Marco Candida - fitetvarese.org · corso di chitarra per tre anni – a partire dalle terza...

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Marco Candida

Il campione di pingpong

Abel Books

Dedico questo romanzo alla Nonna Maria e alla memoria del Nonno Lino e della Nonna Rica

che tanto mi mancano.

Proprietà letteraria riservata© 2014 Abel Books Tutti i diritti sono riservati. È vietata la riproduzione, ancheparziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico.Le richieste per l’utilizzo della presente opera o di parte di essa in un contesto che non sia la lettura privata devono essere inviate a:Abel Booksvia Terme di Traiano, 2500053 Civitavecchia (Roma)ISBN 97888675209

*** palleggi ***

alve. Mi chiamo Sebastiano. Ho ventisei anni.Questa mattina verso le dieci per il quinto annomi sono iscritto al torneo di ping pongorganizzato dall’istituto delle suore del SanGiuseppe di Tortona, la città dove abito. A

partire dal duemilauno ho partecipato al torneo quattrovolte. Il primo anno mi sono classificato quinto. Il secondoanno settimo. Il terzo anno nono. Il quarto anno ho vinto iltorneo. Questo fa di me l’attuale campione.

SIl vincitore del torneo guadagna una coppa tutta in

finto oro alta quaranta centimetri e pesante quindicichilogrammi (...stando almeno al peso indicato dallabilancia digitale che ho in casa…). Quando ho portato acasa la coppa i miei genitori – sto dai miei – hanno sorrisoe hanno detto che la coppa era di buon auspicio per ilresto, e poi, più tardi, hanno aggiunto che, a quantopareva, sapevo fare almeno qualche cosa discretamentenella vita. Io a queste parole non ci sono restato bene,perché mi sembrava di aver già dimostrato ai miei genitoridi saper fare qualche cosa. Fino ai venticinque anni sonostato iscritto alla Facoltà di Sociologia di Trieste, e hoconseguito la laurea con il punteggio di centodieci e lalode e un anno soltanto di fuori corso, che è stato causatodal servizio civile alla biblioteca comunale tra il 2000 e il2001, dove per nove mesi (...ho finito un mese primaperché non ho preso vacanze...) ho fatto il trasloco dei libri

dal piano inferiore a quello superiore, ed è stata unafaticaccia, con tutti gli scatoloni che bisognava farli con ilnastro da pacchi, andandoli a chiedere nel magazzino delsupermercato vicino alla biblioteca, e poi riempire, e poichiudere, e poi trasportare, usando un muletto verde chiarotutto cigolante, ma solo fino allo scalone che collegava ilprimo col secondo piano, perché poi bisognava portare gliscatoloni con dentro i libri di peso, con le braccia, tenendolo scatolone contro il petto, oppure portandolo, per quellipiù grossi, con un altro collega del servizio civile; ed inparte l’anno fuori corso è stato causato dal censimentodella mia città nel 2002, dove bisognava presentarsi negliappartamenti della zona assegnata dai coordinatori,distribuire dei moduli spessi e complicati da compilare, edè durato sei mesi, a fare le scale dei palazzi, a trovare gliinterni giusti, a suonare i campanelli, ad accomodarsi nellecase, a ricevere mentine o biscotti dagli anziani, e ariscrivere i moduli che venivano consegnati e che per lamaggior parte erano imprecisi o con troppe sbavature, eche in questo caso non venivano considerati validi e non lipagavano, e il pagamento è arrivato un anno e mezzo dopol’effettuazione del lavoro – ho guadagnato quattro milionie mezzo delle lire vecchie. Poi a partire dai ventiquattro,ed era già il terzo torneo, quello che ho vinto, l’annoscorso, nel 2004, ho cominciato a lavorare per una impresadi Saluzzo che produce cartone ondulato, e ci sono statosei mesi, poi ho lavorato in una ditta di Genova cheproduce mappamondi, e ci sono stato altri sei mesi, poi hofatto il cameriere in una gelateria davanti a un Mac

Donald’s di Genova – sono andato via quando ilproprietario della gelateria mi ha chiesto di mettermidavanti ai tavolini con la lista dei gelati tra le mani esfogliare la lista con le foto dei gelati per invogliare lepersone a fermarsi –, ho lavorato in una salsamenteria, inun elettrolavaggio e da un sigaraio – alla periferia diVigevano –, e dopo tre mesi presso la Compagnia diAssicurazioni SAI, adesso son già due mesi che sto a casa,acquisto i giornali per cercare un lavoro, spedisco icurricula, faccio quel che posso, e a quelle parole dei mieigenitori, lo scrivo ancora, non ci sono rimasto bene,proprio per niente. Comunque ho messo la coppa deltorneo di ping pong nella mia stanza sulla mensola più altaed è la prima cosa che vedo tutte le mattine. Qualchemattina che non so cosa fare la passo anche con unostraccio e una volta, ma forse anche due, l’ho baciata.

Il vincitore del torneo di ping pong guadagna ancheun soggiorno ad Assisi. Quest’anno – Aprile 2005 – iltorneo di ping pong organizzato dal San Giuseppe è allasua undicesima edizione. Io sono stato il campione delladecima e per questo il soggiorno ad Assisi oltre a esseregratuito è durato due giorni più degli altri anni. Ho fattocinque giorni e non i tre tradizionali. Ad Assisi grazie allavittoria del torneo avevo spesato il viaggio nel pullman dacinquantacinque posti (…solo una decina sono rimastiliberi…) e l’alloggio nell’hotel a due stelle – che facevacinquanta euro a notte in una doppia senza primacolazione –. Questo mi ha permesso di risparmiare

complessivamente trecentocinquanta euro. Ad Assisi misono molto divertito. Lì ho conosciuto Babila e al secondogiorno davanti alla Basilica di San Francesco (...durante lapausa del pranzo al sacco...) ci siamo dati il primo bacio eci siamo messi assieme. Con Babila ho fatto gli ultimi duegiorni, quando il resto della comitiva è andata via, perchéin qualità di vincitore del torneo le suore pagavano la gitaanche a un mio compagno di viaggio. Io non avevo conme nessun compagno; così ho scelto di far rimanereBabila. Avevo eliminato Babila ai quarti di finale (...iltorneo è misto maschi e femmine...), e questo ci ha dato lapossibilità di avere qualcosa per poter parlare. Il primogiorno in pullman abbiamo litigato un po’: lei harecriminato per qualche punto del primo set. Poi siamoentrati in confidenza, siamo stati tutto il giorno assieme ealla sera siamo stati abbracciati a guardare i frontoni dellechiese di Assisi. Il giorno dopo ci siamo dati il primobacio e ci siamo messi assieme. Io ero il campione delladecima edizione del torneo di ping pong e mi piacepensare che questo agli occhi di Babila mi abbia reso unpo’ speciale.

Il torneo, come ho già detto, è organizzato dal SanGiuseppe che è la sede di una scuola privata di elementarie medie inferiori (...quando la frequentavo io le medieinferiori erano aperte solo alle femmine; adesso, invece, lepossono frequentare anche i maschi...) e questa scuolaprivata è gestita da un gruppo di suore. Io ho fatto lì lascuola materna e le elementari e per tutte le medie fino al

liceo e un pezzetto di Università non mi sono più fattovedere. Poi quattro anni fa, nel duemilauno, ho letto suOtto Su Sette, il giornale della mia città, il bando deltorneo di ping pong e ho deciso di farmi rivedere al SanGiuseppe per partecipare al torneo.

*** gara ***

PRIMO SET

00 – 00

Chitarrista in 24 ore

Sono state proprio le suore alle elementari ainsegnarmi il gioco del ping pong. Le suore agli alunniinsegnavano sempre molte attività – e in particolare la miamaestra, Suor Clementina, sempre in vena di iniziative.Suor Clementina, per dire un’iniziativa, ci ha fatto uncorso di chitarra per tre anni – a partire dalle terzaelementare quando avevo otto anni. Il corso si svolgevanel pomeriggio, verso le cinque. Suor Clementina cidistribuiva le chitarre che teneva appese in fondo all’aulada trenta posti (...eravamo una classe molto numerosa...) eci insegnava per due ore tutte le settimane dandoci anchegli esercizi per casa. Ci ha insegnato a tenere le dita amartelletto sulle corde; a tenere bene il plettro tra pollice eindice; ci ha fatto comprare il manuale Chitarrista in 24ore con le diteggiature e ci ha insegnato il giro di domaggiore, il giro di sol maggiore, il giro di re maggiore. Ciha insegnato il quattro quarti e ad ogni cambio accordo –al corso eravamo in sette o otto seduti in cerchio con lechitarre – ci faceva pronunciare ad alta voce il nuovoaccordo: “La minore!”, “fa maggiore!”, “sol settima!”,oppure ci faceva cantare le canzoni che ci insegnava congli accordi al posto delle parole. La prima canzone che hoimparato è stata Laudato sii, Mio Signore un adattamentodal Cantico di San Francesco d’Assisi. La secondacanzone è stata Alla fiera dell’est di Angelo Branduardi,

che noi che frequentavamo il corso avevamo ribattezzatomi-mi-mi-mi-mi-sol-re-re-re-sol-re-re-re-si settima-mi(...non proprio un capolavoro di sobrietà comesoprannome, ma per noi bambini aveva il suosignificato...). La terza canzone, invece, è stata Il ragazzodella Via Gluck – del Celentano. E poi altre canzoni,soprattutto da chiesa, e tra queste il Symbolum 77, tuttecanzoni che poi eseguivamo nella cappelletta interna delSan Giuseppe durante le Sante Messe di Natale, di Pasquae della Fine Dell’Anno Scolastico.

00 – 01

Fare le farfalle

Suor Clementina poi ci ha insegnato canto. Almenouna volta alla settimana ci portava in un salone con altreclassi, ci faceva mettere in fila per ordine di altezza – io sutrenta alunni stavo al decimo posto perché le bambine neigrembiuli bianchi erano sempre le più alte e nella miaclasse eravamo pochi maschi, credo intorno alle noveunità –, si metteva su una seggiola e ci faceva cantare icanti da chiesa (...come Diamo lode al Signore, che, senzanessun spirito di provocazione, io storpiavo nella miamente in Diavolone al Signore, chissà perché – una cosa,tra l’altro, che non ho mai detto a Suor Clementina né anessun’altra suora...), ci faceva anche sollevare in alto lebraccia e muovere le mani prima in senso orario e poi insenso antiorario (...si chiamava “fare le farfalle”; Suor

Clementina ci diceva: “Fate le farfalle! Fate lefarfalle!”...), ma noi maschi non lo facevamo quasi mai,perché ci sembrava poco da maschi farlo, ci limitavamo abattere le mani quando ce lo chiedevano, perché battere lemani, quello sì, ci sembrava da maschi.

01 – 01

Palla avvelenata

Negli intervalli, che all’istituto San Giuseppeduravano anche una mezz’ora, tutte le suore portavano glialunni delle elementari nel cortile interno della scuola egiocavano con loro a palla avvelenata. Suor Clementinagiocava benissimo a palla avvelenata, ma, in generale,tutte le suore erano molto brave a giocare a questo gioco.Per quel che riguarda me, io e la palla avvelenata nonandavamo troppo d’accordo. Almeno fino alla quartaelementare per quel che ricordo ero sempre uno di quelliche veniva colpito subito e spedito per primo nel campodei prigionieri – che in alcune versioni del gioco potevanoliberarsi, in altre non potevano. Il fatto è che mi facevaqualche problema riuscire a bloccare la palla (...quella digomma liscissima; e gialla con dei ghirigori blu...). Alcunitra i miei compagni riuscivano a bloccare la palla con unamano sola (...magari solo la destra...). Altri riuscivanoaddirittura a bloccarla con la destra o con la sinistra.Lorenzo, un mio compagno, riusciva a bloccare la palla inpose acrobatiche, magari voltato di schiena, riuscendo a

intercettare la traiettoria con la coda dell’occhio oppure labloccava con un ginocchio sollevato fino alla spalla, inuna posa da ninja nell’atto di lanciare una stelletta, equando rilanciava la palla di gomma contro qualcuno siprotendeva tutto in avanti e sembrava un giocatore dibaseball. Le suore gli dicevano di fare piano con i lanci,perché se prendeva allo stomaco quel lancio poteva fartifrignare per cinque minuti buoni, e le suore non volevanoavere problemi con le lamentele dei genitori. Le suore ciorganizzavano proprio anche i tornei di palla avvelenata,ma io non mi iscrivevo mai. Il gioco della palla avvelenatanon mi piaceva molto e comunque non era del tuttol’orgoglio delle suore. Quel che proprio le suoresponsorizzavano del tutto era il ping pong (...soprattuttoper il fatto che il ping pong ci aiutava a tenere inallenamento i riflessi...), e a noi alunni ci avevano fattoiscrivere ai corsi dall’età di sette anni, e ci facevanopartecipare a tornei e trasferte con i pullman in giro per ipalazzetti dello sport della provincia e della regione.Bisogna dire che le suore riuscivano a trovare un torneo oun concorso per tutto quel che facevamo, e se il torneo o ilconcorso non esisteva o non si trovava, lo organizzavanoloro internamente. Ad esempio, ogni anno, a Giugno,organizzavano un torneo di calcio balilla – e in quintaelementare l’ho anche vinto un torneo di calcio balilla, incoppia con un mio compagno di classe, il Bodoni. Ilpremio era consistito in caramelle al miele (...quelleavvolte nella cartina gialla che fanno bene alla gola...), inmentine alla violetta che sapevano di sapone e che io

trovavo il modo di buttare nel cestino o di regalare aqualche compagna di classe, e avvolta in una cartaargentata color verde speranza un ovettino di cioccolato allatte – uno solo, ma buonissimo.

02 – 01

Giornalinismo

Suor Clementina ci insegnava moltissime attività,adesso che ci penso. Al mattino prima di cominciare lalezione, in classe, ci faceva alzare, ci faceva fare il segnodella croce con la destra, poi dopo le preghiere, ci facevarecitare a memoria tutti assieme una poesia: Piemonte diGiosuè Carducci oppure Passero Solitario del Leopardioppure il Pascoli. Distribuiva in classe fotocopie grandicome mezzo foglio A4 e ce le faceva incollare con ilbarattolo arancione della colla e la spatolina blu Pritt sullefacciate di un quaderno che era il nostro Quaderno diPoesie. (...gli iscritti al corso di chitarra avevano anche unQuaderno di Canzoni – e io usavo un quaderno a quadrettiFabriano per le poesie e uno a righe Pigna per le canzoni –che conteneva brani come Il merlo ha perso il becco,oppure l’albero di Gianni Rodari o Se sei felice – se seifelice tu lo sai batti le mani (...do maggiore...)/ se sei felicetu lo sai batti le mani (...sol maggiore...)/ se sei felice tu losai (...do maggiore...) e dirmelo potrai (...fa maggiore...)/se sei felice tu lo sai batti le mani (...do maggiore...)...).Suor Clementina poi ci faceva tenere un giornalino di

classe – e noi del giornalino eravamo i giornalinisti conuna tessera di giornalinismo – un cartoncino verde ebianco con l’immagine di un pappagallo con un taccuino euna penna nelle zampe – e il giornalino si chiamava Untrenino carico di… Suor Clementina ci faceva anchecoltivare una lenticchia o un fagiolo giallo dentro unbarattolo di marmellata vuoto, usando al posto della terrabatuffoli di cotone bianco. Le lenticchie sopra il cotone econ l’acqua germogliavano, uscivano dal barattolo, siabbarbicavano e arricciavano intorno al barattolo e nelgiro di qualche giorno appassivano e bisognava sostituirle.Mettevamo sempre i barattoli con le lenticchie o i fagioligialli che erano germogliati meglio in fila sopra idavanzali delle finestre della nostra aula, vicino aipallottolieri e ad altri oggetti e l’alunno che aveva curatomeglio la sua lenticchia o il suo fagiolo giallo riceveva inpremio da Suor Clementina tre galatine. Poi c’erano lecose che Suor Clementina ci faceva preparare per la Festadel Papà o per la Festa della Mamma. Un anno per la Festadella Mamma Suor Clementina ci aveva fatto acquistaredei saponi – verde chiarissimo i maschi e rosa chiarissimole femmine – ci aveva fornito una serie di rotoli di nastrinisottili (...color argento, oro, blu elettrico...), e unoscatolino di spilli, e noi avevamo ricoperto i saponi con inastrini che fissavamo per il lato lungo con gli spilli e allafine era venuta fuori una cosa simile a una bomboniera.Un anno per la Festa Del Papà Suor Clementina ci avevafatto costruire con il barattolo di vinavil e undici molletteche avevamo divise ottenendo ventidue stecche di mollette

il modellino di un pozzo che avevamo riempito di ovetti alcioccolato. Poi assieme ai regalini ci facevano consegnareun quadernetto dal titolo Con amore per voi checontenevano scritti come questo:

Problema

Michela dà 5 baci al minuto al suo papà, quindi dà300 baci in 1 ora.

Quanti baci Michela dà in 3 ore?Michela dà 2 baci al minuto alla mamma, quindi dà

120 baci in 1 ora.Quanti baci Michela dà in 3 ore?A chi dà più baci Michela? Alla mamma o al papà?Differenza.

Risolvo

5 = baci al minuto al papà300 = baci in un’ora al papà? = baci in 3 ore2 = baci al minuto alla mamma

120 = baci in un’ora alla mamma? = baci in un’ora? = chi riceve più baci? = differenza

Baci (...300x3...) = baci 900 (...baciin 3 ore...) (...papà...)

Baci (...120x3...) = baci 360 (...baciin 3 ore...) (...mamma...)

Baci (...900-360...) = baci 540(...differenza baci papà e mamma...)

Rispondo

Al papà in 3 ore Michela dà 900 baci.Alla mamma in 3 ore Michela dà 360 baci.Michela, quindi, dà più baci al papà.La differenza è di 540 baci.

Michela

Net

I meriti di Suor Clementina

Tra tutte queste attività ricreative che SuorClementina ci ha fatto svolgere nei cinque anni delleelementari adesso voglio dire che io ne ho portate avantialmeno quattro: quella della chitarra, quella del canto,quella della scrittura e quella del ping pong.

*** ripetere battuta ***

03 – 01

Friday Night in San Francisco

A sette anni ho cominciato a suonare la chitarra. Lamia prima insegnante (...come ho detto...) è stata SuorClementina. Prima canzone imparata (...e ho già dettoanche questo...): Laudato sii, Mio Signore di SanFrancesco D’Assisi. Prima esibizione in pubblico: a ottoanni nella cappelletta interna del San Giuseppe durante laSanta Messa della Fine Dell’Anno Scolastico. L’ultimaesibizione con il San Giuseppe è stata, invece, durante laprocessione per la Festa che le suore dedicavano ognianno nei mesi caldi a Don Bosco. All’istituto San

Giuseppe le preghiere di noi bambini le suore le facevanorivolgere a Laura Vicuña, Don Orione e Don Bosco e perognuno di questi beati e di questi santi, dedicavano ognianno una giornata di festa e di preghiera. La processioneper ricordare Don Bosco partiva dalla Chiesa del SanMichele in Via Emilia e arrivava fino alla cappellettainterna dell’istituto San Giuseppe. A ogni bambino venivadata una candela bianca avvolta da carta crespa coloratache poi andava deposta ai piedi della statua della madonnanella cappelletta – e un anno un bambino che marciava infila nella processione con la sua candela avvolta nellacarta crespa color rosso aveva cercato di incendiare icapelli di una bambina che gli stava davanti – e il corteodoveva seguire una macchina (…era una 126…) con imegafoni agganciati sul tetto da dove usciva la voce diDon Ernesto – il parrocco che stava qui a Tortona primache arrivasse Don Fabrizio. L’ultima esibizione per il SanGiuseppe è venuta quando avevo dieci anni in questaprocessione, perché le suore avevano avuto l’idea di fartrainare dalla macchina con i megafoni un carro dove SuorClementina e altri quattro dei miei compagni di corso dichitarra stavamo messi dentro e accompagnavano con lechitarre i canti intonati da Don Ernesto, e tra questi ilcanto Don Bosco ritorna: Don Bosco ritorna/ tra i giovaniancora/ ti chiaman portatore di pace e bontà… a undicianni ho lasciato il San Giuseppe; mi sono iscritto allaScuola Media Statale Luca Valenziano. In classe avevo uncompagno (...Silvano...) che conosceva una persona(...Massimiliano...) che conosceva un’altra persona che

insegnava gratuitamente la chitarra all’oratorio di SanLuigi Orione presso il Santuario Della Madonna DellaGuardia di Tortona. Si chiamava (...e per quel che soancora si chiama...) paolo Pennacchia. Non potendo piùpartecipare ai corsi di Suor Clementina all’istituto SanGiuseppe, perché non avevo più l’età, mi sono iscritto aicorsi di Pennacchia. Paolo mi ha insegnato molte cose. Miha insegnato le canzoni di Battisti. Mi ha insegnato ilblues. Poi una volta mi ha invitato a casa sua e mi ha fattoascoltare Friday Night in San Francisco, un disco suonatoda tre chitarristi: Al di Meola, Paco de Lucia, JohnMaclaughlin. Avevo quattordici anni, andavo per iquindici. Mi son fatto fare la cassetta, mi son fatto dare daPaolo i fogli che contenevano le diteggiature delle scalemodali e ho cominciato a esercitarmi. Ho imparato le scaleionica, dorica, frigia…, ho finito di imparare tutte lepentatoniche, mi sono accorto delle simmetrie delle scaleche stavo studiando e ho tirate giù a orecchio (...ma anchea occhio...) alcune tra queste scale (...una cosa che noncredo stupisca un autodidatta...), ho imparato a tenere benferma la mano destra e ha doppiare la pennata alla manieradi Al Di Meola – e dei chitarristi di flamenco, anche seloro usano le dita e non la penna. Io, volevo diventare AlDi Meola. Soprattutto volevo imparare MediterraneanSundance. Il mio disco culto, lo avevo trovato: FridayNight in San Francisco; il mio chitarrista modello, loavevo eletto: Al Di Meola.

03 – 02

Il migliore dell’oratorio

Sei mesi più tardi sono tornato da Paolo. Paolo (…che ha una laurea in Farmacia; e a quanto so, da qualcheanno lavora in un’industria che produce cacao…), unavolta, era sera, tra le bancarelle della Festa Della MadonnaDella Guardia, in Corso Don Orione, a fine Agosto, pocotempo prima, se ben ricordo, avermi dato la cassetta diFriday Night in San Francisco, mi aveva detto:“Sebastiano, tu sei il migliore dell’oratorio e forsedell’intera parrocchia; sì, sei indubbiamente il migliore tratutte quelle ragazzine tra gli otto e gli undici che vengonoe sei anche migliore, se è per questo, delle ragazzine piùalte tra i sedici e i diciotto; purtroppo, però, fai le cose difretta, Sebastiano, e senza passione; non dico la passionenon ci sia, ma da come ti comporti, sembra che non ci sia:questo non ti permette di fare il salto di qualità”. Paolo,ancora lo ricordo, avrà avuto un ventisette anni e miparlava con uno stecco di zucchero filato in mano. Io,invece, tenevo un torciglione di quella schifezza di gommarosa, che sa di sapone, che non so come si chiama, e cheperò a quindici anni mi piaceva acquistare ai chiostri dellebancarelle. Paolo parlava e muoveva lo stecco. Lo puntavacome uno spadino. Io masticavo nervosamente il miotorciglione rosa. Ci ero rimasto male per quel rimbrotto; esei mesi più tardi, dopo aver eletto Al Di Meola miochitarrista modello, sono tornato da Paolo e gli ho fatto

vedere i miei progressi. Gli ho suonato tuttoMediterranean Sundance davanti agli occhi,improvvisando anche. Paolo alla fine era sbalordito,contento, mi ha detto: “Hai fatto un corso accelerato?!”; ame è sembrata una discreta rivincita per uno che non cimetteva la //passione// suonare un pezzo tutto strumentalefortemente influenzato dal flamenco.

*** cambio battuta ***

04 – 02

Diventare Al Di Meola

Volevo diventare come Al Di Meola e tra i quindicie i diciotto mi ci sono messo d’impegno. Non sonoarrivato a iscrivermi alla Berklee School of Music diBoston, questo no, ma ho acquistato una chitarra acusticaEpiphone by Gibson arancione e nera simile – ma moltomeno costosa – alla Ovation (...suono molto nasale e peralcuni insopportabile; forse anche per me...) di Al DiMeola, ho acquistato (...un anno più tardi...) una chitarraelettrica Ibanez (...non un granché le Ibanez, devo dire...),ho acquistato il Marshall, poi il Synclavier, gli effettichorus ADA, flanger e digital harmonizer Ibanez;insomma: ho acquistato gli stessi amplificatori e gli stessieffetti che usava Al Di Meola; ma soprattutto sull’esempiodi Al Di Meola ho sempre cercato di creare a Tortona, con

i limitati mezzi miei, gruppi musicali che assomigliasseroai Return To Forever (...un gruppo mostruoso con ChickCorea alle tastiere, Lenny White alle percussioni e StanleyClarke al basso...) oppure i trii acustici terrificanti comequello con Paco De Lucia e John Maclaughlin.(...E //mostruosi// e //terrificanti// forse lo siamo stati, manell’altro senso...). Oltre a tutto il resto di Al Di Meola mipiaceva la sua vocazione a comporre queste formazioni adaltissimo livello tecnico e anche esibizionistico.

04 – 03

Esibizionismo

Sull’esibizionismo di Al Di Meola, visto che ci sonocapitato, la critica nelle riviste specializzate è sempre statasevera: artista o corridore? Musicista o atleta? Unaffamato di gloria facile o un’anima in pena alla ricercadella sua dimensione espressiva? Così, più o meno, hosentito dire sempre; e così, a partire dai quindici anni,nelle compagnie di chitarristi che frequentavo (...negliAnni Novanta il chitarrismo in Italia ho toccato il suoculmine; infatti sembrava che in giro esistesse solo lachitarra...), mi sono sentito sempre dire anch’io: “Moltopiù bravo degl’altri, ma… ma gran rompipalle”. Per me laquestione dell’esibizionismo di Al Di Meola non è maiesistita – e questo faceva sì che non fosse esistita mainemmeno la questione del mio esibizionismo. L’ho vistasempre così: che la questione dell’esibizionismo di Al Di

Meola fosse una questione di stile. Lo stile di Al Di Meolaè uno stile percussivo. Suona con la penna (...o plettro...):tecnica della pennata alternata (...D-U-D-U...), con usofrequente dello //stoppato// (...che consiste nell’appoggiarela destra sulle corde mentre si pizzicano con la penna...),del sincopato, del contrattempo. La sua musica è sempremolto ritmica (...forse perché il suo primo strumento non èstata la chitarra, ma la batteria...): tutto questo credo checomporti necessariamente una certa esibizione atleticadelle proprie capacità. E poi sotto sotto, piùfilosoficamente, ho sempre pensato che, si tratti dinasconderla o si tratti mostrarla, la bravura ha sempre unche di esibizionistico.

05 – 03

Senza ritegno

Certo in Friday Night in San Francisco c’è uncompiacimento evidente durante l’esecuzione. Il concerto,che è una registrazione del 5 Dicembre 1980 al WarfieldTheatre di San Francisco, dura una quarantina di minuti, eci sono jam session di undici o dodici minuti. Durante leimprovvisazioni il pubblico in platea grida e fischiaall’americana. I pezzi non hanno strutture difficili e sonodecisamente orecchiabili. Per esempio gli accordi diMediterranean Sundance sono mim, lam7, Re7, SOL7+,DO7+, RE13, SI7, e in fondo sono una variazione delclassico giro di flamenco. Tuttavia è il modo come Di

Meola (...microfono di destra...) e De Lucia (...microfonodi sinistra...) suonano che complica (...eccome!...) le cose.Si può dire che i due si lascino andare senza ritegno(...anche se, dopo tanto tempo, ancora non ho ben capito ilsignificato di questa espressione...), ma non si può certodire che questo loro lasciarsi andare non mozzi il fiato.Raramente ho sentito un concerto di sole chitarre acusticheche faccia venire giù tutto il teatro come il concerto alWarfield Theatre di San Francisco del 1980.

06 – 03

Domenica pomeriggio alla Festa delle AttivitàParrocchiali

Comunque: a me di sicuro il fiato lo ha mozzato. Horiascoltato Mediterranean Sundance centinaia di volte el’ho anche imparato per filo e per segno. Ci ho sudatotanto su quel pezzo che quando ho scoperto che non so perquale ragione avevano velocizzato la registrazione (...eccoperché il trio sembra avere in mano non chitarre mamitragliatrici...), ho staccato il poster di Al Di Meola nellamia stanza per almeno quindici giorni. Ascoltando Al DiMeola (...ho trovato lavori prodigiosi anche Word SinfoniaHeart Of Immigrants – un omaggio a Astor Piazzola – eOrange&Blue – un disco fusion molto jazzato...), hoaperto il mio orecchio a sonorità inedite, ho imparatoaccordi con uso delle corde a vuoto (...come il RE13 – perfare l’esempio di un accordo che suona decisamente

bello...) e una quantità di pattern ritmici e melodiciimpressionante e alternativi ai soliti pattern rock e blues.Non sono riuscito a diventare Al Di Meola, però, ecco,tutte le volte che ho suonato in pubblico, e ho suonato inpubblico quei pezzi, io mi sono sentito come Al DiMeola… soprattutto la prima volta: quando a diciassetteanni dal Teatro del Mater Dei presso il Santuario dellaMadonna Della Guardia ho suonato con il mio maestroPaolo Pennacchia (...sempre più sbalordito dei mieiprogressi...) i cinque brani di Friday Night in SanFrancisco durante la Grande Festa di Inizio Anno Per LeAttività Parrocchiali…

06 – 04

Evaristo

Stamattina alle dieci, nella portineria del SanGiuseppe, con un grosso portone di legno tutto lucido cheda vent’anni è sempre come nuovo, mentre bussavo alvetro della portineria per iscrivermi da Suor Claretta, unasuora novantenne con tre buchi nel naso e la barba bianca,che su un tavolo tiene il foglio dei nominativi – e raccogliei cinque euro del costo dell’iscrizione al torneo – hoincontrato Evaristo, che ha partecipato al torneo lo scorsoanno e si è classificato quinto. Ho conosciuto Evaristo inpiazza Duomo a Milano, proprio lo scorso anno. Evaristodi lavoro fa la statua. Indossa una calzamaglia d’oro e siacconcia da faraone egizio, si aggiusta su un piedistallo

alto trenta-quaranta centimetri e rimane completamenteimmobile per alcune ore. A volte cambia posizione,soprattutto quando qualcuno gli getta qualche moneta, maper la maggior parte del tempo Evaristo rimanecompletamente immobile. Io stavo a Milano con Babila.Era Gennaio. Avevo acquistato un sacchetto da sette eurodi caldarroste. Babila succhiava una striscia di liquirizianera. Saranno state le quattro del pomeriggio. Osserviamoper un po’ la casseratura che imbalsama il Duomo diMilano con la rete verde che metterebbe di cattivo umoreun pagliaccio e la paragoniamo alle impalcature checoprono le facciate delle altre chiese che abbiamo visitato.Le impalcature che coprono le chiese di Firenze sono piùgradevoli da vedere: le bacchette si incrociano creandotriangoli, rettangoli, anche esagoni, tutti simmetrici, e poisono ben strofinate e se c’è il sole brillano che sembranooro. Mentre pensiamo all’oro delle bacchette a ridossodelle facciate delle chiese di Firenze, io che mi getto unacaldarrosta bollente in bocca e la sposto da una guanciaall’altra, lei che addenta la liquirizia e la tira con la mano,ci accorgiamo che davanti a noi c’è Evaristo – che peròancora non sapevamo si chiamasse Evaristo –, che stacompletamente immobile sul suo piedistallo di trenta oquaranta centimetri. Ci mettiamo io alla destra e Babilaalla sinistra e osserviamo la statua. Io dico: “Certo che unlavoro più ingrato non so se esiste” e Babila dice: “Starefermi tutto il giorno e far finta di essere una statua ècertamente un lavoro ingrato”. “Io non sarei capace” dicoio. “Devi stare tutto in equilibrio” dice Babila. “e poi devi

stare in silenzio” io dico. Poi mi rivolgo alla statua e dico:“Non puoi parlare, eh? Le statue non parlano”. Dopo cheho detto questo la statua cambia posizione. Porta la sinistrasul bicipite destro. Gira la destra a pugno chiuso e poi alzail medio. Io mi scotto la lingua con una caldarrosta.“Proprio un lavoro del piffero” dico. “Almeno io faccioqualcosa – dice la statua – non sto lì come te a mangiarecastagne e a grattarmi la pancia”. La statua ha parlatomolto velocemente. (...forse è così che parlano le statue: simuovono lentissime e parlano velocissime...). “Forse èmeglio se andiamo via” mi dice Babila abbassando lamano che regge e tira la liquirizia. Si è fatta tutta rossa eoltre alla mano con la liquirizia ha abbassato anche losguardo. “Non sto proprio messo meglio di te – mi vieneda dirgli invece – anch’io non ho un lavoro; ma fare lastatua…”. “Questa è un arte – mi dice la statua – occorreaverci il destro e poi ci vuole tanto addestramento”. Leparole escono dalle labbra d’oro della statua (...le labbra siprotendono e si ritirano in un modo che la bocca sembrauna ventosa che cerca di appiccicarsi al vento che soffiaper Piazza Duomo...) più o meno in questo modo:“Questunarte.Occorreavercidestroepocivuotanaddestramento”. Lastatua cambia posizione. Abbassa il braccio destro e ilbraccio sinistro e li incolla ai fianchi poi si tira su con ilbusto (...sembra un pinocchietto...) e rimane drittissimo.Fa tutto questo in pochi secondi: movimenti rapidissimi enitidissimi. Per un momento immagino come sono fatte legiunture dello scheletro della statua e penso che dentro ci

siano guaine di gomma che stringono le scapole e lerotule, i polsi e tutte le altre giunture, che le tengono inuna morsa tale da rendere ogni movimento preciso. Lastatua si muove come se avesse attorno un sistema di puntida toccare con le dita, con le mani, con i gomiti, con leginocchia, con la testa, con il naso, con i capelli, e contutto il resto: un sistema di coordinate rigide che fanno ilmovimento. La chiarezza e la precisione del movimento,mi viene da osservare, non vengono da dentro (...da dentroviene la volontà del movimento...): piuttosto vienedall’incontro con quel che sta fuori, con i punti, lecoordinate (...fisiche o immaginarie...) che stanno al difuori: con i limiti, insomma. I movimenti della statua sonolimitatissimi (...come se i punti che le stanno attornofossero tutt’altro che immaginari, ma fossero deipunteruoli...) e sembrano per questo precisissimi. Laprecisione non è una questione di bravura, ma unaquestione di sapersi limitare, e saper stare dentro i limiti –e in questo, d’accordo, ci vuole, bravura. La precisione èil segno della perfezione e il limite è la via dellaperfezione. Mentre penso queste cose, penso anche che, seil limite è la via della perfezione, allora io sono sullabuona strada della perfezione.

*** cambio battuta ***

06 – 05

Movimento costante

Per un momento penso che se restiamo ancora lì, lastatua potrebbe scendere dal suo piedistallo (...con unbalzo da mezzo metro...) e con tutta l’acconciatura dafaraone egizio e la calzamaglia d’oro rincorrerci per lapiazza a me e a Babila cercando di prenderci a calci nelsedere. Per scongiurare questa possibilità, invito la statua aprendere qualcosa di caldo (...o qualcosa che scaldi...) daqualche parte, e la statua sorprendendo me e Babilaaccetta. Si smolla tutto quanto e scende dal piedistallo, ementre la osserviamo smollarsi, Babila e io ci accorgiamodi quanto la sua posizione completamente immobile aconti fatti, ora come ora, ci sembra che sia stata unmovimento – magari costante o perpetuo – come staresull’attenti (...proprio come l’Oliviero – anche lui, tral’altro, ha partecipato a un’edizione del torneo di pingpong – che ha fatto da guardia davanti al Quirinale, e sacosa significa...). Un movimento costante può darel’impressione dell’immobilità, ma non è immobilità, ètutt’altro che immobilità: tutte le pose che assumiamo conuno sforzo e che manteniamo con uno sforzo sonomovimenti. Se flettiamo un gomito e lo teniamo fermo,non siamo immobili (...lo sembriamo; ma non lo siamo...),siamo nel massimo movimento possibile anzi: siamo in unmovimento costante, e ci costa tanta fatica che prima o poidobbiamo smollare il braccio e metterlo in un’altra

posizione. La volontà del movimento è un movimento. Ementre penso a questo, penso che allora la volontà dirimanere come sono non è un immobilismo, ma, se la miavolontà c’è, è un movimento che mi costa una fatica dura.

07 – 05

Al bar con la statua

Attraversiamo Piazza Duomo la statua, Babila e io.Entriamo in un bar e ci sediamo in un tavolino da dove lastatua può controllare che nessuno gli rubi il suopiedistallo. Quando è sceso si è tolto gli orecchini e lacollana (...barrette d’oro finto...) e ha messo tutto quantonel cappello dove raccoglie i soldi per la sua esibizione –io ci ho visto qualche centesimo, tre monete da due euro, eun biglietto da cinque, e se quello era tutto, considerandoche erano le quattro del pomeriggio, ho pensato che lastatua doveva decidere di smettere i panni del faraoneegizio e provare con una mummia o con mandrake oppurecon frankenstein o con freddy krueger che ai bambinipiacciono sempre. Mentre penso queste cose mi domandose si tratta o no il caso di dirglielo. In fondo stavo peroffrirgli qualcosa da bere. Mi risolvo per il no, almeno peril momento. Per prima cosa la statua dice di chiamarsiEvaristo, poi ci sorride (...i denti brillano più dell’oro chegli colora la faccia...) e si porta le mani alle braccia ecomincia a fare qualche verso e a dire che fuori faceva ungran freddo. Solo adesso mi accorgo che dentro la

calzamaglia di raso d’oro, ci sono almeno venti centimetridi imbottitura (...immagino maglie, camicie, magliette ecanottiere che stanno tra la calzamaglia e la pelle diEvaristo...). Evaristo dice che quest’anno fa più freddodegl’altri anni, e che forse non dovrebbe stare in piazza,ma che in quel punto lì si combinano più affari. Usaproprio questa espressione: “Combinare più affari”. Poi cidice che è solo da qualche mese che fa la statua delfaraone egizio, ma nel tempo (...fa questo mestiere daquattro anni...) ha fatto anche il discobolo (...con una tutaspeciale da discobolo; non è che si spogliasse – e quandoha precisato questo, Babila mi è come sembrata un po’delusa...), il maggiordomo dell’ottocento (...con lamarsina...), l’aristocratico inglese (...con la bombetta e ilbastone...), e per qualche settimana stipendiato dalproprietario di una sala cinematografica (...non di Milano,ma di Genova...) ha fatto Hulk, e quasi stava per trovareuna specie di lavoro fisso attraverso il proprietario dellasala cinematografica (...che gestiva anche un negozio digiocattoli dove vendeva i vestiti per il carnevale – comeVitale, un altro tra i partecipanti al torneo di ping pong...)con l’accordo che per ogni film un po’ particolare comeHulk o Godzilla o Batman o qualche altra diavoleria dikolossal americano, lui avrebbe dovuto piazzarsi con ilsuo piedistallo davanti al cinema, e mettersi a fare il suomestiere; solo che poi aveva avuto un bisticcio con ilproprietario per una qualche questione (...“disprezzava unmestiere che è il nobile mestiere del mimo, e che perimpararlo, dopo il diploma all’accademia di Brera, ho

dovuto frequentare un mimo che ha studiato pantomimicain Francia per quindici anni, ed è stato lui, tra l’altro, adirmi che sono molto versato per questo mestiere”...), edopo Hulk non si era più fatto niente. Poi ci ha detto cheun lavoro a paga fissa lo ha trovato in un ristorantemessicano (...ma gestito da quattro calabresi...): lì dovevafare l’insegna vivente, ed è andato avanti per un annettobuono, il Sabato e la Domenica. Si combinava con labarba e i baffi e il sombrero, si passava anche del lucidoda scarpe sulla faccia (...questo solo le prime due volte;poi ha cominciato con l’autoabbronzante...), e si mettevaun gilé di pelle rosso scuro, si metteva dei fogli di giornaleappallottolati dentro alla camicia per farsi la pancia, poi sidistendeva su un fianco al centro del cornicione delsottotetto (...il ristorante era tutto fatto di assi di legnoverniciate di verde senape e giallo maionese; anche ilcornicione era un asse, larga almeno un metro, esufficiente per contenerlo tutto quanto...), si reggeva latesta su un palmo (...e l’orecchio, ci ha confidato, alla finedella giornata gli bruciava...), oppure stava in piedi, equando qualcuno faceva per entrare nel locale, diceva“Buona sera, signori” o “Dio vi accompagni” in qualcosache assomigliasse alla lingua messicana. Evaristo ci haanche confidato che qualche volta con qualche avventore,avrebbe voluto slacciarsi la patta e lasciare uscire l’acquagialla su di loro; ma non l’ha fatto mai, per laprofessionalità prima di tutto. Mentre Evaristo parla, e sela prende con i piccioni che ogni tanto lasciano andare lecacche e lo sporcano tutto (...il che è anche, ci spiega, un

po’ umiliante...), io penso che per essere uno che ha decisodi mettersi nei panni di un faraone egizio (...o comunque,in generale, di fare la statua...) ha una voce sottile sottile, eproprio non ce lo vedo in quei panni. Quando ordiniamoda bere, Evaristo prende un the caldo e una brioche (...intutto due euro e cinquanta...). Divide la brioche (...è unchiffero...) in pezzetti e li dispone a raggiera sul piattino.Poi prende un pezzetto di chiffero e mentre se lo porta allabocca strizza l’occhio destro e sgrana l’occhio sinistro,tirando le labbra, e sollevandole sul lato destro, e quantopiù avvicina con la mano, tanto più muove il collo in sensoopposto, come se stesse lottando con la mano che regge ilpezzetto di chiffero, poi si smolla di colpo e il pezzetto dichiffero gli finisce nella bocca, come se qualcuno gliavesse dato una spinta da dietro. Babila e io ridiamo.Evaristo mastica allungando vistosamente la mandibola esistemando le sopracciglia a V e dice: “Uhmmm, moltobuono questo chiffero…”. È stata in questa occasione(...Gennaio 2005...) che ho detto a Evaristo del torneo diping pong che organizzano le suore, e quando hopronunciato la parola //suore//, Evaristo, nella suacalzamaglia d’oro, si è fatto tutto radioso, forse perchéconsiderava le suore buone interlocutrici per i suoi affari.Io gli ho dato il mio numero di cellulare e gli ho detto ditenerci in contatto per il torneo di ping pong e, perché no?,anche per altro.

08 – 05

Suor Claretta

Quando questa mattina in portineria incontroEvaristo, ci salutiamo con grandi pacche sulle spalle.Evaristo ha i capelli più lunghi di quanto li avesse quandol’ho visto al torneo dello scorso anno (...5 Giugno 2004...).I capelli gli si arricciolano tutti in un modo che sulla testasembra abbia un groviglio di molle del carnevale (...solonere e non del colore del ferro...). La pelle, però, è rimastadello stesso biancore della maschera di Pulcinella. Dopo iltorneo di ping pong dello scorso anno, a Luglio e adAgosto e poi in Febbraio e in Marzo, le suore lo hannocoinvolto in alcune iniziative: fare esibizioni davanti aglialunni e poi addirittura un incontro, (...“quasi unaconferenza”, mi dice, e fa scattare indietro lo stincodestro...). Io gli do una pacca sulla spalla – ma questavolta dal davanti e non dal dietro. Poi ci rivolgiamo a SuorClaretta che sta dietro al vetro quadrettato (...non credoproprio antisfondamento...) con i suoi tre buchi nel naso(...due ai lati, ma che non guardano verso il basso, ma unoa destra e uno a sinistra; e uno quasi centrale, che sembrauna grossa verruca, ma che invece se lo si guarda bene èproprio un buco...) e la barba bianca (...che lo scorso annoSuor Claretta aveva anche più lunga; adesso ha solo lebasette che le incorniciano il faccione, e i baffi allafrancese; l’anno scorso, invece, aveva anche il pizzetto, e ibaffi erano alla messicana...), e le diciamo che siamo

venuti per iscriverci. Suor Claretta da dentro il suoammasso di ciccia, pelle molle, peli bianchi e verruche,sembra animarsi, scende dalla seggiola dove si è sistemata,e si sposta verso di noi. Mentre lo fa, ho comel’impressione che parti del suo corpo si gonfino e siritraggano da sotto la sua divisa nera e bianca, e per unmomento immagino che sotto la divisa di Suor Claretta cisia una massa di carne sinusoidale e appiccicosa (...comequella di una larva...) in continuo movimento – come inebollizione. “Suor Claretta – dico arrivando quasi aschiacciare il naso contro il vetro – Siamo qui perl’iscrizione al torneo di ping pong”. “L’hanno già fatto”dice Suor Claretta con un tono brusco, arrampicandosisulla sedia davanti al vetro, e poi mettendo la bocca quasidi sbieco contro la feritoia circolare (...ma ridottissima...)che serve per comunicare attraverso il vetro. Io sobbalzo.“Come l’hanno già fatto?!”. “Sì, l’hanno già fatto lasettimana scorsa…”. “Ma, Suor Claretta, il torneo di pingpong?”. Lì per lì mi sembra proprio impossibile perché sulsito del San Giuseppe(...www.suoresalesianetortonesi.com; e il “.com” ènecessario, perché le suore tortonesi hanno sorelle inArgentina, in Cile e chissà dove altro ancora...) c’è proprioscritto:

Domenica 19 GiugnoIstituto San Giuseppe di

TortonaOrganizza

Il Grande Torneodi Ping Pong

(...inizio ore 15.30 presso il Refettoriodell’istituto San Giuseppe...)

08–06

Il sito delle suore

Lo ricordo bene perché comincio a visitare il sitodelle suore da Maggio (...quando comincio anche gliallenamenti in vista del torneo, che consistono in unapartita al giorno all’oratorio del San Michele sotto a casamia o con Don Fabrizio o con Don Luigi oppure conqualcuno che frequenta l’oratorio e che ha la fama di sapertenere in mano la racchetta...), e anche quest’anno l’hovisitato. Ho cliccato su eventi e iniziative e tra

Domenica 5 Giugno Istituto San Giuseppe di

TortonaOrganizza

Gita a Gardaland(...pranzo al sacco...)

(...partenza ore 7.30 presso l’Istituto SanGiuseppe; rientro ore 21.30...)

E

Domenica 12 Giugno Istituto San Giuseppe di

TortonaOrganizza

Giochiamo aMonopoli

(...inizio ore 15.30 presso il Refettoriodell’istituto San Giuseppe...)

E

Domenica 26 Giugno Istituto San Giuseppe di

TortonaOrganizza

Un Giro inBicicletta

(...partenza ore 14.30 presso l’Istituto SanGiuseppe. Tappe: Viguzzolo, Rivanazzano,

Salice Terme. Sosta a Godiasco per unascorpacciata di panini caldi. Rientro ore

19.00...)

E

Giovedì 23 Giugno Istituto San Giuseppe di

TortonaOrganizza

Chitarre inCortile

(...inizio ore 21.00 presso l’Istituto SanGiuseppe. Celentano, Don Backy, Battisti…Cantiamo insieme i cantanti che ricordano il

Signore...)

Ho trovato appunto:

Domenica 19 GiugnoIstituto San Giuseppe di

TortonaOrganizza

Il Grande Torneodi Ping Pong

(...inizio ore 15.30 presso il Refettoriodell’istituto San Giuseppe...)

E cliccando su Il grande torneo di ping pongall’interno ho trovato tutti i dettagli (...il sito è curato daOttavio, che credo partecipi non solo al torneo di pingpong, ma anche alle gite, alle biciclettate, alle bicchierate,alle frittellate, e a tutto quanto le suore organizzano, nonsolo per gli alunni, ma soprattutto per i genitori deglialunni...). Ho rivisto anche le fotografie del torneo passato,e la mia foto di quando sollevo la coppa, e c’è SuorBianchina che è rimasta per aria, con la bocca tutta aperta(...non si vedono denti e lingua, però...), e il velo tuttoondulato.

09 – 06

Suor Ughetta

Nel sito ci sono almeno una cinquantina difotografie del torneo di ping pong, e solo nel 2004. Credoche in tutto dentro al sito ci siano qualcosa comequattrocento fotografie. Il torneo più fotografato è stato

quello del 2002 con centoventi foto. Quell’anno SuorUghetta (...Suor Ughetta ha quasi cinquant’anni eall’istituto c’era già quando io frequentavo la scuolamaterna; stava alla portineria della scuola materna, e miricordo che mi impressionavano i due ciuffi di capelli grigiche spuntavano da sotto il velo nero e che stavanoappiccicati a una pelle del colore della polpa delle anguriee giovanissima...), quell’anno – il 2002 – Suor Ughettadoveva averci dato dentro di gusto con la sua macchinadigitale Astra DC-3320 Digital Camera che può contenere(...con le espansioni...) quattrocento fotografie. ProprioDomenica scorsa (...oggi è Giovedì...), più o meno mentreall’istituto San Giuseppe si teneva Giochiamo a Monopoli(...un torneo di Monopoli dove, come ho letto su Otto suSette, quest’anno – il torneo è alla seconda edizione –hanno partecipato una quarantina di persone...), mi sonoconnesso al sito e ho rivisto con Babila le fotografie. SuorUghetta (...non l’abbiamo mai presa in giro per il suonome, perché eravamo scolari corretti, e soprattuttoabituati ai nomignoli delle suore; però, adesso, non miriesce nemmeno credibile raccontare che nessuno tra gliscolari dell’istituto la prendesse in giro per il suonomignolo: Ughetta...) ha proprio fotografato di tutto.

*** cambio battuta ***

09 – 07

La foto del refettorio con i tavoli per la mensa

Suor Ughetta ha scattato due fotografie delrefettorio: una del refettorio così com’è abitualmente el’altra come diventa quando si fa il torneo di ping pong. Inquesta fotografia si vede un salone lungo, così, a occhio,almeno venticinque metri e largo almeno quindici, con imuri di colore verdone militare o verde oliva, i tubi alneon bianco agganciati ai lati del soffitto e al centro (...cisaranno in tutto una decina di neon...), i tavoli in legnomarroncino chiarissimo (...forse sono stati schiariti nellafotografia con un programma apposito...) disposti su trefile, messi in orizzontale rispetto al punto di vistadell’obiettivo della macchina fotografica, con le panche dilegno dello stesso colore incastrate tra le gambe dei tavoli,su un pavimento di linoleum blu chiaro, specchiato. Babilae io osservando la fotografia ci diciamo che anche così ilrefettorio non smette di sembrare un po’ deprimente. Tuttie due ci ricordiamo ancora quando nei giorni che cifermavamo per il dopo scuola facevamo la mensa nelrefettorio. Mia madre (...non so più in quale giorno...) miconsegnava un cestino di vimini con dentro i tovagliolini,una mela o una banana, una gamella di alluminio dove midivertivo a osservarmi deformato mentre stavo sedutoattorno al tavolo con i miei compagni, una barretta dicioccolato avvolta in una carta azzurrissima e unaborraccia (...molto cicciona...) con l’acqua naturale (...le

bottigliette non si usavano ancora...). Dentro la gamellamia madre metteva la bistecchina al sangue e la purea dipatate bianchissima e lattosa. La madre di Babila invecedentro al cestino metteva sempre un arancio o duemandarini (...e a Babila aranci e mandarini nonpiacevano...) e dentro alla gamella metteva fettine circolaridi carote e di zucchine e nel mezzo una patata lessa ancoracon la buccia (...che Babila si faceva sbucciare sempre daSuor Mariannina...). Per l’acqua, invece, Babila bevevaquella che c’era sul tavolo con i bicchieri che avevano ivetri bianchi (...ma non perché fossero stati pensaticosì...), e quel biancore a noi è sempre sembrato un po’ atutti sospetto. Il primo piatto lo preparavano le suore. SuorMariannina (...un transatlantico con incollata di su la testae di giù i piedi...) e Suor Maria Novella (...una formica...)passavano con i pentoloni di ferro (...qualche volta dirame...) in mezzo ai tavoli e distribuivano il minestrone(...molto brodoso oppure molto sciropposo...) oppure glignocchi (...che erano molto grossi, e un ammassoappiccicoso di farina e patate...) con il sugo di pomodoro(...che stava tutto raggrumato agli gnocchi...), e qualchevolta la pastina in brodo (...stellette o farfallette...).

09 – 08

La foto del refettorio con i tavoli per il ping pong

La seconda foto scattata da Suor Ughetta mostra,invece, la stessa sala, solo con al posto dei tavoli di legno,

i tavoli da ping pong. I tavoli in tutto sono uno, due, tre,quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, dieci. Sul primotavolo inquadrato dall’obiettivo dell’astra DC-3320Digital Camera di Suor Ughetta si legge la marca deitavoli da ping pong: Basic Garlando. E quando pronuncioad alta voce Basic Garlando, comincio a snocciolare aBabila una descrizione dei tavoli, aiutandomi anche con itermini tecnici che ho ricavato da alcuni siti sui tavoli daping pong nell’internet. Ho cominciato ad interessarmiagli aspetti tecnici solo da quando ho vinto il torneo –perciò solo dopo l’ultimo anno. Il piano gioco dei tavoli daping pong delle suore del San Giuseppe è della misurastandard (...sono tutte misure standard; non ci sarebbe ilcaso di scrivere misure standard, ma fa lo stesso...) dicentimetri 274x152,5x76, il verdone dei tavoli da pingpong (...appena un po’ più scuro del verdone militare ooliva dei muri del refettorio; e adesso che ci penso miviene il dubbio che le suore abbiano scelto quel luogoapposta per la consonanza dei colori tavoli/muri...) Èdovuto a un rivestimento melaninico di uno spessore di 16millimetri. Le finiture, dico a Babila, sono antiriflesso(...non so neanche bene che cosa stodicendo… //finiture//? Boh…? Non starà per //angoli//e //spigoli//?; comunque dire //finiture// edire //melaninico// mi mette tutto in brodo di giuggiole...).Nella fotografia rete e tendi rete mancano e questodimostra che Suor Ughetta deve aver scattato la fotografiao il giorno prima o al mattino molto presto, quando ancoranon era arrivato nessuno. (...di solito le reti vengono

montate da Maurizio, che è l’allenatore di ping pong, eanche, per dir così, il coordinatore di tutta la faccenda...).Il tavolo da ping pong, e adesso sono deciso aimpressionare Babila, ha una struttura tubolare metallicadel diametro di 25 centimetri con verniciatura a polvere,che altro non sarebbero quello che poi chiamiamo il telaioe le gambe. Le quattro ruote di servizio hanno un diametrodi 25 centimetri. Prima che Babila possa impressionarsiseriamente soprattutto per il fatto che avevo mandato amemoria una scheda tecnica di un tavolo da ping pong, iole ho fatto notare che in fondo in fondo, l’ultimo tavoloaveva ancora su la copertura di protezione, che era dinailon, e che se era quel che sembrava aveva le dimensioni80x160x150.

10 – 08

La foto del gruppo dei partecipanti

La terza foto scattata da Suor Ughetta che Babila eio osserviamo è la foto del gruppo dei partecipanti deltorneo. Questa foto è stata scattata prima che il torneoiniziasse – attorno alle 15.15 – e questo spiega lacredibilità degli abbracci, dei sorrisi e del brilliodegl’occhi. Ci sono ventiquattro partecipanti – sedici sonoi maschi e otto le femmine. Una fila di partecipanti inpiedi e una fila accosciata. Tutti quanti, maschi e femmine,portano le magliette che le suore hanno fatto confezionare– a partire dal 2003 – proprio per il torneo di ping pong.

Sono delle magliette polo con il colletto e i bottoni dicolore blu elettrico (...meno male che non sono di coloreverdone militare o verde oliva…), e sarebbero anchemolto eleganti se non fosse per la scritta messa proprio alcentro sul davanti:

Ping Pong

La scritta è stampata nel carattere Comic Sans MS, èdi colore bianco ed è più o meno indelebile. Babila e io cichiediamo se la scelta del carattere sia stata delle suoreoppure di chi ha confezionato le magliette, e se vogliaevidenziare l’aspetto divertente della faccenda, oppurequalche altro aspetto. Poi Babila e io cominciamo aelencare i nomi dei partecipanti del torneo. A partire dalladestra della fotografia in piedi ci sono: Renato, Cosimo,Evaristo, Marina, Stella, Rosa, Giacomo, Gianni, Giulio,Gianna, Desideria, Roberta; accosciati, invece, ci sono:Federico, Andrea, Flavia, Filippo, Marco, Babila, Ottavio,Oliviero, Adriano, Enrico, Sebastiano, Massimiliano.Babila e io li guardiamo uno per uno, in silenzio, poicominciamo a commentare. Renato ha il naso schiacciato.Cosimo ha due file di pappagorgia sotto il mentobianchicce, mentre la pelle del viso e quella del collo èolivastra. Evaristo ha il suo viso da Pulcinella. Marina ha icapelli che sembrano ghirigori disegnati con una matita

rossa. Stella ha gli occhi azzurrissimi. Rosa è grassa.Giacomo ha i baffi e la barba anche sulle guance. Gianniha gli occhiali con le lenti grandi e quadrate. Giulio èaltissimo. Gianna è scheletrica. Desideria ha le labbra chesembrano disegnate con l’uniposca arancione (...e ilsospetto è che si sia messa un rossetto arancione – unarancionetto?...). Roberta è piatta – e Babila mi tira unpattone. Federico è efebico – magari un po’ troppo.Andrea è il più giovane – ha diciannove anni. Flavia èsfiorita – sembra un gioco di parole, ma non lo è. Filipposembra un cavallo. Marco è figo. Babila è venuta malenella fotografia. Ottavio è immenso, gigantesco. Olivieroha la faccia voltata e sta guardando Desideria. Adriano hai peli del petto che gli spuntano dalla magliettaabbottonata. Enrico ha la faccia larga. Sebastiano è venutomale nella fotografia – ma per Babila è venuto come èsempre. Massimiliano si sta portando la mano alla boccaper coprire uno sbadiglio.

10 – 09

La lista dei partecipanti

“Suor Claretta, parlo del torneo di ping pong, nondel torneo di monopoli” dico a Suor Clarettaabbassandomi e portando la bocca all’altezza della feritoiacircolare del vetro quadrettato della portineria. AdessoSuor Claretta ha tolto la bocca e ha messo (...di sbieco...)un orecchio. Con due dita tiene sollevata la veletta e da

dentro la chiocciola del padiglione auricolare di SuorClaretta sembra che stia strisciando fuori un brucopelosissimo e invece sono solo peli (...magari, penso,impastati di cerume...). Mi domando come faccia SuorClaretta a sentirci; e infatti: “Le chitarre in cortile sono giàstate fatte!” dice. Mi scappa da ridere. Alzo la voce. “SuorClaretta, sono qui per il torneo di ping pong!” dico. SuorClaretta capisce. Mi sembra che uno zigomo (...il destro...)si sia sollevato di sua volontà: la pelle della guancia destrasi è tutta raggrumata verso l’alto e si è sollevata come seun bozzo volesse far esplodere le verruche e bucare lapelle e venire fuori. Mi domando se Suor Claretta possiedealtre parti del corpo che si sollevano e si rilassano senza lasua volontà. Prima che tutto il sangue mi si fermi nellegambe, mi rimetto in piedi, mentre già sento unformicolio, e osservo assieme a Evaristo Suor Claretta chetira fuori da un cassetto un foglio A4 e lo fa passare sottol’interstizio del vetro della portineria. Guardo il foglio evedo questo:

NOMATIVO FIRMACAIO Caio

RaschiniCOSIMO Cosimo

Errichetti

EVARISTO EvaristoMolleone

MARINA MarinaMirinelli

STELLA StellaRottini

ROSA RosaRose

BENIGNO Benigno BolloniGIANNI Gianni

VivaldaOttavio Ottavio

TodiniGIANNA Gianna

MollettiDESIDERIA Desideria

Maniscalc

hiCOSMA Repesperini

CosmaZita Zita

CollottaDÀMASO Sbriciolo

niDàmaso

SEBASTIANO Sebastiano Ornella

Babila Babila Arrivino

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La foto di Babila

Clicco sulla fotografia di Babila. (...è la dodicesimafotografia...). Quando vedo la foto, caccio fuori la lingua efaccio versi. Babila mi tira un altro pattone, però questavolta meno forte: Suor Ughetta aveva fatto un lavoroottimo con la sua Astra DC-3320 Digital Camera. Babilaha i capelli rossastri (...il suo colore naturale è il nero, maa Babila piace cambiare...), lunghi oltre le spalle, fino a

mezza schiena, e sembrano un ammasso di cani correntiche le spuntano da destra e da sinistra in ciocche amezzaluna all’altezza degl’occhi, all’altezza del mento eall’altezza delle spalle. Gli occhi sono due tondi nerissimi;la bocca è carnosa e rossissima in mezzo alla carne niveadel viso. E poi Babila, nel suo uno e settantuno, è moltoprocace, (...Babila porta una quarta...), e dalla fotografia sivedono i capezzoli che deformano l’intelaiatura dellamaglietta blu elettrico. Sta sorridendo e si vede la fila didenti dirittissimi, strettissimi nelle gengive rosa ebianchissimi come se ci strofinasse sopra il rosmarino tuttele mattine (...Babila, però, non lo fa...).

*** cambio battuta ***

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La foto della racchetta da ping pong

E’ la cinquantasettesima foto – e la trentaduesimache mostro a Babila. Babila è stanca di vedere fotografie,anche se il torneo è tra pochi giorni, e l’adrenalina, comesi dice, dovrebbe essere alle stelle. Questa fotografiamostra in primo piano una racchetta da ping pong, eBabila sa già che cosa l’aspetta. Io la deludo subito, e le doproprio quel che si aspetta. Le dico che la gomma dellaracchetta da tennis è antitop con uno strato digommapiuma spessa, con la superficie dura, e senza

effetto. La gomma ha un colore particolare: colori a trattibrevi giallo fluorescente, arancione fluorescente e verdefluorescente nello stile di un quadro impressionistico.Guardando la racchetta antitop multi-colorata penso allaracchetta mia e di Babila (...usiamo le stesse racchette; edè un simbolo...): gomma puntinata corta nel diritto come ilcampione Wang Tao e gomma puntinata lunga nelrovescio come i campioni Matsushita e Joo Se Hyuk.Penso proprio che la mia sia una racchetta migliore diquella che ho davanti fotografata in primo pianodall’obiettivo di Suor Ughetta; certo: non da un punto divista estetico. Nella mia, sulla faccia dove ho incollato lagomma puntinata lunga ho disegnato con un pennarelloindelebile e potentissimo (...una cosa come l’uniposca mamolto più potente...) una mano con il pollice in alto, ma acausa della puntinatura è venuta su una cosa che confinacon una schifezza. Proprio mentre penso al pollice dellamano disegnata, l’occhio mi cade sull’indice disteso allabase della racchetta e noto che è ricoperto da una gommadi colore verde acqua quasi azzurro, è squamato e l’unghiaè deforme e gialla. Sembra il dito di un lucertolone.

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Il dito del lucertolone

Il dito però non appartiene a un lucertolone;appartiene a Vitale. Anzi: il dito nella foto è di unlucertolone, ma è anche di Vitale, nel senso che sotto il

dito del lucertolone ci sta il dito di Vitale che si è messoun costume da lucertolone. (...credo proprio che questafaccenda del dito di Vitale sotto il dito del lucertolone mifarebbe ingoiare da un tunnel infinito di implicazionifilosofiche, allora la smetto subito...). Vitale come lavorofa il commesso in un negozio di giocattoli. Fa il commessosolo il mattino (...fino alle 12.30...), perché divide il postocon il nipote del proprietario del negozio, che viene ilpomeriggio (...fino alle 19.15...). Quest’ultimo si chiamaEttore e ha diciannove anni e per mettersi nella scatolettaqualche soldo per spenderlo nel fine settimana oppure perqualche esigenza all’università (...Ettore studia Geologia aPavia...) lavora di pomeriggio al negozio dello zio, e soloil pomeriggio perché al mattino sta in Facoltà, a seguire lelezioni e a prendere appunti. Vitale, invece, ha trentadueanni, e questo è il solo posto che è riuscito a trovare dopoaver girato con contratti a termine di tre mesi (...e uncontratto a tempo determinato di un anno...) da quando aventicinque anni – dopo che ha finito l’Universitàlaureandosi presso la Facoltà di Psicologia di Parma.Vitale sa tutto di maschere del carnevale e infatti quandoviene il momento di esporle in vetrina, mette sempremaschere particolarissime. Praticamente è per questaragione (...perché Vitale sa tutto di maschere dicarnevale...) che il figlio del proprietario del negozio(...Vincenzo, di quattordici anni, il fratello più piccolo diEttore...) ha insistito con suo padre perché lo assumesse.

