Manuale Breve Diritto Fallimentare 2011

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Diritto fallimentare I CAPITOLO 1: LE CRISI DI IMPRESA 1) La crisi dell’impresa come crisi dell’organizzazione L’esercizio dell’impresa è un’attività dinamica svolta con l’impiego organizzato dei fattori della produzione (capitale, lavoro, idee) per la creazione di valore ma tale risultato è incerto perché è soggetto al rischio imprenditoriale derivante da: 1. fattori interni errori di gestione dovuti alle capacità dell’imprenditore. 2. fattori esterni eventi esterni che possono compromettere il programma imprenditoriale. In tale situazione si ha un declino dell’attività che incide sulle capacità dell’imprenditore di adempiere gli impegni assunti con i terzi. Il diritto fallimentare disciplina la crisi dell’impresa che non è un evento eccezionale poiché l’impresa è soggetta alla funzione di selezione del mercato che decreta la sopravvivenza delle imprese efficienti e la fuoriuscita delle altre. La crisi dell’impresa può avere diversi livelli di gravità in base ai quali la situazione può essere recuperata o risultare irrimediabile coinvolgendo tutti gli interessi legati all’attività d’impresa ma non coincide con il deficit della garanzia patrimoniale dell’imprenditore infatti l’incapacità del patrimonio dell’imprenditore di far fronte all’indebitamento è spesso il risultato di una graduale alterazione/degenerazione delle corrette funzioni organizzative e gestionali dell’attività. La garanzia patrimoniale ai creditori pertanto non è data tanto dalla mera eccedenza dell’attivo sul passivo quanto dal corretto impiego nell’attività delle risorse per garantire le condizioni di equilibrio ed efficienza. In base alle alterazioni che allontano l’impresa dall’equilibrio e dal corretto funzionamento si distingue tra: 1. crisi di legalità la violazione di norme e/o principi generali espone a grave pregiudizio gli interessi dei terzi coinvolti e la sopravvivenza dell’impresa. Le condotte illegali sono contrastate con gli ordinari mezzi di prevenzione/repressione tra cui i sistemi di controllo interno per la sorveglianza della gestione e l’adozione di provvedimenti in caso di accertate irregolarità tuttavia all’imprenditore è sottratto il potere di gestione o gli sono imposti specifici comportamenti in caso di: a. gravità dell’irregolarità o inefficienza del SCI la disciplina prevede: spa se sono denunciate gravi irregolarità di gestione, l’autorità giudiziale può assoggettare la società ad un controllo esterno sull’amministrazione al cui esito il tribunale può disporre i provvedimenti per il ripristino della 1

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Diritto fallimentare I

CAPITOLO 1: LE CRISI DI IMPRESA

1) La crisi dell’impresa come crisi dell’organizzazioneL’esercizio dell’impresa è un’attività dinamica svolta con l’impiego organizzato dei fattori della produzione (capitale, lavoro, idee) per la creazione di valore ma tale risultato è incerto perché è soggetto al rischio imprenditoriale derivante da:1. fattori interni errori di gestione dovuti alle capacità dell’imprenditore.2. fattori esterni eventi esterni che possono compromettere il programma imprenditoriale. In tale situazione si ha un declino dell’attività che incide sulle capacità dell’imprenditore di adempiere gli impegni assunti con i terzi. Il diritto fallimentare disciplina la crisi dell’impresa che non è un evento eccezionale poiché l’impresa è soggetta alla funzione di selezione del mercato che decreta la sopravvivenza delle imprese efficienti e la fuoriuscita delle altre. La crisi dell’impresa può avere diversi livelli di gravità in base ai quali la situazione può essere recuperata o risultare irrimediabile coinvolgendo tutti gli interessi legati all’attività d’impresa ma non coincide con il deficit della garanzia patrimoniale dell’imprenditore infatti l’incapacità del patrimonio dell’imprenditore di far fronte all’indebitamento è spesso il risultato di una graduale alterazione/degenerazione delle corrette funzioni organizzative e gestionali dell’attività. La garanzia patrimoniale ai creditori pertanto non è data tanto dalla mera eccedenza dell’attivo sul passivo quanto dal corretto impiego nell’attività delle risorse per garantire le condizioni di equilibrio ed efficienza. In base alle alterazioni che allontano l’impresa dall’equilibrio e dal corretto funzionamento si distingue tra:1. crisi di legalità la violazione di norme e/o principi generali espone a grave pregiudizio gli

interessi dei terzi coinvolti e la sopravvivenza dell’impresa. Le condotte illegali sono contrastate con gli ordinari mezzi di prevenzione/repressione tra cui i sistemi di controllo interno per la sorveglianza della gestione e l’adozione di provvedimenti in caso di accertate irregolarità tuttavia all’imprenditore è sottratto il potere di gestione o gli sono imposti specifici comportamenti in caso di:a. gravità dell’irregolarità o inefficienza del SCI la disciplina

prevede: spa se sono denunciate gravi irregolarità di gestione, l’autorità

giudiziale può assoggettare la società ad un controllo esterno sull’amministrazione al cui esito il tribunale può disporre i provvedimenti per il ripristino della legalità e nei casi più gravi può revocare gli amministratori o sindaci nominando un amministratore giudiziario cui affidare in via temporanea la gestione della società (art. 2409). Tale procedimento cautelare protegge direttamente i soci poiché le irregolarità rilevanti sono solo quelle idonee a recare danno alla società o controllata/e ed indirettamente tutti coloro i cui interessi sono implicati nell’attività di impresa (creditori).

società cooperative tutelando gli interessi generali e il rispetto dalla causa mutualistica, l’autorità di vigilanza esegue un controllo di legalità, ha specifici poteri comminatori e può sciogliere le società che non perseguono lo scopo mutualistico o che per 2 anni consecutivi non hanno depositato il bilancio d’esercizio o non hanno compiuto atti di gestione.

b. situazioni di settore per le imprese che operano nel mercato finanziario e quelle assicuratrici, la disciplina di settore (TUB, TUF, cod. ass) tutela gli interessi pubblicistici prevedendo forme di gestione sostitutiva per il ripristino della regolarità amministrativa sotto il controllo di organi esterni e in caso di minore gravità delle irregolarità sono previste ulteriori misure mentre nei casi di eccezionale gravità, il Ministro competente può disporre la liquidazione coatta amministrativa.

2. crisi economiche l’impresa non opera in condizioni economicamente efficienti e non è gestita con formule appropriate (disfunzioni di gestione) pertanto non ottiene risultati economici positivi

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che le consentono la conservazione/incremento del valore e si innesca un trend che porta l’impresa a decadenza con effetti sull’integrità del patrimonio e conseguente crisi di solvibilità. Spesso si manifesta una crisi globale derivante sia da crisi di legalità che da crisi economiche inoltre la crisi non è mai istantanea ma solitamente deriva da un processo di declino evidenziato da risultati reddituali negativi. Le crisi economiche sono la causa più frequente del dissesto dell’imprenditore infatti sono al centro del diritto concorsuale per il quale rileva non solo lo stato di insolvenza ma anche il rischio di uno stato di insolvenza in presenza di squilibri aziendali:a. squilibrio economico i ricavi prodotti dall’attività non coprono i costi di

gestione (condizione antieconomica) generando delle perdite destinate ad intaccare il patrimonio netto. Se tale squilibrio non è transitorio integra una situazione di rischio d’insolvenza ma l’ordinamento non interviene in modo incisivo, salvo casi speciali: imprese del mercato finanziario sono previste misure dirette ad

un intervento tempestivo in considerazione degli interessi pubblici e delle ripercussioni sull’intero sistema economico infatti per le banche, operatori del mercato mobiliare e assicurazioni, con decreto ministeriale (Ministro dell’economia e delle finanze per banche e sim, Ministro delle attività produttive per assicurazioni) su proposta dell’autorità di vigilanza (Banca d’Italia, Consob, Isvap) può essere aperta la procedura di:o amministrazione straordinaria è sufficiente la sola previsione di gravi perdite.o liquidazione coatta amministrativa se le perdite previste sono di eccezionale gravità.La gravità è valutata in base alla sussistenza delle possibilità di risanamento infatti se la situazione è irrimediabile (perdite gravissime) è aperta la procedura liquidatoria altrimenti (perdite gravi) è aperta l’amministrazione straordinaria che è volta al risanamento.

società di capitali sono previste misure correttive per le perdite di gestione rilevanti che riducono di oltre 1/3 il capitale sociale perché se entro l’esercizio successivo la perdita non è diminuita a meno di 1/3, l’assemblea deve ridurre il capitale in proporzione alle perdite accertate (art. 2446, 2482bis) inoltre se il capitale è inferiore al minimo legale, l’assemblea deve deliberarne la riduzione e il contemporaneo aumento per un importo almeno pari al minimo legale o la trasformazione della società (art. 2447, 2482ter). Tali perdite qualificate esprimono una disfunzione economica che non è necessariamente sintomatica di uno stato di crisi perché in alcuni casi (avvio di un’attività) può essere fisiologico tuttavia è dubbio se tale disciplina riesce a prevenire l’insolvenza e tutelare i creditori poiché i minimi legali di capitale sono irrisori e non garantiscono concretamente il pagamento di tutti i debiti.

b. squilibrio finanziario l’attività è finanziata con modesti mezzi propri e prevalentemente con mezzi di terzi. Tale squilibrio può essere vantaggioso (leva finanziaria) se il reddito atteso dall’impiego delle risorse supera il loro costo o consente all’impresa di superare una fase di temporanea difficoltà mentre se supera certi limiti si può verificare una situazione patologica che porta l’impresa all’insolvenza (crisi di solvibilità irreversibile) perché la necessità di finanziamenti esterni e la difficoltà di offrire garanzie implica l’aumento del costo del credito con conseguente riduzione della redditività e della consistenza patrimoniale pertanto in alcuni casi interviene il legislatore. Lo squilibrio può essere: originario l’impresa sottocapitalizzata ab origine è volutamente

dotata di un capitale iniziale insufficiente e se è mantenuta tale, è destinata ad una condizione di instabilità permanente dovuta alla necessità di contrarre una quantità di debiti sproporzionata.

sopravvenuto l’impresa nasce con capitalizzazione adeguata e lo squilibrio deriva da qualche fattore di decadenza (perdite dovute alla riduzione di redditività che intaccano il patrimonio). L’imprenditore può apportare nuove risorse ma l’equilibrio difficilmente sarà recuperato senza un’inversione del trend economico.

Le imprese, salvo quelle operanti nei settori regolamentati (requisiti di capitalizzazione per la costituzione/sopravvivenza), possono convivere con entrambe le situazioni per un certo periodo

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di tempo tuttavia lo squilibrio finanziario è preoccupante nelle imprese con responsabilità limitata dei soci perché la sottocapitalizzazione può derivare da una scelta adottata per ridurre al minimo la ricchezza esposta al rischio d’impresa, traslando sui creditori le conseguenze di una eventuale insolvenza e tale fenomeno è favorito dalla modestia dei minimi di capitale richiesti.La sottocapitalizzazione può essere: nominale l’impresa è sufficientemente finanziata ma non nelle forme di

conferimento di capitale di rischio quindi i soci sostengono l’attività finché è redditizia e la fanno fallire in caso di difficoltà dopo aver recuperato i loro crediti, con traslazione delle perdite sui creditori. La riforma del diritto societario ha cercato di affrontare tale problema prevedendo che nelle srl il rimborso dei finanziamenti concessi dai soci alla società in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività, risulta un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento, è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori e, se avvenuto nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento della società, deve essere restituito (art. 2467). La stessa regola si applica ai finanziamenti effettuati a società soggetta a direzione e coordinamento da parte di chi eserciti tale attività o di altre società del gruppo (art. 2497quinquies).

sostanziale sono assenti norme contrastanti la carenza d’investimenti di capitale adeguati allo svolgimento dell’attività infatti solo per la costituzione dei patrimoni destinati ad uno specifico affare è richiesto un piano economico – finanziario da cui risulti la congruità del patrimonio rispetto alla realizzazione dell’affare (art. 2447ter).

c. squilibrio patrimoniale l’attivo dell’impresa è inferiore al passivo tuttavia pur non avendo i mezzi per fronteggiare l’indebitamento, l’impresa può essere solvibile se riesce ad ottenere da terzi le risorse per adempiere regolarmente alle obbligazioni o una dilazione delle scadenze. Tale squilibrio risulta più o meno preoccupante a seconda dell’andamento economico dell’impresa e normalmente si accompagna ad uno squilibrio finanziario. Se lo squilibrio patrimoniale non genera quello finanziario e non si traduce in insolvenza, l’ordinamento interviene solo indirettamente prevedendo nelle società di capitali, la responsabilità degli amministratori verso i creditori per l’inosservanza degli obblighi sulla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale (art. 2394). Nelle attività di settore sono previste misure più dirette che impongno il rispetto di standard di patrimonializzazione e coefficienti di solvibilità adeguati a fronteggiare in modo continuo l’esposizione al rischio pertanto le authority di settore hanno la potestà regolamentare e tali requisiti sono oggetto di armonizzazione comunitaria.

