Gi VILLAornale della Comunità Parrocchiale

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Anno XXXIII - n.3 - Ottobre 2019 Cronaca parrocchiale, appuntamenti... e altro Giornale della Comunità Parrocchiale Giornale della Comunità Parrocchiale VILLA DI SERIO VILLA DI SERIO Cronaca parrocchiale, appuntamenti... e altro Anno XXXIII - n.3 - Ottobre 2019

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Anno XXXIII - n.3 - Ottobre 2019Cronaca parrocchiale, appuntamenti... e altro

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VILLADI SERIO

VILLADI SERIO

Cronaca parrocchiale, appuntamenti... e altro Anno XXXIII - n.3 - Ottobre 2019

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2 - Veniamo tutti da Lontano - Lettera del Parroco

NON DIMENTICARE CHE SEI STATO STRANIERO

l Vescovo di Milano, mons Delpini che è pas-sato da noi qualche mese fa in occasione delcentenario dell’incoronazione della Madonnadel Buon Consiglio, ha indetto per la Chiesa diMilano un sinodo intitolato “Chiesa dalle genti”. Il suo intento è che nelle comunità cristiane cisi lasci interrogare da questo fatto che oggi è piùevidente che ieri (ma che è da sempre un trattodella Chiesa): ovvero che la nostra Chiesa è com-posta da credenti che provengono da lontano,“dalle genti” appunto. Non è aspetto radical-mente nuovo, perché da sempre la Chiesa sor-ge dal convergere di uomini e donne che nonsono uniti da un principio etnico, sociale, cul-turale: «Non c'è Giudeo né Greco; non c'è schia-vo né libero; non c'è maschio e femmina, per-ché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28)proclama Paolo. La Chiesa nasce perché ven-gono adunate genti che provengono da altrove,da lontano. Il fenomeno delle migrazioni lo vogliamo guar-dare da un punto di vista diverso; non tanto daquello sociologico (che pure è importante e com-plesso) ma dal suo significato per l’adunarsi deicredenti, iniziando con l’accorgersi che molti diquesti “stranieri” sono nostri fratelli nella fede,credenti in Cristo, battezzati, magari anche ap-partenenti alla chiesa cattolica “romana”! Ma c’è qualcosa di più. Per Israele, lo stranieroha uno statuto particolare e rigorosamente pro-tetto: «Il forestiero dimorante fra voi lo trattere-te come colui che è nato fra voi; tu l'amerai co-

me te stesso, perché anche voi siete stati fore-stieri in terra d'Egitto» (Lv 19,34). Ecco quello che “ci ricorda” lo straniero: che ilcredente nasce lui stesso come straniero, e il mo-vimento della fede inizia con una migrazione,una partenza, un viaggio, e l’arrivo in una terrache non è quella originaria, nella quale dimoracome straniero (così gli Israeliti dopo l’esodo,così il loro padre Abramo). E quello che il Levitico dice ad Israele vale an-che per il “lombardo”! Da sempre la nostra ter-ra è stata la meta di arrivo di genti provenientida altrove, da lontano: la “nostra” tradizione èil frutto di una lunga contaminazione di genti di-verse (il predecessore di mons Delpini, il cardi-nal Scola, parlava di meticciato) e da questa traela sua ricchezza! I credenti stranieri residenti sono per questoun’opportunità: quella che impedisce a ciascu-no di noi di restare inchiodati in un’identità ri-gida e dimentica delle proprie stesse origini e diritrovare lo statuto di pellegrini, l’unico con ilquale possiamo abitare questa terra, senza vo-lerla possedere come “nostra”, imparando a cam-minare insieme a coloro che la vita ci destinacome fratelli e coabitanti. Potrebbero, i creden-ti stranieri residenti, aiutarci a ridefinire il sensoanche della parrocchia. Il termine parrocchia, infatti ha una duplice va-lenza: indica un modo di abitare e insieme diessere pellegrini, un sapore di casa ma ancheuna nostalgia di casa, perché siamo sempre in

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In copertina:“Maria Maddalena

annuncia la Resurrezione

agli Apostoli”icona del Piano

pastorale 2019-2020

della Diocesi di Bergamo.

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attesa di una abitazione “altra” che Dio prepa-ra per noi. Così infatti ne parla anche Paolo nel-la seconda lettera ai Corinti nel capitolo 5: «Sap-piamo infatti che, quando sarà distrutta la nostradimora terrena, che è come una tenda, riceve-remo da Dio un'abitazione, una dimora non co-struita da mani d'uomo, eterna, nei cieli. Perciò,in questa condizione, noi gemiamo e desideria-mo rivestirci della nostra abitazione celeste pur-ché siamo trovati vestiti, non nudi. In realtà quan-ti siamo in questa tenda sospiriamo come sottoun peso, perché non vogliamo essere spogliatima rivestiti, affinché ciò che è mortale venga as-sorbito dalla vita. E chi ci ha fatti proprio perquesto è Dio, che ci ha dato la caparra dello Spi-rito. Dunque, sempre pieni di fiducia e sapen-do che siamo in esilio lontano dal Signore fin-ché abitiamo nel corpo - camminiamo infatti nel-la fede e non nella visione -, siamo pieni di fi-ducia e preferiamo andare in esilio dal corpo eabitare presso il Signore. Perciò, sia abitando nelcorpo sia andando in esilio, ci sforziamo di es-sere a lui graditi». La parentela tra parrocchia e pellegrinaggio, tracasa e famiglia e nostalgia di un dimora “altra”è stretta, è incisa addirittura nell’etimologia. “Par-rocchia” proviene dal greco Paroikia, termineformato da parà, che significa vicino/presso e oi-kia, che significa casa o famiglia. Nel mondo an-

Veniamo tutti da Lontano

Le mie mani, pronte a lacerare e a ferire, davanti a te, o Signore, io le apro,

perché ridiventino capaci di accarezzare.Le mie mani, chiuse come pugni di odio e diviolenza, davanti a te, o Signore, io le apro,

deponi in loro la tua tenerezza.Le mie mani, si separano dal loro peccato, da-

vanti a te, o Signore, io le apro: attendo il perdono.

(Charles Singer)

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IO SONO UNO STRANIERO

i chiamo Anja e ho 52 anni. Nel mioPaese sono un ingegnere, qui faccio le puliziein un grande ufficio. Quando tutte le sere ac-cendo l'aspirapolvere, io sono una straniera.

Mi chiamo Paola e ho 46 anni. Tra due mesi fi-nisco la chemio e poi mi ricostruiranno il seno.Quando vado in giro con il mio foulard in testa,io sono una straniera.

Sono Giacomo e ho 11 anni. Sono un dsa, cioèfaccio fatica a leggere, anche se sono più intel-ligente di quasi tutti i miei coetanei. Quando inclasse vado alla lavagna, io sono uno straniero.

Sono Sara e ho 41 anni. Mio marito se n’è an-dato con una ragazza molto più giovane di mee di lui. Quando vado alle recite dei miei figli ascuola, io sono una straniera.

Sono John e ho 35 anni. Sei anni fa, in un inci-dente con la mia moto, ho perso l'uso delle gam-be. Quando torno a casa in auto e trovo il mioparcheggio occupato, io sono uno straniero.

Mi chiamo Ugo e ho 87 anni. Ho lavorato tuttala vita come imprenditore e tutti mi portavanorispetto. Quando Pedro mi lava e poi mi mette

a letto, io sono uno straniero. Sono Bantu e ho 37 anni. Sono nato in questoPaese e sono un medico di pronto soccorso.Quando un paziente arriva e si rivolge a Mari-na, la mia infermiera, io sono uno straniero.

Sono Giulia e ho 16 anni. Sono alta un metro ecinquantatre, e peso settantacinque chili. Quan-do nell'ora di ginnastica faccio gli esercizi, iosono una straniera.

Mi chiamo Mohamed e ho 54 anni. Faccio ilmuratore e lavoro nei cantieri. Quando a mez-zogiorno mi inginocchio verso Est, tra la polve-re e il rumore dei camion, io sono uno stranie-ro.

Sono io e nascerò domani. Non so come mi chia-mo, né di che colore ho la pelle, di chi mi in-namorerò e quanti chili avrò addosso. Non socome leggerò, o verso quale Dio rivolgerò le miepreghiere. Spero solo di nascere tra persone giu-ste, dove non sentirmi, mai, uno straniero.

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no tico il termine indicava la residenza in un pae-se straniero, un soggiorno all’estero e persinol’esilio. In questo senso viene utilizzato anchenel nuovo testamento per indicare la situazionedelle comunità cristiane: nella sua prima Lette-ra, Pietro scrive “ai fedeli dispersi nel Ponto, nel-la Galazia, nella Cappadocia, nell’Asia e nellaBitinia”, esortandoli così: “comportatevi con ti-more nel tempo del vostro pellegrinaggio (tesparoikias)”. È “pellegrinaggio”, per Pietro, l’in-tera vita terrena ma lo è in modo ancora più evi-dente l’esistenza dei cristiani a cui scrive, per-seguitati e dispersi. E Pietro poco più avanti usaanche la parola pàroikos, “parroco”, al plurale,che viene tradotta con “straniero”: “Carissimi,

io vi esorto come stranieri”... (2,11 ). “Parroc-chia” e “parroco”, sono quindi parole segnateda una certa nostalgia della casa e della fami-glia, che risulta almeno momentaneamente di-stante e inaccessibile, ma per questo ancor piùdesiderata; una vicinanza alla casa coltivata nelcuore, in attesa di poterci tornare definitivamente. Ci piacerebbe imparare a vivere la parrocchiacome uno spazio ospitale, che raccoglie cam-mini di fede che provengono da viaggi e percorsidiversi, ma che il Signore chiama ad incontrar-si, perché in questo incontro c’è una grazia.

Don Paolo

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aro direttore,desideriamo condividerecon lei e con tutti i letto-

ri di "Avvenire" la lettera apertache, ispirandoci al Vangelo diMatteo (23,8): «Voi siete tutti fra-telli», abbiamo inviato al presi-dente Mattarella e al premier Con-te lo scorso 11 luglio 2019, gior-no di san Benedetto abate.

«Egregio signor presidente dellaRepubblica Sergio Mattarella,Egregio signor presidente del Con-siglio dei ministri Giuseppe Con-te, siamo sorelle di alcuni mo-nasteri di clarisse e carmelitanescalze, accomunate dall’unicodesiderio di esprimere preoccu-pazione per il diffondersi in Ita-lia di sentimenti di intolleranza,rifiuto e violenta discriminazio-ne nei confronti dei migranti e ri-fugiati che cercano nelle nostreterre accoglienza e protezione.Non ci è stato possibile contat-tare tutte le fraternità monasticheesistenti sul territorio nazionale,ma sappiamo di essere in comu-nione con quante di loro condi-vidono le stesse nostre preoccu-pazioni e il nostro stesso deside-rio di una società più umana.Con questa lettera aperta vor-remmo dare voce ai nostri fratellie sorelle migranti che scappanoda guerre, persecuzioni e care-stie, affrontano viaggi intermina-bili e disumani, subiscono umi-liazioni e violenze di ogni gene-re che ormai più nessuno puòsmentire. I racconti di sopravvis-suti e soccorritori, infatti, così co-me le statistiche di istituzioni in-ternazionali quali l’Acnur/Unhcro l’Organizzazione internazio-nale per le migrazioni e i repor-tage giornalistici che approfon-discono il fenomeno migratorio,ci mostrano una realtà semprepiù drammatica. Facciamo no-stro l’appello contenuto nel Do-cumento sulla fratellanza uma-na firmato da papa Francesco edall’imam di al-Azhar Ahmed al-

Tayyeb chiedendo «ai leader delmondo, agli artefici della politi-ca internazionale e dell’econo-mia mondiale, di impegnarsi se-riamente per diffondere la cultu-ra della tolleranza, della convi-venza e della pace». E tutto que-sto in particolar modo «in nomedegli orfani, delle vedove, dei ri-fugiati e degli esiliati dalle lorodimore e dai loro Paesi; di tuttele vittime delle guerre, delle per-secuzioni e delle ingiustizie; deideboli, di quanti vivono nellapaura, dei prigionieri di guerra edei torturati in qualsiasi parte delmondo, senza distinzione alcu-na». Anche noi, quindi, osiamosupplicarvi: tutelate la vita deimigranti!Tramite voi chiediamo che le isti-tuzioni governative si faccianogaranti della loro dignità, contri-buiscano a percorsi di integra-zione e li tutelino dall’insorgeredel razzismo e da una mentalitàche li considera solo un ostaco-lo al benessere nazionale. Ac-canto alle tante problematiche edifficoltà ci sono innumerevoliesempi di migranti che costrui-scono relazioni di amicizia, si in-seriscono validamente nel mon-do del lavoro e dell’università,creano imprese, si impegnanonei sindacati e nel volontariato.Queste ricchezze non vanno sva-lutate e tante potenzialità an-drebbero riconosciute e promosse.

La nostra semplice vita di sorel-le testimonia che stare insieme èimpegnativo e talvolta faticoso,ma possibile e costruttivo. Solola paziente arte dell’accoglienzareciproca può mantenerci uma-ni e realizzarci come persone.Siamo anche profondamente con-vinte che non sia ingenuo cre-dere che una solidarietà effica-ce, e indubbiamente ben orga-nizzata, possa arricchire la no-stra storia e, a lungo termine, an-che la nostra situazione econo-mica e sociale. È ingenuo piut-tosto il contrario: credere che unaciviltà che chiude le proprie por-te sia destinata ad un futuro lun-go e felice, una società tra l’altroche chiude i porti ai migranti, ma,come ha sottolineato papa Fran-cesco, «apre i porti alle imbar-cazioni che devono caricare so-fisticati e costosi armamenti». Ciòche ci sembra mancare oggi inmolte scelte politiche è una let-tura sapiente di un passato fattodi popoli che sono migrati e unalungimiranza capace di intuireper il domani le conseguenze del-le scelte di oggi. Molti monaste-ri italiani, appartenenti ai vari or-dini, si stanno interrogando sucome contribuire concretamen-te all’accoglienza dei rifugiati, af-fiancando le istituzioni diocesa-ne. Alcuni già stanno offrendospazi e aiuti. E, al tempo stesso,tutte noi cerchiamo di essere in

C«NOI CLAUSTRALI, SORELLE D'ITALIA E DEI MIGRANTI»

Veniamo tutti da Lontano

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no ascolto della nostra gente per ca-pirne le sofferenze e le paure.Desideriamo metterci accanto atutti i poveri del nostro Paese e,ora più che mai, a quanti giun-gono in Italia e si vedono rifiuta-re ciò che è diritto di ogni uomoe ogni donna sulla terra: pace edignità. Molte di noi hanno an-che avuto modo di conoscere davicino le loro tragedie.Desideriamo sostenere coloroche dedicano tempo, energie e

cuore alla difesa dei profughi ealla lotta a ogni forma di razzi-smo, anche semplicemente di-chiarando la propria opinione.Ringraziamo quanti, a motivo diciò, vengono derisi, ostacolati eaccusati. Vale ancora l’art. 21 del-la nostra Costituzione che sanci-sce per tutti «il diritto di manife-stare liberamente il proprio pen-siero con la parola, lo scritto eogni altro mezzo di diffusione».Desideriamo dissociarci da ogni

forma di utilizzo della fede cri-stiana che non si traduca in ca-rità e servizio.Infine, in comunione con il ma-gistero di fraternità e di solida-rietà di papa Francesco, deside-riamo obbedire alla nostra co-scienza di donne, figlie di Dio esorelle di ogni persona su questaterra, esprimendo pubblicamen-te la nostra voce.(…)».

Da “Avvenire”, 13 luglio 2019

VILLA DI SERIO: TRA ACCOGLIENZA E INTEGRAZIONE

hissà quante volte abbia-mo sentito in TV o letto suigiornali queste parole. E

chissà per quante altre volte! Dopotutto si sa: quello dell’im-migrazione è il più grosso pro-blema da risolvere nel terzo mil-lennio, dove anche le nuove ge-nerazioni devono - e dovranno -rimboccarsi le maniche per af-frontare le difficoltà che si co-struiscono attorno ad esso. Oggi vi vorrei raccontare la miaesperienza da giovane di 21 an-ni che si è trovato a faccia a fac-cia con questo problema che met-te in disaccordo i principali par-titi politici del nostro paese, allaricerca di una soluzione che for-se non c’è.Due anni fa, io ed alcuni mieiamici, abbiamo avuto il piaceredi conoscere durante la Festa del-l’Oratorio tre ragazzi del Paki-stan, che spiccicavano si e noqualche parola in italiano e quin-di la comunicazione avvenivaper il 50% in inglese e per la re-stante parte a gesti. Ci piacevaascoltarli e loro l’avevano capi-to, tanto che nell’arco di pochigiorni ci hanno raccontato la sto-ria di come sono arrivati in Ita-lia, di come hanno affrontato i 3mesi di cammino dal Pakistan al-la Turchia, di come hanno vissu-to la distanza dai loro cari e dichi hanno visto morire davantiai loro occhi.Ascoltando attorno ad un tavoloqueste drammatiche storie, nonpotevamo far finta di niente.

Potevamo essere noi l’ancora disalvezza e la luce che cercava-no da tanto tempo per vivere.C’eravamo convinti e tacitamentepromessi che da quel giorno liavremmo fatti stare bene, sem-plicemente coinvolgendoli nel-le nostre attività della settimanae i sani divertimenti del weekend. Per contraccambiare i nostri in-viti, iniziarono ad ospitarci a ca-sa loro per farci assaggiare piat-ti e dolci tipici del Pakistan, sor-prendendoci con la loro genero-sità nell’offrire tanto nonostanteavessero poco.Ogni momento era buono per de-finire e correggere il loro italia-no e la cosa che mi stupiva di piùera la velocità di apprendimen-to. Decidemmo quindi di alzarel’asticella e passare al bergamasco,ma lo ammetto: missione fallita. La differenza di fede religiosa,dopo qualche mese, iniziò ad in-curiosirci e una volta appresi ipunti in comune, divenne un mez-zo di scambio culturale: loro “ma-scherati” da Pastorelli e Re Ma-gi durante il periodo Natalizio enoi in Moschea per un giorno.