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Le maschere di Vitale

Vitale ha partecipato due volte al torneo di pingpong: nel 2002, dove ha vinto il torneo e nel 2004, dove loha buttato via perché si è scontrato in finale con me. Pertutte e due le volte si è presentato con un valigia a formadi parallelepipedo con il lato lungo di due metri, il latocorto di mezzo metro e profonda un metro. Il cuoio seppiadella valigia era tappezzato di adesivi di teschi arancione,blob verdi fluorescente, e mostriciattoli di varia foggianeri, marroni e blu cobalto (...adesivi tutti quanti forniti daStella...). Vitale si sistemava bene in vista, apriva lavaligia e cominciava il suo spettacolo. Si abbassava eafferrava una cosa dentro alla valigia e la lanciava aqualcuno. Lanciava una merda di plastica a Evaristo chel’acchiappava al volo con una mano e poi cominciava amuoversi come se avesse il ballo di San Vito (...e tra ipresenti ho sentito qualcuno dire a Evaristo che sembravaavesse il ballo di San Vitale...) e a farsi saltare la merda diplastica da un palmo della mano all’altra senza toccarlacon le dita, come se la merda scottasse più di un ferrorovente. Vedevamo la merda far capriole e rimbalzare daun palmo all’altro palmo e Evaristo urlacchiare e correretra i tavoli da ping pong alzando le ginocchia fin quasi allespalle fino a quando Evaristo non passava la merda aqualcun altro che la passava a un altro e per un buonquarto d’ora si finiva a passarsi la merda uno con l’altro e

non si era contenti fin tanto che la merda non fosse passatanelle mani di tutti i presenti. Mentre la merda passava dimano in mano, però, Vitale estraeva dalla sua valigiaqualcos’altro. Lanciava paia di occhiali con il nasone e ibaffi (...l’anno scorso ho superato gli ottavi di finalegiocando tutta la partita con un paio di questi occhiali e hovinto perché il mio avversario non riusciva a smettere diridere per quanto ero ridicolo...), lanciava sacchetti checontenevano polvere per starnutire, lanciava sacchetti checontenevano coriandoli, lanciava tubi di stelle filanti,lanciava pistole ad acqua (...blu e gialle con un tappoarancione molto grosso montato sulla bocca...), caricavatre o quattro denti chiacchierini che gli cominciavano asaltare intorno alla valigia (...e, mi ricordo, un dentechiacchierino saltava così in alto che aveva fatto un saltodi un metro e gli era tornato nella valigia...), lanciavacuscini che scoreggiavano (...e che qualcuno gonfiava epoi cominciava a scagliarli addosso a qualcun altro – disolito cominciava Marina –, e assieme alla merda dopo unpo’ era tutto uno scagliarsi addosso cuscini chescoreggiavano, si prendeva un cuscino si gonfiava e sicercava di centrare il petto di qualcuno e di far scoreggiareil cuscino e per un quarto d’ora buono era tutto un granrumore di scoregge...), Vitale lanciava giornali che sipotevano fare in mille pezzi e poi ricomporre, lanciavamani di gomma, lanciava fialette puzzolenti (...che se nonaltro costituivano per tutti una buona scusa in caso diqualche repentino attacco di flatulenza; “sei stato tu?!”,“ma no, che dici? È una fialetta puzzolente!”...),

scodellava due o tre cappelli a cilindro e da questi unavolta ho visto uscire una biscia di gomma (...madall’aspetto così viscido e verosimile che abbiamo dovutochiamare l’ambulanza per soccorrere chi l’avevaestratta...) e un’altra volta addirittura un fagiano (...cheVitale ha poi confessato fosse dell’allevamento di un suocugino...), lanciava due o tre freesbee gialli e bisognavastare attenti che quei dischi volanti non ti arrivasseroaddosso, una volta Vitale ha estratto dalla valigia anche unboomerang, distribuiva bastoni da mago che diventanofoulard, distribuiva monete che si moltiplicano da sole(...anzi: euro che si moltiplicano da soli, e io con queglieuro ci ho acquistato quattro pacchetti di noccioline tostatericoperte di cioccolato e una pannocchia calda al carrelloscaldavivande di Dàmaso...), distribuiva Cubi di Rubik(...con un frutto da comporre per ogni faccia del cubo;Babila è riuscita a comporre quattro frutti su sei: unabanana, un’arancia, una pera, un ananas; le mancavanosolo il cocco e il cocomero...), distribuiva scacciapensierisiciliani piuttosto fastidiosi (...il biung boing biung boingche si riverberava per tutto il refettorio dopo un po’ titirava scemo e le suore quasi impazzivano a esortare dismettere di suonare gli scacciapensieri, correvano di qua edi là, e si portavano le mani alla veletta, con gl’occhisgranati e le sopracciglia aperte a ^...), Vitale distribuivamaschere di gomma così aderenti alla faccia cheindossarle significava decidere di morire soffocati, eppurequalcuno lo faceva, indossava le maschere di gomma diqualche politico famoso o di qualche famoso comico o di

qualche eroe da fumetto e teneva la maschera giocandoanche intere partite di ping pong. Vitale poi tirava fuoridalla sua valigia anche costumi tutti interi come quello dellucertolone (...tutto di gomma...) oppure come quello diuno scimmione (...in parte gomma; in parte plastica...). Epoi cominciava a dire: “Avanti! Forza! Indossate ilcostume del lucertolone! – Vitale muoveva le bracciadentro una camicia a scacchi bianca e rossa con lemaniche avvolte fino al gomito che mostravano gliavambracci larghi e pelosi –forza! Oggi è un giorno difesta! Chi si sente un lucertolone? Chi si sente unoscimmione? – si abbassava e acchiappava maschere digomma – chi si sente L’Uomo Pietra Dei FantasticiQuattro? Chi si sente L’Uomo Dello Spazio? Chi si senteCapitan America? Forza! Forza! – e poi diceva – e vabene, e allora anche per quest’anno, visto che non lo fanessun altro, il costume del lucertolone lo indosserò io” efiniva con tutto il suo metro e novantadue e i suoi centoseichili più di muscoli che di ciccia dentro al costume digomma verde acqua quasi azzurro facendosi chiudere daqualche suora la cerniera di metallo (...molto vistosa...)dietro la schiena. Quando Vitale aveva svuotato la suavaligia e aveva trasformato il torneo di ping pong in unaspecie di festa del carnevale fuori stagione, allora e soloallora, si poteva cominciare. Vitale, come mi avevaconfidato, faceva tutto questo in virtù di un accordo tra ilproprietario del negozio di giocattoli e le suore, perché ilproprietario giudicava che gli iscritti a un torneo siffattopotessero essere il pubblico ideale per pubblicizzare gli

articoli del suo negozio (...e in questo aveva ragione...),così chiedeva a Vitale di iscriversi al torneo e di regalare atutti quello spettacolino.

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La foto di Vasco Rossi

Babila e io abbiamo conosciuto Benigno quindicigiorni prima del torneo di ping pong; ma quando loabbiamo conosciuto, in effetti, non era la prima volta chelo vedevamo. Adesso che ho scritto queste parole (...//nonera la prima volta che lo vedevamo//...), mi viene dapensare che certo che non era la prima volta che lovedevamo!; che Babila e io con Benigno, con l’immaginedi Benigno, in un certo senso ci eravamo nati; cheabbiamo visto Benigno fin da molto piccoli e poi siamocresciuti con lui, e ancora oggi lo vediamo molto spesso, enon soltanto da circa un anno, che è il periodo di tempoda quando frequentiamo il B&B, un locale di Salice Termedove fanno piano bar e preparano cocktail molto buoni edove un sabato sì e uno no Benigno fa la sua serata tributo.Sì, pensandoci bene, è proprio così: la faccia di Benignol’abbiamo vista decine e decine di volte, sui giornali, allatelevisione e le sue canzoni le abbiamo cantate centinaia ecentinaia di volte alle feste di compleanno, attorno ai falòsulla spiaggia, attorno al fuoco abusivo in qualche parco inmontagna, e la sua voce l’abbiamo ascoltata migliaia emigliaia di volte nelle cassette, nei long play, nei compact

disck e qualche volta anche dal vivo, voglio dire,insomma, al B&B come allo stadio di San Siro, trasessanta persone e tra sessantamila, certo, è così, parloproprio di Benigno, perché Benigno, proprio lui, è il sosiadi Vasco Rossi. Ci assomiglia in tutto e per tutto: nellavoce, nel fisico (...Benigno ha trentasette anni, maassomiglia al primo Vasco, quello magro e atletico, e conl’aria del sopravvissuto...), e nei vestiti (...Benigno indossai gilé neri del primo Vasco, e solo qualche volta le felpedell’ultimo Vasco...), e da quando lo abbiamo conosciutomeglio (...quindici giorni prima del torneo di ping pong...),Babila e io pensiamo che Benigno assomigli al primoVasco anche nel fiato (...che sa sempre di qualchealcolico: di preferenza un jack daniel’s, un bushmills o unacrema al whisky – e più spesso di un misto dei tre...).Benigno non assomiglia a Vasco in un solo aspetto: cheVasco la laurea non l’ha conseguita, Benigno sì. Questomi è rimasto impresso perché Benigno ha frequentato lamia stessa Facoltà di Sociologia a Trieste – e si è laureatocirca due anni prima che mi iscrivessi io, e se qualcuno glichiede perché avesse scelto proprio Sociologia, Benignonon può che rispondere: “Perché l’ha fatta anche VascoRossi”. Una sera eravamo al tavolo con amici di Babila(...si chiamavano Savemi e Michele; e Michele, che dilavoro fa – se ancora lo fa – l’impiegato nell’ufficioQualità Sicurezza Ambiente in una ditta che produce unacosa come il conglomerato bituminoso, e si prende unostipendio ottimo, e non ha la laurea, mi sembrava comequalcuno che fosse stato sequestrato dagli alieni e da poco

fosse stato scaricato dall’astronave; forse questaimpressione era causata anche dalle lenti degli occhiali cheerano molto spesse e gli rimpicciolivano gl’occhi…) eabbiamo assistito a una piccola sfida tra Benigno cheassomigliava in tutto e per tutto a Vasco Rossi e Walter(...che poi al B&B non abbiamo più rivisto...) che invecein tutto e per tutto assomigliava a Luciano Ligabue –portava alle dita anche gli stessi anelli di ferro. La sfidaconsisteva in questo: Benigno avrebbe cantato con la vocedi Vasco le canzoni di Ligabue, Walter avrebbe cantatocon la voce di Ligabue le canzoni di Vasco e il pubblicoavrebbe deciso chi tra i due fosse il migliore applaudendoe facendo più chiasso. Con il modo escogitato di proporrela sfida il pubblico era chiamato a valutare, insomma,l’imitazione del cantante e non le sue canzoni, e mentreWalter cantava con la voce di Ligabue Tofee o Stupendo oSenza Parole o Sally o Albachiara e Benigno cantava conla voce di Vasco Certi notti o Ho messo via o PiccolaStella Senza Cielo o Bar Mario o Fuori tempo il pubblicoaveva il problema di scegliere se premiare la voce diVasco o le canzoni di Vasco, e alla fine il pubblico hapremiato le canzoni di Vasco, anche se cantate dalla vocedi Ligabue, e la sfida l’ha vinta Walter. Solo che èsuccesso che mentre Walter ritirava il premio (...unabottiglia di lambrusco; se invece a vincere fosse statoBenigno avrebbe ritirato un sacchetto da un chilogrammodi dolcificante per panettoni – era Dicembre...) hacominciato a ringraziare il pubblico con la sua voce e noncon quella di Ligabue e è arrivato a dire (...in sostanza...)

di essere migliore di Benigno. A questo punto il pubblicoha cominciato a fischiarlo e mi ricordo che qualcuno due otre tavolini dietro il nostro si è alzato e ha detto a Walterche era Benigno il migliore, che non c’era proprioparagone. Walter allora ha risposto (...in sostanza...) cheBenigno non si reggeva neanche sui piedi e che era unostraccio d’uomo, e allora è scoppiata una colluttazioneproprio davanti ai nostri occhi tra Benigno e Walter.Benigno è saltato addosso a Walter e gli ha stretto un latodel collo con la mano destra e lo ha spintonato, Walter hareagito portando le due mani intorno al collo di Benigno, eBenigno ha piantato un ginocchio nello stomaco pieno dibirra di Walter; ma la cosa che disorientava era chesembrava proprio che Vasco Rossi e Luciano Ligabue sistessero aggredendo davanti a tutti, e forse anche perquesto nessuno si era mosso per fermarli – per lo stupore.Vasco Rossi e Ligabue sono crollati tutti e duestringendosi per il collo sopra il nostro tavolino, tra unOriente blu (...con un po’ troppo gin...), un moijto, unanalcolico alla frutta e un frullato alla banana. Michele,Savemi, Babila e io ci siamo alzati tutti e quattro mentre icorpi di Walter e Benigno finivano sul ripiano deltavolino, e il tavolino si rovesciava, e i bicchieri saltavanoin aria rollando e schizzando frullato di banana, whisky egin tutto intorno – e io mi sono mezzo rovinato unacamicia nera di seta tra le più chiccose che avevo. Poisono arrivati i buttafuori e li hanno divisi. Più tardi a noi iproprietari hanno pagato le bevande e Benigno è venuto dipersona a chiederci scusa. Una settimana dopo Babila e io

siamo ritornati al B&B perché abbiamo visto che inprogramma c’era di nuovo Benigno con il suo tributo aVasco Rossi. Benigno ci ha riconosciuti (...come avrebbepotuto non farlo?...) e io ho detto a Benigno del torneo diping pong. La settimana successiva ho incontrato Benignoal torneo, e non solo, ma nel pomeriggio si era accordatocon le suore per una esibizione karaoke.

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Riviste

Un’altra tra le attività che ci ha insegnato SuorClementina nei cinque anni di elementari e che ho portatoavanti nel tempo oltre alla chitarra, è stata la scrittura. Inparticolare dall’età di diciassette anni ho cominciato afabbricarmi piccole riviste fai-da-te (...non molto diversedai giornalini che Suor Clementina ci faceva confezionarein classe...) dove pubblicavo novelle scritte di mio pugnocon nomi diversi dal mio (...nel colophone figuravanosempre in qualità di collaboratori fissi GianfigliazzoCrusoni, Ermenfredo Calciaterra, Rubina Esmeraldo,Marziano Calvino; tra i saltuari – ma sempre immaginari –figuravano Ruperto Scavi, pierstefania Reale, TabataMinghetti, Gianni Scoperti...). Stampavo la rivista, facevofotocopie e poi le vendevo (...ma più spesso regalavo...) aimiei familiari, amici, conoscenti, compagni di scuola,compagni delle attività sportive. Tra i dodici e i quindicitutto da solo ho chiuso e aperto tre riviste (...erano

bisettimanali...) e l’ultima rivista in un articolo di RubinaEsmeraldo tra le ragioni della sua chiusura annoveravauno scandalo a sfondo sessuale (...e di questo scandaloRubina non si faceva scrupolo a riferire ogni dettaglio...)che vedeva coinvolti il caporedattore ErmenfredoCalciaterra, la collaboratrice nonché responsabile delprogetto grafico pierstefania Reale e i collaboratori GianniScoperti e Tabata Minghetti. Adesso tengo tutto quanto insoffitta, ma se ben ricordo i quattro erano stati scoperti inun’ammucchiata dall’editore in persona: piergiorgioneButtapalle. Buttapalle aveva radiato tutti quanti unsecondo dopo essere entrato negli uffici della sua rivista eaver trovato Tabata Minghetti senza i vestiti avvinghiata auna linotype, Gianni Scoperti con un rullo per inchiostrareche stava passando sui seni scoperti della Minghetti con lamano destra, Ermenfredo Calciaterra e pierstefania Realenella stazan delle rotative con la Reale stesa su unatirabozze. Facevo le cose con serietà, comunque. Cercavodi strutturare le mie riviste (...la prima si intitolava IlTalismano; la seconda Rossa Doppio Malto; la terza,quella dello scandalo, Vibra...) secondo i dettami contenutiin un articolo del 1970 di Italo Calvino che si trova nellaraccolta Mondo scritto e mondo non scritto e che si intitolaUn progetto di rivista.

TemiLe grandi funzioni:Il risoIl terrore (...falsa punizione: il pianto...)

Il viaggio – l’avventura – l’iniziazione – lospaesamento

L’erosL’oscenoL’aggressività – la violenza – l’odioL’indovinelloReintregazione della giustizia – ripartizione di un

torto – redenzione – metamorfosi che stabilisce nuovoordine

Strategia narrativa:Il cominciareIl finireSuspenseIl tempoLe “rime” in narrativaLe “strofe” in narrativa

Luoghi simbolici:La foresta Casa da fuori Casa da dentroLa casa Casa familiare Casa nemica Casa familiare che diventa nemicaLa cittàL’edenL’infernoIl percorso iniziatico (...l’altrove – purgatorio...)

Il desertoLa follaI luoghi reali (...cosa possono significare come

luoghi romanzesco-simbolici...): Chicago, Roma, Milano,Shangai, le fogne, i lager, la scuola, la borsa, etc....)

Istituzioni:La descrizioneIl paesaggioCome si fanno le cose (...manualistica tecnica...)Il dialogoLa conversazioneLa definizione d’un carattere (...tipologia umana...)La meditazioneIl monologoLa dimensione della memoria

L’io:Sant’AgostinoStendhal

Il personaggio come: EsaltanteOggetto d’identificazione narcisista IronicaOggetto di desiderioOggetto di esecrazione drammaticaFigura di protezione simbolicaFigura di minaccia

Come leggere:Un incantesimoUna ninna nanna o nursery-rymeUn mito primitivo ClassicoUna fiabaUna leggenda buddistaUn cantare di gestaUno storico dell’antichità MedioevaleUna tragedia elisabettiana ClassicisticaUn romanzo d’appendice ‘800Un romanzo rosaUn nonsenseUn fatto di cronacaUn verbale di poliziaUn incidente automobilistico nella richiesta

risarcimento alle assicurazioniLe memorie di un generaleUn caso clinicoLa narrativa orale oggi come sopravvive?La barzelletta oscenaLa barzelletta politica

Così tutti i tipi di racconti non in forma narrativa:OroscopiLapidi funerarie

Bestiari erbari lapidari

I racconti condensati in immagini:Gli emblemiGli alberi genealogiciI rebusLa cartomanziaGli ex-votoLe tavole dell’emcyclopédie su arti e mestieri

Grandi categorie stilistiche:L’antropomorfismoL’estraniazioneL’aggressione linguisticaL’oggettivitàTrasparenza – spessore

Il linguaggio:Linguaggio comune – linguaggio personaleL’italiano come convenzione Come umori localiL’antiquato – il moderno

I vari temi possono essere esemplificati con:

a) Romanzo nuovo italiano (...a puntate?...)commissionato ad hoc.

b) Romanzo recente straniero (...a puntate?...)scelto ad hoc.

c) Classico poco noto o vecchio romanzo popolareecc. (...antologizzato e sunteggiato?...)

d) Classico riraccontato da scrittore contemporaneo(...commissionato...)

e) Esemplificazioni antologiche con montaggiodidascalico.

f) Rassegne bibliografiche.

In ogni numero potrebbe esserci:

I) tESTI

1) Una puntata di a2) Una puntata di b3) Una puntata di c4) Un d(...b e c sono prescindibili e possono colmareeventuali mancanze di a. Comunque in ogni numerodovrebbe cominciare qualcosa di nuovo. Dopo tre oquattro puntate, se il romanzo non è finito, lo si puòinterrompere e rimandare al volume...)

II) iL RACCONTO E LA CRONACA

5)Un fatto di cronaca (...morte Pinelli; Casati-Stampa; Gadolla...): si chiede a tre o più scrittoridi raccontarlo.

6)Un settore dell’attualità italiana analizzato come“campo narrativo”: personaggi, ambienti, ruoli,

azioni, vocabolario ecc. (...p. Es.: lamagistratura; Reggio Calabria; gli immigrati...)affidato a uno o più giornalisti;.

7) Un settore dell’attualità internazionaleanalizzato nell’organizzazione di significati cheprende per noi (...p. Es.: israeliani-arabi-beduininei reciproci scambi di funzioni oppresso-oppressore...): affidato a un semiologo, a ungeografo, a un sociologo, a uno storico ecc.

III) tEMI E PROBLEMI

Presentazioni di temi o generi (...vedi elenco deitemi e “come leggere”...) con antologieesemplificative e rassegne bibliografiche. Questitemi o generi dovrebbero essere assortiti (...nellostesso numero o alternandoli secondo l’interesseprevalente cui sono più attinenti :

8) Tema con attinenza alla letteratura9) Tema con attinenza alla letteratura popolare10) Tema con attinenza all’antropologia11) Tema con attinenza al contesto

sociologico-politico attuale12) Presentazione d’un autore (...con antologia

e bibliografia...) (...classico o popolare ocontemporaneo...) attinenti a uno dei temi delnumero

13) Un autore o un fatto letterario che nonc’entri niente con i nostri discorsi del resto delnumero (...per esempio: Francis Ponge...) percreare un contrasto, aprire un orizzonte di letturatutto diverso, far vedere che potremmo sbagliarcio le cose importanti essere tutt’altre

IV) l’ILLUSTRAZIONE

14) I grandi illustratori (...dall’ottocento...)stranieri e italiani

15) Un grafico contemporaneo (...invitato aoccupare alcune pagine con le sue proposte...)

16) I pittori contemporanei e il racconto:intervista con un pittore o scultore (...neodada opop o neoespressionista ecc....) per vedere ilrapporto del loro mondo figurativo con lascrittura, la narrazione ecc.

V) iL BIBLIOFILO – IL COLLEZIONISTA

L’orientamento generale di gusto è rivolto verso leedizioni popolari non verso le edizioni lussuose; è alcollezionista di vecchi libri Sonzogno che cirivolgiamo17) Come farsi una collezione di libri di… (...le

edizioni sul mercato; edizioni straniere;antiquariato...)

18) Presentazione di una prima edizione di unclassico che abbia un interesse visivo; o di unacollana; o di romanzi a dispense ecc.

19) Presentazione di una rivista scelta tra le piùimportanti dal punto di vista visivo(...“Minothaure”...) o tematicamente curiose(...“La Ruota”, rivista panteista di A.G.Bragaglia...).

Per scrivere le novelle usavo una Olivetti Lettera 32e per l’impaginazione facevo molta fatica. Ottenevo rivistemediamente di dieci pagine in formato A4 – e chegraficamente, devo confessare, non brillavano troppo; tral’altro sono un disegnatore pessimo e le illustrazioni checorredavano le novelle quando non erano ridicole, eranomostruose –, stampavo venti copie, le pinzavo sull’angolosuperiore sinistro, e poi cominciavo la distribuzione – ilprezzo di copertina era fissato a duemilacinquecento lire,ma spesso quando proprio non le regalavo le vendevo permille lire. Qualche volta le riviste piacevano (...soprattuttoper i contenuti; meno per il (...diciamo...) progettografico...) e allora il lettore faceva qualche fotocopia e laallungava a qualche conoscente e a qualche amico. Sì, leriviste che confezionavo qualche volta piacevano – e per(...lo riscrivo...) i loro contenuti, che era la cosa che per mecontava di più. Le novelle che ci mettevo dentro certevolte non erano niente male. Oddio, niente che lasciasseintravedere in me una particolare attitudine alla poesia, male riviste contenevano quantomeno novelle divertenti.

Una, ad esempio, si intitolava Il ciuingo e raccontava lastoria di questo ragazzo di quindici anni con un cappelloda baseball girato di tre quarti sulla testa, una magliettaarancione con la scritta blu “so cool!” Sulla schiena e unoskate board verde fluorescente sotto l’ascella che stacamminando per la sua città – che poi è la mia città: lacittà di Tortona. Ha appena finito di – come si dice –skeitare con i suoi amici dell’area Silvi e adesso statornando a casa. Il cielo è azzurro, il sole è oroincandescente, le foglie degli alberi che crescono nelleaiuole ai lati della strada verdissime (...verdi quasi quantoil verde fluorescente del suo skate board...). È insommatutto tranquillo e in tutta tranquillità il ragazzo che sichiama Tobia mentre sta camminando per Corso DonOrione finisce con la scarpa sinistra (...una Superga con latomaia rossa e la gomma del fiosso e della mascherinabianchissima...) sopra un bubble gum rosa – per laprecisione un big bubble. Il big bubble però non è unsingolo big bubble: è un ammasso di gomma masticatarosa che si allarga per almeno venti centimetri su unachiazza nerissima di catrame fresco. Quando Tobia localpesta, la sua scarpa sinistra quasi ci sprofonda dentro eproduce anche un rumore piuttosto sgradevole – unaspecie di squich squich. Il fatto è che nel racconto(...cinque cartelle...) a tutto questo Tobia non fa caso piùche tanto. Calpesta il big bubble e esclama: “Merda!”, poitira diritto, senza rendersi conto che filamenti del maxi bigbubble gli sono rimasti attaccati alla suola della scarpa eche questi filamenti (...e come avrebbe potuto Tobia

accorgersi di questo?...) non si staccano dal maxi bigbubble, ma di man in mano che Tobia si allontana epercorre cento, duecento, trecento, quattrocento,cinquecento metri, si allungano e si tendono. Tobia non èun ragazzo sveglissimo, anzi: per quanto sia un asso con ilsuo skate board, è un ragazzo distrattissimo – e se nonaltro a testimonianza di questo stanno i voti orribili cherimedia ad ogni interrogazione e compito in classe dimatematica a scuola –, ed è per questo che mentre tiradiritto con i filamenti di bubble gum che si allungano e sitendono dietro di lui pericolosamente proprio non siaccorge di niente. Tobia non si rende minimamente contoche i filamenti del ciuingo non solo si allungano e sitendono e non si sfilacciano, ma resistono praticamente aqualsiasi forma di scossone e al contatto con qualsiasi –diciamo – corpo solido: i filamenti sono fatti insomma diuna superlega resistentissima, affilatissima e tesa come ilmi cantino di una chitarra. Così succede che quando sispegne l’omino rosso e si accende l’omino verde delsemaforo Tobia attraversa un incrocio sulle striscepedonali (...non c’è nessuna macchina, ma per quantosbadato Tobia è rispettoso delle regole della strada...) e unragazzo più o meno della sua età, senza rispettare ilsemaforo rosso, con la ruota anteriore della sua montainbike rosso scuro a ventuno rapporti (...adesso ha ilrapporto numero dodici...) incoccia il filamento delciuingo, la montain bike inchioda, e la ruota anteriore sisolleva più di quarantacinque gradi catapultando il ragazzoa faccia in giù sull’asfalto dopo un volo di circa due metri,

mentre la camera d’aria della ruota anteriore dellabicicletta scoppia per l’urto con i filamenti del ciuingomaledetto. Tobia svolta in una laterale e di tutto questonon si accorge minimamente. Nemmeno non si accorgequando svoltando a destra, in Via Sada dove abita, ungatto rimane impigliato con le zampe ai due filamenti rosapallido (...che viaggiano paralleli e tesissimi a distanza diventicinque centimetri l’uno dall’altro...) e mentre cercanodi liberarsi le due zampine anteriori finiscono tranciate dinetto. Poi è la volta di un furgone – un Ducati – chefinendo con i copertoni posteriori sui filamenti del ciuingodurante una manovra di posteggio sbanda e finisce controun’automobile gialla – una Twingo – che si schiacciacome un tubetto di maionese in una pioggia di scintille euna salva di fischi di freni e sibili di lamiere che si apronocome linguette di lattina e che si accartocciano e che siincastrano l’uno nell’altra. Nel racconto succede che ilDucati e la Twingo appena subito dopo l’urto, sicapovolgono tra esplosioni di serbatoi e fiamme che sialzano fino al cielo, e come se diventassero una cosa solale due autovetture si rinsaldano e schizzano lungo la stradadeserta per almeno trenta metri, beccheggiando,impennandosi, rotolando arricciate l’una sull’altra,conficcate l’una dentro l’altra, tra balugini di schegge divetro, fermandosi in prossimità di uno stop e di unsemaforo con un ultimo tonfo gigantesco, mentre le primeteste cominciano a spuntare dalle finestre delle abitazioni ei primi occhi a sbattere e i primi angoli delle bocche apiegarsi in giù, e nell’immobilità fumante della montagna

di ferro affusolata bianca e gialla cominciano a formarsi iprimi capannelli, poi seguono le prime grida, poi i primipianti, poi l’eco delle sirene che si precipitano, il furgonebianco e rosso dell’autoambulanza tra il giallointermittente dei semafori e il grigio chiaro dell’asfaltodella strada e il bianco delle linee di demarcazione dellecorsie e poi il rosso del mezzo dei vigili del fuoco e infineil blu della macchina dei carabinieri, tutti e tre i veicolidisposti in circolo intorno all’enorme ammasso informe diferraglia (...simile all’ammasso informe del ciuingomaledetto che Tobia ha calpestato...), e gli obiettori dellacroce rossa e i portantini e i medici del centodiciotto incamice bianco e i carabinieri nelle loro divise blu e i vigilidel fuoco con i giubbetti ad alta visibilità arancione abande argentee, e sono tutte mani che collocano segnali distrada interrotta e di frecce di deviazione, braccia inmovimento circolare e circolare, circolare qualcuno dice,il crepitare di ricetrasmittenti, carro-attrezzi dicequalcuno, impossibile intervenire qualcuno dice, ma tu lericonosci mica le auto dice qualcuno, riesci mica aleggere le targhe qualcuno dice e su tutto è un disastro, èun disastro, è un disastro, e Tobia che ha svoltato ed èentrato nel palazzo dove abita di tutto questo non si èminimamente accorto. Il racconto finisce che Tobia arrivain casa e si accorge del ciuingo attaccato alla suola e dellunghissimo filamento che lo ha seguito fin nella suastanza (...si accorge di questo solo quando fa per chiuderela porta e il filamento sega la base inferiore della portacome se fosse pongo...), fa per toglierlo e a contatto con le

due bolle di ciuingo sotto la suola l’indice e il medio dellamano destra si corrodono istantaneamente come duecandele di cera, e mentre Tobia grida, si contorce e fiottasangue come un fontana rotta il narratore in terza personalo abbandona e si concentra su un anziano signore chefinisce con la scarpa destra (...una scarpa di cuoio lucidacome una palla da bowling...) sul ciuingo – proprio ilciuingo che ha calpestato Tobia – che torna a allungarsi ea tendersi ancora… la cosa che ha sempre impressionatoBabila ogni volta che le ho raccontata questa storia è iltono della mia voce: come se le stessi raccontando la cosapiù importante del mondo; io mi sono sempre difesodicendo che maggiore è la serietà del tono e meglio risaltal’aspetto giocoso della storia…

*** cambio battuta ***

11 – 15

Il Club dei Mestieri Stravaganti

C’è poi una quarta rivista che ho aperto dopo IlTalismano, Doppio Malto e Vibra. L’ho aperta circa dueanni fa, quando avevo ventiquattro anni, e, devo dire,l’impaginazione e la qualità grafica della rivista è moltomigliorata soprattutto grazie all’avvento delle nuovetecnologie. Voglio dire: fosse stato per me, se i mezzitecnologici fossero rimasti gli stessi, probabilmente avrei

combinato un gran pasticcio esattamente come all’età diquindici, sedici e diciassette anni… ho aperto la rivistadopo che il mio contratto di lavoro interinale si è concluso.Proprio il giorno che stavo rincasando (...era ilduemiladue...) dopo aver ricevuto il benservito dalla ditta– che, tra l’altro, proprio un’ora prima che il contrattoscadesse mi aveva fatto acquistare due rotoli di domopakper due teglie di pasticcini da servire il giorno successivoper il compleanno della Responsabile della Segreterianonché due saponi per i servizi igienici –, passandodavanti all’ingresso della giocattoleria di Vitale, ho notatoappiccicata a un vetro la copertina gialla con le scritteverdi di un libro edito dalla Biblioteca Economica NewtonCompton al prezzo di un euro e cinquantacinque centesimiscritto da Gilbert Keith Chesterton e intitolato Il Club deiMestieri Stravaganti. La copertina stava appiccicataaccanto ad altre copertine di libri editi dalla BibliotecaEconomica Newton Compton (...Il denaro di Émile Zola,Claudine di Colette, Un lungo, fatale inseguimentod’amore di Louisa May Alcott, Il passo lungo di GiorgioSaviane...) ed io ho sempre letto titoli come questi senzaprovare una sola volta il desiderio di acquistarli; e tuttaviaquella volta senza pensarci due volte ho acquistato Il Clubdei Mestieri Stravaganti, che purtroppo per quel cheprometteva il titolo a me si è dimostrato, devo dire,piuttosto deludente, tranne che per i primi paragrafi, cheriproduco qui di seguito.

Rabelais, o il suo sbrigliato illustratore GustaveDoré, devono avere qualcosa di comune col tracciatodei casamenti popolari. C’è infatti qualcosa diassolutamente gargantuesco nell’idea di economizzarelo spazio mettendo le case una sul tetto dell’altra, conportone e tutto. Nel caos e nella complessità di quellevie perpendicolari, ogni cosa ci può essere, tutto puòaccadere, ed è in una di queste, io credo, che,cercandoli, si potranno trovare gli uffici del Club deiMestieri Stravaganti. Si può pensare a tutta prima chequesto nome debba attrarre e fermare il passante, ma inquesti alveari oscuri e immensi non c’è nulla cheattragga e fermi il passante. Il passante si occupa solodella sua malinconica destinazione, l’Agenzia diNavigazione del Montenegro o gli uffici londinesi dellaRutland Sentinel, e attraversa le strade crepuscolaricome gli androni crepuscolari di un sogno. Se i Thugsimpiantassero una Compagnia per l’Assassinio degliStranieri in uno dei grandi edifici di Norfolk Street, e visi mandasse un omettino occhialuto a fare un’inchiesta,l’inchiesta non darebbe nessun risultato. E il Club deiMestieri Stravaganti regna appunto in un grandeedificio nascosto come un fossile in una grande rocciadi fossili.

La natura di questa società, quale noi l’abbiamoscoperta più tardi, si può esporre facilmente e in pocheparole. Si tratta di un club eccentrico e scapigliato, delquale si può essere soci solo ottemperando a questadisposizione: il candidato deve avere inventato il mododi sbarcare il lunario; deve trattarsi insomma di unaprofessione assolutamente nuova. L’esatta definizionedi questo requisito è data nei due articoli principalidello statuto.

Primo: non si deve trattare di una sempliceapplicazione o variante di un mestiere già esistente.

Così, ad esempio, il club non potrebbe ammettere unagente d’assicurazioni semplicemente perché inveced’assicurare le merci delle persone dal fuoco, assicuraponiamo, i loro pantaloni dai denti di un cane idrofobo.Il principio (...come Sir Bradcock Burnaby-Bradcockdisse saggiamente e acutamente nel suo discorso distraordinaria eloquenza e persuasione tenuto al club aproposito della questione sorta dalla faccenda StormbySmith...) È lo stesso. Secondo: il mestiere deve essereuna vera e propria sorgente di guadagno, e deve fornirei mezzi di sussistenza al suo inventore. Perciò il clubnon potrebbe ammettere un tale che preferisse passare isuoi giorni raccogliendo scatole di sardine usate, ameno che egli non riuscisse a fare di questo unmestiere redditizio. Il professor Chick spiegò questacosa in modo abbastanza chiaro. E chi ricorda in checonsistesse il mestiere nuovo del professor Chick, nonsa se deve ridere o piangere.

La scoperta di questa curiosa società era una cosastranamente dilettevole: scoprire che vi erano al mondodieci nuove professioni era come vedere la prima naveo il primo aratro. Si provava l’impressione di essereall’infanzia dell’umanità.

Che io mi sia un bel giorno imbattuto in unacongrega tanto singolare, non è poi (...e lo dico senzavanità...) una cosa tanto strana, perché io ho la mania diappartenere al maggior numero possibile di società: sipuò anzi dire che io faccia collezione di club, e ne hoammassato una grande e fantastica varietà d’esemplari,da quando nella mia impetuosa giovinezza, inserii nellamia raccolta l’Atheneum. Qualche giorno, forse, potròdire le storie di qualcuna delle altre società a cui hoappartenuto: potrò rintracciare le gesta della Societàdelle Scarpe del Morto (...ravvicinamento immoralesuperficialmente, ma oscuramente giustificabile...);

potrò spiegare le curiose origini di Gatto e Cristiano,società il cui nome è stato tanto vergognosamentefrainteso; e il mondo potrà una buona volta sapereperché la Lega delle Dattilografe si sia unita con laLega del Tulipano Rosso. Del Dieci Tazze di Tè, però,non ho il coraggio di parlare. La prima delle mierivelazioni ad ogni modo riguarderà il Club deiMestieri Stravaganti, che, come ho detto, era un clubdel genere, un club nel quale io avevo quasi l’obbligodi entrare presto o tardi per via della mia stranafissazione.

La gioventù scapigliata della metropoli mi chiamafacetamente “il re dei club”, e mi chiama anche “ilcherubino”, alludendo al roseo e giovanile aspetto cheio presentavo negl’anni del mio declino. Io sperosoltanto che gli spiriti del mondo migliore manginobene come me. Ma la scoperta del Club dei MestieriStravaganti va legata a un fatto veramente curioso. Ilfatto più curioso è che il club non è stato scoperto dame; esso è stato scoperto dal mio amico Basil Grant, unuomo sempre nelle nuvole, un mistico che non simuoveva quasi mai dalla sua soffitta.

Il resto del libro, come dicevo, l’ho trovato piuttosto

deludente – almeno relativamente al contenuto che mi eroimmaginato a partire dal titolo. Il libro di Chesterton sistruttura in sei capitoli che raccontano altrettanti casipolizieschi che hanno come protagonista Basil Grant.Come recita la quarta di copertina del volume Newtonl’investigatore creato da Chesterton segue “un particolaree inconsueto metodo d’indagine diametralmente opposto aquello del rivale Sherlock Holmes: mentre quest’ultimo siaffida a procedimenti logico deduttivi, Basil Grant è

rigorosamente intuitivo; laddove il detective creato daConan Doyle si basa sui fatti, il nostro eroe fa inveceappello alle espressioni fisiognomiche”. Insomma, il librodi Chesterton è soltanto un libro giallo – per quantoraffinato e pieno di risvolti interessanti (...secondo RobertoMussapi, che firma l’introduzione, dal personaggio diBasil Grant che “parte dall’albero misterioso della vita,dalla linfa che oscuramente ne alimenta i rami”deriverebbero “Maigret, che si immerge nel brago degliambienti degenerati in cui avviene il delitto” e MissMarple “che è un po’ strega, come si conviene a ognibuona zitella inglese, ma una strega domestica,pessimisticamente versata a capire le più meschinepulsioni, e le più comiche (...tipiche di chi non ha maiamato...) dell’ominide avanzato che compie delitti perinteresse, passione o rancore” oppure Ingravallo, ilcommissario del Pasticciaccio di Gadda, “che non credemai a una causa ma a un groviglio di concause, e derivadai cultori della linfa oscura, vitale e mortifera” e perultimo Philip Marlowe “l’investigatore che scorre nellesue convertibili nelle baie rosate e brumose dellaCalifornia, l’uomo che prende e restituisce botte, che bevescotch e fuma sempre, ma scopre il colpevoleimmergendosi per condannata osmosi nel magmatico limodella vita”...). In ogni caso, per quanto raffinato e pieno dirisvolti interessanti, Il Club dei Mestieri Stravaganti noncontiene, come io mi aspettavo dal titolo, e come iparagrafi che ho riprodotto mi lasciavano sperare, nessunadescrizione di //mestieri stravaganti//; questo mi ha fatto

venire in mente che avrei potuto provvedere io stesso acolmare questa lacuna, e in capo a qualche settimana hofabbricato una rivista che ho intitolato appunto Il Club deiMestieri Stravaganti e che è una rivista (...che confezionosu carta un po’ quando ho voglia e quando ho tempo; e checomunque ho messo anche nell’internet sottoforma di blogall’indirizzo mastieristravaganti.dada.net...) formatasoltanto da interviste – (...uno dei possibili sottotitoli cheho pensato è stato rivista di interviste; ma poi hoaccantonato...). Dal duemiladue a oggi(...duemilacinque...) sono usciti solo quattro numeri(...d’accordo: sono pochi...), ma su Internet il blog haavuto un successo discreto (...dopo un anno dall’apertura ilcontatore segna duecento accessi al giorno e tra icommentatori ho avuto anche scrittori e giornalisti di uncerto rilievo...) e il progetto della rivista su carta non l’hoabbandonato. La rivista anche se non si presenta così, èuna rivista letteraria. Questo mi permette se non altro diinfilarci dentro alcune interviste a lavoratori che hoconosciuto personalmente come a Renato, un commesso inun negozio di risuolatrice e valigeria, a Diego, uncommesso in una fiaschetteria e a Romina una commessain una norcineria, e accanto a queste (...che non hanno peroggetto proprio //mestieri stravaganti//; ma, per dirla tutta,contavo che nel contesto di una rivista che si intitola IlClub dei Mestieri Stravaganti, un laureato in Farmacia chesi ritrova commesso in una fiaschetteria possa essereconsiderato a pieno diritto un membro del Club e ildestinatario ideale delle mie domande...) interviste a

lavoratori immaginari come nel caso di Vincenza, laureatain Giurisprudenza, che si ritrova baby sitter per cani,oppure Rodolfo, laureato in Conservazione dei BeniCulturali, che decide di fare il direttore di museo (…[…]il progetto insomma per metterla in burletta è statoacquistare un supermercato e al posto del cartellosupermercato mettere il cartello museo […] sì,Sebastiano, mi sono preso del pazzo da moltissimepersone; ma questo succede perché pochissime tra questepersone hanno la capacità di vedere la faccenda inprospettiva… quello che a loro adesso sembra unaprovocazione, fra venti, quindici, dieci, chi può dirlo?,cinque anni, magari, sembrerà soltanto una trovataottima. Cioè: per come stanno andando le cose, per comegaloppa lo società dei consumi, lo sappiamo, una mercenuovissima oggi, può diventare un oggetto da repertoarcheologico (d’accordo, sto esagerando: magari solo unoggetto antichissimo) tra due anni e magari tra un anno(perdona il bisticcio) potrò dire “tra un anno”. Quandovado negli outlet ed entro in un negozio della Diesel o diArmani o di Ermenegildo Zegna o di Luciano Soprani ioquesta sensazione l’ho già adesso. Ho già la sensazioneche tutti quei capi d’abbigliamento scompariranno dallacircolazione e che potrebbero fare la loro figura porca inun museo. Cosa stanno diventando in fondo lemetropolitane in Russia o in Brasile? Risposta: museid’arte contemporanea; perché si prevede che tra diecianni le installazioni e tutta quella roba (con rispettoparlando) racconterà tutto un altro tempo, un altro

mondo, o almeno un altro modo di rappresentare il tempoe il mondo. […] l’altro giorno sono entrato a casa di unmio amico. Dovevi vederla, Sebastiano… un ambientetropical con palme e kenzie che nascondono un citofono ein un tavolo del soggiorno un computer Texas IstrumentT99 4 A del gruppo editoriale Jackson. Quella casa non èpiù anacronistica: quella casa è piena oggetti d’altritempi… diresti a qualcuno che è anacronistico se ascolta,mettiamo, radiodejaay da una radio degli anni trenta?No: non lo diresti. Diresti che è strambo oppure diresti…be’, diresti: “Ma che figata…”. Lo stesso, chi può dirlo?,lo stesso si potrà dire tra qualche anno per chi utilizza uncomputer del gruppo editoriale Jackson e si connetteall’internet o chissà quale altra diavoleria oppure ascoltale cassette in un hi fi tutto nero, non i vinili, dico propriole cassette. […] e allora l’idea è questa: noi chiamiamoquesto supermercato museo e ci mettiamo dentro tutte lecose all’ultima moda e che più caratterizzano questomomento qui (…dvd, lettore mp3, push up, i cellulari diquesta generazione, di questo anno…), mettiamo uncartellino con la spiegazione di che cos’è l’oggetto, chi loha ideato e un po’ di storia e poi aspettiamo. Chi entra epaga tre euro all’ingresso per vedere esposte in unabacheca merci che può trovare ovunque nei negozi, neisupermercati, negli ipermercati, nelle bancarelle delmercato ha reazioni le più svariate: c’è chi vuole farsirimborsare il biglietto, c’è che si diverte, c’è chi dice chenon ci si sa più che diavolo inventarsi per lavorare algiorno d’oggi; ma questo a noialtri (parlo di me e del mio

gruppo composto da altre due persone) non interessa. Traun anno o due il nostro museo acquisterà sempre piùsenso… tra l’altro con una serie di risparmi che non èproprio il caso di elencare e che sono intuibilissimi[…]…)oppure Marino che, laureato in Sociologia (...con una tesisul blog di Personalità Confusa...), si ritrova venditored’ombra nel deserto. Ecco l’intervista in versioneintegrale.

Il venditore d’ombra nel deserto

E’ l’estate del duemilatre e quest’anno ho deciso difare una scappata di dieci giorni in Africa, non solo pergodere delle bellezze dell’africa (...ora che sono tornatoda più di un mese posso tranquillamente dichiarare di nonessere ancora guarito dal cosiddetto “Mal d’Africa”...)ma anche per intervistare per Il Club Dei MestieriStravaganti, Marino, trentatrè anni, ligure (...è diVernazza...), laureato in Sociologia con una tesinientemeno che sul blog di Personalità Confusa, e che dalmillenovecentonovantanove abita a Mali nella città diGao (...dopo aver abitato a Onitsha – in Nigeria –, aNiamey – in Niger –, a Timbuctu e a Bourem – a Mali –...)dove svolge da due anni e mezzo l’attività di venditored’ombra nel deserto.

Come ti è venuta questa idea?

“Sebastiano, questa mi sembra la domanda piùineludibile di tutte, e che meglio non avresti potutoformulare – dice Marino. Ha la pelle del viso cotta dal solee screpolatissima. Sembra un settantenne, e invece ha solotrentatrè anni. Sorseggia un intruglio che ha tutta l’aria diessere indigesto (...una pappa che ha lo stesso aspetto delloSvelto, il detersivo per lavare i piatti, solo che è dellostesso colore blu di certa pasta per i denti per i bambinicome il Colgate...) e sorride – come mi è venuta questaidea? Be’, l’idea mi è venuta perché… perché misembrava una buona idea! Nessuno ha mai vendutoombra nel deserto. Ci sono stati e ci sono tuttora venditoridi fumo, soprattutto venditori di fumo, anzi, forse, il fumoè la sola merce di ogni venditore, e quando non è la solamerce, il fumo è la merce che certamente accompagnaqualunque altra merce si decida di mettere in vendita. Ilfumo si vende sempre: il fumo delle proprie parole percercare di convincere chi ci ascolta, ad esempio, e poitanti altri tipi di fumo. Bene, se è così, allora possiamodire che ci sono venditori di fumo e di altre merci, ma nonci sono stati mai venditori di fumo e di ombra nel deserto.Comunque per rispondere alla tua domanda ineludibile eche meglio non avresti potuto formulare – come ti èvenuta questa idea?; eh! – rispondo nel modo piùeludibile che peggio non potrei formulare: l’idea mi èvenuta perché non è venuta a nessun altro.

Come hai cominciato?

Ho cominciato in Liguria, nelle spiagge libere dovedi solito molte persone non portano ombrelloni.

Insomma ti sei messo a vendere ombrelloni…

Non proprio. Io, Sebastiano, vendevo ombra. Non èproprio lo stesso. Per vendere ombra è necessario avereben chiaro chi possono rappresentare i destinatari idealiper questo genere di prodotto e dopo aver condotto unaserie di osservazioni preliminari (...che, però, proprio nonmi sentirei di chiamare //indagini di mercato//...) hoconcluso che questi soggetti ideali sono soprattutto lepersone che venivano in spiaggia da sole. Queste personemolto spesso si portano da leggere un libro oppure siportano la settimana enigmistica o qualche altrogiornalino, sono senza ombrellone, e, sì, la maggior parteha gli occhiali da sole, ma certi giorni il sole è cosìintenso che nemmeno gli occhiali da sole lo rendono piùsopportabile. Allora tutte queste persone si costringono inposizioni scomode e assurde. Per leggere piegano lepagine in modo che un bordo faccia ombra sul resto dellapagina, oppure perdono un sacco di tempo a cercare laposizione migliore di modo che se vogliono stare a panciain giù il loro petto faccia ombra sulle pagine che stannoleggendo oppure si mettono a pancia in su e sicostringono a tenere il libro con le braccia tese ecercando di coprire il sole, e questa è una posizione, e

sono sicuro che tu stesso, Sebastiano, avrai certamentesperimentato quel che sto dicendo, molto scomoda estancante per leggere, meditare e anche riposare.

(...mi ritrovo ad annuire...)

Io non faccio altro che accorgermi di tutto questo eintervenire. In fondo non si tratta altro che di fare unagentilezza a una persona impigrita dal rumore delle ondee dalla brezza marina. Mi avvicino e mi metto in modo dacoprire il sole, e lo faccio con una tale leggerezza ediscrezione che la maggior parte delle volte, chi riceve ilbeneficio della mia ombra nemmeno se ne accorge. Pensache sia una nuvola provvidenziale, poi quando scopre chesono io che di solito mi limito a dire:”l’ho vista indifficoltà; la volevo aiutare”, non vengo cacciato in malomodo, e quando chiedo i soldi (...…pochi centesimi dieuro; e se non funziona, comincio a dire che sono senzalavoro, e non so proprio più che cosa inventarmi…...) liricevo senza molte difficoltà. È talmente strano il prodottoche vendo e come lo vendo che le persone non esitano aricompensarmi.

Vedo che tieni a definirti il venditore di un prodottoe non di un servizio.

Precisamente. Bravo, Sebastiano. È proprio così.Quel che io vendo è un prodotto. E specialmente adesso,ma anche prima, anche agli inizi, ho sempre pensato di

vendere ombra, di vendere una merce, ed è per questomotivo che, direi da quasi subito, mi sono inventatoproprio un’intera linea di prodotti.

Cosa intendi per linea di prodotti?

Be’, Sebastiano, molto presto mi sono reso conto chel’ombra che proiettavo sulla persona che ne avevabisogno, era sì una merce, ma era anche uno spettacolo.Le altre persone che mi vedevano ritto in piedi davanti aun bagnante sdraiato su una stuoia o su un asciugamano,di solito dopo un po‘ cominciavano a passarmi accanto, lenotavo incuriosirsi, e qualcuna mi chiedeva proprio checosa diavolo stessi facendo. (...in questi casi rispondevoche stavo lavorando...). Insomma ben presto mi sono resoconto che potevo vendere non solo il prodotto ombra, malo spettacolo del prodotto ombra. Diversificazione, infondo, non si trattava che di questo. Prima di tutto hoacquistato un paio di manubri da dieci chilogrammi e hocominciato con ripetizioni prima da venticinque e poi dacinquanta per quattro volte al giorno. Inoltre mi sonomesso a fare addominali ogni giorno e a mangiaresogliole (...acquistavo una confezione da venti soglioleper pochi euro al supermercato...) e insalate scondite.Volevo rendere il mio fisico più asciutto e attraente, masenza esagerare, per non imbarazzare il mio target, chedescrivo come persone che cercavano solo di leggere unbuon libro, di mangiare un panino o di ovviare a qualchedisagio – e niente più che questo, se capisci cosa voglio

dire. In secondo luogo, come ti dicevo, ho creato unalinea di prodotti. Dopo qualche settimana (...diciamo tresettimane...), ho imparato a riconoscere il tipo di prodottoadatto a ogni esigenza, e a offrirlo al mio cliente. Io lamettevo sul piano dell’esigenza, ma più che altro sitrattava di un piano di estetica, che non mi serviva persoddisfare il cliente, ma per avvicinare nuova clientela.Così ho imparato a diversificare le forme dei miei prodottie per fare questo ho imparato a fare i giochi d’ombra conle mani.

E funzionava?

Direi di sì. Si trattava di avere da rivendere un tipodi prodotto per ogni esigenza pensato su basi quasiscientifiche. In effetti, qualche indagine l’ho anchecondotta (...anche se onestamente non arrivo a dirti che siè trattato di un’indagine totalmente scientifica...). Sonoanche arrivato a tracciare una tabella, che portavo conme per le spiagge. Qualche volta qualcuno si avvicinava eosservava la tabella e piegava la testa da un lato esorrideva e poi si passava le mani sugl’occhi e andavavia. Nella tabella venivano riportate le forme d’ombraadatte alla specifica esigenza e il relativo costo. Adesempio il nibbio (...pollici incrociati uno sull’altro a X edita ben compatte puntate verso destra e verso sinistra...)veniva utilizzato per chi volesse mangiarsi un panino ecostava cinquanta centesimi al minuto – il prezzo saliva

ogni volta che dovevo impiegare tutte e due le mani eanche tutta l’attenzione.

Perdonami… Perché proprio il nibbio per mangiareun panino?

Ottima domanda, Sebastiano. Perché il nibbio, che èun uccello, si muove. Mentre una persona mangia unpanino si sposta in continuazione e tutte le volte che il miocliente si spostava l’ombra a forma di nibbio sbatteva leali e si spostava con lei. L’ombra nera del nibbio siproietta sul volto del mio cliente (...più spesso: miacliente...) ed è piuttosto divertente osservare la scena. Siformavano capannelli di persone, sai…

Che altre forme d’ombra hai pensato per la tua lineadi prodotti?

La muraglia cinese, che stava ad un euro al minuto(...mi opponevo con tutto il corpo al sole proiettando unrettangolo d’ombra sul corpo rilassato della miacliente...). Poi la giraffa, l’elefante, la farfalla, la stella…e la gru e l’argano che erano i modi più spettacolari cheavevo elaborato per vendere il mio prodotto. Mi mettevo atesta in giù facendomi reggere sulle mani e stavo così peruno o due minuti. Quando lo facevo, la clientela arrivavaa grappoli, e io tiravo su qualche soldo dal clientedell’ombra e dai clienti che assistevano allo spettacolodella produzione dell’ombra.

Fino a quando ti sei trasferito nel deserto…

E ho cominciato a vendere ombrelloni! – Marinoscoppia a ridere – i miei amici nonché collaboratorituareg mi chiamano il Ronald Macdonald dell’Ombra NelDeserto. Tutto è nato dopo che ho trovato lavoro cometour operator in Marocco. Mi sono innamorato di unaragazza di Mali e non ho più fatto ritorno in Italia. Misono fatto moltissime amicizie tra gli operatori turistici(...un po’ a tutti i livelli...) tra i tuareg e anche con diversigruppi di beduini e quando è venuto il momento dirischiare con la mia nuova attività di vendita di ombra neldeserto queste amicizie mi sono state molto utili. I touroperator organizzavano i safari in modo da transitare neipressi delle mie ombre, e così pure i tuareg e qualchegruppo di beduini.

Come funziona l’attività?

Funzionava (...e funziona...) così: ho disposto ombrenel deserto del Sahara. Per produrre le ombre houtilizzato coperture di canapa e di bambù di diverseforme. Forme a delfino, a elefante, a giraffa, a cammello.Poi sotto ogni copertura (...che proiettava un’ombra didieci metri quadrati...) ho messo un cartello con la tariffa:sosta per più di venti minuti e il relativo costo in dollari,in euro, in sterline e in altre valute. Gruppi di beduini e dituareg mi aiutavano a monitorare le settecento ombre

collocate nei punti più strategici del deserto e… be’,Sebastiano, e far pagare i turisti furbastri.

Sembra tutto molto poco credibile, d’accordo; etuttavia, lettori de Il Club, dovete credermi quando dicoche ho verificato tutto quanto con questi miei stessi occhi.Marino è ufficialmente il primo venditore d’ombra, e lesue settecento ombre gli fruttano qualche buon soldo, enon è detto, come lui stesso mi ha lasciato intendere allafine dell’intervista, che non si presenti in futuro lapossibilità di trasformare ombre in oasi con caraffed’acqua ghiacciata, ghiaccioli, gelati e quant’altro. Neldeserto?!, direte voi. Proprio così, cari lettori de Il Clubdei Mestieri Stravaganti, proprio nel deserto; o almenocosì Marino sostiene che sia possibile fare, e noi nonpossiamo che fargli i nostri auguri più calorosi!

Comunque: a partire dal duemiladue la rivista IlClub dei Mestieri Stravaganti ha fatto sì che partecipassial torneo di ping pong per tre volte di fila per la ragioneche quando partecipo al torneo, lo faccio anche in qualitàdi inviato speciale della rivista del mio personalissimoclub. Al torneo di ping pong hanno partecipato nel temponumerosi casi di mestieranti stravaganti, soprattuttonumerosi casi di quel che si possono considerare (...o chesoltanto loro stessi si considerano?...) sottoccupati, e ditutti loro ho trascritto le storie, e non è detto che un giornoo l’altro non mi decida a confezionare un numero molto

speciale della rivista Il Club dei Mestieri Stravaganti contutte queste storie dentro.

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La foto del carrello degli snack

Babila e io osserviamo lo scaldavivande di Damasoper almeno cinque minuti in silenzio. La foto scattata daSuor Ughetta è molto nitida e lo scaldavivande – lo stessoche Damaso utilizza sulle vetture dei treni e che di solitoin quanto scaldavivande rappresenta una presenza tuttosommato ingombrante quando si viaggia in un treno e siincontra nel corridoio mentre si cerca un posto dovesedersi oppure quando si sta messi nei sedili fuori dagliscompartimenti e lo scaldavivande costringe ad alzarsi inpiedi e ad appiattarsi da qualche parte – adesso nella fotodi Suor Ughetta (...come segnala il riquadro in basso adestra la numero 353...) è un oggetto che ci piacemoltissimo. Forse è lo scaldavivande di Damaso a esserecome nessun altro scaldavivande ci è sembrato mai; inogni caso ci piace moltissimo – e deve essere piaciutomoltissimo anche a Suor Ughetta se ha dedicato a questooggetto una fotografia intera in dettaglio. Nel ripianoinferiore dello scaldavivande sono impilate e compresse leconfezioni cilindriche dei Ringo Boys (...con lascritta //Ringo Boys// rossa su sfondo bianco e blu...), itubetti multicolore degli Smarties, le confezioni rosse deiKit Kat, le striscie nere dei Mars, le strisce bianche e

azzurre dei Bounty (...“il cioccolato ripieno di cocco chefa venire setissima!” Babila esclama...), i contenitori colororo con le scritte rosse dei Twister, i tubetti dellecaramelle Mu, e sopra le confezioni dei Ringo Boys leconfezioni gialle dei Tuc, le scatole rosse dei Cipster, isacchetti gialli e rossi dei Fonzies, i parallelepipedi verdidelle noccioline tostate, e le confezioni triangolari deitramezzini (...prosciutto e formaggio; funghi e ricotta;gamberetti...) da due euro e cinquanta incastrate in unmodo che quattro confezioni a piramide formino la facciadi un quadrato. Dalla fotografia si vedono tre facce diquadrati che danno come l’impressione di un muro fatto dimattonelle non di terracotta ma di tramezzini di formatriangolare. Le mattonelle di tramezzini, di confezioni diTuc e di noccioline tostate coprono totalmente icontenitori del caffé, del cappuccio e delle altre bevandecalde che escono da un rubinetto di plastica bianca chesporge da un lato del carrello. Sul ripiano superiore c’è unbricco del caffé con il tappo nero, un thermos arancione(...che contiene the al limone...), e montagnole di quelleche a prima vista sembrano bottoni gialli, verdi, arancionee invece guardando meglio sono decine e decine diSmarties sciolti (...probabilmente sono stati fatti preparareda Suor Ughetta...), sacchetti che contengono nastrini diliquirizia nera e sacchetti di gelatine verdi, rosa e gialla(...menta, fragola e limone...). Mentre osservo il carrelloscaldavivande non posso fare a meno di pensare aDamaso, che è il possessore del carrello e che di lavoro fail venditore di snack sulle vetture dei treni. Damaso, va

detto, è anche il gestore di un chiosco ambulante che disolito il giorno del torneo di ping pong, grazie a unaccordo preventivo con le suore, si sistema subito fuoridalla portineria (...sulla destra...) e vende frittelle,pannocchie imburrate, panini con la porchetta, con lasalamella, con wurstel crauti e senape, con prosciuttocrudo e maionese e produce una quantità impressionantedi sboffi di fumo nero e odore di fritto. Il chioscoambulante (...con i cerchioni delle ruote bianchissime...)viene concesso a Damaso in affitto per il giorno del torneo(...e per altre manifestazioni organizzate dalle suore...) eviene gestito dalla sorella di Damaso (...Elvira...); questofa sì che si possa dire che il venditore di snack sullevetture dei treni è il solo mestiere di Damaso. Damaso èalto un metro e novanta (...è appena un po’ più basso diVitale...), porta occhiali quadrati con una montatura diplastica nera, ha ciuffi arricciati sul cranio (...ma non: sututto quanto il cranio...), e dopo tre anni che lo vediamo altorneo di ping pong, a differenza di Vitale, Damaso cisembra mezzo svitato, e Damaso in fondo è laureato inIngegneria Meccanica. Sì, è così: Damaso è laureato inIngegneria Meccanica, a meno di pensare che ildocumento nella cornicetta marrone appesa nella suastanza non sia autentico e che almeno tre tra i suoi ex-colleghi di corso all’università di Pavia mentano su tutta lalinea. Poiché lo conosciamo, Babila e io (...e non solo io eBabila...) a volte non riusciamo a capire come Damaso sisia laureato in Ingegneria Meccanica a Pavia e a voltecome Damaso possa essere un Ingegnere Meccanico che

in fin dei conti di lavoro fa il venditore di snack sulleautovetture dei treni. Insomma il dubbio oscilla tra:Damaso assomiglia di più a un Ingegnere Meccanicooppure a un venditore di snack sulle autovetture dei treni?Qualche volta siamo tutti concordi nel ritenere Damaso unvenditore di snack sulle autovetture dei treni. Prima ditutto perché Damaso puzza. Poi perché la sua camicia diflanella bianca è sempre decorata da almeno due o tremedaglie di unto (...anche se Stella ha avanzato l’ipotesiche le macchie scure sul petto siano della stessa naturadelle macchie scure sotto le ascelle...). In terzo luogoperché Damaso ha evidenti difficoltà a parlare. Tutte levolte che pronuncia cinque parole (...è stata Rosa a fare ilconteggio preciso...), spalanca la bocca e tira fuori lalingua (...e la lingua di Damaso è enorme; sembral’enorme big bubble della mia novella Il ciuingo...), e lasesta parola è come se gli saltellasse sulle papille gustativesollevando piccole palline di saliva, e ogni volta quellaparola – solo quella! – si storpia: la sesta, la dodicesima, ladiciottesima, e via così (...secondo i precisi conteggi diRosa...) per tutti i multipli di sei. È piuttosto imbarazzante.Non voglio che nelle mie parole si manifesti anche il piùpiccolo accento di intolleranza, questo no, perchévogliamo tutti quanti bene a Damaso, ma la sua difficoltàa parlare, bisogna ammettere, ci mette sempre tutti quantiin imbarazzo. Ecco un esempio di dialogo con Damaso.

“Ciao, Damaso”“Ciao, Sebastiano”

“Hai visto la Juventus settimana scorsa?”“Eh già. Vi abbiamo fritto

cuooooouuumeeeeauuuuu squiccie”“Prego?”“Ho detto che vi abbiamo

freeeeauuuuuiiiiiiiiiiitttuuuuuuuaaaaaauuuuuoooo come squicce. Io sono interistafuuuuuuuiiiiiaaaaauuuunnnnnnnnnn daquando ero bambino eduuuuaaaaeeeeeiiiiooooouuuuu sempre sonoantijuventino”

“Ho capito, Damaso. Mi passeresti unpannocchia imburrata?”

“Ecco la tua pannocchia; cinqueeuaaaaaaaaruuuuuuuuuo”

Quello che abbiamo un po’ tutti quanti imparato a

non fare con Damaso è proprio quello che io ho fatto peruna volta in questo dialogo: dirgli //prego?//, oppure dirgli//scusa, non ho capito//, oppure //puoi ripetere?//, e viacosì. Perché altrimenti potrebbe succedere quel che èsuccesso a Babila in questo dialogo qui.

“Ciao, Damaso”“Ciao, Babila”“Hai visto che bel torneo quest’anno?”“Oh sì, proprio un gran t-ah!-t-ah!-t-

ah!-uuuuuuuuoooooorn-n-n-n-n-n-n-n-n-n-n-eeeeeeeeuuuuuuuuuuooooooo quest’anno! Le

suore sono state brrr-brrr-brrr-brrr-brrr-brrr-brrr-aviiiiiiiuiiiiiiuiiiiiuiiiissssimsbué!”

“Eh?!”“Ho detto che è proprio

uuuuuuuoooooooeeeeeeeeeeeuuuuuunnnnnnngran torneo quest’anno! Lesuuuuuuouuuuuuuuuuouououououoriiiiiiiiiiieeeeeeuuueeeeee sono state bravissime!”

“Che cosa hai detto?!”“Ma cos’è sei sorda?

Huuuuuuuooooooaaaaauuuuuuueeeeeeeiiiiiiiuuuuuuuuuuuo appena detto che è propriouuuuuuuuuuuuoooooooeeeeeeeeeeeeeeuuuuuuuuuuuunnnnn gran torneo quest’anno! Lesuuuuuuouuuuuouououououoriiiiiieeeeeeeeeuuuuuuuuueeee sono state bravissime!”

“Damaso, scusami, ma non riesco acapire niente! Mi prepareresti un bicchiere dicaramelle? Ci metti un po’ di galatine e un po’di gelatine e tanti nastrini di liquirizia…”

“Comunque, Babila, ho soltanto dettoch-ah!-ch-uh!Ch-ih!-ch-oh!-e è proprio ungran torneo questoaeeuuuuuuuoooooonnnnnnnnaaaauuuuiiiiiiooooooooeeeeeeeooo! Le suore sono statebravissime!”