2) Le soluzioni della crisiI requisiti dell’attività d’impresa sono l’organizzazione, l’economicità e la professionalità (art. 2082) pertanto la crisi d’impresa, essendo una situazione di squilibrio tra attività e passività, considera soprattutto il requisito dell’economicità secondo cui la politica dei prezzi dei beni/servizi venduti deve essere idonea a remunerare i fattori produttivi cioè i ricavi devono coprire i costi (pareggio). Ai fini della nozione di crisi d’impresa si distinguono due situazioni:1. problema interno la crisi non necessita di un intervento di regolazione.2. problema esterno la crisi necessita di un intervento di regolazione come l’imposizione di una

procedura concorsuale, per bloccare l’esercizio dell’attività evitando l’effetto domino per cui la crisi dell’impresa può provocare l’insolvenza delle altre imprese che hanno relazioni con essa; tale effetto è molto pericoloso soprattutto nella realtà italiana basata su piccole e medie imprese.

Inoltre lo stato di crisi è un concetto ampio che comprende diversi livelli di gravità:1. situazioni di squilibrio la situazione patrimoniale, economica o finanziaria dell’impresa può

determinare il rischio d’insolvenza quindi è un concetto generale non rilevante giuridicamente ai fini delle procedure concorsuali, se la crisi rimane un problema interno all’impresa.

2. rischio di insolvenza l’imprenditore ha delle difficoltà perché pur essendo in grado di adempiere le proprie obbligazioni scadute è prevedibile che non sarà in grado di adempiere le obbligazioni di

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prossima scadenza. In questo caso, la procedura concorsuale non può essere imposta all’imprenditore ma è solo quest’ultimo che può deciderne spontaneamente l’accesso. Si tratta di una situazione recuperabile infatti la denuncia tempestiva da parte dell’imprenditore di tale difficoltà nell’adempimento può favorire il ripristino della situazione fisiologica.

3. stato di insolvenza situazione patologica che impedisce il ripristino di quella fisiologica perché l’imprenditore non è in grado di adempiere regolarmente le obbligazione. In questo caso, l’ordinamento può imporre l’assoggettamento alle procedure concorsuali coattive, la cui apertura può avvenire su iniziativa dei creditori o del pubblico ministero. In tal caso l’imprenditore perde la facoltà di disporre liberamente del proprio patrimonio che sarà gestito, anche contro la sua volontà, dagli organi della procedura a tutela dell’interesse dei creditori o nelle procedure con finalità di risanamento, a tutela degli interessi più generali che la crisi dell’impresa può pregiudicare.

La disciplina tende a favorire le soluzioni che assicurano la tempestiva rimozione delle situazioni di crisi, prevenendo dei dissesti con l’intervento in situazioni in cui si manifesta il rischio di insolvenza inoltre cerca di impedire che l’imprenditore in grado di superare la crisi con mezzi propri o autonomamente reperiti, faccia riscorso ad una procedura che gli consente un adempimento agevolato delle obbligazioni sacrificando gli interessi dei creditori. In generale, la crisi d’impresa può essere affrontata con:1. soluzioni stragiudiziali l’imprenditore per cercare di risanare l’impresa o cessare l’attività senza

incorrere in una procedura fallimentare, può concludere accordi con tutti/alcuni dei creditori per ottenere una riduzione dei debiti o una dilazione delle scadenze purché tali accordi non ledano gli interessi dei creditori.

2. soluzioni giudiziali se la crisi non è stata superata con l’accordo oppure non è stato tentato il raggiungimento dell’accordo, la legge applica obblighi/vincoli a carico dell’imprenditore per la tutela degli interessi coinvolti e in presenza di crisi qualificate (insolvenza, rischio di insolvenza) sono attivate le procedure concorsuali.

La considerazione degli interessi pregiudicati dall’assoggettamento di un’impresa ad una procedura concorsuale ha favorito impostazioni più favorevoli alla conservazione dell’organizzazione imprenditoriale se vi è una possibilità di ripresa e anche dove non vi sono prospettive di risanamento o mancano i presupposti per trovare l’accordo con i creditori, l’ordinamento privilegia le modalità di liquidazione del patrimonio che assicurano l’integrità degli assetti aziendali evitando la perdita del potenziale produttivo. A prescindere dallo strumento di regolazione della crisi adottato, l’esito di tale regolazione può essere:1. risanamento l’impresa viene recuperata grazie all’accordo con i creditori cioè al loro sacrificio

perché la loro posizione viene stralciata o viene dilazionata.2. espulsione si distinguono due casi:

a. cessione d’azienda si ha l’espulsione dell’imprenditore ma non dell’impresa ed è la soluzione preferibile perché conservando l’organismo produttivo l’attività continua ad essere svolta seppure da un altro imprenditore, inoltre sono tutelati sia i dipendenti (continuità del rapporto di lavoro con le stesse mansioni in capo al cessionario art. 2112), che i fornitori.

b. cessione atomistica dei beni del complesso aziendale si ha l’espulsione dell’impresa ma non dell’imprenditore che decide di abbandonare l’attività in crisi per intraprenderne un’altra come nel caso in cui costituisca una nuova società ad hoc che assumerà il concordato dell’impresa in crisi pertanto l’imprenditore continua ad esercitare la vecchia attività ma con un’impresa nuova “pulita”. Tale soluzione è la peggiore per l’impresa perché i singoli beni sono ceduti ad un valore depresso essendo svincolati dall’esercizio dell’attività di impresa quindi lo stato di insolvenza viene scaricato sui creditori.

L’ordinamento italiano prevede una pluralità di procedure concorsuali cioè tecniche/strumenti che svolgono la funzione di regolazione della crisi tramite un soddisfacimento totale/parziale dei creditori: 1. concordato preventivo 2. fallimento 3. liquidazione coatta amministrativa imprese operanti in settori d’interesse pubblico.4. amministrazione straordinaria per le grandi e grandissime imprese.

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Il diritto comune prende in considerazione il soggetto che non esercita impresa pertanto ha esigenze diverse rispetto al diritto commerciale/fallimentare che considerano l’attività di impresa. Tale differenza di interessi giustifica le deroghe ai principi generali di diritto comune in alcune materie (contratti, responsabilità), evidenziando le peculiarità del fenomeno d’impresa rispetto al fenomeno soggettivo. L’aggettivo concorsuali sottolinea che con l’apertura della procedura partecipano tutti i creditori, in concorso tra loro, sull’intero patrimonio del debitore (universalità) pertanto a fronte dell’insolvenza dell’imprenditore, la disciplina speciale contenuta nella legge fallimentare deroga al principio del diritto comune secondo cui il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni, con tutti suoi beni presenti e futuri (art. 2740). Tale deroga riguarda:1. presupposti il debitore è responsabile per il singolo inadempimento mentre per l’imprenditore è

necessario lo stato di insolvenza o rischio di insolvenza a prescindere dal singolo inadempimento. 2. procedura nel caso del debitore la procedura è individuale cioè ciascun creditore può agire

singolarmente per la soddisfazione del proprio credito mentre nel caso dell’imprenditore la procedura è collettiva perché riguarda tutti i creditori.

3. principi ed interessi tutelati la legge fallimentare tutela gli interessi dell’impresa che esorbitano dalla sfera dell’imprenditore e dei suoi creditori cioè vengono considerati interessi collettivi (meta individuali) che vanno oltre la mera sfera individuale.

Da tali elementi si evince la peculiarità dell’impresa sotto un duplice profilo:1. ricorso al credito in generale il ricorso al credito è un fatto eccezionale per coloro che non

esercitano attività di impresa mentre per l’imprenditore è un fatto ordinario. 2. ripartizione paritaria dell’insolvenza sulla collettività dei creditori il principio della parità di

trattamento aveva un valore assoluto prima della riforma mentre oggi ha un valore relativo perché è possibile suddividere i creditori in classi operando una disparità di trattamento tra creditori appartenenti a classi diverse, tuttavia la parità di trattamento deve essere rispettata in ogni classe.

Le imprese non sono tutte assoggettate alle procedure concorsuali e una prima distinzione riguarda:1. debitore commerciale solo le imprese sono assoggettate alle procedure concorsuali.2. debitore civile il singolo consumatore non è assoggetto alle procedure concorsuali.

Nell’ordinamento tedesco invece, seppur con una procedura semplificata, anche il debitore civile è assoggettato alle procedure concorsuali e in quello spagnolo, la riforma del 2003 ha addirittura previsto una disciplina unificata per il debitore commerciale e per quello civile.

3) Insolvenza e crisi dell’impresa nella disciplina delle procedure concorsualiL’insolvenza, è il presupposto oggettivo di alcune procedure concorsuali (fallimento e amministrazione straordinaria) che si manifesta con inadempimenti o altri fatti esteriori dimostranti l’incapacità dell’imprenditore di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni secondo le modalità e scadenze previste dal titolo che le ha originate (art. 5). I principali problemi riguardano:1. rapporto tra insolvenza e inadempimento non vi è una coincidenza tra l’inadempimento e

l’insolvenza poiché quest’ultima è l’incapacità dell’imprenditore di adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni assunte quindi gli inadempimenti sono solo dei sintomi di una condizione più complessa. Il termine regolarmente non significa però, il solo pagamento alle scadenze pattuite, ma implica anche un profilo di strumentalità per cui i mezzi con cui adempie devono essere normali cioè devono rientrare nell’ordinario esercizio d’impresa inoltre la regolarità deve essere valutata in una prospettiva di continuazione dell’attività. L’imprenditore inadempiente può non essere insolvente, pertanto il creditore ha a disposizione solo gli strumenti civilistici per ottenere la sua soddisfazione, e viceversa l’imprenditore adempiente può non essere solvente. Alcuni mezzi anomali per l’adempimento delle obbligazioni assunte sono la restituzione della merce che l’imprenditore non è in grado di pagare, il pagamento tramite la cessione dei crediti, i prestiti usurari o gli anticipi dalle banche. Tuttavia in alcuni casi, seppure il mezzo sia normale, ne risulta anormale il modo con cui è stato procurato come nel caso di una rovinosa liquidazione dei beni o nel caso di vendita dei beni strumentali all’esercizio dell’attività d’impresa. Analogamente l’impresa è considerata insolvente se i suoi creditori possono essere soddisfatti solo a prezzo di un’ulteriore attività rispetto a quella

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normalmente richiesta per ottenere l’adempimento come nel caso delle società commerciali con un patrimonio stabilmente insufficiente e soci illimitatamente responsabili ma solvibili. In tal caso infatti, a causa del beneficio di preventiva escussione, i creditori possono agire verso i soci solo dopo aver preventivamente escusso il patrimonio sociale senza successo.