Sapevamo di essere sulla stradagiusta, glielo si leggeva negli oc-chi, era nato un forte legame, tan-to che un giorno uno di loro misi è avvicinato dicendomi che“Villa di Serio è meglio di Ber-gamo Città: tutti ci salutano e cisorridono, mentre a Bergamoquando ci vedono, abbassano losguardo”.E lì mi si accese la lampadina:tutto poteva benissimo riassu-mersi in quella frase. Sicuramente il nostro aiuto eraservito, ma eravamo stati fonda-mentali solo in parte. Il vero mo-do per renderli felici era un pae-se unito, coalizzato e che non-ostante le chiacchiere e le propa-gande elettorali, non faceva di-stinzione tra razze e/o religioni.Posso quindi orgogliosamente te-stimoniare che Villa di Serio si èdimostrato un paese all’altezzadella situazione, offrendo loro lapossibilità di ritornare a Vivere.Questa è stata la nostra espe-rienza. Sappiamo che l’acco-glienza e l’integrazione sono unproblema che va risolto dai gran-di, ma noi nel nostro piccolo non

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l concetto di ospitalità haorigini antiche; nell'antichi-tà però la figura dell'ospite

aveva un significato diverso dacome lo intendiamo oggi. Era in-fatti non solo degno di rispetto,ma addirittura veniva considera-to " sacro ". Quando dunque qual-cuno si presentava alla porta dicasa, chiedendo ospitalità, veni-va accolto nel modo migliore, fa-cendo sì che non gli mancassenulla, inoltre poteva fermarsi quan-to voleva.Nel tempo, però, questa conce-zione è cambiata, e l'ospite è gra-dito solo se non si trattiene pertroppo tempo, perché ognuno dinoi ha troppe cose da fare, mol-te faccende da sbrigare, per cuinon si può prestare attenzione achi si presenta alla nostra porta;è infatti molto diffuso il detto: "l'ospite è come il pesce: dopo tregiorni puzza...". Di conseguen-za, la concezione di ospitalitàpresente nel passato ormai si èpersa; oggi fatichiamo ad acco-gliere soprattutto chi non cono-sciamo, chi giudichiamo diver-so da noi, perché magari portascompiglio nella nostra vita, cicostringe a distogliere il nostrointeresse dal nostro piccolo mon-do, così mal sopportiamo chi sitrattiene da noi per più di queifatidici tre giorni...Nasce perciò l'intolleranza perchi arriva nel nostro Paese in cer-ca di aiuto, perché questo ci co-stringe ad uscire dai confini ri-stretti della nostra vita tranquillae ordinata.

Ha fatto sensazione la lettera aper-ta, scritta l'11 Luglio, dalle Suo-re Claustrali di 62 monasteri ita-liani al Presidente Mattarella e alPrimo Ministro Conte. In essa vie-ne espressa " la preoccupazioneper il diffondersi in Italia di sen-timenti di intolleranza...nei con-fronti di migranti e rifugiati checercano nelle nostre terre acco-glienza e protezione". Questo ap-pello è stato raccolto da altre as-sociazioni, sia religiose che lai-che, ed ha spinto molti ad inter-rogarsi su una situazione che nonpossiamo più ignorare; infatti lapresenza di migranti nel nostroPaese è un fatto concreto e si po-ne ormai in modo incontroverti-bile il problema della loro inte-grazione.Come sappiamo, la Caritas, at-traverso i Centri di Primo Ascol-to, da anni offre un aiuto con-creto a queste persone; nel no-stro paese di Villa di Serio, an-che attraverso un'attiva collabo-razione con le istituzioni pub-bliche, il Centro di Primo Ascol-to ha favorito l'integrazione di al-cune famiglie nel tessuto sociale,dimostrando spirito di ospitalità.A questo proposito, ho potutoraccogliere la testimonianza diuna persona, che ha acconsen-tito a raccontarmi la sua espe-rienza, seppur in forma anoni-ma. E' arrivata in Italia nel 2001 ,nella speranza di trovare un la-voro e poter così aiutare la suafamiglia. Dopo essere giunta nelCentro di S.Foca, in Puglia, si èrecata presso conoscenti ed in

seguito è stata indirizzata a Ber-gamo, dove sembravano essercimaggiori possibilità di trovare unasistemazione. Non ha avuto tut-tavia un'esperienza molto posi-tiva della città, dove i rapporti trale persone sono più freddi e di-staccati, ma poi si è rivolta alCentro di Primo Ascolto a Villadi Serio e qui la situazione è cam-biata, poiché afferma di essersisentita accolta; ora svolge pic-coli lavori e dice che i Villesi so-no brava gente e vive in un pae-se tutto sommato accogliente. Eraarrivata da sola in Italia, ma orasi è creata una bella famiglia, chesembra ben inserita nella Co-munità. Le ho chiesto se le pia-cerebbe ritornare nel suo Paesed'origine, ma mi ha risposto cheper ora si trova bene in Italia, for-se un giorno, quando sarà an-ziana, tornerà a vivere dove è na-ta, ma per il momento la situa-zione politica è piuttosto insta-bile. Ha fatto richiesta per otte-nere la cittadinanza italiana espera di ottenerla presto.Questa è una storia che si è dun-que conclusa positivamente, maquante altre non hanno un lietofine? Quante persone si trovanodi fronte un muro di indifferen-za e rimangono prive di aiuto?Personalmente sono felice di abi-tare in un paese in cui il valoredell'ospitalità ha ancora un sen-so ed in cui molti si pongono ilproblema di accogliere chi è piùsfortunato.

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possiamo stare a guardare. Durante questi due anni ho sem-pre tenuto fisso in testa questomotto: “l’ottimista sceglie, il pes-simista si lamenta”. Noi abbiamo scelto di ascoltarli,di aiutarli e farli sentire a casa. Le lamentele e i litigi abbiamoSCELTO di lasciarli nella boccadei pessimisti.

Marco Morotti

IOSPITALITÀ OGGI...

Veniamo tutti da Lontano

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no STORIA DI NATALIYA

ataliya, badante della si-gnora Maria Palma, è unacara conoscenza incon-

trata circa due anni fa, quandoavevo intervistato la signora chegrazie al suo aiuto era riuscita aricordare con precisione parec-chie cose della sua giovinezza;mi è capitato altre volte di ve-derle a passeggio per il paese edi scambiare con piacere quat-tro chiacchiere, per cui ho ac-colto con gioia la notizia che lapersona da intervistare era lei.Anche se questa volta la prota-gonista è Nataliya, la signora Ma-ria non può mancare, infatti sie-de con noi e interverrà più voltea confermare il racconto, ri-prendendo ricordi della sua gio-ventù o della loro vita in comu-ne.La parola-chiave, che farà da fi-lo conduttore ai vari articoli delprossimo numero di ottobre, sa-rà “OSPITALITA’”, meglio espres-sa dal titolo “VENIAMO TUTTI

DA LONTANO”, (spiegato da donPaolo nell’introduzione), che nelcaso di Nataliya, proveniente dal-l’Ucraina, è quanto mai azzec-cato.In breve, le ho chiesto di rac-contarmi la sua storia di badan-te da quando è arrivata in Italia,come è stata accolta, sia nelle fa-miglie presso le quali ha lavora-to, sia nei paesi e nelle città do-ve ha avuto occasione di spo-starsi.Ecco le tappe e le impressionidella sua esperienza: arrivata nel2008, aveva svolto il suo primolavoro qui a Villa, accudendo unasignora che da Bergamo si eratrasferita dal figlio. Si era trova-ta subito bene, si era sentita ac-colta in famiglia, cosa molto im-portante perché compensava, al-meno in parte, il dispiacere diaver lasciato marito e figli, unaragazzina di 11 anni e un ma-schietto di 9, oltre alla sua casa.“La vera fatica è dover lasciare i

figli” mi dice e ricorda che quan-do vedeva giocare quelli di unafamiglia amica ucraina, le si strin-geva il cuore pensando ai suoilontani, anche perché, allora, pertelefonare loro doveva andare aBergamo dove c’erano appositecabine per le comunicazioni conl’estero; si commuove ancora og-gi ripensando a quel primo lun-ghissimo periodo che le era co-stato la depressione, ma avevadovuto stringere i denti e tirarefino alla fine dell’anno, poi… fi-nalmente, a casa! Negli anni suc-cessivi era stato più facile otte-nere dei permessi e aveva impa-rato a usare Internet, così pote-va non solo sentire, ma persinovedere la sua famiglia con mag-gior frequenza e l’Ucraina nonsembrava più tanto lontana.La felicità del rientro nel suo pae-se tra i suoi cari, però, era stataappannata da qualcosa che nonaveva previsto, perché se è veroche il tempo “guarisce” pian pia-

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no anche i dolori più forti, è pe-rò altrettanto vero che cambia lesituazioni; si crede di trovare tut-to come lo abbiamo lasciato, diriprendere la vita di prima, manon è così: i figli, sotto la guidadel padre avevano imparato a or-ganizzarsi svolgendo le quoti-diane mansioni casalinghe cuiprima provvedeva la mamma.Erano cresciuti, non solo fisica-mente, erano diventati, l’una unadonnina, l’altro un ometto, at-tenti, precisi e responsabili.Adesso in casa Nataliya non ave-va quasi più niente da fare, lorointervenivano prontamente co-me ormai erano abituati da tem-po, tanto che: “Io non mi senti-vo più a casa mia, non mi senti-vo più mamma” dice. “Ero un’o-spite, in fin dei conti un’estra-nea”. Poi, pian piano, col tem-po, le cose si erano aggiustate.La famiglia però doveva far fron-te a sempre nuove spese, comela scuola e così era ripartita, tro-vando lavoro questa volta a Ber-gamo, per accudire una signoradi 94 anni che era stata colpitada ictus. Anche questa secondaesperienza era stata positiva, sianel rapporto con la signora che,impedita dalla malattia nella pa-rola, però parlava a Nataliya “congli occhi”, ricambiando il suo af-fetto e le sue attenzioni; anche ilfiglio, contento di vedere la mam-ma serena e ben curata, era gen-tile e la considerava una di fa-miglia. Purtroppo, dopo un po’di tempo la signora, già moltoanziana come ho detto, era mor-ta e Nataliya era di nuovo alla ri-cerca di un lavoro che aveva tro-vato quasi subito ancora nellaBergamasca. Questa volta si trattava di assi-stere un signore affetto da mor-bo di Parkinson, un uomo dal ca-rattere deciso col quale però siera instaurato un rapporto di re-ciproco rispetto e di stima per illavoro eseguito da Nataliya conprofessionalità e amore.

Ricorda che si chiedeva: “Ma so-no tutti così gli Italiani?” E ag-giunge: “Perché sentivo di altremie conoscenti che erano scap-pate, non sopportando continueosservazioni e sgarbi, mentre ame era sempre andata bene”. “Beh”, rispondo: “si vede che leiha delle qualità che altre non han-no, “una marcia in più” come sidice; da quel poco che conoscoe che sento dire di lei, penso: se-rietà, pazienza, disponibilità, an-che decisione, quando occorre.”La sua spiegazione mi sorpren-de, infatti, sorvolando per mo-destia sulle sue doti, mi dice: “Sefai il bene, il bene ti torna indie-tro; io ho sempre cercato e cer-co di fare il bene, anche quandosono stanca o non sto bene; e poiho sempre pregato il Signore perringraziarlo della buona acco-glienza che ho sempre ricevutoe per chiedergli aiuto quando per-devo il lavoro e dovevo iniziareuna nuova esperienza in un al-tro posto e con persone diverseche ancora non conoscevo. Pre-go per la mia famiglia là in Ucrai-na e per il mio lavoro qui, per-ché Dio mi dia la forza di sop-portare la lontananza dai miei fi-gli, anche se adesso sono gran-di… Mia figlia ha avuto un bam-bino”.Tornando al signore malato diParkinson, di cui sopra: con l’ag-gravarsi della malattia e la ne-cessità di cure che non si pote-vano effettuare in casa, aveva do-vuto essere ricoverato in una strut-tura per anziani, dove però, nelgiro di tre mesi, era morto.Ed eccoci arrivati alla signora Ma-ria Palma, presso la quale Nata-liya lavora ormai da sei anni, an-zi, proprio in questi giorni ricor-re la data del loro incontro e pen-so che faranno festa. “Mi sonotrovata bene fin dai primi gior-ni.” dice la signora Maria: “Quan-do va a casa, anche se so che ri-torna, mi sento come un vuoto.Lei ormai mi conosce, sa cosa mi

piace e cosa non devo mangia-re, ma se può mi accontenta, co-me col gorgonzola. Mi fa tantacompagnia e la casa è semprepulita e in ordine. C’è un bel rap-porto anche con le mie figlie, lemie sorelle e i nipoti”. Ricordacon piacere: “Sua mamma, chefa la badante anche lei qui in Ita-lia, è venuta a trovarmi, ha dor-mito qui da me e ogni tanto mitelefona.”“Anche lei è brava e mi vuole be-ne” ricambia Nataliya. “Non facapricci, segue quello che dicoperché sa che lo faccio per il suobene. A volte non la pensiamoallo stesso modo, ma prima o poitroviamo un accordo.” Prosegue: “Quando dico che misono trovata bene, lo dico ancheper la salute. Da noi fa molto fred-do ed è facile d’inverno prende-re tosse e bronchite. Da quandosono in Italia non mi sono piùammalata”.A conclusione della nostra inter-vista, c’è una bella sorpresa perme, infatti la signora Maria dice:“E poi sa fare anche dei bei ri-cami, ha ricamato anche una Ma-donna… fagliela vedere!” Nataliya va un attimo in camerae torna, non con una rappresen-tazione della Madonna, bensì conun ricamo raffigurante “L’ultimaCena”! Tutto fatto di corallini,tranne i volti di Cristo e degli Apo-stoli che sono stampati su stoffa.Resto a dir poco senza parole ementre la signora Maria mi dicedi sollevare il ricamo per sentir-ne il peso, chiedo: “Ma… quan-ti sono? Tremila? Cinquemila?““Non so, non li ho mai contati”risponde lei e io non so staccarelo sguardo da quel capolavoro diamore, pazienza e precisione alquale mi dice che sta lavorandoda due anni. Una vera e propria preghiera.

Luigina Clivio

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SCUOLA DI ITALIANO PER STRANIERI

lcuni anni fa iniziai a col-laborare con il gruppo dipersone che si occupava

dei corsi di lingua italiana perstranieri presso la Casa della Co-munità della Parrocchia.L’impegno, che continua tutt’oggi,mi ha permesso di conoscere mol-te persone di differenti età, pro-venienze, condizioni. Tra essegiovani, adulti, uomini e donnenigeriani, senegalesi, marocchi-ni, rumeni, pakistani, afghani, ci-nesi, ucraini, brasiliani con sto-rie personali molto diverse, macon un unico fattore comune: ab-bandonare la loro terra alla ri-cerca di qualcosa che miglioras-se il loro stato, la loro vita ossiascuola, lavoro, relazioni, dignità.Alcuni provenivano e provengo-no da zone di povertà assolutacon scarsissima occupazione, as-senza di scolarizzazione, man-canza di prospettive, di futuro.Altri da situazioni sociali e per-sonali complicate con alle spal-le famiglie allo sbando: separa-zioni, alcolismo, violenze.Altri ancora da condizioni poli-tiche pericolose quali dispotismi,integralismi, guerre civili, etni-che e tribali.L’approccio al corso da parte diqueste persone mi ha condottonel tempo ad alcune riflessioni.Innanzitutto il riscontro di un for-te desiderio di apprendere e direalizzarlo in fretta quasi a recu-perare il tempo perso, conosce-re la lingua del Paese che ti ospi-ta è la premessa indispensabileper viverci, per comunicare, ca-pire, costruire relazioni, trovareun lavoro.Poi si manifestano le prime dif-ficoltà, non sempre l’apprendi-mento si concilia con la fretta. E’necessario allora far capire cheper imparare una lingua nuovaoccorre pazienza, impegno co-

stante e perseveranza. Dimostrareil giusto apprezzamento ad ognipiccolo passo avanti si rivela unutile modo per invogliare ad an-dare avanti, per motivare e sti-molare.Bello è constatare la soddisfa-zione dei progressi che vengonoraggiunti e della maggiore disin-voltura e sicurezza nel procede-re nell’apprendimento.In un caso poi recentemente ab-biamo anche svolto oltre all’in-segnamento della lingua, la fun-zione dello “spazio compiti”. Lapersona interessata partecipavacontemporaneamente al nostrocorso e ad una scuola che pre-parava agli esami per il conse-guimento della licenza media.Forte è stata la reciproca gratifi-cazione quando abbiamo sapu-to che anche grazie al nostro so-stegno era stato raggiunto l’o-biettivo.Una cosa poi che mi ha moltocolpito è che man mano che iltempo passa si instaura, quasispontaneamente, un rapporto cheva oltre il reciproco ruolo. Na-sce e si sviluppa un legame, un’a-

micizia, una complicità che fa-voriscono ulteriormente l’effica-cia del corso e che sta a dimo-strare che il bisogno non si limi-ta alla conoscenza di una lingua,ma si allarga al fare esperienzadi rapporti carichi di calore uma-no.Alcune di quelle persone sonorimaste avendo trovato un lavo-ro e un’abitazione favorendo intal modo una graduale positivaintegrazione fino al “sentirsi a ca-sa”.Altre sono andate via in cerca dimigliore fortuna. Non le ho piùriviste, non so che cosa la vitaabbia riservato loro. L’augurioche vale per loro, ma credo perchiunque, è che possano incon-trare persone che a diverso tito-lo si prendano cura di loro e chefacciano loro percepire la bel-lezza e l’importanza della soli-darietà umana, aiutandoli a “tro-vare casa tra noi”.