Comunque: non c’è solo l’aspetto delle parole.Damaso è anche un tipo piuttosto maldestro, anzi: è un

tipo maldestro in un modo sinistro. Una volta mi hapreparato un hot dog con wurstel e tomato e quando mel’ha allungato (...al chiosco capita che Damaso qualchevolta dia il cambio a Elvira...) tenendolo per la parte chesta avvolta in una carta grigia e untuosa come la suamaglietta (...e il sudore sotto le ascelle...), il wurstel èschizzato dal panino come un missile – credo abbia anchefatto il rumore squac! –, mi ha colpito sul mento, si ègirato in volo per la parte lunga e mi è rotolato per tutta lamaglietta fino ai pantaloncini lasciandosi dietro unastriscia di salsa peggio che se mi avessero passato un rulloimbevuto di vernice. Una volta Damaso mentre allungavaun hamburger a Suor Ottaviana, il dischetto di carnemacinata è cascato fuori dalle fette di pane ed è finitodirettamente nelle mani di un bambino lì sotto che hasubito cominciato a mangiarselo. Damaso prepara lefrittelle e le impila in un angolo del chiosco. Le frittelle diDamaso sono quel che qui a Tortona sidefiniscono //squicce//. Le squicce sono una pastellasottile che si ottiene con farina, acqua e sale, e hanno unaforma circolare grossa tanto che potrebbe ricoprire unpiatto fondo. Damaso prepara queste frittelle tonde e sottilifacendo “fare le capriole” sulla padella alle frittelle, poi lemette una sull’altra. Sul ripiano del chiosco c’è sempreuna torre gialla di frittelle pronte per essere messe su unpiatto di carta e allungate a qualcuno. Quando nessuno siavvicina al chiosco, Damaso passa il tempo a prepararefrittelle e ad aggiungerle alla torre gialla – un anno avràpreparato non so quante frittelle (...non scrivo il numero di

frittelle; ho paura che quel numero quale che sia mipotrebbe procurare il voltastomaco...), e l’altezza dellatorre avrà toccato il mezzo metro. Il fatto è che quandoDamaso prepara le frittelle (...e le prepara con una mediadi due al minuto – bruciacchiando le estremità...), succedeche quando decide di farle saltare sulla padella, qualchefrittella finisca a due o tre metri di distanza dal chiosco – equesto succede spesso. Praticamente basta osservare perqualche minuto il chiosco di Damaso e si può star sicuriche volerà una frittella sul pavimento del loggiato delcortile interno del San Giuseppe. (...mi viene da dire: dalchiosco al chiostro...). Una volta ho visto con i miei occhiuna frittella che finiva in testa a un bambino di sette o ottoanni. Il bambino si è messo a piangere, a battere i piedi,con la frittella gialla adagiata sulla testa come unasciugamani. Un’altra volta mi è stato riferito che SuorBianchina è scivolata su una frittella ed è rotolata per duemetri sul pavimento del chiostro interno del San Giusepperimanendo miracolosamente intatta – //miracolosamente//perché, come mi è stato riferito, Suor Bianchina avevarotolato appoggiando tutto il corpo anche sulla testa.Quella volta Suor Clementina, che è la direttrice, eraspuntata fuori dal suo ufficio e si era radunata con altre treo quattro suore al cospetto di Damaso. Erano sbottate. Gligridavano tutte e quattro rimanendo immobili sulle gambee muovendo il busto di qua e di là, avanti e indietro:quattro suore indemoniate. Gli avevano detto che non eraaccettabile che Damaso lanciasse le frittelle sul pavimentoe ci è mancato tanto così che dopo quella volta Damaso

venisse sostituito con qualcun altro. Alla fine è rimasto lui,e tuttavia, nonostante i rimproveri e le minacce, ancoranon ha smesso di lanciare le frittelle sul pavimento. Allafine della giornata del torneo di ping pong ogni volta cisono almeno una ventina o una trentina di frittelle sulpavimento e ho visto anche qualche bambino inventarsiqualche giochetto come lanciarsi le frittelle uno addossoall’altro che volano nell’aria come freesbee solo molto piùmolli. Una volta ho visto i bambini inventarsi il gioco del“salto nelle frittelle”. Quattro o cinque bambiniprendevano le frittelle che finivano sul pavimento, leportavano al centro del cortile e le disponevano in fileparallele, una frittella a distanza di un metro dall’altro, epoi cominciavano a saltarci sopra. Il gioco, se non hocapito male, consisteva in questo: saltare sulle frittelle ilpiù rapidamente possibile in modo che rimanessero intatteil più possibile. Un bambino ciccione che ha volutogareggiare a tutti i costi, ha disfatto tutte le frittelle di tuttee due le fila. Qualche genitore si arrabbiava un po’ perquesto gioco soprattutto quando i bambini saltavano soprale frittelle spalmate di sciroppo d’acero, di nutella o dimarmellata perché i bambini finivano per sporcarsi lescarpe e gli orli dei pantaloni. Per tornare a Damaso, unacosa che abbiamo imparato è di non farsi aprire mai lelattine di coca cola, fanta o sprite da lui perché quando lofa lui, ogni volta dal taglietto triangolare parte uno schizzodi almeno mezzo metro. Un anno Babila è stata con lamaglietta bagnata di sprite per due ore e la guardavanotutti specialmente perché dalla cotonina spuntavano

capezzoli durissimi. Damaso, comunque, nonostante tuttoquesto, ci sembra un Ingegnere Meccanico quando gioca aping pong. Sembra un architetto del gioco del ping pongper la precisione di certi suoi colpi. La sua specialità è iltopspin. Damaso colpisce la pallina dall’indietro aldavanti, torce il busto al massimo e ogni volta che colpisceporta la racchetta fino alle cosce senza piegare mai ilgomito. La palla viaggia fortissimo. C’è solo un altrogiocatore al mondo che colpisce la pallina così e si chiamaWerner Schlager.

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I colpi speciali degli iscritti al torneo

Quest’anno ho intenzione di confermarmi campionedel torneo. Il fatto è che vincere mi aiuta a stare bene, edevo cercare di vincere più spesso, e al momento ho solo iltorneo di ping pong che posso vincere. Ho inviato anchequalche novella (...che ho rivisto e corretto...) a una seriedi concorsi letterari e con l’intenzione di vincerli. Non èche voglio diventare un novelliere e non voglio nemmenodiventare un giocatore di ping pong professionista: il mioobiettivo è solo vincere qualche cosa, dimostrare di esserebravo almeno in qualche cosa ed è con questo spirito chein portineria dopo aver salutato Evaristo, davanti a SuorClaretta ho letto i nomi della lista degli iscritti del torneodi quest’anno. Sapere in anticipo chi sono gli iscritti miaiuterà nella preparazione del torneo che da due anni

svolgo all’oratorio del San Michele giocando con DonFabrizio oppure con qualche ragazzetto. Due anni fa (...elo scorso anno...) ho osservato bene tutti gli iscritti e icolpi dove dimostrano abilità maggiori. Caio, che è ilprimo della lista, dai filmati che ho potuto visionare sullarete gioca come Timo Boll, un campione tedesco. Cosimoè un campione del chop – e infatti scherzosamente loabbiamo soprannominato Over the chop. Evaristo è ildrago dei topspin. Marina è la regina del palleggio. Stellaè molto abile nel blocco. Rosa è da tenere d’occhio: èquella che si può definire un’attaccante allround. Benignoè un eccellente toppatore alla media distanza. Ottavio èinstancabile nel contro scambio. Gianna è una chopper.Desideria non è molto brava, ma ha un contro topinvidiabile – e, già che ci siamo, ha anche un topinvidiabile, soprattutto per quel che ci sta sotto. DiDamaso ho già detto. Io sono il campione – e comeBenigno posso definirmi un toppatore evidentissimo.Babila, anche se si arrabbia quando glielo dico, giocacome Kalinikos Kreanga che si dice abbia il rovescio piùpotente di tutti i tempi – e posso testimoniare che di sicuroBabila di più potente di tutti i tempi se non altro ha ilmanrovescio.

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Zita

Da: Sebastiano Ornella [email protected]: Milena Moneli [email protected] invio: lunedì 1 Luglio 2002 23.42Oggetto: Ciao

Ciao Milena,Oggi sono stato scaricato su Internet. Zita. Mi ha mollato. Mi è arrivata una e-mail alle 22.34. Stavo navigando sul sito di Ligabue. Stavo scaricando l’mp3 Questa è la mia vita. In basso alla sinistra dello schermo è apparsa la

finestra di avviso dei messaggi di posta elettronica. Ho visto che si trattava di un messaggio di Zita.Ho aperto. Ho letto. 3 righe. Ci ha messo 3 righe, la stronza, per liquidarmi. Ha usato il carattere Comic Sans, 14 di dimensione,

colore giallo, su sfondo rosso. Ho letto il messaggio almeno un milione di volte, in

mutande, davanti allo schermo.

Mi ha scritto che le dispiace, ma che non può piùcontinuare a vedere un moroso solo di Sabato e diDomenica.

Mi ha scritto che lei è di Milano e io di Alessandria.Anzi: di Tortona.Ci sono troppe differenze – ha scritto – tra me, che

sono di una città piccola, e lei, che invece è di una cittàgrossa.

Ma è proprio sulle differenze, Milena, che Zita e ioabbiamo fondato il nostro rapporto.

Per dimostrare che un rapporto si può fondare sulledifferenze.

Io 24 anni, lei 30 ad Agosto. Lei di Milano, io di Tortona. Lei commessa in un negozio di pelletteria, io ancora

studente. Io che metto prevalentemente Polo e camicie con il

colletto rigido, lei capi rigorosamente non firmati. Io da Circolo di Lettura, lei da Centro Sociale. Pretesti. Pretesti. Per lasciarmi, Per lasciarmi.Devo scoprire perché. 3 anni, 3 righe. Ho bisogno di parlare con qualcuno.Vediamoci.Bai. Seba.

Da: Sebastiano Ornella [email protected]: Milena Moneli [email protected] invio: giovedì 4 Luglio 2002 08.33Oggetto: senti questa

Ciao Milena,Ieri mi è successa una cosa di una sfiga mondiale! A parte lo stufato di puledro – buonissimo – che hai

preparato, la serata dolcissima, te graziosissima, avertivisto martedì, scusa, ma mi ha portato una sfiga da dio!

Mercoledì – ieri – verso le undici finalmente riescoa contattare Zita sul cellulare.

Come fa sempre mi ha parlato di cibi biologici, diecoterrorismo, di antrace, encefalite, mieloencefalite… poialla fine le ho estorto un appuntamento, alle 16.00 – ioavrei preso il treno alle 14 e 46.

Lei ha detto va bene, ma non sembrava troppoconvinta.

Per convincerla ho scelto la mia Polo più sgargiante:quella rosa salmone.

Sulle Polo e sul mio modo elegante di vestirmi – perme elegante, per lei fighetto – lei mi aveva sempre detto:“Sei un figlio di puttana fascista conformista col cervellopiatto senza palle senza personalità” e io le avevo semprerisposto: “Sei una radical chic pacifista vetero-comunistagiottina girotondina no-global della domenica”.

Tutto questo per noi agli inizi sembrava il pilastropiù solido del nostro rapporto.

Comunque.

La pacifista (...Mercoledì ha mezza giornatalibera...) si presenta al fianco del suo nuovo principeazzurro e – qui viene il bello, tieniti forte – il principeazzurro, uno con una zazzera di capelli ricci, con unamaglietta con ditate di grasso per le biciclette e colori atempera (...“nel tempo libero ripara biciclette,elettrodomestici – e tra questi televisori – e dipinge”spiega Zita...) e con scritto sul davanti L’UNICAREALTA’ GLOBALE E’ QUELLA AMERICANA, e suldietro NO AMERICA, NO GLOBAL, con il culo con ildoppiomento, le maniglie dell’amore che gli esplodono dailati come due tasconi naturali, la ciccia che pende sotto lebraccia, e il fisico che, sono sicuro, se avessi appoggiatouna mano, la mano sarebbe prima sprofondata, e poisarebbe stata risucchiata e con lei tutto il braccio e poisarei finito dentro a quella massa di ciccia tutto quanto,questo principe azzurro mi fa: “Ohè ciao delpiero2002, iosono normanbobbio77”.

Lì per lì non capisco. Pensavo che questo mi volesse spaccare la faccia.Invece mi tende la mano e dice questa frase. Allora dico: “Uh?” E lui: “Ohè, pirla, non ti ricordi? Sulle chat! Sul forum di filosofia politica! Sono normanbobbio77 e tu sei delpiero2002”. Adesso ricordavo.Delpiero2002 è il mio nickname. Lo uso per tutto.

Dalla chat degli incontri alla chat di filosofiapolitica.

E’ un nickname che funziona: spesso mi ritrovo aconversare con cinque o sei internauti a tempo, e tra questipiù di una volta c’è stato anche normanbobbio77, questaspecie di fratello grosso e scemo di Bob Dylan che adessomi trovavo di fronte.

‘sto qui mi ha mandato un’e-mail una volta…

(Da: Sebastiano Ornella [email protected]: Graziano Malvicini <[email protected]> Data invio: domenica 5 Maggio 2002 19.46Oggetto: Re: 11 Settembre

E tutti ci ricorderemo dove eravamo inquel momento (...11 Settembre 2001, Alessandro Baricco...)

Ciao Graziano,

Da quando l’11 Settembre c’è stato è comese tutte le minacce del pianeta si sianorisvegliate convergendo verso di me te noitutti. Io tutte queste minacce me le sento giàaddosso: botulino tularemia vaiolocarbonchio peste bubbonica. E non bastacerto il Cypro e i derivati della penicillinaper scongiurare una bio-bomba o fermareun OGM. L’11 Settembre ci ha svegliati ciha detto che tutte queste cose esistonopremono su di noi anche se non lo

sappiamo non lo vogliamo vedere. Ci hadetto che il capitalismo è distruzione ilglobalismo è il male. Io l’11 Settembre hosentito con le torri che crollavano l’urlo ditutte quelle vite succhiate dai lavori per lemultinazionali ho sentito l’esplosione perdelle grida di gioia di persone che loromalgrado sono il polmone di questasocietà. Quella è stata la vera esplosione lavera bomba…

L’11 Settembre 2001 io stavo a casa, nella miastanza, e studiavo Diritto Cee.

Circa alle 8.00 dell’11 Settembre 2001 mio fratellogigi mi ha chiamato in sala dove abbiamo la tele e habuttato là un: “Clamoroso!!”, con due punti esclamativi.

In televisione su retequattro c’era l’immagine delWord Trade Center fumante, con i suoi 110 piani, i suoi50000 lavoratori all’interno anche se quel giorno, aquell’ora, erano molti meno.

Nel televisore c’era il fumo, c’era Emilio Fede cheminimizzava – hai letto bene: minimizzava – dicendo: “Cisaranno tre o quattro morti, non di più, c’era il cieloazzurro (...anche fuori dalla finestra a Tortona c’era ilcielo azzurro...), c’era il centro di Manatthan.

Il mio televisore è un Panasonic 50 pollici, 40 canali,e più della metà non si vedono.

La definizione dell’immagine è quella che è, vistoche lo abbiamo ormai da 10 anni.

Un mio amico ha un televisore grosso come unaparete: se fossi stato a casa sua chissà che cosa avreiprovato nel vedere le immagini.

Comunque la sensazione è stata forte anche colPanasonic.

Per di più oltre alle altre sensazioni provavo anche lasensazione di sentirmi un po’ uno stronzo a guardarequelle immagini.

L’11 Settembre 2001 avevo concluso da poco menodi tre settimane il servizio civile, che in virtù di unaraccomandazione ho svolto in gran parte nella BibliotecaCivica della mia città, e che ho terminato prima –praticamente un mese prima – non facendo vacanze erubacchiando di qua e di là qualche ora.

Mentre prestavo servizio principalmente spostandolibri da una sezione all’altra della Biblioteca, mi ripetevo:“Cosa mi frega?

Oggigiorno nessuno potrà coinvolgere l’Occidente inuna guerra, figurarsi l’Italia poi…”

Bene.Adesso stavo lì a osservare il pennacchio nero che si

levava dalle Torri Gemelle nel mio televisore Panasonic, elasciamelo ripetere, mi sentivo proprio un po’ uno stronzo.

Alle 9 e 43 quando un altro aereo si è schiantatocontro il Pentagono, in Virginia, io, in Piemonte, ero nellamia stanza, sdraiato sul letto, col bigino di Diritto Cee trale mani; di nuovo mio fratello gigi ha fatto: “Clamoroso!Clamoroso, Seba, vieni!!” E io mi sono alzato, ho chiuso illibro, quasi mezzo contento perché quel che stava

succedendo in televisione – in tutta quanta la televisione,in tutte le reti di tutta quanta la televisione – mi sembravase non altro un motivo per sospendere gli studi.

Certo, non immaginavo ancora, complice EmilioFede, e il mio televisore Panasonic che mi mostravaimmagini da 50 pollici, delle reali dimensioni degliattentati; ma con la mia calma, ci son arrivato anch’io – e,adesso non ricordo, ma con la sua calma ci deve esserearrivato anche Emilio Fede.

La gente che si buttava dalle Twin Towers, le linguedi fuoco, gli sboffi di fumo, il crollo delle Twin Towers(...mio fratello gigi ricordo che ha detto quasi subito dopoil primo buco alle torri: “Per me vengono giù!!”...), tuttoquel polverone, la gente per la strada che scappava a boccaspalancata, le parole in americano, l’American Airlinesche annuncia di aver perso un Boeing 767 in volo daBoston a Los Angeles, 58 passeggeri e 6 membridell’equipaggio a bordo.

“Qui va a finire che parto sul serio per la guerra!!”Continuava a dire mio fratello che era prossimo al serviziodi leva.

Io stavo in silenzio. Ho preso due Gassose rosse, ho offerto una Gassosa

a mio fratello, abbiamo stappato, abbiamo continuato adosservare la tele.

Tg5, tg4, tg1, tg2, tg3, Studio Aperto, La Sette,telelombardia, Canale 8… tutti mostravano le stesseimmagini della Abc, anche se su Rai Uno, come sempre, sivedeva tutto meglio… però su Canale 5 Mentana si era

messo a usare aggettivi come //terribile//,//terrificante//, //catastrofe//, //catastrofico//, //orrore//, evia così, e a fare una serie di facce (...…si prendeva latesta tra le mani, tirava fuori il labbro, piegava in giùgl’angoli della bocca, si grattava la testa…...) rinunciandoal ruolo di informatore dei fatti in favore del ruolo diintrattenitore.

Mentre cercavamo di farci calmare dalla Gassosarossa, mio fratello e io abbiamo osservato dentro la tele laparata dei senatori Usa, il lancio dei primi sospetti, Bushche volava nel suo aereo presidenziale, dopo essere uscitoda una scuola in Florida di tutta fretta, ma soprattuttoManhattan che sembrava sgretolarsi un edificio dopol’altro.

Alle 18.00 circa ho guardato l’ora, mi sono resoconto che non era mattino, ma quasi sera (...le 18.00 circaappunto...), e che dovevo correre, in quell’11 Settembre2001, subito in palestra, con tutti i soldi che avevo speso.

Oggi 5 Maggio 2002 è così che mi sento di parlaredell’11 Settembre 2001, da casa mia, Via Monti 12,Tortona, Alessandria, Piemonte.

Forse non l’ho vissuta proprio così; ma queste cosemi ricordo, queste cose ti affido.

Ps: la prossima volta puoi infilare qualche virgola trauna frase e l’altra?...)

…sull’11 Settembre. A questo punto che cosadovevo fare?

Piantare una scenata a Zita lì al binario 18 dellaStazione Centrale di Milano?

Non è nel mio stile. Il mio stile è stringere la mano dell’avversario,

sopportare che l’avversario stringa la mano della mia –non più mia – ragazza, e avviarci in piazza Duomo, chissàpoi a fare che cosa.

Nel mio stile è compreso anche subire lefarneticazioni deliranti di un finto estremista bombaroloche spara a zero su tutto.

“Hai comprato quella Lacoste da un vu’ cumpra’,eh?” Ha pure detto come interrompendo se stesso inmetropolitana. “Si vede dal coccodrillo: troppo in basso.Anche io prima comperavo Lacoste dai vu’ cumpra’”.

Sono un bluff in molte cose, ma non nelle mieLacoste, così gli ho risposto.

“Guarda che questa Lacoste è originale” . Poi a Zita ho detto: “Ma questo dove l’hai pescato?”La mia domanda aveva una risposta disarmante, cara

Milena. Ero stato io a presentare normanbobbio77 a Zita:

invitandola sciaguratamente a partecipare al forum difilosofia politica on-line.

Zita e normanbobbio77 si erano trovati su moltipunti, l’avevo intuito già sul forum ; non solo, ma, in chat,davanti ai miei occhi, avevano finito per scambiarsi gliindirizzi e-mail, e più tardi con ogni probabilità anchealtro.

“Io e te dobbiamo parlare” ho detto a Zita mentrenormanbobbio77 non la smetteva con il suo vaniloquio.

Zita mi ha risposto che lei e normanbobbio77 – malei non lo chiamava così – si erano messi assieme.

Ci ha messo tatto e gentilezza.Questo dettaglio ha spinto tutta quanta la commedia

a un passo dalla tragedia; ma osservando le dimensioni delmio avversario (...1,90x100Kg...) ho deciso per qualcosadi successivo e di più meditato.

Poi interrompere normanbobbio77 dai suoi discorsiestremisti sembrava proprio un’impresa disperata.

Mai visto qualcuno vomitare più parole in vita mia incosì poco tempo: era evidente che normanbobbio77dovesse avere qualche genere d’inquietudine addosso.

“NAFTA ATTAC MERCOSUR APEC OMC OCSEASEAN NATO EFTA BANCA MONDIALE”.

“Ma che sta dicendo adesso?” Ho domandato a Zitamentre osservavo gli occhi fissi di normanbobbio77.

“Quelle che sta elencando le sigle delleOrganizzazioni, Istituzioni, Associazioni connesse allaGlobalizzazione” mi ha risposto Zita.

“…in Italia c’è l’82,10% di globalizzazione!” Mi hadetto normanbobbio77 voltandosi verso di me”. “82,10%!Siamo pieni ce n’è dappertutto ovunque!” Scrollava lazazzera monolitica ad ogni parola.

In Piazza San Babila normanbobbio77 è andatoavanti con il suo sermone anti-global, mentre io cercavo difar leva sul buon senso di Zita.

“Guardalo, Zita, sembra un rivenditore di salsicce” ledicevo.

“…internazionalizzazione mondializzazionemacdonaldizzazione glocalizzazione…”.

Normanbobbio77 parlava come scriveva: senzavirgole.

“A me invece sembra così… macho”: lei.“…massificazione razionalizzazione

individualizzazione localizzazione…”.Mio Dio.“Zita, perché mi hai lasciato?” Ho tagliato corto io.“Perché siamo troppo diversi io e te”: lei.“Ma… ma… Santo Cielo, Zi’, ragiona… – le ho

detto – Tutti quei discorsi che abbiamo fatto sulledifferenze: le differenze non vanno abbattute!, nonbisogna dire: “Non esistono le differenze!”, comese //differenza// fosse sinonimo di //problema//, mabisogna dire: “Esistono le differenze però… chi se neimporta”.

Non ricordi più? Noi… noi due eravamo… saremmo stati il primo

esperimento…”.“…villaggio globale è un ossimoro stupido per

rappresentare un concetto irrapresentabile. Io non sono perla omogeinizzazione dei bisogni e mi disgusta lastandardizzazione. Io voglio segmentazione: un ritornoalla segmentazione: voglio la segmentazione….”

“Io e Bombo…”“Bombo?!”

“Bombo, come Ecce Bombo” Bombo era normanbobbio77.“Io e Bombo ci siamo conosciuti di persona al

Rainbow, un locale qui di Milano frequentato da anarchiciinsurrezionalisti dove si balla solo ska.

Non puoi capire, Seba. Quello che lui dice… è il futuro, è chiaroveggenza,

lo capisci?”. Io la guardavo. “Eh no, vedi?, non capisci”“Per me siete tutti fusi”“Sapessi com’è colto! Fa filosofia da sette anni, e parla benissimo, ma non

parla soltanto, è anche attivista. C’era anche lui, sai, in quell’inferno a Genova…

faceva parte del corteo pacifico… ha anche conosciutoZulu dei 99Posse”

Io mentre i miei coetanei a Genova si erano messi agiocare allo sceriffo e al cowboy, ero alle prese conun’altra Gassosa rossa davanti al Panasonic in sala.

Insomma, Milena, ti risparmio i dettagli di questopomeriggio.

Loro due erano affiatatissimi: alla Ricordi hannorubato un manuale di giardinaggio e un cd di Gigi Sabani;davanti a macdonald hanno inciso un vetro con untemperino disegnando una svastica no-global; e poicontinuavano a baciarsi, accarezzarsi…

Mio Dio.

Sono scappato di corsa, e adesso, ripensandoci, nonsto proprio bene.

Bai. Seba. Da: Sebastiano Ornella [email protected]: Milena Moneli [email protected] invio: lunedì 8 Luglio 2002 21.16Oggetto: una morale Ciao Milena,Poco fa mi sono fatto un’insalata. Ho preso le foglie, le ho condite con l’olio, con

l’aceto. Mentre mangiavo ho letto l’etichetta della bottiglia

dell’olio. C’è scritto che il 78% dell’olio proviene dall’italia, il

10% dalla Spagna, il 7% dalla Germania, il 5% dallaGrecia.

A me che ho girato bene l’Italia, ma sono stato anchein Spagna (...Madrid...), in Germania (...Berlino...) e inGrecia (...Atene...), leggendo l’etichetta e poi mangiandol’insalata, è piaciuta l’idea di questo olio fatto di tanti oliche provengono tutti da città che ho visitato: quasiriuscivo a immaginare i frantoi spagnoli o quelli tedeschi(...quelli spagnoli dotati di una mola molto grande, undisco di granito grigio pesantissimo; quelli tedeschi dotatidi una mola più piccola però di marmo lucidissimo cheschiacciava olive verdissime...), e immaginavo le olive

greche o quelle toscane, e riuscivo quasi a sentire il saporenelle diverse percentuali – quasi riuscivo a immaginarlenelle diverse percentuali perché io non so niente di olive:immaginavo le olive italiane (...toscane...) con una drupaovale molto grossa e molto verde; le olive spagnole(...madrilene...) con un drupa tondeggiante meno grossa emeno verde; le olive tedesche (...berlinesi...) con unadrupa a forma di geoide molto piccola e di un verde quasibianco; le olive greche (...ateniesi...) con una drupapiccolissima, quasi minuscola, bianchissime, e con unnocciolo grandissimo e nero.

L’insalata con l’olio globalizzato mi ha aiutato.Mi ha fatto venire idee nuoveSe non altro la globalizzazione qualche aspetto

positivo lo presenta, Milena.Adesso per esempio finita questa mail, mi scolerò

una bottiglia di vino globalizzato (...con gli acini giallidella Francia; gli acini violetti del Portogallo; gli acinirosa del Belgio…), poi scaricherò attraverso il mio pcglobalizzato un virus globalizzato e lo spedirò diritto aZita e al suo amichetto.

Bai.Seba.

13 – 17 Sfiga

Zita è la numero 13 della lista. Zita Collotta.Avvicino il foglio agl’occhi e esamino la calligrafia. Nonci sono dubbi, c’è scritto Zita Collotta. Non c’è scrittoCallotta o Collatta o Callatta o Collotto. C’è scrittoproprio Collotta. C come Como, O come Otranto, L comeLivorno, L come Lecce, O come Otranto, T come Taranto,T come Torino, A come Ancona. Col-lot-ta. Non c’èscritto Rita o Zara (...la R assomiglia proprio a una R enon a una Z; la I assomiglia proprio a una I e non a una A;la T assomiglia proprio a una T non a una R...). C’è scrittoproprio Zita. Zi-ta. Z come Zenone, I come Imola, Mcome Milano, A come Ancona. Già; Zita Collotta.Allontano il foglio dagl’occhi. “A quanto pare abbiamouna nuova iscritta” dico a Suor Claretta. Il labbrosuperiore di Suor Claretta si muove sotto i baffi allafrancese; quello inferiore resta fermo. “Sì – dice – vieneaddirittura da Milano”. Io appoggio il foglio degli iscrittial torneo sul ripiano di legno in noce specchiato e migratto la nuca per uno o due secondi.

*** cambio battuta ***

13 – 18

Zita vs Babila

Zita non è un fantasma. Non rappresenta più nienteper me. Non dopo quello che mi ha combinato tre anni fa eche io ho raccontato con un tono di leggerezza estremanelle e-mail che ho scritto a Milena, una corrispondenteche ormai non vedo più da due anni e che proprio non sodove sia finita e che cosa faccia. Rileggendo le e-mail cheancora conservo nella posta inviata del mio programma diposta elettronica, mi sembra tutto quanto molto vecchio;anzi: tutto quanto morto e sepolto. (...non mi appartengononemmeno più – io credo – i toni e l’atteggiamento chepercorrono tutta quanta la narrazione contenuta nelle e-mail...). Se Zita si è iscritta al torneo per cercare il modo diritornare con me, che mi sembra la cosa più probabile ameno di pensare che Zita abbia conosciuto qualcun altroche abita nella mia stessa città e venga per lui oppure cheabbia scoperto il sito delle suore navigando in rete e si siaiscritta per la ragione che le piace il ping pong (...a Zita?!;no, non credo proprio...), se è così, allora non devopreoccuparmi più che tanto perché Zita, come ho giàscritto e lo riscrivo, nella mia mente non è un fantasma,non c’è stata proprio più, non c’è stata fin da subito eancor più e a maggior ragione da quando ho conosciutoBabila – nell’aprile del 2004 – che, tra l’altro, hacancellato qualunque altro fantasma dalla mia mente. Contutti i problemi che ho (... Soprattutto: il lavoro che non

trovo...) babila è l’elemento che mi permette di nonpensare troppo a tutto questo e che mi aiuta ad attendere.L’attesa rappresenta per me una condizione moltoimportante. Non parlo di //speranze// o di //desideri//, hosmesso di farlo; però di //attesa// sì, e così mi sento e cosìmi piace rappresentarmi: una persona che attende. In tuttoquesto Babila è molto importante, e Zita non potràminacciare la condizione di attesa che ogni giorno Babilacontribuisce a formare e che anzi senza Babila subito sicancellerebbe. Babila è troppo importante; Zita non è statamai così importante. Troppe cose nostre e solo nostre cirendono inseparabili. Babila e io non siamo una coppia:siamo una mafia. La nostra unione si fonda sulleuguaglianze e non sulle differenze: si fonda sul medicarsile ferite vicendevolmente e non sul procurarsivicendevolmente ferite nuove. Zita invece era tuttaun’altra cosa: era solo farsi del male, e basta. Le cose chefaccio con Babila non potrei farle con nessun altra; e lecose che Babila fa con me lei non potrebbe farle connessun altro. Non abbiamo dovuto modellarci l’unosull’altro; i bisticci ci sono stati, certo, e ci sono ancora diquando in quando; ma i valori (...e per //valori//intendo //azioni// che compiamo, //cose// che scegliamo;insomma: colloco //valori// in un dominio di materialità enon di spiritualità...) sono uguali per tutti e due.

13 – 19

In gita con Babila

Come ho già scritto Babila e io ci siamo conosciutiin gita ad Assisi nell’aprile del 2004 – lo scorso anno.Ogni anno la gita si tiene nel fine settimana successivo altorneo di ping pong e il vincitore del torneo oltre allacoppa in finto oro vince la possibilità per sé e per un’altrapersona di partecipare alla gita gratis. (...la faccenda vacosì: che si arriva in pullman e si ritorna con il treno...). Ilprimo anno le suore avevano organizzato la gita aGressoney – ma io non avevo potuto partecipare.Negl’anni successivi la destinazione è stata Assisi – e ioho partecipato sempre. Ogni anno porto la chitarra e iquaderni di canzoni (...non solo il Quaderno delle Canzoniche faceva tenere Suor Clementina; anche il libro MilleCanzoni Con Gli Accordi che faceva tenere PaoloPennacchia...) e durante il viaggio intrattengo tutti quantisuonando e cantando. Per eliminare ogni imbarazzo ognivolta comincio con il pezzo Cacao Meravigliao. Quandogl’altri sentono cantare Cacao Meravigliao, capiscono chepossono proprio togliersi di dosso qualsiasi vergogna elasciarsi andare completamente. Quando poi sentono checomincio con il repertorio delle sigle dei cartoni animati(...…Doraemon, Yattaman, Lallabel, Rocky Joe, GiudoBoy, La Maga Chappy, Tutti in campo con Lotti…...) nonc’è più niente che li frena: si può cantare proprio di tutto.Cantiamo Uva Focarina e O Mia Bella Madonnina.

Cantiamo Dieci Ragazze e 24000 baci. Cantiamo Azzurroe Yellow Submarine. Cantiamo Marina e Non èFrancesca. Cantiamo a squarciagola e non siamo contentise alla fine delle sei ore di viaggio per arrivare ad Assisinon abbiamo tutti quanti l’abbassamento di voce. Alla gitadi solito partecipa chi si è iscritto al torneo. Evaristol’anno scorso è venuto. Damaso è venuto. È venuto Vitale.Rosa e Stella sono venute sempre – anche quando nonerano iscritte al torneo. Lo so perché tutti gl’anni duranteil viaggio in pullman Stella e Rosa costringono a giocare aun gioco di società a mano calda che consiste nel disporsiin cerchio e sistemare il dorso della mano destra sopra ilpalmo della mano sinistra del compagno alla propriadestra e il palmo della mano sinistra sotto il dorso dellamano destra del compagno alla propria sinistra; sicomincia a cantilenare tutti assieme una filastrocca che fa:

Do Re Mi…!Gingolo Gingolo!Angolo Angolo!Luglio Agosto!

E Poi Poi Poi…!Buone Buone Feste!Buone Buone Feste!

Noi Faremo!Spalsh!Click!

E mentre si cantilena la filastrocca, si batte il palmodella mano destra sul palmo della mano destra delcompagno alla sinistra, che subito batte il suo palmo al

compagno alla sua sinistra fino a quando non si arrivaagl’ultimi due versi della filastrocca (...Spalsh!/Click!...) ese si è abbastanza svelti da riuscire a battere il palmo delcompagno quando si canta l’ultimissimo verso(...Click!...), allora si resta in gara, altrimenti se ilcompagno è stato più svelto e ha levato la mano pocoprima che venisse colpita (...cioè nell’istante che si passadal verso Splash! Al verso Click!...), si viene eliminati.Non si può stringere la mano del compagno in modo dabloccargliela; ma di fatto lo fanno quasi tutti e a voltequesto crea qualche bisticcio. Una volta Damaso avevastretto così forte la mano di Stella per bloccargliela cheStella aveva dovuto farsi controllare la mano da Roberto,un dottore del Pronto Soccorso, che ha partecipato alla gitaun solo anno, e poi nessuno l’ha visto più. Stella temevache Damaso le avesse rotto qualcosa. Un’altra volta Caioaveva schiaffeggiato tanto forte il palmo della mano diMarina che la mano era diventata tutta rossa (...…“sento leformiche! Sento le formiche!”…...), poi era diventatorosso il braccio fino al gomito (...…“il braccio! Il braccio!Mi va in cancrena il braccio!”...) e dopo un po’ a diventarerossi erano stati il collo e la faccia (...“la testa! La testa!Mi esplode la testa!”...). Dopo cinque minuti di strilli,Marina aveva cominciato a colpire Caio sulla testa, sullebraccia e sulla faccia. Caio che era vestito con unacanottiera blu che mostrava tutti i muscoli, aveva paratoalcuni colpi con l’avambraccio destro, aveva schivato altricolpi con torsioni del busto, e poi era riuscito a bloccare ipolsi di Marina fino a quando non si era calmata. La notte

stessa Marina e Caio avevano continuato il combattimentoin camera da letto (...li avevamo sentiti più o meno tutti...)e il giorno successivo (...e per i successivi sei mesi aquanto so...) hanno smesso di combattere e si sonocarezzati e coccolati ogni momento. Anche tra me e Babilale cose sono andate in un modo piuttosto analogo a comesono andate tra Caio e Marina. Stavo giocando con unsacchetto di palloncini che mi aveva regalato Silvano(...un laureato in Farmacia di ventinove anni che l’annoscorso era disoccupato e che adesso ha trovato lavorocome animatore turistico e attualmente si trova in Egitto...)quando dal sedile davanti al mio ho visto spuntare il voltodi Babila. Babila teneva nelle mani due diversi sacchetti dicaramelle: in una mano un sacchetto di gomme damasticare verde fluorescenti (...Gli Spinaci di Braccio diFerro...) e nell’altra un sacchetto di gomme da masticarearancione con una polverina verdolina dentro che tiesplodeva tra le guance mentre masticavi. Babila mi hachiesto quale gomma da masticare preferivo e quando hoindicato le gomme con la polverina, lei mi ha allungatoGli Spinaci di Braccio di Ferro. Poi mi ha detto che sonoun ladro, che non so giocare a ping pong e chefondamentalmente sono un disonesto. Mentre Babilaparlava io ho depositato la gomma verde fluorescente inun angolo della guancia, ho estratto un palloncino(...rosso...) dal sacchetto che tenevo tra le mani, l’hogonfiato e gliel’ho regalato. “Così adesso siamo pari – leho detto – a me Gli Spinaci di Braccio di Ferro e a te unpalloncino rosso”. Lei ha preso il palloncino e l’ha fatto

scoppiare con un colpo d’unghia. Io allora ho sputato lagomma da masticare verde fluorescente dentro alposacenere che ho fatto scattare dallo schienale del sedileda dove spuntava Babila. La gomma si è tutta appiccicatasul vasetto d’acciaio e non si richiudeva più. “Ma cosa mihai dato? Mastice? Guarda! Non si richiude!”. Babilaallora è scesa dal suo posto ed è venuta dalla mia parte, siè chinata sul posacenere e l’ha chiuso con un colpo.Intanto ho potuto vedere i suoi seni ballonzolare dentroalla maglietta che indossava. Babila aveva chiuso ilposacenere con troppa forza e il rinculo l’aveva fattaricadere sul sedile accanto al mio (...ci stava Silvano; maquando è successa questa cosa con Babila, Silvano nonc’era...) e ho potuto vedere i suoi seni ballonzolare dinuovo. Babila mi ha detto che non meritavo di essere ilcampione di ping pong dell’anno e che invece lo avrebbemeritato Rosa che io avevo battuto in finale. Poi mi hadetto che la pallina che l’aveva eliminata ai quarti nonaveva strisciato il bordo del tavolo, ma era uscita, e Babilasosteneva che io lo avessi saputo benissimo e che avreidovuto dirlo a Suor Dorina che è cieca come un talpa e chesolo per questo e perché le sto simpatico mi avevaassegnato il punto. Io le ho risposto che aveva ragione equesto ha fatto infuriare Babila ancora di più. Comunqueabbiamo cominciato a parlare e non abbiamo più smessofino a sera quando giravamo per le chiese di Assisi insilenzio con la voglia di darci un bacio. Il bacio però nonce lo siamo dati, ma abbiamo giocato a tris sulla ghiaiadella piazza della Basilica di San Francesco mentre un

sole arancione grandissimo coronato da qualche nuvolettache lo faceva assomigliare a un grosso uovo all’occhio dibue faceva luce. Il giorno successivo Babila, io e qualcunaltro abbiamo giocato ai quattro cantoni poco prima diradunarci in una delle piazzette e cominciare il pranzo alsacco a base di pane e nutella e succo d’arancia(...qualcuno, però, non si era accontentato dei panini cheerano stati distribuiti dalle suore al mattino nell’ingressodell’albergo e si era comprato il panino con la porchettacon tutta la cotenna...). Mentre mangiavo il panino, misono fatto un baffo di cioccolata e quando l’ha visto,Babila si è allungata verso di me, e mi ha baciato il baffo,poi le labbra, e poi mi sono trovato due lingue in bocca(...e una non era mia...). Alla sera mi sono presentato daBabila con il gioco della dama, ma abbiamo scelto di usareil retro del tavoliere per giocare a tela mulino. L’ho fattavincere tutte le volte e quella sera mi sono fermato da leinella sua stanza. Nel pomeriggio del giorno dopo (...versole due...) babila e io ci siamo infilati nel pullman mentrenon c’era nessuno (...nemmeno Odoacre, l’autista...), cisiamo sistemati negl’ultimi posti e abbiamo cominciatocol tirare le tendine per coprire i finestrini. Babila tenevain bocca una di quelle caramelle lunghe a forma difischietto (...al gusto di limone...) e la fischiava in unmodo molto sensuale e in mano teneva un bicchiere dicarta pieno di palline rosse, bianche, verdi che erano sceseda uno di quei distributori automatici arancione. Eravestita con una Polo rosa e un paio di pantaloncini azzurroturchese. Io avevo una Polo rossa e un paio di pantaloncini

gialli. Quando Babila si è accorta che i pantaloncini eranogonfi verso l’esterno, ha fischiato dentro la caramella piùforte. Io mi sono alzato in piedi e mi sono fatto scendere icalzoncini fino alle ginocchia all’altezza dei suoi occhi.Babila ha appoggiato il bicchiere che si è rovesciato subitoe tutte le palline colorate sono rotolate fuori e ha allungatouna mano seguitando a tenere tra le labbra il fischietto algusto di limone. Intanto mi ha preso una mano (...ladestra...) e me l’ha messa dentro i suoi calzoncini. Cisiamo toccati in questo modo per qualche minuto, poi leho fatto scendere i calzoncini e le sono entrato dentro. Letenevo una mano premuta contro la bocca in un modo chela caramella a forma di fischietto passava tra le dita epremevo la mia bocca contro i suoi capelli cheprofumavano non so perché di burro cacao. Facevo levacontro lo schienale del sedile davanti al nostro con i tallonie spingevo verso di lei, dentro di lei, non in fretta. Babilafischiava forte dentro la caramella e quando è venuta, si èbagnato il tessuto del sedile. Ci siamo ricomposti primache arrivassero gl’altri, abbiamo messo un asciugamanosul sedile bagnato e abbiamo parlato di cartoni animati. ABabila piaceva E’ quasi magia Johnny e diceva chesomigliavo al protagonista. Io allora le ho detto che peròpurtroppo non sapevo fare le magie e Babila ha mandatoun fischiettino con la caramella a forma di fischietto e miha detto: “Sei sicuro?”

13 – 20

Babila

Questa estate nella spiaggia di Deiva Marina hoafferrato Babila per le caviglie, l’ho trascinata per lasabbia e le ho fatto disegnare con il sedere un 8 lungoalmeno sei metri. L’8 era una pista per le biglie e dalsacchetto a retina blu ho fatto cascare le biglie di plasticagialle, verdi, azzurre, rosse che contenevano ciascunal’immagine di un ciclista (...…Coppi, Bartali, Moser,Bugno, Pantani…...) e Babila e io abbiamo giocato abiglie tutto il pomeriggio. Babila è brava a giocare abiglie. Quando scocca l’indice contro l’involucro diplastica della biglia riesce a imprimerle un effettoparticolare. Forse è per questo – e non solo perché con leinon mi impegno mai troppo – che Babila mi batte ognivolta. A Deiva facevamo torri di sabbia con i secchielli ele palette e ogni volta che li finivamo ci rotolavamo sopradisfacendo tutto quanto. Quando facevamo il bagno,Babila infilava i braccioli gialli a forma di papere perchéha paura dell’acqua e soprattutto che la schizzi o che la tirisott’acqua perché dice che sono uno sconsiderato – equando dice questo, per altre ragioni, io penso che infondo un po’ sconsiderato lo sono. A casa sua su unmobile della sua stanza Babila tiene un fungo di plasticamolto grosso con il capello verde e le verruche bianche apois e dentro ci sono il Grande Puffo, Puffetta, PuffoQuattrocchi e Puffo Forzuto. Babila (...che in cantina da

qualche parte deve avere un sacco con dentro altri puffi...)dice che regalerà tutto quanto a suo nipote non appenaFiorenza, che è il nome di sua sorella, lo farà arrivare – difigli non abbiamo parlato perché nessuno tra noi duelavora. Seguendo l’esempio di Babila ho messo sul mobiledella mia stanza il galeone e l’ambulanza dei playmobil ein un angolo ho montato il castello dei Master (...con He-Man, Tina e Skeletor...). Qualche volta ci ho anchegiocato. “Pensi che stiamo rimbecillendo?” Mi ha dettoBabila una volta – be’: per dirla tutta, questo Babila mel’ha detto più di una volta. “No, assolutamente, no. Perchélo dici?” Io ogni volta le rispondo. “Be’, insomma…”.“Forse lo facciamo perché vorremmo avere dei bambini evisto che non li possiamo avere ridiventiamo noi ibambini” le dico io. “Conosco molte persone rispettabilisulla rete per esempio che…”. “Sulla rete ci sono personerispettabili?”. “Sì, ci sono scrittori, giornalisti… ci sonoun mucchio di persone rispettabili sulla rete – le dico –comunque: una volta vado a Milano a cenare in questaBettola di Piera con tre di queste persone rispettabili – trescrittori”. “e sei stato in una bettola con delle personerispettabili?”. “Babila, la Bettola di Piera è un postolussuoso – lussuoso, anche se sempre una bettola,d’accordo – le spiego – ma non è questo il punto. Lafaccenda è che durante questa cena, due tra i tre scrittori,che hanno solo qualche anno più di me, Babila,incominciano a parlare delle trame dei cartoni animati cheguardano con i figli: cartoni che io nemmeno conosco…Pinky & The Brain, Dink il piccolo dinosauro, Samurai

Jack, Donato Fidato, Corneil & Bernie… vanno avantipraticamente per tutta la cena, e io e l’altro scrittore chesiamo senza figli (...lui però è molto più senza figli di me,perché ha molti più anni...) siamo totalmente tagliati fuoridalla conversazione tra questi due – che tra l’altrosembravano due imbecilli, almeno in quel momento”.“Parlano dei cartoni animati perché hanno dei bambini,non perché sono due imbecilli” mi fa notare Babila. “Tidirò Babila, che sono d’accordo con questo fin quando idue scrittori guardano Pinky & The Brain, Corneil &Bernie e Dink il piccolo dinosauro; ma che cosa direquando uno tra gli scrittori ha dichiarato di aver acquistatoi dvd di Gigi La Trottola, di Sampei e di Teppei, e ha dettoche desidera che i suoi figli crescano con gli stessi cartonianimati che hanno fatto crescere la sua generazione? Inquel momento ho pensato che i figli fossero solo unpretesto. Ho pensato che a una certa età avviene una certainvoluzione, un’implosione; allora si fanno venire almondo dei figli e si usano come pretesto per giustificare lapropria involuzione, la propria implosione”. Quandopronuncio queste parole, mi guardo intorno soddisfatto.“Magari potremmo avere dei bambini…” qualche voltaBabila mi dice. “Non possiamo nemmeno accendere unmutuo, come facciamo a mettere al mondo un bambino? –le ribatto; ma altre volte è lei che ribatte a me le stesseparole tali e quali – io non ho genitori abbastanza ricchiche mi possano comperare una casa o che possanomantenermi un capriccio di paternità…”. “//capriccio dipaternità// un figlio?” Babila mi guarda con orrore, ma sa

che cosa voglio dire, perché abbiamo detto queste parolealtre volte. “Senza un lavoro, senza una casa, senzasoldi… che cos’altro è la volontà di mettere al mondo unbambino se non un capriccio?”. Qualche volta quandoesco da Babila prima di venirle dentro (...non uso ilpreservativo...) e tutto quanto le finisce sulla pancia,Babila solleva la testa di colpo, si porta una mano allabocca e fa un verso con la voce (...“oooooh”...), guardandoil liquido bianco sopra di lei. Forse può sembrareesagerato ma quando fa così, a volte mi fa quasi sentire unassassino.

14 – 20

Una persona seria

Mentre osservo il nome di Zita scritto sul fogliodelle iscrizioni al torneo, mi chiedo come mai quello chein fin dei conti è solo un segno sulla carta, mi ha fattotornare alla mente Babila, e mi ha fatto ripensare ad alcunetra le cose che ho fatto con lei in questo anno che siamostati assieme – anzi: le cose che ritengo megliorappresentino in quale modo abbiamo deciso di impostareil nostro rapporto. Forse penso a Babila perché temo Zita?Zita può rappresentare una minaccia per Babila? No:senz’altro no, mi dico. Zita e io siamo troppo diversi edopo quello che mi ha fatto tre anni fa, non penso sia piùpossibile che qualcosa possa rinascere tra noi. Con Babilasto bene, andiamo d’accordo, e io non sono il tipo che

adora il protrarsi della cosiddetta //eterna guerra tra isessi//. Preferisco piuttosto //una temporanea pace deisensi//, che di fatto ho frequentato per tutto un anno primadi incontrare Babila. E poi Zita potrebbe essere ingrassataa dismisura oppure dimagrita eccessivamente. Mi chiedose lavora ancora, e se sì che cosa fa. Senz’altro, per comestava messa tre anni fa, potrebbe entrare nel mio club deimestieranti stravaganti – a parte il fatto che lei possedevala licenza delle medie inferiori e prima di fare lacommessa nel negozio di pelletteria, ha fatto la shampista,la cassiera al supermercato e per qualche tempo l’aiutoidraulico. Babila non lavorerà, ma almeno è laureata inConservazione dei Beni Culturali, e quando troveràlavoro, non farà la fine di Damaso o di Vitale: troverà unlavoro adatto a lei. Da due anni lo sta cercando e anche sesu trenta curricula che invia riceve una risposta sola, eogni centocinquanta riesce a ottenere un colloquio (...cheperò è affollatissimo; e per uno o due posti soltanto...)prima o poi Babila troverà la sua collocazione perchéBabila… be’: Babila mi sembra una persona seria. Di Zitanon ho il ricordo di una persona così seria.

15 – 20

All’oratorio con Don Fabrizio

Prima di rientrare a casa, dopo aver salutato SuorClaretta ed essermi bevuto in un bar una gazzosa verdecon Evaristo (...Evaristo, invece, ha preso una gazzosa

rosa...), sono passato all’oratorio del San Michele perallenarmi un po’ in vista del torneo. Erano un quarto amezzogiorno. Dalla Via Emilia ho svoltato nella Piazzettadel San Michele e ho aperto una porta di ferro smaltata dinero, ho percorso un corridoio grigio, tutto cemento etubature, con il rubinetto con il pomello rosso e iltroppopieno ancora intasato dai chewing-gum che dopomolti anni probabilmente sono ancora quelli che noiavevamo appiccicati (...per un momento guardandolo misono ricordato del sapore metallico dell’acqua che scendeda quel rubinetto...) e sono entrato nel cortile dell’oratoriodove un ragazzo di ventidue, ventitrè anni giocava da soloa pallamuro con una palla da pallavolo bianca mezzasgonfia e ormai grigia a causa della fuliggine, del terriccioe della polvere. Il canestro da basket nel cortiledell’oratorio è scomparso e la vernice arancionedell’anello è rimasta in strisce sottilissime, quasi invisibilisopra la ruggine. A sinistra contro il muro di colorebordeaux che finisce con una rete metallica a magliequadrate alta almeno due metri di color beige (...le magliedella rete stanno su un cielo argenteo...) si trova un palloneda basket di color arancione che sembra appena statoacquistato. A destra, invece, c’è il locale di cinquantametri quadrati con quattro finestrelle a vasistas da dove sivedono i videogiochi di Super Mario Bros e di Pac Man –che dagli anni Ottanta non sono più stati sostituiti –, ilcalcio balilla, il flipper e i due tavoli da ping pong - anchequelli gli stessi dagli Anni Ottanta se non dai Settanta – enient’altro. Dentro ho trovato Don Fabrizio che stava

giocando a Super Mario Bros. Don Fabrizio hatrentacinque anni e da due anni è vice-parroco del SanMichele. Durante gl’anni del seminario Don Fabrizio haprovato a laurearsi in Filosofia Morale, ma poi non hafinito, come lui dice “a causa degli impegni dellaparrochia”. Fa quasi tutte le messe della sua parrocchia,conduce gli incontri serali della Casa Canonica ed èdirettore della radio locale – si chiama Radio Lieve e neiuffici di Radio Lieve ci sono due segretarie di diciannove edi ventidue anni bionde, procaci e che lavorano gratis. Trale altre cose Don Fabrizio è anche uno sparring-partnerottimo per i miei allenamenti di ping pong. Quando l’hovisto, sono rimasto soddisfatto. Potevo trovare Diegooppure Manolo (...due giorni fa mi sono allenato un paiod’ore con Diego e l’ho lasciato a zero per due set di fila;Diego per avere quattordici anni è un discreto toppatore equel che mi fa arrabbiare è che Diego ogni volta toppa,choppa e schiaccia tenendo nella mano sinistra un leccalecca giallo o verde fluorescente rotondo e grosso quasiquanto la racchetta da ping pong che tiene nella manodestra...); ma Don Fabrizio senza dubbio è lo sparringpartner migliore dell’oratorio. Appena l’ho salutato, DonFabrizio ha fatto game over. Ha gridato: “Minchia!” E si èvoltato con le guance rosse. “Stavo per finirlo, ma mihanno fritto prima!”. Le guance tornano rapidamentespettrali e fanno risaltare come al solito le mezze lunescurissime sotto gl’occhi. Don Fabrizio è magro e alto.Indossa il clergyman e il collare bianco gli sta messo unpoco di sbieco. Con un dito – l’indice della mano destra –

tocca il soffitto dello stanzone dove ci troviamo e con ununghia (…lunga e giallognola…) scrosta un pezzo diintonaco maròn. Il pezzetto di intonaco gli finisce nellamano e lui lo sgretola mordendosi il labbro superiore conl’arcata inferiore dei denti. I denti sono delle stesso coloregiallognolo dell’unghia della mano destra. “Accidenti! Dadue anni gioco a questo videogioco e da due anni nonriesco a finirlo! Non lo finivo nemmeno quando eropiccolo e forse non lo finirò mai…”. Si sfrega le mani (…che sono screpolate e con delle croste rosso scuro su quasitutte le nocche…) poi lo vedo avvicinarsi al flipper. “DonFabrizio, sono venuto per allenarmi a ping pong”. “Ah! –dice Don Fabrizio ficcandosi la mano sinistra nella tascadestra dei pantaloni – non sono dell’umore adatto pergiocare a ping pong – tira fuori una chiavetta e la infilanella serratura dello sportello di destra, apre lo sportello,pesca un gettone (...uno di quelli vecchi che si usavano perle cabine telefoniche...) e richiude lo sportello – primaalmeno mi devo scaricare”. Don Fabrizio sulla sinistrainserisce il gettone in una delle due feritoie contenute dauna grembialina d’acciaio, spinge un bottone che siaccende e si spegne passando da giallo a verde e il flippercomincia a trillare e a fare suoni e si mette a vibrare. DonFabrizio tira la levetta del lancia-biglia e poi la lasciaandare e la biglia schizza in fondo al piano di scorrimentodel flipper. Mi avvicino. Il flipper ad ogni colpo dellabiglia su un pop, su un funghetto o su un anello elastico sisposta di qualche centimetro. Le quattro gambe diprofilato metallico che reggono la cassa del flipper sono

saldate da registri a vite – che però a quanto pare devonoessere svitate e questo fa sì che il flipper traballi e sisposti. Sull’alzata la vetrofania che rappresenta unagalassia con un’astronave che spara laser rosa e verdicontro una serie di pianeti, e un pianeta colpito da unraggio sta esplodendo, si illumina e si accende e itotalizzatori cominciano a muoversi. Il cristallo del flipperè sporco. Ci sono chewing-gum bianchi, rosa e verdi sututto il bordo destro del tavolino, in alto a destra c’è unadesivo piuttosto grosso di San Luigi Orione e al centrotutto il cristallo è attraversato da una rigatura abbastanzaprofonda e larga. In simili condizioni sembra quasicomprensibile che dopo qualche rimbalzo la pallina finiscasubito dentro un canale di espulsione (...quello di destra...)e scompaia nello scodellino senza che Don Fabrizio possaattivare le elettrocalamite che fanno girare quasi dinovanta le pinne del flipper. “Minchia!” Grida di nuovoDon Fabrizio (...che, tra l’altro, è di Arezzo...). Io gli dico:“Don Fabrizio, piantala col flipper e giochiamo a pingpong”. Lui mi risponde: “No, Sebastiano, non possoproprio. Finisco il flipper e poi vado a preparare la predicaper la messa delle diciotto”.

*** cambio battuta ***

Set Point

Adesso scappo

Non appena sono rientrato a casa mi è squillato ilcellulare. Il mio modello di cellulare è un Nokia dacinquanta euro. Non lo uso molto e per questo la solaoperazione che ho fatto è stata impostare le suoneriepredefinite a seconda delle chiamate. Per esempio hoassociato al numero di Evaristo e al nome Evaristo lasuoneria Spiritual. Ho associato al numero di Babila e alnome Babila la suoneria Going Up. Ho associato alnumero di casa mia e al nome Casa la suoneria Etude. Disolito sento solo quest’ultime due suonerie; raramentesento altre suonerie perché raramente qualcuno al di fuoridella mia ragazza e di casa mia mi chiama. Questa voltaperò ho sentito una suoneria che non sentivo da moltotempo e che tuttavia ho subito riconosciuto. Come nonavrei potuto? La suoneria era Espionage ed era associataal numero di Zita e al nome Stronza. Risentivo la suasuoneria e rileggevo il suo nome sul display dopo tre anni.Al secondo giro del motivetto ho risposto. Cos’altro avreidovuto fare? “ciao, Zita” ho detto. “Ciao, Seba’! – harisposto Zita – hai ancora il tuo vecchio numero dicellulare, allora!”. “Già, e anche tutto il cellulare vecchio”ho detto io. “Come stai? Non ci si sente da quanto?” Midice Zita. Io mi appoggio al muro della mia stanza. “Treanni?”. “Mi hai bruciato il computer con quella e-mail chemi hai inviato tre anni fa. Lo ricordi?; io lo ricordo bene.

Mancava solo che lo schermo si accartocciasse e la torrettasi sciogliesse”. Questo modo immaginifico di parlare diZita non corrispondeva al ricordo che avevo di lei. Ilricordo che avevo di Zita era quasi di una analfabeta. “e tucome stai?” Le dico, anche se mi rendo conto di nonaverle detto come sto io. Mi gratto un angolo della bocca –il sinistro. “Mi sono iscritta al torneo di ping pong che haivinto l’hanno scorso. Ho visto il bando sul sito e mi sonoiscritta” mi dice Zita. “Lo so già. Oggi sono statoall’istituto a iscrivermi e ho visto il tuo nome sulla lista”.“Bene! Allora partecipi di nuovo! Io mi sono iscrittasperando che fossi anche tu!”. Mi appoggio control’armadio della mia stanza. “Ti ho pensato in quest’ultimoperiodo – dice Zita velocemente – diciamo negl’ultimi dueanni”. Io mi gratto il mento. “Uh sì?” Le faccio. “Ah ah”fa lei. “Oh…” faccio io. “Ih!” Ride lei. “eh!” Rido io.Quantomeno mi sforzo. Dall’armadio torno al muro. “e iltuo amichetto? Quel Ciccio… Bombo…” faccio finta dinon ricordare più niente. “è finita. Era un fallito e unostronzo” mi dice Zita. Mentre guardo il galeone deiplaymobil davanti a me, mi domando se io posso essereconsiderato uno stronzo. “Non come te – mi dice Zita – treanni fa ti avevo mal giudicato”. Zita ha il tono diverso daquel che mi ricordavo. La Zita di tre anni fa avrebbepronunciato le parole che aveva detto più o meno in questomodo: “Nan cama ta… tra anni fa ti avava malgiudicata”. Insomma: Zita aveva sempre avuto quel che sidefinisce una pronuncia larga. Adesso invece la suapronuncia è pulita. Mi gratto un sopracciglio – il sinistro.

“Hai la ragazza?” Mi dice Zita. Mi siedo sul letto. “Sì”dico io. “Ah!”. “Mm”. “Da quanto tempo?”. Per unmomento le voglio dire due anni, anzi: due anni e mezzo,poi le dico: “Ormai è un anno”. “Ah, bene!” Dice Zita. Perun momento penso che “ah, bene!” Significhi che Babila eio non abbiamo un legame troppo forte. Allora le dico:“Babila è fantastica”. “Si chiama Babila?” Mi dice Zita. Iomi alzo. “Sì” le dico. “Come la Piazza San Babila diMilano?”. Adesso Zita suona leggermente provocatoria eio non glielo concedo. “Zita, perché mi hai chiamato?”.Forse sono stato troppo brusco. Rimaniamo in silenzio perqualche secondo. Mi passo un dito sotto il naso. “Per dirtiche mi sono iscritta al torneo di ping pong e che civedremo lì. Solo questo”. “Non ti ricordavo giocatrice diping pong…”. “Non so giocare molto bene, Sebastiano;ma sto imparando, mi sto allenando… o almeno stocercando il tempo per farlo compatibilmente con i mieiimpegni”. Tossisco. //compatibilmente con i mieiimpegni// è una frase che stona in bocca aZita. //compatibilmente con i miei impegni// è la frase chepuò pronunciare una persona inserita nella società e nonuna disubbidiente quale Zita nei tre anni che l’hofrequentata si è dimostrata sempre. “Anche tu non miavevi mai parlato di questa tua… mm… attitudine”. Nonle avevo neanche detto mai che avevo partecipato altorneo. Come avrei potuto farlo con Zita? Mi avrebbe datodello sfigato e soprattutto mi avrebbe fatto sentire unosfigato, una cosa che Zita sapeva fare bene quando ci simetteva. “Mah – le rispondo – ho cominciato due anni fa”

e chiudo l’argomento. “Comunque ho trovato gli incastrigiusti e questo Sabato posso venire a giocare con te a pingpong – e con… Babila” mi dice. Questa volta il tono dellesue ultime parole suona esplicitamente provocatorio. Peròa me interessano le prime parole. “Come va al negozio dipelletteria?” Le chiedo. Agito una mano in aria, poi lariabbasso: gesticolare mentre parlo a un telefono mi fasentire uno stupido. “Oh… non lavoro più al negozio – midice Zita – ho fatto parecchie cose in questi tre anni. Hoperfezionato le mie cinque lingue…”. Zita ha fatto cosa?“…inglese, tedesco, francese, spagnolo, brasiliano ecinese… ho lavorato per sei mesi per la PioneerInvestements® come Financial Engineering a George’sQuay, a Dublino in Irlanda. Si è trattato di rivestire unruolo ultraspecialistico che di solito va soltanto a laureatiin Economia e Commercio e affini con molti master epunteggi molto alti; ma nel mio caso grazie alle cinquelingue e a un corso serale di ragioneria e alla fiducia chemi sono accaparrata presso alcuni tra i miei mentori, chemi hanno procurato il colloquio e soprattutto grazie alcolloquio dove ho impressionato tutti quanti (...durante ilcolloquio ho totalizzato duecento dieci punti al test diintelligenza e giudicata ottimamente al test diRorschach...), ho ottenuto quel posto. La verità è che sonostata molto fortunata… comunque, dopo un anno, sonoriuscita a trovare lavoro in Italia a Milano come MarketingManager di una filiale della Contronic, un’azienda che hasedi ha Miami in Florida e a Rua Lauro Linhares aFlorianopolis (...in Brasile...) e che si occupa di dispositivi

di sicurezza che si installano nelle nelle ville e negliappartamenti molto grossi e a rischio”. Io mi piego sulleginocchia. Mi accorgo che mi sto mordendo due dita dellamano sinistra: indice e anulare. Mi accorgo di questoquando sento il dolore dalle dita. Zita sta raccontandoballe a ruota libera? “la paga è buona e l’ambiente dilavoro è ancora meglio. E nessuno mi fa pesare più chetroppo di non avere titoli speciali. Non più, da quando sulcurriculum posso esibire certe credenziali. Piano piano lanube di pregiudizio che mi ha accompagnato soprattutto inIrlanda è andata dissolvendosi, e adesso posso lavorarecon maggiore tranquillità. Ho anche smesso con lo yoga…ma non con il tantra – una pausa; poi di nuovo la voceprovocatoria – ancora ricordo certe scopate che ci siamofatti” mi dice. Io sto osservando il pezzo di un Lego dicolore rosso che deve essere rimasto lì dall’ultima voltache Babila e io abbiamo giocato sul pavimento della miastanza. “Uh, scusa! Non dovrei parlarti così! – Zita siaffretta a dirmi subito – comunque ti racconterò tutto benequando ci incontreremo al torneo, campione. Adessoscappo” dice. Io senza aggiungere altro alla conversazionemi limito a dirle ciao e la comunicazione finisce. //adessoscappo//; //compatibilmente con i miei impegni//. Mirimetto in piedi e mi prende un formicolio alle ginocchia ealle gambe, la testa comincia a girarmi e aloni bianchi micompaiono davanti agl’occhi come spiritelli o fantasmini.Mi lascio andare sul letto e aspetto che mi passi.