2. profilo temporale rilevante in relazione al periodo in cui l’imprenditore non deve adempiere per essere considerato insolvente, si distinguono due ipotesi:a. difficoltà momentanea l’imprenditore è in grado di reperire entro un ragionevole lasso

di tempo mezzi normali idonei a reperire la liquidità necessaria per estinguere le passività. Ai fini dell’insolvenza, secondo un criterio di ragionevolezza tale difficoltà non è rilevante.

b. difficoltà temporanea l’imprenditore non è in grado di reperire entro un ragionevole lasso di tempo mezzi normali idonei a reperire la liquidità necessaria per estinguere le passività. Secondo la dottrina prevalente, un anno o due, non è considerato un periodo ragionevole ma ovviamente tale valutazione dipende dall’ammontare del debito.

In generale, l’insolvenza non implica l’irreversibilità della crisi perché l’imprenditore insolvente potrebbe ripristinare una situazione di normalità e questo si desume dalla disciplina dell’amministrazione straordinaria che pur avendo come presupposto l’insolvenza, ha come obiettivo sia la liquidazione che il ripristino della situazione mantenendo il complesso produttivo.

3. rapporto tra insolvenza e relative manifestazioni le manifestazioni sono indizi da cui si può desumere la presenza dell’insolvenza e in base a tale rapporto si distinguono due dottrine:a. prima dottrina le manifestazioni dell’insolvenza devono essere necessariamente

integrate cioè sono un elemento indefettibile che deve ricorrere perché possa dirsi sussistente lo stato di insolvenza.

b. seconda dottrina le manifestazioni dell’insolvenza sono solo possibili indizi dell’insolvenza stessa che non sono indefettibili perché potrebbe essere desunta da altri elementi.

La prima teoria è ritenuta più accettabile perché garantisce una maggiore certezza e tutela maggiormente l’imprenditore sottraendolo da valutazioni soggettive e discrezionali. Le principali manifestazioni dell’insolvenza sono:a. inadempimento;b. altri fatti esterni protesto dei titoli che incorporano le obbligazioni gravanti

sull’imprenditore, pendenza di procedimenti esecutivi contro l’imprenditore (pignoramento), iscrizioni di ipoteche sui beni dell’imprenditore o sequestri conservativi.

L’inadempimento non è di per se sufficiente a determinare l’insolvenza pertanto non lo sono neanche le manifestazioni dell’insolvenza. Ad esempio, la svendita dei beni potrebbe essere giustificata se tali beni sono fuori moda e la liquidazione dei beni strumentali potrebbe essere giustificata dalla volontà di rinnovo. La prova dell’insolvenza è indiziaria cioè bisogna capire se la pluralità di elementi a disposizione concorrono a creare un quadro grave, preciso e concordante in ordine all’esistenza dello stato di insolvenza ovviamente un numero maggiore di indizi rende più stringente il quadro probatorio a carico dell’imprenditore. Un importante strumento di riscontro ai fini dell’accertamento dell’insolvenza è il bilancio pertanto si distinguono due casi:a. eccedenza dell’attivo sul passivo l’insolvenza è compatibile con un patrimonio netto

perché le poste dell’attivo potrebbero essere difficilmente liquidabili pertanto una valutazione negativa di tale situazione patrimoniale da parte degli istituti di credito implica l’impossibilità da parte dell’imprenditore di ottenere dei prestiti per fronteggiare la crisi di liquidità. Tuttavia tale eccedenza potrebbe essere apprezzata dagli istituti di crediti e pertanto l’imprenditore ottenendo i prestiti può fronteggiare la crisi di liquidità evitando l’insolvenza.

b. eccedenza del passivo sull’attivo la perdita d’esercizio non implica necessariamente l’insolvenza perché se c’è una prospettiva di recupero di liquidità a breve termine, l’imprenditore può fronteggiare la crisi di liquidità.

1. insolvenza nei gruppi la realtà imprenditoriale italiana non è caratterizzata da società monadi ma da gruppi di società in cui l’attività è esercitata da più società collegate tra loro a vario

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titolo (società controllate, controllanti o rapporto di collegamento) e a tale pluralità di entità giuridicamente autonome corrisponde un unico centro di interesse. L’attività viene esercitata tramite una struttura di gruppo per alleggerire la struttura produttiva, decentrare l’attività e limitare la responsabilità. Un esempio di gruppo si ha nel caso in cui la società madre produce dei beni che vengono assemblati da una seconda società e commercializzati da una terza. Bisogna individuare quindi il rapporto tra l’insolvenza della singola società del gruppo e l’insolvenza delle altre società che fanno parte dello stesso gruppo. Molto spesso i rapporti tra le singole società del gruppo sono così ristretti per cui l’insolvenza di una società implica l’espansione dell’insolvenza alle altre società del gruppo. Tali rapporti possono derivare dal caso in cui una società abbia effettuato numerosi finanziamenti ad un’altra società insolvente. Ci sono due diversi modi per affrontare l’insolvenza nei gruppi di società:a. abbandono la società insolvente viene abbandonata dal gruppo. b. politica assistenziale la società insolvente viene aiutata dal gruppo.Spesso le imprese che fanno parte di un gruppo sono di grandi dimensioni pertanto si opta per l’amministrazione straordinaria e l’esperienza dimostra come nel 90% dei casi, la crisi della singola società riguarda anche le altre società del gruppo inoltre molto spesso alcune di loro restano in bonis o vengono dichiarate tutte insolventi. Secondo la giurisprudenza (cassazione), ai fini dell’accertamento dello stato d’insolvenza di una società, deve essere considerata la situazione economico-finanziaria della singola società anche se fa parte di un gruppo. Tale criterio è discutibile perché contrasta con la norma sui vantaggi compensativi secondo cui il danno non sussiste se è compensato da eventuali vantaggi, pertanto ai fini della valutazione dello stato di insolvenza, sarebbe opportuno utilizzare un criterio sostanziale considerando il contesto in cui è inserita tale società cioè il gruppo. Tuttavia si ha un’apertura minima verso questa direzione perché la giurisprudenza considera l’insolvenza di una società come sintomo dell’insolvenza in cui versano le altre società del gruppo stesso.

Infine, la legge ha specificato che per stato di crisi s’intende anche lo stato d’insolvenza (art. 160 c2) escludendone la coincidenza.

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CAPITOLO 3: IL SISTEMA DELLE PROCEDURE CONCORSUALI

1) Le discipline della crisi dell’impresa: evoluzione storica e principali modelli stranieriIl fallimento nasce nella societas mercatorum medioevale come sanzione della corporazione contro il mercante che infrangeva le regole dell’attività mercantile perché l’insolvenza, di cui la fuga del mercante era la principale manifestazione, contrastava con i valori deotologici pertanto le sanzioni avevano carattere penale a prescindere dalle cause dell’insolvenza. Nel tempo il diritto fallimentare è evoluto da una concenzione soggettiva, affittiva e sanzionatoria ad una concezione oggettiva basata sull’attività d’impresa e diretta a realizzare un miglior contemperamento tra la tutela dei creditori dell’imprenditore insolvente e la salvaguardia dell’organismo produttivo, valorizzazione delle attività e pluralità di interessi coinvolti. La progressiva razionalizzazione della disciplina è avvenuta con:1. distinzione tra fallimenti colpevoli ed incolpevoli 2. introduzione di nuovi istituti per l’imprenditore onesto ma sfortunato al fine di agevolare la

prevenzione e le soluzioni concordate della crisi d’impresa.3. referente della disciplina non solo l’imprenditore ma anche l’impresa con una crescente

attenzione alla conservazione e ricollocazione sul mercato del complesso produttivo. Fino al secolo scorso in Italia e nei principali ordinamenti dell’Europa continentale, il profilo sanzionatorio del fallimento non è stato separato da quello satisfattivo, conservando un pregiudizio morale infamante verso il fallito mentre il sistema inglese e quello statunitense sono stati i primi ad operare tale scissione considerando come obiettivo della disciplina fallimentare la sistemazione dell’insolvenza e non la sanzione. Tale impostazione ha indotto questi ordinamenti a favorire l’incontro tra le parti (debitore e creditori) nella ricerca di soluzioni concordate delle crisi per evitare la liquidazione dell’impresa e ricollocare sul mercato le parti ancora vitali. Un percorso evolutivo si è verificato anche nei principali ordinamenti continentali:1. Francia è prevista un’unica procedura contraddistinta da due fasi, una diretta al risanamento

e l’altra alla liquidazione fallimentare. 2. Germania è prevista una procedura unitaria d’insolvenza diretta al soddisfacimento

concorsuale dei creditori ma prevede la possibilità di gestire l’insolvenza ricorrendo ad un piano che consente dalla dichiarazione dell’insolvenza (per le società, ove l’iniziativa parte dagli stessi organi sociali, è sufficiente il solo rischio d’insolvenza) una soluzione alternativa alla liquidazione fallimentare, funzionale alla conservazione dell’impresa e al trasferimento delle parti vitali della stessa.

2) Le fonti del diritto fallimentare italiano: dalla legge fallimentare alla riforma del 2006Le fonti del diritto fallimentare italiano sono:1. legge fallimentare (r.d. 267/1942) concordato preventivo (compresi gli accordi di

ristrutturazione del debito), il fallimento e una parte della liquidazione coatta amministrativa inoltre prevede norme penali relative alla bancarotta e agli altri reati fallimentari.

2. legge Prodi bis (D.Lgs. 270/1999) amministrazione straordinaria delle grandi imprese.3. decreto Parmalat (D.L. 347/2003 - L. 39/2004) amministrazione straordinaria delle imprese

rilevanti.4. leggi speciali sono riferite all’impresa o alla categoria d’imprese assoggettate ed

integrano/derogano le regole generali contenute nella legge fallimentare. 5. Reg. CE 1346/2000 è direttamente applicabile negli Stati membri e disciplina le procedure di

insolvenza transnazionali per agevolare l’apprensione dei beni del fallito che si trovino in uno Stato dell’Unione diverso da quelle in cui il fallimento è dichiarato.

La riforma della legge fallimentare è avvenuta con il D.L. 35/2005 (convertito dalla L. 80/2005) e il D.Lgs. 5/2006 (integrato dalle disposizioni correttive del D.Lgs. 169/2007), le cui linee portanti sono:1. aspetti sanzionatori ed afflittivi è venuta meno l’idea secondo cui l’imprenditore insolvente

aveva compiuto nel proprio interesse atti in frode alla legge e a scapito dei creditori pertanto:

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a. riduzione conseguenze penali per l’imprenditore insolvente inoltre è stato abolito il pubblico registro dei falliti.

b. disciplina meno penalizzante dei terzi che trattato con l’imprenditore la revocatoria ordinaria (art. 2901) è un mezzo di conservazione della garanzia patrimoniale che consente il recupero di beni fraudolentemente usciti dal patrimonio del debitore con cui il creditore può domandare che siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti, gli atti di disposizione con i quali il debitore reca pregiudizio alle sue ragioni se c’è un accordo fraudolento tra il debitore e il terzo a cui il bene è trasferito. La revocatoria fallimentare svolge anch’essa tale funzione di conservazione della garanzia patrimoniale ma si basa su presupposti in parte diversi. Se l’imprenditore insolvente, prima che sia dichiarato fallito, vende sotto costo un bene, reca un danno ai creditori perché con quella liquidità può decidere quali creditori soddisfare oppure potrebbe trattenersi la somma ricavata. Tuttavia se non fossero previsti dei limiti al ricorso alla revocatoria fallimentare, nessuno porrebbe atti in essere con l’imprenditore in presenza di un rischio che tale atto venga assoggettato a revocatoria e tale situazione implicherebbe una paralisi dell’attività di impresa ancora prima della dichiarazione di fallimento, impedendo così all’imprenditore di ripristinare una situazione di solvenza.