Tiziano Persico

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ACCOGLIERE LE FRAGILITÀ DELL’ETÀ ANZIANAEsperienze di vicinanza al Centro Diurno Integrato “Serafino Cuni” di Villa di Serio/Pradalunga

a prossimità tra le personeè resa possibile dall’espe-rienza dell’accoglienza e

dal movimento emotivo che sbi-lancia verso l’alterità, che con-sente di fare posto, nel nostromondo, a qualcun altro diversoda noi.La fragilità, di cui alcune perso-ne portano segni più evidenti dialtri, ricerca una cura accoglien-te, un luogo dove esperire soli-darietà e dove portare quel che siè, semplicemente, con i limiti ele ricchezze che ognuno ha in sé.In questo panorama esistenzialedi bisogni talvolta inespressi, sot-tovalutati o poco riconoscibili, ilservizio del Centro Diurno ha co-me obiettivo quello di accoglie-re le fragilità per poter stare a fian-

“A due passi da me, ci sei tuA due passi da te, c’è luiA due passi da lui, c’eravamo noi” Edmond Jabès

co di chi, non più giovane, ha bi-sogno di una vicinanza tutelan-te la dignità, la sicurezza, l’au-tonomia e l’unicità di ogni per-sona accolta.Un servizio per anziani e fami-liari che vuole essere un luogodi incontro, di cura, di confron-to, di sostegno, di sollievo.La cura prestata al Centro si de-clina innanzitutto con un’acco-glienza da garantire a priori pertutti quelli che decidono di ri-volgersi al servizio, col solo li-mite del tempo di attesa per l’in-gresso.Nella struttura, operatori e vo-lontari sono impegnati quotidia-namente in questo sforzo di con-vivenza, di inclusione, di affida-mento reciproco.

Ed anche gli ospiti sono accom-pagnati a nuove relazioni, ad ine-dite esperienze di condivisionetra iniziali estranei, imparandocol tempo a conoscersi, a tolle-rarsi e talvolta anche a sorreg-gersi gli uni con gli altri.E spesso gli operatori sono atti-vatori, facilitatori o semplici te-stimoni di gesti solleciti di curache gli anziani si scambiano: chicammina senza difficoltà dà ilbraccio a chi è instabile nelladeambulazione, chi è inappe-tente viene sollecitato ad ali-mentarsi dal vicino di tavolo, chifa fatica ad orientarsi viene ac-compagnato da chi sa dove an-dare, chi è “giù di morale” trovauna parola di conforto, una ca-rezza, un ascolto dedicato.

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Quando viene presentato un nuo-vo ospite all’equipe del Centro,comincia un processo di cono-scenza che in genere è più la-borioso nel primo mese di pro-va e si arricchisce con una visi-ta domiciliare e con la raccoltadella storia autobiografica di ognianziano.L’inserimento viene stabilito conmodalità condivise con gli inte-ressati e con i familiari di riferi-mento e successivamente gli ope-ratori cercano di facilitare que-sta esperienza di vita medianteaffiancamenti educativi indivi-dualizzati.Durante tutti gli iniziali passag-gi di conoscenza, operatori e vo-lontari sono formati a non sof-fermarsi sui problemi di cui so-no portatori gli anziani, ma a cer-care invece di valorizzare le ri-sorse che permangono malgradole malattie e le sofferenze, nel-l’intento di restituire ad ospiti efamiliari immagini positive di ognipersona presente al Centro.Anche il gruppo cambia aspetto

in questi frangenti, perché l’arri-vo di un nuovo ospite incuriosi-sce, arricchisce, sollecita do-mande e scambi relazionali.Pian piano ci si conosce e si svi-luppa quel rapporto fiduciarioche permetterà una vicinanza piùstretta ed una maggiore efficaciaa tutte le prassi di cura quotidia-ne, attivate per rispondere co-struttivamente ai bisogni sogget-tivi di anziani e familiari.Con il tempo, ci si affida reci-procamente e una mano tesa tro-verà qualcuno ad accoglierla, ariscaldarla e a chi avrà bisognodi rassicurazioni arriveranno pa-role di comprensione e di tene-rezza: all’interno del gruppo, sisviluppano così appartenenze evissuti positivi.In questa prospettiva di acco-glienza empatica di coloro chehanno bisogno di protezione ededizione, è importante ripen-sare al lavoro di cura rifacendo-si all’insegnamento evangelico,che può orientare l’impegno deicuranti anche nelle situazioni più

difficili.Il Vangelo infatti racconta tantiepisodi di accoglienza, di aiutoe di condivisione, facendo emer-gere l’infinita disponibilità, lagrande attenzione e la profondamisericordia di Gesù verso tuttigli uomini: quant’è ancora attualeed inequivocabile il messaggiocristiano!In questo riconoscimento di re-sponsabilità verso il prossimo,l’accoglienza resta un principiodi bene da presidiare, un esem-pio di testimonianza e di prossi-mità solidale ancora attualissi-mo, che rende possibile far cre-scere una Comunità che si pren-da cura di tutti, che si educhi al-la sensibilità per l’altro, che ri-fiuti pensieri/atteggiamenti giu-dicanti, che lavori per unificaree non per dividere.Una Comunità attenta alla vita.

La Coordinatrice del Centro Diur-no Integrato

Elisabetta Rizzi

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QUANDO È TUO FIGLIO CHE VIENE DA LONTANO

on dimenticheremo maiil nostro primo incontro,il primo ottobre delle scor-

so anno: appena entrato nellastanzetta nostro figlio ha spalan-cato le braccia per stringerci a sé,nascondendo il viso tra i nostricorpi. Un’emozione immensa,che ha sciolto tutti i nodi e ci hariempito il cuore... Erano davve-ro grandi la tensione, la paura,la speranza prima che nostro fi-glio comparisse nella stanzettadell'Istituto - dall’altra parte delmondo - dove lo stavamo aspet-tando, tesi come le corde di unviolino in attesa di una ignotamelodia.

E chissà cosa ha provato, cosa hapensato nostro figlio - bambinogià grande -, quando ci ha vistiin quella stanzetta: vengono dalontano, sono bianchi, sono alti,sono stranieri... sono qui per me.Da quel momento siamo semprestati insieme, prima - per quasidue mesi indimenticabili -, nelsuo Paese che ora è un po’ an-che il nostro, e poi qui, in Italia,a casa. Ogni famiglia vive la propria spe-ciale esperienza; noi proviamoqui, in punta di piedi, a raccon-tare la nostra, consapevoli chesiamo solo all’inizio della nostrastoria e la strada è lunga, com-

plessa e misteriosa. Ed è davve-ro un grande mistero l’incontroche dà vita a ciascuna famigliaadottiva, dove i genitori adotta-no i figli, ma allo stesso tempo ifigli accolgono i propri genitori,in un continuo, creativo labora-torio di idee, emozioni, pace etempesta, azioni dove nulla èscontato, ma tutto è da accogliere,risignificare, costruire. Non sappiamo cosa si provi allanascita di un figlio, ma se ripen-siamo a quella notte, a quelle ore,sentiamo che sempre l’incontrocon il proprio figlio è qualcosadi inesprimibile, qualcosa cheunisce la terra e il cielo. E che

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sconvolge la vita. Come l’arrivodi ogni bambino, certo! Un figlioche non hai generato nella car-ne, però, testimonia ogni giornoin modo singolarmente plasticoche ci si può amare pur non aven-do lo stesso sangue, che in fon-do tutti veniamo da lontano e tut-ti abbiamo lasciato la nostra ter-ra, che il cuore degli altri è sem-pre una terra sacra davanti allaquale togliere i calzari. Nel con-tempo l’adozione mette a nudole fatiche dell’incontro, del co-municare, di una genitorialità “ri-parativa”; le paure reciproche difronte al passato ma soprattuttoal futuro che è - e sarà - una sfi-da: ogni cosa insomma assumeun colore differente con cui farei conti.All’origine dell’incontro tra un fi-glio, la sua mamma ed il suo pa-pà ci sono profonde ferite. E pertentare di lenirle e colmarle di af-fetto, per quanto possibile, biso-gna mettersi in cammino, in-nanzitutto nel proprio cuore. È

necessario imparare ad ascolta-re ed amare, ma anche a lasciarsiamare. Davvero, viene ancora dadire, veniamo tutti da lontano…Un’immagine che ci piace tan-tissimo per descrivere l’adozio-ne è quella dell’innesto: c’è unramo nuovo, profumatissimo, vi-vace, mai visto, che il contadinoinnesta su un giovane albero pro-teso verso l’azzurro. E questo ra-mo trae linfa dalla pianta e ne dàa sua volta, modificando quel-l’albero che, pur con tutti i suoilimiti, proverà a farlo fiorire. El’albero si trasformerà in qual-cosa di inedito rispetto alle ori-gini. Qualcosa che spesso le ra-dici stesse faticano a riconosce-re. Ma che meraviglia la possibilitàdi provare a restituire ad un fi-glio la fiducia nella vita e nel fu-turo, la gioia di sentirsi figlio,amato e pensato. E ricevere il do-no incalcolabile di essere rico-nosciuti come “mio papà e miamamma”. Viene in mente il pro-

feta Isaia: “Ecco, io faccio unacosa nuova: proprio ora germo-glia, non ve ne accorgete? …”.Le preoccupazioni certo non man-cano, l’adolescenza è alle por-te… e non sarà facile, specie quan-do nostro figlio affronterà il mon-do e il suo sguardo, anche so-spettoso e malevolo, da solo. Ma non possiamo dimenticare,come uomini e come cristiani,che siamo tutti in cammino e ve-niamo tutti da lontano, anche sea volte ce ne dimentichiamo.Nonostante tutte le difficoltà delviaggio, c’è sempre un incontroche ci solleva e ci fa ripartire, unastrada che ci avvicina l’un l’altroalmeno un po’ se sappiamo ri-conoscerci per quello che siamo:uomini, ospiti su questa Terra,mendicanti d’amore.

Elisabetta e Davide

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Film

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- Parlami di teREGIA: Hervé MimranANNO: 2019

Alain è un uomo d’affari costantemente pressato, potente e rispettato. Il suo tempo èprezioso e non gli piace perdersi in cose di poco conto. Nella sua vita non c’è nemme-no posto per il divertimento o per la famiglia. Un giorno, però, un malore cambia il suomodo di vivere.

- Quando sei nato non puoi più nascondertiREGIA: M. T. GiordanaANNO: 2005

Sandro è il giovane figlio di un industriale bresciano. La sua esperienza quotidiana lomette a contatto con persone provenienti da diversi paesi extracomunitari, ma la sorteche lo attende gliene farà sperimentare direttamente le profonde sofferenze. Infatti, nelcorso di una vacanza in barca a vela verrà sbalzato fuoribordo, creduto morto dai ge-nitori ma salvato e issato a bordo di una carretta del mare che trasporta clandestini. Quidiventerà amico di due giovani romeni.

FILMOGRAFIA

14 - Filmografia

- Star Trek VI: rotta verso l’ignotoREGIA: Nicholas MeyerANNO: 1991

Tre mesi dopo la firma del trattato di pace tra umani e klingoniani, alcuni terroristi ucci-dono Gorkov (capo dell’impero Klingon), facendo cadere la colpa su Kirk e McCoy neltentativo di ristabilire la guerra tra i due popoli. Per stemperare le diffidenze da entrambii lati servirà la ‘conversione’ del capitano dell’Enterprise e un decisivo passo di fiduciareciproca. Chi sa che i due popoli non scoprano di avere molto in comune

- Love, Death & Robots – 04 Suits (Tute meccanizzate)REGIA: Franck BalsonANNO: 2019

In quella che sembra una fattoria del Midwest americano una comunità di contadini tie-ne sotto controllo il perimetro delle fattorie quando si aprono alcune anomalie che fan-no entrare degli strani insetti. Dotati di esoscheletri meccanizzati gli uomini difendonoi loro campi e animali. L'episodio si conclude con una panoramica del pianeta che siscopre non essere la Terra, dove gli umani vivono all'interno di cupole sulla superficiecostruite per impedire l'ingresso delle popolazioni indigene.

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- La sentinella e altri raccontiAUTORE: Fredric BrownANNO: 2004

Il protagonista è un soldato impegnato in una guerra interplanetaria contro una spe-cie aliena. Egli sta sorvegliando la sua posizione in trincea e soffre per la lontananza dacasa e per le privazioni causate dalla guerra. Improvvisamente il protagonista vede unodei nemici che sta tentando di avvicinarsi, allora prende la mira con il fucile, fa fuoco elo uccide. Ma chi sarà mai questo temuto avversario?

- La bambina che costruiva barchette di carta. L'infanzia di santa Francesca Cabrini AUTORE: Francesca MascheroniANNO: 2015

Santa Francesca Cabrini nasce a Sant'Angelo Lodigiano (Lodi) il 15 luglio 1850. Dopoaver preso i voti religiosi, nel 1880 fonda a Codogno l'Istituto delle Missionarie del Sa-cro Cuore di Gesù. Nel 1889 si imbarca per New York dove dà inizio alla sua opera mis-sionaria a favore degli emigrati, fondando scuole, asili, ospedali. Muore a Chicago il 22dicembre 1917. Il testo ripercorre l'infanzia della Santa soffermandosi su affetti, am-bienti, episodi suggestivi del suo percorso di crescita (come barchette di carta sul pelodell’acqua).

Bibliografia

BIBLIOGRAFIA

a cura di Don Carlo

- Il deserto dei TartariAUTORE: Dino BuzzatiANNO: 1940

Giovanni Drogo viene mandato in una lontana fortezza. A nord della fortezza c'è il de-serto da cui si attende un'invasione dei tartari. Ma l'invasione, sempre annunciata, nonavviene e l'addestramento, i turni di guardia, l'organizzazione militare, appaiono ceri-moniali senza senso. Quando Drogo torna in città per una promozione, si accorge diaver perso ogni contatto con il mondo e che ormai la sua unica ragione di vita è l'inu-tile attesa del nemico. Tornato alla fortezza, si ammala e proprio allora accade l'eventotanto aspettato: i tartari avanzano dal deserto.

- Lo stranieroAUTORE: Albert CamusANNO: 1942

Il protagonista è Meursault, un modesto impiegato che vive ad Algeri in uno stato di in-differenza, di estraneità a se stesso e al mondo.Un giorno, dopo un litigio, inesplicabilmente Meursault uccide un arabo. Viene arre-stato e si consegna, del tutto impassibile, alle inevitabili conseguenze del fatto – il pro-cesso e la condanna a morte – senza cercare giustificazioni, difese o menzogne. Meur-sault è un eroe “assurdo”, e la sua lucida coscienza del reale gli permette di giungereattraverso una logica esasperata alla verità di essere e di sentire.

Bibliografia - 15

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16 - Vita parrocchiale

uando 4 anni fa noi del-la Caritas parrocchialeabbiamo fatto partire l’i-

niziativa CISTAIACUORE, ave-vamo il desiderio di dare unavoce sola a tutti i gruppi carita-tivi della nostra parrocchia e lasperanza di poter contribuire atener viva nel cuore di tutta lanostra comunità una piccola fiam-mella di amore e solidarietàcontro l’attuale dilagare dell’in-differenza … volevamo e vo-gliamo tuttora far crescere unosguardo attento e premuroso ver-so l’altro e dare concretezza aldesiderio di ogni persona di buo-na volontà di far sentire la pro-pria presenza e vicinanza ai piùvulnerabili, a chi fa più fatica,perché siamo convinti che im-parando a vivere più fraterna-mente, sia possibile rendere lasocietà più umana e vivibile.Ci piacerebbe poi, se tutti colo-ro che abbiamo aiutato e aiute-remo, ma idealmente ogni per-sona che stenta a tenere il passonel cammino della vita, facendol’esperienza di una comunità piùvicina, potesse ritrovare un po’di quella speranza perduta.