*** cambio campo ***

Lle ore 15.00 di Domenica 19 Giugno mi presentopresso l’Istituto San Giuseppe di Tortona.l’Istituto San Giuseppe si trova in Via Enrico

Bassi e all’inizio di Via Enrico Bassi c’è una cappellettache contiene una madonnina di ceramica bianca alta più omeno due metri con una serie di ceri bianchi che stannoinseriti dentro porta-ceri rossi disposti intorno alla base delpiedistallo. Mi porto la mano destra sulla fronte, la sinistrasul cuore e mi faccio il segno della croce. Recito un’aveMaria, un Padre Nostro e un Salve Regina. Mi faccio dinuovo il segno della croce e imbocco Via Enrico Bassi cheè una strada di un centinaio di metri circa in salita. Dallaspalla destra mi pende una piccola sacca di stoffa sinteticagialla che contiene la racchetta da ping pong, un tubetto dipalline, un asciugamano, quattro paia di fantasmini (…duebianchi; due azzurri…) e una maglietta di ricambio. In unadelle tasche laterali c’è un barattolo di colla, e in un’altratasca dentro un astuccio simile a quello dove sta laracchetta da ping pong ci sono sei paia di gomme. Primache il torneo cominci, spennello colla colla lagommapiuma della racchetta e ci applico le gomme.Indosso una maglietta arancione con la scritta blu “socool!” Sulla schiena (...la maglietta di ricambio invece èblu con la scritta arancione “too bad!” Sullo stomaco...) eun paio di pantaloncini verde fluorescente che mi arrivanoalle ginocchia. Non porto calzini e i miei piedi stanno

A

dentro a un paio di All Star con la tomaia rossa e lagomma del fiosso e della mascherina bianchissima. Tengoun ghiacciolo alla fragola nella mano destra e ogni tantosucchio un’estremità fino a farla diventare bianca, poi larompo coi denti e la inghiotto. Il cielo è azzurrissimorigato da nuvole filamentose bianchissime. Penso cheBabila quando mi vedrà vestito così protesterà nel vedere ipeli sulle gambe e sulla braccia. Non ho moltissimi peli,però li ho, e abbastanza perché Babila protesti. Dopo ventimetri attraverso la strada e mi porto sull’altro lato dove stauna latteria. Prima di entrare, finisco il ghiacciolo e buttolo stecco di legno in un contenitore verde saldato a un palogiallo. La latteria (...che ormai è anche una drogheria...) sitrova lì chissà da quanto. Quando facevo le elementari lalatteria (...che non era ancora una drogheria, ma già eraquasi una panetteria...) si trovava alla stessa altezza dovesi trova adesso ma dalla sponda opposta della strada.Quando ho finito le elementari si è trasferita dall’altraparte, anche se è rimasta la stessa latteria nelle dimensionie negli arredamenti. Di solito io ci acquistavo la focacciasalata o la focaccia dolce da mangiare in cortile durantel’intervallo di mezz’ora delle dieci e mezzo. Adesso daquando partecipo al torneo di ping pong tutti gli anniprima di entrare in Istituto passo dalla latteria peracquistare qualche caramella. Spingo la porta della latteriacon il palmo della mano destra, e le tre bacchette dimetallo che pendono dal soffitto vengono sfioratedall’angolo in alto a sinistra della porta e fanno suoni.Subito sbuca da una tenda a fiori gialli e verdi la lattaia di

circa sessant’anni (...o che dimostra sessant’anni...) vestitadi bianco. Mi saluta. Come gl’altri anni le dico che vorreiun sacchetto di caramelle. La lattaia che, anche se si trovasulla pedana, spunta dagli espositori solo con la testa, midice che alla mia destra ci sono tutte le caramelle chevoglio e di servirmi pure. Questa è una novità; gli altrianni non c’era niente del genere. Mi giro, e sulla destratrovo un distributore di caramelle alto due metri diviso inventi bacheche di vetro di plastica trasparente piene dicaramelle. Quando sono entrato non ci ho proprio fattocaso. Osservo il distributore coloratissimo che mi stadavanti per qualche momento (...lo stesso distributore chesi trova nel cinema multi sala Multiplex...), poi prendo allamia destra la paletta bianca e alla mia sinistra un bicchieredi plastica bianco e lo riempio di caramelle coloratissime.Abbasso lo sportellino della bacheca che contiene ciuccialla coca cola, affondo la paletta bianca e butto i ciuccialla coca cola nel bicchiere. Eseguo questa stessaoperazione con i boli alla frutta, con le morelle allaliquirizia, con le bottiglie tricolore, con le gemme di pino,con i sukaj, con le rotelle al gusto di ananas, con le rotelleal gusto di pesca e con i cuori frizzanti. Chiudo il bicchierecon un coperchio di plexiglass (...lo stesso che chiude ibicchieri del macdonald’s...), mi giro, prendo da unespositore di cartone un uovo Kinder e pago alla lattaial’uovo Kinder e il mio bicchiere di caramelle.

*** gara ***

SECONDO SET

Grazie alle suore sono riuscito a imparare. Io senza Le suore che mi aiutavano sarei niente. Ora

Io posso fare tutto. Non si può dire Niente contro le suore. Come

Le suore non c’è nessuno.(La giornata d’uno scrutatore, Italo Calvino)

00 – 00

Dita nel naso

Quando arrivo all’istituto ho già mangiato l’uovoKinder e ho aperto l’involucro giallo limone che contienela sorpresa: è un folletto di plastica porta fortuna. Metto intasca il folletto e entro nella portineria del San Giuseppe.Pesco con due dita dal bicchiere di plastica una rotella algusto di ananas e saluto Suor Claretta. Quando la saluto,Suor Claretta si sta mettendo il medio nel buco centraledel naso e lo muove dentro e fuori – come si dice, SuorClaretta sta ravanando. Per un momento mi domando checosa tirerà fuori da quel buco. Magari le caccole del bucocentrale del naso di Suor Claretta sono più grosse eappiccicose di quelle dei buchi laterali. Magari nel buco disinistra le caccole sono verdognole, nel buco centrale sonobiancastre, nel buco di destra sono marroni. Magari dalbuco di destra le caccole sono acquose, nel buco centralesono gommose, nel buco di destra sono pastose. Magarinel buco di sinistra le caccole sono meno saporite che nelbuco centrale e nel buco di destra. Magari… pesco un boloalla frutta, lo caccio in bocca e passo oltre. Già attraversola porta a vetri smerigliati sento i suoni e i rumori dellafesta organizzata dal San Giuseppe. Ci sono già moltibambini e genitori dei bambini che giocano nel cortile.Quest’anno le suore hanno fatto le cose diversamentedagl’altri anni. Non hanno indetto soltanto il torneo diping pong tradizionale, ma hanno organizzato anche una

giornata di giochi intera. Quando mi affaccio dalla porta avetri smerigliati nel cortile stanno giocando a qualchegioco un po’ tutti quanti.

01 – 00

Poesie

La prima cosa che osservo è un capannello trabambini (...tra gli otto e i dieci anni...) e adulti (...tra iventiquattro e i trentacinque...) radunati attorno a un uomogiovane con un microfono in mano. L’uomo giovane èCaio e la sua voce amplificata è accompagnata da unamusica in sottofondo a volume molto basso (…dalle cassesi alternano La Lambada e La Macarena…). La voce diCaio riempie il cortile del San Giuseppe. Caio indossa unacanottiera blu e un paio di pantaloncini grigi che mettonoin mostra i muscoli della braccia e delle gambe moltosviluppati – e senza traccia di peli. Tiene il microfononella mano destra e nella sinistra tiene un tascabile colorfucsia. Che cosa sta facendo Caio? Sta per leggere unapoesia. Lo so prima ancora che lo dichiari al microfono oche si metta a farlo e basta, perché Caio lo conosco bene.Si è preso una laurea a ventiquattro anni in architettura, eper adesso, che ha ventisette anni (…un anno più dime…), e il lavoro non l’ha ancora trovato (…sta facendoconcorsi e spedisce curricula; e tuttavia, per adesso non hatrovato niente…), si è inventato di fare poesie. Come luiprecisa più che un //poeta da marciapiede// è

un //versificatore da sotto i portici//: precisazione cheevidentemente Caio tiene in gran conto, e che, comunque,ha la sua ragion d’esistere. Ogni fine settimana infatti Caiosiede al tavolino alla destra estrema del Bar Italia con lespalle alla vetrata, sotto i portici della Via Emilia, e tra unfrullato all’arancia e un the al limone, su un blocco di foglifa poesie. Le fa sul momento, e prende un euro una poesia.Ci mette poco: dai tre ai cinque minuti. Alla fine dellagiornata (…Caio sta al tavolo dalle dieci del mattino finoalle sette di sera; con la pausa dalla una alle quattro delpomeriggio…) ha raccolto nel suo bicchiere di plasticatrenta o quaranta euro – mediamente. E questo perché lesue poesie sono apprezzate e poi per i muscoli dellebraccia e delle spalle che, bisogna ammetterlo, sonoapprezzate anche loro. Gli ho chiesto una volta perché nonrendesse disponibili le sue poesiole nell’internet oppurenon provasse a riunirle in un volume. Lui mi ha rispostoche così ci guadagnava di più che con l’editoriatradizionale o quella multimediale, e lui lo faceva soltantoper averci qualche soldo da spendere fintanto non avessetrovato il lavoro. Io mi son fatto fare da lui un tre o quattropoesie – perché apprezzo le sue doti di versificatore, e nonper i muscoli –: una su Babila, una per mia madre, una permio padre, una per mio fratello. La poesia su mia madre –che le ho fatto assieme alle mimose il giorno della Festadella Donna due anni or sono – mi sembra la più riuscita.La porto ad esempio di tutto quanto il resto dellaproduzione di Caio – che è una produzione sconfinata. Iltitolo della poesia è La donna delle donne.

Mamma!, Puzza delle puzze,

Ciccietta delle cicciette,Sussurro dei sussurri,Carezza delle carezze,Schiaffo degli schiaffi,

Abbraccio degli abbracci,Mamma!,

Gonna delle gonne,Scarpette delle scarpette,Bracciale dei bracciali,Profumo dei profumi,

Mamma!,Capelli dei capelli,

Bacio dei baci.

Caio avvicina il microfono alla bocca e dice:“Adesso, bambini, vi leggerò questa poesia. Siete pronti?”.“Sìììììì”. “Siete attenti?”. “Sìììììì”. “La poesia è di unapoetessa che si chiama Francesca Genti. Si intitola Ilmondo come tu lo immaginavi. Bambini, come si chiamala poetessa?”. “Francescaaaaa Gentiiiii”. “Come sichiama la poesia?”. “Il mondoooo comeeee tuuuu loooooimmaginaviiiii”. “Molto bene, bambini. Ora la leggo”.Caio si porta il libricino fucsia vicino alla faccia e ilbicipite del braccio si gonfia. Legge.

Con

tetti aguzzi rossi E funghi con le

porte E animalini assortiti Con u

n grembiule rosa

E sedie dondolan

ti E tende ricamate In case silenz

iose In stanze separate.

Si è rot

to un pomeriggio E ti è rimasto p

oco.

(...la sigla di un cartone

Con un eroe oscuro Il pane la nu

tella Il gioco del futuro...)

“Bambini, vi è piaciuta?”. “Sì”. “Come?!”. “Sììì”.“Come?! Non ho sentito!”. “Sììììììììì”. “Il nostropomeriggio si è già rotto?”. “Noooooooo”. “Ho sentito

qualcuno che ha detto sì, però. C’è qualcuno tra voi che hadetto sì?”. “Noooooooo”. “Ah, perché mi era sembrato chequalcuno avesse detto che sì, il nostro pomeriggio si fossegià rotto. Bambini, il nostro pomeriggio si è già rotto?”.“Nooooooo”. “Molto bene, bambini. E il mondo, bambini,lo immaginate con i tetti aguzzi e i funghi con le porte?”.“Sìììììì”. “Ho sentito qualcuno che ha detto no, però. Chiha detto no? Chi ha detto no?”. “Lui lui lui”. “Ah, è statolui! Allora questa volta ho sentito bene! Fatelo venireavanti. Su, fatelo venire qua. Eccoti qua. Come ti chiami?”.“Nicholas”. “Nicholas. Bene, Nicholas, dal nome pareproprio che tu venga da Bollate Baranzate o da PoggioBustone”. “Ahahahahahahahah”. “Nicholas, come loimmagini il mondo?”. “Il mondo lo immagino…”. “Sì,Nicholas, il mondo come lo immagini?”. “Loimmagino…”. “Avanti, Nicholas… non abbiamo tutto ilpomeriggio, Nicholas… il mondo lo immagini…” “…pieno di cacca!”. “Bene, Nicholas, torna al posto, Nicholas.Torna a Bollate Baranzate o a Poggio Bustone, Nicholas.Ma no! Dove vai? Stavo scherzando, Nicholas! Non deviandare a casa! Ehm! Torna con gl’altri. Ecco. Bravo. Ehm!E adesso vi leggerò un’altra poesia. Questa poesia è statascritta da due poeti che si chiamano Giuseppe Caliceti eGiulio Mozzi. Si intitola Il nome della persona amata1.Come si chiamano i due poeti?”. “Giuseppeeee Calicetiiii eGiulioooo Mozziiiii”. “Come si chiama la poesia?”. “Il

1

La poesia è tratta dal libro Il culto dei morti nell’Italia contemporanea di Giulio Mozzi edito da Einaudi. (N.d.A)

nomeeeee dellaaaaa personaaaa amataaaaa”. “Chi hadetto il nome di mia nonna Renata?”“ahahahahahahahahahah”. “Chi ha detto questa poesia èuna gran menata?”. “Ahahahahahaahahahahah”. “Bene, laleggo”

0.

Per poter eseguire questo poema d’amoreOccorre che questa sera qui tra voi ci sia qualcunoDisposto a pronunciare ad alta voce davanti a tuttiNon solo il proprio nome, ma anche il nomeDella persona che ama di più al mondo.

Questa sera tra voi C’è una persona disposta a farlo?

Caio sceglie un maschietto (...si chiama Tommy; ha icapelli del colore della stoppia e gli occhi azzurrissimi...)che sostiene di essere fidanzato alla femminuccia che ha difianco (...si chiama Jenny; non riesco a capire chi è tra ilgruppo di bambini davanti a Caio...) e se lo mette di fianco.

Bene, un applauso di incoraggiamentoAl nostro innamorato!

I bambini applaudono e Caio fa accomodarel’innamorato su una sedia di plastica bianca di fianco a lui.

02 – 00

Il girotondo

Giro gl’occhi e nell’angolo all’estrema sinistra delcortile a ridosso di una delle colonne del loggiato a circaventi metri da dove mi trovo vedo una decina di personepiù o meno della mia stessa età che si tengono per mano(...la mano destra nella mano sinistra della persona alladestra; la mano sinistra nella mano destra della persona allasinistra...) e stanno per fare un girotondo. Tra questiriconosco Cosimo e Stella. Ci sono sei o sette tra bambine ebambini e Suor Linda che osservano il gruppo adulto chesta per fare il girotondo. Qualcuno dice: “Via!” E il cerchiodi persone comincia a roteare e ognuno cantilena lafilastrocca: “Giro giro tondo/ casca il mondo/ scoppia laguerra/ tutti giù per terra”. Le persone che si tengono permano mentre cantilenano la filastrocca non sorridono e nonsaltellano, ma si spostano con una corsa laterale moltorapida. Mentre il cerchio di persone vortica, cambia forma.Si distende e si contrae. Immagino di vedere il cerchiodall’alto e lo immagino simile a una medusa trasparenteche raccoglie i tentacoli chiudendo il manubrio e poiallargandolo di colpo. Dopo l’ultimo verso dellafilastrocca, il cerchio di persone si slaccia e diventaqualcosa che assomiglia a un’ellissi e le persone finisconocon il sedere a terra. L’unico che rimane in piedi è proprioCosimo, che si guarda attorno, protesta, si siede anche lui,ma è troppo tardi, gli altri si sono rialzati, lo guardano e gli

dicono che è stato eliminato. I sette o otto bambiniosservano il girotondo abbastanza silenziosi. I bambini midanno la schiena. Ognuno di loro indossa una maglietta dicolore diverso di una sola tinta (...giallo, rosso, verde, blu,bianco, fucsia, viola...) e ha un colore dei capelli diverso(...biondo oro, castano scuro, biondo platinato, castanochiaro, moro, blu elettrico, a zero...). Cosimo dice:“’cagare!” – lo scandisce forte. Suor Linda (...con il suopaio di occhiali a lenti antiriflesso scure così grosse che glicoprono le guance...) lo riprende. Gli dice che ci sono ibambini, che non deve farsi uscire espressioni brutte. Ibambini si sono già portati una mano alla bocca eondeggiano quasi a tempo, prima di qua e poi di là: anchese non li sento, stanno ridendo. Cosimo si fa da parte e ilgirotondo riprende. “Giro giro tondo/ casca il mondo/scoppia la guerra/ tutti giù per terra”. Questa volta quandosi buttano tutti col sedere a terra, il cerchio diventa unalinea. Una donna si siede su una mano di un uomo chegrida: “Uhia!” E la donna quasi balza in piedi come seavesse nel sedere una molla non appena sente la mano e ilgrido (...“uhia!”...). Non solo, ma la donna si volta e tira unceffone all’uomo che si sta controllando la mano e chedopo il ceffone dice: “Uhia! Ohia! Ahia!”. Il gruppo dibambini sussulta e ondeggia di nuovo. Suor Lindainterviene di nuovo. Si mette subito in mezzo ai due, siinginocchia e dà una carezza alla mano schiacciata.L’uomo (li chiamo, forse un po’ goffamente, //uomo//e //donna// perché non li ho visti mai prima d’ora) adesso sista passando l’altra mano sulla guancia e osserva la donna

con l’estremità sinistra del sopracciglio destro sollevato.Quando si accorge di aver mollato un ceffone un po’ troppoforte la donna si porta una mano alla bocca e grida: “Uh,scusa!”. Comunque: stavolta a essere eliminata è Stella.Suor Linda, dopo aver rimesso a posto le cose tra l’uomo ela donna, si avvicina a Cosimo e Stella e dice qualcheparola. “Vi rifarete con il torneo, eh!” Mi pare di sentire.Poi ridono tutti e tre, ma Cosimo e Stella sembrano lostesso ancora un po’ arrabbiati per essere usciti dalgirotondo. Cosimo batte la punta della scarpa destra a terrae Stella si controlla l’acconciatura allo specchietto che haprelevato dalla borsetta.

03 – 01

Stella e gli adesivi

Stella ha ventinove anni, è laureata in Sociologia daquattro (...non so con quale tesi...) e da due fa la commessain un negozio che si chiama Chewing-gum e che si trova inVia Pelizzari, una laterale della Via Emilia. Chewing-gum èun negozio di gadget e articoli da regalo vari e forse è per ilfatto che Stella ci lavora da due anni che la sua stanza (...acasa dei suoi genitori, dove Stella abita ancora...) sembraun negozio di gadget e articoli da regalo vari. Ogni qualchevolta faccio una visita a Stella, la passo a salutare, cosecosì, e quando succede, ogni volta torno a casa con qualcheregalo, che poi di solito finisco per passare a Babila oppurea mia madre. Una volta Stella mi ha regalato Lo

Sfigabolario di Lupo Alberto e quello l’ho appeso nellamia di stanza, non l’ho regalato a nessuno. Altre volte miha regalato cuscini a forma di cuore, una volta un cuscino aforma di fegato, oppure cuscini a forma di cuscino conscritto “mamma, ti voglio un mondo di bene” o altre cosecosì. (…nella sua stanza Stella tiene un cuscino rosa conscritto Congratulazioni Dottoressa…). Oppure mi haregalato un asciugamano magico – un pezzo di stoffa chequando si immerge in una bacinella piena d’acqua si allargae diventa un asciugamano, e quello l’ho regalato a Babila.Mi ha regalato un papiro di Lupo Alberto con il mio segnozodiacale: il Sagittario; e nel papiro a caratteri molto vistosiil Sagittario viene definito l’arciere implacabile. Una voltaper la Festa della Mamma (...ammetto di passare a casa diStella a salutarla soprattutto in occasioni come La FestaDella Mamma, La Festa Del Papà, Il Compleanno di MiaNonna, l’Onomastico Di Mio Fratello…) stella mi haregalato una tazza con scritto Mamma, volevo dirti grazie.Nel tempo, insomma, ho ricevuto da Stella regali di questogenere. Anch’io per esempio a casa ho un grembiule similea quello che Stella indossa adesso nel cortile del SanGiuseppe con la scritta Pericolo! Papà ai fornelli!, solo chenel mio c’è scritto Cara, oggi la torta la preparo io! E c’èil disegno di un corpo maschile con la porta degliaddominali e i pettorali scolpiti. Se avessi saputo, anzi, cheStella si sarebbe messo il suo, io avrei indossato il mio…altre cose che nel tempo Stella mi ha regalato sono i tapiri.Quando ha saputo della faccenda di Zita, Stella mi haregalato un tapiro grande come l’armadio della mia stanza.

Io non sapevo proprio dove metterlo e alla fine l’horegalato a Don Fabrizio e qualche mese più tardi l’horiconosciuto come maxi premio di una pesca dibeneficenza. Quando l’ho visto sono morto di risate acrepapelle. Poi Don Fabrizio mi ha invitato a parteciparealla pesca di beneficenza. Quando posso, partecipovolentieri alle pesche di beneficenza. Da piccolo avevoanche vinto un panda molto grosso con l’imbottitura dipolistirolo. Quando ero piccolo i panda mi piacevano (…mipiacciono anche adesso; ma quando ero piccolo mipiacevano in un modo speciale…) e quando ho vinto ilpanda alla pesca di beneficenza gli ho dato il nome (…Vincenzo…) e la sera stessa l’ho portato a dormire con me.Nella notte e nelle tre serate successive, però, Vincenzo miè continuato a cascare dal letto perché era molto grosso,occupava molto spazio e, insomma, non ci stava nel letto.Io, però, non volevo che Vincenzo cascasse. Vincenzo midoveva proteggere dal mostro nell’armadio, dai cadaveriresuscitati sotto il letto e dalle streghe che volavano nellanotte fuori dalla finestra; non poteva cascare. Allora, pernon farlo cascare, dal lato destro del letto (…quello verso ilpavimento…), l’ho spostato al lato sinistro (…quellocontro il muro…) e da quelle sera fino alle successive trenotti, a cascare dal letto sono stato io. Dopo il terzo lividoin tre giorni mia madre mi ha tolto Vincenzo, e io, devodire, non ho nemmeno protestato più che tanto. In ognicaso quando quel giorno Don Fabrizio mi ha invitato apartecipare alla pesca di beneficenza, io ho estratto unbigliettino, l’ho passato a Don Fabrizio e Don Fabrizio ha

letto il numero sul bigliettino e il numero corrispondeva altapiro gigante di Stella. Che fosse o no uno scherzo, hodetto a Don Fabrizio che rifiutavo il regalo, mentre lui sispanciava dalle risate più o meno tanto quanto me che pocoprima morivo di risate a crepapelle (…la faccenda dellerisate, tra l’altro, mi ha fatto sospettare che Don Fabriziosapesse delle mie vicende con Zita…) e gridava:“Minchia!”. Oltre al tapiro, un altro regalo ricorrente diStella era l’oscar. Una volta mi ha regalato l’oscar di amicopiù simpatico, cosa che mi aveva ringalluzzito fino aquando non ho scoperto che a Caio, invece, Stella avevaregalato l’oscar di amico più figo. Comunque: quel che diStella sembra proprio la mania sono gli adesivi. Le muradella sua stanza (…tutte e quattro le mura…), le finestre, ipavimenti, il soffitto, il fusto del letto, l’armadio (…dentroe fuori…), ogni centimetro di tutto quello che c’è nellastanza è foderato di adesivi, e non solo, ma di più strati diadesivi. Appena si entra, si ha come l’impressione dientrare in un’altra dimensione. Ci sono così tanti colorinella stanza di Stella (…e così tante scritte e immagini…)che un epilettico avrebbe un attacco non appena entrato eun malato di fotofobia non potrebbe nemmeno guardare imuri della stanza da una decina di metri attraverso la portaaperta. I genitori di Stella ormai hanno smesso dilamentarsi e hanno persino smesso di cercare di capire – edi non lamentarsi. Non lo fanno più da quando si sono resiconto che la figlia non riesce a trovare nessun lavoroall’altezza della sua laurea, anche se distribuisce curriculaogni giorno da anni, e non riesce nemmeno a trovare un

lavoro, che non duri solo tre mesi o sei mesi o quando vabene un anno e che sia retribuito almeno tanto quanto il suolavoro di commessa al negozio Chewing-gum. Nel tempoStella ha imparato a rifiutare proposte di lavoro concontratti di tre mesi, pagati malissimo, anche se dentrocontesti di impresa e con promesse di prospettiveimportanti per il suo futuro, e tutto questo per non perdereil suo posto di commessa al negozio Chewing-gum, dovegià è stata riassunta due volte, e dove almeno legarantiscono uno stipendio di ottocento euro netti al mesepiù qualche altro soldo come si dice una tantum. Qualchevolta Stella è venuta a casa mia (…solo due o tre volte inalmeno quattro anni che la conosco…) e tutte le volte mi haappiccicato un qualche adesivo. Con me è fissata, chissàperché, con le lettere dell’alfabeto. Una volta (…sonopassati circa tre anni…) mi ha appiccicato la lettera A sulpiano della scrivania. È un adesivo di forma rettangolarelungo dieci centimetri e alto cinque. Le stanghette della Asono gialle fosforescenti (la A col buio brilla). Un’altravolta (…sono passati due anni…) mi ha appiccicato lalettera S sul muro vicino Lo Sfigabolario di Lupo Alberto.L’adesivo della S è più piccolo e ha un'altra forma. È untriangolo con base cinque centimetri e altezza tre e dentro èiscritta la S. Il triangolo è di color azzurro turchese e la S èarancione fluorescente. Due settimane fa Stella è passata acasa mia con l’adesivo di una I lunga un metro e l’haappiccicato sul pavimento. La I gigantesca è nera bordatadi bianco. Ad altri Stella appiccica adesivi di bandiere. AEvaristo ha appiccicato sul cofano della sua automobile (…

un rottame…) l’adesivo della bandiera del Dertona Calcio ea Ottavio ha appiccicato sul sellino della sua bicicletta (…la stessa che usa per le biciclettate che le suoreorganizzano…) la bandiera della Repubblica Della Banane.L’automobile di Stella ha adesivi ovunque: sulla portiera didestra c’è l’adesivo con la scritta Metal Church, sullaportiera di sinistra Ti spacco la faccia! E l’immagine delGabibbo; sul tettuccio l’adesivo dell’omino Michelin; sulparabrezza nell’angolo in basso a destra l’adesivo dellostemma di radio deejay con la scritta Deejay Beach; sullunotto posteriore in basso a destra Gatto Silvestro cheinsegue il Pulcino, in basso a sinistra Pippo, Pluto ePaperino e in alto a destra l’adesivo dei Ghostbusters;all’interno della sua automobile (…di colore fucsia; ma unrottame…) al centro del volante in corrispondenza delclacson ci sta l’adesivo dell’effigie di Kurt Cobain eappiccicato sul pomello del cambio l’adesivo dell’effigie diJim Morrison. E insomma via così. È stata Stella a fornire aVitale gli adesivi di teschi arancione, blob verdifluorescente, e mostriciattoli di varia foggia neri, marroni eblu cobalto che tappezzano la sua valigia. Si dice che Stellae Vitale abbiano avuto una relazione tra il 2002 e il 2004 –sì, sono parecchio informato – e che Vitale abbia perso latesta per Stella al punto che la sua stanza e la suaautomobile stessero diventando ogni giorno di più comel’automobile e la stanza di Stella. Poi nel 2004 è successoche a causa di una cura di chemio – l’antidepressivoCipralex; sì, lo so: sono parecchio parecchio informato –, aStella sia cresciuta la ciccia nel sedere da un giorno

all’altro e le siano spuntate tre file di pappagorgia sotto ilmento da una settimana all’altra e la tette le siano cascatefino ai ginocchi da un mese all’altro e questo è stato ilmotivo prima del diradarsi delle frequentazioni di Vitalenei confronti di Stella e poi del suo definitivo azzerarsi.Devo aggiungere, però, che adesso l’aspetto di Stella si èrimesso ottimamente: la ciccia nel sedere si è comeriassorbita (…forse grazie anche a delle pasticche cheStella si è mangiata…), le tre fila di pappagorgia sotto ilmento sono scomparse e la linea del suo mento è tornataaffilatissima (…forse grazie a un intervento diliposuzione…) e le tette si sono risollevate e stanno cosìappuntite che sembra che le spuntino dalle spalle (…forsegrazie a un super push up…). Comunque: ognuno ha le suemanie e la mania di Stella è questa: attaccare adesivi. Liattacca anche sulle persone. Succede di frequente conStella. Anche adesso che la sto osservando. Ha riposto lospecchietto nella borsetta, ha tirato fuori un adesivorotondo molto grosso con la scritta Il più sfigato delmondo! E l’ha appiccicato sul culo di Cosimo che ha fattoun balzo in avanti gridacchiando “ehi! Ahi! Ohi!” Come sel’adesivo scottasse intanto che Stella e Suor Lindaridevano.

*** cambio battuta ***

04 – 02 Tiro alla fune

Il cortile interno del San Giuseppe è un quadrato conil lato che misura quaranta passi. All’interno di questoquadrato c’è un altro quadrato che ha per lati unmarciapiede di cemento grigio chiaro largo due metri conun gradino di una trentina di centimetri. Il lato destro delquadrato grande è costituito da un edificio di due piani checontiene le scuole elementari al primo piano (…con lecinque finestre rettangolari molto ampie e di legnochiarissimo…) e al secondo piano le scuole medie (…chesolo da qualche anno sono state aperte anche ai maschi…).Il lato sinistro è costituito da un altro edificio di un solopiano che contiene una sala dove Suor Ines insegnava finoa qualche anno passato pianoforte (…e adesso non so seancora si insegni piano forte e chi altro lo insegni, almenodi non pensare che ci sia ancora Suor Ines, che in questocaso avrebbe centodiciannove anni…) e il salone dove SuorClementina ci portava a esercitarci nel canto e ci facevafare le farfalle con le mani. Questo edificio è di coloregrigio chiaro come grigio chiaro è l’edificio dirimpetto. Sullato dirimpetto al mio si trova un cancello con le stecche dimetallo di colore grigio chiaro e le traverse di coloreturchese su un cielo azzurrissimo e colline verdissime.Davanti al cancello ci sono una serie di olmi (…quattro…)dentro ad aiuole triangolari circondate da una ringhierina dimetallo a forma di meandro verniciata di rosso. I tronchi

degli olmi, come si nota subito, sono maciullati dalletermiti e probabilmente molto presto qualcuno prenderà ladecisione di abbatterli. Al centro del cancello alto almenodue metri e che finisce con spunzoni molto sottili, unaporta piccola si affaccia su una serie di gradini di pietra chescendono in mezzo a una scarpata di due metri buoni traalberi e vegetazione varia e conducono ad un altro edificiodi un solo piano dove stanno le scuole materne. Io mi trovonel lato del quadrato grande costituito dal loggiato – a nordovest – costituito da una serie colonne in stile toscano, congli astragali dove di quando in quando si ferma qualchepiccione, ad arco ellittico. Alla mia estrema destra c’è laporta bianca che conduce in una stanza da dove attraversouna scala che sale al piano superiore si arriva agli alloggidelle suore e attraverso una scala che scende in un piano aldi sotto del livello del suolo si arriva al refettorio. Alla miaestrema sinistra, invece, il loggiato gira di novanta gradi econtinua per altri cinque metri prima di congiungersiattraverso una porta con gli antipanico all’edificio checontiene le scuole elementari e medie. Davanti a me possovedere tutto quanto il cortile. A venti metri da me e dallaparte opposta del gruppo che sta facendo girotondo, unaltro gruppo di persone sta giocando a tiro alla fune. Cisono otto persone sul lato destro e otto persone sul latosinistro, sono allineate e le otto di destra sono rivolte versole otto di sinistra. Ognuno stringe con tutte e due le mani lafune e tira dalla sua parte. La fune è fatta di fili vegetali,deve avere un diametro di una ventina di centimetri circaed è di colore marrone scuro. È molto resistente, molto

grossa, molto vistosa. In mezzo alla corda è stato legato unfiocco rosso e sul pavimento del cortile è stata tracciata unalinea con un gesso di colore blu. Il fiocco rosso si sposta diqualche centimetro verso destra e poi ritorna di qualchecentimetro verso sinistra sopra lo sguardo di Suor Gina edegli otto o nove bambini che l’aiutano a controllare lagara. La corda a mezzo metro d’altezza dalla superficie delterreno si tende e si rilassa sopra gl’occhi di Suor Gina edei bambini. Mentre le persone di qua e di là della linea blutirano la fune, Suor Gina e i bambini saltano, stendono lebraccia in alto, schiamazzano. Suor Gina grida: “Forza!Forza! Forza!”. I bambini gridano: “Dai! Dai! Dai!”Oppure “Tira! Tira! Tira!” Oppure “Tirate! Tira! Tirate!”.Suor Gina e il gruppo di bambini qualche volta sicoordinano. Suor Gina dice: “Forza, bambini!Diciamoglielo tutti assieme!”, i bambini capiscono e conSuor Gina si mettono a gridare: “Oooh issa! Oooh issa!Oooh issa!”. Quando fanno questo la corda si tende ancoradi più se possibile e il fiocco rosso vibra e si sposta da unaparta o dall’altra ancora di più. Alle due estremità dellecorde ci sono due uomini (…giovani; attorno ai ventiseianni come me…) che peseranno centoventi chilogrammi atesta. All’estremità della corda destra uno indossa uncappello da baseball con la visiera girata all’indietro egrida a tutta voce: “Forza! Forza! Forza!” E ogni volta chespalanca la bocca e grida “forza!” Sembra risucchiare tuttiquanti verso di lui. Dall’altra estremità l’altro ha i capellimolto lunghi e sembra che un panino di Damaso gli siafinito sui capelli (…magari è successo sul serio…). Mentre

tira, gonfiando le guance per lo sforzo ed espellendo aria,scoppia a ridere a intermittenza, e ogni volta che lo fa,strattona la fune un po’ più forte e fa vacillare qualcunodall’altra parte. Sembra che la gara sia solo tra questi due eche gl’altri stiano in mezzo soltanto per far numero. I piùvicini al fiocco rosso sono due donne. Una tra queste èRosa, che, per altro, è la sola persona che conosco. Rosa,che, come già devo aver scritto, è un’attaccante allroundeccellente, porta un foulard nero avvolto attorno alla testa,indossa una maglietta bianca e un paio di pantaloni di unatuta di color nero e tira la fune come una dannata. Persinoda dove mi trovo riesco a vedere le vene degli avambraccisporgere, le vene del collo gonfiarsi e gl’occhi strabuzzarsi.Rosa, che si è diplomata in un Liceo Artistico, ha ventidueanni e da circa due anni è addetta ai servizi igienici dellaStazione di Cadorna a Milano. Si è trasferita a Milano daquattro anni, e in questo periodo di tempo ha cercato distudiare alla Facoltà di Scienze della Comunicazione, soloche deve avere trovato qualche difficoltà con lo studio, eadesso da due, come mi ha raccontato, fa l’addetta aCadorna. Io ho scoperto questo per caso. Mi trovavo aMilano alla Stazione di Cadorna per una qualche ragione(…più probabilmente per nessuna ragione; il fatto è cheMilano mi piace così tanto che a volte ci girello anche dasolo; e molto probabilmente ero finito alla Stazione diCadorna perché mi piace fare l’happy hour al bar Magenta,che sta a un passo, in Via Bernardino Buttinone, e poiperché mi piace un sacco il monumento d’arte

contemporanea2 che sta davanti alla Stazione e quandoposso lo visito sempre…) e sono entrato nei serviziigienici. Ho seguito la segnaletica, ho percorso la rampa discale che porta nel sottosuolo e dietro una porta rossasocchiusa con il maniglione antipanico mezzo staccato,seduta nell’antibagno a ridosso di un tavolinetto con uncestino di vimini e un foglietto a quadretti dove stavascritto con un pennarello nero: “Offerta”, ho trovato Rosa.Aperto sul grembo teneva un volume con l’angolo dellapagina a sinistra così sollevato che ho potuto leggere unpezzo del nome dell’autore del libro che stava leggendo:Fëdor Dostoevskij. Il titolo del libro, però, non l’ho potutoleggere. Appena l’ho riconosciuta, ci siamo salutati – ciconoscevamo già per via del torneo di ping pong. Rosa èarrossita. Senza aggiungere altro ha abbassato lo sguardo eha seguitato a leggere. Ho trovato il bagno pulitissimo – aparte i muri dove c’erano le scritte con i numeri di telefonoe le frasi oscene – e prima di uscire ho lasciato cadere nel

2 Si tratta del monumento Ago, filo e nodo realizzato dall’artistasvedese Cleas Oldenburg e dalla moglie Coosje Van Bruggen. ilmonumento è composto da un ago d’acciaio alto 19 metri, un filo divetroresina lungo 86 metri che si annoda e segue percorsi sinuosiintorno all’ago. i colori del filo sono rosso, giallo e verde. ilmonumento richiama lo stemma araldico di Milano: l’ago al postodella spada e il filo al posto del biscione della casata Visconti. ilmonumento è stato realizzato intorno agl’Anni Sessanta e si trova inPiazzale Cadorna architettata da Gae Aulenti. queste pocheinformazioni le ho trovate nell’Internet, digitando sul motore diricerca Google la sequenza di parole //scultura+cadorna+milano//.(N.d.T.)

cestino di vimini cinque monetine da un euro. Ho salutatorapidamente Rosa e sono uscito. Non mi sentivo bene –proprio per niente. Successivamente sono tornato a trovarlatre volte alla Stazione di Cadorna, e Rosa non mi èsembrata turbata mai dalla mie visite. Una volta sonoarrivato alle due del pomeriggio e ho fatto la chiusura conlei. In questa occasione Rosa mi ha parlato delle suedifficoltà – del fatto che non è riuscita a tenere mai unposto di lavoro (…ha fatto la commessa in un ipermercato,in un emporio e in una paninoteca…), che ha bisticciatosempre con qualcuno e che, dopo tutto, lo meritava quelposto, che tra l’altro le piaceva anche. Se non altro lelasciava tanto tempo per la lettura, una cosa che le piacevamolto, moltissimo. Poi: nessuno sapeva di questo suolavoro, a parte Suor Gina e Suor Mariannina – e io, adesso.Rosa mi ha raccontato che da quattro anni viveva in unappartamento di Milano con una coinquilina nigerianasilenziosissima (…quando ha detto //silenziosissima//, hasorriso, e un puntino bianco luminosissimo è comparso suisuoi occhi neri…), in una stanza di trenta metri quadraticon una finestra, un soppalco dove stava un letto a duepiazze e un hi fi Anni Ottanta dove ancora ascoltava i vinili– soprattutto dei Duran Duran e degli Spandau Ballet. Dadue anni – dopo che aveva bisticciato con il fidanzato; conlui prima di bisticciare e di rompere si è vista per due anni– aveva anche inchiodato al muro due o tre scaffali dilegno e li stava riempiendo, e nella stanza fino a quelmomento aveva una settantina di libri. Rosa mi haraccontato una parte di queste cose mentre buttava la

segatura nei bagni, imbeveva il mocio nel secchio rosso checonteneva la candeggina e lo passava negl’angoli, sotto ilavandini, attorno ai gabinetti e strofinava i bordi delletazze di porcellana bianca nel bagno delle femmine con ilcamice di color azzurro e i guanti di gomma color verdesperanza.

04 – 04

Bandiera

Rosa ha mollato la fune dopo aver faticato percinque minuti circa ed essere diventata quasi viola dallosforzo e adesso sono rimaste sette persone a sinistra e seipersone a destra (…oltre a Rosa anche la quinta personadel gruppo di destra ha mollato la fune – un tipomagrissimo e altissimo con un paio di calzettoni bianchicon il doppio bordo rosso che gli arrivano fino alginocchio; il tipo ha messo male i piedi ed è inciampato;mentre si accasciava la fune gli è finita sotto il mento, gliha colpito il collo e lo ho preso sul gozzo, e per questoquando è finito a terra il tipo ha cominciato a ruzzolare e atossire, probabilmente provando un senso di soffocamentoalla gola; è rotolato su se stesso per tre o quattro voltepercorrendo tre metri e scaricando colpi di tosse fino adiventare dello stesso colore che Rosa ha preso a causadello sforzo di tirare la fune; tre o quattro bambini si sonodistaccati dal gruppo e sono accorsi assieme a Suor Ginaper controllare che non gli fosse successo qualcosa di

grave, i bambini lo guardavano da vicino, si portavano lemani alla bocca, uno ha gridato: “Ambulanza!Ambulanza!”; fino a quando il tipo non ha smesso ditossire, non si è rialzato, non ha smesso di massaggiarsi ilcollo con le mani, non le ha portate in alto e ha detto: “Stobene. Sto bene. Non mi è successo niente”…). Intanto cheil fiocco rimane al centro e si sposta di pochissimicentimetri ora verso una parte ora verso l’altra, i mieiocchi finiscono un po’ più avanti sullo stesso lato del tiroalla fune, dove un altro gruppo tra adulti e bambini stagiocando a bandiera. Un ragazzo (…ecco, l’hoscritto: //ragazzo//; però mi è soltanto scappato; avreidovuto scrivere, invece, //giovane uomo// perchéquel //ragazzo// ha venticinque anni, è conosciuto comeGio – che non sta per Giovanni ma per Gianni –, e lavoraal distributore di benzina sulla Strada Statale perAlessandria – quello alla curva dopo la rotonda – perottocento euro al mese, più qualche mancia, e frequentavai corsi di Psico-Pedagogia, anche se non so se li abbiaterminati…) più alto del tipo con i calzettoni bianchi tiratifino al ginocchio che si è preso un colpo sul gozzo con lafune, sta in mezzo a due gruppi da sette persone ciascunoformato da cinque adulti e due bambini, e tiene il braccio(destro) flesso in avanti ad altezza delle spalle e dallamano chiusa a pugno lascia pendere un fazzoletto moltogrosso di colore rosa con pallini bianchi. Il ragazzo… ilgiovane uomo… Gio, ecco, Gio… Gio chiama i numeri 6.Dai gruppi allineati si staccano un bambino e un adulto.L’adulto corre allargando troppo le gambe e tendendo

troppo le braccia e scrollando la testa e lasciando cascarela mascella. Sembra proprio un cavallo. Il bambino chesupera di una spanna il ginocchio di Gio e di due spanne ilginocchio del suo avversario arriva per primo e comincia asaltellare con il braccio teso in alto e la mano protesa,cercando di acchiappare il fazzoletto che pende dalla manochiusa di Gio. Spicca un balzo al di sopra delle suepossibilità e afferra un lembo di fazzoletto e lo tira viadalla mano di Gio, si volta e comincia a correre verso lalinea della sua squadra, mentre il suo gruppo applaude, loincita, una o due donne gridano: “Ma bravo!”, “Dai! Dai!Dai!”, “Ce la fai! Ce la fai! Ce la fai!”. L’avversario delbambino, allarga le gambe ancora di più e appoggiandosisu tutta la pianta del piede destro (…unquarantaquattro…), spingendosi con la punta del sinistro eprotendendosi tutto in avanti con le braccia tese e i polsipiegati di novanta gradi e le palme aperte tocca il bambinoproprio prima che possa superare la linea – probabilmentetracciata con lo stesso gessetto che è stato usato per lalinea che delimita il campo del tiro alla fune – eaggiudicarsi il punto per il suo gruppo. Il palmo dellamano impatta con la schiena del bambino che perdel’equilibrio e cade in avanti picchiando la faccia sulpavimento. C’è uno strillo. Tre o quattro persone si fannovicine al bambino immediatamente. Poi si allontananoimmediatamente così come si sono avvicinateprobabilmente per non togliergli l’aria. Non si sa bene checosa il bambino si sia colpito: il naso, una guancia, lafronte, il mento… il bambino rialza la testa e sta

piangendo. Una donna – la madre? La sorella? Unaparente? – si stacca dal gruppo di tre o quattro persone checircondano il bambino, va dall’uomo che lo ha spinto e glimolla un ceffone – molto più forte e carico di significatidel ceffone che ho visto tirare poco fa durante il girotondo.“Testa di cazzo!” Gli grida la donna. Gli tira un calciosulla coscia destra. L’uomo le afferra il piede e restano perqualche secondo così, la donna con la gamba piegata e ilpiede in mano all’uomo, che con una mano tiene la ilpiede della donna e con l’altra si massaggia la mandibola.Quando l’uomo lascia andare il piede, la donna tra i dentidice: “Bastardo! Per poco non lo ammazzavi!”; ma sicalma non appena si accorge che il bambino ha smesso dipiangere e non ha lividi in nessuna zona del corpo: erasolo un po’ spaventato. A questo punto mi aspetto che ilgioco termini; invece dopo un minuto o due, si riprende agiocare e il bambino torna al suo posto. Il punto, però,almeno quello, non viene assegnato. Gio tendenuovamente il braccio, dice: “Pronti?” E poi dopo averlasciato trascorrere qualche secondo grida: “Numeri 4!”.Questa volta dai gruppi a lato di Gio si spostano duepersone molto grosse con i bicipiti molto sviluppati e lacassa toracica che misurerà almeno trecentocinquantacentimetri. Non sono molto alti, ma sono proprio dueforzuti. Si affrontano ridacchiando. C’è una specie diagonismo goliardico tra loro due. Tutti e due arrivano atempo sulla bandiera, si piazzano con la punta del piede apochi millimetri dalla linea – blu – cercando di noninvadere il campo dell’altro e farsi squalificare, alzano il

braccio destro e portano il sinistro vicino al fianco sinistrodell’avversario pronti per toccarlo non appena questi abbiapreso il fazzoletto. Si guardano negl’occhi e a turnogridano: “Op! Op! Op!” Fino a quando uno dei due (quellodi destra) non si mette gridare “op op op op op op op!” Eprende la decisione di afferrare il fazzoletto. Solo chesuccede questo: la decisione di afferrare il fazzoletto vienepresa dai due uomini simultaneamente. Uno afferra ilfazzoletto dal lembo a lui più vicino e l’altro afferra ilfazzoletto dal lembo a lui più vicino. Tutti e due tirano e ilfazzoletto si strappa nel mezzo e si divide in due parti. Idue uomini, però, sono troppo concentrati nella lorosequenza di azioni per accorgersi di questo, e corronociascuno con la sua parte di fazzoletto. Uno dei due(quello di sinistra) addirittura esulta. Gio si porta le manialla faccia e si comprime gl’occhi. Scoppia a ridere. Loimitano un po’ tutti tra i due gruppi – compreso il bambinoche qualche minuto prima era cascato. Gio dice: “Venitequa! Mi avete rotto il fazzoletto più caro che avevo!Stupido io ad averlo prestato per questo gioco!”. I dueuomini restituiscono le parti del fazzoletto e Gio leesamina grattandosi un lato del mento. Scuote la testa. Poimette nella tasca destra dei pantaloni la parte destra delfazzoletto – quella una po’ più piccola – e dice: “Vabbè,continuiamo. Però stavolta fate piano, eh!”. Tutti ridonoancora. Gio tossisce da un lato, poi tende di nuovo ilbraccio e lascia pendere dalla mano chiusa la parte difazzoletto sfilacciata che è rimasta. Stavolta chiama inumeri 2. Partono due donne. Indossano tutte e due

canottiere: una rosa e una bianca. La donna di destra sicopre il capo con un toque, quella di sinistra con un petaso– e questo mi fa sospettare che la donna di sinistra è lacompagna di Diego il commesso al negozio di articoli dacaccia in Via Emilia. Come i numeri 4 anche i numeri 2arrivano sul fazzoletto a tempo. Sembrano più agguerrite,però; nel loro caso la goliardia non c’entra niente. Nessunadelle due alza le braccia. Sono sugl’uno e sessantacinque eosservano dal basso verso l’alto la parte di fazzoletto con ifili della sfilacciatura che penzolano. Sembra che tutte edue di affidino al fiuto, all’intuizione. Cercano diintercettare l’intenzione dell’avversario di muoversi.Passano i secondi. Dieci secondi. Venti secondi. Trentasecondi. Nessuna delle due si muove. Nessuna fiata.Nessuna fa niente. Dietro di loro si sente qualcuno chegrida: “Adesso, Isa!” Oppure “piglialo, Ramona!” E poidopo un minuto e mezzo qualcuno che dice: “E allora?!”Però in dialetto (“e alùra?!”). Dopo il secondo minuto diimmobilità e di silenzio assoluto tra le due con le manipremute contro le cosce e il busto piegato leggermente inavanti, succede che sia Isa che Ramona decidono diafferrare il fazzoletto, e proprio a questo punto, quando lemani stanno per afferrarlo, Gio lo sfila di colpo, e le ditadella mano destra di Isa si chiudono sulle dita della manosinistra di Ramona, e tale è la concentrazione sullasequenza di movimenti da compiere che Isa si volta e sitira dietro la mano, il braccio e tutto quanto il resto diRamona per almeno un metro fin tanto che non realizzache cosa Gio ha combinato. Allora le due donne si voltano

verso Gio, mentre i due gruppi mandano risate grosse,qualcuno si scuote tenendosi lo stomaco con due mani,qualcuno gonfia le guance coprendosi la bocca con unamano, qualcuno ride indicano la scena con un dito. Le duedonne vanno da Gio con le mani piantate sui fianchi e glidicono: “Mah veh! Che cosa hai fatto?!”. Gli stanno unadestra e una a sinistra e Ramona (…che deve avere unqualche forma di confidenza in più…) tira anche unascappellotto a Gio. Isa gli dice: “Questa variante al gioconon l’avevamo concordata, veh! Cosa ti salta in mente,veh!”. Mentre gli dice queste cose Isa sembra divertita,però forse perché è ancora nella trance agonistica, è anchearrabbiata e le parole le escono dallo bocca un po’ troppostridule, un po’ troppo isteriche.

06 – 04

Ce l’hai!

I miei occhi da trenta metri passano a osservare tre oquattro bambini che stanno a due o tre metri da me. Uno diquesti bambini ha gridato forte a un altro: “Suora tua!”, ioho spostato gl’occhi su di lui (…indossa una camiciabianca e un paio di pantaloni a velluto – tutto della suataglia assai ridotta –…) e l’ho visto schiacciare il palmoaperto della mano destra contro la schiena di un altrobambino. Appena ha ricevuto il tocco questo è scattatoverso un terzo bambino, che aveva raccolto dal pavimento

del chiostro una frittella di Damaso (…c’erano già unadecina di frittelle sparpagliate per il pavimento…) e lastava esaminando, e gli ha gridato: “Ce l’hai!”. Il bambinoha lasciato perdere la frittella che è tornata sul pavimentopiegandosi su se stessa, e ha cominciato a correre verso ilprimo bambino che aveva innescato tutto quanto, e tenevail braccio alzato all’altezza delle spalle, piegato a novantae la mano aperta con le cinque dita e il palmo tesi prontoper colpirgli la schiena. Non appena il primo bambino havisto arrivare il terzo ha cominciato a scappare viavoltando la testa indietro verso il terzo bambino edicendogli: “E’ senza ritorno! È senza ritorno! È senzaritorno!”. Quando il terzo bambino ha sentito questaregola ha dato una manata a Cosimo fermo al chiosco diDamaso. Il terzo bambino ha colpito il culo di Cosimo eha centrato proprio l’adesivo di Stella con la scritta Il piùsfigato del mondo! E gli ha gridato: “Ce l’hai! Sfiga dellasuora senza ritorno!”. Cosimo si è tastato il culo e hasentito l’adesivo di Stella. Ha guardato il bambino che si èmesso a mostrargli tutti i denti bianchissimi e le gengivevermiglie e gli ha detto: “La sfiga di che suora?!”. Ilbambino ha risposto: “La sfiga di Suor Carmelina!” E si ècoperto la bocca con la mano (destra) con l’aria di chivolesse ricacciarsi in gola quella informazione. “Ma SuorCarmelina non porta sfiga!” Dice Cosimo, che per qualcheragione si è tenuto l’adesivo di Stella appiccicato alsedere. “Le suore non portano sfiga! – diceCosimo; //tuona// è la parola migliore – toglitelo dallatesta! A me hanno aiutato tanto e aiuteranno anche a te! E

adesso fila via, fila a giocare, fila e basta!”. MentreCosimo pronuncia queste parole avviene in lui unatrasformazione. Il volto si gonfia e diventa tutto rosso e iltono da giocoso diventa serioso. Mentre sta pronunciandole parole trapela una certa convinzione radicata del lorosignificato inviolabile. Cosimo per qualche ragione credein quello che sta dicendo e su questo c’è poco dascherzare. Il bambino si accorge della trasformazione diCosimo e si allontana. Cosimo osserva il bambino che siallontana nel cortile forse pensando ancora alle parole chegli sono uscite dalla bocca poi si volta verso Damaso, glistrizza l’occhio e gli chiede un’aranciata.

*** cambio battuta ***

08 – 04

Aranciata

“Damaso, stai attento! Ahio! Ma che cosacombini?!”. Cosimo sta gridando e io ho visto tutto quantoe so che cosa spinge Cosimo a gridare tanto forte. Ho vistola lattina di aranciata tra le mani di Damaso spuntare dalchiosco, ho visto l’indice della mano destra di Damaso (…le dita di Damaso assomigliano ai wurstel che cucina…)infilarsi dentro l’anello della lattina e la mano sinistrastringere la lattina e muoverla avanti e indietro – quasicome se la shakerasse. Poi ho visto lo schizzo giallo di

aranciata che è partito non appena Damaso ha sollevato lalinguetta della lattina. Lo schizzo ha disegnato una linearetta nell’aria ed è finito diritto negl’occhi di Cosimo.Cosimo ha fatto due passi indietro, ha stretto gl’occhi (…troppo tardi…) e si è portato tutte e due le mani al voltopassandosele sugl’occhi e per tutto. “’azzo!” Sibila tra identi Cosimo. Il fatto è che non vuole farsi sentire dallesuore. Le suore, per Cosimo, così come per Evaristo, perDamaso, per Benigno e per quasi tutti o proprio per tuttigli iscritti al torneo, per una ragione o per un’altra, sonomolto importanti, anzi fondamentali, e tutti quanti cercanodi tenerle buone, di accontentarle in tutto e per tutto, il chetradotto significa non dire le parolacce, non fare i rissosi ecomportarsi al meglio. Cosimo toglie la lattina d’aranciatadalle mani di Damaso e gli dice: “Certo che combini unsecchio di pasticci!” E indica le frittelle sparpagliate per ilpavimento del chiostro. Ci saranno già almeno undici ododici frittelle e la giornata è solo all’inizio. “Non riesci astare più attento, testa di banana?!”. Cosimo si rivolge inquesto modo a Damaso (…//secchio di pasticci//; //testa dibanana//…) per due ordini di ragioni. La prima è perchéparla a Damaso come se fosse suonato completamente –lui appartiene alla scuola di pensiero che ritiene Damasoun venditore di snack sulle vetture dei treni e non unIngegnere Meccanico –; la seconda è perché Cosimoconosce Damaso da molto tempo – erano stati compagnidi un sport che si chiama Jorky ball; confesso tuttavia dinon aver capito mai che cosa questo Jorky ballesattamente fosse – e questo li rende molto simili. Infatti:

solo Cosimo avrebbe potuto farsi aprire una lattina diaranciata da Damaso, quando tutti abbiamo imparato cheda Damaso farsi aprire qualsiasi lattina che contiene gasoltre che liquido al suo interno significa decidere di farsilavare completamente.

10 – 04

Giochi in scatola

A pochi metri dal chiosco di Damaso – nel frattempomi sono spostato di qualche passo verso sinistra e hosuperato la porta bianca della cappella interna dell’istituto– noto un tavolo di legno molto lungo con panche di legnodove stanno seduti diversi bambini e due o tre suore. Lasuperficie del tavolo è ricoperta da fogli di cartone pergiocare a giochi in scatola. Quattro bambini stanno attornoal foglio di cartone del Monopoli. Adesso c’è un bambinoche ha appena lanciato i dadi sul tavolo (…deve aver fatto8…) con un contenitore cilindrico di plastica nera simileper certi aspetti al bicchiere di carta colmo di caramelleche ho tra le mani, ha mosso la pedina – un cubo di legnodi colore fucsia – sulle caselle ed è arrivato alla casellaIMPREVISTI. Adesso pesca un cartellino arancione elegge ad alta voce quello che c’è scritto sopra. “Andatealla Stazione Marittima: se passate dal Via! Ritirate le20.000 lire”. Accanto a questi segue quasi attaccato ilfoglio di cartone del Cluedo, seguito da quello di Crack!,seguito da un gioco che a quanto ho capito si chiama

Scotland Yard – e che deve essere una variante delCluedo. Alla fine del tavolo è steso il foglio di cartone diun gioco in scatola che si chiama La casa dei fantasmi. Loconosco perché sono stato io che in qualche anno passatoho fatto dono del gioco all’istituto – ho regalato anche unaltro gioco, che si chiama Brivido, ma sul tavolo non lovedo. Suor Rosetta sta leggendo a cinque bambini sedutiattorno al gioco con la casa dei fantasmi premontata che sialza per una quarantina di centimetri dal foglio di cartoneil libretto di istruzioni. “…SCOPO DEL GIOCO – leggeforte Suor Rosetta –: catturare il fantasma che è nascostonell’ultimo locale della casa. Perciò ogni giocatore devecercare fra le tessere nascoste in ogni locale della casa glioggetti del proprio colore indispensabili per la cattura delfantasma. REGOLE DEL GIOCO: incomincia a giocare ilpiù giovane, poi quello alla sua sinistra in senso orario ecosì di seguito – Suor Rosetta alza il viso – chi è il piùgiovane qui? Luca, sei tu? Non hai sette anni? Oppure seitu Silvia? Ma tu hai sette anni e mezzo…”. I bambini siguardano tra loro. Poi Luca alza gl’occhi verso SuorRosetta e dice: “Io non sono Luca, io sono Diego” e Silviadice: “Io non sono Silvia, io sono Carolina”. “Ma cosadite! – replica Suor Rosetta – voi siete Luca e Silvia,conosco i vostri genitori, bambini”. “No! No! No!”Protestano i due bambini. Suor Rosetta sembra noncrederli. “Ma avete sette anni e sette anni e mezzo, o non ècosì?”. Luca e Silvia si guardano. Poi rispondono che sì,Diego tra loro è il più giovane. “Bene, allora sarà Luca acominciare, poi la seconda sarà Giusy e il terzo Simone

e… e insomma, via così”. Suor Rosetta abbassa di nuovoil capo sul libretto di istruzioni. Si schiarisce la voce.“Ogni giocatore al suo turno lancia il dado e sposta il suobirillo di tante caselle quanti sono i punti ottenuti col dado– Suor Rosetta alza il viso – allora, bambini, avete capitobene?”. I bambini hanno tutti capito bene. “Ogni giocatore– spiega Suor Rosetta – lancia il dado e sposta il suobirillo di due caselle per volta”. Suor Rosetta torna aleggere. “I birilli si spostano verticalmente edorizzontalmente, ma mai in diagonale! – alza il viso e dice– allora, bambini, avete capito bene? I birilli si spostanoverticalmente diagonalmente, ma non orizzontalmente”. Ibambini si guardano uno con l’altro. Uno si gratta la testa.Forse stanno cercando di stabilire se hanno sentito malequando Suor Rosetta ha letto il testo oppure quando SuorRosetta lo ha ripetuto – che Suor Rosetta abbia sbagliato aripetere il testo questo non li attraversa nemmenoperché… be’, perché quella è Suor Rosetta, un’insegnante.“Bisogna passare dalla porte per andare da un localeall’altro, e non si possono attraversare i muri, distinti da ungrosso tratto nero, tranne in un caso che vedremo piùavanti; inoltre non si può avanzare e indietreggiare durantela stessa mossa; un birillo può passare da una casellaoccupata da un altro, ma se si ferma su una casellaoccupata da un avversario, sposta il birillo dell’avversariosu una qualsiasi altra casella libera nello stesso locale dellacasa; agli effetti del gioco ogni gradino delle scale contacome una casella; quando un giocatore fa 3 lanciando ildado, ritira un’altra volta. Quando invece fa 1 ha tre

possibilità: può spostare il suo birillo di una casella, puòattraversare un muro spostandosi di una casella, puòscoprire una tessera nascosta, in un qualunque locale dellacasa, senza farla vedere agli altri giocatori, in modo dalocalizzare non solo gli oggetti del suo colore ma, se èfortunato, anche il fantasma. Dopo scoperta la tessera, larimette a posto senza muovere il proprio birillo”. SuorRosetta si ferma; e rispiega. “Bisogna passare dai muri perattraversare un locale e l’altro, e si possono attraversare imuri, che sono, sì, sono distinti da un grosso trattomarrone, tranne in un caso che si vedrà più avanti; poi: sipuò avanzare e indietreggiare durante la stessa mossa; unbirillo non può passare da una casella occupata da un altro,ma se si ferma su una casella occupata da un avversario,sposta il birillo dell’avversario su una qualsiasi altracasella libera nello stesso locale della casa; poi: agli effettidel gioco ogni gradino delle scale conta come una casella;quando un giocatore fa 5 lanciando il dado, ritira un’altravolta. Quando invece fa 7 ha due possibilità: può spostareil suo birillo di una casella oppure può scoprire una tesseranascosta, in un qualunque locale della casa, e la può farvedere agli altri giocatori, in modo da localizzare non sologli oggetti del suo colore ma anche il fantasma. Dopo cheha scoperto la tessera, la rimette a posto senza muovere ilproprio birillo”. I bambini si guardano nuovamente unocon l’altro. Il bambino di prima si gratta di nuovo la testasempre nello stesso punto. “LE TESSERE – torna aleggere Suor Rosetta – in ogni locale ci sono 5 diversi tipidi tessere: 1 – GLI OGGETTI, dello stesso colore dei

birilli. Questi devono essere trovati nello stesso ordinedescritto qui sotto per passare da un locale a quellosuccessivo: MAPPA – LENTE – CHIAVE – TORCIA –ASPIRAPOLVERE. 2 – IL PORTAFORTUNA,rappresentato da un quadrifoglio. 3 – LE CREATUREMALVAGE, rappresentate da un pipistrello, da un topo eda un gatto. 4 – I PASSAGGI SEGRETI, rappresentati dauna porta semiaperta. 5 – IL FANTASMA, chi loacchiappa vince – una pausa e poi – se si vuol scoprire unatessera bisogna fermarsi sopra la sua casella; non c’èbisogno però di fare col dado il punteggio esatto perarrivarci; quando un giocatore arriva sulla casella di unatessera, la scopre rigirandola e la rimette a posto; se latessera che scopre è un portafortuna, la pone davanti a sécoperta. Gli servirà più tardi per fronteggiare una creaturamalvagia. Se invece scopre una creatura malvagia ha duepossibilità: può giocarla immediatamente contro unavversario, può conservarla davanti a sé coperta, pergiocarla più tardi; quando un giocatore gioca questatessera della creatura malvagia contro un avversario, glielaporge, e il giocatore attaccato salterà il suo turno di gioco,a meno che non sia in possesso di una tessera portafortuna,che in questo caso annulla l’attacco. Queste tesserevengono eliminate dal gioco man mano che si utilizzano;quando un giocatore trova un oggetto del suo colore puòspostarsi nel locale successivo in due modi: si spostadirettamente sul simbolo giallo rotondo con la frecciaposto di fronte al passaggio segreto. Al suo turnosuccessivo aprirà questo passaggio lanciando il dado,

spostandosi così sulla casella corrispondente del localeseguente e richiudendo poi il passaggio; se possiede unatessera dei passaggi segreti, la gioca non appena ha trovatol’oggetto del suo colore. Questa tessera gli permetterà dipassare direttamente al locale seguente, senza lanciare ildado, e di piazzare il proprio birillo su una casella a scelta(tranne quelle occupate da tessere). La tessera giocataviene poi eliminata dal gioco; anche per salire al pianosuperiore ogni giocatore deve trovare l’oggetto del propriocolore e collocare il proprio birillo sul simbolo giallorotondo con la freccia; quando i giocatori hanno trovatotutti i loro oggetti possono allora cercare il fantasma,spostandosi sempre nello stesso modo”. Suor Rosetta siinterrompe; e rispiega tutto quanto. “LE TESSERE , inogni locale ci sono, sì, ci sono 4 diversi tipi di tessere: 1 –GLI OGGETTI, che sono dello stesso colore dei birilli.Questi devono essere trovati nell’ordine:ASPIRAPOLVERE – MAPPA – CHIAVE – LENTE –TORCIA. 2 – IL PORTAFORTUNA, rappresentato da untrifoglio. 3 – LE CREATURE MALVAGE, rappresentateda un ombrello, da un topo e da un matto. 4 – IPASSAGGI SEGRETI, rappresentati da una porta aperta.5 – IL FANTASMA, chi lo trova vince. Se si vuol scoprireuna tessera bisogna fermarsi sopra la sua casella; bisognaperò fare col dado il punteggio esatto per arrivarci;quando un giocatore arriva sulla casella di una tessera, lascopre, la rigira e la rimette a posto; se la tessera chescopre è un portafortuna, e se la mette davanti coperta. Seinvece scopre una creatura malvagia ha due possibilità:

può giocarla immediatamente contro un avversario, puòconservarla davanti a sé coperta, per giocarla più tardi;quando un giocatore gioca questa tessera della creaturamalvagia contro un avversario, gliela porge, e il giocatoreattaccato salterà il suo turno di gioco, a meno che non siain possesso di una tessera portafortuna, che in questo casoannulla l’attacco. Queste tessere rimangono sempre;quando un giocatore trova un oggetto del suo colore puòspostarsi nel locale successivo in due modi: si spostadirettamente sul simbolo arancione rotondo con la frecciache sta di fronte al passaggio segreto. Al suo turnosuccessivo aprirà questo passaggio lanciando il dado, ecosì si sposterà sulla casella corrispondente del localeseguente e richiuderà poi il passaggio; se possiede unatessera dei passaggi segreti, la gioca non appena ha trovatol’oggetto del suo colore. Questa tessera gli permetterà dipassare direttamente al locale seguente, senza lanciare ildado, e di piazzare il proprio birillo su una casella a scelta(tranne quelle occupate da tessere). La tessera giocataviene poi eliminata dal gioco; anche per salire al pianosuperiore ogni giocatore deve trovare l’oggetto del propriocolore e collocare il proprio birillo sul simbolo arancione,sì, arancione, ho detto, no?, quadrato con la freccia;quando i giocatori hanno trovato tutti i loro oggettipossono allora cercare il fantasma, spostandosi semprenello stesso modo”. I bambini ascoltano tutto quanto, unocerca anche di intervenire (…è Luca; ma forse Diego…),ma Suor Rosetta torna a leggere sul libretto di istruzioniblu che tiene tra le mani. “VINCITORE DELLA

PARTITA. Il primo giocatore che riesce ad individuare lacasella del fantasma e ad acchiapparlo ha vinto!”