2. concordato preventivo, accordi di ristrutturazione, piani di risanamento è stata introdotta una nuova disciplina più duttile del concordato e nuovi istituti per agevolare sia la soluzione concordata che la prevenzione delle crisi economiche inoltre è stata abrogata l’amministrazione controllata.

3. rapporti tra gli organi della procedura sono stati ridefiniti prevedendo un ruolo più marginale degli organi giudiziari a favore del curatore e del comitato dei creditori.

4. procedura liquidatoria un elemento decisivo ai fini di una più proficua liquidazione del patrimonio è la conservazione degli organismi produttivi o delle parti ancora vitali.

5. accertamento del passivo, liquidazione e riparto dell’attivo la nuova disciplina mira a semplificare gli adempimenti e ad accelerare la procedura.

6. soluzioni concordate maggiore apertura al superamento della crisi con la ristrutturazione dei debiti ed è consentita la suddivisione dei creditori in classe secondo l’eterogeneità degli interessi.

7. esdebitazione l’imprenditore fallito meritevole può ottenere la liberazione dai debiti non soddisfatti nella procedura concorsuale pertanto può avviare nuove attività d’impresa senza i debiti pregressi e introducendo un incentivo a chiedere la dichiarazione di fallimento.

3) La disciplina transitoriaLa prima tappa della riforma (D.L. 35/2005) non ha previsto una disciplina transitoria pertanto è intervenuto il legislatore nelle legge di conversione (L. 80/2005) prevedendo: 1. concordato preventivo le nuove disposizioni sono applicate ai procedimenti pendenti e non

omologati alla data di entrata in vigore del decreto ma non sono state chiarite le modalità attuative.2. revocatoria fallimentare applicabile alle azioni promosse in procedure iniziate dopo l’entrata

in vigore del decreto.La seconda tappa della riforma (D.Lgs. 5/2006) ha invece previsto una disciplina transitoria:1. fallimento e concordato fallimentare i ricorsi per ottenere la dichiarazione di fallimento e le

domande di ammissione al concordato depositati prima dell’entrata in vigore del decreto (16/07/2006), come le procedure pendenti a tale data, sono disciplinati dalla legge anteriore.

2. effetti personali del fallimento e disposizioni abrogative entrano in vigore con la pubblicazione del decreto nella GU (16/01/2006) e sono applicabili anche ai fallimenti pendenti.

3. esdebitazione l’istituto è applicato anche ai fallimenti pendenti all’entrata in vigore della seconda tappa della riforma (16/07/2006) e per le procedure chiuse all’entrata in vigore (01/01/2008) delle disposizioni correttive (D. Lgs. 169/2007) la domanda di esdebitazione può essere presentata entro l’anno successivo (31/12/2008).

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4) Dimensioni e oggetto dell’impresa: procedure giurisdizionali e procedure amministrativeLe procedure concorsuali si differenziano per:1. finalità può essere:

a. risanamento mirano alla continuazione dell’impresa per consentire il mantenimento del complesso produttivo (concordato, amministrazione straordinaria).

b. liquidazione mirano allo smantellamento del complesso produttivo (fallimento, concordato, amministrazione straordinaria in alcuni casi e liquidazione coatta amministrativa).

2. presupposti sono due:a. soggettivo si distingue:

fallimento e concordato imprese commerciali non pubbliche con i requisiti dimensionali per la fallibilità (art. 1 c2) ma entro le soglie previste per l’amministrazione straordinaria.

amministrazione straordinaria delle grandi imprese con la dichiarazione dello stato di insolvenza delle imprese commerciali con indebitamento non inferiore ai 2/3 dell’attivo e dei ricavi da vendite/prestazioni e con almeno 200 dipendenti non si ha l’apertura immediata del fallimento ma inizia una fase volta alla verifica della presenza di concrete prospettive di recupero dell’equilibrio economico: se queste sono presenti è aperta l’amministrazione straordinaria altrimenti la procedura si converte in fallimento.

amministrazione straordinaria delle imprese rilevanti le imprese commerciali con indebitamento non inferiore a 300 milioni di euro e 500 dipendenti possono richiedere l’ammissione immediata, senza la fase di osservazione, all’amministrazione straordinaria speciale ma anch’essa può convertirsi in fallimento.

liquidazione coatta amministrativa enti pubblici, società bancarie e società cooperative (solo per quest’ultime è prevista in via alternativa anche il fallimento).

b. oggettivo si distingue: stato d’insolvenza è imposta la procedura del fallimento, amministrazione

straordinaria o liquidazione coatta amministrativa. rischio d’insolvenza la procedura è volontaria perché solo l’imprenditore può

attivarsi per il concordato, piani di risanamento e accordi di ristrutturazione. crisi di legalità è imposta la procedura di liquidazione coatta amministrativa

ma anche nel caso di generiche ragioni di pubblico interesse.3. struttura la procedura può essere:

a. giurisdizionale nel fallimento e nel concordato preventivo, che sono dirette alla soddisfazione dei creditori ed hanno ad oggetto la garanzia patrimoniale, è coinvolta l’autorità giudiziaria.

b. amministrativa nell’amministrazione straordinaria e nella liquidazione coatta amministrativa è coinvolta l’autorità amministrativa tuttavia hanno finalità opposte cioè il risanamento nel primo caso e la liquidazione nel secondo.

5) Il fallimento: struttura e funzioneIl fallimento è la disciplina generale dell’insolvenza delle imprese commerciali private di non grandi dimensioni ma neppure piccole (art. 1 e 15) che offre regole generali estendibili alle altre procedure concorsuali (blocco azioni esecutive individuali, cristallizzazione del passivo, reati fallimentari). Si tratta di una procedura giurisdizionale la cui finalità è la soddisfazione dei creditori attraverso:1. ristrutturazione dei debiti nel concordato fallimentare. 2. distribuzione del ricavo della liquidazione il patrimonio assoggettato al fallimento è convertito

in denaro e distribuito proporzionalmente secondo un ordine inderogabile previsto dalla legge. La disciplina contiene norme per la valorizzazione del patrimonio assoggettato alla procedura al fine di evitare la disgregazione del complesso produttivo:

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1. spossessamento l’amministrazione del patrimonio destinato a garantire i creditori è sottratta all’imprenditore ed è affidata agli organi della procedura, della quale è investito il tribunale (autorità giudiziaria) nella cui circoscrizione ha sede l’impresa insolvente.

2. blocco azioni esecutive individuali per garantire la parità di trattamento dei creditori il patrimonio è “riparato” dalle iniziative individuali dei singoli creditori che possono incidere sulla consistenza ed alterare l’ordine previsto dalla legge pertanto i creditori devono far accertare il loro credito secondo le norme del concorso, le azioni esecutive iniziate o da iniziare sono assorbite nell’unica procedura fallimentare e le azioni giudiziali incidenti sul patrimonio fallimentare, sono accentrate nel curatore che è l’organo amministrativo competente alla conservazione, amministrazione e liquidazione di tale patrimonio sotto la vigilanza del giudice delegato e del comitato dei creditori.

3. revocatoria fallimentare mezzo previsto dalla legge fallimentare per garantire la par condicio creditorum in quanto consente di ricostituire il patrimonio eliminando gli effetti degli atti compiuti dal fallito nel periodo di tempo tra il verificarsi dell’insolvenza (e conoscenza di tale status da parte dell’avente causa del fallendo) e la dichiarazione di fallimento.

4. migliore soddisfazione dei creditori tale interesse dei creditori è tutelato da istituti che consentono di realizzare il maggior valore possibile del patrimonio cioè una vendita più proficua:a. esercizio provvisorio dell’impresa è disposto dal tribunale con la sentenza dichiarativa

di fallimento o è autorizzato successivamente dal giudice delegato, su proposta del curatore, previo parere favorevole del comitato dei creditori quando la cessazione dell’attività comporta una dispersione dei valori che implicano gravi danni per i creditori stessi. Inoltre il comitato può ottenere la cessazione dell’esercizio provvisorio se non risulta più funzionale al suo interesse.

b. affitto d’azienda è autorizzato dal giudice delegato, su proposta del curatore, previo parere favorevole del comitato dei creditori ma la durata deve essere compatibile con l’esigenza di liquidazione dei beni. Tale istituto consente la prosecuzione dell’impresa e la conservazione del suo valore traslando il rischio economico della gestione provvisoria sull’affittuario ed assicurandosi un incremento dell’attivo fallimentare pari ai canoni pattuiti.

c. vendita in blocco è favorita dalla legge rispetto alla liquidazione parcellizzata dei singoli beni/diritti che pertanto è relegata a soluzione residuale quando è prevedibile che la vendita unitaria non consente una maggiore soddisfazione dei creditori.

6) Le procedure amministrativeLe procedure amministrative sono:1. amministrazione straordinaria è una procedura amministrativa la cui finalità è la

conservazione dell’impresa e la ricollocazione sul mercato delle sue parti ancora vitali attraverso la prosecuzione, riattivazione o riconversione delle attività. Tale finalità prevale rispetto alla soddisfazione dei creditori infatti in presenza di concrete possibilità di recupero dell’equilibrio economico è imposta la prosecuzione dell’attività rinunciando alla liquidazione del patrimonio anche se offre una più sicura/rapida realizzazione dell’interesse creditorio tuttavia in assenza delle prospettive di recupero, l’impresa rimane assoggettata alla procedura fallimentare. La procedura è stata introdotta alla fine degli anni ’70 e si articola in 2 fattispecie:a. comune (D.Lgs. 270/1999 ) per le grandi imprese insolventi che singolarmente o in gruppo

hanno almeno 200 dipendenti ed un indebitamento non inferiore ai 2/3 sia dell’attivo che del fatturato dell’ultimo esercizio, si hanno due fasi: prima fase periodo di osservazione e gestione temporanea sotto il controllo

dell’autorità giudiziaria che valuta la sussistenza dei presupposti per il risanamento e la collocazione sul mercato del complesso aziendale.

seconda fase eventuale se la valutazione positiva inizia l’amministrazione straordinaria altrimenti si ha la dichiarazione di fallimento e l’apertura della relativa procedura.

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a. speciale (D.L. 347/2003 con. L. 39/2004) le imprese commerciali con indebitamento non inferiore a 300 milioni di euro e 500 dipendenti possono richiedere al Ministro delle attività produttive, l’emanazione di un decreto che dispone l’ammissione alla procedura senza la fase d’osservazione e nomina il commissario straordinario mentre la sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza è rinviata. Il commissario può proporre ai creditori un concordato che soddisfi i loro crediti anche in forme diverse dal denaro, ristrutturando e liberando l’impresa dai suoi debiti.

2. liquidazione coatta amministrativa è una procedura amministrativa prevista per certe categorie d’impresa operanti in prevalenza in settori d’interesse pubblico o sottoposte a particolari controlli (società bancarie, enti pubblici, società cooperative) la cui finalità è la liquidazione e lo scioglimento dell’impresa/ente. Tale procedura è disciplinata dalle singole leggi speciali che integrano/derogano le disposizioni comuni dettate dalla legge fallimentare la cui applicazione è pertanto residuale. La liquidazione coatta amministrativa può essere disposta in assenza di crisi economiche se sono accertate gravi irregolarità nella gestione ma possono essere sufficienti solo generiche ragioni di pubblico interesse che, ad insindacabile giudizio dell’autorità, impongono la soppressione dell’ente anche se non insolvente. In presenza dello stato di insolvenza si ha l’apertura obbligatoria della procedura per le imprese assoggettate ad essa e l’accertamento del presupposto oggettivo è rimesso al tribunale del luogo ove si trova la sede principale dell’impresa quindi sono applicabili le norme sugli atti compiuti in pregiudizio dei creditori e le sanzioni penali previste nel fallimento.