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di autonomia. Don Marco e tutti i suoi colla-boratori cercano di ridare nuoveopportunità a tante giovani chevengono da situazioni di disagioe che hanno bisogno di aiuto permettere ordine nella loro vita.Mettersi accanto e camminareinsieme a queste ragazze, cer-cando di ridare spazio ad una vi-sione positiva del futuro e ad unaassunzione di responsabilità perse e per i propri figli, è frutto diun lungo e paziente lavoro cheè capacità di stare accanto maanche di dire dei no!….di saperproporre nuovi orizzonti senzaaspettarsi risultati immediati, ac-cettando vittorie e sconfitte conla consapevolezza che ciò chesi può offrire è una semplice spin-ta ma che per far viaggiare la bi-

cicletta della vita, ciascuno de-ve pedalare con le proprie gam-be. Insomma un lavoro che ha ilsapore di famiglia, di casa e delquale possiamo comprendere tut-ti la fatica ma anche la bellezza.Reggere finanziariamente que-ste strutture è faticoso e spessoil bilancio chiude in rosso, perquesta ragione noi della Caritasparrocchiale abbiamo pensato disostenere un progetto condivisocon don Marco, aiutando unamamma con due figli, a soste-nere alcune spese sanitarie e sco-lastiche. Come ogni anno ab-biamo offerto a tutta la comuni-tà la possibilità di contribuire al-l’iniziativa, allestendo il nostrogrande cuore nella Chiesina diS. Bernardino durante la festa del-l’oratorio. Ringraziamo tutti coloro che cihanno permesso di raccoglierela cifra di euro 3.910,00 tra i qua-li i ragazzi del Watermelon , maanche tutti coloro che sono pas-sati in chiesina per conoscere me-glio questa realtà che silenzio-samente opera qui nel nostro pae-se ormai da più di due anni e ungrazie va a tutti i gruppi carita-tivi che con la loro presenza edisponibilità hanno permesso direalizzare l’iniziativa.

per la Caritas parrocchialeLoredana

Vita parrocchialePer ultimo crediamo importantee bello far conoscere tante real-tà piccole o grandi che si spen-dono per rendere la vita degli al-tri migliore , lontane tantissimikm da noi oppure vicinissime,come l’appartamento che ab-biamo sostenuto quest’anno: unacasa per mamme con bambiniche si trova proprio qui a Villa diSerio, dove una volta vivevanole nostre suore.L’appartamento è gestito dall’as-sociazione Agathà di don MarcoPerucchini che si occupa di don-ne e minori in disagio ed è il frut-to della collaborazione tra pa-tronato S. Vincenzo e suore Sa-cramentine che nel 2010 hannomesso a disposizione parte del-la loro casa per iniziare questoprogetto che è in continua evo-luzione: da una comunità di pri-ma accoglienza per adolescenti,a case famiglia che offrono per-corsi di semi autonomia e doveanche ragazze volontarie pos-sono fare esperienza di comuni-tà, facendo da sorelle maggiorialle giovani ospiti. Il passaggiosuccessivo è stato poi quello direalizzare spazi sempre più si-mili ad una casa sino all’appar-tamento LOCOMOTIVA10 cheè un ulteriore passo studiato conl’ambito territoriale di Albino,per mamme con bambini chehanno raggiunto un buon livello

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18 - Vita parrocchiale

L’incanto della Giordania trastoria e fede

subito vide di nuovo elo seguiva lungo la stra-da>.

La lettura dell’episodio, dal Van-gelo di Marco, della guarigionedel cieco Bartimeo, nella primaMessa, celebrata ad Amman nelpomeriggio del 5 agosto, ha av-viato il cammino del pellegri-naggio del gruppo di quaranta fe-deli da Villa di Serio. Il nostroparroco, don Paolo Piccinini, hainvitato i pellegrini, come Gesùrivolto a Bartimeo, ad alzarsi, ve-dere di nuovo, grazie alla fede,e a seguire il Signore.

Cinque siti sono patrimonio del-l’umanità

L’intenso viaggio – <Il deserto…un silenzio che parla> dal 5 al12 agosto – è stato vissuto, at-traverso la Giordania, guidato dalparroco e accompagnato dal con-cittadino Paolo Morosini, re-sponsabile gruppi dell’agenziaOvet. Guida storica e turistica,per tutte le otto giornate, il gior-dano Ziad Alamat, di religionecattolica. Nel Paese i cristiani, divarie confessioni, sono solo il 2,2per cento della popolazione.Il percorso, teso innanzitutto ascorgere le risonanze bibliche deiluoghi, è iniziato e si è conclusoad Amman, la capitale dello Sta-to mediorientale e scrigno di re-sti archeologici romani e bizan-tini, una città con 4 milioni dei10 e mezzo di abitanti del Pae-se. Il 40 per cento sono palesti-nesi, arrivati dopo le guerre ara-bo-israeliane del 1948 e del 1967.Più recentemente, la Giordaniaha accolto 800 mila profughi dal-l’Iraq, dopo l’attacco voluto da-gli Stati Uniti nel 2003, e ben unmilione e 300 mila rifugiati si-

riani, a causa della guerra civileiniziata nel 2011 e tuttora in cor-so. Malgrado le difficili condi-zioni economiche, il Regno has-hemita di Abdullah II, di cui pro-prio quest’anno ricorre il vente-simo dalla successione al padreHussein, rappresenta un lodevo-le esempio di accoglienza inter-nazionale. Ai due sovrani si de-ve riconoscere l’ammirevole ca-pacità politica di aver tenuto inequilibrio la Giordania in unaparte di mondo così inquieta. Pro-prio sotto il regno di Abdullah,poi, il turismo si è affermato – dal2017, dopo la crisi del 2011 –come forza primaria per l’eco-nomia, in un Paese pressoché pri-vo di risorse naturali ma con bencinque siti dell’Unesco: Petra;Qusayr Amrah e i Castelli del de-serto (gli unici luoghi non visita-ti); Umm ar-Rasas; l’area natura-listica del Wadi Rum; Betania ol-tre il Giordano. Gadara, Gerasa e il santuario diAnjiara

Il 6 agosto, il giorno della Trasfi-gurazione, la Messa è stata cele-

brata ad Anjiara, nell’unico san-tuario mariano della Giordania.L’evento miracoloso del piantodi sangue della statua lignea del-la Madonna, avvenuto il 6 mag-gio 2010, è stato riconosciuto dalpatriarca latino di Gerusalemme,monsignor Fouad Twal. Secon-do la tradizione, qui Gesù pas-sò, predicando negli ultimi seimesi. Tra le principali tappe del-la visita, Gadara (Umm Qays) eGerasa (Jarash), città della stori-ca Decapoli, costituita in epocaromana tra i principali centri el-lenistici della regione. Il Vange-lo di Matteo ambienta a Gadara,in posizione panoramica sullaValle del Giordano, il Lago di Ti-beriade e le alture del Golan, ilmiracolo della guarigione dei dueindemoniati, avvenuto, invece,secondo Marco e Luca nella re-gione dei Geraseni, gli abitantidella città, definita la Pompei del-la Giordania per la vasta e straor-dinaria area archeologica d’epo-ca romana. Gerasa è il fiore al-l’occhiello di questo percorso nel-la Decapoli, particolarmente ap-prezzata dai pellegrini villesi, per-

<ELuogo del Battesimo di Gesù sul Giordano

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denza con il patrono di Villa diSerio. Si tratta di un complessobizantino i cui resti sono protet-ti da un ampio capannone, conuno straordinario mosaico dellaseconda metà dell’VIII secolo.Madaba, centro strategico lungola Strada dei Re citato più voltenell’Antico Testamento, oggi èuna città dove un terzo dei 105mila abitanti sono cristiani, mol-to legati alle proprie tradizioni.Nella <città dei mosaici> è sta-to ammirato il più celebre tra que-sti, la <Mappa di Terra Santa>, lapiù antica dell’area, scoperta nel1897 e conservata nella chiesadi San Giorgio.

L’Arsenale dell’Incontro a Ma-daba

Di particolare significato socia-le e umano, a Madaba, la tappadel pellegrinaggio all’Arsenaledell’Incontro del Sermig, il Ser-vizio Missionario Giovani nato

nel 1964 da un’intuizione di Er-nesto Olivero. L’attività dell’Isti-tuto, gestito dalle suore della Fra-ternità femminile, è stata pre-sentata dalla responsabile Chia-ra Giorgio, giovane ligure impe-gnata sul posto da dieci anni. So-no accolti bambini e giovani di-versamente abili, musulmani ecristiani, in un Paese dove la di-sabilità riguarda il 13,5 per cen-to della popolazione. L’opera vuo-le esprimere la profezia di un gior-no in cui musulmani e cristianipossano vivere come fratelli, ri-spettandosi nella diversità e dia-logando per il bene dei figli, spe-cialmente di quelli più in diffi-coltà. Nato nel 2006, l’Istituto havisto passare migliaia di personee ospita oggi 265 ragazzi, con 27dipendenti e numerosi volonta-ri, impegnati in un percorso edu-cativo e lavorativo orientato al-l’integrazione sociale. Non sonopreviste rette: l’Istituto vive, gra-zie alla Provvidenza, di solida-rietà, perché gli aiuti dello Statocoprono solo una minima partedelle spese. E’ stato visitato dalpresidente Sergio Mattarella du-rante il recente viaggio in Gior-dania.

Il rinnovo delle promesse bat-tesimali

Durante la Messa sulle rive di Be-tania al di là del Giordano, do-ve il corso del fiume è stretto ela riva israeliana è a un passo, èstato celebrato il rinnovo dellepromesse battesimali. Il com-pianto archeologo francescanopadre Michele Piccirillo (1944-2008) riscoprì, seguendo l’indi-cazione dell’evangelista Giovanni,questo luogo, poi visitato da trePapi. Nell’omelia della Messasulle rive del Giordano, don Pao-lo ha ricordato come il Signoresia entrato nella piccolezza del-la nostra vita. Ha evocato l’im-magine del dito di Giovanni ilBattista – rievocando la Crocifis-sione di Grünewald – come unafreccia lanciata verso Gesù, per-

Vita parrocchialeché è un sito di bellezza inso-spettata, splendidamente con-servato e costantemente restau-rato.

Il luogo dove Giovanni il Bat-tista fu decapitato

La terza giornata è iniziata conla visita di Macheronte, l’alturadove, su una spianata a 800 me-tri d’altezza sul Mar Morto, se-condo lo storico Giuseppe Fla-vio sorgeva la fortezza in cui Ero-de Antipa, figlio di Erode il Gran-de, imprigionò e poi, come nar-rano i Vangeli, decapitò Giovanniil Battista. Gli scavi a Umm ar-Rasas hannoportato alla luce numerose chie-se con mosaici di valore. Dalleiscrizioni di uno di questi è sta-to possibile identificare Umm ar-Rasas con la biblica Castron Me-faa. La Messa è stata celebratanella chiesa dedicata a Santo Ste-fano, con una suggestiva coinci-

Vita parrocchiale - 19Petra

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sitano nel mare sull’asciutto, men-tre gli Egiziani che li inseguonosono inghiottiti dalle acque. GliEbrei passano così dalla pauradell’Egitto al timor di Dio, dallaschiavitù alla libertà. Con la Leg-ge, il Decalogo, Dio si <lega> alproprio popolo, mentre il vitellod’oro rivela come l’uomo – scris-se Dostoevskij – non sia ateo, maidolatra. L’Esodo, in sintesi, è laPasqua: uscire dalla schiavitù perraggiungere la libertà. Prima di arrivare a Wadi Musa,lungo la strada dei Re, si visita lacittadella crociata di Karak, rag-giunta, sulla sommità della col-lina, percorrendo le strette e ri-pide vie della cittadina; si in-contrano, sulla groppa dei muli,i ragazzini delle tribù beduine;

si ammira, da lontano, la fortez-za di Ash-Shawbak, bizantina,crociata, infine musulmana.

Petra, meraviglia del mondo

Petra, la capitale dell’antico re-gno dei Nabatei, una delle Settemeraviglie del mondo, è l’im-perdibile e principale attrazioneturistica giordana, frequentata davisitatori provenienti da tutto ilmondo. Spicca, al termine delpercorso di as-Siq, stretto tra dueripide pareti di arenaria multi-colore, l’incanto improvviso del-la celebre facciata rosa, in stileellenistico, di al-Khaznah, il <Te-soro>, il monumento più impor-tante. L’epoca di costruzione del-l’icona dell’antica capitale deiNabatei è controversa: secondoalcuni studiosi, risalirebbe al IIsec. d.C., mentre altri la collo-cano al I a.C. L’intera area com-prende centinaia di tombe, tem-pli, abitazioni, acquedotti, ci-sterne, luoghi di culto, un teatro,la via colonnata. La Messa è sta-ta celebrata negli scavi della chie-sa bizantina. I pellegrini hannopercorso a Petra 18 chilometri apiedi, culminati raggiungendoad-Dayr, l’imponente monasterocristiano in epoca bizantina, ar-rampicandosi per gli 800 gradi-ni. Nell’area, incredibilmente sug-gestiva, si incontrano cavalli, ca-lessi, cammelli, mercati.

ché noi siamo ciò che indichia-mo, le indicazioni che diamo. IlGiordano scende verso la de-pressione del Mar Morto, dall’altoal basso, così come Gesù è co-lui che si immerge nell’acqua li-macciosa del fiume e ci solleci-ta a scendere dai nostri piedistalli,andando verso chi è più affati-cato. In questo luogo – ha con-cluso don Paolo – si trova la for-za per riconferire freschezza al-la fede donataci dal Battesimo.

Verso la Valle di Mosè

Dai 400 metri sotto il livello delmare del Mar Morto, il punto piùbasso del mondo, a Petra, tra gli800 e i 1400 metri di altitudine.Durante il viaggio verso WadiMusa, la Valle di Mosè, dove sitrova il famoso sito archeologi-co di Petra, don Paolo ha rico-struito il senso del’Esodo, an-nuncio della Redenzione. Ha spie-gato come la paura ci renda schia-vi e generi i peccati. In Egitto ilfaraone si sente minacciato da-gli Ebrei: anche se li obbliga a la-vorare come schiavi, loro si mol-tiplicano. La paura nasce dall’i-gnoranza. Il faraone, ignorante eimpaurito, diventa despota. Il ti-mor di Dio, il contrario della pau-ra, è diventare figli. Mosè, da-vanti al Mar Rosso, richiama gliIsraeliti a non avere paura. Tran-

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giunse, dopo quarant’anni di pe-regrinazione nel deserto dalla fu-ga dall’Egitto, e vide la Terra Pro-messa. Eccezionale il vasto pa-norama su tutta la valle del Gior-dano, il Mar Morto, Gerico e Ge-rusalemme. Un vero e propriobalcone biblico. Fu meta di pel-legrinaggio già all’inizio del cri-stianesimo. La prima chiesa, co-struita alla fine del IV secolo, con-trassegnava il luogo dove Mosè,secondo la tradizione, morì. Lacroce con il serpente davanti alsantuario – opera dello scultoreitaliano Gian Paolo Fantoni – sim-boleggia il serpente di Mosè neldeserto e la croce di Gesù. Arrivato in questo punto, il pel-legrino, con intensa commozio-ne, percepisce come, lungo ledue rive del Giordano che ha da-vanti agli occhi, si stenda un’u-nica terra: la Terra Santa.<Mosè contempla la Terra pro-messa da lontano, da straniero –ha commentato don Paolo – nonvi entra, passa le consegne a Gio-suè. Ma i suoi occhi non si sonospenti, sono già aperti verso l’al-dilà. La Terra promessa è la Ter-ra eterna>.

Ritorno ad Amman

Il pellegrinaggio si è concluso do-v’era iniziato, ad Amman, la di-namica, e congestionata, capita-le. Una città di forti contrasti: dauna parte edifici commerciali,

banche, ristoranti eleganti, villehollywoodiane, alberghi di lus-so, gallerie d’arte; dall’altra il vec-chio nucleo, sorto ai piedi dellaCittadella e attorno alle vestigiaromane. Qui si concentra la vi-sita dei pellegrini. Il Teatro ro-mano, del II secolo d.C., vantauna splendida scenografia e unacavea con tre ordini di gradina-te, dove possono trovare postosettemila spettatori. Restaurato,ospita manifestazioni culturali esportive. Dalla Cittadella si godeil panorama su tutta la vasta cit-tà e si visitano, tra resti dell’etàdel Bronzo e del Ferro, il tempiodi Ercole, realizzato in onore del-l’imperatore Marco Aurelio, i re-sti di una chiesa bizantina, la di-mora musulmana di al-Qasr, ilMuseo archeologico.Durante il pellegrinaggio non so-no mancati anche momenti di re-lax, come il suggestivo bagno nel-le acque del Mar Morto, novevolte più salate rispetto a quellemarine, dove si resta a galla sen-za difficoltà ma occorre proteg-gersi gli occhi. La Giordania – dove sono statipercorsi a piedi più di 70 chilo-metri, di cui 18 nella sola Petra– è il necessario completamentodel pellegrinaggio in Israele e Pa-lestina, compiuto due anni fa danumerosi degli stessi visitatori.

Diego Colombo

Il tramonto e l’alba nel deserto

La visita alla splendida, poco no-ta, piccola Petra ha aperto la gior-nata in cui si è raggiunto il de-serto di Wadi Rum, l’area in cuifu girato il film <Lawrence d’A-rabia> di David Lean (1962). Leemozioni delle ore trascorse nelWadi Rum sono ancora ben vi-vide: la Messa sotto il padiglio-ne e l’alloggio nelle piccole ten-de del campo attrezzato; il girosulle jeep 4x4, con le tappe perammirare il panorama e le inci-sioni rupestri e gustare l’imman-cabile tè nel deserto offerto daibeduini; l’attesa del tramonto edell’alba; la preghiera sotto lestelle proprio nella notte di SanLorenzo. E’ vero: <Il deserto…un silenzio che parla>. <Il de-serto – ha spiegato don Paolo al-l’omelia – insegna l’essenziale,la rinuncia allo sperpero e al lus-so, che non sono da cristiani, l’u-miltà, il senso autentico del si-lenzio, che non è stare bene conse stessi, perché il cristianesimoè un agone. Nel tempo del de-serto il popolo e Dio si sono in-namorati>.

Monte Nebo, balcone sullaTerra Santa

Al Monte Nebo, tutelato dallaCustodia di Terra Santa, padrePiccirillo valorizzò il sito dove,secondo il Deuteronomio, Mosè

Macheronte - Luogo del martirio del Battista

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ggi intervistiamo Padre Fio-renzo Raffaini, saveriano,bergamasco nato l’1 Set-

tembre 1953, sacerdote dal 1978.La prima esperienza la svolge aUdine, dove si dedica all’anima-zione vocazionale dei ragazzi.Poi è missionario in Congo, suc-cessivamente va a Parigi dove con-segue la licenza in pastorale e ca-techetica. Ricevuto l’invito a pre-pararsi per il settore audiovisivo,frequenta un corso biennale di-plomandosi in pastorale della co-municazione Sociale. Dal 1998è direttore dello studio Video-mission producendo molti videointeressanti sui temi e gli inter-preti della missione. Ultimi suoilavori su San Guido Conforti: lavita, la spiritualità e il carisma.