*** cambio battuta ***

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Fantasmi

SCOPO DEL GIOCO: catturare il fantasma che ènascosto nell’ultimo locale della casa. Perciò ognigiocatore deve cercare fra le tessere nascoste in ognilocale della casa gli oggetti del proprio coloreindispensabili per la cattura del fantasma. Ora che sonotornato a guardarmi attorno sto ripensando a queste parole.Lo scopo del gioco in scatola La casa dei fantasmi è cheogni giocatore per catturare il fantasma deve trovare glioggetti del proprio colore. Mi chiedo se questo scopo nonsia stato elaborato dopo una qualche forma di analisipsicologica sia pure molto elementare; e mi chiedo quantoci sia di questo scopo che per quanto in un modo bizzarro,imprevedibile e forse forzato si possa collegare con i mieidi scopi che ogni anno mi ritrovo all’istituto perpartecipare al torneo di ping pong. Forse anch’io sono quiper catturare un fantasma; e forse, e questo è il punto, ilmio modo per catturare il fantasma proprio come nel giocoin scatola è andare alla ricerca degli oggetti dello stessocolore. Quando dico questo, quando dico che anch’io, in

un modo mio e solo mio, sto cercando oggetti dello stessocolore, intendo che è osservando con lo scrupolo massimotutto quello che mi succede attorno che sto cercando ilfantasma, sto cercando, anzi, prima di tutto, diindividuarlo, perché individuare il fantasma, questo penso,significa già averlo catturato. E forse, penso, forse ilfantasma gira nell’istituto oppure nell’oratorio, forse lo haaddosso Damaso o forse Stella o forse Cosimo o DonFabrizio o Benigno o Suor Claretta o Suor Ughetta o SuorClementina o Suor Marinnina oppure il fantasma sta nellaracchetta da ping pong, nei tavoli, sta dentro a qualchechiazza d’umido delle mura del refettorio, tra i fili vegetalidella fune del tiro alla fune o tra le dita intrecciate di chista facendo il girotondo. Forse per questo cerco diosservare al meglio tutti i dettagli di quello che mi staattorno: perché questo è il mio modo di individuare ilfantasma e di catturarlo. Ho il sospetto che tutti quanti tragli adulti – o adulti cosiddetti – che sono oggi quinell’istituto stiano cercando di catturare un fantasma –forse è lo stesso fantasma per tutti quanti; e il sospetto èche forse se non si tratta dello stesso fantasma per tutti,comunque si tratta di più fantasmi che si assomigliano – eche ognuno abbia i suoi modi per cercare di individuarlo edi catturarlo, e che questi modi comunque si possanoconsiderare tutti quanti – anche loro – ricercare oggettidello stesso colore. Damaso prepara frittelle su frittelle ele lancia con la padella sul pavimento del chiosco, oppureschizza chi gli chiede di aprirgli la lattina di una bibitaoppure schiaccia un hot-dog tanto da far partire il wurstel

come un razzo: forse tutto questo può essere solo unacretineria, ma può anche essere il modo di Damaso –iterato ossessivamente – di individuare il fantasma e dicatturarlo e di cercare oggetti dello stesso colore. Stellaattacca adesivi ovunque e su chiunque: forse questa puòessere solo una mania – forse uno psichiatrauserebbe //disturbo ossessivo compulsivo// -, ma puòanche essere il modo di Stella di individuare il fantasma edi catturarlo e di cercare oggetti dello stesso colore. Vitaletira fuori dalla sua valigetta merde di plastica, monete chesi moltiplicano, denti chiacchierini, e questo può esseresolo una bizzarria, d’accordo; ma può anche essere ilmodo di Vitale di individuare il fantasma e di catturarlo edi cercare oggetti dello stesso colore. Ripensando allafrase che ho sentito dalla bocca di Suor Rosetta mentreleggeva dal libretto delle istruzioni del gioco in scatola, michiedo di nuovo se lo scopo del gioco non sia statoelaborato in seguito a uno studio psicologico, anche se nontroppo approfondito. Perché collegare alla ricercadi //oggetti// e per di più dello stesso //colore// la catturadel fantasma? Perché non collegare questa cattura alcompimento di una serie di //azioni// ossia il superamentodi prove di abilità? Perché limitare tutto quanto allaraccolta di oggetti e alla selezione di questi oggetti per lostesso colore? Forse perché anche solo a un livello moltoelementare noi tutti sappiamo che la ricerca del nostrofantasma passa attraverso tutti quegli elementi che fannoesistere il nostro fantasma – e questi sono tutti quantielementi dotati di concretezza, e il compimento di

un’azione benché finalizzata al superamento di una provadi abilità che definisce il nostro valore rimane un’azionedotata di una certa inconsistenza (si può fotografare,filmare, documentare in moltissimi modi, o anche soloricordare), ma questa inconsistenza rimane. Non si puòcatturare un fantasma con un’azione perché ogni azione èinconsistente finisce mentre si produce: lo si può catturarese lo si individua, invece, in una cosa, perché la cosarimane. Che la ricerca del nostro fantasma sia //labellezza//, //la verità//, //la libertà//, //la giustizia//, //lademocrazia//, //la pace//, //la serenità//, //il coraggio//, //ilvalore// o un’altra qualsiasi, comunque questa ricercapassa attraverso le cose che fanno esistere questofantasma, il nostro fantasma, quale che sia. Se è così ingenerale, e io lo credo, adesso resta da stabilire quale siaper me il fantasma che sto cercando di individuare e dicatturare.

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Oggetti

SCOPO DEL GIOCO: catturare il fantasma che ènascosto nell’ultimo locale della casa. Perciò ognigiocatore deve cercare fra le tessere nascoste in ognilocale della casa gli oggetti del proprio coloreindispensabili per la cattura del fantasma. Quali sono imiei oggetti? E il colore dei miei oggetti qual è? Forse secapisco questo, allora potrò individuare anche qual è il

mio fantasma? Che forma ha il mio il fantasma? Cheprobabilmente è lo stesso che dire: che cosa è? Una voltadurante la serata al B&B di Salice Terme dove abbiamoassistito alla rissa tra Benigno e Walter, Michele, ilragazzo di Savemi, l’amica di Babila, ha cominciato conun discorso strano. Forse aveva bevuto; ma il sospetto,quel che è peggio, è che forse Michele non avesse bevuto.Michele cianciava di diavolo, fantasmi, demoni – usoparole //strano// e //cianciare// perché voglio esprimeretutto il mio disagio, la mia distanza e la mia estraneità dauna persona come Michele – e in un tratto del suo discorsostrano Michele ha cianciato: “Il diavolo è una cosa diversadal fantasma: il diavolo è la mia carne stessa e tutto quelche sta chiuso nella mia carne (compresi i pensieri) e cheda questa a volte esce. Il fantasma, invece, è l’oggettosenza forma che determina tutte le mie azioni e tutto il miomondo”. E più avanti nel corso della stessa conversazione– se //conversazione// è la parola adatta per definire queldiscorso strano – Michele mi ha cianciato: “Gli oggettisono demoni”. Adesso mi chiedo che cosa intendesseMichele quando cianciava di un fantasma che è un oggettosenza forma. Un //oggetto senza forma// a pensarci bene èun’espressione che si auto-divora perché un oggetto puòesserci solo se ha una forma. Forse Michele intendevaqualcosa d’altro che è troppo al di sopra delle miepossibilità perché lo possa capire oppure Micheleintendeva con un’espressione imperfetta che un fantasmacambia forma ossia si trasforma in un altro oggetto.Insomma: il fantasma si sposta tra una serie di oggetti.

Non possiede un oggetto solo, perché in quel caso sarebbe,stando alle parole di Michele, un demone. Un fantasmanon può stare dentro una stella o dentro una perla, dentrouna farfalla o dentro un fiore – oppure può starci ma solotemporaneamente, e quando hai seguito la stella fin nelluogo che ti sembrava indicare, quando hai raccolto laperla, quando ha acchiappato la farfalla, quando staiannusando il fiore, già il fantasma non c’è più e staaltrove. Forse per questo mi fermo ad osservare ogni cosa:perché dentro all’istituto sento che il mio fantasma sisposta da un oggetto all’altro come se stesse giocando anascondarella con me e mi facesse le boccacce e lelinguacce ora dalla corda del tiro alla fune ora dallefrittelle sul pavimento ora dal fazzoletto che serve pergiocare a bandiera, e con ogni probabilità da tutto il resto.Ognuno di questi oggetti che ho nominato fino a quiproducono in me delle memorie, ma fino a qui non misono messe a raccontarle perché non sono le mie memorieche sento di voler raccontare. Sento, invece, di volerlasciar trapelare attraverso queste descrizioni la forma delmio fantasma oppure desidero che ci sia qualcuno cheposando gl’occhi su questo scritto possa riconoscere laforma di un fantasma e magari informare anche me. Forselo scopo del mio gioco è questo: osservarmi attorno,riportare tutto quanto qui e alla fine farmi un’idea del miofantasma oppure depositare tutto qui e poi forse un giornochissà. Proprio non lo so. Addirittura: forse il mio stessofantasma è un fantasma; e non è con questo scritto che loindividuerò e lo catturerò. Dopo tutto, se così stanno le

cose, e cioè se il mio stesso fantasma è un fantasma, pensoche avere un fantasma sia già qualcosa; ma forse, comeme, esistono persone che non hanno nemmeno unfantasma da inseguire, che non sanno nemmeno qual è illoro fantasma da individuare e da catturare, ma questo nonsignifica che vivano in un cosmo dove le stelle stannofisse al loro posto, anzi tutt’altro, e questo al momento misembra la cosa più spaventosa.

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Memorie

Comunque sì: tutto quel che sta dentro l’istitutoproduce in me memorie. Se faccio attenzione ai barattolicon i germogli delle lenticchie o dei fagioli gialli in filasopra i davanzali delle finestre, non posso non ricordarmiquando ero io ad appoggiare il mio barattolo (…di solitoun barattolo di confettura svuotato oppure un barattolo disalsa di pomodoro con il coperchio verde…) sopra ildavanzale, non prima di aver scritto su un’etichettaadesiva bianca il mio nome con un pennarello rosso (…enon posso non ricordare anche lo scricchiolio della puntadel pennarello sull’etichetta che mi faceva venire lasensazione come se qualcuno mi incidesse i denti con untaglierino…). Se sento il rimpallo della pallina che vienedai due calcio balilla all’angolo alla mia sinistra non possonon essere attraversato da una serie di memorie come seuna grossa vite mi perforasse in un angolo dietro la nuca e

mi entrasse a forza generandomi ad ogni giro unamemoria. Sì, il rimpallo della pallina genera una memoriache porta un’altra memoria (…non necessariamente peròuna memoria che porta a un’altra memoria…). Peresempio non posso non ripensare alle mani chiuse a pugnoattorno alla plastica delle manopole dove si inseriscono leaste macchiate di grasso che passano attraverso le boccolee portano agganciati i giocatori rossi e blu in moplen cheper colpire la pallina vengono fatti alzare spesso dinovanta gradi, qualche volta di centoottanta, quasi sempredi trecentosessanta gradi, le stesse mani che poi sidistendono dopo il gol e allungano un indice sui cubettidel segnapunti e ricuperano la pallina dal raccoglipallina ela spingono stavolta col pollice nella camera di plasticaper iniziare a giocare di nuovo. Quelle mani sono collegatea delle braccia e le braccia a delle spalle e le spalle a uncollo e il collo a un volto e otto mani fanno otto bracciaotto spalle quattro colli e quattro volti (…a meno non sigiochi uno contro uno o uno contro due; ma nella miamemoria il caso non è questo…) e nella mia memoriaquesti quattro volti – e i colli, le spalle, le braccia e lemani – appartengono al Bodoni (…con lui, come già hoscritto, in quinta elementare ho vinto un torneo di calciobalilla e il premio era consistito in caramelle al miele –...quelle avvolte nella cartina gialla che fanno bene allagola... –, in mentine alla violetta che sapevano di sapone eche io trovavo il modo di buttare nel cestino o di regalare aqualche compagna di classe, e avvolta in una cartaargentata color verde speranza un ovettino di cioccolato al

latte – uno solo, ma buonissimo…), e poi al Sansi, alRomano e al Georgiani. Adesso che ricordo questi quattrocompagni di scuola non posso non ripensare quando inquarta elementare durante l’intervallo delle lezioni il Sansistava correndo nel corridoio all’interno dell’istituto avantialle aule e il Corpi dal lato sinistro del corridoio haallungato la gamba destra e ha agganciato con la coscia lacaviglia sinistra del Sansi, che è finito faccia in giù sulpavimento a losanghe ed è scivolato sull’addome peralmeno due metri con la nuca alzata a novanta gradi, ilvolto perpendicolare al pavimento, la bocca spalancata, identi (…che avevano bisogno dell’apparecchio…) sparatifuori, fin quando volto, bocca, denti non sono finiti sulladestra contro lo spigolo di una colonna finta a due passidall’appendiabiti, i due denti davanti si sono spezzati, lelabbra si sono spaccate e, tra tutto il resto, hanno sporcatoun sacco; e nemmeno posso non ripensare al Georgianiche in terza elementare avevo scambiato per il Righi e chea causa di questo avevo accusato di avermi colpitoall’uscita della scuola mentre stavo rivestendomi nei pressidell’appendiabiti (…mi stavo infilando nel mio piuminogrigio nuovo – il Montclaire che mia madre mi avevacomprato in un grande magazzino di Novi Ligure –…) conil suo giubbotto, che non ricordo d’aspetto ma che ricordoaveva una cerniera molto vistosa, di ferro, con ladentellatura larga almeno un dito. La cerniera delgiubbotto mi era finita a qualche centimetro dall’occhiodestro e quando mia madre aveva visto il segno delladentellatura della cerniera aveva cominciato a dare i

numeri, aveva voluto sapere chi fosse stato a farmi ilsegno, e io gli avevo detto il Georgiani, anche se era ilRighi, perché avevo scambiato il Righi col Georgiani (…tutti e due avevano i capelli alla sbirulino; tutti e dueavevano la faccia tonda; tutti e due avevano il sorrisonesul faccione; ed erano alti uguale…), e li avevo scambiatiperché in corridoio all’uscita dalle aule c’era la ressa, lemie compagne e i miei compagni staccavano i soprabitidai ganci dell’appendiabiti, qualcuno si sbagliava eprendeva il soprabito di qualcun altro, e io data la ressanon avevo visto proprio bene chi mi avesse dato lacernierata, e a mia madre avevo detto che era stato ilGeorgiani invece che il Righi, e mia madre il giorno dopoera stata a scuola e aveva rimproverato il Georgiani e nonil Righi a causa della cernierata, e il Georgiani avevadetto della faccenda della cernierata a suo padre, che dimestiere faceva il fabbro, ed era alto come una porta egrosso come un armadio, e abitava con tutta la famiglia aTortona in Via Calcinara dove mia madre molto spessopassava alla cerca di un posteggio per la sua Minnie rossa,perché noi stavamo con tutta la famiglia in Via Carducci,una parallela di Via Calcinara, e mia madre passando conla Minnie rossa a passo d’uomo aveva incontrato il padredel Georgiani fermo davanti al cancello del cortile del suopalazzo proprio a un passo dalle serrande della redazionedi Otto su Sette e quando aveva visto la Minnie rossa conmia madre dentro il padre del Georgiani si era abbassatoverso il finestrino dalla parte di mia madre con la manodel figlio nella mano sinistra e la mano destra alzata

davanti alla faccia con l’indice teso che si muoveva comeun tergicristallo, e la bocca che faceva il verso tch! Tch!Tch! Tch! Come si fa quando si vuole dire no no no nosolo che al posto di dire no no no no si spinge la linguacontro il palato e la si lascia andare e si produce il versotch! Tch! Tch! Tch! Quando mia madre ha visto il dito esentito il verso, ha fatto quattro metri ancora, ha accostatola Minnie dove c’era spazio, ha messo le quattro frecce, èscesa, è andata a farsi le sue ragioni con il padre delGeorgiani, mentre io incrociavo le mani sulla faccia, cosache facevo tutte le volte – non proprio pochissime – chemia madre si faceva le sue ragioni con qualcuno, e che amaggior ragione ho fatto quella volta, perché mia madre siera andata a fare le sue ragioni con il padre del Georgianisenza avere nemmeno un’ombra di ragione. Quanto alRomano quando mi capita di ripensare a lui mi viene inmente nella sua officina davanti al tavolo dove sparpagliatistanno un carburatore, una batteria, un tubo discappamento e chiavi inglesi sporche di nero. Il Romanoprende l’oliatrice di gomma molle color arancione da unangolo del tavolo accanto al tubo di scappamento, va allaserranda a maglie triangolari (…quella della redazione diOtto su Sette, invece, è a maglie quadrate…) e comincia aoliare i cardini della serranda, e io lo vedo con la sua tutache una volta era stata bianca ma che adesso è nerapraticamente per tutto mentre mi dice che deve stareattento a non farsi colare gocce di lubrificante lungo ilbraccio – che è pelosissimo; e il Romano ha ciuffi di peliche gli spuntano sia dal davanti che dal dietro del

colletto...) perché l’oliatrice ha un forellino non più grandedella cruna di un ago nel rivestimento di gomma e sepremesse troppo un po’ del lubrificante gli finirebbe suivestiti, magari sulla faccia. Io lo vedo mentre preme le ditasulla gomma arancione dell’oliatrice inquadratodall’officina dove da un lato ammonticchiati stannocopertoni usati di automobili e una Fiat 126 con lacarrozzeria bianca piena come di lividi bluastri, edall’altro lato, invece, appoggiati una appresso all’altra stauna fila di Ciao e moto da trial. Il ricordo è fatto di oggettipiuttosto datati perché il Romano era stato assunto nellacarrozzeria nel 1993 quando aveva quindici anni. Adesso,che siamo nel 2005, a ventisei anni il Romano è diventatoil proprietario della carrozzeria, che lavora a pieno regime,nel 2001 (…più o meno mentre io partecipavo al primotorneo di ping pong organizzato dall’istituto SanGiuseppe…) ha acquistato altri due locali, ha assunto altritre addetti e con il suo diploma di geometra preso in setteanni credo a partire dal 2003 (…più o meno mentre iopartecipavo al terzo torneo di ping pong…) ha cominciatoa girare per Tortona con un’astra fiammante conun’altrettanto fiammante mogliettina nel sedile al suofianco e due fiammanti bimbetti di quattro e di due anninei posti dietro – anche il primo dei due bambini tantofiammante non è, visto che deve aver preso dal padre, egià presenta una peluria fittissima sulle braccia sullegambe e sul labbro superiore. Tutto questo, tra altro, mi faanche ricordare che il Georgiani, invece, si è preso lalaurea in Economia e Commercio a Pavia e adesso,

sfruttando anche i suoi occhi opalini, fa l’attore nellaboratorio teatrale di Tortona, qualche anno passato illaboratorio si è preso anche un qualche premio – se malenon ricordo a Siracusa; il Sansi si è preso la laurea inFilosofia, tre specializzazioni in comunicazione, e adessocorregge i saggi in bozze di una qualche casa editrice chesi occupa esclusivamente del tema del vino nel tortonese –qualche volta, come mi ha raccontato, alle sagre fa ancheil degustatore per lo stand della sua casa editrice, doveviene chiamato a fare lo standista grazie agli zigomipronunciati del suo volto e al suo uno e ottantasette dialtezza; il Bodoni dopo la laurea in Lettere adesso (…o //per adesso//, espressione che ormai in molti casi hasostituito l’espressione //adesso//…) sta a Tokio, midicono a fare lo spedizioniere – e in fondo deve trattarsi diun mestiere che gli si addice il corriere, visto che comecorridore il Bodoni è sempre stato ottimo. Se li penso tuttiassieme – il Bodoni, il Georgiani, il Sansi, il Romano –non posso non ricordare quella volta che in quartaelementare dopo la Messa della Fine dell’anno Scolasticonella Cappelletta interna al cortile, Suor Clementina ci hapreso tutti quanti a schiaffi, ci colpiva con le quattro ditasulle guance e ogni volta sembrava invece che ciraggiungesse una sventagliata di spilli agl’occhi, e quandoscrivo //tutti//, però, non mi riferisco soltanto al Bodoni, alGeorgiani, al Sansi, al Romano e al sottoscritto, miriferisco proprio a tutta quanta la classe, Suor Clementinaaveva preso a schiaffi e menato di brutto tutta quanta laclasse (…trenta bambini; nove maschi e ventuno

femmine…) al termine della Messa della Fine dell’annoScolastico. In parte ce l’eravamo meritati; ma per il resto,ancora mi chiedo che cosa avessimo fatto di tanto grave, eche diavolo avesse preso quel giorno Suor Clementina. Perquel che ricordo la faccenda è andata così. Nel corso dellamessa tradizionale celebrata nella cappelletta, che ha laporta di legno pitturata di bianco con i pomelli d’ottonealle mie spalle a sinistra a solo qualche metro dall’ingressodella portineria (… specularmente a destra sta la portadella Direzione…), successe che nel momento dellaconsacrazione dell’ostia alcuni tra i miei compagni e lemie compagne si misero a ridere tanto forte che il prete(…Don Severino? Don Orlando?; non lo ricordo…)dovette interrompere la consacrazione e chiedere silenzio.Quando successe questo Suor Clementina non fece proprioniente, in chiesa non sembrò avere nessuna reazione.Aspettò che la Messa finisse, poi ci fece mettere in fila perdue fuori dalla chiesa, ci condusse per il loggiato, ci feceentrare all’interno dell’edificio dove stanno le aule e lì siscatenò. Cominciò a sferrare manrovesci e mandritti. Ledita di Suor Clementina non erano ossute, ma non eranonemmeno cicciotelle – così come tutta quanta SuorClementina non era grassottella, ma non era nemmenonerboruta –, e quando colpivano alle guance o alla testa ledita schioccavano come i colpi di una frusta – nel mioricordo le dita schioccavano allo stesso modo sia quandocolpivano le guance che la testa. Suor Clementina partì dalmezzo della fila, più o meno dove stavo io (…eravamodisposti in ordine di altezza…), e senza nessun preavviso

cominciò a colpire. Avvampava sul volto, e sul collo eracome se qualcuno le avesse legato attorno grosse strisce dicuoio scarlatto. Maschio o femmina che fosse, SuorClementina prendeva per il bavero del grembiule, tiravafuori dalla fila e gridava: “E tu?! Cretino! Sei un cretino!”E lasciava andare il manrovescio tanto forte che nemmenosembrava impossibile la testa non si staccasse e nonrotolasse per il corridoio con le piastrelle lucidissime. Fecequesto per non so quante volte, e tutte le volte che colpivaqualcuno, quello si metteva subito a piangeremassaggiandosi la parte colpita con una mano. La cosa cheadesso mi sembra straordinaria e normale al tempo stesso(…e se qualcosa è //straordinario// e //normale// a untempo, allora significa che quasi certamente è qualcosache genera più che //stupore// //orrore//…) è che la filanon si disfacesse. Tutti restavano al loro posto e quandoSuor Clementina acciuffava il bavero di uno di noi e lofaceva in modo che la mano si togliesse dalla mano delcompagno (…ricordo che questo non successe con laEngraversi e la Forti: quando Suor Clementina tirò ilbavero della Engraversi la Forti tenne la presa, e la Forti inclasse veniva chiamata Bombolone del Mulino Biancomentre la Engraversi che era la sua compagnainseparabile, e delle due anche la più rompipalle, venivachiamata Tegolino del Mulino Bianco, e insomma andòche poiché Bombolone tenne la presa di Tegolino,Bombolone finì tutta addosso a Regolino, Bombolonespalmando di tutta la sua massa Tegolino, e a sua volta lamassa bombotegolinesca finì addosso a Suor Clementina,

spalmandola a sua volta, e la massabombotegoliscasuorclementinina ruzzolò spiaccicandosi aridosso del muro e dividendosi, e appena Suor Clementina,per dir così, riprese la sua forma, prese a schiaffi e pedatetutte e due…), bene, dopo che Suor Clementina ci avevatirato ad uno ad uno fuori dalla fila e con i suoi schiaffi ciaveva fatto girare la testa di centoventi gradi, ognuno dinoi non soltanto ritornava nella fila, ma riprendeva con lamano libera la mano del compagno. Gli schiaffiscottavano, e tuttavia forse quel che li faceva scottareerano soprattutto le parole che li accompagnavano: “E tu?!Cretino! Sei un cretino!”, “e tu! Scema! Mi hai sentito?Scema!”, “e tu? Imbecille! Imbecille! Imbecille!”. SuorClementina di solito non prendeva a male parole nessunotra noi bambini, e non era nemmeno troppo severa. Nonaveva motivo per esserlo, perché noi bambini eravamopacifici e collaborativi; ma più che qualche volta mi sonochiesto se molto spesso non sono i maestri a creare la loroscolaresca più o meno tanto quanto molto spesso non è unoratore a creare il suo uditorio, così che maestri violentiavranno classi violente, maestri buoni avranno classibuone. Ho il sospetto che questo non valga in ogni caso enemmeno molto spesso; comunque, vale più di quel chepuò sembrare. C’erano suore all’interno dell’istituto chestrillavano per tutto, e che erano severissime. Tenevano glialunni in classe fin quando fin l’ultimo alunno non si eraallacciato tutto e per bene il cappotto, ottenendo comeconseguenza che chi si dimostrava imbranato ecostringeva a stare in classe perché non riusciva a infilare

nell’asola questo o quel bottone, si attirava le antipatiedegl’altri. C’erano suore che ogni anno avevano un casosociale, e suore che, invece, non avevano casi sociali nelleloro classi mai – o almeno non casi sociali troppoaggressivi e pericolosi. Suor Clementina usava tenere unacanna di bambù lunghissima accanto alla lavagna. Certevolte, quando non aveva voglia di alzarsi dalla cattedra,indicava le cose scritte alla lavagna con quella, e sequalcuno chiacchierava troppo si allungava e lipicchiettava sul banco, qualche volta, quando le riusciva,sulla testa. Una volta aveva punto sulla guancia un miocompagno – Lorenzo Calisti; adesso dopo la laurea inGiurisprudenza a Pavia, segue un corso di karate a una trale cinque palestre della città e in due anni è diventatocintura blu – che stava cercando di capire se il suogoniometro fosse commestibile. Quando scrivevamo itemi di italiano oppure risolvevamo qualche esercizio dimatematica, Suor Clementina per controllare che stessimocon gl’occhi sul foglio e non fuori dalla finestra, passavacon un righellone di cinquanta centimetri di un colore traun giallo sbiaditissimo e un verde chiarissimo con lacaratteristica di essere fatto con un materiale piuttostoflessibile, e quando vedeva qualcuno girarsi per copiaredal compagno dietro o per farsi prestare la gomma percancellare lanciava un’occhiata di troppo al foglio delcompagno vicino, stam!, Suor Clementina lasciava partireuna righellonata sul piano del banco. A volte per riportarel’ordine a Suor Clementina bastava anche solo mettersi inmodo che la sua ombra si proiettasse su un banco

sfruttando la luce dei neon o delle finestre e alzare ilrighellone lasciandolo oscillare. Il terzo metodo che SuorClementina applicava, quando proprio spingevamo il suolivello di sopportazione al limite, erano le parole. SuorClementina ci insultava. Il limite del suo livello disopportazione aveva, per dir così, un grado minimo, ungrado medio e un grado massimo. Al grado massimo,quando proprio stava per deflagrare, Suor Clementina nonci dava dei //cretini//, non ci dava degli //scemi//, ci dava,invece, degli //imbecilli//. Ho pensato sempreche //cretino// e //scemo// fossero più offensividi //imbecille//, e oggi ancora lo penso, e in conseguenzadi questo penso, quindi, che Suor Clementina giudicassel’//essere imbecille// più grave dell’//essere cretino// odell’//essere scemo// per un qualche ordine di ragioni tuttosuo. Comunque, quando Suor Clementina davadel //cretino//, dello //scemo// o dell’//imbecille// si potevastar certi di averla combinata grossa, e dopo la Messa nelcorridoio dell’edificio scolastico, Suor Clementina cidiede dei //cretini//, degli //scemi//, degli //imbecilli//, conschiaffi e pedate per tutte e tutti. A me Suor Clementina hadato uno schiaffo su una guancia, e siccome non mi eromesso a piangere, forse perché non potevo credere cheSuor Clementina mi avesse dato uno schiaffo, e poi quelloschiaffo, mi diede un altro schiaffo, sulla stessa guancia, ea quel punto piombai in un pianto dirotto. SuorClementina se la prese soprattutto con le quattro femminein fondo, le più alte tra noi tutti – Tatiana, una dellequattro, adesso mi arriva al mento. In classe le fece

mettere avanti alla lavagna e le passò in rassegna avanti anoi tutti prendendole a schiaffi e pedate – con quellescarpe nere dove si innestava una caviglia coperta da unacalza che la faceva sembrare del materiale che riempie imaterassi, e la veletta che si abbassava e si sollevava adogni ceffone. Mi ricordo, Suor Clementina ha anche presoil cancellino e l’ha fatto cadere in terra e ha detto a unadelle mie compagne di raccoglierlo, e non appena la miacompagna si è rifiutata, forse perché pensava una voltachina Suor Clementina le avrebbe dato una pedata, SuorClementina l’ha afferrata per una delle due trecce tenuteinsieme da quattro mollettine, e l’ha costretta a novantagridandole: “T’ho detto di raccogliere il cancellino!”, epoi le ha effettivamente tirato una pedata gridandole:“Cretina!” E per poco non mandandola contro il gradinodella pedana dove stava la cattedra. Mentre SuorClementina sfuriava le mie quattro compagne sarannorimaste in piedi davanti la lavagna per almeno tre quartid’ora, mentre noi le osservavamo dai banchi, coprendocigl’occhi oppure strillando tutte le volte che SuorClementina sfuriava.

17 – 04

Rontronic

“Ciao, Sebastiano! Quanto tempo!”. La persona cheha pronunciato queste parole e che ha interrotto il flussodelle mie memorie è alta quasi quanto me, indossa una

camicetta bianca di raso con i primi tre bottoni slacciati,una gonna nera, cortissima, aderente. Le cosce non hannocalze. I piedi stanno dentro un paio di All Star con latomaia rossa e la gomma del fiosso e della mascherinabianchissima. Porta una fascia di spugna rossa attorno aicapelli biondissimi che le scendono dietro le spalle.Mostra un viso che nell’insieme appare pallidissimo ed èreso ancora più pallido dal paio di occhiali scuri. I dentisono non sono bianchissimi – probabilmente a causa diqualche sigaretta di troppo. La persona si allunga verso ilmio viso. Io porto la mia mano destra sul suo fianco destroe tocco un cuscinetto di grasso forse troppo consistente. Lapersona mi bacia la guancia. La sinistra. È Zita. “Sono unquarto alle tre... A quanto sembra sono in anticipo…”dice. Io le sorrido, le dico: “Zita!”. E subito dopo: “Allorasei venuta!”. “Sì, e mi sono allenata per due mesi di fila!Nel cortile dell’azienda dove lavoro ho fatto mettere untavolo da ping pong!”. Zita allarga il sorriso. Io mi portouna mano al mento. Mi guardo la punta delle scarpe chesembrano in tutto e per tutto uguali a quelle di Zita. Anchese cerco di non farmi accorgere, non posso fare a meno diosservarla e di notare quanto sia cambiata. Per cominciareZita si è allargata. Tre anni fa Zita, che è altacentosettantadue centimetri (…io sono altocentosettantasei centimetri, cosa che mi ha procurato nonpoco imbarazzo ogni volta che Zita decideva di indossarele zeppe…), pesava cinquantadue chilogrammi. Adessosembra pesare almeno sessantaquattro chilogrammi. Etuttavia questo peso non è soltanto dovuto a qualche strato

di buona ciccia in più (…le guance di Zita da scavate sonodiventate piene, sotto il mento si intravede il profilo di unostrato di pappagorgia, il collo si è riempito e le vene e ilgozzo che prima erano ben visibili adesso non si vedonopiù…); Zita sembra proprio aver aumentato la sua massamuscolare, e, se l’impressione è buona, questo testimoniase non altro anche una trasformazione interiore di Zitaperché la Zita che io conoscevo non si sarebbe iscritta maia una palestra né mai avrebbe acquistato dei manubri oqualsiasi altra macchina per fare esercizio in casa. Tre annifa poi non portava il reggiseno, e, con le magliette largheche spesso si infilava, era come se non ci fosse proprioniente da quelle parti. Adesso, invece, Zita porta il pushup, e dev’essere anche un push up eccellente, perché daquelle parti adesso sembra esserci anche più delnecessario. Mi prende anche il sospetto che Zita si siasottoposta a qualche intervento di chirurgia plastica – malo escludo subito in tutti i casi, tranne nel caso sciaguratoche Zita avesse avuto qualcosa di brutto al seno chel’abbia costretto alla sua asportazione. Altro particolare: lapelle del viso. Per quel che posso ricordare – e, anche semi costa della fatica ammetterlo, di Zita ancora ricordotutto per bene – la Zita di tre anni fa che vestiva con vestitia basso costo e ultrasemplici, non si truccava, però trovavail tempo di curare l’abbronzatura. Zita aveva sostenutosempre di non essersi sottoposta mai al trattamento diraggi ultravioletti; il sole, sosteneva, le restava attaccatoalla pelle naturalmente. Che fosse così o no Zita,comunque, avrebbe potuto fare la standista in una fiera di

prodotti abbronzanti grazie alla sua abbronzatura. Adessoinvece la pelle del viso è pallidissima, e il suo aspettogenerale appare negletto – uso questa parola perché nonsaprei descriverlo con un dettaglio –, e se è così, tra l’altro,questo aspetto sembra essere una contraddizione conl’impressione che Zita abbia aumentato la sua massamuscolare. Chi si iscrive in palestra o cura il corpo, infatti,di solito si sottopone anche a docce di sole – naturale oartificiale che siano. Sono portato a domandarmi se questacontraddizione non sconfessi semplicemente la mia primaimpressione oppure non riveli qualche ragione piùprofonda. Comunque Zita dimostra più di trentatrè anni:dimostra quarant’anni portati mali – perchéoggigiorno //dimostrare quarant’anni e basta// è ormai uncomplimento visto le quarantenni che ci sono in giro.Quanto ai vestiti, ci vuole un occhio per rendersi conto chela camicia di Zita è di Valentino, la minigonna è diArmani e il profumo che le esala dal collo è di CocoChanel. Le stoffe più morbide e più luminose coprono ilsuo corpo non più spigoloso, ma rotondo, e in un modoabbondante. La Zita di tre anni fa avrebbe messo pantalonistrappati – e se non avesse indossato una delle suemagliette larghe, avrebbe messo un panno più aderente alsolo scopo di far sporgere le ossa delle anche. Mentre miaccarezzo il mento e cerco di non farmi accorgere che lasto squadrando dal capo ai piedi, mi rigiro nei pensieriquel che Zita mi ha appena detto: //nel cortile dell’aziendadove lavoro ho fatto mettere un tavolo da ping pong//.“Senti, Zita – le dico – ma esattamente che cosa fai in

questa azienda dove hai trovato lavoro?”. È la primadomanda che mi viene di farle. Tra tutte le domande le hofatto questa. Le ho parlato subito di lavoro; e forse questo,al momento, dice tutto sui miei fantasmi – e forse anched’altro. Zita, dal canto suo, con tutto quel che potrebbedire e fare, invece fruga nella borsetta che le pende dallaspalla destra – è una borsa molle, con l’intelaiatura colorverdone –, cava fuori dalla borsetta un borsellino, di pelle,marrone, lo apre, e da un taschino rettangolare sfila uncartellino e me lo passa. Io leggo quanto segue:

Zita C. GherardiniPresident

[email protected]

Rontronic LLC.3505 NW 97th Court

Miami, FL 33178 USAPhone: (786) 205.73.90Cell.: (786) 211.43.87

Rontronic Ltda.Rua Lauro Linhares 589

88036-002 Florianopolis SC Brazil

Phone: +55 (48) 2206.21.23Fax: +55 (48) 2116.21.14

*** cambio battuta ***

Net

Uhm, e di che cosa vi occupate?

“Uhm, - le dico mentre leggo il cartellino – e di che cosavi occupate?” E le dico questo esattamente come se le avessidetto: “Uhm, hai visto oggi che azzurro?”. Dopo pochimomenti faccio sparire il cartellino nel mio portafoglio.

*** ripetere battuta ***

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Inglese

Zita si schiarisce la gola, ridacchia, guarda per unsecondo a destra, poi a sinistra, poi torna con lo sguardo a me,si toglie gli occhiali, infila una stanghetta nella scollatura dellacamicetta, e, mentre torna a guardarmi con i suoi occhiettiazzurrissimi e io mi accorgo del gonfiore sotto i suoi occhi, micomincia a dire: “Well, Rontronic was founded in 1999 tocreate, develop, manufacture and distribuite electronicequipment, software and services designed for the professionalsecurity market. We are committed to excellence and tooffering dependable high technology solutions that satisfy themost rigorous world criteria. We want to be recognized by thehigh quality and durability of our products, and the fact thatthey need little or no maintenance. Rontronic has offices inFlorianapolis SC, Brazil, and Doral FL, United States, and is

present in 5 other continents. This presence has been possiblebecause of solid commercial partnerships with selected localdealers...

19 – 04

Nascondarella

Alla parola //excellence// tolgo gl’occhi dagl’occhi diZita e torno a guardare il cortile interno dell’istituto SanGiuseppe. Mi accorgo che sul lato opposto del cortile controuno dei quattro olmi – il terz’ultimo a partire da sinistra – c’èCosimo. Cosimo ha scavalcato la ringhierina di metallo rossoche circonda l’aiuola dove sta piantato l’olmo, contravvenendoa qualche regola ha messo i piedi sulla terra dove sprofondanole radici, ha allargato leggermente le gambe stiracchiandol’adesivo che Stella gli ha appiccicato al centro del sedere, haappoggiato gli avambracci incrociati contro il troncodell’albero e ci ha schiacciato gl’occhi sopra. Sta contando avoce alta e da dove mi trovo concentrandomi riesco anche asentirlo. “…sei! Sette! Otto!...”. Mentre Cosimo conta, dietrodi lui un gruppo di cinque persone si disgrega e si sparpagliaper il cortile alla cerca di un nascondiglio. Seguo con losguardo Marina, che è una delle iscritte al torneo di ping pong,e la vedo mischiarsi tra le persone che stanno giocando al tiroalla fune. Marina non è molto vistosa. Ha una corporaturasottile e indossa una maglietta grigio chiaro che la confondecon i colori delle mura del cancello e dell’edificio scolastico.Ha un fisico molto proporzionato e questo anche perché fal’istruttrice di nuoto al Palazzetto dello Sport di Tortona.Marina, che ha trentadue anni, di suo avrebbe un diploma dellascuola di giornalismo, ma ha anche fatto l’Isef, e da almenoquattro anni si dà da fare come istruttrice. Queste cose le soperché più o meno tutti quanti conoscono Marina soprattutto

dopo che due o tre anni passati – non ricordo con precisione –era finita su Otto su Sette per aver malmenato un ragazzo didodici anni che aveva avuto un attacco di diarrea in mezzo allavasca della piscina durante i corsi pomeridiani – tra i piùfrequentati. Come si leggeva sull’otto su Sette l’attacco didiarrea del ragazzo (…che era anche di fisico ben messo; eun’ottima forchetta…) era stato violentissimo e aveva fattodiventare tutta l’acqua contenuta nella vasca della piscina (…una vasca di venticinque metri e non so quante cubatured’acqua…) giallognola – tutta quanta l’acqua –, e, forse perchési era mischiato al cloro, alla puzza di chiuso, di gomme, dipiedi, di ascelle, aveva riempito tutta l’aria di un fetorenauseabondo – tutta quanta l’aria –, e aveva fatto diventaregiallognoli anche tutti gl’altri ragazzi tra i sette e i diciassetteanni che stavano nella vasca in quel momento – tutti quantigl’altri ragazzi. Marina avrebbe cominciato a malmenarequando uno tra gli iscritti – di un’età circa di otto anni –sarebbe corso da lei sostenendo di essere finito sott’acqua acausa di un crampo e di aver bevuto… Marina si mette alladestra del fiocco rosso, di Suor Gina e del gruppetto dibambini, tra il signore con il berretto da baseball che pesacentoventi chilogrammi e un signore in giacca e cravatta e uncappello vietnamita sulla testa (…voglio credere che glieloabbia fornito Vitale…), si porta l’indice al naso e fa segno conla testa verso l’olmo dove Cosimo sta contando (…”…sedici!Diciassette! Diciotto!...”…). Il signore col cappello da baseballe quello col cappello da vietnamita le schiacciano un occhioassentendo col capo. Marina non afferra la corda e nonpartecipa al gioco, pensa solo a non farsi vedere una volta cheCosimo abbia smesso di contare, e il signore col cappello dabaseball e quello col cappello vietnamita la coprono il meglioche possono. Desideria, invece, che qualche giorno passato si èpresentata sul mio pianerottolo con una valigia di plastica nerae mi ha cominciato a parlare prima della Nasa, e poi del Kirby,

che è stato progettato dai tecnici della Nasa, e poi una volta percasa, mi ha fatto arrotolare dei tappeti, e poi srotolarli,dicendomi: “Guarda! Guarda! Guarda quanta polvere!”, poi miha spiegato che la polvere sta ovunque, e che con la polvere cisono gl’acari, che sono invisibili, ma sono centinaia, migliaia,milioni, e ci stanno addosso continuamente, sul corpo, sullafaccia, dentro il naso, sulle labbra, dentro la bocca, e che almattino quando sentiamo di avere la bocca impastata anche senon abbiamo bevuto alcolici la sera prima, la sentiamoimpastata perché in bocca abbiamo centinaia, migliaia, milionidi corpi morti di acari, e tutto questo prima che aprisse lavaligia di plastica nera, e tirasse fuori il Kirby progettato dallaNasa, ossia un aspirapolvere in grado con quattro di filtrini diaspirare la polvere di quattro aspirapolvere – non della Kirby,però –, e questo, in mezzo ad altre cose, mi ha dato da pensareche Desideria ha più o meno l’età mia e si è presa una laurea inPsicologia o Filosofia, e adesso, in fin dei conti, vendevafolletti (…o meglio: non li vendeva, almeno nel caso mio…),ecco, adesso Desideria, che per qualche tempo durantePsicologia o Filosofia, ha fatto la tubista nelle due o trediscoteche della zona, si è nascosta dietro al gruppo di personeche stanno giocando a bandiera, si è messa dietro a loro e hadetto: “Nascondetemi! Nascondetemi! E ditemi quandoCosimo – …“…trentasei! Trentasette! Trent’otto!”… - siallontana dall’albero!”. Un altro del gruppo che sta cercando unnascondino è uno tra i bambini che ho visto da poco giocarea //ce l’hai// proprio a un passo da me. Vedo il bambino correrenella sua camicia bianca e nel suo paio di pantaloni a vellutoverso il gruppo dove sta Caio. Caio adesso non legge piùpoesie, ma sta facendo cantare al gruppo l’Arca di Noè, e nonsolo canta e fa cantare, ma accompagna le parole della canzonecon la mimica. Il testo della canzone fa: “Ci son duecoccodrilli ed un orango tango, due piccoli serpenti e l’aquilareale, il gatto, il topo, l’elefante, non manca più nessuno, solo

non si vedono i due liocorni”, e per ogni animale elencato,Caio lo rappresenta con un movimento del corpo. Per icoccodrilli mette davanti alla bocca il palmo della manosinistra sopra il palmo della mano destra con le dita distese esolleva il palmo della mano sinistra mimando la bocca delcoccodrillo; per l’orango tango Caio incurva la schiena, chiudele mani a pugno spingendo in avanti i polsi e muove le bracciain un modo scoordinato mimando le ali dell’aquila; per ilserpente muove le anche a destra e a sinistra mimando ilserpente tutto; per l’aquila reale spalanca le braccia da unaparte e dall’altra e le muove su e giù; per il gatto si porta lemani al labbro superiore e si stira i baffi – che Caio finge diavere, visto che il suo corpo è depilato, almeno in tutte le partivisibili –; per il topo Caio si porta le mani chiuse a pugno sullabocca e stende verso il basso gl’indici mimando i denti deltopo; per l’elefante si aggiusta il braccio destro all’altezza delnaso e lo flette e lo distende mimando la proboscidedell’elefante; per il liocorno spalanca le braccia a destra e asinistra con le palme delle mani rivolte verso il cielo e scuote latesta. Gli altri due del gruppo, nel frattempo, li ho persi di vista.Torno con gl’occhi a Cosimo e proprio in quel momento losento scandire: “…quarantasei! Quarantasette! Quarant’ott...Ahio!”. Cosimo mette le mani in faccia e fa un balzo da dentroa fuori l’aiuola. Grida: “Ahio! Ohio! Uhia!”. Si sta tastando ilnaso con una mano, e lo vedo soffiare dal naso e picchiettarlocol dito che ha preso la forma di un uncino. Sembra cheCosimo sia alla ricerca della caccola più grossa del mondo. Inquel momento accanto a Zita con un’occhiata vedo spuntareSuor Claretta, che è venuta fuori probabilmente per prendersidell’aria. Quando torno a Cosimo, mi accorgo che sta cercandodi infilarsi nella narice sinistra anche il pollice destro. Poi tra ledue dita finalmente riesce a pinzare quel che stava cercando elo tira fuori. In effetti, da dove mi trovo, anche se la vedoappena, sembra proprio la caccola più grossa del mondo. “Una

termite! – grida Cosimo – una termite mi è finita dentro il nasoe mi ha punto!”. Cosimo getta la termite lontano. Si volta e inquel momento da dietro l’olmo spunta un braccio e con ilpalmo aperto della mano colpisce la faccia dell’olmo doveCosimo ha contato fino a pochi secondi prima, mentre unavoce da dietro l’olmo grida: “Tana per me!”. Cosimo che si staancora tastando il naso. Dice: “Ma va’!” Come per dire che inquel momento della nasconderella non gli importa niente. Poi,però, aggiunge: “Avevamo stabilito che nascondersi dietro latana non vale!”. Da dietro la tana esce Cosma, e dice: “Ah sì?”.“eh sì”. “Ah”. “eh”. Cosimo, allora, tocca la tana e grida:“Tana Eva!”. Cosma si pianta i pugni sui fianchi. “Scemo, iomi chiamo Cosma, non Eva” dice. “Uh, scusa!” ReplicaCosimo. “Scemo!” Gli ripete Cosma, che ha capito lo spirito diCosimo, e non le è piaciuto niente. Cosimo si avvicina aCosma e le dice: “Scemo a chi?”. È almeno tre spanne più altodi Cosma – il che non significa che Cosimo sia altissimo: peròstrappa sui centosettantacinque in palestra, e ha un torace chesembra d’acciaio. “Scemo lo dico a te” gli replica Cosma, e seCosimo ha un torace che sembra fatta d’acciaio, Cosma ha untorace che sembra irrobustito con le piume, anche di fatto nonlo è: sotto i vestiti Cosma è tutta al naturale. Per quel che soCosimo con Cosma deve stare attento a scherzare perché lei èla portinaia di uno dei quattro palazzi dove Cosimo fa le puliziealle scale, e potrebbe fargli dei problemi, la deve trattare bene.Se Cosimo avesse il lavoro, Cosma non potrebbe fargliproblemi; ma al momento – proprio come gran parte degl’altrinel cortile dell’istituto – Cosimo non ha altro lavoro che quello:la pulizia della scale, e se lo deve tenere stretto se vuole averequalche soldo nel portamonete. Cosimo sul suo lavoro di pulirele scale ci ride sopra. Non si fa un problema. Dice: “Puliròanche le scale, ma ho una laurea in Conservazione dei BeniCulturali – dice – e la gente lo sa; - dice – sa che questo è unlavoro temporaneo – anche se ormai dura da due anni –, e

quando passo per la strada non devo certamente guardare interra”. Cosimo ha ventisette anni, si è laureato a venticinque, e,a parte qualche visita guidata nei paesi che circondano Tortona– Sale, Garbagna, Castelnuovo Scrivia –, Cosimo non hatrovato un lavoro – nemmeno come operatore turistico pressoqualche agenzia di viaggi. “Il fatto è che non so suonare lachitarra, e sono fastidioso quanto un violino scordato quandoapro bocca per cantare: per questo non trovo lavoro comeoperatore turistico” mi ha detto una volta. Persino le suore, chegli hanno cercato una collocazione nelle iniziative dell’istituto(…lo hanno messo come guida anche alla raccolta dellacastagne, per dire …), non hanno potuto confermarlo a causasoprattutto del suo modo di stare con gl’altri (…alla raccoltadelle castagne Cosimo aveva fatto perdere il gruppo nel bosco,e si era così arrabbiato con una del gruppo che voleva prenderela guida perché sosteneva di sapersi orientare meglio di lui,che, a quel che si dice, le aveva tirato il riccio di una castagnaaddosso, e gli aculei del riccio le si erano conficcati nel senodestro, pasticciandole, tra l’altro, la cannottiera bianca; le suoreerano poi riuscite, sempre a quel che si dice, a fare in modo chela ragazza non si rivolgesse a un tribunale…). “Comunque,rimane il fatto che io la laurea la ho”. Cosimo ha provocatoqualche incidente anche nei pianerottoli dei palazzi dovelavora. Dall’una e mezza alle tre, a giorni alterni, nei palazzidove lavora, Cosimo insapona le scale così tanto che si formamezza metro di schiuma. So quel che dico perché l’ho vistocon i miei occhi. Cosimo riempie di sapone i pianerottoli delpalazzo dove lavora e poi passa con lo straccio ad asciugare.Gli ascensori li riempie di un metro di schiuma. Forse è pertutta quanta quella schiuma che Cosimo viene riconfermato dadue anni nei palazzi dove lavora: perché è sicuro che Cosimopulisce. Comunque, se qualcuno decide di uscired’appartamento o di rientrare in appartamento dall’una e mezzaalle due e mezza (…perché dopo le due e mezza sapone e

schiuma vengono asciugati…) in uno dei quattro palazzi doCosimo lavora, deve rassegnarsi a fare i conti con la schiumache riempie ogni gradino delle scale. Una volta una signorafacendo le scale è scivolata e si è fatta la lussazione al braccio eun’altra volta mentre Cosimo piegava tutto il corpo facendoandare avanti e indietro il manico della scopa per unpianerottolo, una signora è uscita d’appartamento perappoggiare i sacchi dei rifiuti fuori dalla porta di casa, ed haagganciato con la caviglia il manico della scopa e per nonperdere l’equilibrio è finita dentro l’ascensore – che aveva laporta aperta – ed era insaponato completamente (…pareti,vetrate, lampadine, pavimento, soffitto…), ed è uscitadall’ascensore con la schiume tra i capelli, sulla faccia, neivestiti, con le braccia diritte in avanti dicendo: “Non ci vedo!Non ci vedo! Non ci vedo!”. “Comunque, rimane il fatto che iola laurea la ho”. Mentre osservo Desideria, Marina, e poigl’altri del gruppo che si sono andati a nascondere toccarel’albero uno dopo l’altro fino all’ultimo che non ha gridato:“Tana per me!” Ma “tana libera tutti!”, anche se non c’era ilbisogno, perché la termite ha reso Cosimo, per dir così,inoperante, mi viene da pensare che del gruppo quello cheavrebbe dovuto andarsi a nascondere è proprio Cosimo.Questo, però, è un pensiero che cancello in fretta, anche perchétorno a Zita quando sento pronunciare le parole // nosotros deRontronic tenemos como valor fundamental el respeto//.

19 – 06

Mosca cieca

Alla parola //satisfacciòn// tolgo gl’occhi dagl’occhi diZita e torno a guardare il cortile interno dell’istituto SanGiuseppe. A pochi metri dal loggiato dove mi trovo osservoOttavio che sta al centro di un cerchio di cinque persone – e tra

queste ci sono anche Gianna e Gianni, tutti e due iscritti altorneo di ping pong che comincerà tra poco – e qualcuno – èproprio Gianna – lo sta bendando con un fazzoletto nerissimo.Gianna fa il doppio nodo al fazzoletto dietro la nuca di Ottavio,poi tenendolo per le spalle lo fa girare tre volte, e alla terzavolta si allontana gridando: “Via!”. Ottavio getta le braccia inavanti e cerca il contatto di un corpo. Attorno le cinque persone(…hanno tutti un’età compresa tra i venticinque e itrentacinque…) mulinano e si spostano, gli si fanno vicino finoa farsi toccare con i polpastrelli delle dita e poi subito siallontanano. Gli dicono: “Ottavio?!”, “Ottavio, sono qua-a!”,“Ottavino?”, “Ottavietto?”, “Ottaviuccio?”, e intanto glivorticano attorno senza lasciarsi prendere – ogni qualche voltasoltanto sfiorare. Ottavio annaspa, abbraccia l’aria, procedebarcollando, dondolando prima su un piede e poi sull’altropiede, cerca di orientarsi con le orecchie, e per farlo, tira su ilmento e l’impressione è che cerchi di orientarsi col naso, emagari è anche così, magari Ottavio sniffa l’aria cercando diriconoscere le persone dall’odore o dal profumo. “Ottavino?”,“Ottavietto?”, “Ottaviuccio?”. Uno del gruppo che gira attornoa Ottavio gli fa una pernacchia sonorissima. Un altro – unopiccoletto, tarchiatello, spelacchiato, nasone – da dietro allungauna gamba e gli fa uno sgambetto che per poco non mandaOttavio con le gambe all’aria. Per non cadere Ottavio deveimprovvisare una corsetta dalla falcata larghissima e roteare lebraccia. “Ma siete pazzi?!” Grida anche, ma non si sbenda. Gliviene persin da ridere – assieme agl’altri che fanno la risatagrossa: “Oh oh oh oh oh!”. Ottavio ha trentadue anni e almomento è iscritto alla Facoltà di Giurisprudenza di Genova. Aventiquattro anni si è preso la laurea in Filosofia con centodiecie lode presso l’Università Statale di Milano, a vent’otto si èpreso la laurea in Scienze Politiche con centodieci e lodepresso l’Università di Pavia, e adesso sta finendo la Facoltà diGiurisprudenza presso l’Università di Genova e ha probabilità

buone di prendersi la laurea con centodieci e lode. Negl’anniha fatto lavoretti su lavoretti: cameriere in un locale di AlzanoScrivia che è un saloon in stile texano dove preparano un piattodi fagioli cotti nella birra servito in una pentola di ferro con ilmestolo di legno per pescare i fagioli e portarli alla bocca;lavavetri presso la Banca Cassa di Risparmio di Tortona inPiazza Duomo a Tortona; informatore previdenziale; e altrilavoretti di questo genere; non ancora però un lavoro, per dircosì, definitivo. Colpa anche sua che non vuole farel’insegnante nei licei, né il ricercatore in qualche università.Ottavio vuole un lavoro in un’azienda, così sostiene, anche sel’impressione è che per qualche motivo non riesca a trovareuna collocazione – nemmeno nella redazione di qualchegiornale. Qualcuno pensa che gli piaccia solo studiare,frequentare l’ambiente dell’università: che non riesca acrescere, in altre parole. Adesso che lo guarda dirigersi di qua edi là con il fazzoletto nerissimo annodato attorno agl’occhi, miviene da pensare che anche nella vita ordinaria Ottavio è ilcieco che gira di qua e di là senza stringere niente in mano – otra le braccia. Mentre penso questo – e forse lo dovrei pensarenon soltanto per Ottavio – Gianna molla un calcio ad unostinco di Ottavio, che si mette a saltellare. Gianna si porta lemani alle labbra e fa: “Uh, scusa!”, mentre Ottavio saltella egridacchia: “Scusa un corno! Scusa un corno!”. Gianna, anchelei laureata, anche se non ricordo in cosa, è una ventisettenneche per adesso lava le auto al lavaggio auto sulla strada stataleper Genova alla periferia di Tortona. Io lo so perché una voltaho portato la mia automobile a lavare – non è mia; è di miamadre – e prima di entrare nel box con gli spazzoloni blu, unapaio di seni si sono spiaccicati sul parabrezza della auto proprioall’altezza dei miei occhi. I seni si muovevano avanti e indietrocome tergicristalli. Erano di Gianna che si era buttata sul vetrodel parabrezza per pulirlo. Quando è entrata nell’abitacolo conil tubo dell’aspiratore, ha aspirato di tutto, anche due banconote

da venti euro che avevo dimenticato sul cruscotto, che, poi,Gianna mi ha restituito prelevandole della cassa. Adesso lasituazione per Ottavio non si sta mettendo bene. Le personeche lo circondano lo toccano da tutte le parti – sulla schiena,sul torace; uno gli ha anche strizzato i genitali e Ottavio hagridato: “Ahuuu!”. Gli arrivano calcetti quasi da tutte le parti,fin quando un calcetto non diventa un calcione, Ottavio siarrabbia, e riesce ad acchiappare uno del gruppo, e gli stringele mani al collo, finiscono a terra, Ottavio le si trova sopracavalcioni, e stringe il collo tra le dita, mentre il volto di quellodiventa rosso via via, gl’occhi si sbarrano, la bocca si apre, lalingua esce fuori, e più stringe e più Ottavio mostra i denti, econtrae la bocca piegando verso il basso il labbro inferiore…poi intervengono in due o tre a fermarlo. Quando accorre SuorLinda per vedere che cosa sta capitando, torno a Zita perché lasento pronunciare le parole //a Contronic iniciu suas atividadesdesenvolvendo produtos calcados na tecnologia i-Button®para controre de trabalhadores mòveis, particularmente paracontrole de rondas e vigilantes//.

*** cambio battuta ***

19 – 08

Salto della corda

Alla parola //qualificados// tolgo gl’occhi dagl’occhi diZita e un’altra volta torno a guardare il cortile internodell’istituto San Giuseppe. Due bambini tengono per leestremità uno a destra e uno a sinistra a distanza di circa cinquemetri l’uno dall’altro una corda. La corda che tengono tra lemani – strette a pugno – è molto simile a quella che pochi metri

avanti sta utilizzando il gruppo del tiro alla fune, soltanto chequesta corda non è tesa, ma, per dir così, rilassata, tocca lapavimentazione del cortile formando una mezza luna piuttostopanciuta. Suor Beniamina sta dietro la corda e dietro di lei c’èuna fila di bambini – sono sette bambini, ma appena finisco dicontarli si aggiunge un ottavo bambino – che sono pronti asaltare la corda. “Allora, bambini, siete pronti?” Dice SuorBeniamina. Suor Beniamina è alta almeno un metro e novanta,e il suo occhio sul suo viso sta messo più in basso del suoocchio sinistro – e penso che si possa dire esattamente che ilsuo occhio sinistro sta messo più in alto del suo occhio destro.Suor Beniamina ha gl’occhi sul viso messi per obliquo.“Sììììììììì!!!!!!!” Rispondono i bambini dietro di lei. Deibambini riesco a vedere soltanto qualche braccino oppurequalche i contorni di qualche casco di capelli di un certovolume, perché, per il resto, Suor Beniamina copre tutti quanti.“Chi non salta la corda, viene eliminato, capito bene?” Diceancora Suor Beniamina. “Sìììììììììì!!!!!!” Rispondono i bambini.“Attenti a inciampare, mi raccomando! – grida SuorBeniamina; e poi: – via!”. Suor Beniamina sta tre metri dallacorda, e quando grida //via!//, si incurva in avanti, e poi simette a correre, i bambini danno un colpo alla corda, la corda sialza, compie un giro di centottantagradi, rimane sospesa perl’aria e sbam!, la corda sbatte contro la fronte di SuorBeniamina, che nella corsa finisce collo sfilare la corda dallemani dei bambini, e per tirarsi dietro le estremità della cordache si incrociano e le passano ai fianchi attorcigliandosi alcorpo di Suor Beniamina. Tutto questo in pochi secondi.“Accidenti! Accidenti!” Impreca Suor Beniamina, e la fila dibambini ride tutta quanta. A quanto pare Suor Beniamina èeliminata. Suor Beniamina non sembra prenderla bene. Si levala corda d’addosso e la getta lontano. La corda finisce a duemetri da lei, e viene raccolta da Gianni. Gianni osserva la cordaper qualche momento, se la passa tra le mani, saggia la sua

resistenza, poi la restituisce a Suor Beniamina. Io ho visto ilmodo come Gianni ha guardato la corda. Ha socchiuso lelabbra e le ha inumidite per qualche momento con la lingua.Credo di poter dire che Gianni, che è uno tra gli iscritti altorneo, abbia guardato quella corda con desiderio. Questopensiero mi fa sospettare che Gianni non si trovasse lì per uncaso quando ha raccolto la corda. Gianni l’anno passato hapreso una sedia, l’ha messa sotto il lampadario della sala dicasa sua – anzi: di casa dei suoi genitori, e questo anche seGianni ha trentacinque anni –, ha preso una corda non moltodiversa dalla corda che Suor Beniamina ha appena cercato disaltare, ha fatto un nodo ad una delle stecche del lampadario – isoffitti della casa dei genitori di Gianni sono parecchio alti, e illampadario ha un aspetto molto solido –, ha preparato uncappio, ci ha infilato la testa dentro, l’ha stretto, e poi si èbuttato dalla sedia con il cappio attorno al collo. Il lampadario,però, non ha retto, e dopo qualche secondo che Giannipenzolava e il cappio gli si stringeva attorno al collo, è venutogiù finendoli sulla schiena e facendolo svenire. Il lampadarioha fatto molto rumore, tra l’altro, e abbastanza perché quelli delpiano sotto chiamassero i pompieri, e scoprissero tutta quantala faccenda. Anche se Tortona è una cittadina dove i suicidisono molto frequenti, Gianni non sembrava avere motivi perfarlo. Nessun motivo, a parte che a trentacinque anni, e unalaurea in Informatica, Gianni facesse – e lo fa ancora – ilgestore di Fantastico Pem! Pem! Pem! Una sala di videogiochi.

19 – 09

Sveglia!

Una mano mi finisce davanti agl’occhi. Vedo il palmodella mano con la linea della vita molto profonda che traccia unarco e sparisce nel dorso. Le dita della mano si muovono

rapidamente come tanti vermi grossi. È la mano Zita. Lasinistra. “Sveglia! Ti ho chiesto quante lingue conosci!” Midice. “Ti ho voluto impressionare un pochino – mi dice anche,quando torno a darle attenzione – perché so che tu conoscichissà quante e quali lingue… allora: perché non mi dici cometi va? Che cosa fai? – dice Zita – il giornalista per qualchetestata a livello nazionale? Oppure fai la carriera universitaria?Che cosa? Sociologia? La ricordo la tua mania perl’osservazione del comportamento degl’altri – e il pettegoloche eri… forse hai pubblicato qualche romanzo? Oppure…”. Ioracconto a Zita le cose come mi sono andate. Le racconto diche cosa ho fatto dopo la laurea: del lavoretto come cameriere– e dell’episodio che mi ha fatto decidere di andare via –;dell’impiego nella ditta di Genova che produce mappamondi –io, che per studiare e poi per cercare un lavoro non ho fatto unviaggio fuori dall’italia da almeno sei anni; e come lingua nonso che l’inglese –; poi i lavori alla salsamenteria e all’elettro-lavaggio. E mentre le racconto queste cose, succede chel’espressione di Zita si trasforma. Quando le parlo del lavorettocome cameriere gli angoli del suo sorriso si abbassano; quandole parlo dell’impiego nella ditta che produce mappamondi Zitasi gratta il centro della testa; quando le parlo dellasalsamenteria e dell’elettro-lavaggio, Zita si controlla le unghiee poi la punta delle scarpe; e quando finisco Zita solleva losguardo e mi dice: “Povera vittima… sei una poveravittima…”. Quasi quasi vorrei darle ragione, se non fosse chemi accorgo che Zita mi sta canzonando, e il tono della sua voceè di ghiaccio. “e tutti quei propositi che avevi… che cosa haifatto in questi anni? Hai dormito?”. I miei genitori mi dicono lestesse cose. “Zita, io mi sono laureato; ma non sto ancoratrovando niente…”. “Of!, ma fammi il piacere…”. Adessoavvampo. “Ma tu chi sei? – le dico – ma cosa vuoi? Chi sei perfare la morale a me? Tu che nemmeno hai una laurea e che finoa qualche anno passato facevi la commessa in un negozio di

pelletteria”. Zita si abbassa gli occhiali. “Non ho la laurea, peròmi sono data da fare…”. “Sì, chissà come…”. Zita ride comechi non può crederci a quel che le è appena entrato nelleorecchie. “eccola! Eccola! Eccola la nube di pregiudizio neiconfronti delle donne! – poi si ferma e dice – ma no, no, questonon è il tuo caso, Sebastiano. Non si tratta di maschilismo, tu cicredi in quel che hai appena detto. Pensi che se una personanon ha la laurea, in fin dei conti, è soltanto un buono a nulla. Tidico una cosa, invece: la laurea è soltanto la premessa per farequalcosa. La laurea non è aver già fatto qualcosa, pensiero cheti autorizza probabilmente a stare in panciolle in attesa che unufficio personale ti selezioni, oppure che ti autorizza adaccontentarti di qualsiasi sistemazione perché tanto l’onore èsalvo, perché diversa cosa è fare il cameriere avendoci lalaurea, e fare il cameriera non avendola. Guardati. Ti trovo informa splendida, smagliante, meravigliosa. Hai il fisico di unmodello o di un attore. E sei anche uno scopatore ottimo,magari. Hai tutti i capelli sulla testa, e hai un carattere ottimo,tranquillissimo. Hai la tua laurea… ma cosa ti manca? Sei unamacchina perfetta, meravigliosa. Sei l’orgoglio della nostrasocietà: una miscela di bellezza, preparazione, cultura, buonemaniere. E in qualità di macchina perfetta e meravigliosaprodotta dalla nostra società – e mi scuso per la banalesimilitudine – sei anche una meravigliosa e perfetta macchinaferma, totalmente immobile. A che cosa ti serve tutto questaperfezione e meraviglia? La risposta è che non lo sai o tutt’alpiù che sei caduto in qualche trappola preparata della società. Etuttavia, se io ti guardo bene negl’occhi, Sebastiano, dico che:sai. Tu, invece, sai. Sai che questa che stati vivendo è non è lavita vera. Sai che questo cortile è un mondo separato conpersone che non stanno nel mondo vero. E sai anche qual è ilmondo vero, Sebastiano: il mondo vero è quello dove lepersone fanno, e non aspettano che le proposte gli arrivino invirtù di qualche pezzo di carta”. Rimaniamo nel silenzio per

qualche momento. Attorno c’è tutto il chiasso del gioco e dellafesta. “Ma tu chi sei per farmi questo predicozzo?” Dico a Zita.Zita dà un calcio a un pezzetto di una delle frittelle di Damaso.“Nessuno – mi dice – solo una persona che ci mette poco perleggerti dentro, e che – e mi guarda – vorrebbe tornare con te.Con il te vero”. Poi Zita sorride, e nel tono di chi mi vuolchiedere scusa mi dice: “Ma di cosa ci lamentiamo, in fondo?Tu sei il campione del torneo di ping pong di questo istitutomagnifico…”. Io mi volto e penso che non posso credere cheZita mi abbia detto tutto quel che mi ha detto, e che ha dettocose insensate, cose troppo facili a dirsi, cose dette con unlinguaggio troppo adulto, un linguaggio che usa frasi già fattecome per affermare che le cose già si conoscono, che già si sacome vanno, che non c’è molto da mettere più in discussione,un linguaggio adulto che non mi appartiene, che ha smesso diappartenermi, perché io proprio non lo so come vanno le cose,non lo so più, non lo so più se esiste un //io vero// elogicamente un //io falso//, oppure se sono un //prodotto dellanostra società// o se sono io (…o il mio //io falso//…) che cosìmi sono voluto produrre, io dico le cose con un linguaggioforse troppo adolescenziale, un linguaggio che tende a nonusare le frasi già fatte dagl’altri, anzi tende a evitarle tutte,perché io non so proprio niente, o almeno non so più niente,forse c’è stato un tempo dove credevo di conoscere, ma adessoquel tempo è passato, è lontano, e non saprei dire quando queltempo, se c’è stato, è stato. Guardo altrove, più avanti nelcortile.