7) Soluzioni negoziate e prevenzione delle crisiL’ordinamento prevede una disciplina unitaria degli strumenti diretti a prevenire l’assoggettamento alle procedure concorsuali con una soluzione transattiva della crisi consistente nell’accordo dell’imprenditore con i creditori per ottenere una decurtazione dei debiti o una dilazione delle scadenza e in base alle modalità di raggiungimento dell’accordo si distingue tra:1. piani di risanamento sono diretti a garantire il riequilibrio della situazione finanziaria e sono

una soluzione privata (extragiudiziale) perché l’accordo è raggiunto senza l’intervento/controllo dell’autorità giudiziaria (tribunale):a. vantaggio è un atto unilaterale che può rimanere riservato perché non richiede il

consenso di tutti i creditori pertanto il problema rimane all’interno dell’impresa e vi è la massima libertà nella ricerca della soluzione più adeguata, senza alcun controllo esterno.

b. svantaggio l’accordo è vincolante solo per i creditori che vi partecipano pertanto non libera l’imprenditore dal rischio che altri creditori possano presentare istanza di fallimento, infatti per evitare che l’assenza di un controllo esterno leda i creditori non partecipanti, soprattutto quelli deboli, non sono precluse le iniziative individuali di tali creditori volte al loro soddisfacimento. Tuttavia è richiesta un’attestazione di idoneità del piano, al raggiungimento della sua finalità, da parte di un esperto che assume rilevanza giuridica perché pone al riparo da future azioni revocatorie gli atti compiuti in sua esecuzione ed agevola la continuazione dell’attività d’impresa.

In conclusione, tale soluzione è opportuna solo se l’accordo è raggiunto con una massa di crediti rilevante (a prescindere dal numero dei creditori) e sono reperibili le risorse necessarie al soddisfacimenti dei creditori non aderenti.

2. concordato preventivo è una soluzione pubblica (giudiziale) perché l’accordo tra il debitore e i suoi creditori è raggiunto nella procedura con l’intervento/controllo dell’autorità giudiziaria tuttavia non è soppressa l’autonomia dei privati perché il contenuto individuato dall’imprenditore è sottoposto all’unica condizione che i creditori lo accettino in base ad una loro valutazione sul merito (convenienza) pertanto l’autorità giudiziaria esegue solo un controllo di legittimità. Tale procedura volontaria è applicata sia in caso d’insolvenza che in stato di crisi e in genere persegue finalità di risanamento ma può perseguire anche finalità liquidatorie.

3. accordi di ristrutturazione è una soluzione ibrida (mista) perché l’accordo è raggiunto in parte extragiudizialmente e in parte giudizialmente (art. 182bis).

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La disciplina di queste soluzioni viene meno con l’apertura delle singole procedure tuttavia non è preclusa la possibilità di concordati successivi (concordato fallimentare). Inoltre le soluzione transattive sono concepite per ogni impresa commerciale (portata generale) ma la proponibilità del concordato preventivo è controversa per le imprese soggette alle procedure amministrative considerando l’esplicita esclusione delle banche/assicurazioni.

8) Rapporti ed interferenze tra le diverse procedureI rapporti tra le procedure devono essere stabiliti quando si ha:1. concorso di procedure con lo stesso presupposto oggettivo può essere:

a. stato di crisi la scelta dipende dagli accordi raggiungibili con i creditori.b. stato di insolvenza il presupposto soggettivo solitamente esclude il concorso salvo quello tra

fallimento e liquidazione coatta amministrativa di enti (società cooperative commerciali) per i quali una norma speciale prevede la soggezione ad entrambe le procedure. In questo caso è applicato il criterio della prevenzione secondo cui prevale la procedura aperta per prima.

2. successione delle procedure si ha un aggravamento della situazione dell’impresa e si distingue:a. consecuzione di procedure con l’insuccesso delle soluzioni negoziate della crisi, in genere si

ha il passaggio dallo stato di crisi allo stato di insolvenza che pertanto porta all’apertura delle procedure concorsuali che lo presuppongono generando la consecuzione delle procedure tuttavia non tutti gli enti soggetti alla liquidazione coatta amministrativa sono ammessi al concordato preventivo e pertanto anche alle altre soluzioni negoziali.

b. conversione di procedure si possono verificare due casi: dall’amministrazione straordinaria al fallimento se vengono meno le concrete

prospettive di recupero dell’equilibrio economico. dal fallimento all’amministrazione straordinaria se in sede di reclamo contro la

sentenza dichiarativa di fallimento è accertato il superamento delle soglie previste o l’appartenenza dell’impresa fallita al gruppo di cui fa parte un’altra impresa sottoposta ad amministrazione straordinaria.

In questi casi si pone il problema di corretta applicazione delle norme disposte per la procedura conclusiva in merito:a. crediti prededucibili se al concordato preventivo segue il fallimento (art. 111 c2) oppure

l’amministrazione straordinaria è convertita nel fallimento, i crediti sorti nella prima procedura che implica la continuazione dell’attività devono essere soddisfatti in prededuzione cioè con preferenza rispetto agli altri creditori.

b. periodo sospetto nelle procedure successive se l’amministrazione straordinaria è convertita in fallimento (art. 49 c2 D.Lgs. 270/1999) il periodo sospetto rilevante per le azioni revocatorie decorre dall’apertura della prima procedura poiché le procedure hanno lo stesso presupposto oggettivo. Nel silenzio della legge, la giurisprudenza ha stabilito la retrodatazione del periodo sospetto all’apertura del concordato quando è seguito dal fallimento tuttavia vi sono contrasti in dottrina poiché tale soluzione è stata proposta a fronte della vecchia disciplina in cui sia il fallimento che il concordato presupponevano l’insolvenza. se Nel caso in cui al concordato preventivo segue il fallimento, la legge non dispone in merito ma la giurisprudenza, nonostante i dissesti dottrinali, ha affermato l’unitarietà delle due procedure consecutive, stabilendo la retrodatazione del periodo sospetto all’apertura del concordato.

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CAPITOLO 4: AMBITO DI APPLICAZIONE DELLE DISCIPLINE DELLA CRISI

1) Ambito di applicazione e scelte legislativeL’ambito di applicazione delle discipline della crisi è costituito dalle imprese commerciali private non piccole (art. 1) ma a tale fattispecie unitaria le varie procedure concorsuali sono applicate diversamente infatti alla regola generale che prevede l’assoggettamento alle procedure giurisdizionali si hanno delle deroghe che portano all’assoggettamento a quelle amministrative. La tecnica legislativa passa dal concetto di impresa a quello di imprenditore infatti analogamente a quanto accade nelle discipline del fenomeno imprenditoriale dove il legislatore detta la definizione di imprenditore come destinatario delle regole dell’impresa anche la crisi dell’impresa è regolata attraverso l’individuazione dell’imprenditore in crisi, quale soggetto cui vengono applicate le discipline delle procedure concorsuali. Il legislatore partendo dalla nozione di imprenditore, circoscrive al suo interno l’ambito di applicazione delle procedure concorsuali utilizzando nozioni/fattispecie del diritto commerciale o sostituendole con norme destinate ad incidere solo nella materia fallimentare.

2) La nozione generale di impresaL’imprenditore è colui che esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione/scambio di beni/servizi (art. 2082 cc) pertanto le fattispecie che non rientrano in tale nozione sono escluse dalle procedure concorsuali. Gli elementi costitutivi dell’impresa sono:1. esercizio professionale di un’attività pluralità di atti tra loro funzionalmente collegati e

finalizzati al perseguimento di un obiettivo pertanto il compimento di singoli atti separati ed autonomi, sia dal punto di vista temporale che funzionale, non costituisce un’attività pertanto sono escluse:a. imprese occasionali consistono nel compimento di una singola operazioni economica. Tuttavia si ha un’impresa se l’attività è stagionale o funzionale a realizzare una sola operazione economica di rilevanza e complessità tale da concretare una pluralità di atti tra loro funzionalmente collegati nel tempo.

2. attività diretta alla produzione/scambi di beni/servizi sono incluse tutte le attività economiche in senso lato quindi anche le imprese di investimento e le holding che svolgono attività di assunzione e gestione di partecipazione in altre imprese mentre sono escluse:a. attività di godimento di beni/diritti non producono nuovi beni/servizi.

3. attività economica esercitata con modalità da tendere alla copertura dei costi coi ricavi dell’attività pertanto non è necessario lo scopo di lucro infatti le imprese sociali sono assoggettate alla liquidazione coatta amministrativa mentre sono escluse:a. imprese di erogazione producono beni/servizi ma li forniscono gratuitamente o verso

un corrispettivo simbolico perché i costi sono coperti da fondi non derivanti dai risultati dell’attività.

4. attività organizzata devono essere organizzati i fattori produttivi ulteriori al proprio lavoro personale pertanto sono esclusi:a. lavoratori autonomi sono privi di tale organizzazione tuttavia tale distinzione ha poca

rilevanza ai fini del fallimento perché sono escluse le imprese di piccole dimensioni che in qualche modo confina con la categoria dei lavoratori autonomi.

Le professioni intellettuali sono attività che hanno tali requisiti ma per espressa volontà del legislatore non comportano la qualifica di imprenditore anche se sono volte alla produzione di servizi consistenti in una prestazione d’opera intellettuale, per la quale la legge richiede l’iscrizione in albi e la sussistenza di certi requisiti, il cui accertamento è rimesso alle associazioni professionali sotto la vigilanza dello Stato (art. 2229). Tuttavia se l’esercizio della professione è un elemento di un’attività organizzata in forma d’impresa si ha un’eccezione perché si applicano le norme sull’impresa (art. art. 2238) quindi il professionista è considerato imprenditore ed è assoggettato al fallimento, se l’attività d’impresa prevale sulla prestazione professionale (medico – casa di cura; professore – scuola priva). Inoltre l’esclusione, in coerenza col principio di irrilevanza della forma giuridica dell’impresa, prescinde il linea di massima dalla

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forma organizzativa degli esercenti le professioni intellettuali, che non assumono la qualifica di impresa sia se svolgono l’attività in forma individuale che se la svolgono in forma associata o societaria. 3) Le esclusioni dal fallimentoSono soggetti alle norme sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori commerciali privati non piccoli (art. 1) pertanto le esclusioni dal fallimento sono:1. imprese agricole (c1) in base al tipo di attività sono assoggettate al fallimento solo le imprese

commerciali con esclusione di quelle agricole. La nozione di impresa commerciale si evince dalla norma (art. 2195) che prevede l’obbligo di iscrizione nel registro delle imprese:a. attività industriale diretta alla produzione di beni o servizi il termine industriale può

significare la trasformazione delle materie prime in prodotto finito (sono escluse le imprese estrattive), o la produzione su larga scala (sono escluse le imprese artigiane). La dottrina prevalente interpreta l’aggettivo industriale come non agricolo escludendo l’esistenza dell’impresa civile per quelle attività che non rientrano in nessuna delle due nozioni. All’impresa civile non sarebbe applicato lo statuto dell’imprenditore commerciale pertanto l’obiettivo di tale interpretazione è quello di ridurre l’area di esonero dalle procedure concorsuali.

b. attività intermediaria nella circolazione dei beni;c. attività di trasporto per terra, aria o acqua;d. attività bancaria o assicurativa;e. attività ausiliarie alle precedenti.L’imprenditore agricolo è colui che esercita coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali o attività connesse (art. 2135) e quest’ultime hanno le caratteristiche delle attività commerciali ma per la connessione con le attività agricole principali sono attratte nella nozione di impresa agricola. L’esclusione dal fallimento deriva da scelte politiche che tradizionalmente hanno considerato per tali imprese, la presenza del rischio ambientale in aggiunta al rischio d’impresa generico tuttavia una volta superate certe soglie dimensionali, anche l’insolvenza dell’impresa agricola, richiederebbe procedure liquidatorie e i rimedi delle procedure concorsuali soprattutto in seguito all’ampliamento della nozione di imprenditore agricolo che si è avuto con la riforma.