Noi non la conosciamo vuole pre-sentarsi? Ho avuto in passato la possibili-tà di conoscere numerosi sacerdo-ti e religiosi oltre che numerosissi-me suore. Adesso le vocazioni con-tinuano ma con il contagocce.

Come mai alunno elementare en-tra in Seminario? Un certo padre Bruno dei mis-sionari Saveriani una mattina si èpresentato alle scuole elementa-ri di Cologno e ci ha proiettato unfilm, “Fiamme, storia di un intre-

pido missionario tra i pelle rossad'America”. Poi padre Bruno èpassato da casa mia, ha propostouna visita alla casa di Alzano acui ha fatto seguito il campeggioestivo a Gromo San Marino nel-le scuole elementari. Dopo di chesono entrato nella casa apostolicadi Alzano per frequentare la quin-ta elementare. Ci sono rimasto po-co più di un mese perché ricove-rato d'urgenza all'ospedale Mag-giore di Bergamo. Oggi queste en-trate in seminario a 10 anni nonsono più pensabili, mentre nel 1963era abbastanza normale.

Viene ordinato sacerdote nel 1978e subito missionario in Congo?Ordinato nel 1978 ma partito peril Congo nel 1986, dopo sei an-ni a Udine come incaricato del-le vocazioni e un anno a Parigiper perfezionare il Francese.

Padre Fiorenzo, Saveriano, ha an-che un altro fratello e l’ultimo neiComboniani dico bene?Esatto ho un fratello, padre Leo-nardo, classe 1955 Saveriano eun'altro, don Tiziano, classe 1956che per un lungo tratto della suagiovinezza ha frequentato i mis-sionari Comboniani, ai quali èsempre molto legato e poi, si è in-cardinato nel Clero Diocesano diComo.

Lei è nato a Cologno al Serio, ter-ra di tanti seminaristi e tra loroha conosciuto il Patriarca di Ge-rusalemme: Padre PierbattistaPizzaballa è corretto?Giusto. Per essere precisi mons.Pierbattista Pizzaballa è Ammi-nistratore Apostolico del Pa-triarcato di Gerusalemme dei la-tini in attesa che venga nomina-to il patriarca.

Ho visto una foto con padre Giu-seppe Pettenuzzo dove vi sieteconosciuti? Padre Giuseppe Pettenuzzo, l'at-tuale Rettore della nostra comu-nità di Alzano da un anno, l'hoconosciuto a Brescia dove era am-ministratore della cooperativa Cen-tro Saveriano di Animazione Mis-sionaria, che ha cessato qualcheanno fa l'attività. Era un centroche comprendeva tre riviste, unabella libreria dei Popoli e uno stu-dio di produzione Video Video-mission oltremare film, appunto.

Dopo il Congo è arrivato a Bre-scia con quale impegno?Era il gennaio del 1996 ed ero ap-pena rientrato in Africa dalle va-canze. Ero ancora in Burundi quan-

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Vita parrocchialedo il padre Generale, FrancescoMarini, mi ha chiesto se potevoprendere il posto di Padre AldoRottini a Videomission perché que-st'ultimo da anni chiedeva di ri-tornare in Africa. Ho accettatonon senza qualche perplessità.D'altro canto mi rendevo contoche per fare un lavoro così biso-gnava essere predisposti e in qual-che modo lo ero, ma pensavo incuor mio che fosse troppo tardi.Avevo 43 anni. Certamente avreidovuto raccontare del mondo mis-sionario e dei missionari, ma ilmondo della comunicazione edell'immagine è talmente rapidoe in evoluzione che temevo diaver già perso il treno. Comun-que andai a Roma a studiare Co-municazione Sociale dai Paolinie nel settembre 1998 sbarcai aBrescia.

Chi era Padre Aldo Rottini?Padre Aldo Rottini era un missio-nario Saveriano Bergamasco del-la Val Brembana appassionatodella Santa Vergine di Medjugo-rie e del video missionario e ma-riano. Ha prodotto diversi videosulla Madonna di Medjugorie chehanno avuto una larga diffusio-ne. Era stato a Medjugorie fin dal-le prime apparizioni ed era ami-co dei veggenti. Altra sua passio-ne era la Madonna delle Ghiaiedi Bonate. Anche su quest’ultimaha prodotto dei video.

Lei l’ha sostituito allo studio Vi-deomission per la documenta-zione missionaria?Sì nel settembre del 1998 ci sia-mo salutati dopo un breve pas-saggio di consegne. Ho notatoqualche tempo fa dei parallelismitra le nostre vite. Oltre ad essereentrambi missionari bergamaschi,padre Rottini dopo l'ordinazioneè stato destinato alla casa di Udi-ne come animatore, lo stesso èsuccesso a me anni dopo. È sta-to destinato in Congo e la sua pri-ma missione è stata Kitutu comepoi accadde a me. In fine padreAldo fondò Videomission ed iosono stato il suo successore. In-teressanti coincidenze, non tro-va? L'unico cambiamento che hofatto è stato quello di aggiungerea Videomission la sigla, Oltremarefilm, che è stata la prima realtàvideo saveriana strutturata e fon-

data da padre Agostino Carlessi.Dunque la nuova dicitura fu: Vi-deomission Oltremare film. Que-sto per non disperdere la memo-ria del nostro patrimonio video efotografico. Deve sapere che i sa-veriani proprio su iniziativa delfondatore San Guido Conforti han-no sempre avuto nella stampa enella pellicola fotografica e cine-matografica strumenti privilegia-ti di animazione tanto da diven-tare un vero carisma nel settore.Il nostro primo film missionariorisale al 1924.

Padre Giuseppe Pettenuzzo eral’amministratore del Centro Sa-veriano di Animazione Missio-naria: quanto lavoro!Sicuramente è stato un periodointenso di attività e di soddisfa-zioni culturali e pastorali. Devodire che la diocesi di Brescia e ilsuo centro Missionario erano esono molto vicini ai missionari.Non dimentichiamo che il Fon-datore dei missionari Combonia-ni San Daniele Comboni è natoa Limone del Garda, quindi bre-sciano. Molto vicino a noi era an-che il nostro vescovo di Bergamo,Mons. Francesco Beschi, l’alloravescovo ausiliare di Brescia.

Brescia centro Videomission, nelcastello c’è un monastero cosavuol dire?Non precisamente nel Castello. IlCastello sovrasta tutto il colle, ap-pena sotto c'è l'antico Conventodi San Pietro in Oliveto dove i pa-dri Carmelitani Scalzi hanno unacomunità composta anche da gio-vani studenti di teologia e sottodi loro il convento dei Gesuati,dove viviamo noi dal 1957 e do-ve a metà del 1400 (1467) vive-vano i fratelli Gesuati estinti nel1668. Il complesso, ha nella ma-gnifica chiesa del Santo Corpo diCristo, detta del San Cristo, il suopunto di forza. La chiesa, finitaagli inizi del 1500, adesso tuttaaffrescata è proprietà della dio-cesi. Noi di questa straordinariachiesa siamo i custodi. In questidecenni, grazie all'aiuto di tantepersone generose e di enti illu-minati, si è potuto restaurare e ri-metterla al suo antico splendoreper la gioia di tutti.

Come si svolge la sua giornata?

La nostra vita è fatta di piccoli ge-sti quotidiani e di attività caratte-ristiche del lavoro sacerdotale mis-sionario. Si va dalla manutenzio-ne della casa, al fare la spesa perla cucina, dall'accoglienza dei vi-sitatori, degli amici, dei benefat-tori o parenti di missionari allesante messe feriali dalle suore oin comunità aperte al pubblico.Si continua, poi, con i ritiri, i tri-dui, i settenari, le conferenze mis-sionarie agli adulti e ai ragazzidegli oratori, le assemblee save-riane e diocesane, i convegni divaria natura, la direzione spiri-tuale, le confessioni, le adorazionie ...altre cose ancora. I giorni pos-sono sembrare uguali ma sono so-stanzialmente diversi. Non puoiprogrammare tutto il futuro per-ché è sempre nelle mani di Dioche ci riserva spesso sorprese.

Tra tanti video, solo uno di 180minuti su San Francesco Saverio,dico bene?Quello della versione in linguaitaliana del lungo video su sanFrancesco Saverio realizzato daiGesuiti di Taiwan è stato un la-voro realizzato grazie ad un' ideadel compianto Padre Generale,Francesco Marini prematuramentescomparso. E' un lavoro di cui so-no molto contento. Diviso in ot-to puntate narra del cammino diun giovane alla scoperta dei luo-ghi dove ha vissuto San France-sco, e così riscopriamo in flashback la vita del Santo missiona-rio spagnolo. E' stato un bell'im-pegno organizzativo e direttivo.Devo dire che ho avuto la fortu-na di trovare collaboratori moltocompetenti e disponibili. Nellamia produzione una collabora-zione fondamentale è stata quel-la con la Radio Diocesana di Bre-scia e in particolare con la signoraBetty Cattaneo, e con lo studio vi-deo Diocesano, allora diretto dadon Italo Uberti. Altro prezioso efondamentale collaboratore è sta-to il signor Beppe Ricci già col-laboratore di padre Aldo Rottinie grazie a lui che il Padre Aldo hatraghettato Videomission dall'a-nalogico al digitale. Non possodimenticare l'amico Carlo Toni-ni geniale operatore e regista dinumerose realizzazioni profes-sionali e collaboratore generoso.

Salvatore Tumolo

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Centro di Ascolto e di Auto Aiuto Promozione Umana di Don Chino Pezzoli

olti genitori sono ec-cessivamente esigentiverso i figli e chiedono

successo nella scuola, nello sporte nella vita. Dimenticano peròche la cosa più importante è farcrescere adulti felici e motivati.

E’ un’ambizione diffusa fra i ge-nitori: sperare di far crescere fi-gli perfetti, proiettati in un fu-turo di successo. Spesso peròquesto loro desiderio non co-incide con i risultati ottenuti, eancor meno con le aspettativedei figli. Non è detto che iscri-vere i propri figli alla scuola mi-gliore della città, a competizionisportive, a corsi di specializza-zione e vestirli da monegaschi,con una pettinatura da princi-pe possa bastare a far di loro uo-mini e donne perfetti. E poi, i ge-nitori sappiano che figli perfettinon esistono. Quelli felici sì.

I FIGLI NELLA TESTA DEI GE-NITORII figli perfetti ci sono, ma solonella mente dei genitori. Quan-te volte davanti a un voto delfiglio/a magari anche buono, glichiedono: “Come mai 7 e non8?”. Nella maggior parte dei ca-si questa domanda innesca unsentimento di inadeguatezzanei figli.I genitori troppo esigenti han-no spesso come risultato figlibulli, arroganti, che emargina-no gli altri e in alcuni casi, usa-no la violenza per prevalere. Al-cuni di essi restano eterni figli,la casa dei genitori è la nicchiadove sono venerati, adorati, èfacile capire da chi… i genito-ri che vogliono figli perfetti, fin

da piccoli, li spingono a fre-quentare corsi di violino, di pia-noforte, di danza classica. De-vono studiare il cinese, che è lalingua del futuro, e magari l’i-dioma sanscrito, che è la linguadel passato. Devono crescereperfetti e i genitori sentirsi ono-rati del loro “prodotto” eccel-lente. Ne consegue che sono esi-genti affinché primeggino a scuo-la, nel gruppo degli amici e per-sino nella scelta del partner.

SOSTITUIRE I FIGLII genitori che coltivano questaimmagine idealizzata, ostaco-lano i percorsi mentali ed evo-lutivi dei figli. Purtroppo essipensano di facilitare la vita deifigli sostituendoli perfino nellescelte. Succede che per amorefermino la loro crescita.Scrive sul suo diario Valentinadi diciassette anni: “Non ho maifatto una scelta mia, nemmenoquella di uscire di casa con lemie amiche senza l’assenso deimiei genitori. Sono loro che han-no sempre pensato per me e orami trovo insicura. Ogni proble-ma mi si presenta come insu-perabile. Persino la notte devolasciare la luce accesa: quantepaure!”. Come mai i genitorinon sanno che la cosa più im-portante che possono insegna-re ai loro figli è come andareavanti senza di loro?

STRESSATI DALLO STUDIOOttenere buoni risultati, esserei primi, fare bene a scuola perfar felici i genitori e non sol-tanto…. Quanto pesa tutto que-sto sull’equilibrio psichico deiragazzi? Molto, a guardare una

ricerca Ocse su benessere sco-lastico secondo cui i ragazzi ita-liani sarebbero più ansiosi e me-no soddisfatti della media eu-ropea. In particolare questa in-dagine dice che tra i quindi-cenni, il 56% è nervoso quan-do prepara un test e il 70% èansioso durante l’esecuzionedel test, anche se è preparato.La media europea scende ri-spettivamente al 37% e al 56%.Gli studenti italiani sono ancheinsoddisfatti: il punteggio sullasoddisfazione nella vita è infat-ti di 6,9 (su 10) contro la mediaeuropea di 7,3.

LE FAMIGLIE PERFETTESi sa che le famiglie perfette esi-stono solo nella pubblicità dellemerendine. Allora ci permettia-mo di dare un consiglio: i geni-tori aspirino alla felicità piutto-sto che alla perfezione dei figli.Avere figli gioiosi, accoglienti,soddisfatti delle proprie scelte,con qualche regola da seguireben precisa e motivata, fa di lo-ro, comunque, persone felici edi successo. Se alcuni genitoriinvece, credono che i loro figlisiano i migliori, non si lamen-tino poi se la solitudine, la tri-stezza e l’insoddisfazione in-fetteranno la loro mente e l’e-goismo atrofizzerà il loro cuo-re. Dice una massima: “I figliperfetti non esistono, semmaici sono quelli che raggiungonouna buona maturità che signi-fica essere contenti di ciò chesi è”.

Concludiamo con una domanda:“Esistono figli che sanno amare?”.La risposta ai genitori.

MPERFEZIONE O FELICITÁ?

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Vita parrocchiale - 25

a signora Angelina mi ac-coglie gentilmente e mi in-vita a sedermi mentre aspet-

tiamo sua nipote, la signora Ma-ria Rosa, anzi, mentre mette a po-sto alcune cose, mi mostra la ca-sa con le varie modifiche che infase di costruzione ha fatto ese-guire per renderla più funziona-le e devo veramente compli-mentarmi con lei per le varie so-luzioni ideate per guadagnarespazio e poter ospitare ancora ilmobilio che aveva nell’altra ca-sa.Ottantaquattro anni portati conbrio, senso pratico e voglia diconversare, la signora Angelinami spiega che il marito è andatoa messa dopo aver passato il po-meriggio ad aiutare un vicino dicasa e aver iniziato a carteggia-re, prima di dipingerle, le antedelle loro finestre, “lavoretto” chealla sua età, 87 anni, non è po-co…Arriva la signora Maria Rosa cheabitualmente dà una mano nel-le varie occasioni in cui i signo-ri Marchesi, Angelina e Giovan-ni, possono incontrare delle dif-ficoltà e iniziamo l’intervista.Quando le chiedo se ha avutoproblemi seri di salute, se ha pas-sato dei momenti bui e come liha superati, mi risponde che quel-le poche volte che è finita in ospe-dale, è stato per cose di poco con-to che capitano a tutti. Resto unattimo perplessa perché solita-mente racconto percorsi di ma-lattia lunghi e faticosi, dato peròche la signora aggiunge che neha passate tante, voglio sentiredi che si tratta. “Sì, adesso sta be-ne – interviene la signora MariaRosa – ma lo scorso anno è dadimenticare perché a seguito diuna caduta, dopo l’ospedale è

stata quaranta giorni all’IstitutoDon Orione per cure riabilitati-ve; nonostante le raccomanda-zioni di medici e infermieri chenon si alzasse da sola ma si fa-cesse accompagnare, lei ogni tan-to tentava una “fuga” in bagno,sul terrazzino per prendere unaboccata d’aria, in cortile per fa-re due passi. Non sempre le an-dava bene…È tosta, è una di-subbidiente. Non sono da con-tare le cadute in casa, tenute na-scoste, anni fa, quando saliva sul-le sedie o sul letto per fare puli-zia o sistemare tende. È una mi-racolata, perché di cadute ne hafatte tante, o per capogiri o per-ché a un tratto le gambe le di-ventano pesanti e in certi casi po-teva andar peggio. Certo, lo scor-so anno è stato faticoso perchéprima è finita in ospedale lei e lo

zio Giovanni ne sentiva la man-canza; poi è stato il “turno” di luied è stata lei a soffrire perché luinon c’era. Del resto, loro sonocosì: non si sono mai mossi e nonsi muovono se non sono insie-me. Il 5 settembre hanno festeg-giato i sessant’anni di matrimo-nio.”A questo punto la signora Ange-lina comincia a raccontare: “Hosposato mio marito dopo setteanni di parlamento, allora si di-ceva così quando due si parla-vano con l’intenzione di sposar-si. Ha sempre lavorato alla S.A.C.E.e a tempo perso faceva l’im-bianchino. Quando è andato inpensione abbiamo cominciato afare le vacanze anche tre, quat-tro volte all’anno; sono bei ri-cordi se penso che da ragazzinanon sempre avevo da mangiare,

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È bello fidarsi di Dio anchequando il cielo è buio

Vita parrocchiale

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e eravamo in nove e tranne una so-rella che è morta, ci siamo an-cora tutti. Mio papà era andatoa lavorare in Germania dove dor-miva in baracche umide, malsa-ne, mangiava poco, così si è am-malato di tbc e a poco più di qua-rant’anni è morto. Dato che glialtri fratelli e sorelle lavoravano,a casa ad aiutare la mamma erorimasta io. Andavo a far la legnaper il camino e la stufa e a lava-re al lavatoio, anche a quello diScanzo. Quante volte mi scivo-lava via il sapone! Comunque,avevamo sempre freddo perchéla legna non era bella secca; dor-mivamo quattro in una stanza inun letto di una piazza e mezza,e gli altri con la mamma in un’al-tra. Per scaldarci mettevamo nel-la stufa un “quadrel”, una tego-la che poi mettevamo nel letto,spesso litigando per averla an-cora calda. Giravo anche sullecolline in cerca di uova e farinae la gente, sapendo che il papàera ammalato e che eravamo innove, era generosa. Non così inpaese… Non sempre c’erano sol-di per il pane. Avevo tentato dueo tre volte di averlo a credito mavisto che non pagavo la quartavolta me l’hanno fatto restituire.Oltre alla paura del freddo e del-la fame, per noi bambini c’eraquella del “matto”, un pover’uomofuori di testa che a volte ci inse-guiva.”“Quando siete rimasti senza pa-pà, come avete fatto?” chiedo.“È venuta la signorina della Pre-videnza Sociale che mi ha dettoche sarei andata in collegio a stu-diare, come mio fratello Tobiache di tutti è stato l’unico a stu-diare.Sì, altro che studiare! A tredicianni sono finita a Sanremo in unistituto di suore a lavare pentolepiù grandi di me, con la pagliet-ta che mi ha lasciato tutte le ma-ni segnate; il lavandino era fuo-ri all’aperto e io lavoravo sotto ilsole o al freddo. Poi a diciasset-te anni sono stata mandata al-l’ospedale di Magenta dove c’e-

rano le suore della Sapienza. Do-vevo aiutare una suora a fare laspesa e spesso ero stracarica; op-pure, dato che era un convitto,dovevo portare le valigie delleragazze che arrivavano per stu-diare. Non solo: l’istituto era atre piani con i pavimenti di mar-mo e io dovevo lavarli a mano,in ginocchio. Naturalmente nonricevevo stipendio da mandare acasa alla mamma che doveva ac-contentarsi di sapermi in un po-sto sicuro con colazione e duepasti sicuri ogni giorno.