19 – 10

Corsa nei sacchi

Nove persone che non conosco – e a giudicare dall’etàche dimostrano sembrano genitori di qualche bambino presente

nel cortile – stanno allineati dietro a una linea tracciata con ungesso blu sul lato destro del cortile. Davanti a loro sul latoopposto c’è un’altra linea uguale alla prima tracciata a tre metridi distanza dal marciapiede e dall’edificio scolastico.Sull’estremità sinistra di questa linea si trova Suor Calamitacon sette o otto bambini attorno. Suor Calamita sichiama //Suor Calamita// perché in classe è sempre stata solita– fin dai tempi miei – usare una calamita per raccogliereoggetti metallici dotati di una certa pericolosità e che potesserodistrarre troppo i suoi alunni nelle ore di lezione. Se qualcunoportava robottini, macchinine, o qualche altro marchingegnometallico, e lo nascondeva sotto il banco, Suor Calamitapassava, e, fup!, con il suo calamitone nero a forma di ferro dicavallo aspirava tutto. Fup! Fup! Fup! Fup!. Adesso suorCalamita (…detta anche //Suor Calamità// per certi urli chefaceva; e da alcuni per la sua somiglianza con l’attore JerryCalà detta anche //Suor Jerry Calamità//…) tiene un fischiettometallico tra le mani che manda brillii sotto il sole. Staaspettando che dall’altra parte il gruppo dei partecipanti si infilinei sacchi di juta che ciascuno tiene tra le mani per dare iniziocon un fischio alla prima manche della corsa nei sacchi. Tuttele altre persone che stanno giocando nel cortile – e stiamoparlando di almeno un centinaio di persone –, cercando digirare alla larga per lasciare lo spazio perché la corsa nei sacchiavvenga. Qualche bambino sta anche fermo ad osservarel’inizio della corsa allineato a Suor Calamita per un lato e unpasso indietro dall’ultimo signore della fila di partecipanti perl’altro lato, in questo modo creando, tra altro, una sorta di lineadi confine. Io sposto l’attenzione sul gruppo allineato dietroalla linea di gesso blu sul lato destro del cortile. Un signoremolto basso – secondo me non supera il metro e quaranta – sista infilando nel sacco di juta. I sacchi di juta che i partecipantitengono tra le mani sono tutti color grigio topo e sembranomolto resistenti: una volta da molto piccolo mi sono trovato un

sacco simile all’alba del venticinque Dicembre sotto l’albero diNatale e dentro era pieno di carbone zuccherato – e ricordo diaver pianto per almeno un quarto d’ora prima che i mieigenitori mi facessero notare che sotto il carbone stavano ipacchi dei regali. Comunque il sacco di juta dove il signoremolto basso si sta infilando sono indubitabilmente moltolunghi. Io non riesco a stabilire dal loggiato dove sto messoquanto siano lunghi; mi limito a dire che il signore molto bassoprima ci infila una gamba, poi ci infila l’altra gamba, e quandoci sta messo tutto e tira su il sacco, ci scompare dentro fino alnaso. Quando scopre che a malapena il naso gli esce dal sacco,il signore molto basso dice: “Ma cos’è?! Ma scherziamo!Questo sacco è troppo grosso! Questo sacco è troppo grosso! Ètroppo grosso questo sacco!”. Quanto alla larghezza del sacco,anche questo da dove mi trovo non riesco a stabilirlo; e tuttaviaho notato una signora molto grassa (…grassa almeno quanto ilsignore col cappello da baseball che sta impegnato nel tiro allafune; solo che questa signora non ha il cappello da baseball, hasoltanto una collana con delle pietre sferiche di color biancocorallo grosse quante le patate che si accompagnano al pollofritto nelle rosticcerie…) si è infilata nel sacco e quando hafatto per tirarlo su, si è bloccata alla ciambella di ciccia che lesta attorno alla vita, allora ha cominciato a sbuffare, è diventataanche rossa nello sforzo di fare in modo che l’imboccatura delsacco superasse la ciambella di ciccia, poi dopo un altro po’ dilotta (…”vieni su brutto saccaccio!”…), è riuscita a farsiarrivare il sacco fin prima dei seni, che, però, erano un ostacolotroppo grande, e la signora grassa è rimasta con i seni tutticompressi e sollevati fuori dal sacco, e adesso sta lì in attesache la corsa cominci e riempie tutto quanto il sacco. Ho vistoun signore infilarsi il sacco per la testa e poi mettersi a gridare:“Sono il fantasma San Giuseppe! Sono il fantasma SanGiuseppe! Sono il fantasm… ecciù! – e poi – ecciù! Ecciù!Ecciù!”. Mentre due o tre signore intorno ridevano, il signore

ha tolto la testa dal sacco e ha seguitato a starnutire: “C’è ilfieno dentro al sacco! C’è il fieno!”. Poco distante vedo unasignora che sentendo che c’è il fieno nel sacco si mette ascuoterlo e fa tutta una gran nuvola di polvere che si allarga efinisce per far starnutire un’altra signora lì vicino. “Ma cosa fa!– dice la signora – ma cosa fa! Ecciù! Ecciù! Ecciù!”. Un altrosignore, invece, per infilarsi nel sacco, ci mette una gambadentro, inciampa, finisce nel sacco con la testa – e vendendolomi è sembrato che il sacco fosse un mostro che si fosseinghiottito il signore. “Aiuto! Aiuto! Aiuto!”. E per finireun’altra signora per infilarsi nel sacco, per aprire benel’imboccatura dà una scrollata al sacco, che, forse a causa diuno sbuffo di vento, si solleva e finisce in faccia a un signoreche sta lì vicino – lo stesso del fieno. Il colpo di sacco faperdere l’equilibrio del signore, già inguainato dentro al suo disacco, e lo fa finire a terra come un sacco di patate. “Ahio! Mastia più attenta, signora!”. Quando i partecipanti sono tuttidentro ai sacchi e sembrano pronti, Suor Calamità dall’altraparte del grido: “Siete pronti?!”. “Sììììììì” rispondono ipartecipanti. “Bambini, sono pronti?” Grida Suor JerryCalamità. “Sììììììì” rispondono i bambini. “Molto bene! – gridaSuor Calamita – e allora: e uno… e allora: e due… e allora: etreee…”. Suor Calamità fischia. I partecipanti cominciano abalzare dentro i sacchi. La signora grassa al primo balzo sfondail sacco e si ritrova con i piedi fino a metà polpaccio fuori daltessuto della juta e per non perdere l’equilibrio si mette acorrere, reggendo il sacco tra le mani (…anche se non cisarebbe bisogno di farlo perché il sacco aderisce al corpo dellasignora grassa come una seconda pelle – o forse una terza oquarta o quinta pelle; quante pelli ha, infatti, una signoragrassa?...) e tagliando il traguardo in una trentina di secondi.Suor Jerry Calamità gonfia le guance di fiato e fischia. Intantocompie muove le braccia per far cenno che la gara dellasignora grassa non è valida e che la signora grassa è

squalificata. Il signore basso a metà del percorso inciampa e simette a rotolare scomparendo dentro il sacco. Il sacco condentro il signore basso rotola per almeno due metri, masoprattutto rotola obliquo. Invade il percorso della signoraaccanto che quando inciampa, essendo molto magra, rotolafuori dal sacco per un metro finendo a pancia all’aria con lepalme aperte rivolte verso l’alto. Il signore basso che rotolaobliquo non si finisce di rotolare dopo la prima signora, madopo la seconda, che spicca un balzo dentro il sacco e finiscesul sacco del signore basso. Non lo so in che punto la secondasignora sia finita sopra il signore basso, ma dal grido delsignore basso (…”iiiiaaaaiiiioooohhhhaaaa”…), temo dipoterlo immaginare con una approssimazione vicino al gradozero. Suor Calamita fischia ogni volta che qualcuno va giù ecomincia a rotolare e grida: “Eliminato! Eliminato! Saccoeliminato! Sacco eliminato!”, e fischia ancora quando a tagliareil traguardo è il sacco con dentro il signore che ha sostenutoche dentro il suo sacco ci fosse il fieno. Suor Calamità fischia egrida: “Prima manche a questo sacco! Prima manche a questosacco! Prima manche a questo sacco!”. Il signore dentro ilsacco lascia cadere alle caviglie l’imboccatura e si mette asaltellare incrociando le dita della mano destra con quelle dellamano sinistra e portandole sopra la testa. Suor Jerry Calamitàlo proclama il vincitore della prima manche. “Questo sacco è ilvincitore!” Esclama. Il signore solleva il sopraciglio destro eguarda un momento verso Suor Calamita. “Spero non sia unallusione, eh!”. Poi prende il suo sacco e torna al suo posto perla seconda manche.

19 – 11

Zita vs Babila – secondo set

Arriva Babila. È in anticipo di venti-venticinque minuti.Nell’ edizione del torneo passato Babila è arrivata alle quindicie un quarto, dopo che Maurizio ha spiegato come ogni anno leregole del torneo – Babila Maurizio non lo sopporta –, e anchequest’anno come d’accordo per telefono Babila mi avrebberaggiunto alle quindici e un quarto circa – per evitare Maurizio–. Invece Babila, a quanto pare, ha anticipato. Sbuca da dietroSuor Claretta, che si sta ravanando il naso nel buco di destra edè rimasta come pietrificata con il dito nel naso al fianco di Zitaalmeno da una decina di minuti (…credo che il piacere cheSuor Claretta desideri godere sia l’agganciare una caccola conl’unghia dell’indice più che il cavarla dal naso e tirarsela nellabocca oppure appiccicarla su un muro, sotto una sedia o sottola suola della scarpa…), e arriva proprio quando Zita decide diprendermi una mano tra le sue mani, e mi dice: “Scusa se ti hodetto le cose che ti ho detto; Seba, io sono venuta per ritornarecon te”. Babila si mette davanti a me e a Zita che molla lamano di colpo appena Babila pronuncia laparola //ciucciolo//. //ciucciolo// è il modo affettuoso comeBabila mi chiama. Si tratta di un uso leggermente più personaledel //cucciolo// più tradizionale: io sono il suo //ciucciolo//.Zita, invece, mi chiamava //balubo// e nelle situazioni diintimità //balubino// che ho avuto sempre il sospetto sia statoun uso leggermente più personale del più dialettale //baluba//.“Ciucciolo!, amorino! Eccomi qua! Sono arrivata prima!” Midice Babila. Babila si allunga verso di me e con la coda di unocchio riesco a vederle la maglietta rossa taglia piccola chelascia scoperto l’ombelico sollevarsi fin quasi al reggi-tette dipizzo nero che è messo in un modo da lasciare scoperto la partesotto dei seni. Babila mi spinge la lingua dentro la bocca e per

un momento mi sembra di avere una fragola tra i denti. Babilatorna al suo posto. Si aggiusta il cappellino con la visieratrasparente rosa – è un cappellino di quelli con soltanto lavisiera e un elastico grosso bianco – e allunga una mano versoZita. “Ciao! – dice – io sono Babila”. Zita stringe la mano diBabila. Usa la sinistra stringendole la mano per la parte deldorso. “Io sono Zita – le dice – piacere”. Babila non sa di Zita.A Babila non ho parlato di Zita perché altrimenti avrei dovutoraccontarle anche di come è finita tutta la faccenda, e questa èuna cosa che ho deciso porterò con me per molto molto tempoancora. “Babila ti presento Zita – io dico; c’è qualche cosad’altro che posso fare? – Zita ti presento Babila”. Babila havisto che Zita mi stava tenendo una mano e sono pronto ascommetterci la mia racchetta da ping pong che ha anchesentito la dichiarazione che Zita mi ha fatto. “Zita – dico a Zita– Babila e io usciamo assieme”. “Babila – dico a Babila – Zitae io siamo amici vecchi, e Zita mi ha fatto una sorpresavenendo qui oggi”. Babila si tira in basso la maglietta rossataglia piccola. I capezzoli premono contro il tessuto di cotone.“Ah, bene!” Dice Babila. Zita si rimette gl’occhiali scuri sulnaso. “Sì, sono venuta – dice Zita – per portare via il titolo alcampione dell’anno passato”. “Sebastiano!” Esclama Babila.Sorride e caccia la lingua tra i denti – eburnei – mordendola.La lingua di Babila sembra sia stata immersa in un coloranterosa – magari Babila si è sciacquata la bocca con un collutorioche le ha lasciato quel colore nella bocca oppure ha masticatoqualche particolare gomma americana. “Sì, Sebastiano, aquanto sembra, è il campione di ping pong – risponde Zita;cerca nella borsa qualcosa – e mi sembra di capire che sia untitolo meritato”. Zita estrae una sigaretta dalla borsa – non unpacchetto, ma una sigaretta. La sigaretta è storta e il filtropiuttosto schiacciato. “Sì! – esclama Babila – Sebastiano èmolto bravo a giocare a ping pong”. “Non dubito” dice Zita.Estrae dalla borsa un cerino – non una scatola, ma un cerino.

“Vedremo se sarà tanto bravo che riuscirà a conservarlo iltitolo” dice Zita. Con un colpo d’unghia accende il fosforosulla capocchia del cerino – che non è intero ma spezzato.“Sono intenzionata a fare di tutto per metterlo alla prova”. Tirauna boccata e espelle subito il fumo senza respirarlo – peròfacendolo respirare a Babila e a me. “Sì – dice Babila – anch’iosono molto intenzionata a fare questo”. Zita guarda verso ilchiosco di Damaso. Una frittella vola per un paio di metri efinisce sul pavimento del loggiato. Zita alza il sopraccigliodestro. Prende fumo. Dice: “Ho voglia di un’aranciata. Possooffrire anche a te un’aranciata o qualcos’altro?”. L’offerta èindirizzata a Babila. “è meglio di no, grazie – risponde Babila;forse Babila sta pensando a che cosa rischia se riceveun’aranciata dalle mani di Damaso – non vorrei gonfiare” dice.Come per congedarsi Zita dà un’occhiata a me e a Babila e vaal chiosco.

*** cambio battuta ***

20 – 11

Tutti giocano

Quando Zita è abbastanza lontana, Babila mi prende lamano tra le sue mani. È la stessa mano che Zita ha raccolto trale sue poco prima, quando Babila è arrivata. Babila mi passa ledita sul dorso, poi sull’indice, sull’anulare, poi sul palmo dellamano provocandomi qualche momento di solletico. Io laguardo, ma Babila non sta guardando verso me. Invece staguardando il cortile, mentre mi passa le dita sulla mano – lastessa mano che Zita ha toccato. Nel silenzio dirigo lo sguardonello stesso punto dove è puntato lo sguardo di Babila. Mirendo conto che nel cortile stanno giocando tutti: bambini,

adulti, indifferentemente. Evaristo sta giocando a quadrovivente con un gruppo di bambini – credo che adesso stiafacendo l’uomo vitruviano di Leonado Da Vinci – e Benignoha sostituito Caio al microfono e sta cantando Alleluia Alleluia– con la voce di Vasco Rossi, neanche a dirlo. Sette o ottobambini stanno facendo volare due aquiloni con Suor Sistina. Ilfilo degli aquiloni è molto lungo: più di quindici metri; e gliaquiloni sono uno arancione a forma di rombo e uno turchese aforma di deltaplano. Suor Sistina – che ha la narice di sinistrapiù lunga di quella di destra; la narice di sinistra (…quella cheSuor Sistina per ridere chiama //la narice comunista//; mentrequella di destra Suor Sistina sempre per ridere la chiama //lanarice di forza italia//…) è contigua al labbro superiore –prende l’aquilone turchese a forma di deltaplano dalle mani diuna bambina e grida: “Così! Così! Fallo volare così!”. Intantorotea il filo come se fosse la corda di un uomo a cavallo, e nelfarlo l’aquilone turchese plana per due volte intorno al filodell’aquilone arancione, e i due aquiloni finiscono perattorcigliarsi e intralciarsi a vicenda. Quando Suor Sistina tirada una parte l’aquilone turchese, l’aquilone arancione glifinisce davanti, e l’uno e l’altro si scontrano e s’ingarbugliano.La bambina che tiene il filo dell’aquilone arancione strilla:“Suor Sistina, ma cosa fai?!”. Cinque bambini sul lato delcortile a ridosso del muro dell’edificio scolastico fanno ombrecinesi. Un bambino incrocia i pollici, allarga le mani aventaglio e le muove prima su e poi giù, in successione rapida,poi dice: “Che cos’è?! Che cos’è?! Che cos’è?!”. I bambiniridono. “Troppo facile! – dice uno – è un uccello!”. “Sbagliato!– dice il bambino con i pollici incrociati – è un nibbio!”. Poi ilbambino cambia posizione e mette la mano sinistra alla basedell’avambraccio destro che solleva. “Che cos’è?! Che cos’è?!Che cos’è?!” Dice. “Una giraffa!” Dice una bambina.“Sbagliato! – dice il bambino – è la proboscide di unelefante!”. Allora sento un bambino dire: “So io che cos’è!

Altro che proboscide!”, e si mettono a ridere tutti, mentre labambina si guarda attorno, batte le palpebre, si gratta la testa.Mi gratto la testa anch’io. Poco più avanti all’altezza delgruppo che sta giocando a tiro alla fune in mezzo al cortile, c’èun gruppo di una decina di bambini radunati attorno a SuorLella e ognuno di loro tiene in una mano il filo di un palloncinocolorato (…ci sono palloncini rossi, verdi, blu, bianchi,gialli…). Ad ogni palloncino è legato un cartoncino arrotolatocon un messaggio. Suor Lella che ha la voce afona dice:“Ullura bumbini siete prunti u lunciure i vustri messuggi dipuce, felicitù, umure?”. I bambini rispondono: “Sììììììììì”.“Bene! – dice Suor Lella – Murcu, che cusu hui scrittu nel tuumessuggiu?”. Un bambino che evidentemente risponde al nomedi //Murcu// e che tiene tra le mani il filo di un palloncino rossodice: “Ho scritto: Desidero che tutti abbiano un papà!”. “Uh!Mu che bruvu! E tu Undreu?”. //Undreu// con un palloncinoazzurro tra le mani risponde: “Ho scritto: Auguro di trovarebraccia morbide che vi accolgano sempre!”. “Uh! Eccellente!Pueticu! E tu Undreinu?”. //Undreinu// è una bambina e tieneil filo di un palloncino rosa legato all’indice che lascia sporgeredalla mano: “Io ho scritto… mm… ho scritto… mm… hoscritto…”. “…hui scrittu?...”. “… mm… ho scritto… non melo ricordo!”. “e tu Fluviu?” Dice Suor Lellaignorando //Undreinu//. “Ho scritto: 347/8983234”. //Fluviu//tiene nella mano destra il filo di un palloncino giallo. “Checusu hui futtu?! – fa Suor Lella; la sua bocca sembra lo strappodi un sacco (…forse di juta…); le labbra non si aprono inverticale, ma in orizzontale, anzi sembrano aprirsi un po’ intutte le direzioni con lo stesso movimento che potrebbe fareuna stella alpina che sbocciasse e si richiudesse continuamente;è come se Suor Lella fosse una persona e la bocca di Suor Lellafosse un insetto, magari un ragnaccio, che sta sulla faccia diSuor Lella; tutte le volte che parla la bocca si muove lungo ilvolto di Suor Lella, ora da una parte ora dall’altra, ora

scivolando sulla guancia destra, ora scivolando su quellasinistra, ora finendo sul mento, ora sullo zigomo destro; SuorLella tutte le volte che parla sembra lottare con il ragnaccio chele zampetta sulla faccia – Fluviu, hui messu il numeru delcellulure? Mu sei muttu?! Mu cusu ti sultu in mente? Su, dùquu!” Suor Lella toglie il filo del palloncino dallemani //Fluviu//, arrotola il filo fin quando il palloncino non siabbassa del tutto e non le arriva tra le mani e a questo puntoSuor Lella sfila il cartoncino con il messaggio dalla base delpalloncino, e in quel momento il globo della membrana elasticascoppia: bum!. Suor Lella caccia uno strillo. I bambini attornoa lei cominciano a ridere. Insomma, mentre allungo un bacio inun orecchio a Babila, che non ha smesso di tenermi la mano trale sue, mi accorgo che nel cortile dell’istituto San Giuseppetutti quanti stanno giocando a qualcosa – compresi, forse,Babila, Zita e io… e Suor Claretta, col suo naso.

Set point

Patatrac

Mentre Babila e io stiamo mano nella mano (…enon //con le mani in mano// come forse potrebbe insinuare unacerta persona…), e Zita è al chiosco e ha chiesto a Damaso diaprirle la lattina di aranciata, nel cortile succede qualcosa. Nelgruppo che sta giocando a tiro alla fune adesso sono rimastecinque persone a destra del fiocco rosso e una persona asinistra. Questi è il signore col cappello da baseball che pesacentoventi chilogrammi. È solo contro cinque persone, eppureregge, e dà del filo da torcere – o della fune da torcere – a tuttiquanti. Tra le cinque persone manca il signore con i cappellilunghi e tanto lucidi che sembra che un panino di Damaso glisia passato sopra, e questo facilita il compito del signore colcappello da baseball con la visiera girata all’incontrario. Tra

l’altro, con un’occhiata mi rendo conto che il signore con icapelli lunghi al momento è in fila dietro a Zita e aspetta il suoturno per prendere un panino da Damaso. Tra il gruppo dipersone che si oppone al signore col cappello da baseball c’èancora Rosa, e ci sono altre quattro persone – uno solo è unuomo – che appaiono di costituzione molto leggera. Tirano lafune, rossi sul volto, sul collo, sulle braccia e con i tendini chesporgono dalla pelle. Dall’altra parte il signore col cappello dabaseball è riuscito a passarsi la fune per due volte attornoall’avambraccio, e per riuscire a portargliela via a questo puntogl’altri devono o trascinare centoventi chilogrammi lungo lapavimentazione del cortile – e le quattro persone che sioppongono al signore col cappello da baseball prese tutteassieme a occhio arrivano solo a centoquaranta, centosessantachilogrammi – oppure devono riuscire a stappargli un pezzodel braccio. Il braccio del signore col cappello da baseballsembra un quarto di bue appena tolto dal gancio di unamacelleria – e adesso sembra un quarto di bue marcio, visto ilsuo colore viola. Mentre tira, il signore col cappello dabaseball spalanca le labbra scoprendo i denti serrati che sonogialli, e un paio neri. Un po’ di schiuma gli esce dal latosinistro della bocca e una vena blu gli sporge dal lato del colloche posso vedere. Mentre tira e resiste agli scossoni dei cinquedell’altro gruppo, al signore col cappello da baseball esconoanche dei versi attraverso i denti – una cosa come: “Urgh!”“ach ach ach!” “uhohah!”. I bambini attorno a Suor Ginasussultano – anche Suor Gina sussulta. Qualcuno si copre labocca con una mano, qualcuno si copre gl’occhi con unbraccio, qualcuno dice: “Il signore grasso esploderà!”,qualcuno: “Gli si stacca il braccio! Gli si stacca il braccio!”.Suor Gina si sta tirando il lembo sinistro del suo velo, e scoprei capelli grigio ferro pettinati all’umberta. Poi, succede. Ilsignore col cappello da baseball fa un ultimo verso con labocca – una cosa come: “Urghachuhohah!” –, dà uno strattone

alla corda e, mentre strattona, compie un passo lateralmente,dalla parte del loggiato dove mi trovo. Il gruppo dall’altra partenon perde la presa sulla fune e Rosa e altre due personefiniscono addosso a due tra i bambini che stanno attorno a SuorGina. Però, non mollano la presa. Adesso la fune è messad’obliquo, e il fiocco rosso è rimasto ugualmente fermo nellazona di mezzo metro di neutralità. Il signore con il cappello dabaseball dà un nuovo strattone alla corda col verso:“Uoauooaaaauuaaauuurgh!”. La fune tesa fino a scricchiolaresi smolla di colpo, i fili vegetali passano velocissimi sullepalme di Rosa e tutti gl’altri, che per non perdere l’equilibriocominciano a correre con le braccia che roteano di sopra e disotto e i talloni che si sollevano fino alle natiche e ricadono sulpavimento appoggiandosi non sulla pianta del piede, ma sullapunta oppure sulla parte esterna. Tutti loro stanno gridando:“Aaaaaaaaaaaaaaaah!”. Anche i bambini che stanno attorno aSuor Gina gridano, ma non gridano “aaaaaaaaaaaaaaaah!”,gridano: “Ooooooooooooooooh!”. Suor Gina tira il lembosinistro del suo velo una volta di troppo e finisce per scoprirsiuna testa dove c’è soltanto il ciuffo pettinato all’umberta che lesporge dal velo, e dove per il resto non c’è niente, solo pellepiatta come cuoio. Due del gruppo si schiantano contro ilsignore col cappello da baseball che con la sua mole li stoppa,e li fa cascare di schiena gambe all’aria, ma lui stesso vienespinto all’indietro dall’urto, caracolla sui talloni e solleva lebraccia cercando di aggrapparsi al vento per non perderel’equilibrio. Il signore col cappello da baseball e gli altri duedel gruppo – che sono Rosa e il tipo magrissimo e altissimo colpaio di calzettoni bianchi col doppio bordo rosso che gliarrivano fino al ginocchio e che qualche momento passato hovisto perdere l’equilibrio e battere il gozzo sulla fune –invadono la porzione del cortile dove si sta svolgendo laseconda manche della corsa nei sacchi. I tre riescono a evitare ibambini che fanno pubblico della corsa – o meglio: soltanto

Rosa e Calzettoni Doppio Bordo riescono a evitarli, mentre ilsignore col cappello da baseball passa di un niente accanto auna bambina con le treccine bionde e le mollette gialle, e quelniente evita che il signore col cappello da baseball non franicol sederone addosso alla bambina portando centoventichilogrammi sulla schiena di lei –, e tuttavia tutti e tre nonriescono a evitare le persone che balzano dentro ai sacchi dijuta. Nel frattempo, però, succede qualcos’altro. Io non hovisto che cosa è successo. Tutto quello che vado raccontandoqui, anche se è al tempo presente, e in ordine cronologico, è ilrisultato di immagini che conservo – e che, evidentemente, sele sto scrivendo qui, desidero preservare – nella memoria: eccoperché, tra altre cose, posso permettermi di precisare così neldettaglio tutte le immagini che descrivo. È ripescando leimmagini nella memoria che mi è possibile precisarle; sulmomento, se dovessi seriamente descrivere quello che vedo,sono sicuro che non riuscirei ad essere altrettanto preciso.Questo credo significhi anche che una parte di quel che vadodescrivendo, mi pare di poter dire, in modo il più possibileoggettivo, è comunque frutto di invenzione e di un atto diselezione soggettiva. Perché, per esempio, ho scelto dievidenziare il cappello da baseball (…con la scritta Red Sox…)e il peso del signore col cappello da baseball, quando nonindossa soltanto quel cappello ma anche una canottiera blu (…con la scritta bianca ITALIA…) che mette in mostra un paio dibraccia che sembrano una specie di timballo di prosciutto cotto,e non lo definisco //il signore con la canottiera dell’italia//oppure //Timballo Di Prosciutto Cotto//? Oppure perchéCalzettoni Doppio Bordo non lo definisco //GozzoAmmaccato// oppure //Giraffa Suonata//? E perché di tutte lepersone che ho abbozzato una descrizione mi sono messo aparlare di… stop! Meglio non infilarsi in queste riflessioni chemi sembrano troppo filosofiche: meglio raccontare, raccontaree basta, anche perché credo che riflessioni come queste mi

porterebbero inevitabilmente a mettere in discussione tutto quelche ho scritto fin a questo punto. Allora, alla luce di quel cheho appena scritto, credo di poter affermare di essere in grado didescrivere quel che è successo mentre l’uomo col cappello dabaseball, Rosa e Calzettoni Doppio Bordo hanno invaso laparte di cortile dove si stava svolgendo la corsa nei sacchi, eche ha fatto sì che ad invaderla sia stata anche Stella.Probabilmente è successo che il cerchio delle persone chestavano facendo girotondo si è staccato in punto e si èallungato passando da cerchio e linea – presumibilmentesinuosa. Evidentemente qualcuno deve aver perso la presa dellamano del compagno o della compagna, causando lo slaccio delcerchio. D’altra parte non si può escludere che questo qualcunoabbia deciso di perdere la presa della mano del compagno odella compagna per causare lo slaccio del cerchio. Se è così,non si può escludere che questo qualcuno abbia deciso di farequesto soltanto per divertirsi un po’ di più oppure per fare inmodo che qualcuno si facesse del male (…l’ipotesi non è cosìperegrina: nessuna tra le persone che ho visto fare il girotondoaveva l’aria di divertirsi, ma anzi mi è sembrato che la tensionefosse alle stelle…) oppure soltanto per fare del casino – chenon è proprio lo stesso che //volersi divertire//. Immagino cheil cerchio slacciandosi e trasformandosi in una linea non abbiasmesso di vorticare, e vista dall’alto la linea sinuosa vorticantedi persone avrebbe potuto assomigliare a una gigantesca elica aforma di S in movimento. La linea a forma di S deve avervorticato per una, due, tre volte, fin quando uno dei suoicomponenti ad una delle estremità si è staccata come ungranello sottile e ha finito per invadere la porzione di cortiledella corsa nei sacchi. Soltanto che Stella non veniva da un lato– il destro –, come il signore col cappello da baseball, Rosa eCalzettoni Doppio Bordo, ma dal dietro. Tre esseri umani agambe levate e braccia roteanti avevano stretto da due lati altriesseri umani impegnati a balzare dentro sacchi di juta

reggendoli all’altezza del petto con le mani, e convergevanoverso di loro inesorabilmente, e ciascuno gridava: ”“aaaaaaaaaaaaaaaah!”, e i bambini gridavano:“Ooooooooooooooooh!”, e anche Stella gridava, non:“Aaaaaaaaaaaaaaaah!”, non “ooooooooooooooooh!”, bensì:“Iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiih!”. Qualche riga sopra ho scritto //uno deisuoi componenti ad una delle estremità si è staccata come ungranello sottile//, e se questa similitudine rende conun’immagine parcellare la visione dell’insieme e la dimensionespaziale dell’evento, ci possono essere altre similitudini chepossono rendere con altre immagini altri aspetti, e adesso chescrivo similitudini su similitudini sciamano per la mia mente, econtinuamente sono portato a sovrapporre a quel che ho vistoad altre immagini simili, come se – ecco una similitudine cheincontrollata si stacca dalla mia mente e attraversa le mie ditache stanno battendo sulla tastiera del computer – le immaginiche sto mettendo sul foglio contengano altre immagini, forsetutte le immagini, al punto che potrei raccontare la stessa storiatale e quale, descrivere lo stesso evento tale e quale,costruendolo con le similitudini che spurgano dalle immaginiche vado ordinando. Osservando il caos nel cortile potrei forsedescrivere un circo, o una festa, qualche volta una corrida,qualche altra volta un rito propiziatorio, e tutto partendo dalleimmagini che le immagini che ho avanti agl’occhi (…dellamente…) vanno suggerendomi. Queste immagini che vadodescrivendo certamente mi invitano continuamente a pensaread altro, come se contenessero – ecco una similitudine nuovache non mi riesce di trattenere nella mente e che travasa nelfoglio – messaggi che chiedono di essere decifrati, storie chechiedono di essere raccontate non soltanto parallelamente, maal posto di quella che sto qui raccontando (…mi chiedo sesarebbe pensabile costruire una storia piena di similitudini,dove ogni similitudine racconti la stessa storia, e nuovasimilitudine sia un progredire di una storia che si snoda

parallela a quella al di fuori della similitudine; forse lanarrazione potrebbe partire dall’immagine di un albero oppuredall’immagine di un corpo umano, dove ogni foglia, comegl’occhi, ogni ramo, come gambe e braccia, ogni radice comepiedi e dita, si possono considerare l’una la similitudinedell’altra; e forse la narrazione potrebbe terminare nel tentativodi far convergere la storia dentro la similitudine e fuori dallasimilitudine oppure, il che mi sembra più credibile – perché lesimilitudini mi pare non possano avere un punto d’intersezione,evidenziando che le due storie dentro e fuori della similitudinesono all’oscuro l’una dell’altra e rimangono in questo stato dinon conoscenza…), interpretazioni della cosa nuda chechiedono di uscire fuori, idee, paradigmi, schemi, archetipi chesi propongono come elementi per afferrare meglio la cosanuda, ricondurla a qualcosa di più comprensibile, tradizionale,univoco. //uno dei suoi componenti ad una delle estremità si èstaccata come un granello sottile//, sì, //come un granellosottile//, e ogni altra immagine scartata, inadatta, insensata. Checosa c’è in una similitudine? C’è forse qualche mostroancestrale che ci pulsa dentro, c’è forse qualche fantasmaatavico che ci viene stretto, ingabbiato… ma anche //stretto//,ma anche //ingabbiato//, non sono forse altre similitudini? E ilraccontare non è forse già tutto in blocco una similitudine?Allora perché da ogni immagine che si compone sul fogliosento la tentazione di affiancarci una similitudine? Un’altrasimilitudine, una similitudine aggiuntiva, alla già similitudineche è quella che ho definito (…ingenuamente?...) //la cosanuda//? Forse perché la seconda similitudine, la similitudineaggiuntiva non è che un modo non di rappresentare, ma dichiosare, di riportare ad altro, di istituire un rapporto, un ponteche colleghi l’una cosa a un’altra, di modo che qualunque sia lacosa questa cosa non sia sola, non sia unica, non sia un’entitàsganciata da qualunque altra entità, un’entità che non partecipache di se stessa, la qual cosa così messa evidentemente

spaventa o comunque genera sentimenti che cerchiamo dicacciare via. La similitudine non è un’apertura; la similitudineè una chiusura. Non è fantasia, poesia, ma un atto coercitivodella nostra razionalità – che misura e che rapporta, in cerca diqualunque parametro purché parametro. La similitudine non èforiera del caos: è un agente dello statu quo. E tuttavia lascio achi leggerà questo scritto, se lo leggerà, lasciarsi venire daun’immagine la suggestione di una similitudine non scritta,così come da una costellazione di storie non raccontare o di unpensiero non esplicitato. Insomma, è questo che succede: laschiena del signore col cappello da baseball si spiaccica sulsacco del signore basso, e sul signore basso che ci balza dentro:mentre le braccia del signore da baseball annaspanovorticosamente, la sua schiena cappotta sopra il signore basso,schiacciandolo dalla testa. I centoventi chilogrammi sirilasciano sul signore basso, allargandosi sul suo corposchiacciato dentro il sacco. La massa di ciccia prende aballonzolare e a sussultare, mentre il signore basso picchia ipugni sul pavimento da sotto la schiena del signore e cerca distrisciare via gridando: “Mi schiacci! Mi schiacci! Soffoco!Soffoco! Levati! Levati!”. Quasi contemporaneamente Rosaviene assorbita dalla signora grassa che, fin quando non èsuccesso il patatrac con Rosa, stava in quarta posizione, eprobabilmente contava anche di tagliare il traguardo per prima,vista che, come è venuto poi fuori, il fondo del sacco si erasfondato, e la signora grassa usava i piedi dentro alle scarpe daginnastica per saltare sul pavimento del cortile. Dopo unaventina di metri – ma forse soltanto una quindicina – la corsascoordinata di Rosa si interrompe incontrando il corpo dellasignora grassa talmente grassa che Rosa ci scompare dentro,lasciandole nelle carni il calco della sua sagoma. Rosa e lasignora grassa rimangono immobili per uno o due istanti, Rosadentro la signora grassa, le gambe dentro le sue gambe, lebraccia dentro le sue braccia, il corpo dentro il suo corpo, e la

signora grassa fuori da Rosa, e intorno a Rosa, con lingue dicarne che ricascano qua e là sugl’arti di Rosa innestata dentrofin quasi a ricoprirla. Poi la signora grassa crolla a terra, e Rosanon può che seguirla impastoiata dentro la juta, i vestiti, lamassa cicciona. Calzettoni Doppio Bordo, invece, riesce afermarsi prima di travolgere il signore col raffreddore da fieno,che sta in ultima posizione, perché è finito preda di un attaccodi starnuti. Calzettoni Doppio Bordo riesce a abbracciare ilsignore col raffreddore da fieno dentro il sacco, e per tuttarisposta quello che gli starnutisce diritto sulla faccia: “Ecciù!”.Mi sembra persino di vedere le bollicine del muco trasparente eresinoso che si forma quando è in corso un’allergia scoppiaresulla faccia di Calzettoni Doppio Bordo come tanti micro-gavettoni – ed ecco che una similitudine nuova mi hacamminato le dita. Suor Gina, Suor Sistina, Suor Linda, SuorCalamità si precipitano per soccorrere il signore col cappelloda baseball, il signore basso, Rosa, la signora grassa. Nelcortile ognuno smette il gioco che sta giocando e si avvicina alpunto del cortile dove lo scontro è avvenuto. Si fa largo unmedico, e una suora infermiera. Mentre sento Zita cacciare unostrillo e gridare: “Ahia! L’aranciata nell’occhio no! Siete tuttisvalvolati qui dentro?!”, io tolgo la mano dalle mani di Babila ecorro.

** cambio campo ***

Il torneo comincia alle sedici, con un’ora di ritardo rispetto leedizioni passate. Quando Suor Ughetta si affaccia dalla portabianca che conduce nella stanza da dove per mezzo di una scalache porta ai piani superiori si arriva agli alloggi delle suore –sono stanzette con un lettino che ho visto una volta sola,quando facevo qui le elementari, ed è stata una di quelle volte

che non si può non ricordare perché stavo assieme a LorenzoBocca e dovevamo portare un sacchetto di caramelle al miele aSuor Mariannina, non ricordo più se perché aveva ilraffreddore e qualche suora desiderava farle un pensiero,oppure per qualche ricorrenza in particolare come unonomastico o un compleanno; comunque: io non sono entrato,perché provavo vergogna, così è entrato solo Lorenzo Bocca, edopo cinque secondi è uscito di corsa, con la faccia tutta rossa,e le mani sulla labbra, come se stesse trattenendo qualcosa chevoleva uscir fuori; quando ho chiesto a Lorenzo Bocca cosafosse successo, lui mi ha detto di aver visto Suor Marianninanuda, completamente, a parte il velo sulla testa, e poi congl’occhi che esorbitavano ha aggiunto: “Aveva le tette che letoccavano il pavimento!” – e attraverso la scala che scende aun piano al di sotto del livello del suolo si passa al refettorio,questa porta bianca che prima stava alla mia estrema destra,adesso si trova a sinistra, perché mi sono spostato nel punto delcortile dove si è verificato il patatrac tra i partecipanti del tiroalla fune e quelli della corsa nei sacchi e adesso ho il visorivolto al loggiato. Posso così vedere Suor Ughetta sporgersidalla porta bianca con la sua macchina digitale Astra DC-3320Digital Camera appesa al collo, e gridare: “Comincia il torneo!Comincia il torneo! Venite dabbasso! Dabbasso!”. QuandoSuor Ughetta si sporge sono le quindici e trentacinque. C’è unandirivieni di persone attorno al signore col cappello dabaseball, Rosa, Calzettoni Doppio Bordo, il signore basso, lasignora grassa. C’è un medico chino sul signore basso che, aquanto pare, dopo che il signore col cappello da baseball gli èrotolato via, ha anche scosso le gambe due volte, e poi èrimasto immobile per uno o due minuti. Il medico sta cercandodi capire se il signore basso abbia avuto delle convulsioni eabbia perso i sensi. Gli tasta un lato del collo con l’indice, glidice di fargli vedere la lingua, mentre il signore basso gli dice:“Ma sto benissimo! Sto benissimo!”. Damaso è arrivato di

corsa con una bottiglietta da mezzo litro di naturale e hasoccorso la signora grassa, che ha un grosso livido su unbraccio. Quando Damaso ha aperto il tappo della bottiglietta,ha avuto uno scatto con il polso e acqua è finita sulla facciadella donna grassa. La donna grassa allora ha strillato. “Ahio!Scotta!”. “Ma se è ghiacciata!”. Nel frattempo Suor Mariangela– che non ha un piede: al posto del piede destro ha un legno, equesto la rende zoppa – arriva con la cassetta del prontosoccorso e si piazza vicino a Rosa. Rosa ha una sbucciatura sulgomito che sanguina – e le suore hanno voluto che rimanesse aterra, anche se Rosa ha protestato. Suor Mariangela cava dallacassetta del pronto soccorso la bottiglietta d’acqua ossigenata econ una garza di cotone passa la sbucciatura di Rosa. SuorMariangela fa gocciare l’acqua ossigenata sulla carne di Rosa ele fa uscire la schiumetta bianca. Fa questo fin quando Rosanon protesta e dice: “Basta, Suor Mariangela, ha disinfettatoabbastanza…”. Allora Suor Mariangela prende dalla cassettadel pronto soccorso la boccetta del mercuro cromo, spalma lacarne di Rosa e la fa diventare da vermiglia a arancione. Ibambini attorno allungano i colli. Dopo circa un quarto d’ora,alle sedici meno cinque, mentre Suor Ughetta scatta foto aicorpi distesi sulla pavimentazione del cortile, tutti e quattro sirialzano – quasi a tempo –, dichiarano di non avere niente dirotto – quasi in coro –, e Suor Linda e Suor Sistina iniziano adire che bisogna ringraziare il Signore, e assieme a tutti noirecitano tre Ave Maria e un Padrenostro. A poco a poco tutte lepersone, adulti e bambini, e le suore, che si sono radunatiattorno al luogo del patatrac si allontanano e riprendono agiocare – in sottofondo riprendono anche La Lambada e LaMacarena che Caio o Benigno, uno tra i due, hanno interrottequando il patatrac è venuto. Suor Ughetta smette di scattarefotografie (…ha scattato almeno venti fotografie: al signore colcappello da baseball, al livido sul braccio della signora grassa– “com’è blu!” –, a Calzettoni Doppio Bordo – “anche tu hai

un livido! Sul gozzo! Ed è ancora più blu!” –, a Rosa – “esmettila di dire //cazzo//, di dire //figa//! Qui ci sono deibambini! Sorridi! Che ti sto facendo una foto! E smettila diprendertela con tutto! Come se quello che ti è successo fosseproprio troppo con tutto quello che hai già di brutto! Sorridi!Che ti sto facendo un’altra foto! Pensa ai poveri nel mondo!Senza acqua! Senza casa! Senza medicine! Sorridi! Che ti stofacendo un’altra foto! E non smetto di farti foto fin quando nonhai ripreso a sorridere anche quando non ti faccio foto! Sorridi!Sorridi! Sorridi!” –…) e di nuovo grida: “Comincia il torneo!Comincia il torneo! Venite dabbasso! Dabbasso! Venite!Dabbasso!”. Noi ci raduniamo, camminiamo il cortile,attraversiano la porta bianca.

*** gara ***

ULTIMO SET

00 – 00

Regole

“Lo dico per gl’iscritti nuovi di quest’anno… io sonoMaurizio… e mi si può chiamar’anche Zio, però.Son’allenatore qu’all’istituto d’ann’e ‘nn’ormai. L’istituto SanGiusepp’il ping pong hann’avut’ssai soddisfazioni nel tempo.Dal 1985 ’oggi, e si parla di vent’anni, il San Giusepp’hafatt’uscire campioni di questa disciplina, ch’è una disciplinacon le sue regole, e non è soltant’un passatempo, ma uno sport– lo sport del tennis tavolo – ricco di tecnic’agonism’e tattica.Vorre’invitar’i bravissimi giocatori d’oratorio qui presenti, che“schiacciano da sott’al tavolo”, a non illudersi di essere bravi,perché il tennis tavol’è tutt’altra cosa. In questo torneo siseguono le regol’ ufficiali della federazione, e’o faròd’arbitr’assiem’a Suor Ughett’a qualch’altro tra voi. A questoproposito ci servono sei volontari. E seguirò quelle regole –con una sol’eccezione, che abbiamo concordato coll’istituto.Ecco qual è l’eccezione: i set, che non sono pi’ai ventuno (…21…), m’agl’undici (…11…), qui saranno, come eccezione, aiventuno (…21…) e non agl’undici (…11…). Dir’adesso leregole pi’elementari. Primo: la battuta può essere cort’elaterale. Secondo: il net obblig’a rifare la battuta sempresenz’assegnar’il punto. Terzo: non si può coprire lapallin’occorre lanciarl’in alt’almeno d’una spanna (anticamisura d’oratorio) prima di batterla.Pass’or’illustrar’alcun’impostazioni. Come s’impugna laracchetta: la mano, che sia la destr’o la sinistra, deve starerilassata e le dita che devono sostenere la racchetta son’ilpollic’e l’indice. Non voglio vedere giocatori che portan’ilcolpo con due mani, com’ho visto fare da qualcuno l’annopassato, e qualch’altr’ann’ancora. Alcuni tra voi portavan’ilcolp’impugnand’il manico della racchett’al contempo coll’altra

mano dalla parte del telaio. E non voglio vedere persone checolpiscono la pallina col palmo della mano liber’addirittura,come m’è capitato di vedere l’altr’anno, col pugno. Questigiochett’andatel’a far’altrov’e non qui. Quest’un torneo serio.Come si colpisce la pallina: ricordo che due son’i modi: ilprimo è colpire la pallin’in avanti, come farebbe, perintenderci, un giocatore da baseball, e come farebber’iprincipianti che non sanno giocare. Ora: tra voi ci sonoprincipianti che non sanno giocar’a cominciare dalcampion’attuale: Sebastian’Ornella. E quest’anche se molti travoi sono stati mie’alliev’ai corsi di ping pong nel ’87, nel ’88,nel ’89. Comunqu’io dic’anch’il secondo metodo per colpire lapallina da ping pong: si tratta del metod’usato dai giocatori ditennis tavolo che pelano la pallina con la racchetta eprovocan’il suo moviment’in avant’assiem’a rotazione.Son’ammessi tutt’i colpi purché regolari: lo scambio, iltopspin, il palleggio, il blocco, il chop, la schiacciata, e tuttigl’altri colp’anche se sono certo che nessuno tra voiconoscer’altri che questi ch’h’elencato. ‘adesso passiam’alleregole del torneo. Il torneo è eliminazione diretta con un gironepreliminare. I partecipant’al torneo quest’anno sono sedici (…16…). Adesso coi foglietti contenut’in questo sacchettopreparato da Suor Ughett’estrarremo i nomi che comporrann’igironi. Ricordo ch’ogni giron’è composto da quattro nomi (…abbiamo diviso sedici per la sua radice quadrata…) e che perogni girone passan’il prim’il secondo classificato. Dopo la finedella fase eliminatoria si procederà ‘una nuov’estrazione perstabilire le sfide degli ottavi. Questa è la regola cheabbiam’adottato da sempre – per la ragione, soprattutto, che cipiac’estrarr’a sorte. Prima di passar’all’estrazione dei numoche comporrann’i quattro giron’ecco l’elenco degl’arbitri cheaiuteranno m’e Suor Ughett’arbitrare: Suor Ughetta, SuorEsterina, Suor Mariannina, Suor Ramona, Suor Mariangel’ e ‘lsottoscritto Maurizio. Ora pass’all’estrazione dei nomi dei

gironi. Per il primo girone! Marina Mirinelli…Caio Raschini…Gianni Vivalda…Babil’Arrivino. Passiam’or’all’estrazione delsecondo girone – speriamo non dantesco, mi suggerisce quiSuor Ughetta! Desideria Maniscalchi…Ottavio Todini…Gianna Molletti…Evaristo Molleone. Terz’estrazione:Cosim’Errichetti…Damaso Sbricioloni…Zita Collotta…Cosma Repesperini. Quart’ultim’estrazione: Rosa Rose…Benigno Bolloni… Sebastian’Ornella…Stella Rottini.‘adess’iniziamo che già sono le quattr’un quarto! Buona gar’esiate leali!”

00 – 01

Incollo a fresco

Mentre Maurizio parla, io mi scosto dal resto del gruppoche si raduna nel refettorio attorno all’allenatore, e incomincioa incollare a fresco la gomma della mia racchetta. A casa hofatto un pre-incollaggio spennellando due strati di colla sullagommapiuma. Adesso saranno passate circa due ore. Slaccio lacerniera dell’astuccio di pelle blu scuro – firmato Stiga – eestraggo la racchetta. La gommapiuma è bianchiccia di colla eha un odore molto forte dovuto al solvente tricloruro d’etileneche, tra l’altro, è una sostanza cancerogena. A casa ho usatouna mascherina per spennellare la colla. Non l’ho con me,perché non mi serve, anche se prevedo di cambiare gomme nelcorso del torneo; posso permettermi di far questo senza lamascherina: non sono un giocatore professionista, e non respirotricloruro d’etilene e le altre sostanze cancerogene contenutenella colla se non per dieci o quindici minuti al massimo l’anno– mettermi la mascherina mi farebbe vergogna, anche seprobabilmente nella mascherata generale causata da Vitale eassecondata dalle suore nessuno si accorgerebbe di qualcosa. Adifferenza degl’anni passati, mi sono concesso più tempo per

personalizzare le gomme della mia racchetta da ping pong, enon dico di aver fatto il lavoro ottimo che Vitale ha fatto con lasua gomma a colori impressionistici, ma lo stesso mi èsembrato di aver fatto un lavoro buono. Ho buttato la gommapuntinata lunga dove ho disegnato con il pennarello indelebilee potentissimo (...una cosa quasi come l’uniposca...) la manocon il pollice verso, ma che a causa della puntinatura è venutasu una schifezza. Le tre paia di gomme che ho portato con mehanno queste combinazioni: il primo paio è una coppia digomme lisce: una gomma è da difesa, con la superficie dura el’ho verniciata d’arancione e l’altra gomma è d’attaccoallround, con la superficie morbida e l’ho verniciata di verdefluorescente – ho usato barattoli di vernice che ho comprato inun colorificio a un passo da casa mia. Il secondo paio è unacoppia di gomme puntinate: una gomma è puntinata corta, dicolore rosso e ci ho disegnato sopra un pugno con il dito medioalzato, l’altra gomma è una puntinata lunga, di color cobalto, eci ho disegnato sopra una pistola spianata – ho passato tuttauna giornata per farla, e, senza immodestia, posso dire che mi èvenuta un capolavoro. Tra l’altro: la pistola spianata ha unsignificato ironico, visto che le puntinate lunghe servonosoltanto per la difesa. Il terzo paio è una coppia di gommeantitop: si tratta di gomme lisce a vedersi ma che nonimprimono effetto alcuno. La pallina scivola sulla superficiedella gomma e ritorna con lo stesso effetto che ha volutoimprimere l’avversario, ossia: quando un giocatore con unagomma liscia attacca imprimendo alla pallina un effetto sopra,se l’avversario con l’antitop respinge spingendo la pallina, ilgiocatore vede tornarsi la pallina con effetto sotto. Una gommal’ho passata con una vernice color giallo polenta, e l’altra conuna vernice vermiglia. Nella parte vermiglia ho disegnato unamano con l’indice e il mignolo alzati; nella parte gialla unsorriso con una fetta di lingua che sporge fuori dall’angolosinistro della bocca e due gocce di saliva che gocciano dalla

punta. “Per prima cosa ho bisogno di un matterello e di uncucchiaio” dico a me stesso, a voce bassa. In un angolo delrefettorio individuo Suor Mariannina, e mi rivolgo a lei peravere un matterello dalla cucina. Suor Mariannina alza unangolo della bocca, e da dietro la schiena dove tiene le maniincrociate, fa uscire fuori un matterello bianco, tenendolo nellamano destra, e un cucchiaio d’acciaio, tenendolo nella manosinistra. “Ogni anno mi fai la stessa richiesta” mi dice SuorMariannina. Io mi porto una mano dietro la nuca. “SuorMariannina…” dico, e non aggiungo altro. //ogni anno//, tral’altro, non è l’espressione giusta, perché è soltanto dall’annoscorso che mi sono messo a incollare a fresco le gomme sultelaio della racchetta. Ringrazio Suor Mariannina, e cerco didimostrarle che sono senza parole per quel che ha fatto. Poi conil matterello e il cucchiaio nelle mani torno alla mia sacca chesta accanto a un tavolo da ping pong e appoggio matterello ecucchiaio sulla superficie del tavolo dove già ho disposto ilbarattolo della colla, la racchetta e le gomme. Prendo la gommacolor polenta, che, come già ho scritto, già ho provveduto apre-incollare a casa, e metto due cucchiai di colla nel centrodella gomma piuma. Spennello – con il pennello che trovo nelbarattolo della colla – per tutta la superficie della gomma lacolla, la spalmo in ogni piega, poi lascio che asciughi. Ripeto lastessa operazione con la gomma vermiglia. Nel frattempo lacolla sulla gomma color polenta mi pare asciutta a sufficienza,allora aggiungo altra colla – uno strato leggero – sullagommapiuma, e attacco la gomma al telaio. Prendo ilmatterello che Suor Mariannina mi ha passato e comincio alisciare la gomma come se stessi tirando la sfoglia. Non la tirotroppo, perché so che la gomma potrebbe uscire dal telaio edovrei tagliarla con un paio di forbici. Io, però, riesco a evitaredi farlo. Ripeto la stessa operazione per la gomma vermiglia, equando ho terminato, sono passati circa dieci minuti in tutto.Maurizio non ha ancora smesso di parlare, e io approfitto di

questo per sedermi sulla racchetta incollata in modo che lacolla s’impasti alla gommapiuma e al telaio, e la gomma non sistacchi durante una gara.

00 – 02 Palleggi

Dopo lo spettacolo di Vitale – che stavolta risparmio,perché alcune tra le cose che sono successe sono decisamenteadatte alla parola //inenarrabile//; Vitale è venuto per il suospettacolo anche se quest’anno non partecipa al torneo, e dopoaver finito di combinare di tutto, ha chiuso la sua valigia, ed ètornato in cortile; aggiungo che a differenza dell’anno passatoMaurizio e le suore hanno preteso che ci togliessimo lemaschere che Vitale ha lanciato a tutti quanti, almeno durantelo svolgimento delle gare, e per me è un peccato perchéattribuisco la conquista del trofeo del passato anno anche agliocchiali e al nasone che ho portato almeno fino ai quarti difinale –, il torneo ha inizio. Le coppie di sfidanti si avvicinanoassieme agli arbitri ai tavoli da ping pong, cavano le racchettedagli astucci, e cominciano con qualche palleggio. Quest’annoi tavoli da ping pong sono uno, due, tre, quattro, cinque, sei,sette, otto. Il nono e il decimo non sono stati messi in fila congl’altri, perché il numero degli iscritti è di sedici persone.Comunque, anche se i tavoli sono soltanto otto, e non dieci –un anno furono addirittura quindici –, quando le coppie disfidanti cominciano a far palleggi per riscaldarsi un po’ primadella gara, il rumore prodotto dalle palline da ping pong cherimbalzano sui tavoli e sulle racchette, non è troppo diverso dalrumore prodotto negl’altri anni. A questo proposito occorreimmaginarsi otto racchette da ping pong che colpiscono ottopalline da ping pong che rimbalzano su otto tavoli da pingpong e che vengono colpite da altre otto racchette da ping pong

e vengono fatte rimbalzare nuovamente sugli stessi otto tavolida ping pong, e questo di continuo, perché i giocatori non simuovono all’unisono, e c’è sempre qualche pallina inmovimento, e mai una pausa corale. A questo va aggiunto chele mura del refettorio sono alte dieci metri almeno – forseanche dodici –, e ad ogni carambolare della pallina sul tavolo osulla racchetta corrisponde un rumore pressoché identico inqualche punto tra le mura del refettorio. Se un rumorepressoché identico corrisponde a ogni carambolare, allorasignifica che ogni volta che la pallina rimbalza sulla racchetta osul tavolo da ping pong produce due rumori, il che vuol direche le otto racchette da ping pong che colpiscono le otto pallineda ping pong non producono otto ma sedici rumori della pallinada ping pong colpita, e quando le otto palline che hanno appenaprodotto (in misura direttamente proporzionale al colporicevuto dalla racchetta da ping pong) sedici rumori di se stessecosì come le racchette che le hanno colpite, rimbalzano sultavolo da ping pong producono sedici rumori di se stesse cosìcome le otto superfici dei tavoli da ping pong producono ilrumore di sedici di se stesse. In effetti: //il rumore della pallinada ping pong su un tavolo//, si può anche esprimere con //ilrumore del tavolo sotto la pallina da ping pong//; cosìcome //rumore della pallina da ping pong// andrebbe forsedefinito di volta in volta come //il rumore di una pallina daping pong contro una racchetta// o //il rumore di una pallinada ping pong contro il tavolo//, ma anche, e il rumore noncambierebbe, andrebbe definito come //il rumore di unaracchetta da ping pong contro una pallina da ping pong// o //ilrumore di un tavolo da ping pong contro una pallina da pingpong//, perché non esiste //il rumore della pallina da pingpong// e nemmeno //il rumore di una pallina da ping pong//;anzi forse andrebbe tenuto conto anche del refettorio e dellesue mura alte almeno dieci metri – se non dodici –, checontribuiscono a produrre un rumore – ma perché

non //producono un rumore// e basta? – certamente diverso chese fossero alte cinque metri o due metri o costruite d’altromateriale, o collocate non sotto ma sopra il livello del suolo,così che, insomma, forse //il rumore di una racchetta da pingpong// andrebbe definito come //il rumore di una racchetta daping pong che colpisce una pallina da ping pong in unrefettorio con le mura alte almeno dieci metri fatte di cementoarmato collocate al di sotto del livello del suolo//; ma ilsospetto è che questa faccenda del genitivo soggettivo adatto odel genitivo pluri-soggettivo adatto per stabilire chi produce ilrumore, praticamente potrebbe allungare le sue radicicollegandosi a tutto l’universo spazio-tempo, e ancora nonavrebbe una fine. Comunque si può dire che nel refettorio leotto partite generino almeno in termini di rumore altre ottopartite parallele, simmetriche e pressoché simultanee. Sequalcuno che porta il colpo fa fischiare la punta della suola sulpavimento – di linoleum – da qualche parte tra le mura delrefettorio si riproduce lo stesso rumore una frazione di secondodopo, e lo stesso vale per qualsiasi altro rumore che superi unacerta soglia di decibel – soglia, tra l’altro, che è molto bassaperché le volte a semplice curvatura delle mura non assorbono irumori, ma li rigettano e per dir così li rigenerano di continuo.Ogni qualche volta qualcuno consiglia alle suore di attaccarealle mura delle confezioni di uova, ma è una cosa che non s’èfatta mai, anche se forse servirebbe, e molto.

00 – 03 Palline

Anche l’effetto ottico prodotto dalla traiettorie delle ottopalline in celluloide che passano di là e di qua dalla rete deltavolo non è troppo diverso anche se quest’anno le palline nonsono dieci – e nemmeno quindici. Le palline sono tutte bianche

(…qualche anno si è anche fatto uso di palline colorate –arancione o gialle –; ma adesso si preferisce far esclusivamenteuso di palline bianche…) e questo forse contribuisce a generarel’effetto ottico prodotto dalle traiettorie. Una volta che lepalline cominciano a passare tutte assieme da una parte all’altradei tavoli si genera l’impressione che una serie di grossi elasticibianchi colleghino una racchetta all’altra e che ogni elasticobianco secondi il movimento delle due racchette che collega, inun modo che ovunque si spostino le racchette, in avanti,all’indietro, lateralmente l’elastico si allunga o si accorcia manon si distende, rimane in tensione, anche quando la pallina sirallenta rallentandosi di conseguenza anche le racchette. Questaimpressione è dovuta al particolare effetto ottico che si generadalle otto palline in movimento. Prese singolarmente l’effettoottico cessa, ma tutte assieme le palline in movimento generanol’impressione di otto grossi elastici bianchi sempre in tensioneche si allungano e si accorciano – gli elastici assomiglianoanche a tubi bianchi che sembrano illuminarsi dal di dentro diun color giallo fosforescente, dovuto invece ai neon cheriverberano dai lati del soffitto del refettorio. Comunque,osservare le palline tutte in movimento per troppo tempo puòstordire. Non mi chiedo che cosa succederebbe se siattaccassero specchi per coprire tutte le pareti del refettorio, ilpavimento e il soffitto. Una volta ho visto Suor Marianninaseduta nell’angolatura che permette di vedere tutte le palline inmovimento, irrigidirsi e accasciarsi di lato dalla seggiola. Sondovuto correre e sorreggerla per evitare che si facesse del male,e quando Suor Mariannina si è accorta di quel che le stavacapitando ha esclamato: “Ma guarda che combino! Mi è venutosonno tutto di botto!”. Forse è per merito di questo salvataggioche quest’anno Suor Mariannina si è ricordata del mattarelloper il mio incollaggio a fresco.