2. imprese pubbliche (c1) in base al tipo di ente sono espressamente escluse le imprese pubbliche:a. imprese organo l’attività economica è esercitato dallo Stato (enti pubblici territoriali) con

complessi aziendali di cui è titolare pertanto anche in assenza di un’esclusione espressa, non sono applicate le procedure concorsuali non essendo ipotizzabile che gli effetti si producano verso lo Stato (enti pubblici territoriali).

b. enti pubblici economici l’esclusione deriva da scelte politiche e soprattutto dal fatto che il fallimento può contrastare con l’interesse pubblico. Tali enti comprendono:a. enti che hanno per oggetto esclusivo/principale un’attività commerciale sono soggetti

all’obbligo d’iscrizione nel registro delle imprese.b. enti che svolgono attività economica può essere commerciale o non commerciale.

In seguito alla privatizzazione, molte imprese pubbliche sono state trasformate in società di diritto privato soggette al fallimento a prescindere dalla misura della partecipazione pubblica al capitale.

3. imprese di piccole dimensioni (c2) in base alla dimensione dell’impresa sono escluse le piccole imprese a prescindere dalla forma organizzativa. La disciplina fallimentare non fa riferimento alla nozione di piccolo imprenditore del codice civile (art. 2083) ma prevede l’esclusione per gli imprenditori commerciali privati che hanno il possesso congiunto di tre requisiti:a. attivo patrimoniale < 300.000 €b. ricavi lordi < 200.000 € c. debiti anche non scaduti < 500.000 €Tali requisiti devono essere posseduti in ciascuno dei 3 esercizi antecedenti il deposito dell’istanza di fallimento o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore inoltre tali soglie possono essere aggiornate ogni 3 anni, con decreto del Ministro della giustizia, sulla base degli indici Istat. Prima della riforma tale articolo è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo perché considerava piccoli imprenditori

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coloro a cui non era applicata l’IRM e avevano un patrimonio investito nell’attività inferiore a 900.000£ ma col tempo, l’IRM venne sostituita dall’IRPEF e l’aumento dell’inflazione rese irrisorio l’ammontare del patrimonio. Di conseguenza erano applicati i criteri civilistici per l’individuazione del piccolo imprenditore (coltivatore diretto del fondo, artigiano, piccolo commerciante e colui che esercita un’attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei famigliari art. 2083) ma sono stati considerati illegittimi dalla Corte costituzionale perché troppo soggettivi ed incerti. Tuttavia era un falso problema di coordinamento tra le nozioni perché ognuna ha un valore applicativo relativo quindi ai fini dell’esonero da alcune disposizioni (tenuta delle scritture contabili) è osservata la definizione civilistica mentre ai fini del fallimento è osservata quella fallimentare.

Inoltre, i debiti scaduti e non pagati devono essere almeno 30.000 € affinché l’impresa possa essere dichiarata fallita (art. 15 c9).

4) Le forme di organizzazione di impresaL’impresa può avere:1. forma organizzativa societaria vengono in considerazione tre aspetti:

a. società le procedure concorsuali sono applicabili a tutte le società che esercitano un’attività commerciale e si ha l’estensione della procedura ai soci illimitatamente responsabili pertanto la dichiarazione di fallimento (snc, sas, sapa) comporta il fallimento di tali soci, anche se non sono persone fisiche (le società di capitali possono partecipare quelle di persone), in via automatica ed indipendente dal ricorso nei loro confronti dei presupposti (art. 147 c1). Tuttavia vi sono due casi in cui la procedura non viene estesa ai soci illimitatamente responsabili:– unico socio di spa e srl deriva dall’espressa esclusione delle spa e srl dalle

società in cui è prevista l’estensione ai soci illimitatamente responsabili. Il socio unico di una spa/srl risponde illimitatamente quando viola le norme sui conferimenti che devono essere liberati interamente e sulla pubblicità (art. 2325, 2462).

– accomandante sas risponde illimitatamente e solidalmente verso i terzi per tutte le obbligazioni sociali se si ingerisce nella gestione o acconsente all’inserimento del proprio nome nella ragione sociale. La giurisprudenza prevalente afferma l’estensione ma è preferibile la soluzione contraria perché l’espressa esclusione del caso precedente, avvenuta con la riforma, induce a ritenere che il legislatore ha inteso limitare l’estensione ai soci istituzionalmente a responsabilità illimitata e non a coloro che divengono tali, con carattere sanzionatorio, in seguito ad avvenimenti successivi.

Analogamente ciò si verifica anche per il concordato (salvo patto contrario) e l’amministrazione straordinaria. L’apertura della procedura concorsuale verso soci illimitatamente responsabili non comporta invece l’estensione alla società ma nelle società di persone comporta l’esclusione di diritto del socio fallito.

b. gruppi di società manca una regolamentazione delle procedure concorsuali del gruppo insolvente ma si ritiene che i presupposti per l’apertura del fallimento delle società appartenenti al gruppo deve essere verificata autonomamente per le singole società e non è previsto un coordinamento tra le diverse procedure. Una disciplina più adeguata è prevista per l’amministrazione straordinaria perché dopo l’apertura di una procedura concorsuale relativa ad un società del gruppo, le imprese del gruppo possono essere ammesse ad amministrazione straordinaria anche se non presentano i requisiti per la procedura madre e le liquidazioni coatte.

c. patrimoni destinati ad un unico affare non possono essere autonomamente sottoposti a procedure concorsuali perché se non sono integralmente soddisfatte le obbligazioni contratte per lo svolgimento dello specifico affare, si applicano solo le norme sulla liquidazione della società in quanto compatibili, tuttavia è prevista una specifica disciplina nel caso di fallimento delle società che hanno costituito tali patrimoni, basata sul principio secondo cui l’apertura della procedure non comporta il venir meno della separazione.

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2. forma organizzativa non societaria possono essere:a. consorzi sono soggetti alle procedure concorsuali se svolgono certe fasi delle imprese

consorziate perché si ha un’attività commerciale che rientra tra le attività ausiliarie mentre non sono soggetti a tali procedure e non acquistano la qualità di imprenditore se sono meri accordi restrittivi della concorrenza tra le imprese in quanto non svolgono fasi delle rispettive imprese.

b. associazioni e fondazioni sono soggette alle procedure concorsuali se esercitano un’attività commerciale (esclusiva, principale, accessoria). La norma secondo cui solo enti con oggetto esclusivo/principale l’attività commerciale devono iscriversi nel RI (art. 2201) è eccezionale perché è legate alla natura pubblica degli enti pertanto non è possibile desumere un principio generale di inapplicabilità dello statuto dell’imprenditore e delle procedure concorsuali a tutte le imprese collettive non societarie che esercitano un’attività commerciale accessoria.

c. imprese sociali sono organizzazioni private che esercitano senza scopo di lucro in via stabile e principale un’attività economia organizzata ai fini della produzione/scambio di beni/servizi di utilità sociale diretta a realizzare finalità di interesse generale che in caso di insolvenza sono sottoposte alla liquidazione coatta amministrativa.

d. imprese commerciali individuali sono soggette alle procedure concorsuali purché ricorrano i requisiti dimensionali e l’ammissione alla procedura avvenga entro un anno dalla morte dell’imprenditore o dalla cessazione dell’attività.

5) L’imputazioneL’imprenditore può essere definito in due modi:1. senso economico in passato il soggetto giuridico che esercitava professionalmente l’attività

economica si identificava nell’imprenditore in senso economico cioè l’attività era esercitata tramite le compagnie, che erano simili alle società di persone, ma venivano considerati imprenditori, i mercanti. Nel caso di una spa, secondo tale criterio sostanziale, l’imprenditore è costituito dai soci cioè coloro che prendono le decisioni.

2. senso giuridico progressivamente è comparso un modello organizzativo fondato sulla nozione di imprenditore secondo un criterio formale della spendita del nome, cioè gli effetti degli atti sono imputati al soggetto il cui nome è speso nel traffico giuridico (mandato senza rappresentanza art. 1705 cc), tramite l’individuazione di regole che accordano ai soci il beneficio della responsabilità limitata pertanto si ha una scissione tra l’imprenditore in senso giuridico cioè la persona giuridica e l’imprenditore in senso economico cioè i soci che sono i reali interessati.

In linea generale l’imputazione dell’attività d’impresa e quindi l’assoggettamento alle procedure concorsuali, avviene col criterio formale:1. imprese individuali vi è la confusione tra il patrimonio personale dell’imprenditore e quello

destinato all’esercizio dell’attività d’impresa inoltre l’imprenditore in senso economico coincide con quello giuridico pertanto è utilizzato il criterio formale e nel caso d’esercizio dell’impresa tramite rappresentate (impresa dell’incapace) è dichiarato fallito il rappresentante anche se il potere di direzione è stato esercitato dal rappresentante. Tale criterio non può essere derogato nemmeno se chi decide sulla gestione dell’impresa, fornisce i mezzi finanziari e fa propri i guadagni ( imprenditore occulto) esercita l’attività d’impresa tramite un prestanome (imprenditore palese) pertanto i creditori possono soddisfarsi solo sul patrimonio, il più delle volte esiguo, dell’imprenditore palese perché acquista la qualità di imprenditore ed è soggetto alle procedure concorsuali. L’estensione del fallimento all’imprenditore occulto non può basarsi sulla norma che prevede il fallimento della società occulta perché non esiste una società tra l’imprenditore occulto e quello palese tuttavia può essere aperta una procedura concorsuale verso l’imprenditore occulto se è accertato che svolge un’autonoma attività d’impresa commerciale consistente nel finanziamento e nella direzione dell’impresa principale (holding) ma tale soluzione coerente col criterio formale, non presenta

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grande utilità per la soddisfazione dei creditori in quanto alla procedura concorsuale dell’ impresa fiancheggiatrice possono partecipare solo i creditori dell’imprenditore occulto.

2. imprese societarie il criterio formale può essere derogato utilizzando un criterio sostanziale quando si ha una dissociazione tra i soggetti nel cui nome è esercita l’impresa ed i reali interessati:a. socio occulto coloro che non risultano nella compagine sociale. Se dopo la

dichiarazione di fallimento della società, risulta l’esistenza di altri soci illimitatamente responsabili, il tribunale su istanza del curatore/creditore/fallito, dichiara il fallimento dei medesimi (art. 147 c4). Alcuni indici ritenuti probatori della partecipazione occulta sono il sistematico sostegno finanziario, l’intervento in trattative di affare con terzi e la percezione di denaro spettante alla società.

b. società occulta l’impresa appare ai terzi come un’impresa individuale pur esistendo una società. Se dopo la dichiarazione di fallimento di un imprenditore individuale risulta che l’impresa è riferibile ad un società di cui il fallito è socio illimitatamente responsabile, la società occulta può essere dichiarata fallita.

c. società apparente non esiste una società ma i soggetti legati da amicizia o rapporti di parentela con un imprenditore individuale o soci di una società di persone, compiono atti che ingenerano nei terzi la convinzione dell’esistenza di una società. Il principio di apparenza può portare alla responsabilità di chi ha agito verso i terzi ma non la sottoposizione a procedure concorsuale di chi ha compiuto gli atti e della società apparente perché presuppone necessariamente l’esistenza di una società che in tal caso non esiste. La giurisprudenza prevalente ritiene tuttavia possibile il fallimento della società apparente e quello in estensione dei soci ma determina un ingiustificato ampliamento della tutela dei creditori che contrasta con il principio dell’apparenza perché consentirebbe a tutti i creditori sociali, compresi quelli che non hanno trattato col socio apparente e che pertanto, non possono aver fatto affidamento sul suo patrimonio, di soddisfarsi sullo stesso.