Poi mi hanno chiesto di andarenel reparto medicina coi malati,almeno di provare, visto che nonmi ero mostrata entusiasta. Do-po un po’ non me la sono più sen-tita, soprattutto dopo aver vistouna bambina di nove anni, mor-ta, che con la suora ho dovutotogliere dalla barella e vestire.Fra tanto lavoro e sofferenza, ungiorno, una visita inaspettata: ilmio fidanzato era venuto a tro-varmi! Una giornata indimenti-cabile che nei mesi successivi miha aiutato a tirare avanti in atte-sa di qualcosa di meglio. Sì, chia-miamolo “meglio”! La mammaaveva una parente che abitavasubito dopo il confine svizzero eche mi aveva trovato posto co-me cameriera presso una fami-glia. Una volta là però, il lavoroera diventato doppio perché digiorno mi portavano da alcuni iloro parenti che avevano cam-

pagna, a fare il fieno e la sera ve-nivano a riprendermi perché do-vevo fare le pulizie, far da man-giare, ecc. Nel periodo della rac-colta delle patate ho anche do-vuto, un campo dopo l’altro, pu-lirle da tutti gli insetti che le in-festavano. Anche lì niente soldi,ma mangiavo.Suona il campanello: è il signorGiovanni che ritorna dalla mes-sa e mi rendo conto che la si-gnora Angelina, per dar retta ame non ha ancora preparato lacena, per cui la invito a ripren-dere gli ingredienti che mi ave-va mostrato quando ero entratae intanto le chiedo come ha fat-to, soprattutto quando era anco-ra bambina, a sostenere il peso ditutto quanto mi ha raccontato.“Cosa vuole – mi dice – alloraera così per tutti, era normale,anche se c’erano famiglie, comela nostra, più povere di altre, manon ci si faceva caso, si cresce-va così. E poi si pregava, si an-dava a messa, guai ad arrivare inritardo. Sicuramente ci hanno so-stenuto le preghiere dei nostrinonni, dei genitori, le nostre.” “A chi è devota in particolare”chiedo. “Naturalmente alla Ma-donna del Buon Consiglio, e poia questo martire, padre Luigi Car-rara morto in Congo nel 1964,che mi aiuta tanto. E prego sem-pre anche loro.” Così dicendo miindica due foto su una mensola,quasi un piccolo “angolo di pro-tezione”: sono quelle della mam-ma e della zia suora della signo-ra Maria Rosa.Entra il signor Giovanni che misembra di conoscere e infatti an-che lui si ricorda di me. Gli chie-do a che punto è il suo lavoro direstauro delle ante: mi dice cheè ancora all’inizio, che ci vuolpazienza perché va fatto bene,ma che prima dell’inverno sa-ranno pronte. Saluto e ringrazioanche la signora Maria Rosa cheha aiutato la zia a ricucire e pre-cisare tanti ricordi e scappo an-ch’io a preparare la cena.

Luigina Clivio

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FESTA DELL’ORATORIO 2019! GRAZIE A TUTTI!

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a nuova stagione sta per ini-ziare e i nostri ragazzi, do-po l’intensa preparazione

pre-campionato, sono pronti e ca-richi.Quest’anno Pulcini (2010-2011)ed Esordienti (2008-2009) dispu-teranno il campionato a 7 CSI cer-cando di difendere i colori del-l’Oratorio Villese. Nel frattempo i nostri campion-cini della Scuola Calcio (2012-2013) si divertiranno e, guidatianche dalla professionalità degliistruttori dell’Albinoleffe, prove-ranno a cimentarsi ed a miglio-rarsi nel loro percorso calcistico.Continua infatti la collaborazio-ne della nostra società con l’Al-

L binoleffe che offre anche que-st’anno il suo ausilio attraverso laformazione dei nostri allenatori eil supporto alla loro attività conallenamenti guidati e preziosi con-sigli.Anche per i “cuccioli” dei PrimiCalci (2014-2015) comincia lanuova avventura. Si tratta di ungruppetto di bambini di quattro ecinque anni che ogni mercoledìe venerdì pomeriggio dalle 16.30alle 17.30 si ritrova per impara-re, attraverso una serie di giochidavvero divertenti, il fantasticoGIOCO del calcio. Come sempreper loro la cosa più drammaticasarà scoprire che sulla sabbia nonsi fanno solo castelli!!!!

Se hai da 4 a 11 anni e vuoi vive-re il calcio divertendoti iscriviti al-la nuova stagione calcistica 2019-2020 dell’Oratorio Villese. Un fantastico e grande gruppo ti aspetta!per info su iscrizioni: 333/2682336 – 333/5458446

Seguici su www.oratoriovillese.altervista .org Facebook: oratorio villese calcioInstagram: oratorio.villese.calcio

A presto e buon calcio a tutti!!!!

ORATORIO VILLESE: UN GRANDE GRUPPO PRONTI VIA!!!

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Contrada S. StefanoDa quei lontani anni ‘90, gli an-ni degli ultimi palii organizzatinella versione “originale", di ac-qua sotto i ponti del Serio ne èpassata parecchia e Villa di Serioha subito profonde trasformazio-ni che l’hanno portata a sfiorare i7.000 abitanti. Tra i quartieri piùrinnovati c’è sicuramente quellodella contrada Santo Stefano ed èsoprattutto dei nuovi arrivati chevorremmo colpire l’attenzione conqueste brevi righe. Alla contradaSanto Stefano appartengono tut-te le vie al confine con Scanzo-

PALIO DELLE CONTRADE 2019…EMOZIONI E RICORDI DI UN’EDIZIONE STRAORDINARIA!

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rosciate, fino all’inizio del centrostorico, il colore è quello più bel-lo: il rosso. I simboli che abbia-mo scelto per questa nuova edi-zione, sono le palme e i sassi, ov-vero i simboli del martirio di San-to Stefano.107 scudetti biancorossi più 1stendardo da parata sono gli ad-dobbi che abbiamo realizzato percolorare e abbellire il nostro quar-tiere; materiale che, assieme allecatene e ai nastri colorati, è statopossibile avere solo grazie al pre-zioso lavoro di parecchi volonta-ri. Più di 60 sono le persone, trabambini e adulti, che si sono mes-se letteralmente in gioco per ga-reggiare con i colori della nostracontrada, 94 i punti che abbiamoguadagnato piazzandoci terzi nel-la classifica finale, 2 le categoriein cui abbiamo primeggiato, ov-vero tiro alla fune e pentolaccia.Attorno alla contrada si è costruitoe consolidato un gruppo di per-sone che, giorno dopo giorno, èdiventato sempre più unito finoall’apice della caccia al tesoro per-sa per un soffio (...vero Marco?).Tante purtroppo sono le personeche hanno perso questa bellissi-ma occasione di divertirsi, in spen-sieratezza, conoscendo nuovi vi-cini di casa e sostenendo, anchesolo come pubblico, i nostri par-tecipanti.Siamo solo all’inizio di questa rin-novata tradizione del palio e quin-di, la nostra speranza, è quellache per la prossima edizione cisia ancora più partecipazione efermento, sia nella preparazione

che alla partecipazione al palioanche da parte di chi non ha maivissuto questa manifestazione eanche e soprattutto se sei un nuo-vo abitante di questo bellissimopaese.Viva le contrade e viva il palio!Forza Rossi!

Contrada CollinaUn grido si avvicina: Evviva la col-lina! Con questo ritornello abbiamo sfi-lato il giorno dell’inaugurazionedel palio delle contrade di Villadi Serio 2019Ad accompagnarci le note festo-se della banda, mentre lungo ilcammino il nostro verde incro-ciava i colori delle altre contradein una allegra parata. Il paese in festa e la sua atmosfe-ra divertente contagiavano tuttifacendo quasi dimenticare anti-chi dissapori tra gli avversari…qua-si! Per fortuna c’è stata la provvi-denziale benedizione del palio daparte del Parroco a placare gli ani-mi focosi!Molto interessante la scelta dellecompetizioni che si ispiravano agiochi del passato con alcune ori-ginali varianti: da rasga la boracon trasporto di fanciulle in car-riola, alla corsa sugli sci di legnoin costume, che ha provocato ro-vinose cadute e qualche distor-sione, alla classica pentolacciaper i più piccolini e all’imman-cabile calcio balilla. Tutti si sonodati da fare, ognuno con i propritalenti, per la buona anzi ottima

riuscita di una manifestazione cheè sempre stata cara ai villesi mache da anni era stata chiusa in uncassetto. La chiave è stata ritro-vata: giocare insieme non è statosolo competizione ma anche l’oc-casione per conoscere e trascor-rere del tempo con le persone chevivono vicino a noi ma che nonvediamo molto spesso durante ilresto dell’anno. E’ stato bello sen-tirsi parte del gruppo e sapere cheil contributo di ognuno era fon-damentale per raggiungere l’o-biettivo.La caccia al tesoro finale ha mes-so tutti a dura prova perché ser-vivano grande spirito di squadra,velocità e intuizione. Certo, la vit-toria ci è sfumata fra le dita ma,tremate, l’anno prossimo faccia-mo “sul Serio!”

Contrada SerioIl commento che una "forestiera"come me esprimerà oggi sul Pa-lio delle Contrade di Villa di Se-rio non può che essere positivo...sono ormai integrata da 17 anninel nostro paese, ma provengo daun'altra località dove comunqueil Palio esisteva, anche se struttu-rato in modo diverso. Posso quin-di fare un confronto sulle attivitàproposte da ciascuna, ma ciò chehanno in comune sono senz'altroil grande potere di aggregazioneche si viene a creare. Complice il periodo dell'anno incui la mente è più leggera, le gior-nate più lunghe, di fatto è piace-vole stare all'aperto e trovare l'oc-

casione di realizzare oun addobbo o proporreun'idea o far trovare ibambini (che a mio av-viso non hanno le stes-se occasioni che un tem-po avevamo noi di gio-care sulla strada) o an-cora di metterci in gio-co da adulti.Di fatto io personalmenteho riscoperto la bellez-za di cose semplici masempre attuali, come unachiacchierata, un consi-glio, una risata in com-

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pagnia.Certo la voglia di competizioneemerge ed è naturale che sia co-sì, ma l'importante è ricordare cheil divertimento dovrebbe esserealla base di tutto. Sarebbe bello se dalla prossimaedizione tante famiglie lasciasse-ro liberi di recarsi nei punti di ri-trovo di ciascuna Contrada tutti ipropri bambini, è un'occasioneparticolare per vivere i momentiinsieme con lo spirito di squadra.Assicuro che lo stupore di veder-li affascinati dalla creazione di unfiore di nastro colorato, divertitiper vedere i grandi alle prese conprove fisiche ...non ha prezzo! Alla prossima!

Contrada CentroSe pensiamo alla natura del Paliodelle Contrade è facile dire chela voglia di riproporlo dopo tanti

anni nasce soprattutto dalla desi-derio di voler ritrovare una ma-nifestazione in cui le persone pos-sano giocare divertirsi e socializ-zare.Nel palio si organizzano giochiadatti a tutte le età, per i piccoli,i grandi, un divertimento assicu-rato per chi partecipa, per chi fail tifo e…. per chi organizza!! E’

davvero un momento importantedi socializzazione, capace di con-solidare e ampliare la rete di ami-ci nel proprio paese. Questo è lospirito giusto e questo è ciòdcheè successo in questi due primi an-ni della nuova edizione.E’ vero sono giorni impegnativima portano tanto divertimento. Iopersonalmente sono stata felicedi parteciparvi. Sono giovane equesti “sani” momenti di allegriafanno bene a tutti giovani enon….Noi siamo i gialli e il no-stro è il colore del sole; con i no-stri addobbi abbiamo portato unpo’ di calore al centro del nostropaese.Mi auguro che la prossima edi-zione veda la partecipazione dimolte più persone e vi invito find’ora a prendere contatto con lanostra contrada.

Forza gialli, forza Centro!!!!

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News dal Gruppo missionario!ominciamo a ritrovare noistessi quando accettiamoancora una volta di stare

a tavola col mondo e con gli uo-mini che sono i nostri compagnidi viaggio” (don G. Zanchi, Ri-messi in Viaggio: Immagini da unaChiesa che verrà”). È questo lo spirito che anima leiniziative del Gruppo missionarioed in particolare il sostegno inquesti mesi alle missioni in Etio-pia ed Ecuador. In Etiopia, alla infaticabile suorNives Battaglia, verrà destinatoquanto raccolto con le bombo-niere, finemente realizzate da al-cuni membri e amici del Gruppomissionario, per il mantenimentodi una sala medica per le donnepartorienti, considerato che, co-me ci scrive suor Nives, “la mor-talità delle mamme è molto alta,come pure dei neonati con la mor-te di tetano. Noi ce la mettiamotutta, cerchiamo di attivare pro-cessi, maturare scelte, affrontaresfide e incontrare persone”. All’Equador invece dedicheremoil prossimo mercatino missiona-rio, il 23 e 24 novembre prossimi(non a ottobre come già comuni-cato): ciò che verrà raccolto an-drà alle suore Sacramentine, inaiuto a bambini e famiglie parti-colarmente bisognosi di quel Pae-se. Auspichiamo che come sem-pre i villesi ci sostengano. Ma le attività del gruppo missio-nario non si fermano qui!In occasione della Festa dell’ora-torio 2019 anche il gruppo mis-sionario ha partecipato e contri-buito concretamente all’iniziati-va della Caritas “Cistaiacuore”con il sostegno alla realtà di “Lo-comotiva 10”. Oltre alle attività concrete moltiappuntamenti attendono il grup-po. Ci stiamo preparando a vive-re in modo speciale il mese di ot-tobre, designato da papa France-sco “Mese Missionario Straordi-nario” per celebrare i cento annidalla Lettera Apostolica MaximumIllud di Papa Benedetto XV sul-l’importanza dei missionari nelmondo. Inoltre non dimentichia-

mo che sarà importante seguire,sempre ad ottobre, il Sinodo Spe-ciale per l’Amazzonia, voluto dapapa Francesco per ridare vocealle popolazioni indigene che abi-tano quelle terre, cui manca laprospettiva di un futuro sereno,anche a causa della crisi della fo-resta amazzonica, polmone di fon-damentale importanza per il no-stro pianeta. Ricordiamo che il gruppo mis-sionario, ogni primo martedì delmese, è aperto ad accogliere co-loro che volessero condividere unmomento di preghiera e di rifles-sione sul tema delle missioni e adare il proprio aiuto alla realiz-zazione di alcune attività duran-te l’anno. Il gruppo missionario si prepara avivere questi eventi con un’im-portante novità in quanto si inse-dierà dal 24 settembre, primo in-contro dell’anno, il nuovo refe-rente di gruppo, Almo Ortelli chesubentra a Maria Corna che haterminato il proprio mandato quin-quennale. Approfitto pertanto di questo ar-ticolo per ringraziare tutti i com-ponenti del gruppo missionario ein particolare Padre Giuseppe, peril ricco e significativo camminoche insieme abbiamo condivisoe che non dimenticherò; auguroa tutti e ad Almo, che ringrazioper la sua disponibilità, di prose-guire nel diffondere la bellezzadelle missioni e nel testimoniarel’importanza di essere missiona-rio, “un mandato che ci tocca davicino: io sono sempre una mis-sione; tu sei sempre una missio-

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ne; chi ama si mette in movimento,è spinto fuori da sé stesso, è at-tratto e attrae, si dona all’altro etesse relazioni che generano vi-ta.” (dal Messaggio del Papa perla Giornata Missionaria Mondia-le 2019). Le novità e gli impegni quindi nonmancano… Venite a conoscerci!