00 – 04 Rinfantellante

//elastici bianchi//, //tubi gialli fosforescenti//: di nuovomi accorgo di aver usato similitudini per descrivere quel chevedo, il che mi sembra tradire un po’ quel che vedo, come seun elastico bianco o un tubo giallo potessero essere immaginipiù seducenti del movimento delle palline in celluloide. Anchevolendo descrivere lo schizzare, il roteare, il rollare dellepalline sulle racchette e sui tavoli, si presentano alcuni verbiche già tendono ad assimilare il movimento della pallina adaltro: //carambolare//, //beccheggiare//, //schizzare//, //rollare//, //roteare//, e il miosospetto è che praticamente qualunque verbo finisca per essereun verbo in prestito. Il mio desiderio di rendere quel che vedoper quel che vedo – e non per immagini che mi vengono daquel che vedo – è tanto grande, che sto sviluppando una speciedi ipersensibilità al significato intrinseco di qualunque verbomi capiti a tiro. Così se uso //rollare// e scrivo per esempio //lapallina rolla// non posso fare a meno di sovrapporreall’immagine della pallina l’immagine di un uomo che nuota inun mare – o in un qualunque liquido che gli permetta di nuotare– oppure di un aeroplano; allo stesso modo se uso //roteare// escrivo //la pallina rotea//, che mi sembra quanto di piùaccettabile si possa scrivere, lo stesso non posso fare a meno disovrapporre all’immagine della pallina in celluloide,l’immagine di una micro-ruota, magari a raggi con il cerchiocollegato al mozzo da razze, oppure dentata con i denti fatti peringranare una cinghia dentata, oppure fatta d’arenaria peraffilar le lame. E così mi succede per ogni verbo che selezionoper descrivere il movimento della pallina. D’altra parte michiedo quale sia in fondo il senso di rendere un’immagine con

un’altra immagine se non per spiegarsi meglio oppure perdivertirsi un po’ col gioco delle somiglianze oppure perdimostrare che dentro un qualsiasi fatto si chiudono comescatole cinesi o matrioska russe o sarcofagi egiziani altri fatti ditutt’altra specie, genere e provenienza come a dire cheraccontando un qualsiasi fatto – compreso un fatto qualsiasi –si raccontano contemporaneamente altri cento, mille, forsepotenzialmente infiniti fatti che si agganciano a quel fatto perrelazioni di una qualche somiglianza che può essere di forma,di contenuto, d’esperienza, d’emozione, e via così, al punto cheanche non volendo quando si racconta un fatto sempre si stariferendo di un’esperienza universale, si stanno maneggiandoarchetipi – o riproduzioni d’archetipi, ma comunque qualcosaabbia a che farci –, si sta, per dir così, percuotendo edisturbando il cosmo, perché, come dicevano già gli antichi,tutto è nel tutto, e ogni volta che parlo di una cosa io coinvolgotutte le cose, parlando di una cosa quella cosa diventa se nonuniversale un universale – esattamente come la felicità,l’amore, la libertà, la fratellanza –, ossia diventa una cosa cheessendo tutte le cose a poco a poco scompare e non c’è più,anzi forse non c’è stata mai. Questo mi urta. L’idea che il fattodi un torneo di ping pong che si sta svolgendo nel sottosuolo diun istituto di suore dentro a un refettorio possa saldarsi perrelazioni d’ogni genere con il patrimonio di tutti i fatti passati,presenti, futuri e di tutte le esperienze, mi spaventa, e mi facessare di voler seguitare a raccontare, perché se le cose cosìstanno messe, allora anche il solo raccontare causa di questespinte e contro-spinte cosmiche. Mi chiedo poi perché dovreifornire una rappresentazione delle cose. Tanto per cominciarequeste //cose// che tanto disinvoltamente convoco nel miodiscorso sono già adesso una rappresentazione grafica delconcetto //cose//, e il concetto //cose// in quanto //concetto// ègià una rappresentazione mentale di una cosa che non esiste,visto che non esiste la cosa //cose//, ma è il risultato di

un’astrazione. Detto questo, ossia che le //cose//, e tutte quante(…ossia ogni cosa singola: la pallina, la celluloide, la racchetta,la gomma, la gommapiuma, il telaio, la rete del tavolo, iltavolo, la superficie del tavolo, e via così…), sonorappresentazioni grafiche (…la rappresentazione grafica dellacosa //pallina// è la parola //pallina//…) altro non si può dare diqueste rappresentazioni che altre rappresentazioni, che sisostituiscano – rappresentazioni di rappresentazioni – o che siaggiungano – rappresentazioni e rappresentazioni; comescrivere: //una cosa e l’altra sia pure in una qualche relazionetra loro che li pone sullo stesso piano//…). Ora: mi domandoperché dovrei sforzarmi di fornire la rappresentazione di unarappresentazione (…come un’allegoria…) o una panoplia dirappresentazioni che si irraggiano attorno a unarappresentazione (…similitudini…), se non allo scopo diintrattenere qualcuno, di dimostrare qualcosa a qualcuno –fosse anche un me stesso –, di sponsorizzare qualcosa,comunque di mettere in una qualche relazione la miaesperienza con quella di qualcun altro. Tutto questo mettere inrelazione mi sembra il tentativo di dare forma (…conmoltissime mediazioni…) a una esperienza, ma non di(rap-)presentare la forma dell’esperienza per quel che si è(rap-)presentata e per come si (rap-)presenta. Tutto questosforzo mi ha l’aria d’essere il tentativo di tirar dalla propriaparte qualcuno: più che di informarlo, di rappresentarlo. Comese ci si sforzasse a dire: “Questa cosa che succede nel miocontesto è una cosa che succede, mutato qualche rapporto,anche nel tuo di contesto, allora io che ho preso la parola perraccontare la mia cosa, a differenza di te che non l’hai presa,sto parlando non solo per me ma anche per te”. Se invece dirappresentare una cosa perché qualcuno possa sentirsirappresentato si fornisse la rappresentazione di una cosa per ilbeneficio di qualcuno, che nel momento che decidesse divivere la stessa esperienza potrebbe usare quella

rappresentazione? Se si usassero rappresentazioni le più esattepossibili addirittura le più tautologiche? Se si scrivesse: //lapallina pallineggia//, //la racchetta racchetteggia//, //lasuperficie del tavolo superficeggia//? Di modo che chi leggesseuna volta che si trovasse nella stessa situazione potrebbe dire:“Ah, guarda! Ecco com’è che una pallina pallineggia, e unaracchetta racchetteggia, e la superficie del tavolosuperficeggia! Ora ho capito! Sì, ho capito!”. Oppure sipotrebbero usare rappresentazioni che non altro significato chequello pensato per rappresentare il movimento di quell’oggettoin quel contesto come //la pallina sparparagna//, //la racchettasfarfarrucola//, //il tavolo moloplattola//, //la superficie deltavolo rinfantella//? E in questo caso chi leggesse una volta chesi trovasse nella stessa situazione potrebbe dire: “Uh! Guardacome ti faccio sparpagnare la pallina! Guarda chesfarfarrucolìo la mia racchetta! Guarda il tavolo chemoloplattolata! E la superficie del tavolo tantorinfantellante?!”.

00 – 05 Altro

Come ho abbozzato ci sono otto partite che in termini dirumore generano almeno altre otto partite parallele,simmetriche e pressoché simultanee. Questo significa che nonci sono soltanto otto partite fantasma che vengono evocate ognivolta che le partite incominciano, ma nel refettorio ci sono, intermini di rumori, sedici fantasmi che corrispondono ai sediciiscritti al torneo, e, in termini di rumore, c’è anche il fantasmadi Maurizio, di Suor Mariannina, di Suor Ughetta e di chiunquevarchi la soglia del refettorio. Entrare nel refettorio significaprodurre i rumori di un altro se stesso che a distanza di diecimetri – o dodici – sopra le teste oppure sul muro che guarda a

ovest o su quello che guarda a nord, a sud, a est – in effetti nonsono in grado stabilire dove precisamente un rumore qualsiasisi riproduca – di tutti ripete le parole pronunciate e le azioni. Irumori si intersecano, tagliandosi più o meno come farebberole traiettorie delle palline se si lasciassero dietro striatureluminescenti che rimanessero sospese nell’aria per uno o duesecondi – e diventa molto difficile riconoscere il fantasma di sestessi nel bailamme del refettorio. Credo inoltre che di unrumore si producano anche riverberi di riverberi, sempre menopotenti, meno forti, una serie di micro-riverberi che sipropagano degradando fin allo zero, mentre rumori pressochéidentici si rigenerano ripresentano la stessa serie di micro-riverberi propagatisi degradando fin allo zero. Se così stanno lecose, allora i fantasmi presenti nel refettorio in termini dirumori (…e cos’è, poi, un fantasma se non un coacervo disuoni, rumori, sibili…) non sono sedici o diciannove ma sonomolto più numerosi. Ognuno di noi all’interno del refettorio hacinque, sei, sette, otto, nove, chissà quanti fantasmi, che dafantasmi degradano via via in poltergeist, spiritelli, spiritucolifino a sparire nell’immateriale per lasciare spazio a fantasminuovi pressoché identici ma diversi. Insomma ognuno di noinon ha un fantasma che lo segue, così come un’ombra – perchéun’ombra non scompare, soltanto apparentemente scompare –,ma è un generatore di fantasmi, che in quanto generatore difantasmi genera fantasmi a loro volta generatori di fantasmi,che generano generatori di fantasmi generatori di fantasmi, evia così.

*** cambio battuta ***

Net C’è da uscire pazzi

Zita mi si avvicina a un orecchio e mi dice: “C’è dauscire pazzi a star qui dentro! C’è da tirarsi scemi!”. Io mi tiroil labbro superiore. “Ma no…” le dico.

*** ripetere battuta ***

00 – 06 Appunto

Dopo aver detto “ma no…”, mi giro verso Zita, che nelfrattempo è scomparsa. Dopo una ricognizione con lo sguardola individuo dall’altra parte del refettorio, accanto al tavolo epronta a far palleggi col suo avversario. Mi viene da chiedermise la voce che ho sentito proprio or ora non provenisseprecisamente da quel punto dove ora Zita si trova. Insomma miviene da chiedermi se Zita non si sia mossa da dove si trova enon abbia detto a me le sue parole (…“c’è da uscire pazzi a starqui dentro! C’è da tirarsi scemi!”…), ma le abbia dette aqualcun altro che si trova nelle sue vicinanze come il suoavversario o come l’arbitro della gara, soltanto che la sua voce– o il riverbero o uno dei micro-riveberi generati dalla suavoce, non sia arrivato fin a me, e precisamente nel mioorecchio destro, e facendomi rispondere tal quale come se leparole fossero a me indirizzate…). Mi chiedo, insomma, se nonabbia appena parlato con il fantasma, lo spiritello o lospiritucolo di Zita, e con quanti altri fantasmi, spiritelli,spiritucoli dovrò parlare nelle prossime ore dentro il refettorio.Tra l’altro: volevo un fantasma? Eccomi accontentato. I rumori

che si producono di continuo come espulsi dalle mura delrefettorio finiscono non soltanto per intersecarsi e sovrapporsi– secondo la sequenza: rumore a rumore, rumore a micro-riverbero d’altro rumore, rumore a micro-riverbero di se stesso,rumore a rumori, rumori a rumori, rumore a micro-riverberi dirumori, rumori a micro-riverberi di rumori, micro-riverberi dirumore a micro-riverbero di rumore, micro-riverbero di rumorea micro-riverberi di rumore, micro-riverberi di rumori a micro-riverberi di rumori, e via così –; ma finiscono anche peraffiancarsi, per farsi da contrappunto e per articolarsi, al puntoche mi è possibile concentrandomi riuscire a isolare riverberi diparole o di frasi che formano un dialogo sensato oppureriverberi di parole che propagandosi una affianco all’altraformano frasi di senso compiuto, tanto che posso pensare chedi molti tra i discorsi che si propagano all’interno delle muradel refettorio si generano discorsi paralleli ma totalmentediversi – cosa che mi suggerisce che dal ribollire di significantie significati si staccano e si combinano riverberi di significantiche hanno diversi significati nel riverbero di discorso dove siinseriscono e riverberi di significati che hanno il medesimosignificante nel riverbero di discorso dove finiscono perinocularsi, e questo genera fraintendimenti. Un esempio micapita proprio adesso sotto agl’occhi. Damaso e Cosimo mipassano davanti. Inaspettatamente Damaso si volta versoCosimo. È rosso in volto, e si mette a dire: “Ma l’hai detto ame?”. Cosimo risponde: “Cosa? Io non ho parlato!”. “Sì, chehai parlato! Mi haaaaaaaiiiiiiiiiiii dato dello scimunito!”.“Io?”. “Sì, tu!”. “No, io no”. “Sì, invece. Ti ho sentito.Creuuuuudeeeeeuuuuiiiiiiiii che non ci sento?”. “Ma no!Cammina, testa di banana! Cosa ti inventi, faccia di budino?”.“Ancora! Tu mi insulti! Tu miiiiaaooooouuuuuooooaaaaainsulti! Tu mi insulti!”. “Io non capisco che cosa vai dicendo,va bene, Damaso?”. “Tu mi hai dato delloscimuoooooooaaaanuuuuuuiiiiiiitaauuuuooooooo”. “Sì, come

no… dello //scimonitau// t’ho dato…”. Damaso molla unschiaffetto a Cosimo. Cosimo afferra Damaso per il bavero,però molla la presa subito. Si guarda la mano destra con labocca aperta. “Ma che roba è?! Salsa rosa! Hai tutto il collettozuppo di salsa rosa!”. Il litigio si ferma qui. Cosimo e Damasovanno a gareggiare.

00 – 07 Ancora palleggi

In questo momento da circa cinque minuti da quandoMaurizio ha terminato il suo discorso, io sto seduto in unaseggiola contro un muro del refettorio da dove riesco a vederetutto quanto lo schieramento dei tavoli da ping pong e tutte lecoppie di sfidanti della prima gara. Sotto il sedere ho laracchetta da ping pong che è messa in un modo chel’impugnatura mi spunti d’in mezzo le gambe, sporgendosi percirca venti centimetri dal piano orizzontale. Il mio avversariodella prima gara è Benigno. Gli ho chiesto di darmi qualcheminuto ancora per finire di incollare la gomma alla racchetta elui è detto d’accordo. Si è messo contro il muro opposto aquello dove sto seduto io e ha cominciato a far palleggi controil muro. Le coppie di sfidanti all’interno dei quattro gironi sisono formate spontaneamente. Sono bastati qualche cenno equalche sguardo, anche se non sono mancati malintesi. Giannidel primo girone si è trovato davanti Ottavio del terzo gironecosa che ha provocato che Cosma del terzo girone si sia trovatadavanti Desideria del primo girone. Sul piano del tavolino dadove Maurizio – di lui so soltanto che è allenatore di ping pongall’istituto San Giuseppe da vent’anni circa; e quando hoprovato a informarmi un po’ (…per nessun’altra ragione cheuna certa intervista che avevo a mente per la mia rivista Il clubdei Mestieri Stravaganti…) nessuno ha saputo dirmi di più di

quel che già non sapevo: che Maurizio è allenatore di pingpong all’istituto San Giuseppe da vent’anni circa… - ha tenutoil suo discorso, c’è una lavagna d’ardesia di dimensionicontenute dove sono stati scritti con un gesso bianco iraggruppamenti dei quattro gironi e per rimettersi in ordineGianni, Ottavio, Cosma e Desideria vanno a guardare lalavagnetta. Questa:

1°GIRONE

MarinaMirinelli; CaioRaschini;Gianni Vivalda;Babila Arrivino

2° GIRONE DesideriaManiscalchi;Ottavio Todini;GiannaMolletti;EvaristoMolleone

3° GIRONE CosimoErrichetti;

DamasoSbricioloni;Zita Collotta;CosmaRepersperini

4° GIRONE Rosa Rose;BenignoBolloni; SebastianoOrnella; StellaRottini

Intanto dai primi due tavoli proprio avanti a me succedequesto: che il giocatore del secondo tavolo si mette nell’angolodalla sua metà del campo in modo che quando batte la pallinarimpalli sulla metà opposta del primo tavolo dove il giocatoredel primo tavolo è pronto a riceverla. I due giocatori – che sonoCaio e Evaristo – giocano diagonalmente per qualche manciatadi secondi (…la cosa è resa possibile anche dalla distanzaridotta tra un tavolo e l’altro – due metri, due metri e mezzomassimo…) fin quando Babila e Desideria non si mettono aprotestare. Allora Caio e Evaristo smettono di palleggiare con iloro avversari diagonali e tornano a palleggiare con le loroavversarie dirette. Sennonché quando la pallina che Babilaporge a Caio si impenna in un pallonetto, con una torsione del

busto Caio schiaccia la pallina nel campo di Evaristo che ha iltempo di accorgersi della pallina di Caio e di bloccarla – anchese la pallina svirgola altrove – e subito dopo di colpire con lafronte la pallina di Desideria, facendo uscir fuori unaschiacciata che va a segno. E tuttavia noto che quelli del quintoe sesto tavolo sono andati anche oltre Caio e Evaristo e hannoavuto l’idea di unire i tavoli da ping pong. Hanno spostato laseggiola dell’arbitro assieme con il segnapunti, esuccessivamente hanno unito i tavoli e hanno cominciato agiocare una specie di doppio su un doppio tavolo da ping pongdove la pallina rimbalza diritta e in diagonale su tutti e due itavoli colpita indistintamente dai due giocatori affiancati – lecoppie sono formate da Cosimo, Damaso, Rosa, Stella. Ottavioe Zita, invece, nel tavolo dall’altra parte dove mi trovo io, sisono messi a palleggiare con due palline – è un metodod’allenamento che qualche volta anch’io sperimento con iragazzi all’oratorio o con Don Fabrizio. Zita deve essersiallenata parecchio per conto suo nelle settimane prima deltorneo – o nei mesi?; mi viene il sospetto che Zita si siaallenata soltanto per qualche settimana e che riesca a giocarecome riesce grazie a un’attitudine tutta sua dovuta soprattutto aun impasto di doti del suo carattere come la concentrazione e ladeterminazione – e riflessi ottimi. Sollevo il sopracciglio destroquando mi accorgo che adesso Zita e Ottavio stannopalleggiando con tre palline contemporaneamente. Zita dà didritto, di rovescio, spizzica la pallina, e Ottavio la ribatte colposu colpo, e i due non si fermano: è un continuo colpir palline eusar di riflessi. Fin quando vedo fare a Zita questo: per unqualche incrocio delle probabilità le tre palline rimbalzanocontemporaneamente sulla metà del suo tavolo una moltovicina all’altra, Zita si protende in avanti, e gridando: “Ah!”Schiaccia tutte e tre le palline nella metà del campo di Ottavio,e il colpo va a segno.

00 – 08 Versi

Ogni giocatore del torneo fa il suo verso personalissimoquando colpisce la pallina: alcuni versi sono orgasmici, altrisembrano grida di furore, altri sono parole che non mi pareabbiano un senso (…ma che mi pare abbiano senso per chi lelascia uscire di bocca…). Quando gioco, io non faccio versi.Non mi piace. Mi imbarazza. Però mi mordo più o meno pertutta la durata di una gara l’interno della guancia destra. Unanno – il 2002 – sono arrivato a procurarmi una ferita e a farsgorgare il sangue dalla bocca tanto ho morso. Morsicarmi laguancia è tra altri anche un modo per tenere la bocca chiusa, enon soltanto per non far uscire grida, urla, strilli, ululi equant’altro; serve anche per non spalancare la bocca quando siporta un colpo o a stringere i denti sollevando le labbra – tral’altro l’avorio dei miei denti tende a ingiallire, anche se nonfumo e ci passo lo spazzolino ogni mattino e ogni sera – oppurea fare in modo che la lingua non esca da un lato di boccamentre si cerca di imprimere un certo effetto alla pallina. Lofaccio anche per evitare di finire immortalato con una di questefacce (…e purtroppo molte altre…) in una delle fotografiescattate da Suor Ughetta che poi terminano nel sito dell’istituto.Comunque, per tornare ai versi che fanno i giocatori mentreportano il colpo, bloccano, contro-scambiano, toppano,choppano, e via così, posso dire che Babila quando gioca, fa lostesso verso di quando stiamo a letto: per ogni colpo si lasciasfuggire un “oh” rauco, basso e costante. Non so se Desideriacome Babila faccia lo stesso verso anche quando sta a letto conqualcuno, comunque il suo verso è: “Iahtah!”. Una volta le hochiesto perché proprio //iahtah!// e lei mi ha risposto nel modoche avrei dovuto subito attendermi: è il verso dell’eroeprotagonista del suo cartone animato preferito. Ogni volta che

schiaccia, Gianni dice: “Oh”, e ogni volta che blocca Ottaviousa la parola: //figa!//. Marina fa: “Unnnnn! Unnnnn!”, Caio:“De-ah! De-ah!”, Cosimo: “Ugh! Ugh!”, Gianna dice:“Mortadella!”, Evaristo dice: “Cusì!” Mentre manda il colpo,Damaso fa: “Abudinàh abudinàh” (…forse invoca qualchespirito maja o azteco; oppure è il nome di qualche panino chevende nel carrello…), Cosma fa: “Ih ih ih ih ih!” E Rosa:“Uhoh! Uhoh!” (…a volte lo varia in: “Uhah! Uhah!”…),Benigno trova il tempo di dire: “Funghi porcini!” E ogni voltaStella esclama: “Attack!”. Oh, iahtah!, figa!, unnnn! Unnnnn!,de-ah! De-ah!, ugh! Ugh!, mortadella!, cusì!, abudinàhabudinàh!, ih ih ih ih ih!, uhoh! Uhoh!, uhah! Uhah!, funghiporcini!, attack!

00 – 09 Traiettorie

Dopo aver concluso la mia prima gara con Benigno (…ho vinto in due set: 21- 03; 21 - 02…) mi sono messo aosservare la gara tra Cosimo e Damaso. Non posso perderla lagara tra quei due, e non sono il solo con questa idea. Attorno altavolo si sono radunati tutti tra quelli che hanno terminato leloro gare (…non appena la gara tra Rosa e Stella sarà terminataincontrerò una tra le due; adesso stanno facendo il terzo set esono 11 a 9 per Rosa…), ci sono le suore che hanno smesso diarbitrare, e c’è qualche bambino capitato giù nel refettorio perqualche caso. Damaso sta avendo la meglio su Cosimo perpochi punti. È il terzo set: Damaso sta a 16 punti e Cosimo staa 14. Quando arrivo Cosimo è appena andato a segno eDamaso lancia la sua racchetta per l’aria. La racchetta rotea persei o sette metri verso l’alto, poi ricade compiendo unaparabola di almeno due metri. Damaso col naso verso laracchetta e tutt’e due le braccia protese in avanti si getta per

ricuperarla al volo, perché se tocca terra l’intelaiatura finisce inpezzi, allunga la destra, la chiude a pugno, ma non riesce adafferrarla, la racchetta colpisce la mano di Damaso (…checaccia lo strillo “uh!”…) e rimbalza su un tavolo da ping pong– l’ottavo tavolo; Damaso e Cosimo stanno al sesto – e lìrimane. In quel momento una pallina ci rimbalza sopra e Zitaschiaccia e fa il punto – che Suor Mariangela fa ripetere. “Tusei quello che m’ha schiumata d’aranciata! Forse ce l’hai conme?!” Lo accusa Zita. Damaso si scusa, dice di non avercelacon lei, e lo fa prima che il suo tic gli costringa la lingua inqualche contorsione per battere sul palato in modo intelligibileuna parola. Zita scuote la testa e bisbiglia: “Che gente…”, eriprende a giocare. Damaso controlla che la racchetta sia intera,torna al tavolo e la gara riprende. Suor Ramona aggiorna ilsegnapunti che tiene appoggiato sulle gambe. Il segnapunti hal’aspetto di un calendario da scrivania, di forma piramidale,soltanto che nelle spirali di metallo in punta stanno infilatifoglietti che non portano la scritta dei mesi, dei numeri e deigiorni, ma foglietti bianchi con un numero, che occupa moltospazio ed è leggibilissimo, di colore arancione. Adesso suifoglietti si possono leggere i numeri 16 e 15. Per ildiciassettesimo punto in favore di Damaso nel terzo set,Damaso si produce in una schiacciata corta, e la pallina ripallasul tavolo impennandosi altissima fino ad arrivare a uno, due,cinque, sei, dieci, e forse undici e dodici metri d’altezza etocca un neon agganciato al soffitto ad arco scemo e scende inpicchiata sulla testa di uno tra noi che stiamo radunati attorno lì– Benigno. La pallina che picchia sulla testa di Benigno siammacca, ma di una ammaccatura che fa sì che la celluloide siripeghi e accartocci all’indetro, e che da sfera la pallina diventiun poligono pieno di punte e indefinbile. Raccolgo il poligonodal pavimento e lo mostro agl’altri. “Tu guarda come riduce latesta di Benigno…” dico. Il punto successivo sembra nonterminare mai. La pallina schizza e rimbalza tra Damaso e

Cosimo per almeno una decina di minuti. I due choppano,liftano, schiacciano, controbalzano, ma nessuno tra i due riescea trovare il colpo decisivo, fin quando Cosimo per cercare difar rimbalzare la pallina su un angolo esterno del tavolo, lamanda fuori, e il punto viene assegnato a Damaso. 18-15.Nemmeno per un calcolo, il colpo successivo dura un secondo,al punto che un po’ tutti quanti ci domandiamo per qualchemomento se effettivamente il colpo ci sia stato davanti ai nostriocchi. Con una battuta Cosimo accorcia: 18-16. Ildiciannovesimo colpo di Damaso è una piccola – ma abile –carognata. Damaso batte la pallina diritta contro la racchetta diCosimo, che si è appostato a mezzo metro dal tavolo perricevere la battuta lunga di Damaso. La pallina battuta daDamaso colpisce la racchetta di Cosimo e finisce tra le gambedel tavolo rimbalzando a zigzag contro il retro del tavolo daping pong e il pavimento di linoleum, e Suor Ramona non puòfar altro che assegnare il punto a Damaso. “eh no, porcacciavaccaccia! Testa di banana, sei un porco di diavolo! È laseconda volta che mi fai scemo in questo modo!” Si lamentaCosimo – nel gergo che usa soltanto con Damaso. Il ventesimopunto messo a segno da Damaso è qualcosa che nemmenovorrei descrivere, perché può mettere il dubbio in tutto quel chesi trova in questo resoconto; ma lo farò lo stesso, senzacommentarlo più che tanto (…tra l’altro: queste righe sono giàun commento…), perché non posso proprio non farlo, e adessosi potrà capire il perché. Damaso batte: battuta corta. Cosimo sibutta e lifta a rete. Damaso con la paletta a cucchiaio alza lapallina. Cosimo esegue un chop con un taglio sotto nell’angolosinistro del tavolo. Damaso divarica le gambe, si lasciasfuggire un verso dalla bocca – si tratta di una specie dimugghio che non si può trascrivere –, e un po’ alla disperata siallunga e colpisce la pallina in modo potentissimo. La palla sitrasforma in una pallottola e viene sparata dall’altra parte deltavolo ed entra nella bocca di Cosimo. Cosimo, che è tra quelli

che giocano colla bocca aperta, è rimasto in attesa che il colpoandasse a segno con la bocca che si apriva via via, e senzarendersi conto, si è ritrovato la pallina in celluloide biancaincapsulata tra lingua e palato. Lo abbiamo visto tutti con lapallina sporgergli dalle labbra confondendosi con i denti.Cosimo ha cacciato un urlo. L’urlo è rimasto soffocato dallapallina. “Ufuufuuf! Ufuufuuf!”. Poi, spalancando ancora di piùla bocca e spingendola dall’interno con la lingua, piegando ilvolto in avanti, con due dita si è cavato di bocca la pallina,tossendo e diventando viola ai lati dei collo. Suor Ughetta eSuor Ramona gli si avvicinano. Gli chiedono se tutto va bene.Cosimo, piegato in avanti e tossendo, alza una mano verso lesuore. Poi tutto torna a posto. Suor Ughetta gli dice: “Sorridi!Sorridi! Sorridi! Che ti faccio una fotografia!”, e Cosimo sicostringe a sorridere. Nel punto successivo, ancora tra le risateche ha provocato a spese di Cosimo, da parte di tutte le personeche lo stanno guardando, Damaso chiude la gara.

00 – 10

Ufficio Scrittori – intervista per Il Club dei MestieriStravaganti

Le due interviste che seguono sono l’una l’elaborazionedi una chiacchierata che ho avuto con Caio nei bagni delrefettorio durante la pausa tra il secondo incontro e il terzo – hobattuto Stella in due set: 21 - 10; 21 - 14 – e l’altra l’ispirazioneche mi è venuta durante l’incontro con Rosa – che ho battuto intre set: 21 - 06; 14 - 21; 25 - 24 –. Ecco la prima intervista.

Ufficio Scrittori

Il sospetto se uno scrittore lavori oppure no, che cosafaccia uno scrittore tutto il giorno, che cosa combini, comeviva, che cosa significhi l’affermazione: “Ho scritto questoromanzo in due anni” (…e quanto è lungo questo romanzo chehai scritto in due anni? Due anni fanno settecentotrenta giorni,se uno scrittore, che fa soltanto lo scrittore, ha lavorato persettecentotrenta giorni per otto ore al giorno allora ha lavoratoper cinquemilaottocentoquaranta ore: in tutto questo tempoquante pagine ha prodotto? Più di duecento? Più diquattrocento? Oppure meno di duecento? Ma otto ore al giornodi scrittura non possono portare almeno a una paginetta algiorno? Oppure: il romanzo consegnato presenta una scritturacesellatissima; ma allora: quanto tempo richiede questo lavorodi cesellatura…), che cosa significhi l’affermazione: “Io nonsforno un romanzo all’anno” (e allora: che cosa fai?Non //come campi?//, non //come la sfanghi?//, maproprio: //che cosa fai tutto il giorno?//), ho pensato cheavrebbe potuto venir meno se si fosse deciso di istituire unUfficio Scrittori.

Mariano, trentacinque anni, esordisce così, parlando arotta di collo, senza che lo si possa controllare. Ci troviamo aAscoli Piceno, all’interno della casa editrice Dalla parte diSwann fondata da Mariano Fiscella nell’autunno del 2003, eche ha questa peculiarità: una struttura d’uffici che sorgeall’interno di un casamento d’un zona periferica color verdonedove non soltanto si trovano gli uffici della redazione, l’ufficiostampa, l’ufficio marketing, e via così, ma anche una serie diuffici – sei per la precisione – che appartengono agli autoridella casa editrice.

Non a tutti quanti gli autori, anche se l’obiettivo era esarà quello di fornire d’ufficio tutti quanti i nostri autori; etuttavia per adesso ci sono soltanto gli autori che in termini divendite si sono affermati meglio.

Com’è nata questa idea?

Tra le tante cose che avrei fatto se avessi aperto una casaeditrice c’è sempre stata anche questa: riservare una parte dellasede della casa editrice a disposizione di tutti gli autori sottocontratto, ed è un’idea che sono riuscito a realizzare, sonoanche andato oltre, anzi.

In che senso?

Agl’inizi pensavo di affittare un appartamento etrasformalo in un open-space o in un loft, poi sono riuscito adottenere il direzionale dove stiamo adesso, e ho fatto uffici perautori che sono in tutto e per tutto uffici. In ogni ufficio si trovaun computer con schermo a cristalli liquidi, l’allacciamento aInternet, il programma di posta elettronica, una stampante – laricerca su Internet, è inutile negarlo, è uno strumentoindispensabile per lo scrittore d’oggi. Nell’ufficio ci sonomoltissimi scaffali dove stanno un dizionario della linguaitaliana, un dizionario dei sinonimi e dei contrari, un dizionarioitaliano-inglese, italiano-francese, italiano-tedesco, italiano-latino, greco-italiano (…voglio essere preciso per la ragioneche in ogni ufficio si trovano gli stessi volumi…), e un rimario.Prossimamente conto di far installare un televisore con canalisatellitari da tutto il mondo. Non c’è il telefono, e una delleregole aziendali è: depositare i cellulari negli armadiettiappositi in entrata – per le comunicazioni può bastare la postaelettronica, i blog, le liste di discussione, le pagine wiki. Per ilmomento fanno sei uffici, che sono occupati dai nostri sei

autori di punta, come le dicevo, in termini di vendita – e anchesotto il profilo della qualità dei contenuti, sempre che questaespressione abbia un qualche senso.

Ci racconti come funzionano gli uffici… ci sono orari darispettare? Ci sono mansioni, scadenze?

L’orario di lavoro comincia alle 8.00 e finisce alle 18.00,ma sono previsti gli straordinari nel caso qualche scrittore siapreso da qualche diavolo proprio nell’orario di chiusura –senza parlare che molti tra i nostri autori si portano il lavoro acasa. Ci sono poi la pausa del caffè alle macchinette, la pausadel pranzo – la mensa è nei sotterranei, tra i plinti difondazione del direzionale, dove al posto dell’area dellemacchine, ci abbiamo progettata la mensa; avremmo potutodistribuire buoni pasto, ma abbiamo preferito creare una mensaperché convinti che questo avrebbe portato a riunirsi più strettole menti dell’azienda, mettere a confronto creatività, idee,poetiche… –, e abbiamo anche un cucino con un frigo pienosempre. Per tornare all’orario, siamo molto flessibili su questopunto, perché abbiamo pensato che trattandosi di un UfficioScrittori la flessibilità è il primo comandamento.

Pagate?

Il 9% sul venduto e un anticipo attorno ai duemila europer ogni libro che si decide mandare alle stampe.

Non pagate il lavoro negli uffici, allora…

Diamo il vitto e un alloggio – anche se non spesato deltutto.

Ci sono scadenze?

Sì, ci sono. Chiediamo di agli scrittori di produrre almenodieci paginette alla settimana. Dico: almeno. E: non paginette acaso; ma: paginette dei loro romanzi. Chi viene colto sul fattomentre fa altro (…scrivere una recensione, un sonetto, unarticolo per qualche altro giornale, un post per qualche blog –sono ammessi soltanto due post alla settimana e una decina dicommenti, nel caso degli autori che hanno una propriapubblicazione nell’internet –, e via così….), viene sottoposto auna strigliata, oppure a sanzioni, oppure al licenziamento intronco – come succede nelle aziende. Questa misura è il fruttodi questa considerazione: molte volte gli scrittori si perdono neltenere corsi di scrittura, fare presentazioni dei libri degl’altri, esi finisce per non fare il proprio mestiere, che non èl’imsegnante, che non è il presentatore, che non è nemmeno ilgiornalista, ma che è lo scrittore.

Ci sono dei sistemi di controllo?

Sì, ci sono. Ogni settimana l’ufficio della redazione fa ilcosiddetto lavoro di editing sulle pagine scritte dagli autorinella settimana precendente. In questo modo si possonoeliminare incongruenze strutturali, incoerenze temporali,incompletezze spaziali, spettinature sintattiche, e via così, oltreche controllare che gli scrittori producano il numero di paginerichieste.

Ma gli scrittori non si lamentano? Non si sentono trattaticome polli in batteria?

Direi di no. Non abbiamo avuto di questi casi. Non finoad oggi, almeno. Quello che noi di Dalla parte di Swannfacciamo è: dare agli scrittori il ruolo che hanno cercato

sempre, così come lo hanno gli impiegati alle poste, allebanche, alla sanità, alle scuole, i negozianti, gli avvocati, imedici. Che cosa fa di queste persone dei lavoratori? Lalaurea? Il titolo? Il posto? Nossignori. La fa un luogo. Li fa unascrivania. Un computer. Una targhetta fuori dalla porta.

Mah… siamo proprio sicuri…?

Dice di no? Molto bene: che cosa direbbe allora di unprincipe del foro che vende ortaggi otto ore al giorno a unmercato ortofrutticolo oppure un barone della medicina che fa icaffè e i cappuccini in una latteria? Che cosa direbbe? Chesono avvocati? Che sono medici? Non credo lo direbbe. Gliscrittori non hanno un luogo. Non lo hanno avuto mai. Non unluogo istituzionalmente simile a quello delle persone chechiamiamo //lavoratori//. E tuttavia: che cosa succede se unoscrittore dice: “Ciao, cara, vado in ditta a scrivere” più omenocome un ragioniere dice: “Ciao, cara, vado in ditta a far diconto”? Il ruolo sociale per gli scrittori non è trovato…?

Crede che questa idea sia completamente originale?

Ah! No, sul serio: no. Non del tutto, almeno. Qualcunoha avuto un'idea analoga, a New York. 130 $ al mese per unascrivania minuscola, una presa di corrente e una lineatelefonica. Il computer ce lo mette lo scrittore (o aspirante tale).I 130 $ li paga lo scrittore (o aspirante tale) al proprietario delloft dov'è ospitata questo, diciamo così, centro di scrittura, perscrivere in un posto privo di distrazioni, fianco a fianco conaltri scrittori (o aspiranti tali). La piccola scrivania è frontemuro. Due piccoli pannelli di legno (mi pare fosse legno) gliimpediscono di sbirciare nelle postazioni accanto. E poiun’altra iniziativa si può trovare visitando questo indirizzonell’internet:

http://www.sfgrotto.org/.

Si è parlato anche di costruire una città della scritturache al suo interno ospiti soltanto scrittori? E lei è statoaccusato di volerli ghettizzare…

Non ghettizzare: dar loro uno spazio dove potersieprimere senza doversi scontrare con le convenzioni socialisclerotizzate. E poi questo progetto – che più che ogni altracosa assomiglia a un’invenzione degna delle Città invisibili diItalo Calvino – si inquadra in un progettazione urbanisticamonumentale non proposta da me, ma proposta da un architettogenovese di nome Arturo De Marchis. Il De Marchis haprogettato uno spazio urbano dove i quartieri vengono pensatiin relazione alla categoria lavorativa appartenenente: QuartiereIngegneri, Quartiere Medici, Quartiere Meccanici, QuartiereMuratori, e tra questi si pensava di inserire anche un QuartiereScrittori. È un progetto più immaginario che concreto che sifonda sull’idea che mettendo assieme le categorie professionalila qualità della vita migliori, ci sia più accordo e meno scontri,il che gioverebbe anche alle condizioni di sicurezza, allo stess,e via così. Inoltre in ogni quartire sorgerebbero quei negozi equei servizi i più adatti alle esigenze di ciascuna categoriaprofessionale.

Parliamo di bilanci… come sono andate le vendite deivostri libri….?

Io non ho accettato questa intervista per parlare di comemando avanti la mia casa editrice; voglio parlare di unchiarimento – non parlerei che di questo – di un ruolo che non

m è parso mai definito bene, perché non si è voluto mai farenulla per definirlo bene.

Lei vuole mettere in regola gli scrittori…

Credo sia venuto il momento. L’invenzione dellacategoria //scrittore// è relativamente giovane – nel Medio Evolo scrittore non esisteva, almeno non come noi oggi laconsideriamo, e i poeti come il Boiardo, il Tasso o l’Ariostosono delle sorti di impiegati presso la dinastia degli Estensi aFerrara, e avevano un ruolo sociale preciso e riconosciuto.Successivamente le cose sono cambiate con i Verlaine, iRimbaud, i Lafourge… è un discorso abbastanza noto, almenotra chi si occupa un po’ di queste faccende, e non voglio tenerelezioni. Posso dire, però, che quel che noi di Dalla parte diSwann è rendere la categoria degli //scrittori// non unacategoria di fatto, ma una categoria di diritto – che ha il dirittoa una retribuzione che segue criteri diversi da quelli attuali –col tempo noi di Dalla parte di Swann arriveremo a stabilireanche questo; ma ci vogliono leggi –, ma ha anche dei doveriprecisi. Sembra curioso che molti tra gli scrittori non riescono afare della loro attività di scrittura un’attività indipendente eautonoma – almeno non completamente. L’attività di unoscrittore dipende da moltissimi fattori, e questo lo rendetutt’altro che //libero//, //autonomo//. Ad esempio l’attività discrittura di uno scrittore dipende da un altro lavoro, che glisottrae tempo per dedicarsi alla sua attività stessa di scrittura;oppure dipende da rendite non sue, cosa che lo costringe apensarsi come un //miserabile//, un //poco di buono//,un //fannullone//; e via così. Poi la decisione di aprire una casaeditrice strutturata come la Dalla parte di Swann si fondaanche su una considerazione più cattivella: la guerra aigiornalisti.

La guerra ai giornalisti? Di che parla?

Parlo di quel che è evidente; non mi pare ci sia troppo dachiarire.

Non sia reticente… Perché una guerra ai giornalisti?

Perché sono i giornalisti i facitori di opinioni, ipropagatori d’ideologie, i divulgatori di cultura, i traduttorid’ogni linguaggio, d’ogni pensiero presso il pubblico. Pare chesenza un giornalista in mezzo, non dico che il pubblico –questo fantasma che proietta miriadi di ombre dalle dimensionidi segmenti – non sia in grado di capire, ma che un esperto diuna materia non sia in grado di farsi comprendere. Come seesistesse un linguaggio solo per comunicare: quello delgiornalismo televisivo – perché anche quello delle cartestampate sembra ormai inadatto. Il potere e la responsabilitàche si concentra tra le mani dei giornalisti – e della loropossibilità di tradurre a beneficio del fantasma pluri-segmentato di là dagli schermi – spaventa. Sembra poi che ilfatto di appartenere alla categoria dei giornalisti – e deigiornalisti televisivi in modo particolare – spalanchi lapossibilità di poter parlare un poco tutti i linguaggi, e di poterquindi – un //quindi// sciaguratissimo e insensatissimo –ricoprire un poco tutti gli ruoli. In questo c’è qualcosa che nonva: l’attività giornalistica va ridimensionata. Abbiamogiornalisti al parlamento, abbiamo giornalisti presentatoritelevisivi, abbiamo soprattutto giornalisti-scrittori. Senza farenomi, gli scrittori del novecento che vengono considerati i piùgrandi vengono dal giornalismo: c’è da chiedersi quantainfiltrazione del linguaggio giornalistico sia penetrata nellinguaggio letterario – che non esiste, ma che esiste, potremmodire, in quanto fenomeno di crititica serratissima, ferocissima aogni forma di linguaggio e di rappresentazione del reale –,

impoverendolo e non arricchendolo. E ancora: affidarsi aigiornalisti per fare opinioni ossia per riflettere sui fatti checadono nel mondo mi pare oggi troppo rischioso. Bastaguardare un programma di approfondimento giornalistico. Itoni si alterano, le persone si mettono a starnazzare. Non credoche questo sia dovuto soltanto a una strategia pre-ordinata perspettacolarizzare le trasmissioni. Io credo che i giornalisti sianosottoposti a stress e nervosismi come tutti i lavoratori e chequesti stress e nervosismi saltino fuori al primo scontro – unpoco come succede a tutti, insomma, soltanto che la cosadiventa deleteria quando si devono offrire delle meditazioni.Diverso è, invece, la meditazione che può offrire uno scrittore.Voglio qui ricordare le parole di un teologo cattolico tedesco dinome Romano Guardini: “Il meditante deve disporsi in pace.Se noi vogliamo meditare in modo giusto dobbiamo anzituttosottrarci all’irrequietezza. Ma questo non avvienemiracolisticamente, perché quanto abbiamo fatto per mesi eanni, giorno per giorno, ciò che tutti attorno a noi fanno, che ilnostro tempo stesso fa, s’insedia nei muscoli, che non sirilassano mai; nel rappresentare e desiderare e preoccuparsi.Noi siamo completamente invasi e attraversati da potenzescatenate; quindi deve costarci qualcosa liberarci da questacoazione. La prima cosa nella preparazione alla meditazione èdunque questa: diventare tranquilli nel corpo e nell’anima.Anzitutto nelle membra e nei muscoli – [ed anche per questonoi di Dalla parte di Swann paghiamo ai nostri autori un annodi palestra] –; poi, sempre più profondamente, nel pensiero,nella volontà e nel sentimento: “Io adesso non ho altro da fareche starmene qui tranquillo… lo so, ecco le preoccupazioni.Ma sono per dopo… e mi attendono i doveri, i fastidi, questa equella cosa. Ma anche per essi verrà bene il tempo… adessotutto è nelle mani di Dio. Adesso sono in riposo. Dio ha curapersonalmente di tutto in vece mia. Io voglio starmene qui inpace, liberamente presente”. Ma osserviamo bene: non si deve

dire: io //voglio// prendermi cura di ciascuna preoccupazione…questo sarebbe di nuovo tensione… la tensione si rivolge alloscopo, si protende, lotta, corre. Noi invece vogliamo farciliberi, staccarci dalle cose, vogliamo diventare liberi, calmi”.Gli scrittori posso offrire questo sguardo quieto; i giornalisti,quasi sempre no. In ogni caso, la domanda che chiede unchiarimento è: perché c’è bisogno dei giornalisti per spiegare ecommentare tutto? Chi sente questo bisogno dei giornalisti senon i giornalisti stessi – questi grandi narratori con i piedi alcaldo che sono ormai diventati? Perché non si affidano puntatedi trasmissioni di medicina a medici? Perché non si affidanopuntate di trasmissioni di diritto ad avvocati? Perché ci si affidaa giornalisti esperti di medicina e non ha esperti di medicina?Perché ci si affida a giornalistici esperti di diritto e non agliesperti di diritto? Perché ci si affida a giornalisti esperti dicultura e non a esperti di cultura? Per rimanere nel mio campo,perché ci deve essere un giornalista che recensisce un libro, enon uno scrittore? Possibile che il pubblico – il fantasma –delle pagine della cultura – che suppongo, e non posso chesupporlo perché stiamo parlando di un fantasma, non disdegnale sofisticherie linguistiche, e i colpi d’ingegno – preferisca lerecensioni ultrasemplificate di un giornalista piuttosto che diuno scrittore o di un esperto della materia? E ancora: perchénon possono esserci avvocati esperti di medicina, mediciesperti di diritto, scrittori esperti di sport esattamente comeesistono, come abbozzavo sopra, giornalisti esperti di sport,giornalisti esperti di diritto, giornalisti esperti di medicina?Perché si suppone, secondo me erroneamente, che i giornalistisiano i depositari soli della capacità di divulgare, di informare,di comunicare: troppo spesso, invece, nelle analisi menodistratte si sono evidenziati i limiti del linguaggio giornalistico.

Non riesce troppo convincente, però… Non ha appenadetto che i vostri autori non possono scrivere recensioni, e viacosì?

Non nelle ore di lavoro; ma possono farlo come secondaattività. È proprio dalla prima attività della scrittura che gliscrittori ricavano la loro competenza nello discettare diargomenti connessi alla scrittura. Se uno scrittore decidesse dinon scrivere più e di scrivere solo di libri degl’altri in virtùdell’autorevolezza che gli deriverebbe dall’aver scritto un solobuon libro o qualche buon libro, questa autorevolezza noncrede che andrebbe via via, e in ogni caso, indebolendosi?Scrivere è quel che fa uno scrittore: organizzare unimmaginario, offrire nuove rappresentazioni del reale, porgerele parole le più adatte per definire e descrivere, inventarsiparole nuove; e questo lo deve fare con una certa continuità perpoter continuare ad avere autorevolezza su una materia – quellaletteraria – che è muta al mutare di numerosissime variabili (…non soltanto al mutare generico della società, ma anche di unamoda, anche di una consuetudine, e via così…).

C’è solo questa guerra ai giornalisti, come lei la chiama,che vi ha spinto ad aprire un Ufficio Scrittori?

No, non c’è solo questo. Specie agl’inizi c’era il piccolosogno di vedere un giorno lavorar gomito gomito un novelloCalvino con un novello Pasolini, un novello Soldati con unnovello Piovene, un novello Testori con un novello Tondelli,un novello Coccioli con un novello D’Arrigo…

E’ andata così?

Non lo sappiamo ancora; ma posso dire che non sonomancati episodi dove i nostri autori si sono contaminati a

vicenda. Posso raccontare qualche aneddoto, se abbiamo iltempo.

Prego.

Faccio i nomi dei nostri sei autori: Fumato (…l’autore di16 Sigarette, disponibile oggi nella tiratura più ampia per i tipidi Stile Libero Einuadi…), Giancicetti (…l’autore di La calottachilometrica dell’automa, che ha ricevuto recensioni ottime suPulp, Nuovi Argomenti, Vanity Fair, Playboy…), Ovamalli (…l’autore di Football e bucato, che è in uscita per il 2006, e cheè la nostra scommessa grande…), Lomanati (…l’autore diQuella volta che Qfwfq ha fatto il palo al mare, un saggio suCalvino, che è diventato oggetto di studi specifici nelleUniversità migliori; e che ha fatto guadagnare a Lomanati lafama di se non di //scrittore di successo// di //scrittored’accesso//, nel senso che Lomanti grazie al suo saggio scriveovunque…), Destefalli (…l’autore di Il tema di Luisa –spassosissimo; e glielo consiglio…), Mortìcasa (…l’autore dellibro con il titolo più lungo nella storia di ogni letteratura:fanno tre pagine soltanto il titolo…).

Ma, e gli aneddoti?

Nel 2003 Giancicetti e Fumato stavano in bagno, e dopouna chiacchierata di qualche ora, venne che Giacincettiscambiò il quarto capitolo del suo La calotta chilometricadell’automa con il settimo capitolo di 16 Sigarette; nel 2004Mortìcasa fece scrivere quaranta righe a tutti i suoi colleghi, liriorganizzò appena in una qualche sintassi, e fece diventarequelle duecento quaranta righe le tre pagine del titolo del suoromanzo; Ovamalli scrisse il prologo di Il tema di Luisa diDestefalli; e Destefalli si occupò di tutte le ricerche sullatossicodipendenza per Football e bucato di Ovamalli. Occorre

aggiungere che come casa editrice scoraggiamo qualunquetentativo di redazione di opere collettive, e cerchiamo anche discoraggiare la sottoscrizioni manifesti di poetica. Gli scrittorihanno un luogo, hanno un riconoscimento sociale preciso: nonc’è più bisogno di coagularsi in gruppi (…gli esempi sono i piùsvariati: dai pitagorici ed epicurei al gruppo ’63, al gruppo ’93;in America c’è anche un gruppo rock con Stephen King allachitarra, Ken Follet alle tastiere e Brian Lumley allabatteria…).

Che cosa risponde a chi l’ha definita //edittatore//?

Che ho quattro bambine.

L’intervista di questa settimana termina qui. Abbiamoannesso tra i mestieranti stravaganti del nostro club ancheMariano Fiscella, editore. A pieno titolo.

*** cambio battuta ***

00 – 11 Il venditore di cacca – intervista per Il Club dei Mestieri

Stravaganti

Ecco la seconda intervista:

Il venditore di cacca

…succede che un giorno mi accorgo di un fatto che mi èsempre stato sotto il naso e che pure non avevo ancoraconsiderato: che produciamo cacca e piscio in moltissimaquantità, e tutta questa cacca e questo piscio la lasciamo defluire

negli scarichi delle fognature senza che ci passi per la testa(...almeno che si abbia una qualche forma di perversione...) ditesaurizzarlo…

Comincia così l’intervista con Simone, bresciano,diplomato in Scienza dell’educazione, classe 1965, da cinqueanni, dopo anni di sottooccupazione, imprenditore eproprietario di due aziende a conduzione familiare, cheproducono merci tutte fabbricate con il medesimo materiale: lacacca. Simone, quando ti è venuta questa idea?

Stavo messo sbronzo davanti alla televisione di casa mia estavo guardando per la prima volta il film Salò o Le 120giornate di Sodoma di Pierpaolo Pasolini – Pasolini, Soldati,Zavattini sono i miei tre autori. Lì mi è venuta l’idea. Era il 17Luglio 2003 e avevo trentotto anni.

E come hai trovato il coraggio di realizzarla?

Prima di cominciare di pensare a realizzarla e come, misono letto anche qualche saggio filosofico sulla merda (...ce nesono a bizzeffe…), mi sono documentato su tutte le proprietàdella cacca e del piscio, e non ci ho messo troppo a convincermiche la cacca è una risorsa inesauribile che potevo produrre senzanessuno sforzo e nessun costo e senza il bisogno di particolarilicenze o autorizzazioni. Quando mi sono reso conto che lacacca e il piscio potevano farmi guadagnare una montagna disoldi guardavo con occhi nuovi il mio gabinetto e qualsiasi altrogabinetto mi capitasse sotto gl’occhi: li guardavo come si puòguardare una miniera d’oro. Oggi come oggi che conto cinquenegozi che vendono concime per i campi e legante per ilcalcestruzzo, che ho prodotto due artisti che espongono nellegallerie d’arte migliori, e che ho in cantiere numerosi altriprogetti che utilizzano come materiale primario la cacca, il

piscio (...e un paio d’altri che utilizzano il vomito, il sudore e lecaccole del naso...), sostengo che la cacca sarà il futuro, che lacacca farà migliorare il mondo e che anzi la cacca è il solomodo per far migliorare il mondo (...parlo di miglioramentieconomici, miglioramenti ambientali, miglioramenti insommadella qualità della vita di ciascuno di noi...). Non sono unoscienziato, ma se lo fossi impiegherei investimenti e ricerca perfare della cacca il combustibile in sostituzione della benzina edel gasolio (...come nel film Ritorno al Futuro dove loScienziato Pazzo utilizzava la spazzatura al posto delle carichedi plutonio...). Sì, nella mia immaginazione si potrebbe costruiretutto un mondo che ha come elemento economico fondamentalela cacca e il piscio (...come nel film Mad Max dove l’elementoeconomico fondamentale è la benzina...).

E poi hai cominciato a produrre…

Sì. Mi sono fatto aiutare da tutta la famiglia, e da qualcheamico, e da un paio di magrebini bisognosi di un lavoro. Perprodurre il materiale più solido, corposo, sostanzioso,utilizzavamo soprattutto carni: salsicce, salumi, carni macinati.Stoccavamo tutto in apposti silos che poi trasportavamo instanze sigillate dove non potessero entrare mosche o altre bestie.Il materiale veniva maneggiato con la cura massima con guantidi lattice, mascherine d’ossigeno per respirare aria non viziata…

Simone cambia posizione sulla sedia del suo ufficio chenemmeno a dirlo è tutto – sedie, scrivanie, porte, anche lecornici appese alle pareti – fabbricato con il materiale che lasua impresa produce. Che cosa vendono precisamente i tuoicinque negozi?

Nel 2003 concime per i campi; nel 2004 statue, amuleti,soprammobili; ammennicoli; nel 2005, a inizio anno, opere

d’arte che ho ottenuto siano esposte in alcune tra le galleried’arte più importanti.

L’intervista termina. Abbandono l’ufficio di Simone cheha un profumo gradevolissimo di arance e di limoni, mi portoun fazzoletto al naso (…anche se non c’è il bisogno, grazie alsistema di ventilazione supersofisticato e approntatospecificamente per questo contesto…), corro la fabbrica – tra irumori dei //macchinari// - ed esco all’aria aperta.

00 – 12

Nuov’estrazione

“Eccoc’alla nuov’estrazione come gi’annunciatoall’inizio. Prima di cominciare colla nuov’estrazione dei nomiche comporranno la griglia della prima fas’eliminatoria, eccol’elenco degl’esclusi: Marina Mirinelli, Gianni Vivalda nelprimo girone; Gianna Moletti, Ottavio Todini nel secondogirone; Cosma Repesperini, Cosimo Errichetti nel terzo girone;Benigno Bolloni, Stella Rottini nel quarto giorone. Ragazzi,ragazze, vi rifarete l’anno prossimo. Sappiamo che qui si gioca,ma non si scherza, e allora diciamo: non prendetevela!Ecc’adesso l’elenco dei qualificat’alle fas’eliminatorie: CaioRaschini, Babila Arrivino per il primo girone; DesideriaManiscalchi, Evaristo Molleone per il secondo girone; DamasoSbricioloni, Zita Collotta per il terzo girone; Rosa Rose,Sebastiano Ornella per il quarto girone. A questi diciamo: braviragazzi, brave ragazze, ce l’avete fatta! Adesso passiamoall’estrazione delle griglie delle eliminatorie – partita secca intre set ai ventuno. Prim’eliminatoria: Damaso Sbricioloni,Desideria Maniscalchi. Arbitra: Suor Mariangela.Second’eliminatoria: Sebastiano Ornella, Caio Raschini.Arbitra: Suor Esterina. Terz’eliminatoria: Evaristo Molleone,

Babila Arrivino. Arbitra: Suor Ramona. Quart’eliminatoria:Rosa Rose, Zita Collotta. Arbitra: Suor Ughetta. Qui sullalavagnetta sono segnate le griglie. Ecco!

1a eliminatoria

DamasoSbricioloni

vs Desideria

Maniscalchi

2aeliminatoria

Sebastiano OrnellaVs

Caio Raschini

3aeliminatoria

Evaristo Molleone Vs

Babila Arrivino

4aeliminatoria

Rosa Rose Vs

Zita Collotta

Ricordo ch’il vincitore della prim’eliminatoria siscontrerà col vincitore della second’eliminatoria. Adesso: via!Sono già le diciotto, ‘alle diciannove le suore devono cenare!”.

00 – 13 Dati

Una mano si chiude attorno al mio polso. Il sinistro. Zitami guarda quando mi volto per vedere chi mi trattiene il polso.“Zita! – dico – sei in gamba con la racchetta!”. Zita ha appenasuperato Rosa in due set: 21 - 10 e 21 - 14. Rosa era una dellesuperfavorite del torneo, e Zita l’ha battuta nettamente. Quandoè finita la gara, Rosa si è messa la racchetta sotto il piededestro, ha tirato la paletta e ha spezzato la racchetta in due. Poisi è messa a piangere, con i singhiozzi che le uscivano di boccain sputacchi. Suor Ughetta è subito corsa con la sua Astra DC-3320 Digital Camera e ha cominciato a dire: “Sorridi! Sorridi!Ti faccio una fotografia! Sorridi!”. “Suor Ughetta – ha gridatoRosa – ti prego! Non riesco neanche a vincere un torneo diping pong! Ecco! Sono una buona a nulla! Una buona a nulla!”.“Sei stata spietata con Rosa – dico a Zita, ma non con un tonodi rimprovero, e nemmeno scherzoso; mi è esce un tono piatto,che non so definire – lo sai che lavoro fa Rosa? Pulisce iservizi igienici di Cadorna”. “Questo sottintende che lei avessepiù bisogno di me di vincere il torneo” mi dice Zita. “Sì,sempre che tutto quel che mi hai raccontato su di te in questiultimi anni sia così effettivamente”. “Metti in dubbio le mieparole?”. Zita si irrigidisce. Mi lascia il polso. “Scusa se lofaccio – le rispondo – ma ti ho lasciato commessa in unnegozio di pelletteria (…lavoro comunque nobile…) econtestatrice new-hippie. Adesso ti ritrovo ai vertici diun’azienda che fa tutt’altro e in veste di new-yuppie. E tuttoquesto senza nemmeno una laurea. C’è qualcosa che proprionon mi torna”. “Metti in discussione anche il cartellino che tiho passato, allora… - mi dice Zita – pensi che abbiaarchitettato ogni cosa…”. “No. Non lo so. Dico solo che non

mi torna”. “Non ti torna che tu sia un disoccupato, anche se haiuna laurea, mentre io sia occupata anche se non ho un titolo?”.“Sì”. “Forse ti riesce difficile accettarlo, piuttosto – mi diceZita – soprattutto accettare che la laurea non ti sia servitaancora a niente, se non a garantirti di essere considerato pertutta la vita un //dottore//. Credo che tu, come altri, siate cadutinel grosso equivoco del sistema universitario…”. “No, tiprego… queste chiacchiere non le voglio sentire…”. “No,aspetta. Il grosso equivoco è: considerare la laurea il fine e nonil mezzo. Una volta laureati, molti tra voi si siedono, si sentonodi aver già raggiunto il traguardo fondamentale, e invece nonhanno raggiunto proprio niente, come si accorgono non appenainviano curricula, e aspettano che il lavoro gli caschi nelletasche perché loro sono… laureati”. “Ho fatto molti lavori, nonsono stato seduto ad aspettare, Zita – le dico; adesso il tono nonè piatto – non dipende da me se sempre meno neolaureatitrovano il posto…”. “No, ti prego… queste chiacchiere non levoglio sentire… - mi motteggia Zita – ogni cosa, dipende danoi…”. “Già, è con queste frasi fatte che hai occupato la tuaseggiola, no?! E invece non è così. Potresti provare a guardartiqualche dato. Il mercato del lavoro più flessibile, il sistemauniversitario più volte riformato e un numero crescente diimmatricolati e di laureati; ma le cose, a conti fatti, nonsembrano migliorare. I laureati si vedono costretti, e in unnumero che non si può accettare, Zita, a rimanere tagliati fuoridella //realtà produttiva// oppure ad accontentarsi di unimpiego precario o di molto inferiore al proprio titolo”. “Tiprego, Sebastiano, stai parlando del contesto generale e non deltuo problema specifico! Le cose da sempre vanno male! Quelche conta, però, non è il contesto generale, ma siamo noistessi!” Zita mi dice. Io, però, non l’ascolto e vado dritto.“Negl’ultimi anni il numero degli immatricolati nelle universitàha ripreso a crescere (…trecentotrentamila iscritti soltantonell’anno 2003-2004…). Gli immatricolati non trovano sbocco

nel mercato del lavoro. Secondo alcune stime, Zita, quest’annousciranno dalle università italiane centocinquantatremila3 nuovilaureati. Un numero che si va a sommare a quelli che sonoancora, si dice così, in parcheggio in attesa di impiego. Haicapito, Zita? Parcheggiarsi durante l’università eparcheggiarsi anche dopo l’università. Quanta corrispondenzac’è tra le attese della massa di laureati e i fabbisogni delleimprese? Risposta: poche, molto poche”. “…dai, Sebastiano, èpenoso…”. “Poi va aggiunto che da questo grande bacino –quasi una piccola nazione – di giovani ad alto, altissimopotenziale – perché, e quel che peggio, probabilmente, leuniversità preparano –, le aziende pescano con parsimoniapreferendo sempre più spesso i diplomati. Secondo l’indagineExcelsior realizzata…”. “…pure l’indagine Excelsioradesso…”. “…da Unioncamere, nel 2005 delleseicentoquarant’ottomila assunzioni solo cinquantasettemilariguarderanno i laureati. E un terzo di queste assunzionisaranno con contratti a tempo determinato o di apprendistato. Aquesti si aggiungeranno i circa trentamila che finiranno concontratti precari nella Pubblica Amministrazione. Come vedi,Zita, la conosco la situazione. L’ho studiata bene per tutte levolte che mi sono tornati indietro curricula, e che mi è scadutoun qualche contratto di lavoro precario. Ma non ho finito…”.“…basta…”. “Secondo un’indagine di Almalaurea, il consorziouniversitario che raccoglie quanrantatré atenei italiani,nell’ultimo anno – il 2005, Zita – la percentuale dei giovani chehanno trovato lavoro a un anno dalla laurea si è contrattarispetto all’anno scorso di quasi un punto percentualescendendo dal 54,9% al 54,2%, e di 2,7 punti rispetto a dueanni fa. A casa ho anche le tabelle…”. “…le tabelle, lepercentuali… Dio!, dov’è l’uscita?...”. “Se avessi fattol’ingegnere non mi lamenterei, perché loro trovano lavoro per

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I dati sono aggiornati al Settembre del 2005 (N.d.A.)

il 76,1% a un anno dal conseguimento del titolo, e per fortunanon sono una donna: la differenza con gli uomini soloquest’anno ha raggiunto gli otto punti percentuali: a un annodalla laurea lavorano il 51% delle donne contro il 59% degliuomini. Nel 1999, solo per fare un raffronto, la differenza erapari a solo un terzo di quello di oggi: il 2,7%...”. “…hai finito?No, dico, hai finito?...”. “…no, adesso viene la parte dei soldi,Zita! Quanto si ritrova in busta paga un giovane laureato di altoprofilo? Poco, molto poco, Zita. Lo stipendio netto mensile aun anno dalla laurea raggiunge i novecentottantasei euro.Rispetto all’anno scorso si è registrato un aumento didiciassette euro pari all’1,8%, ovvero leggermente inferiore altasso di crescita del costo della vita. Non male, no? Più elevatala retribuzione degli uomini (…pari a mille e centootto euro…)di quella delle donne (…ottocento ottantotto euro…). E qui,Zita, siamo al Nord. Ci troviamo in Piemonte. Il Mezzogiornoè molto più tormentato…”. “…anche il Mezzogiorno…”. “…trovano impiego a un anno dalla laurea il 41% dei laureati, piùdi venti punti percentuali in meno dei loro pari gradi del Nord,che stanno al 65% - ma per me qui le percentuali si sbagliano.Le disparirà sono evidenti anche in termini di busta paga: illaureato del Nord guadagna milletrecentotrenta euro mentre alSud ci si deve accontentare di millecentotrentadue euro. Senzadire che i laureati del Sud sono obbligati a lasciare, e il primapossibile, le terre d’origine. Secondo i dati Svimez…”. “…idati che?!...”. “…in cinque anni sono partiti duecentomilagiovani tra i venti e i trenta anni. E a svuotare di risorse il Sudsono soprattutto i cosiddetti //cervelli// ovvero coloro che sisono laureati col massimo dei voti. Il 37% di chi si è mosso haconseguito il diploma di laurea con la votazione massina dicentodieci e lode e il 43,9% ha un voto tra il cento e ilcentonove. E molti di loro finiscono per fare lavori dove lalaurea non viene considerata come requisito essenziale. Tu midirai…”. “…oh no, ti sbagli, io non ti dico proprio niente…”.

“…prova con il periodo di tirocinio con le aziende! Sì, ti fannopulire i bicchieri e i colleghi fanno di tutto per non fartiassumere. Perché poi il precariato si tira dietro anche leproblematiche legate al mobbing, che non sono uno scherzo:posso devestarti, farti perdere ogni stima di te stesso, fartipersino diventare balbuziente per tutta l’insicurezza che tiinietta dentro quel tipo d’esperienza…”. “Io dico che dovrestirimboccarti le maniche, invece di far rimostranze!”. “Ma chebrava! Certo! La fiera delle ovvietà!” le rispondo io. “Ah,perché le tue non sono ovvietà?! Che cosa hai voluto dirmi contutto questo discorso? Che il mondo va storto? Che la societànon funziona? O che è una fregatura? Oppure che è l’uomo chemangia l’altro uomo? Dico, Sebastiano: ma dove sei vissutofinora? Bisogna darsi da fare!”. “Ma io l’ho fatto!” tuono. “Mal’hai fatto nel modo sbagliato! Tu e tutti quelli dentro i tuoisondaggi. Che l’uomo sia cattivo mi pare che lo insegnino dalliceo, no?”. “Che tu tra l’altro non hai fatto…”. “Lascia stare,adesso! Che cos’è la storia della filosofia se non un catalogo diforme di pensiero che cercano un rimedio alla cattiveriadell’uomo? Oppure: che cos’è la storia della filosofia se non uncatalogo di forme di pensiero che dimostrano la cattiveriaumana? Da Kant a Schopenhauer, da Nice e Heidegger. E seguardiamo il rimedio è sempre e solo uno: sii cattivo più diloro! Non farti fregare! Fregali tu prima che siano loro afregare te! Esci dalle finzioni: l’uomo è cattivo, e ogni cosa chefa è una trappola”. “…Dio, cosa mi tocca sentire! Chebanalità!...”. “Ti sei fidato di quel che l’università tiprometteva, ossia di quel che un’istituzione di esseri umani,ossia un’istituzione di esseri intimimamente e inevitabilmentecattivi, ossia una trappola, Sebastiano – una trappola, sì, unatrappola! – ti prometteva, e sei stato la vittima dell’effettocollaterale più devastante delle università: dimenticarsi chesiamo noi che dobbiamo volerla una cosa, con tutto noi stessi.Se vuoi il lavoro, lo avrai, esattamente come hai voluto la

laurea e l’hai avuta. Ma tu non vuoi il lavoro, Sebastiano, tuvuoi quella comodità che credi di meritare per il titolo che haiconseguito!”. Mentre Zita dice questo, io sto pensando allavoro in salsamenteria; sto pensando che ho persino provatoad aprire un blog e ho persino ripreso a scrivere un po’ – comeCaio. Sto pensando che mi sono messo a considerare lascrittura come uno sbocco occupazionale per chi non riesce atrovare altro… “Se sei venuta per salvarmi puoi anche andarevia subito….”. “Io sono venuta pensando di trovare ilSebastiano che non vedo da tre anni, e invece torno e ti trovo inquesta gabbia di fessi, e per di più da campione! Ah!”. Zita vavia. Io le grido dietro: “Qui siamo tutti laureati, Zita! Tu,invece, non sei nemmeno laureata! Non hai nemmeno unalaurea!”.