Inoltre nelle società di capitali di possono verificare due fenomeni:a. socio tiranno utilizza la società come cosa propria senza rispettare il diritto societario.b. socio sovrano osserva formalmente le regole di funzionamento della società ma la domina

essendo possessore della quota di capitale necessaria per il controllo.In entrambi i casi, a differenza di quanto avviene i Francia, non è consentita l’estensione delle procedure concorsuali a tali soci (imprenditore economico) perché non sono personalmente responsabili dei debiti della società. La giurisprudenza ha tuttavia individuato uno strumento per evitare tale abuso nell’impresa collaterale di finanziamento secondo cui considera una società di fatto quella tra il socio tiranno che finanzia sistematicamente un’altra società di capitali e la società stessa. La società di fatto essendo una società di persone, implica che il fallimento della società si estende ai soci tiranni pertanto si può ottenere una soluzione interpretativa che porta al fallimento dell’imprenditore in senso economico.

6) L’ambito temporale di applicazioneL’ambito temporale di applicazione delle procedure concorsuali è definito da:1. termine iniziale per definire il momento dal quale un soggetto può essere dichiarato fallito è

utilizzato il criterio sostanziale dell’effettivo inizio dell’attività cioè momento in cui il soggetto pone in essere atti tipici dell’attività.a. organizzazioni societarie sono istituzionalmente destinate all’esercizio dell’attività d’impresa

ma la costituzione non implica l’acquisto della qualità di imprenditore perché l’atto costitutivo è un programma che può non essere realizzato e resta tale fino all’effettivo inizio dell’attività. Nell’impresa l’attività d’organizzazione si intreccia con l’inizio dell’attività gestione:– atti di organizzazione sono attività economica per la produzione/scambio di beni/servizi

pertanto sono atti d’impresa e l’acquisto della qualità di imprenditore è anticipata se tali atti sono legati e svolti in maniera coordinata e continuativa per assumere una fisionomia

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unitaria ed una finalità in equivoca diretta all’esercizio dell’attività, prescindendo dalla natura di tali atti.

– atti di gestione il compimento di tali atti è necessario se l’attività d’impresa non richiede l’organizzazione dei fattori della produzione.

Il problema dell’acquisto della qualità di imprenditore non si pone per le società soggette ad iscrizione nel registro delle imprese mentre per l’estensione delle procedure ai soci, il termine iniziale è il momento d’acquisto della qualità di socio inoltre l’adempimento della pubblicità comporta solo l’opponibilità ai terzi della posizione di soci illimitatamente responsabile ma non ha rilievo per il perfezionamento della fattispecie che legittima l’estensione della procedura.

b. organizzazioni non societarie l’accertamento dell’inizio dell’effettiva attività deve essere più rigoroso perché tali organizzazioni non sono istituzionalmente dirette alla produzione/scambio di beni/servizi pertanto se per una società il compimento di un solo atto può essere sufficiente, in questo caso è necessaria l’esistenza di una pluralità di atti finalizzati all’organizzazione.

2. termine finale momento dal quale il soggetto non può essere dichiarato fallito ed è utilizzato un criterio formale secondo cui l’imprenditore individuale/collettivo non può essere dichiarato fallito dopo un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese se l’insolvenza si è manifestata prima della cancellazione o entro l’anno successivo (art. 10). Tale cancellazione è una presunzione della fine dell’attività d’impresa ma se il creditore/pm dimostra il momento effettivo della cessione dell’attività quando non coincide con il momento della cancellazione, prevale la sostanza sulla forma (norma a favore dei creditori/pm perché cerca di allungare i termini e non riconosce tale possibile anche all’imprenditore). Tale disciplina è applicabile alle altre procedure ed è un principio generale volto sia ad evitare che la soggezione alle procedure dipenda dalla volontà dell’imprenditore che a contenere l’esposizione alle procedure entro un tempo ragionevole.a. organizzazioni societarie per le società che hanno l’obbligo di iscrizione nel registro delle

imprese, prevale sempre il criterio formale mentre sono assoggettate al fallimento e alle altre procedure concorsuali senza limite di tempo:– società irregolari sono non iscritte ed hanno un trattamento penalizzate sotto il profilo

dell’autonomia patrimoniale essendo applicate le norme sulle ss e non quelle sulle snc. – società di fatto sono realizzate con comportamenti concludenti quindi di fatto i soggetti

esercitano un’attività economica in comune per ripartirsi gli utili (art. 2247). In entrambi i casi non può essere applicato il criterio formale e in mancanza di una disposizione che regola il problema, la dottrina è divisa:– primo orientamento non è applicabile nemmeno il criterio dell’effettività e tali società

sono esposte alle procedure concorsuali senza limiti di tempo perché altrimenti avrebbero un trattamento giuridico preferenziale rispetto alle società iscritte.

– secondo orientamento è applicabile il criterio dell’effettività quindi il termine annuale decorre dall’effettiva cessazione dell’attività altrimenti si avrebbe una disparità di trattamento tra le società irregolari e gli imprenditori individuali non iscritti

Il termine dell’anno è applicato anche all’ex socio illimitatamente responsabile e decorre dalla cessazione del rapporto sociale (a causa di morte, esclusione o recesso) o della responsabilità illimitata, anche in caso di trasformazione/fusione/scissione se sono state osservate le formalità per rendere noti ai terzi i fatti indicati tale socio è soggetto al fallimento solo se l’insolvenza della società attiene a debiti esistenti alla cessazione della responsabilità illimitata (art. 147).

b. organizzazioni non societarie è riconosciuta l’applicazione del criterio del termine annuale perché anche tali enti sono soggetti all’obbligo dell’iscrizione nel registro delle imprese tuttavia non è opportuno estendere i limiti probatori che sono previsti solo per le società.

In genere la cessazione effetiva dell’attività è preceduta da una fase liquidatoria in cui permane la qualità d’imprenditore finché sono poste in essere operazioni simili a quelle tipiche e il termine annuale decorre dalla disgregazione del complesso aziendale che non consente il proseguimento dell’attività ed operazioni intrinsecamente identiche a quelle tipiche a prescindere dalla completa definizione dei rapporti sorti nell’esercizio (adempimento dei debiti e riscossione dei crediti).

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L’esposizione alle procedure concorsuali perdura per gli imprenditori defunti consentendo, con la separazione del patrimonio del defunto da quello dell’erede correlata all’apertura della procedura, la tutela dei creditori del defunto e il termine annuale decorre dalla morte o dalla fine dell’attività commerciale solo se l’imprenditore è morto dopo la cessazione dell’impresa.

7) Il presupposto oggettivo del concordato preventivoIl presupposto oggettivo affinché l’imprenditore può presentare l’istanza di ammissione al concordato preventivo (l.f. art. 160) è lo stato di crisi poiché tale istituto è un accordo giudiziale volto al recupero della situazione o alla liquidazione. Lo stato di crisi è un concetto ampio che comprende:1. stato di insolvenza tale conclusione non è scontata infatti dopo la riforma, il legislatore ha avuto

la necessità di precisare che per stato di crisi si intende anche lo stato di insolvenza, con il decreto correttivo 273/2005, escludendo la coincidenza tra questi due concetti.

2. rischio di insolvenza l’imprenditore è in grado di adempiere i debiti scaduti (fornitori, dipendenti) ma non è in grado di adempiere ai debiti di prossima scadenza (mutui, prestiti obbligazionari). In questa situazione, l’interesse da tutelare è di evitare che possa essere precluso l’accesso alla procedura di concordato preventivo determinando un aggravamento del dissesto. Tale esigenza ha indotto altri ordinamenti, come quello spagnolo, a prevedere espressamente che l’imprenditore può richiedere l’ammissione alla procedura in presenza di un insolvenza imminente mentre l’ordinamento tedesco fa riferimento ad un incombente rischio di insolvenza. In Italia si è usato il concetto generale di stato di crisi che comprende il rischio di insolvenza.

3. squilibrio patrimoniale riguarda le persone giuridiche e indica una situazione di sovraindebitamento in cui i debiti superano le liquidità. Nell’ordinamento tedesco implica l’apertura della procedura fallimentare mentre in Italia è consentito il concordato preventivo. Tra le due discipline è preferibile quella italiana perché l’imprenditore può eliminare tale squilibrio con i finanziamenti a fondo perduto o con una ricapitalizzazione della società tramite nuovi conferimenti. Tuttavia in ragione dell’entità dello squilibrio può essere richiesta l’ammissione al fallimento.

4. patrimonio netto inferiore al minimo legale in generale le perdite rilevanti sono quelle che riducono il capitale sotto il minimo legale o lo riducono di oltre 1/3. Nel primo caso, se i soci non optano per una trasformazione omogenea (tra società) regressiva (da un tipo più evoluto ad uno meno evoluto) o non reintegrano il capitale, devono necessariamente sciogliere la società. La società sciolta può comunque essere dichiarata fallita entro l’anno.

8) Ambito territoriale di applicazioneLa globalizzazione dei mercati e la delocalizzazione degli apparati produttivi rendono necessario un coordinamento tra le disposizioni dei diversi ordinamenti in merito alle insolvenze transfrontaliere cioè di debitori la cui attività è ubicata in Stati diversi, che possono essere:1. non comunitarie crisi di imprese la cui sede principale non è nella CE quindi in assenza di

convenzioni internazionali prevalenti sulle norme di diritto interno si ricorrere all’ordinamento italiano (D.Lgs. 5/2006) secondo cui il giudice italiano può dichiarare il fallimento dell’imprenditore che ha la sede principale dell’impresa all’estero, ma almeno una sede secondaria in Italia perché da luogo ad uno stabile esercizio dell’impresa nel territorio italiano, anche se è stata pronunciata la dichiarazione di fallimento all’estero. La procedura è interamente regolata dalla legge italiana sia per gli aspetti sostanziali che processuali anche se l’impresa ha trasferito la sede all’estero dopo il deposito del ricorso per la dichiarazione di fallimento o la richiesta del PM, al fine di evitare i trasferimenti di sede strumentali. La disciplina si estende anche agli imprenditori di altri Stati se hanno dipendenze o beni in Italia. La contemporanea pendenza di più procedure concorsuali nei confronti dello stesso soggetto comporta comunque problemi di coordinamento (conflitti tra gli organi delle procedure, doppie riscossioni, doppi rifiuti di ammissione, coordinare le azioni tese alla ricostruzione del patrimonio).

2. comunitarie il reg. CE 1346/2000 regola le procedure dei debitori insolventi, anche non imprenditori, il cui centro principale di interessi è negli Stati dell’UE e sostituisce le convenzioni sull’insolvenze transfrontaliere tra gli Stati dell’UE pertanto realizza un coordinamento tra le

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procedure aperte negli Stati membri per evitare il forum shopping cioè che gli operatori siano indotti a trasferire i beni da uno Stato all’altro per avvantaggiarsi della disciplina più favorevole ma la realizzazione di una procedura unitaria per tutta l’UE è sempre lontana. Il regolamento disciplina le procedure concorsuali fondate sull’insolvenza del debitore che comportano lo spossessamento totale o parziale del debitore e la designazione di un curatore, siano esse volte alla liquidazione o al risanamento. La disciplina si fonda sulla distinzione tra:a. procedura principale è aperta nello Stato membro in cui è situato il centro principale degli

interessi del debitore che coincide con il luogo della sede nel caso di società o persone giuridiche. Il provvedimento di apertura è riconosciuto automaticamente in tutti gli Stati dell’UE e le decisioni adottate dall’autorità della procedura sono riconosciute da tutti gli Stati membri, senza un controllo supplementare, tranne nel caso in cui ciò abbia effetti contrari all’ordine pubblico interno o ai diritti/libertà personali sanciti dalla costituzione. La procedura è regolata dalla disciplina dello Stato di apertura per i presupposti, gli effetti e le regole di svolgimento tuttavia sono possibili deroghe per esigenze pubblicistiche, tutela dell’affidamento (diritti reali dei terzi, riserva di proprietà, rapporti di lavoro) ed altri aspetti procedurali.

b. procedure secondarie è possibile l’apertura di una o più procedure secondarie, in parallelo con quella principale, negli Stati in cui siano presenti altre dipendenze ma tali procedure devono essere di liquidazione e riguardano solo i beni ubicati nel territorio di un certo Stato membro inoltre sono disciplinate dallo Stato in cui si è aperta la procedura. Una procedura secondaria può essere aperta prima di quella principale, se le leggi dello Stato in cui è situato il centro principale non consentono di iniziare una procedura principale o lo richiedano i creditori presenti nello Stato in cui ha sede la dipendenza locale.