Maria Corna

Riprendo volentieri le parole diMaria augurando anch’io al grup-po missionario e alla comunitàvillese un buon cammino missio-nario, nella consapevolezza che«l’azione missionaria è il para-digma di ogni opera della Chie-sa» (EG 15). Sono stato invitatoa far parte e a rappresentare ilGruppo Missionario di Villa di cuigià fui membro anni fa e di cuiconservo un ricordo indelebile.Ho accettato con gioia e con unpo’ di trepidazione, sperando difar bene, con la collaborazione ditutti.

Almo Ortelli

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Scuola dell’Infanzia

News 2019-2020a Scuola Materna Comm. Piero e Matilde Cavalli informache sono aperte le iscrizioni per l’a.s. 2019/2020 per:

* 2 CORSI extra-curricolari di lin-gua inglese con la madrelinguadella Sezione Orange:

• il primo rivolto ai bambini chehanno frequentato la nostra se-zione bilingue;

• il secondo ai bambini dai 4 agli8 anni che desiderano approc-ciarsi e/o approfondire l’appren-dimento della lingua inglese.

Durata:Il corso, a cadenza settimanale,ha una durata di 8 mesi: da ot-tobre 2019 a maggio 2020.

Calendario:È prevista una lezione a settima-na, per ciascuno dei due gruppi,della durata di 1 ora.• Venerdì dalle ore 14.00 alle ore15.00: 1ª, 2ª PRIMARIA (“EX-ORANGE”)• Lunedì dalle ore 16.30 alle ore17.30: BAMBINI DAI 4 AGLI 8ANNI

* 1 CORSO di propedeutica mu-sicale per mezzani e grandi con28 incontri della durata di 1 ora,a cadenza settimanale, il marte-dì dalle 16.00 alle 17.00, dal 15ottobre 2019 a maggio 2020.

* 1 CORSO extra-curricolare dipsicomotricità con incontri set-timanali della durata di 1 ora, acadenza settimanale, da ottobre2019.

Iscrizioni presso la segreteria del-la scuola.

La Direzione si riserva di appor-tare eventuali modifiche ai pro-grammi, alle date ed agli orari inbase alle esigenze organizzative.

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per le vie di Villa di Serio

alla scuola primaria di Villa di Serio

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36 - Scuola dell’Infanzia

Cre 2019 BELLA STORIA “Io sarò con te” stata una Bella Storia l’e-state ormai trascorsa, ma

soprattutto una Bella Storia è lanostra vita! Ogni uomo che na-sce sulla terra riceve una mis-sione speciale: fare della propriavita una Bella Storia ossia unastoria d’amore. Il servizio di CRE della nostra Fon-dazione nasce dalla volontà dioffrire ai bambini e alle loro fa-miglie l’opportunità di fare espe-rienze significative di crescita,nel tempo libero delle vacanzescolastiche, in un contesto pro-tetto, con profondi valori educa-tivi, ricreativi e socializzanti.

E’ La proposta di un’attività estivada parte della scuola dell’infan-zia non vuole tuttavia essere ilproseguimento della vita ordi-naria, bensì divenire il tempo delgioco, del divertimento e delleattività spensierate, seppure adogni modo finalizzate alla cre-scita e alla formazione.Essendo il CRE, prima di ogni al-tra cosa, uno spazio ricreativo,la proposta animativa ha comemotore di tutte le attività il gio-co. Il progetto educativo ha svi-luppato proposte ludiche ragio-nate e privilegiato il mondo delgioco come strumento funzionale

per l'apprendimento, usando mo-dalità piacevoli e divertenti chehanno permesso al bambino disperimentarsi in situazioni diverseda quelle svolte durante l'annoscolastico. Un’esperienza nelcontempo educativa e ricreativa,centrata sui bisogni e sugli inte-ressi dei bambini protagonisti del-la loro esperienza estiva.Tramite le routine quotidiane ele attività ludiche progettate so-no state favorite nel bambino abi-lità e competenze specifiche:1) SOCIALIZZAZIONEL’intero percorso ludico–ricrea-tivo è stato mirato a favorire lasocializzazione, l’accoglienza re-ciproca, la conoscenza e il ri-spetto dell’altro. 2) SVILUPPO DELL’AUTONO-MIAL’esperienza complessiva vissu-ta al CRE è stata finalizzata al ren-

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Scuola dell’Infanziadere i bambini protagonisti atti-vi. 3) CONSOLIDAMENTO DELLEABILITA’ MOTORIEL’espressività motoria dei bam-bini ed il consolidamento delleabilità motorie è stata favorita at-traverso la proposta di giochi dimovimento, di balli, di attività al-l’aria aperta durante i diversi mo-menti delle giornate a scuola4) ESPLORAZIONE E SVILUPPODELLA CREATIVITA’Esplorando, sotto l’attenta guidadelle educatrici, i bambini han-no soddisfatto il proprio natura-le bisogno di curiosità, raffor-zando la conoscenza dell’altro econtemporaneamente la fiducia

in se stessi e nelle proprie capa-cità. La creatività è stata stimo-lata attraverso laboratori espres-sivi e manipolativi, giochi e let-ture realizzando piccoli e sem-plici manufatti.5) SVILUPPO DELLE COMPE-TENZE LINGUISTICHE E CO-MUNICATIVELa competenza linguistica e co-municativa dei bambini è statasollecitata tramite lo sviluppo del-le loro abilità lessicali, narrativee descrittive.

IL TEMAIl tema è stato declinato in 5 se-zioni per le 5 tappe della BellaStoria di ogni bambino. Ogni set-

timana ha raccontato dunque unpezzetto della Bella Storia di cia-scuno. C’è una storia senza tempo chesi è valutata sintesi perfetta delpercorso per i bambini: è la sto-ria di PINOCCHIO. Si tratta diuna storia straordinaria e moltoconosciuta che ci riporta imme-diatamente ad ambientazioni for-ti e prodigiose (il teatro di Man-giafuoco, il Paese dei Balocchi,la pancia del Pescecane). Ma è soprattutto una storia di scel-te, di sbagli, di incontri. Una sto-ria di crescita che può prenderesvolte positive e trovare rallen-tamenti o inversioni di marcia.

Riuscitissima la ventesima edi-zione del Cre 2019 con la par-tecipazione di oltre ottanta bam-bini: nella festa finale qualche la-crimuccia è sgorgata da occhio-ni dispiaciuti perché l’avventuraterminava… Il giorno dopo al-cuni bambini accompagnati daigenitori si sono presentati ai can-celli e loro malgrado hanno do-vuto fare ritorno a casa…Alla prossima estate…

E.A.

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38 - Scuola dell’Infanzia

Uscite didattiche alla Scuola del-l’infanzia-Asilo nido In Cammino eSezione Primavera

e uscite didattiche, le visi-te guidate e i viaggi di istru-

zione, rivestono un ruolo im-portante nella formazione e co-stituiscono un valido strumentonell’azione didattico-educativa.Sul piano educativo consentonoun positivo sviluppo delle dina-miche socio-affettive del gruppoclasse e sollecitano la curiositàdi conoscere.Sul piano didattico favorisconol’apprendimento delle conoscenze,l’attività di ricerca e conoscenzadell’ambiente.Affinché queste esperienze ab-biano un’effettiva valenza for-mativa, devono essere conside-rate come momento integrantedella normale attività scolastica. Durante l’anno molte sono le oc-casioni in cui si programmanouscite didattiche con finalità chepossiamo così riassumere: por-tare i bambini a contatto con real-tà diverse da quelle vissute quo-tidianamente, rafforzare le moti-vazioni ad osservare, analizzareed apprendere, favorire lo svi-

L

luppo delle capacità logico- cri-tiche ed espressive nel contestodi un’esperienza vissuta, svilup-pare la capacità di usare, in si-tuazioni reali, linguaggi specifi-ci, sviluppare l’autonomia, il sen-so di responsabilità, l’autocon-trollo, l’autodisciplina e le capa-cità di stare nel gruppo.

Questi i nostri intenti che anchenel prossimo anno educativo/sco-lastico verranno perseguiti conprogrammazioni specifiche.I nostri genitori ma soprattutto ibimbi, fruitori di queste iniziati-ve ne saranno certamente “felici”.

E.A.

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Scuola dell’Infanzia - 39

Scuola dell’Infanzia

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Scuo

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iamercato Villa di Serio parco a Nembro

40 - Scuola dell’Infanzia

fattoria Valle Imagna parco Villa di Serio

per le vie di Villa di Serio per le vie di Villa di Serio

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Scuola dell’Infanzia

Scuola dell’Infanzia - 41

erio

casetta a Nembro

Museo Sacrestie Alzano Lombardo

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42 - Esperienze Giovanili

Espe

rienz

e Gio

vani

li

osa faccio quest’estate? Ildesiderio di partire – edil passaparola – mi han-

no portata al Centro MissionarioDiocesano, che ogni anno orga-nizza una serie di incontri pre-parativi per brevi esperienze dimissione. Sono andata per cu-riosità, semplicemente con l’in-tenzione di stare a vedere cosaquesti incontri mi avrebbero smos-so dentro. I ritrovi servono, oltreche per predisporre mente e cuo-re a ciò che si vivrà l’estate se-guente, anche per far nascerenuove amicizie con gli altri gio-vani che hanno deciso di partireo che perlomeno vogliono intra-prendere in futuro un viaggio diquesto tipo. Tra questi giovanic’era anche Letizia, che è poi sta-ta la mia compagna di avventu-ra. È stata una questione di setti-mane, poi Franca, segretaria delCentro Missionario Diocesano,una mattina mi ha scritto: “CiaoSimona, per te abbiamo pensatoalle Filippine, che ne dici?”. Nelle Filippine ci sono diversemissioni gestite dalle Suore Or-soline di Somasca; noi abbiamoavuto la possibilità di conoscer-ne due durante le nostre tre set-timane di permanenza: quella diSan Pedro Laguna, nei pressi diManila, e quella di Dumaguetee Valencia, nell’isola di Negros. L’unica missionaria italiana è suorVera Ravasio, originaria di Almèe nelle Filippine dal 1985, annodi instaurazione della prima mis-sione. Ci ha accolte a San Pedro,dove vive con altre cinque suo-re ed è direttrice della scuola pa-ritaria “Cittadini”, in onore a Ca-terina e Giuditta Cittadini, fon-datrici dell’ordine delle Orsoli-ne di Somasca. Essendo un isti-tuto privato è accessibile perlo-più a persone benestanti, mentre

è previsto un anno gratuito di al-fabetizzazione per i meno ab-bienti in età prescolare. Inoltre,sempre dalle suore a San Pedro,c’è una clinica aperta il lunedìed il venerdì in cui medici vo-lontari forniscono le proprie pre-stazioni per i più poveri, poichénelle Filippine la sanità non èpubblica. La domenica, dopo lamessa, oltre al momento di ca-techismo, le suore, aiutate da vo-lontari, forniscono un pasto allefamiglie che arrivano dagli slum,nonché dei viveri per la settima-na successiva.Nel corso della nostra esperien-za abbiamo alloggiato presso lesuore di San Pedro durante la pri-ma e la terza settimana, mentrenella settimana centrale ci siamospostate a Dumaguete, nel suddelle Filippine.Anche in quest’ultima comunitàsiamo state accolte da sei suoree non è mancata una tappa didue giorni presso l’orfanotrofiofemminile di Valencia, dove ab-biamo conosciuto le sedici ra-gazze ivi ospitate.Nelle nostre giornate abbiamoincontrato gli studenti, giocatocon i bambini, vissuto a fiancodelle suore, la cui quotidianità èscandita dalla preghiera, pur contutti i problemi che infestano i lo-

ro pensieri. Le suore ci hanno ac-compagnato nei quartieri più po-veri, dove regnava la miseria edi bambini, entusiasti, ci prende-vano per mano, desiderosi di gui-darci all’interno del loro mondo.Quello che più mi è rimasto im-presso nella memoria sono i sor-risi e gli sguardi gentili, i saluti ti-midi. Non abbiamo fatto cose ingrande, non abbiamo costruitoospedali né tantomeno salvatonessuno. Il nostro è stato un ti-mido "esserci”, il loro è stato unamorevole accoglierci, di cui vo-glio farne tesoro. Abbiamo rice-vuto più di quanto potessimo da-re, per questo credo che la pri-ma missione debba avvenire den-tro di me. Per questo sono grataalle suore che abbiamo cono-sciuto, per quello che fanno, perl’esempio che ci hanno fornito,nutrito di tenacia e speranza. So-no altresì grata al Centro Missio-nario per la dedizione che han-no nei confronti delle missioni ela fiducia che ripongono nei gio-vani, grata a Letizia, per aver con-diviso con me questa esperien-za, nonché a famiglia ed amiciche hanno saputo starmi vicinononostante i km di mezzo.

Simona Caseri

C

“Esserci”: Un tesoro da custodire

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Voci della nostra storia

Ma pensa te ...!Nel Giornale Parrocchiale del giugno 2011, questa rubrica curava l’intervista alla sig.ra Adele Moioli eil titolo che la presentava era: BERGAMASCHI. Titolo strano, bizzarro per un’intervista ad una signora.Nulla di strano perché Adele era ed è l’icona del bergamasco doc. Perché i bergamaschi sono .. bella gen-te … con una passione quasi disumana per il lavoro. Capaci di darti un Papa contadino … e che Papa, conun carattere duro, testardi, introversi, gelosi dei loro sentimenti, schivi ma… sinceri. Quando c’è da la-vorare non c’è da toccarli, lavorare è il loro divertimento. Ma se il lavoro non c’è…? Loro lo sanno cer-care e soprattutto trovare! Figlia di emigrati in Argentina per lavoro, rientrata in Italia, emigrò nuova-mente in Belgio per lavoro a causa della crisi del dopo guerra. Crisi dell’occupazione? Adele camminòsulla strada che purtroppo anche i giovani di oggi con spirito orobico sono costretti ad intraprendere!

Ma perché questo preambolo? Ma pensa te… già … già, ma pensa te: perché l’intervistata di oggi al-tro non è che la figlia di Adele, Carla, conosciuta in paese perché gestiva il Tùrciù, l’osteria di via Lo-catelli, così chiamata per la possanza fisica di suo suocero, un omone di due metri per oltre cento chili dipeso ed anche per il grosso torchio che lì usava per pigiare l’uva. Altra donna casa e lavoro, ma pensa tè,bergamasca doc di Villa di Serio che a questo punto ci racconta la sua storia.

unque Carla , dopomamma Adele ora toc-ca a Lei. Cominci la sua

storia.“Sono nata a Villa di Serio il 30gennaio 1944. Mio papà Giu-seppe Morotti ed era nato il 25febbraio 1911, mentre la mam-ma Adele Moioli era nata il 12febbraio 1920. Tra qualche me-se compirà 100 anni. Anche lo-ro erano nativi di Villa di Serio.La famiglia della mamma, chevoi avete intervistato tempo fa,risiedeva in un appartamentinosull’angolo di via Roma, doveuna volta c’era il negozio dellasig.ra Clorinda, mentre mio pa-dre abitava nella casa dei Mo-rotti in via Locatelli. Si sono spo-sati l’8 giugno del 1940 e sonoandati ad abitare di fronte allaChiesa Parrocchiale. Ricordo an-cora che vicino all’abitazionescorreva una seriola che spessoesondava, con l’acqua che alla-gava la nostra cucina. Dal ma-trimonio dei miei genitori sononati: Angelo il 24 settembre del

1941, io nel 1944 e Alberto il19 dicembre del 1945. Angelopurtroppo è venuto a mancareil 21 dicembre 2010”.

Carla, ci vuole descrivere quelche ricorda dei suoi genitori edella sua infanzia?“Papà Giuseppe nel 1936 fuchiamato alle armi e ha parte-cipato alla campagna d’Etiopiada dove è rientrato a causa di

una malattia. Ricordo l’entusia-smo e un pizzico di nostalgiacon cui ci raccontava le avven-ture da lui vissute durante quel-l’esperienza. Ricordo però chedopo il rientro dalla campagnad’Etiopia ha incontrato molte dif-ficoltà a trovare un’occupazio-ne. Da buon bergamasco si è da-to però da fare in mille occupa-zioni che fruttassero un minimodi sostegno alla famiglia. Quan-do nel 1946 venne a sapere cheera possibile fare domanda perandare a lavorare nelle minierein Belgio, non ci ha pensato duevolte ed emigrò. All’inizio nonè stato facile, anzi fu molto du-ra: papà all’estero per lavoromentre noi eravamo rimasti inItalia. Purtroppo riusciva a man-darci ben pochi soldi ed in ra-gione di ciò ci appoggiavamospesso sui nonni paterni per lenecessità di tutti i giorni. Bruttasituazione che si è protratta fi-no al 1949, ovvero fino a quan-do tutta la famiglia è riuscita aricongiungersi con lui in Belgio.

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Voci della nostra storia - 43

DA: VILLA DI SERIO IERIOGGIUNA STORIA di Casimiro CornaGuerra d’Africa 1936 Giuseppe Morotti,Umberto Medolago e Natale Codoni

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44 - Voci della nostra storia

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La richiesta di lavoro si era ele-vata di molto così come il feno-meno migratorio di manodope-ra. C’erano moltissimi immigra-ti: congolesi, italiani, polacchi,turchi, greci e chi ne ha più nemetta. Inoltre, mentre molti im-migrati, per lo più quelli che nonavevano lasciato una famiglia inpatria, ne approfittavano per fa-re un po’ di soldi per poi rimpa-triare. Per quelli che invece ave-vano famiglia veniva offerta lapossibilità di effettuare il ricon-giungimento. Veniva persino as-segnata un’abitazione. Non èstata un’operazione facile per-ché ci sono voluti ben tre anni,ma alla fine ce l’abbiamo fatta.Siamo partiti nel settembre del1949. Non mi ricordo il viaggioma ho ben impressa l’abitazio-ne che ci ha accolti. Era una vil-letta a schiera di testa, con tan-to di giardino e ben tre stanze.Per noi che eravamo abituati avivere in un solo locale è statosicuramente un miglioramento.Ricordo benissimo che c’era unastanza per i miei genitori, unaper i miei fratelli ed una tutta perme. Era un gioiellino tutto tap-pezzato. Sembrava uno chalet.Sul retro dell’abitazione aveva-mo realizzato un piccolo orto,mentre sul fronte c’era un belgiardino con tanto di sentiero eroseto. Era un bellissimo quar-tiere nella località di Ressaix inVallonia”.

