negata. Maanziché ottenere comprensione per il sogno di unfuturo diverso, migliore, per i loro sentimenti e il lorodolore, ricevono invece una nuova condanna: sonorinchiusi nei lager libici, riconsegnati a quell’infernodal quale avevano tentato di scappare. La scenografia èscarna. Sullo sfondo della scatola teatralecompletamente nera si stagliano le gigantografie deiprotagonisti della terribile esperienza accompagnatedalle struggenti note dei tamburi africani e dalladolcezza dei canti delle diverse tribù.L’atto unico si muove nell’alveo del teatro civile eaffronta il tema delle migrazioni irregolari, presentenelle società di oggi, che nessun governo europeosembra aver saputo adeguatamente affrontare tenendoconto delle esigenze di sicurezza e insieme di quelledel rispetto della vita e dell’accoglienza. Un passo dell’opera racconta più di ogni commento lacondizione del migrante:

«Il cielo è l’unico tetto che ti protegge ...I fari delle piattaforme petrolifere sono le stelle daseguire nella lunga traversata... Qualcuno più anzianodi giorno sta con gli occhi puntati all’insù e dice al

Gabriella Monteleone70

Immigrati imbarcati sulla motonave PINAR. Foto AP Lapresse

pilota di seguire la stessa strada degli uccelli chemigrano dalle coste africane per raggiungere l’Isola.Sono stormi di Gruccione, Balia Nera e Canapinipallidi, ma loro vanno veloci e tranquilli e sparisconopresto dall’orizzonte, liberi come sono...Se l’Isola fosse Itaca, all’ingresso del porto su unoscoglio campeggerebbe la frase: ‘Tutti i naviganti delmare sono cittadini di Itaca’... Ma L’isola è Italia eItaca è Grecia e l’Odissea è solo leggenda, la storiavera è che devi sperare che il mare non ti inghiottamentre cerchi un posto migliore alla tua vita…»

Un confine di specchi (2002)Docu-film di Stefano Savona

C’è stato un momento, forse fra i meno noti della storiarecente, in cui la terra di partenza per migliaia e migliaiadi migranti verso le coste siciliane e da qui per entrare inEuropa, è stata anche terra d’approdo proprio per i nostriconterranei. La prima migrazione documentata in Tunisiae nel Maghreb è del 1835, durante il regno borbonico,per opera di comunità di pescatori, in particolare ditonnaroti e corallari trapanesi che si insediarono lungo lecoste nord-africane. Si trattò di un’emigrazionespecializzata, che trasferiva sui luoghi dove era più faciletrovare materie prime, un sapere secolare. Nei decennisuccessivi la presenza siciliana aumentò fino araggiungere le diverse migliaia di unità, e finendo colcostituire uno degli insediamenti più consistenti. Dallapesca all’agricoltura, i siciliani, s’ingegnarono per trovare,in un paese, diverso dal proprio ma allo stesso tempo cosìsimile, di che vivere. Di quella feconda convivenzasopravvivono i segni ancora oggi in varie località tunisine.Un esempio fra tutti la cittadina balneare di La Goulette,chiamata la “piccola Sicilia”, fondata da palermitani,trapanesi e agrigentini. La presenza fu talmentepenetrante che ancora oggi è possibile cogliereaddirittura le sfumature di una lingua locale infarcita diparole arabe e siciliane. A La Goulette, nota curiosa,

nacque da genitori trapanesi Claudia Cardinale, l’attriceitaliana protagonista di tanti indimenticabili film.A questo mondo, che raramente ha interessato il teatroo il cinema, è dedicato il bel lavoro di Stefano Savona,palermitano di nascita, il quale dopo aver studiatoarcheologia e antropologia a Roma ha iniziato l’attivitàdi fotografo e documentarista. Negli anni si è fattomolto apprezzare per alcuni reportage girati inKurdistan e anche di recente nella Striscia di Gaza dacui è nata l’opera Piombo fuso. Al tema dell’emigrazione ha sempre rivolto unaparticolare attenzione. Nel 1999 realizzò undocumentario su uno straordinario insediamento diprofughi curdi in Calabria, nel paesino costiero diBadolato. Nel 2002 torna sul tema, da un punto divista originale e rovesciato appunto con il Confine dispecchi. Storie speculari degli emigrati siciliani inTunisia nell’800 e nel ‘900 e di quelle di giovanitunisini in Sicilia oggi. Il film ha ricevuto molti riconoscimenti fra i quali ilprestigioso Premio speciale della giuria al Festival delCinema di Torino. In una scheda sul film il produttore e il registaspiegano così l’intento del documentario:«È un confine di specchi quello che separa le costesiciliane da quelle tunisine. Un confine che divide, unisce,allontana e avvicina, un confine che paradossalmentefinisce per accomunare, aggregare. Un confine tra duemondi diversi e uguali, una distesa di specchi cheriflettono volti, anime, vite che quasi si confondono traloro. Seguendo il tragitto della nave “Prometeo” di ungruppo di pescatori tunisini, che fa la spola tra LaGoulette (Tunisia) e Mazara del Vallo (Sicilia), si percorreun viaggio a ritroso nella vita dei pescatori di oggi e diieri. Le storie di Taufik, di Habib, di Ridha e di Hassin,quattro immigrati tunisini, si sovrappongono a quelle diun’altra emigrazione, quella dei 150.000 siciliani,pescatori, contadini, muratori, minatori, che agli inizi delsecolo scorso si trasferirono in Tunisia».

Cinema, teatro, musica e documentario. Quattrostrumenti per un unico racconto: quello dell’esodo edegli esodi, della ricerca di migliori condizioni di vita,a volte, anche solo di sopravvivenza. La stessa mollache poco dopo l’Unità d’Italia cominciò a spingeremilioni d’italiani a lasciare il loro paese verso i nuovicontinenti in sfibranti e incerti viaggi transoceanici eche da alcuni decenni è scattata a poche centinaia dichilometri da casa nostra, dalle coste nord-africanedove arrivano da gran parte del continente migliaia diprofughi che sfuggono alla guerra, ai conflitti etnici ereligiosi o alle carestie. Una stessa grande storia,declinata con tante storie uniche che meritano di esserraccontate e di essere ascoltate.

L’ARCHIVIO SCRIGNO DELLA STORIA 71

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1 A spasso per Tunisi; 2 Foto di scena tratta da Un confine di specchi;3 Giovani tunisini tratta da Un confine di specchi; 4 Pescatori italiani etunisini a Mazara del Vallo tratta da Un confine di specchi

Finito di stamparedalla Officine Grafiche RiunitePalermo, maggio 2010

A cura di M. Emanuela Palmisano

Copia fuori commercio Vietata la vendita

Regione SicilianaAssessorato dei Beni Culturali e dell’Identità SicilianaDipartimento dei Beni Culturali e dell’Identità SicilianaSoprintendenza del mare

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