00 – 14

Raffronto

I sedici partecipanti al torneo mi sembra costituiscanouna campione piuttosto rappresentativo dell’attuale mappa geo-lavorativa italiana. Scorriamo la lista. Il primo nome è quello diCaio. Caio si è inventato il lavoro di poeta da marciapiede –che non è un lavoro. Caio è laureato in architettura e viene daChieti. Nella Facoltà di Architettura dell’università di Chieti-Pescara dopo tre anni, che è il caso di Caio, trovano lavoro il90,4%4. Questo depone a favore o a sfavore di Caio? Questopreferisco non commentarlo. Stella è laureato in Sociologia daquattro anni. Si è laureata all’università di Torino e dopo treanni trovano lavoro i laureati della pre-riforma per il 90,4%.Damaso è laureato in Ingegneria Meccanica a Parma – e

4 L'indagine si è svolta nel duemilacinque e ha coinvolto i laureati delle sessioni estive del 2004, 2002 e 2000, intervistati a uno, tre e cinque anni dalla laurea. I dati si possono leggere su www.almalaurea.it.

certamente da più che cinque anni – e secondo le indagini,dopo cinque anni i laureati in Ingegneria alla Facoltà di Parmatrova lavora per il 100% - Damaso, infatti, il lavoro l’hatrovato! Io, e mi fermo, perché credo di aver dato un’idea dellanostra situazione qui tra gli iscritti al torneo, sono laureato inSociologia a Trieste e dopo un anno i laureati in Sociologia aTrieste trovano lavoro per il 78,7%. Mi chiedo, tuttavia, di chelavori si tratti. Questo l’indagine non lo specifica.

00 – 15

La bandiera mondiale

Batto Caio 21- 06 e 21 - 07. Caio non prende bene lasconfitta. Si toglie la scarpa destra – è una scarpa da ginnasticadi colore bianco che Caio ha acquistato per dieci euro daicinesi; lo so perché spesso mi fermo a guardare le scarpeesposte in vetrina dai cinesi, e sono stato a un passo dalcomprarle almeno due o te volte – e la lancia contro il muro. Lascarpa si appiattisce contro il muro verdone del refettorio,rimane per mezzo secondo sospeso, poi piomba sul pavimento.Le suore e i bambini fanno: “Oooooohhhhhh!!!!!!”. Caio urla,con la voce di un’ottava più alta del solito. “Questa scarpa!Questa scarpa mi ha fatto male per tutto il tempo che hogiocato! Questa cazza di scarpa! Cazza di scarpa! Cazza discarpa!”. Suor Ughetta sta di nuovo per intervenire con ladigitale spianata su Caio; ma Caio corre nel bagno,zoppicando, con il piede destro scalzo. È tutto rosso sulleguance e ai lati del collo. Io, gli vado dietro. Non posso nonfarlo. Anche l’anno passato Caio ha fatto qualcosa di simile adora. Dopo essere stato eliminato – se male non ricordo daVitale – è corso in bagno, ha fatto pieno il lavandino fino a fararrivare l’acqua al troppopieno, poi ci ha messo la testa dentro.Noi ci siamo accorti di questo quando abbiamo sentito un urlo

venire dai bagni. Caio aveva infilato la testa nell’acqua calda enon nell’acqua fredda, perché le manopole dei lavandini deibagni del refettorio mandano acqua fredda dalla manopolarossa e acqua calda dalla manopola blu. Per fortuna Caio nonha riportato nessuna ustione, perché l’acqua calda che vienedalle manopole blu non è bollente, e nemmeno caldissima: èsoltanto calda. Allora, io lo seguo in bagno. Non voglio chesucceda niente di analogo all’anno passato. Trovo Caio con lemani aggrappate ai bordi della vasca del lavandino, con itricipiti tesi. Caio sta ancora dicendo con uno strozzo: “Cazzadi scarpa! Cazza di scarpa! Cazza di scarpa!”. Io passo ilbraccio sinistro attorno alla schiena di Caio e gli tocco con lamano sinistra la spalla sinistra. Stringo la spalla. “Sei statobattuto dal campione” gli dico. “Non hai perso per la tuascarpa, hai perso per la mia racchetta: è magica” gli dicoancora. Caio smette di ripetere alla vasca di ceramica dellavandino //cazza di scarpa//, solleva la testa e mi guarda. Alzal’angolo destro della bocca. Strizza l’occhio sinistro. “Mi haidato un mazzolata” dice. “Solo fortuna” dico io, ma senza faretroppo il modesto. “Scrivi ancora su quel tuo blog? – mi diceCaio – come si chiama…?. “Il club dei mestieri stravaganti”.“Sì, il club dei mestieri stravaganti – ribadisce lui – Chesterton,no?”. “Sì”. “Mi è capitato tra le mani un racconto che haiscritto, molti anni or sono. Lo ricordi?”. “Come si intitola,Caio?” faccio io. “Si chiama… aspetta… La bandieramondiale… se non sbaglio…”. “No, non sbagli. Lo hai letto?”.“Sì, mi è piaciuto. Tu te la cavi con le parole; dovresti provarea prenderti più sul serio”. “Tu dici? Hai letto anche la novellaIl ciuingo”. Caio si mette a ridere. “Ah, non potevoperdermelo! Venti minuti di godimento incondizionato!”. “Tiringrazio”. Mi sono messo a ridere anch’io. “La bandieramondiale, però… quello ha qualcosa che funzionadecisamente…”. La novella La bandiera mondiale è contenutanel quarto numero della mia seconda rivista Doppio Malto. È

datata 1994, e ricordo bene il quarto numero di Doppio Malto.Non so come Caio sia venuto a conoscenza di questa novellaperché non ho fatto circolare mai Doppio Malto; ma il sospettoè che Babila gliel’abbia allungata – e nel pensare questo miirrigidisco un momento: e se fosse tutta un’allusione di Caio alfatto di aver avuto incontri che io non ho saputo mai conBabila? Mi ammorbidisco subito; no: Caio non è tipo daallusioni di questo genere. Comunque: stavo dicendo chericordo il quarto numero della rivista Doppio Malto, e per laragione che quel numero mi è riuscito assai assai bene, e nonsoltanto perché da pagina 8 a pagina 16 c’era il racconto Labandiera mondiale. In quel numero – di trentanove pagine –ero riuscito a confezionare: una testata splendente, unmanchette decente, titoli e occhielli stampati senza ombre disbavature. Poi ero riuscito a mettere assieme: un articolo diapertura direi ottimo, un articolo di fondo direi eccellente, unarticolo di spalla direi fantastico, un articolo di comunicatodirei tanto più credibilissimo quanto più inventatissimo, unarticolo di colore coloratissimo, un elezeviro di terza paginache non non so come ho fatto a scriverlo così bello, un corsivopiccatissimo. Sono riuscito a metterci dentro stelloncini,asterischi, trafiletti (…chiamavo: stelloncini gli articolini dellerubriche di musica, asterischi gli articoli delle rubriche di arte,trafiletti le colonnine dedicate alla cultura in generale…),quattro illustrazioni da un quarto di pagina, tre inserzionipubblicitarie e sei necrologi – inserzioni e necrologi tuttiinventati. Poi: un pastone, tre spigolature, quattro note, cinquecommenti dei lettori, una lettera aperta, e una notizia presentatacome primizia. E nella sezione centrale della rivista sonoriuscito a confezionare La bandiera mondiale. C’è un giovaneragazzo di quindici anni – più o meno la mia età di allora – chenella sua stanza sta ascoltando da un hi fi a volume altol’Hymnen di Karlheinz Stockhausen. Come ogni volta cheascolta questa opera del 1967 il ragazzo – che si chiama

Geremia – cerca di riconoscere e isolare gli inni nazionali checompongono l’Hymnen: ecco l’inno sovietico, ecco l’innotedesco, ecco l’inno francese, ecco l’inno americano, ed eccol’inno italiano. Mentre fa questo gli viene in mente questa idea:usare lo stesso principio che nel 1967 Karlheinz Stockhausenha fatto suo per comporre l’Hymnen per comporre unabandiera del mondo. Prima di mettersi all’opera Geremia sidomanda se una bandiera del mondo debba essere compostadalle bandiere di ogni nazione del mondo oppure se perrapprentare il mondo in una bandiera sia necessario considerareogni forma di bandiera: dall’orifiamma al gonfalone, dalgagliardetto al guidone, dal pennello al labaro, dal vessillo allostendardo. Conclude che no, che per rappresentare il mondo inuna bandiera è sufficiente mettere assieme le bandiere di ogninazione del mondo che già sole rappresentano ogni altrabandiera di ogni associazione, squadra, corporazione, società, evia così, che sta in una nazione. Geremia compra subito unalbum che contiene la fotografia di tutte le bandiere dellenazioni del mondo che sono garantite dalla costituzione –Geremia, ad esempio, esclude la bandiera della Padania – e simette a progettare la bandiera del mondo. Dopo aver fatto dueo tre disegni esclude che la bandiera del mondo possa essere undrappo che contiene riprodotti in riquadri piccoli e tutte dellestesse dimensioni (…esclude che possano esserci riproduzionidi bandiere di dimensioni più grandi di altre…) le bandiere delmondo. Dopo qualche altro disegno esclude che il drappo dellabandiera del mondo possa essere composta da un brandello deldrappo di ogni bandiera del mondo, e per la ragione cheverrebbe qualcosa di troppo laborioso e che non potrebbeessere riconosciuto. La bandiera del mondo, infatti, secondoGeremia, deve essere una bandiera dove ogni nazione puòriconoscersi non troppo facilmente, ma inequivocabilmente:deve essere una bandiera composta da tutti gli elementi piùevocativi che compongono le sigole bandiere di ogni nazione.

Questa sembra l’operazione più sensata da farsi, anche seGeremia si rende conto che non è facile affatto da realizzarsi.Esaminando le bandiere delle singole nazioni contenutenell’album alla caccia del particolare più evocativo da isolare eda trasportare nella bandiera del mondo, Geremia si chiede, peresempio, se per la bandiera americana siano più evocative lestelle o le strisce, per la bandiera francese quale sia il colorepiù evocativo oppure come fare per riprodurre tutti e tre i coloridella sua bandiera senza che la sua presenza diventipreponderante rispetto alle altre riproduzioni di bandiere –Geremia escogita che potrebbe allineare le bande dellebandiere una di fianco all’altra di modo che ogni colore siarappresentato: blu, bianco, rosso, bianco, verde; oppure solo lebande colorate senza l’intervallo del bianco, forse potrebbebastare. Per le bandiere che contengono un simbolo al lorointerno l’operazione appare meno complicata: la bandierasovietica, la bandiera canadese, la bandiera irlandese, labandiera messicana, e via così. I simboli di queste bandierepossono essere dispersi per qua e per là lungo la campiturafatta dei colori delle bande. Comunque: dopo cinque paginettedella novella Geremia, che adesso ha venticinque anni, èriuscito a realizzare la bandiera del mondo, e non solo ma acompiere il passo decisivo per realizzare la sua ambizione piùgrande: dopo essersi laureato in Astrofisica a ventidue anni,essere diventato titolare di una cattedra a Harvard a ventitrè, aventicinque è riuscito a farsi assumere dalla Nasa. Dopo diecianni non ha fatto vedere a nessuno – nemmeno a Catrina, la suafidanzata – la bandiera, e ancora fino a ventisette anni non l’hafatta vedere mai a nessuno, fin quando Geremia non vieneselezionato per una missione lunare: è il 2007, mancano quattropaginette alla fine della novella, e adesso viene fuori per qualeragione Geremia faccia mistero attorno alla bandiera mondiale:una missione. La missione di Geremia è arrivare sulla Luna einfilazare l’orbe lunare con una bandiera che rappresenti

l’umanità e non soltanto l’americanità. Geremia nasconde ildrappo della bandiera mondiale nel veicolo per l’esplorazionelunare che si trova all’interno della navetta spaziale, e quandotocca il suolo dell’orbe lunare, toglie la bandiera americana equella sovietica e afferma: “Siamo esseri umani: non esseriamericani”. Quando riesce a compiere la sua missione, dopoaver ottenuto la complicità dell’intero equipaggio, Geremia diritorno sulla Terra, viene accolto dalle polemiche: i giornalistida ogni parte del mondo lo assaltano, la Nasa lo radia, gli StatiUniti d’America, l’Unione Sovietica lo accusano di abusod’ufficio, insubordinazione, oltraggio alla costituzioneamericana. E la novella termina con l’investimento da parte diun’autovettura nella notte di Geremia, una persona che avevaavuto il desiderio di dare una sola identità a tutto il mondo.“Novella ottima – mi dice Caio – Babila, lei me l’ha fattaleggere: lei me l’ha data”

*** cambio battuta ***

00 – 16

“lascia vincere lui”

Quando sento entrarmi nell’orecchio destro lafrase //lascia vincere lui//, non mi volto nemmeno, perchépenso che sia stata l’eco di una frase pronunciata da qualcunodall’altra parte del refettorio, come già mi è successo con leparole di Zita. La frase, però, dopo poco, mi ritorna dentrol’orecchio. “Sebastiano, lascia vincere Damaso…”. Io stocambiando le mie gomme alla racchetta. Sto sostituendo lagomma vermiglia con la gomma da difesa, con la superficiedura che ho verniciato d’arancione e la gomma giallo polentacon la gomma d’attacco allround con la superficie morbida che

ho passato con i barattoli di vernice acquistati nel colorificiosottocasa di verde fluorescente. Sto spalmando di colla lagomma verde fluorescente quando sento per la terza volta lafrase spingermi nell’orecchio destro. “Sebastiano, mi haisentito? Lascia vincere la gara a Damaso: lui ha bisogno più dite di una vittoria”. Appoggio la gomma sul pianale di unaseggiola, ci lascio sopra il cucchiaio, e mi volto. Mentre migiro, spero che sia soltanto uno dei fantasmi del refettorio: lospero proprio con tutto me stesso. E invece no. Non è unfantasma: è Suor Ughetta. Al collo le pende assieme a unacroce d’argento la macchina digitale. “Non ho capito” le dico.Lo dico a voce molto bassa e spingo le sopracciglia una control’altra. “Ti sto chiedendo, Sebastiano, di lasciare vincereDamaso – mi dice Suor Ughetta, e mi guarda negl’occhi – luiha più bisogno di te di una vittoria”. Non posso credere cheSuor Ughetta mi stia chiedendo questo; poi subito dopo pensoche, invece, ci posso credere benissimo, e che ci sta che SuorUghetta faccia questo che ai suoi occhi deve presentarsi comeun atto di misericordia. Forse questo atto di misericordia è statopersino concordato con tutte quante le suore. “Suor Ughetta, leinon può chiedermi questo…”. “Sebastiano, il torneo tu l’haivinto già l’anno passato – mi dice Suor Ughetta, e mi tocca laspalla con una mano – lascia che quest’anno sia Damaso avincerlo. Se lo fai, Sebastiano, la gita ad Assisi l’avrai senzaspese ugualmente. Io lo so che tu sei il più forte qui, il piùabile, il più in gamba. Tu sei il campione qui all’istituto.Damaso, però… ha bisogno di una vittoria”. Io scuoto la testa.Mi guardo un piede. Poi torno a guardare Suor Ughetta. “SuorUghetta, anch’io ho bisogno di una vittoria…”. Suor Ughettaalza una mano come per scacciare un insetto e fa: “Oooh, mano! Tu sei tanto giovane! Hai soltanto ventisei anni! Hai tuttala vita davanti!”. “Non sono così giovane, Suor Ughetta” ledico io. “Senti – adesso Suor Ughetta fa scivolare la mano dallaspalla alla mia mano, e la stringe – Damaso, lo vedi anche tu,

com’è, no? Sai tutto di lui, e non c’è bisogno che ti dica niente.E noi qui all’istituto gli vogliamo un bene grande così, come lovogliamo a te, Sebastiano, e a tutti i nostri ex-alunni, che civengono a trovare e ci frequentano anche a distanza di anni.Questo non vuol significare che non vogliamo bene anche agliex-alunni che non ci frequentano e che sembra che si sianodimenticati di noi, eh! Solo che a voi possiamo dimostrarlomolto più che a loro… - Suor Ughetta tossicchia – equest’anno, dopo tanti anni che partecipa a questo torneo, ilnostro desiderio è che sia Damaso a sollevare la coppa: asentirsi vittorioso, importante, anche per una cosa piccola comequesta. È possibile che anche una cosa piccola come questa glidia il morale per le cose grandi, e poi qui all’istituto la vittoriadel torneo lo farà sentire un po’ importante… tu lo sai di checosa parlo, Sebastiano…”. Sì che lo so; ed è per questo chefaccio qualche difficoltà a essere d’accordo con Suor Ughetta.Ci tengo molto alla vittoria del torneo, perché può essere dibuon auspicio per il resto – esattamente come mi avevano dettol’anno passato i miei genitori quando sono tornato a casa con lacoppa. Penso che anch’io non ho niente, ho pochissimo. Pensoche anch’io dopo la laurea sembro essere diventato del tuttoprivo di concretezza, e questo anche se possiedo una laurea,che dovrebbe facilitarmi nel concretizzare i miei progetti, unaconsiderazione questa che aumenta, e non di poco, il mio statodi frustrazione. Ecco: l’ho scritto. Sono un frustrato. Mi grattoun angolo della testa, e mentre lo faccio mi accorgo che sulledita mi è rimasto uno sbaffo di colla. Mi impiastriccio i capelli.Impreco. “Suor Ughetta…”. Le sto per dire che non si parlanemmeno che possa far vincere Damaso; tra l’altro sarebbepoco dignitoso anche per lui: sarebbe trattarlo come unoscemo… e qui ripenso agli schizzi d’aranciata, ai wurstel chepartono come missili dalle fette di pane, alle frittelle chevolano come frisbee. “… vedrò che cosa posso fare…”.“Bravo!” esulta Suor Ughetta. “Bravo!” E mi abbraccia.

Mentre la stringo, e la sensazione è che Suor Ughetta nonabbia organi interni e ossa ma soltanto carne molla e grasso,penso una cosa che non mi mette di buon umore. Questa: sel’anno passato Suor Ughetta ha pronunciate le stesse parole aqualche mio avversario riferendosi a me così come si è riferitaa Damaso?

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Damaso sfascia tutto

Quando Damaso perde il punto del match point succedequalcosa che noi partecipanti del torneo credo non riusciremo adimenticare per moltissimo tempo: Damaso si mette a sfasciaretutto quel che gli capita a tiro. Io ho fatto di tutto, e lo ripeto: ditutto, per cercare di perderla questa gara; ma, a quanto pare,anche Damaso ha fatto di tutto, e lo ripeto: di tutto, per cercaredi perderla questa gara – e alla fine ha vinto lui. Con questointendo che Damaso //ha vinto// almeno questa gara nella garadi chi tra i due ci metteva più impegno a non vincerla.Insomma, anche se può apparire paradossale, alla fine ilvincitore – dico: il vincitore della gara più importante tra le duegare, che era quella non di vincerla, di perderla la gara – è statolui: e forse per questo, perché, pur avendo vinto la gara, misentivo sconfitto, quando ho vinto, non ho esultato. Ho anchelanciato un’occhiata a Suor Ughetta, che ha alzato una spalla –la destra – e mi ha fatto l’occhiolino, con fare consolatorio,come a dire: “Tu ce l’hai messa tutta, non importa se non haiperso e hai vinto”. Quando Babila mi è venuta incontro e mi haabbracciato, e mi ha messo la lingua tra i denti, io l’ho stretta,ma non l’ho stretta sulle chiappe, come quando faccio quandola stringo per manifestare tutta la mia gioia e la miacontentezza, ma l’ho stretta ai fianchi, e l’ho tenuta anche adistanza dal mio corpo, in modo che non sentissi i suoi

capezzoli premermi il petto. La gara ridotta in numeri già rivelamolto sulla quantità dell’impegno che ho messo per nonvincerla: 33 – 31 il primo set; 39 – 41 il secondo set; 75 – 77 ilterzo set. La gara è durata in tutto venticinque minuti: unadecina di minuti il primo set, non più di sette minuti il secondoset, e il resto tutto il terzo set. Questi dati, mi pare non abbianobisogno di un commento, e che dicano già tutto sul tipo di garache c’è stata tra Damaso e me. Una deduzione piuttosto facile,tra tutte le deduzioni piuttosto facili che si possono fareconoscendo il risultato e quanto è durata la gara in tutto, è chequella tra Damaso e me è stata la gara degli errori: soltanto chei miei erano volontari; i suoi del tutto involontari – a meno dipensare che le suore ci abbiano tirato uno //scherzo da preti//dicendo a Damaso esattamente le stesse parole che hanno dettoa me, ossia: lascia vincere lui. Comunque, dietrologie a parte,la gara, come ho detto, è stata piena di errori. Io ho cercato difare subito del mio meglio: visto che la gara la dovevo perdere,in forza delle parole di Suor Ughetta, e la cosa non mi piacevaniente, e lo volevo dimostrare, almeno a Suor Ughetta, chesapeva tutto, ho cominciato fin dal primo punto a battere lapallina direttamente fuori. Per i primi cinque punti ho battuto lapallina sul centro della racchetta spedendola fuori dalrettangolo verdone: una volta di là delle spalle di Damaso, unavolta facendola finire sulla rete (…ho anche borbottato:“Goal”, quando la palla ha deformato la rete per un secondo epoi è rinculata all’indietro…), una volta mirando la gamba deltavolo più lontana e facendo finire la pallina sotto il piano deltavolo – e colpendo la gamba più lontana. Il problema, almenodal mio punto di vista, è che Damaso ha fatto lo stesso quandoè toccata a lui: non ha azzeccato una battuta sola, e da cinque azero siamo passati al cinque pari. Non è che ci sia molto daraccontare di questa gara, perché è proprio andata tutta così.Toccava a me, e mi inventavo un modo per far finire la pallinafuori; toccava a Damaso e lui finiva per far uscire la pallina

fuori. Quando la pallina la giocavamo, io toglievo la racchetta,anche quando la palla era facilissima e potevo colpirla a tuttoagio, magari schiacciarla oppure liftarla, e lasciavo che lapallina dopo aver rimbalzato sulla mia metà del campo finisseper rimbalzare sul pavimento e poi contro il muro, dove laricuperavo. Damaso, però, continuava a prendere la palla,anche quando era facilissima, con la punta della racchetta, asbucciarla, a imprimere degli effetti che conferivano allapallina una traiettoria arricciolata. Le persone che ci stavanoattorno dopo il secondo set, che ho vinto perché non riuscivo afare peggio di Damaso, hanno smesso di sghignazzare ederiderci, per fischiarci, e mandarci anche qualche insulto – eRosa è scoppiata di nuovo in lacrime dicendo di essere unabuona a nulla. Ripeto: io ho fatto proprio di tutto per cercare diperderla la gara, ma devo dire che nel terzo set ci si è messa dimezzo anche la sfortuna. Ero talmente sfortunato che verso lafine della gara ogni volta che colpivo la pallina, quella, comestregata, non rimbalzava fuori, ma finiva in qualche puntoimprendibile della metà del campo di Damaso: scheggiavagl’angoli del tavolo, rimpallava sulla punta dello spigolo deltavolo, colpiva la parte alta della rete e finiva dall’altra partedel tavolo rotolando senza rimbalzare – e una volta è rimastaimmobile sulla superficie del tavolo contro la rete, sfidandoanche le leggi fisiche della gravitazione, dal momento che iltavolo era leggerissimamente in pendenza dalla parte diDamaso. Ma la sfortuna non si è limitata a questo: mi sonoriusciti colpi che credo non siano riusciti che a pochissimepersone nella storia mondiale del ping pong. Bastino due casi,anzi tre: il primo sono riuscito a fare il punto dopo aver colpitola pallina con lo spessore tra le due gomme della racchetta; poisono riuscito a fare anche di più: sono riuscito a fare il puntodopo aver colpito con la base del manico della racchetta,calandola come una clava sulla pallina; e il terzo caso chevoglio segnalare è stato il punto della gara, quando Damaso

con un chop mi ha fatto sbilanciare e la pallina è finita da unaparte e io col corpo stavo da tutt’altra: allora ho lanciato laracchetta verso la pallina che dopo aver rimbalzato il tavolostava blandamente finendo la sua traiettoria sul pavimento, laracchetta ha roteato, ha raggiunto la pallina, l’ha colpita, e l’harispedita sul campo di Damaso e ha fatto il punto. Quando èsuccesso, Rosa ha smesso di piangere e di darsi della buona anulla, Caio si è rimesso la scarpa al piede, e le persone attornohanno fatto: “Ooooohhhhh!!!!!”. Anche se Damaso, diciamolo,ha giocato malissimo, ha fatto schifo dall’inizio alla fine dellagara, e questo se anche io ho cercato, e in tutti i modi, dilasciarlo vincere, ecco, alla fine, Damaso, forse complicel’ultimo punto da me messo a segno, non ha accettato lasconfitta, no, nient’affatto, ma ha dato fuori di brutto. Perprima cosa si è messo a gridare: “Naaaaahhhhh!!!!Naaaahhhh!!!! Naaaahhhh!!!!”. Alzava la faccia al soffitto, e ilcollo si gonfiava, e spogevavano le corde vocali, spalancava labocca, digrignava i denti, io ho visto anche della schiumabianca coagularsi sul lato sinistro della bocca, e faceva quelverso, che gli veniva dalla gola: naaaaahhhhh!!!!. Poi ha presoa scorticare la racchetta che aveva in mano: l’ha fatta in pezzi.L’ha spezzata in due parti con la forza delle braccia e poi ilpezzo delle gomme l’ha spezzato in altre due parti. Hastrappato le gomme che penzolavano dai tronconi di racchetta ele ha lanciate, come Damaso lancia le sue frittelle dal chiosco,una a destra e una sinistra – e a sinistra Marina ha dovutoscansarsi per non venir raggiunta all’altezza degl’occhi. Lepersone che stavano attorno a Damaso, Cosimo compreso, sonorimaste ferme. Nessuno sapeva bene cosa fare: anzi nessunosapeva niente, si riusciva solo a guardare. Damaso hacominciato a calpestare le palline da ping pong che eranorimaste dimenticate agl’angoli del refettorio e sotto i tavoli, eogni volta che appiattiva una pallina gridava: “Porcaccia!Porcaccia! Porcaccia!”. Damaso, poi, ha afferrato il tavolo da

ping pong, è riuscito a sollevarlo di più di quarantacinquegradi, e mentre le suore gridavano: “No, Damaso! Ma cosafai?! Sei matto?! Non farlo!”, Damaso ha capovolto il tavolo,buttandolo verso destra, con un fragore che si è propagato per ilrefettorio diffondendosi e moltiplicandosi per almeno unminuto intero come se sopra le nostre teste un vulcano avesseeruttato. E non è finita. Dopo aver capovolto il tavolo, Damaso,e non descrivo lo stato dei suoi lineamenti, la forma della suabocca, e il colore dei suoi occhi, è corso fin al carrelloscaldavivande e s’è messo a gridare: “Volete i tramezzini?Volete i tramezzini? Ecco i vostri tramezzini!”, li ha toltidall’involucro di plastica che li conteneva e ha cominciato alanciarli a destra e a sinistra. “Ecco un tramezzino prosciutto eformaggio!”, “Ecco un tramezzino rucola e gamberetti!”, “Edecco, signori, ecco, la specialità di Elvira preparata apposta peril torneo: paté di olive e maionese!”. “Volete i cioccolatinirossi? Volete i cioccolatini blu? Volete i cioccolatini verdi?Abbiamo manciate di cioccolatini per voi, signori!”, e ha presoi bicchieri di carta colmi fino all’orlo di Smarties e li harovesciati di qua e di là – e mentre i confettini coloraticascavano sul pavimento a me è tornata nella mente lacanzoncina della reclame. Caio, Cosimo e io – che eravamoquelli piantati meglio – ci siamo avvicinati a Damaso conl’intenzione di mettere fine alla situazione – e io mi sono presosubito un tramezzino tonno e maionese in faccia. “Damaso,cervello di fagioli, se non la smetti siamo costretti a prenderti alegnate quella tua panza piena di cacca!” gli ha detto Cosimo,mentre ci avvicinavamo a lui. E però non c’è stato il bisognodel nostro intervento: Desideria era corsa su nel cortile e alchiosco dove sostituiva Damaso, aveva chiamato Elvira, chequando è arrivata, si è precipitata verso Damaso, gli ha datodue sberlotti sulla testa, e gli ha detto: “Se le suore ci cacciano,ti faccio chiudere in una gabbia di matti!”.

00 – 18

Babila vs Zita – ultimo set

Fortuna di Damaso, a parte Zita, che ho preso colcellulare tra le mani nell’atto di comporre il centotredici, lìdentro, nel refettorio, tutti quanti conosciamo che tipo dipersona è Damaso, e soprattutto i suoi problemi, che, in fondo,sono gli stessi che ognuno di noi iscritti al torneo ha; forse èpersin per questo, perché ognuno tra noi iscritti ha gli stessiproblemi, che Damaso ha provocato il disfacimento che haprovocato: perché si è sentito il catalizzatore di tutti quanti noi;altrimenti nulla avrebbe impedito il centotredici lo si chiamassesul serio, e che Damaso venisse portato in caserma. Invece,dopo che Elvira viene nel refettorio, e Damaso nel vederla vain lacrime, e le appoggia la testa a una spalla, noi ci mettiamo aripulire il pavimento e qualche tavolo da ping pong dei panini edei confetti che Damaso ha lanciato, buttiamo in un sacco lepalline piatte, e nel sacco finiscono anche i pezzi dellaracchetta di Damaso. Cosimo, Caio e io rimettiamo il tavolo aposto, e per fortuna la superficie è ancora liscia e utilizzabileper giocarci. Quando abbiamo finito, tutto quel che vogliamo èche si riprenda a giocare e che il torneo arrivi alla conclusione– che tanto quel che aveva da darci e da dirci pare quasi tuttoqui. La seconda semifinale del torneo è tra Babila e Zita –neanche a farlo apposta. Per me la gara ha così tanti significatisimbolici che elencarli sarebbe un di più, e non lo faccio. Possoperò dire che sto tutto dalla parte di Babila, e spero che Zitavenga eliminata quasi come se in parte la colpa fosse sua dellecose che sono capitate quest’anno – dal patatrac sul cortile allasfuriata di Damaso. La gara è giocata ottimamente sia daBabila che da Zita. Tutte e due dimostrano di aver capitoquanto sono importanti le gambe per essere più bilanciati e piùefficienti nell’eseguire il colpo. Quando Zita o Babila

colpiscono più volte col rovescio fanno un passo verso lapallina per centrarla in mezzo al corpo; quando sul dritto nonmancano di angolare il corpo di trenta-quarantacinque gradi inmodo da non trovarsi in parallelo al tavolo; quando si trovanotroppo vicine al tavolo e non possono muoversi tutte e dueusano il rovescio e quando viceversa si trovano troppo lontanecolpiscono col diritto; tutte e due sanno muoversi a passi cortiverso la pallina e quando eseguono il flip stanno a fianco e nondietro la pallina; sanno anche però dosare passi lunghi conpassi corti, facendo un passo lungo e poi bilanciandosi percolpire collo skip. Babila quando porta il rovescio sposta lagamba destra avanti, carica il peso del corpo sulla sinistra e poilo scarica sul braccio destro che finisce steso a destra del corpo.Zita quando esegue un topspin carica l’avambraccio dietro,piega il ginocchio sinistro, ruota le anche, durante l’impattocon la pallina spinge avanti il piede destro, raddrizza ilginocchio sinistro, impatta la pallina davanti al corpo e colpiscela palla nel punto più alto del rimbalzo. Zita, mi sembra, sicomporta come se stesse affrontando una chopper: piazza isuoi attacchi al centro del tavolo, e mira al gomito o al corpoevitando i polsi; la muove con colpi corti e colpi profondi, equando Babila si trova lontana dal tavolo fa la pallina corta;non esegue topspin troppo pesanti per evitare che le ritorninotagli sotto pesanti; toppa con un gesto ad ampio arco versol’alto, e la sua intenzione mi sembra quella di voler tenere lapallina in gioco più che fare il punto; quando Babila serve conla puntinata lunga, Zita attacca sul servizio; e poi Zita cerca dicolpire sempre col dritto. Babila cerca spesso la spinta veloce:colpisce la pallina nel punto più alto del rimbalzo collaracchetta aperta, in modo che faccia frizione e crei lo spin,colpisce la pallina in mezzo e la spinge avanti e in basso. Hovisto Babila sollevare spesso la pallina contro un taglio sotto,col movimento dell’avambraccio e poco il polso riuscendo aprodurre un topspin – anche se moderato. Ho visto un paio di

attacchi con effetto laterale contro taglio sotto da parte di Zita,che ha saputo spingere avanti la racchetta e tirarla a destraangolandola ottimamente. Babila ha messo a segno più di unpunto con attacchi spingendo la pallina contro taglio sotto,mentre Zita si è difesa con contro attacchi controllati,spingendo avanti l’avambraccio e controllando la velocità deltopspin in arrivo. Tutte e due hanno eseguito blocchi difensivichoppando ossia bloccando spingendo la racchetta verso ilbasso effettuando contro topspin molto carichi di spin ecostringendo l’avversaria a palleggiare o a spingere la pallaindietro col che permettendo di passare all’attacco; tutte e duehanno effettuato, in almeno un paio di occasioni, blocchidifensivi tirando indietro la racchetta contro un tospinproducendo una riposta molto corta impossibile da riattaccareper l’avversario. La gara è finita in due set: 21- 03 e 21 - 05.Ha vinto Zita, che letteralemente ha polverizzato Babila, anchese Babila ci ha messo tutto l’impegno, ed esce, come si dice, atesta alta dalla gara. Io lo sapevo che sarebbe finita così.Quando ha vinto Zita non ha esultato, ha guardato verso di mee mi ha mostrato i denti – e non sono sicuro che sia stato unsorriso.

00 – 19

Titolo e struttura

Durante il punto dell’11 a 15 in mio favore nella finaledel torneo tra Zita e me, Zita e io stiamo palleggiando moltolentamente e nel frattempo chiacchieriamo. Più precisamente: èZita che mi parla, e mi sbeffeggia, e io non faccio cheascoltarla. Zita mi dice: “Sebastiano, mi ricordo che le sapeviusare le parole. Le sapevi anche allineare sulla carta. Se è unadote che non hai perduto, come, a quanto pare, hai perduto altredoti, e sei finito campione di questa fiera di suonati, potresti

provare a inventarti una storiella connessa a questo torneo. Sì,che so?, qualcosa che abbia un titolo come: Una sparatoria altorneo dell’istituto oppure I morti viventi giocano a ping pongoppure Il cadavere sul tavolo del tennis tavolo o anche Cuori aforma di racchetta oppure potresti fare qualcosa diautobiografico, che dici, Sebastiano? Un libro dal titolo: Io,Sebastiano Ornella: il campione di ping pong del torneo dellesuore, mm? Che dici? Mm? Attento a questo chop! – Zita saanche i nomi tecnici dei colpi che usa; questo mi procura unafitta all’altezza del petto che sembra rimescolarmi gli organi inquel punto; credo che si tratti di una fitta di invidia, anche senon sono proprio sicuro, perché quando si dice //fittad’invidia// o //fitta di gelosia// o //fitta d’amore// s’inventa, nonsi può essere sicuri di quel che si va dicendo, perché le fitte sisomigliano tutte quante, ed è difficile distinguere questa daquella fitta, magari potrebbe trattarsi non di una //fittad’invidia// ma di una //fitta di ammirazione//, che io vogliointerpretate come //fitta d’invidia//, avendo eletto Zita lanemica non soltanto del torneo, ma di molte altre faccende, chenon sto a elencare, perché, anche qui, come per la gara tra Zitae Babila, mi sembrerebbe fare un di troppo; sia come sia provouna fitta nel petto sentendo che Zita conosce i termini tecnicidei colpi che esegue, e ottimamente, come quando si scopreche c’è qualcun altro che sa le cose che noi credevamo diessere i soli a sapere – Sì, oppure potresti raccontare le tuememorie d’infanzia che in te si producono partecipando ognianno a questo torneo. Attento a questo contro-scambio,campione! Sì, anzi: lo sai come lo chiamerei io il tuo libro? Eh!Lo chiamerei: Il campione di ping pong e lo strutturei come sefosse una partita di ping pong in tre set al posto delle tre parti, econ il punteggio della partita al posto del numero dei capitoli –che sarebbero capitoli dotati di una certa brevità così comedotati di una certa brevità sono gli scambi che consentono diconquistarsi un punto nel gioco del ping pong. Eh! Attento a

questo topspin di dritto, novelliere! – Zita assesta un drittoformidabile, e io mi devo tendere fin quasi a strapparmiun’anca per riuscire a prenderlo – Titolo e struttura sonofondamentali, anzi: forse sono i messaggi più importanti edevidenti di un’opera. Io non sono una gran lettrice di novelle,come tu che sei novelliere senz’altro sei, e mi limito a dare unosguardo superficiale ai libri. Il significato di un’opera e la suavisione del mondo sono contenuti nel titolo e nella struttura diun libro. In effetti, a me i titoli mi hanno fatto sempre un po’ diproblemi: perché un titolo rivela fin troppo di quel che il librocontiene. Per me un titolo andrebbe messo alla fine e nonall’inizio di un’opera perché il titolo è qualcosa che contiene lamorale di tutta la faccenda, e la morale va messa in fondo.Forse mettere il titolo all’inizio di un’opera d’ingegno poeticoè stato sempre un equivoco dovuto al fatto che le opered’ingegno poetico stanno dentro a un libro, e ogni libro ha untitolo: i libri contabili, i libri di diritto, i libri di medicina,qualsiasi libro ha un titolo, soltanto che questi libri non sonoopere d’ingegno poetico e la loro funzione è soltantoinformativa, mentre la funzione di un titolo in un’operad’ingegno poetico finisce per essere, e direi: inevitabilmente,qualcosa di più di un’informazione, o quantomeno finisce peressere un’informazione essenziale, che forse finisce perinformarci troppo. I Promessi Sposi sappiamo già dal titolosarà la storia di due persone che faranno tutto per sposarsi, e sefaranno tutto per sposarsi, vorrà dire che ci sarà qualcuno oqualcosa che glielo vorrà impedire, e via di questo passo, dideduzione in deduzione; I Malavoglia intuiamo già dal titoloche sarà la storia di una famiglia che comunque, chiamandosiin quel modo, non può che essere destianata ad avere tutta unaserie di disavventure; Candido già dal titolo sappiamo cheparlerà di un personaggio di animo puro, semplice, ingenuo,come definisce la parola //candido// il dizionario, e di unapurezza, semplicità, ingenuità che si manterrà purezza,

semplicità, ingenuità dovesse capitare chissà che cosa; Jacquesil fatalista ci parlerà di un personaggio che riporta tutto a unaconcezione deterministica del mondo e degli eventi che nelmondo accadono, ma anche un personaggio dinamico e nonstatico, come è proprio di ogni fatalista ossia di quel genere dipersone che dicono: “Accada quel che accada, io lo faccio”;Orlando furioso non è Orlando innamorato; Finzioni già daltitolo intuiamo con un piccolissimo sforzo che sarà un librodove ogni cosa sarà spacciata per //vera// e //reale//; Querpasticciaccio brutto de Via Merulana capiamo già dal titoloche comunque sarà un libro costruito in un modo se nonconfuso, comunque composito, e che sarà un //brutto pasticciobrutto// come quando si dice: “Mi sono cacciato in un bruttopasticcio” e come quando si dice: “Questo pasticcio è brutto; cisono anche dei pasticci che son belli; ma questo è propriobrutto: un pasticcio brutto”, e già siam avvertiti; e via così e viacosì. E poi c’è un’arbritrarietà nel titolo, che a me è sembratasempre una crudeltà deliberata dell’autore, anchedell’apparentemente meno crudele. Rubricare uno scritto checontiene gli intrecci di persone, che anche se sonoimmaginarie, potrebbero essere un tra noi, a me sembra un attocrudele e dittatoriale e che esprime tutta la volontàd’onnipotenza dell’autore. Mi chiedo, quando leggo un libro, emi lascio irretire dall’intreccio, mi immedesimo in questo oquel personaggio, riconosco battute, scene, situazioni che hosperimentato di persona, se allora anch’io e la mia vitapossiamo essere rubricati sotto lo stesso titolo dell’opera. Misono chiesta questo, ad esempio, dopo che ho letto L’idiota enon aver potuto che condividere ogni riga del comportamentodel personaggio principale; e lo stesso mi è successo per Imiserabili; e per altri romanzi ancora. Devo concludere allorache sono un’idiota e una miserabile o che la mia vita sonoquelle di un’idiota e di una miserabile? Attento a questo attaccocon effetto laterale contro taglio sotto, chitarrista! Ah! Per

fortuna che le nostre vite non sono titolate come nei libri!Anche se, adesso che dico questo, mi rendo conto che latentazione di essere l’autore della vita d’altri è stata ed è unatentazione che gli uomini in generale hanno avuto a più ripresenel tempo. Al titolo i protagonisti e l’opera tutta non puòsfuggire una volta che è dato: il soggetto e il contenuto sonointrappolati – per sempre. L’altro messaggio potentissimo è lastruttura di un’opera. La funzione della struttura di un’opera è,secondo me, che sono soltanto una lettrice superficiale, unalettrice di titoli e di strutture, si potrebbe dire, più che delleparole che seguono i titoli e che riempiono le strutture, e leabitano, quella di fare dell’opera una similitudine gigantesca,come se il libro fosse un manufatto che riproduce in un qualcheordine e scala di grandezza l’opera che che contiene al suointerno. A volte immagino come sarebbe un’opera che fossecontenuta in un libro di forma diversa dal libro come è diffusodi solito: per esempio, come sarebbe un libro organizzato acassetti – e quali libri già conosciuti si potrebbero organizzare acassetti, oppure un libro che abbia la forma non diparallelepipedo, di prisma tetragonale, di prisma rombico o avolte di cubo, ma che abbia la forma di ottaedro o di rombododecaedro, di bipiramide esagonale, oppure di scalenoedro odi bipiramide tetragonale o di prisma obliquo a base rombicaoppure una forma sferoidale o ellissoide? Forse se si cambiassela forma di un libro cambierebbe la forma del mondo che illibro cerca di esprimere; forse creando nuove forme di libro sicreerebbero nuove forme del mondo; e forse non avrebbenessun senso modificare la forma di un libro già scritto nellaforma libro solita, perché la forma del libro più adatta, o la solapossibile, per esprimere il mondo contenuto nel libro è soltantola forma libro solita. Sia come sia, la struttura di un libro è unagriglia che si oppone agli eventi narrati conferendo unaulteriore specifica forma: e forse questo sì, si potrebbe fare, sipotrebbe verificare quale struttura è la più formante per i libri

già scritti, sostituendo all’intestazione //capitolo// un’altraintestazione più specifica. Ecco un contro attacco controllato!Così, Sebastiano, se dovessi farlo questo libro sulla tua vita,almeno sulla tua vita in questo momento, come la definiresti senon la vita di un campione di ping pong? Che trova comemomento apicale il torneo dell’istituto del San Giuseppe? Latua vita è come un libro che ha per titolo una cosa come Ilcampione di ping pong che ha per parti e capitoli i set e ipunteggi di una gara di ping pong. Ecco l’ho detto. Acc! Haifatto punto!”

00 – 20

Ama il prossimo

Tra il secondo e il terzo set Zita e io ci prendiamo unapausa. Io siedo su una seggiola al lato destro del tavolo da pingpong e Zita siede su una seggiola uguale alla mia sull’altro latodel tavolo proprio davanti a me. Dalla mia sacca tiro fuori unabanana, ancora verde in alcuni punti della buccia, la apro e ledo un morso. Nel frattempo osservo Zita che beve un sorsod’acqua da una bottiglietta. Ha i capelli appiccicati alle tempiee lubrichi di sudore. Babila è rimasta con gl’altri attorno a noidue e a Maurizio che arbitra l’incontro. Preferisco rimaneresolo nelle pause di un incontro di ping pong, per non perdere laconcentrazione. Adesso Babila sta parlando con Caio, e staridendo a quel che lui le sta dicendo. La vedo appoggiargli unamano sul petto e spingerlo lontano mentre ride e scuote il capocon una mano – la destra – sulla bocca. Io do un morso alla miabanana. Guardo ancora Zita. Mi chiedo come ho fatto ainnamorarmi di lei; come ho fatto a vedere in lei qualche cosache costituisse per me un qualche rispecchiamento o unqualche enigma. Mentre do il terzo morso alla banana, mifermo su queste due ultime

parole: //rispecchiamento//, //enigma//. Credo che l’enigma cheper me rappresenta il pensare come sia stato possibileinnamorarmi di Zita – lei che era così diversa da me; e cheancora è così diversa da me, anche se in tutt’altro senso – sia ilsegnale più evidente che da qualche parte dentro di me unaradice di quell’innamoramento è rimasta: infatti, io credo, nonsi può innamorarsi che per un qualche enigma. Ora, se fossi ingrado di descrivere o di indicare quale questo enigma sia, nonci sarebbe nessun enigma. //enigma// è una parola che nondesigna nulla di preciso, ma di vago, nebuloso, forse anchequalcosa di meno che //vago// e //nebuloso//. Io dico che laparola //enigma// è lo stesso che laparola //xxhhyyzz//. //risolvere un enigma// non èun’espressione dotata di un qualche senso: semmaibisognerebbe dire //ho creato quel che definisco ora enigmasulla base di elementi e tracce che messe tutte assieme nonfanno l’enigma, anche se fanno la sua risoluzione, e sparsenon fanno un enigma, e anzi non fanno altro che se stesse//. Etuttavia, premesso questo, io credo che non si possainnamorarsi che per un qualche enigma. Credo anzi chequalsiasi sentimento che noi rivolgiamo alle altre persone nonsi fondi che su un qualche enigma. Del resto, credo anche chela parola //amore// sia un universale non nel senso che questaparola richiama una pluralità di cose, ma perché richiama unapluralità di concetti. Quando è stato detto //ama il prossimo//,forse, io penso, si è voluta usare la parole //amore// come unaparola che riassume ogni cosa e ogni concetto. E questo, forse,si può verificare osando sostituire a questa parola universalequalche altra parola universale: //rendi felice ilprossimo//, //libera il prossimo//, //fai carità al prossimo//, evia così. Mi domando se per //renderefelice//, //liberare//, //fare carità//, e via così, non sia necessario//amore//, e per ogni caso non sia lo stesso che dire //ama ilprossimo//. C’è anche di più, a pensarci. Si aggiunge a //ama il

prossimo// //come te stesso//, e si dice: //ama il prossimo comete stesso//. Questa aggiunta rende la parola //amore// ancora piùuniversale. La parola //amore//, mi pare, grazie a quel //come testesso//, si può sostituire con qualsiasi concetto. //odia ilprossimo come te stesso//, //invidia il prossimo come testesso//, //sii geloso del prossimo come di te stesso//, e via così.//amore//, insomma, significa //provare un sentimentoprofondo// che può voler dire anche che quando si provaun //sentimento profondo// si provano //tutti i sentimenti//.Detto questo, mi chiedo come si possa provare unqualsiasi //sentimento profondo// per qualcun’altro così comelo si prova per se stessi. Questo a me appare a tutt’oggi unenigma: anche, e soprattutto, quando mi sembra diprovare //sentimenti profondi// in modo speculare; anche, esoprattutto, quando mi sembra di //rispecchiarmi nella personaamata//. Che cosa significa, infatti, //rispecchiarsi nellapersona amata//? Adesso che sto guardando Zita che siededavanti a me, alla mia stessa altezza, più o meno la stoosservando come potrei osservare me stesso davanti a unospecchio. Posso dire che //rispecchiandomi nell’altro// io possavedere //me stesso//? Ma: è proprio me stesso che vedo nellospecchio? No, sappiamo che non è così. Vedo il mio occhiodestro a sinistra e il mio occhio sinistro a destra; vedo la rigadei capelli a destra e il ciuffo che cade sugl’occhi a sinistra, einvece la riga dei capelli sta a sinistra e il ciuffo che cadesugl’occhi a destra; la mia mano destra sta a sinistra e la miamano sinistra sta a destra; e via così. Certo, tutto questo è cosìse si considera che la mia mano destra sta alla sinistradell’immagine riflessa nello specchio così come la mia manodestra sta alla sinistra di Zita: infatti se dico a Zita di alzare lamano destra lei alzerà la mano alla mia sinistra ossia in unmodo non speculare alla mia mano destra. Il fondo dellaquestione è che per amarci ossia per provare qualsiasisentimento profondo occore avere davanti una persona – come

in uno specchio. Quando abbracciamo una persona, quandoproviamo il desiderio di baciare sulla guancia destra unapersona, quando annusiamo una persona vicino alla partesinistra del costato, noi lo stiamo facendo alla nostra destra,alla nostra sinistra, noi orientiamo i nostri desideri dalla nostraparte e non dalla parte della persona che, diciamo, amiamo. Michiedo se questo equivoco – dell’equivoco siamo consapevoli,forse, ma non possiamo essere coscienti dell’equivoco sempre– non investa altri aspetti oltre al bacio su una guancia ol’odore che sentiamo dalle parti del costato. Se amiamo,qualunque sia la cosa che corrisponde, anche soloapprossivamente, alla parola //amore//, amiamo per unaqualche forma di equivoco: per un enigma. Non sapere ilperché si ama è la forma più razionale per spiegarsi l’//amore//.

*** cambio battuta ***

00 – 21

Match point

Il primo set lo vinco io con il punteggio 21 - 15, etuttavia mi accorgo di quanto Zita sappia giocare. Pur avendoun gioco piuttosto aggressivo e eseguendo spesso colpid’attacco Zita monta sulla racchetta delle puntinate lunghe, chesono le gomme tra le migliori per la difesa. I puntini sullagomma sono a bassa densità, cosa che rende ancora piùimprevedibile il gioco di Zita. Il fatto è che, mi pare, lapuntinata lunga di Zita si comporta in tre modi: rimuovel’effetto della pallina, ma in un modo molto meno controllatodelle antispin, perché la pallina è una quaranta millimetri, equesto fa sì che choppando contro un topspin, lo spin tornaindietro ma non così tanto come quando si usa una puntinata da

chop; produce un effetto casuale, perché, a volte, mi sembra,nemmeno Zita ha cognizione di dove stia mandando la pallina;produce spin e quando Zita esegue un chop contro un topspinrimanda indietro un pesante backspin, e tuttavia lo spin èprovocato anche dal colpo effettuato da Zita: quando Zitacontro toppa un topspin non produce effetto, quando Zitablocca produce qualche effetto. A parte le tecniche, quel che hacaratterizzato la gara, soprattutto, è stato che Zita, dopo illungo scambio dell’11 a 15 che si è poi concluso in mio favore,a partire dal secondo set, ha reso più frequenti le conversazionidurante gli scambi – a questo proposito mi chiedo se nonavesse chiacchierato e si fosse concentrata totalmente sullagara che fine avrei fatto. Nel secondo set, infatti, Zita nonsoltanto mi stava battendo, ma lo faceva chiacchierando conme. Sul punto del 10 a 04 in suo favore, Zita ha cominciato adirmi: “Sono venuta qui, Sebastiano, anche perché credo siavenuto il momento che mi tu restituisca i duecentocinquantaeuro che tre anni da adesso ho speso per far cambiare la torredel computer, che si è scassata dopo che mi hai inviato queivirus. Lo ricordi? Perché io lo ricordo bene”. “Quali virus?Cosa ti ho inviato? Di che cosa parli?”. Cerco di fare un tono divoce convincentemente incolpevole – ma: cerco anche di farlonon troppo convincentemente. Desidero che Zita trovi nellamia voce la traccia di una conferma dei suoi sospetti. “Lo saimolto bene di che cosa sto parlando, Sebastiano – Zita mi dice– dopo il nostro ultimo incontro a Milano, dove mi avevicostretto a presentarti il mio ragazzo nuovo per convincerti chetra noi era tutto finito, per vendicarti mi hai mandato una e-mail per posta elettronica zuppa di virus – ed io, cogliona, chel’ho anche aperta”. “Non capisco di che cosa parli – seguito io– ma adesso che me lo ricordi non fu un’esperienza piacevolequella: lasciarmi per quello svitato…”. “Non parlarmi disvitati, non qui e non adesso, almeno: ti prego – risponde Zita –Certo: quello era uno svitato, e io lo so bene, perché ci ho

convissuto per due anni; ma: meglio che sospendi il giudizio,almeno in questa fase della tua vita, a proposito di chi sia o nonsia uno svitato. E poi non è di questo che stiamo parlando.Stiamo parlando dei duecentocinquanta euro che ho speso perfar assemblare un’altra torre del mio computer dopo che tu mihai inviato dei virus che hanno mandato in fumo il mio sistema.Duecentocinquanta euro, che ho dovuto spendere, per dirlatutta, anche a causa del ladro che mi ha fatto l’assemblaggionuovo”. “Non so di che cosa parli – dico io – Non so mandare ivirus”. “Certo, come no?! Raccontala a qualcun’altra! Il virusl’hai mandato tu, campione, nessun dubbio su questo! Perchésoltanto tu sapevi dell’esistenza di Esterina S. Cristobal la miaamica colombiana. Ho parlato di lei soltanto con te; e alloranon puoi essere che stato tu a inviarmi una e-mail in linguainglese dove si affermava che in allegato c’erano le foto diEsterina, della sua casa, della sua famiglia e del suo ragazzo”.“Ah sì, certo – faccio io – mi sembra una deduzione ferrea:solo che dimentichi che l’e-mail potrebbe averla mandata lastessa Esterina S. Cristobal”. “Balle! – dice Zita; schiaccia, maio riesco a eseguire un blocco – Esterina S. Cristobal nonesiste! Non è esistita mai! E allora sei stato tu”. Zita schiacciadi nuovo e fa il punto. Nel punto successivo, l’11 a 04 in favoredi Zita, Zita riprende il discorso: “Comunque: posso condonartiil debito; però a un patto”. “So che cosa stai per dirmi” dico io.“Non è un’intuizione difficile, Sebastiano: ritorna con me, esoprattutto togliti da questa situazione”. “No: io ci sto bene traqueste persone, e sto bene come sto” le rispondo io. “Questa èla bugia più grande che potessi dirmi, Sebastiano: di questosono sicura”. Io non aggiungo altro. Zita fa il punto. Nel puntosuccessivo, il 12 a 04 in favore di Zita, Zita mi fa anche questaproposta: “Un lavoro per te”. La proposta mi paralizza ilbraccio e la pallina finisce oltre le mie spalle. Sul 13 a 04 infavore, ancora una volta di Zita, le rispondo: “No: è un truccoper vincere la gara”. “Oh, ma cosa dici?! La gara mi interessa

da qua fin là: quel che mi interessa sei tu”. “Sì? Per trattarmicome mi trattasti l’altra volta?” le dico io. “Sono un’altrapersona, adesso – mi dice Zita – e in parte lo devo a te”. “Ame?”. “Sì, a te. È anche per questo che sono qui: perdimostrarti che sono un’altra persona, che sono diventataquello che nel mio immaginario tu eri o saresti destinato adiventare – mi dice Zita – a quanto pare però le cose sonoandate in un modo diverso”. 14 a 04 in favore di Zita, e midice: “A volte succede…”. “Che cosa?” le dico io. “Succede didiventare come una certa persona per poi scoprire che quellapersona è molto diversa da quel che noi credevamo – Zita midice – Tre anni fa, Sebastiano, io ti odiavo: ti detestavo contutta me stessa: eri esattamente quel genere di persona che ionon avrei voluto essere mai”. “E poi?” le chiedo. “Poi ho fattotutto per diventare come te; o meglio: come quello che iopensavo tu fossi”. “Ah. – dico io – Mi sembra unatteggiamento di una logica inoppugnabile”. Dopo averregalato il quindicesimo e il sedicesimo punto a Zita, suldiciassettesimo ho cercato di riprendere il discorso che Zitaaveva appena abbozzato del lavoro. Cerco, però, di non farmiaccorgere. “Dove abiti a Milano?”. “Brera”. Però… “Vicino adove hai il lavoro?”. Calco la voce sulla parola //lavoro//.“Serve al mio ufficio un collaboratore: un imbrattacarte; e tupotresti farlo”. Zita ha capito tutto, e questo mi fa tirare untopspin arrabbiatissimo, che Zita, però, blocca. “Ho fatto ilcameriere in una salsamenteria, ho fatto l’informatoreprevidenziale, ho lavorato in una ditta che producemappamondi; fare l’imbrattacarte avendo come capo unadonna che mi ha trattato come un porco, credo faccia al casomio”. “Hai qualcosa contro le donne?!”. Zita schiaccia a fa ilpunto. “Contro le donne che mi hanno trattato come tu haifatto? Sì!” dico io. “e poi che male ci sarebbe a essere uncameriere in una salsamenteria o a fare l’informatoreprevidenziale o lavorare in una ditta che produce mappamondi?

Credi che non siano lavori abbastanza dignitosi?!”. “Io sonolaureato!” sbotto io. “Umiltà: è questo che ti manca; puoi fare ilcampione di ping pong: questo sì; anche se le doti delcampione non le hai proprio, Sebastiano, forse nemmeno per ilping pong! – mi rimprovera Zita – Va bene – mi dice Zita –allora rimani qui in qualità di campione di questo torneo. HaiBabila, no? E lei ha te, soprattutto”. Io getto un’occhiata versoBabila e senza nemmeno rendermi conto passo in svantaggio didiciannove punti a quattro. Babila, adesso, è abbracciata conCaio. Caio le tiene un braccio – il destro – attorno alla vita eBabila gli tiene un braccio – il sinistro – attorno alle spalle – “Babila, lei me l’ha fatta leggere: lei me l’ha data”. Per qualcheassociazione che non mi va di chiarire ripenso quel giorno diqualche anno passato quando Don Fabrizio mi ha invitato apartecipare alla pesca di beneficenza che lui organizza, io hoestratto un bigliettino, l’ho passato a Don Fabrizio e DonFabrizio ha letto il numero sul bigliettino e il numerocorrispondeva al tapiro gigante che Stella mi aveva regalatodopo che Zita mi ha mollato; ho ripensato a quanto la faccendadelle risate mi abbia fatto sospettare che Don Fabrizio sapessedelle mie vicende con Zita. Torno a concentrarmi su Zita, e mirendo conto che quello che non riesco a prendere e che Zitamette a segno è il punto del set. Zita vince il secondo set con ilpunteggio 21 - 11. Mi siedo, prendo dalla mia sacca la banana,osservo Zita, e penso a specchi, precetti del vangelo, significatidella parola //amore// e forse anche della parola //conoscenza//.Quando finisco la mia banana, Zita si alza e mi squadra dacapo a piedi. Ha il bianco degl’occhi tagliuzzato di micro-feriterosse e l’angolo destro della bocca sollevato all’insù e l’angolosinistro della bocca all’ingiù. Mi dice: “’bastiano, tu sai di checosa sto parlando; tu sai le cose che ti sto dicendo; le sai, e lecondividi. Sveglia, allora! Sveglia! Vieni via da questo posto!Non ti dico di venire con me – ormai forse è troppo tardi –, mavieni via da questo posto! Ritrovati”. Mi alzo anch’io, butto la

buccia della banana nel mezzo cono di metallo di un cestinocon dentro un sacchetto di plastica azzurro, e mi preparo alterzo set. Gl’occhi di Zita sembrano dover schizzare da unmomento all’altro dalle orbite – specialmente l’occhio didestra. Mi sembra come se un demone si sia impossessata di leie le squassi le carni dall’interno – immagino che Zita possaaprirsi completamente in lingue di carne il suo corpotrasformandosi in un gigantesco fiore sanguinolento. Adesso sochi è Zita: il fantasma che andavo cercando. Lei è il fantasma.Zita rappresenta il fantasma del me stesso che avrei potutoessere, e adesso quel fantasma è tornato per farmi morto e perdistruggermi. Riprendo a giocare, e sono rassegnato, perché ilfantasma è venuto per avere la sua vendetta, e, sono sicuro,l’avrà. Quando riprendiamo a giocare Zita mi parla. “Allora,Sebastiano: lo scriverai il libro su questa faccenda? – mi dice;il tono, nemmeno c’è il bisogno di dirlo, è sprezzante – oppurese non sei capace di farlo, visto che a quanto sembra non seipiù capace di fare molte cose, potresti commissionarlo aqualcuno – sempre che questo qualcuno sia così interessato allescemenze da perderci del tempo – Zita blocca una toppata – Inogni caso quel che adesso voglio dirti, Sebastiano, è che sequesta faccenda finirà in un qualche libro e il titolo del librosarà Il campione di ping pong, e se il titolo dice già tuttol’essenziale sul contenuto del libro, allora sei tu il campione diping pong, tu devi vincere questo torneo, e non hai fatto checonfermarlo da quando sono qui, che lo sei tu il campione diping pong, e nessun altro – Zita sta praticamente gridando; tral’altro, mi sembra che la sua faccia si stia ingrossando – Eallora, ecco, campione! Ecco!”. Zita con un dritto mi centrasulla guancia destra. Io grido, come se mi fosse arrivato unoschiaffo. Mi pungono gl’occhi. Zita mi colpisce con un’altrapallata, e poi con un’altra ancora. Siamo già al terzo punto inmio favore. “Vuoi vincerlo questo torneo?! Ti dà morale?! Ti èdi buon auspicio?! Ecco, allora! Ecco!”. Zita mi colpisce

sull’occhio destro con una quarta pallata e con la quinta micolpisce sotto il mento. Io barcollo come un toro trafitto.Quando è il mio turno alla battuta, Zita mi tira una pallataindirizzando con maestria la pallina contro il polso che regge laracchetta. Zita è scatenata, e io sono intontito. Mi fa male lafaccia e anche il mani che Zita mi colpisce con la pallina mifanno male come se ricevessi ogni volta un colpo di bacchetta.Attorno a noi il gruppo di persone che ci osserva – che nelfrattempo si è moltiplicato a dismisura, come se giù nelrefettorio adesso si stipassero quasi tutte le persone, tra adulti ebambini, che stavano su nel cortile – sussulta, grida a ognicolpo di pallina che mi raggiunge una parte del corpo, come sela massa di persone fosse una propaggine del mio corpo, e aogni pallata si lamentasse per me. Gl’occhi di Zitafiammeggiano, e la sua voce si distorce rimbalzando per lemura del refettorio e disfacendosi in migliaia di modulazionidella sua voce, come se migliaia di spiritelli sbucassero da ogniporosità delle mura per ripetermi lo stesso messaggio:“Sveglia! Sveglia, Sebastiano! Tu sai! Lo sai! Sai che cosa devifare! Lo sai!”. Mentre osservo la pallina colpirmi penso chequella pallina in celluloide si costituisce come il simbolo ditutta quanta la coglioneria che si è prodotta in parte per lecondizioni oggettive della società italiana, ma soprattutto per lecondizioni soggettive, per le mie condizioni, le condizioni dichi non vuole ammettere a se stesso che ci sia qualcosa che glisia dovuto, perché ha una laurea, perché ha qualche master,perché ha un quoziente di intelligenza pari a cento ottanta, oper chissà quale altra ragione, e invece non vuole intendere piùche non c’è niente che gli sia dovuto, e che ogni cosa che sidesidera, va conquistata, e che se una cosa non si fa di tutto perconquistarla, allora significa che non si desidera, e forse èquesto che devo ritrovare in me, il desiderio di una cosa.Quando alzo la coppa del torneo ancora mezzo barcollante pertutte le palline che Zita ha calibrato verso le parti del mio

corpo, regalandomi il terzo set che ho vinto col punteggio di 21– 00 in poco più che cinque minuti, la sensazione che hoaddosso è come se la vittoria mi sia stata inflitta a tutta forza, equando alzo la coppa non sorrido, anche se tutti mi stannoattorno e mi gridano che sono bravo, sono un asso, sono uncampione, Babila, Caio, Damaso, Cosimo, Rosa, Stella,Desideria, Gianni, Gianna, Suor Ughetta, Suor Claretta, e tuttigl’altri, io seguito a non sorridere, e sto pensando che fin dadomani, cercherò di fare come Zita mi ha detto, magari letelefonerò, dopo aver chiarito qualche sospetto che mi è venutonei confronti di Babila, e proverò a frequentarla di nuovo,magari per conoscere quel che sarei stato secondo Zita, e nonlo farò da campione di questo torneo, da campione di pingpong, no, la coppa la regalerò a Stella, che ci appicichi i suoiadesivi, oppure a Babila, che la riempia di ammennicoli, e se lirovesci sulla testa, e ci sguazzi, adesso basta, adesso è l’ora dicambiare. Altro che scrivere di questo torneo, non sarò io afarlo, no, perché io, invece, voglio poter scrivere qualcosa checominci con: “Buongiorno. Sono il dottor Sebastiano Ornella.Ho ventisei anni. Questa mattina ho timbrato il cartellino primadi incominciare a lavorare”. E adesso non mi rimane chesmettere di parlare di questo e di farlo. Vi farò sapere. Arisentirci

Fine

Genova, 24 Maggio 2005 – 21 Settembre 2006

Ringraziamenti: Vorrei ringraziare la mia maestra delleelementari Suor Valentina dell’Istituto San Giuseppe diTortona, che qui ho fatto diventare la quinta – reinventata eadattata alle mie esigenze – di questo romanzo un po’pazzerello. Il San Giuseppe mi ha regalato momenti di felicitàil cui ricordo cerco di coltivare e di non perdere e che mi sonodi sostegno, ancora oggi, in alcuni momenti. Ciclicamentetorno a far visita al loggiato dell’Istituto e devo dire che vitrovo sempre un’atmosfera speciale, separata.