Ma l’impatto del trasferimentoin Belgio, usanze, lingua am-biente diversi, avranno creatonon poche difficoltà?“Non ho incontrato particolaridifficoltà ad inserirmi nel nuo-vo contesto. Ricordo bene unfatto, proprio perché eravamo

partiti nel mese di settembre do-ve da noi fa ancora caldo, io in-dossavo degli zoccoli. Me lo ri-cordo come fosse ieri perché difatto la calzatura non offriva al-cun tipo di protezione tant’è chesono incappata nel più banaledegli infortuni: mi sono puntacon la spina di una rosa. Con gli

stessi zoccoli andavo all’asilo,dove ho familiarizzato con lalingua francese e coi bambiniche erano di nazionalità diver-se. Tutti insieme vivevamo feli-ci ed in armonia nel mondo deibambini. Compiuti i sei anni hofrequentato la scuola primaria eanche di quest’ultima ho un bel-lissimo ricordo. Sono sempre sta-ta accolta a braccia aperte an-che perché ero amica di tutti. Ilquartiere dove vivevo era unasorta di villaggio al cui internoci si conosceva tutti. Era comeuna Babele come ho già detto eper assurdo la diversità favorivail dialogo perché inevitabilmenteportava al rispetto reciproco. Ab-biamo anche coltivato delle sin-cere amicizie, soprattutto confamiglie italiane, in particolarecon una di origine sarda. Erava-mo persino diventati “comari e

compari” ovvero quelli che pernoi sono le madrine ed i padri-ni al battesimo. Ricordo ancorala bontà dei ravioli e persino del-l’agnello arrosto, del mio riser-bo e titubanza per mangiarlo mapoi, una volta assaggiato, nonavrei mai smesso di mangiarne.Posso proprio affermare di avervissuto un’infanzia bellissima ilcui ricordo è ancora vivo den-tro di me. Così come vivo è il ri-cordo del Belgio che tutt’ora con-sidero come la mia seconda pa-tria”.

E dopo l’infanzia? “Terminata la scuola primaria hofrequentato una scuola di cuci-to. Ho sempre avuto l’idea didiventare sarta quindi ho fre-quentato una scuola professio-nale che avesse quell’indirizzo.Le lezioni si tenevano in un ca-stello ed ogni volta che entravomi sembrava di vivere una fa-vola. Lì ti insegnavano propriotutto. Non solo a cucire ma per-sino a riparare un ferro da stiroo una presa della corrente. Eroparticolarmente attenta, attiva,con buoni risultati tanto è veroche ogni volta che realizzavo unlavoro le maestre volevano chelo mostrassi nelle altri classi perdimostrare come era stato cura-to. A scuola posso dire di esse-re sempre stata abbastanza bra-va. Non da prima della classeperché la prima della classe erala figlia del direttore …ma pen-sa te…. ma anche con il diret-tore ho stretto un ottimo rap-porto. Ricordo che il giovedì ve-niva a prendermi a scuola conla macchina e mi accompagna-va a casa sua perché potessi gio-care con la figlia. Era un piace-re ed uno svago più che un ono-

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Voci della nostra storiare. Dovunque fossi impegnataconseguivo buoni risultati. Per-sino nella ginnastica artistica.C’erano dei corsi serali e mi al-lenavo anche con ragazzi piùgrandi di me che militavano inimportanti squadre di calcio bel-ghe. Ho frequentato la scuolaprofessionale per circa due an-ni. Avrei potuto continuare per-ché le insegnanti avevano nota-to una certa predisposizione, mapurtroppo le necessità della fa-miglia mi hanno costretta a tro-vare un lavoro. L’unica entrataera quella di papà. Angelo pur-troppo, spesso perdeva il lavo-ro, la mamma ha svolto qualchelavoretto in una vetreria ma conil papà che lavorava di notte edormiva di giorno non era perlei possibile avere una occupa-zione fissa. Quindi io ho dovu-to concorrere alle necessità fa-miliari. Era il 1959 e ho inizia-to l’attività di sarta, con buonirisultati”.

Quindi da bergamasca doc afiamminga quasi doc, e la no-stalgia dell’Italia, di Villa di Se-rio?“Anche se in Belgio vivevo be-ne, benissimo, dentro di me hosempre saputo che avrei vissu-to la mia vita in Italia. Un po’anche perché il papà ha semprelavorato per guadagnare i soldinecessari per comprare una ca-sa a Villa di Serio. Un po’ per-ché il modo di vivere in Belgioè molto diverso. I belgi non so-no molto dediti agli svaghi oquantomeno agli svaghi per co-me li intendiamo noi. Per loro èinconcepibile, o almeno lo eraa quei tempi, andare in vacan-za. La vita era una vita monoto-na, scandita dal lavoro, dalla vi-ta in famiglia, dalla frequenta-

zione degli amici di quartiere,dall’andare a ballare il sabatosera e poco altro. Una vita chedi fatto poco si adattava a meanche perché, nonostante il tra-sferimento in Belgio, ho sempreavuto delle occasioni per torna-re in Italia a trascorrere qualchemomento di vacanza in famiglia.Per la prima volta sono rientra-ta nel 1955, poi sono tornata nel1958, nel 1961, nel 1964 e nel1968. Quindi l’Italia e Villa diSerio sono sempre state nel miocuore. I rientri sono sempre sta-ti di breve durata e con la fami-glia mai al completo: in Belgioinfatti avevamo conigli e galli-ne e qualcuno doveva semprerimanere per accudirli”.

Ma il rientro a Villa, l’amore, ilmatrimonio, la nuova vita?“Nel 1965 mio papà era riusci-to finalmente a comprare dellestanze a Villa di Serio e con l’aiu-to della sorella le aveva siste-mate. Di solito lui preferiva ri-entrare in Italia nel mese di gen-naio e sa perché? Perché a gen-naio si ammazza il maiale. Diconseguenza avrebbe potuto por-tare salami e cotechini che di-versamente in Belgio non avrem-mo mai mangiato. Nel 1968 poiaveva acquistato una macchinaed il viaggio l’abbiamo fatto pro-prio con quella. Guidava miofratello Alberto e c’era anche miamamma. Era una domenica d’e-state e la zia aveva preparato lapolenta con le polpettine, il pol-lo e lo stracchino. Terminato ilpranzo mi era venuta voglia diun ghiacciolo e quindi sono usci-ta e mi sono recata nella primatrattoria aperta, quella del Tur-ciù. Al bancone c’era un bel gio-vanotto ed è stato proprio lui aservirmi. Tornata a casa col ghiac-

ciolo i miei volevano sapere do-ve l’avevo acquistato. Una pa-rola tira l’altra, quindi vengo asapere che chi mi aveva vendu-to il ghiacciolo era un certo Ales-sandro, il figlio del Turciù. E lìmi si è aperta una finestra. Miopadre infatti, al suo rientro inBelgio dopo che era stato a Vil-la per via del maiale, mi avevaparlato di questo giovane de-scrivendolo come una personabrava e buona. Le mie zie, daparte loro poi avevano traffica-to non poco, con la famiglia diAlessandro. Fatto sta che tuttequeste trame hanno fatto sì cheun bel giorno mio fratello Al-berto mi ha portato in gita a Lec-co ed in quell’occasione c’eraanche Alessandro. Da allora Ales-sandro, il Manini del Torciù, èentrato nella mia vita”.

Vita nuova dunque?“No, non da subito, infatti sonotornata in Belgio questa volta ac-compagnata da Alessandro, perfare una sorpresa a mio papà. Siè fermato otto giorni, è rientra-to a Villa e mi è venuto a trova-re a Natale. Ormai eravamo cot-ti a puntino, quindi abbiamo de-ciso di sposarci e così il 7 apri-le del 1969 sono tornata a Villadi Serio. Mi sono poi sposata inParrocchia il 24 luglio dello stes-so anno. Ho confezionato i ve-stiti per tutte le mie zie così co-me il mio abito da sposa, rica-vato dal modello dell’abito del-la figlia del console italiano inBelgio. Tramite una mia cara ami-ca sono riuscita ad averlo ed unavolta copiato l’ho realizzato”.

Ritorno in patria, vita nuova,usanze di nuovo diverse, quin-di rimpianti o felicità? “Nessun rimpianto. Pur essen-

Voci della nostra storia - 45

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do stata benissimo in Belgio, lavoglia dell’Italia e di Villa maiera mancata, anzi. Al rientro so-no stata felicissima. In primo luo-go perché accanto avevo un ma-rito. Secondariamente perchéavevo un lavoro, ma pensa te …i bergamaschi. Non ho più po-tuto dedicarmi al lavoro di sar-ta ma mi sono occupata animae corpo nel bar trattoria dove la-vorava Alessandro. L’anno do-po si è sposato mio fratello Al-berto il quale però ha fatto unascelta diversa dalla mia. Lui in-fatti si è innamorato di una fiam-minga e quindi si è sposato inBelgio dove è rimasto a vivere.Ha avuto tre figli ed ora ha die-ci nipoti. Io ed Alessandro inve-ce abbiamo avuto una figlia: Cri-stina che è nata il 17 febbraiodel 1971. Nel 1974 ho avutoun aborto e poi purtroppo nonho avuto altri figli. Quest’annoabbiamo festeggiato in Parroc-chia il 50° di matrimonio ed èstata una bellissima festa. Nellavita però, non c’è solo lavoro,

mi sono presa cura dei miei suo-ceri e dei miei genitori che nelfrattempo avevano fatto rientroin Italia. Mia mamma Adele è ri-entrata nel 1970 e anche lei hadato una mano in trattoria. Miofratello Angelo è rientrato quan-do siamo riusciti a trovargli unlavoro in fonderia e con lui ètornato anche mio padre. Pur-troppo lui a causa di una ma-lattia è venuto a mancare nel1995. Morto mio padre ha ini-ziato ad ammalarsi anche An-gelo che, come detto, è dece-duto nel 2010. Mia mamma in-vece è ora ricoverata alla Casadi Cura Piccinelli a Scanzoro-sciate: sta abbastanza bene e abreve compirà i cent’anni”.

Ed oggi?“Alessandro comincia ad averequalche problema di salute e lamemoria è quella che è. Ancheio ho avuto i miei acciacchi. Mihanno operato di calcoli, ho avu-to un’embolia polmonare e perconcludere un tumore al seno

che però, asportato, non preoc-cupa più. Mia figlia Cristina hasposato Pierluigi Marchetti e miha reso nonna di quattro fanta-stici nipoti: Simone che è natoil 18 novembre 1994, Gianlucache è nato il 24 agosto 2000,Alice che è nata il 15 agosto 2002e Alessio che è nato il 1 maggio2008. Come si nota la mia vitaannovera date importanti. Miomarito infatti è nato il giorno diNatale, mia nipote Alice a fer-ragosto e mio nipote Alessio al-la festa dei lavoratori. Importantisono anche gli anni 1949, 1959e 1969 e 2019. Nel 1949 mi so-no trasferita in Belgio, nel 1959ho iniziato a lavorare, nel 1969mi sono sposata e nel 2019 horilasciato la mia prima intervi-sta”.

Simona Camolese

Battesimi

EKWU MARVELOUS NICOLAS di Oscar Ekwu e Vivian OghiMAZZOLA ANGELOdi Luca e Lazzarini Luisa MariaEPIS GIOELEdi Giuseppe e Rivellini LaraTURLA CELESTEdi Roberto e Bonacina JadaCAVALLI ISABELLEdi Antonio e Ferro AnnaPAGANONI LUCAdi Mauro e Sonzogni SilviaREBUZZI ANNAdi Diego e Salvi ElenaNICOLI ANDREA di Fabio e Rivola FrancescaROTTOLI LEDAdi Mirko e Pezzotta FabianaMANFREDI BEATRICE di Simone e Rigoletto Sara

FINAZZI ALICE di Claudio e Pezzotta ElenaPRUSSIANI ADELE di Federico e Bettoni RobertaSALVI RICCARDO LUIGI di Roberto e De Vico ErikaMANINI ALESSANDROdi Roberto e Signorelli Donatella

Tornati alla Casa del Padre

CIACCI ASSUNTA ANNI 94SIGNORELLI ANGELA VED. ROSSI ANNI 82ALBORGHETTI BATTISTA ANNI 87PRESTI FEDERICO ANNI 89PERSONENI CLEONICE ANNI 76ROSSI PASQUALE ANNI 82PIEVANI LUCIA ANNI 85MANINI GIUSEPPINA ANNI 84BOSIO BIANCAMARIA ANNI 74

MatrimoniQUARTARELLI MASSIMO E ROTA CHIARALORENZI CRISTIAN E TREZZI SONIACAVARIANI HERMAN E ZANCHI VALENTINAFACHERIS RIVA SAMUEL E BRIGNOLI NADIASANTINI NICOLO’ E VIGANI LINDAZANNI MARCO E MOLTENI ELISA MARIALIZZOLA DAVIDE E ALVINO SARAMARINELLI MATTEO E LABAGNI SARABENIGNI ALESSANDRO E REBUFFINI VERONICA

46 - Voci della nostra storia - Anagrafe

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Grandangolo - 47

Grandangolo

“LA CASA” 2019 - 2020: RIPRENDONO GLI INCONTRIPER PERSONE SEPARATE, DIVORZIATE O RISPOSATE

ella prima settimana di ot-tobre riprendono negli 11centri sparsi in diocesi gli

incontri di preghiera e di ascol-to della parola di Dio per perso-ne che hanno incontrato la sof-ferenza di una separazione co-niugale. Il 2 ottobre 2019 (comepoi primo mercoledì del mese)inizia anche il percorso di incon-tri ad Albino presso il Conventodei Frati Cappuccini. Momentiforti, ma anche belli, in cui chi èpassato attraverso vicende ma-trimoniali complesse e dolorosepuò riprendere fiducia, speran-za e serenità, alla luce della fe-de in un Signore che non ci ab-bandona mai, come testimoniauna signora separata che da al-cuni anni frequenta gli incontridel gruppo:

“In tutta questa dolorosa fatica ilSignore non mi ha mai abban-donata, anzi mi ha sorretta ed hamesso sempre al mio fianco unaserie di “angeli custodi” che nonfinirò mai di ringraziare. Alcunifra questi sono gli amici del grup-po “La Casa” della diocesi di Ber-gamo: sono stati una fonte di vi-ta quando l'incubo della separa-zione mi aveva sprofondata nel-lo scoraggiamento, quando le fe-rite profonde per un matrimoniopensato come vocazione, un persempre davanti a Dio e agli uo-mini, dissolto poi nel nulla, sem-brano non potersi mai rimargi-nare”.

Proprio per i frutti di ripresa e di

crescita che vediamo ogni annomaturare fra gli amici che fre-quentano gli itinerari organizza-ti dagli animatori della Casa cisentiamo di diffondere con forzal’invito ad altre persone che stan-no vivendo questa situazione divita: coraggio, pur nella soffe-renza è possibile recuperare unsenso buono della vita, guarda-re al presente e al futuro con oc-chi nuovi, pieni di speranza! “Spe-rare contro ogni speranza” saràproprio il tema del cammino dipreghiera di quest’anno.Fra gli incontri organizzati dallaCasa ve ne sono anche alcuni de-dicati specificatamente a chi, do-po una separazione/divorzio, hapoi deciso di avviare una nuovaunione, magari più seria e stabi-le della precedente. Papa Fran-cesco in Amoris laetitia e il no-stro Vescovo negli orientamentipastorali offerti alla diocesi han-no riservato una particolare at-tenzione per il loro cammino didiscernimento, un cammino difede che li porti ad un’integra-zione sempre maggiore nella co-munità ecclesiale. Anche per que-sti fratelli c’è una Chiesa che liaccoglie ed accompagna, comeci testimonia questa coppia:

“Uno dei percorsi particolari of-ferti da “La Casa” è il percorsoper chi, dopo il divorzio, ha co-stituito una nuova unione ormaistabile. È il nostro caso per esem-pio, che siamo risposati civil-mente. Si tratta di accompagna-mento per le coppie che, pur ri-

conoscendo la situazione di com-plessità di fronte all’insegnamentocristiano sul matrimonio, desi-derano essere aiutate a vivere laFede nel Signore e a parteciparealla vita della Chiesa nel modopiù adatto possibile. […] Comeaccoglienza abbiamo trovato, sinda tempi lontani dai recenti even-ti, una Chiesa che ci ha accolto,ci ha ascoltato, ci ha dato dellerisposte ai forti, personali e sof-ferti interrogativi che prospetta-vamo. Ci è stata vicino, senzaconcessioni o favori, ma con mol-ta franchezza ci ha aiutato a fa-re chiarezza sulla nostra situa-zione”.

Facciamoci dunque portatori at-tivi di questo invito che la Chie-sa di Bergamo rivolge a chi vivequeste situazioni familiari. Masoprattutto diventiamo fratelli nel-la fede che sanno essere semprepiù vicini a loro, ai loro figli, al-le loro famiglie. Noi crediamonella bellezza e nell’importanzadel sacramento del matrimonio;ma siamo anche consapevoli chela fragilità fa parte della nostraesistenza: verità e misericordiasono le due facce del Vangelodell’amore che la Chiesa conti-nua ad annunciare con coraggioe tenerezza!

don Eugenio Zanetti(responsabile de “La Casa”)

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