Per assicurare il coordinamento tra la procedura principale e secondarie, è previsto un obbligo di informazione reciproca tra i curatori delle diverse procedure inoltre sono regolati i rapporti tra le diverse insinuazioni dei creditori nelle procedure cioè ogni creditore può insinuare il proprio credito nella procedura principale e secondaria poi i curatori insinuano nelle altre procedure i crediti già insinuati nella procedura cui sono preposti se ciò può essere utile per i creditori di quest’ultima.

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CAPITOLO 6: APERTURA E CHIUSURA DEL FALLIMENTO

1) Apertura della procedura e dichiarazione di fallimentoLa sentenza dichiarativa di fallimento pronunciata dal tribunale del luogo in cui è situata la sede principale dell’impresa ha due significati:1. sostanziale accertamento dell’esistenza dei presupposti soggettivi ed oggettivi. Secondo il

principio generale, l’accertamento dello stato d’insolvenza spetta sempre all’autorità giurisdizionale (Tribunale) anche per la liquidazione coatta amministrativa e per la conversione dell’amministrazione straordinaria in fallimento. La sentenza è necessaria anche per dichiarare il fallimento in estensione del socio illimitatamente responsabile della società dichiarata fallita o di quella cui risulti riferibile l’impresa svolta dal soggetto dichiarato fallito (art. 147).

2. processuale apertura della relativa procedura. Le modalità di apertura della procedura di fallimento sono:1. via autonoma o ex novo quando vi sono tutti gli elementi da cui desumere l’insolvenza e i

soggetti legittimati presentano ricorso. 2. conversione dell’amministrazione straordinaria si ha in due casi:

a. durante la procedura non è più possibile perseguire la prospettiva del recupero dell’equilibrio economico dell’impresa.

b. terminata la procedura è trascorso il termine massimo previsto per il programma di ristrutturazione senza che l’imprenditore abbia recuperato la capacità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazione o è trascorso il termine massimo per il programma di cessione senza che i complessi aziendali siano stati ceduti.

3. consecuzione del concordato preventivo si ha quando il concordato non va a buon fine: a. la proposta di ammissione al concordato è dichiarata inammissibile (art. 162 c2)b. mancato deposito da parte del debitore delle somme necessarie per la procedura (art. 163)c. il commissario giudiziale accerta che il debitore ha occultato/dissimulato parte dell’attivo,

dolosamente omesso di denunciare uno o più crediti, esposto passività insussistenti o commesso altri fatti di frode (art. 173)

d. il debitore nella procedura compie atti di straordinaria amministrazione non autorizzati o diretti a frodare le ragioni dei creditori (art. 173)

e. non si raggiungono le maggioranze richieste per l’approvazione (art. 179) in questo caso è stato cercato l’accordo ma non è stato raggiunto (incidente di percorso) pertanto la situazione diventa patologica sfociando nel fallimento.

f. mancata omologazione (art. 180)g. risoluzione/annullamento del concordato (art. 186)In questi casi, la dichiarazione di fallimento non è automatica ma presuppone l’accertamento dell’insolvenza che avviene con sentenza.

La competenza a pronunciarsi spetta al Tribunale del luogo ove è situata la sede principale dell’impresa (art. 9) cioè dove è concretamente svolta l’amministrazione e la gestione dell’attività. La sede dell’impresa societaria coincide con quella della società mentre negli altri casi risulta dal registro delle imprese tuttavia se la sede legale non corrisponde alla sede effettiva, prevale quest’ultima infatti la sentenza dichiarativa di fallimento deve essere annotata nel registro delle imprese dove l’imprenditore ha la sede legale ma se differisce da quella effettiva, anche in quello dell luogo dove la procedura è stata aperta (art. 17). La procedura fallimentare consiste nell’accertamento del passivo, amministrazione e liquidazione del patrimonio quindi è logico che sia competente un unico tribunale nella cui circoscrizione si concentrano gli interessi da tutelare dei creditori. Tale competenza è funzionale perché il tribunale competente per la dichiarazione di fallimento trae la competenza anche per tutte le altre cause che possono rientrare o rientrano nella procedura fallimentare (vis attractiva del foro fallimentare) in deroga ai principi generali di procedura che individuano altri criteri di collegamento (la causa per riscuotere un credito avviene nel luogo del domicilio del debitore o in quello in cui deve essere pagato il debito mentre una causa sui beni immobili avviene nel luogo in cui è situato l’immobile).

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Dalla competenza fallimentare discendono due corollari:1. competenza inderogabile ed esclusiva è preclusa ogni concorrenza con altri tribunali. Se era stata

iniziata una procedura per la soddisfazione di un credito e a garanzia di questo credito viene meno un bene ubicato altrove, c’è comunque la vis attractiva del fallimento perché il creditore non può portare avanti l’iniziativa che aveva intrapreso nel luogo in cui era situato l’immobile, per cui era competente quel tribunale.

2. incompetenza rilevabile d’ufficio il giudice può dichiararsi incompetente a giudicare la sentenza e trasmettere gli atti al giudice che reputa competente tuttavia chiunque può far valere l’incompetenza di quel tribunale (l.f. art. 9 bis).

La giurisdizione indica il tribunale competente territorialmente nel caso in cui l’impresa ha più sedi. Se l’impresa ha più sedi all’interno del territorio nazionale si hanno due criteri:1. sede effettiva è competente il tribunale del luogo in cui si trova la sede effettiva e la legge effettua

una presunzione semplice sulla coincidenza con la sede legale risultante dal registro delle imprese tuttavia è ammessa la prova contraria. La sede effettiva è dove si trova la sede amministrativa e direttiva dell’impresa poiché il curatore subentra nell’amministrazione e deve entrare in possesso delle scritture contabili.

2. prevenzione se l’imprenditore esercita più attività formalmente autonome e ciascuna di esse ha una sede principale, è competente il tribunale che dichiara per primo il fallimento e attrae anche la competenza di altri tribunali. Si differenzia dal caso precedente in cui l’imprenditore esercita la stessa attività con più sedi di cui una principale e le altri secondarie.

Le imprese possono avere la sede anche in Stati esteri e il giudice italiano è competente quando viene esercitata in Italia, un’attività collegabile ad una rappresentanza stabile cioè in Italia vi è la sede principale (e le secondarie sono all’estero) o una sede secondaria (e la principale è all’estero), in quest’ultimo caso anche se sia già stata dichiarata fallita all’estero. Al di fuori di questi due casi, il debitore non può essere dichiarato fallito dal giudice italiano ma può comunque subire procedure esecutive in Italia se è proprietario di beni situati nel territorio italiano. Nel caso di trasferimento della sede (l.f. art. 9) prima del fallimento si distingue in base a dove è avvenuto il trasferimento:1. territorio italiano per evitare che il debitore scelga il tribunale competente alla dichiarazione di

fallimento (forum shopping) più favorevole rispetto ai suoi interessi, il trasferimento avvenuto nell’anno anteriore all’esercizio dell’iniziativa per la dichiarazione di fallimento è irrilevante. Prima della riforma veniva fatto riferimento alla situazione di fatto antecedente alla domanda ed era irrilevante il trasferimento avvenuto in un periodo imminente la dichiarazione di fallimento.

2. territorio estero il trasferimento avvenuto prima dell’esercizio dell’iniziativa per la dichiarazione di fallimento esclude la giurisdizione italiana pertanto è necessario che l’impresa abbia almeno una sede secondaria in Italia al momento della presentazione dell’istanza di fallimento.

2) L’iniziativa per la dichiarazione di fallimentoIl tribunale può dichiarare il fallimento solo su istanza di parte quindi i soggetti a cui fa capo l’iniziativa ai fini dell’apertura della procedura (art. 6) cioè che possono presentare il ricorso per chiedere ed ottenere la dichiarazione di fallimento sono:1. debitore se la presentazione del ricorso è considerata un obbligo a carico del debitore, si

potrebbero avere delle conseguenze in termini di sanzioni mentre se viene considerata una mera facoltà, l’imprenditore avrebbe una discrezionalità piena sulla valutazione della situazione in cui versa. La soluzione è fornita dalla norma sul reato della bancarotta semplice secondo cui è punito con la reclusione da 6 mesi a 2 anni, se è dichiarato fallito l’imprenditore che, fuori dai casi previsti dall’articolo precedente, ha aggravato il proprio dissesto astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento o con altra grave colpa (art. 217). Si desume pertanto che il debitore ha obbligo giuridico se dalla mancata presentazione del ricorso può derivare l’aggravamento del dissesto. Inoltre, per l’imprenditore individuale la legge incentiva un comportamento 23ollaborativi con una disciplina premiante che gli consente di ottenere il beneficio dell’esdebitazione.

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Nel caso dell’impresa organizzata in forma societaria, la legge non precisa quale sia l’organo competente a chiedere il fallimento pertanto si distingue tra:a. società di capitali l’organo amministrativo è competente a presentare il ricorso poiché

conserva i documenti relativi all’amministrazione che devono essere depositati e inoltre, gli amministratori rispondono penalmente per aver aggravato il dissesto dell’impresa.

b. società di persone oltre agli amministratori vi è il dubbio se siano legittimati anche i soci non amministratori o almeno quelli illimitatamente responsabili tuttavia l’opinione prevalente tende a negare questa possibilità. Tale tesi deriva dal fatto che sebbene l’approvazione alla proposta di concordato preventivo e fallimentare spetta alla maggioranza dei soci (art. 161 e 152), la presentazione della proposta di concordato per l’imprenditore insolvente non è obbligatoria come l’istanza di fallimento inoltre sebbene il fallimento di tali società estende ai soci illimitatamente responsabili le norme sui reati commessi dal fallito (art. 222), i soci non amministratori illimitatamente responsabili non possono essere penalmente sanzionati perché non hanno concorso all’aggravamento del dissesto (art. 224).

Premesso che il tribunale deve comunque verificare la sussistenza del presupposti, il soggetto che presenta il ricorso deve adempiere specifici obblighi di documentazione (art. 14) depositando:a. scritture contabili obbligatorie per i 3 esercizi precedenti o dall’inizio dell’impresa, se questa

ha avuto minor durata.b. stato particolareggiato ed estimativo delle attività elenco delle attività con descrizione dei

beni e attribuzione del valore.c. elenco dei creditori e di coloro che vantano diritti reali/personali su cose in suo possesso

indicando sia i crediti che le cose e il titolo su cui si fonda il diritto.d. ammontare dei ricavi lordi per ciascuno degli ultimi 3 esercizi.La legge non prevede conseguenze in caso di violazione di tale obbligo ma dispone che il tribunale ordini al fallito, con la stessa sentenza dichiarativa di fallimento, di depositare entro 3 giorni tale documentazione e in caso d’inottemperanza al relativo ordine prevede delle sanzioni penali. Il tribunale deve sempre verificare la sussistenza dei presupposti quindi il ricorso del debitore non assume valore confessorio.

2. creditore l’istanza di fallimento è volta solo ad ottenere l’apertura della procedura e non la soddisfazione del credito infatti per partecipare al concorso che si apre a seguito del fallimento, tutti i creditori, anche coloro che hanno presentato il ricorso, devono presentare la domanda di ammissione allo stato passivo. Tra i creditori legittimati vi sono anche quelli il cui credito è sottoposto ad una condizione sospensiva. La condizione è uno degli elementi accidentali del contratto e può essere:

a. sospensiva sospende gli effetti del contratto fino al verificarsi di un certo avvenimento pertanto il credito può essere riscosso se si verifica un evento (certo, individuato, ecc.) e non è possibile chiedere l’adempimento se la condizione non si verifica.

b. risolutiva fa venire meno gli effetti del contratto poiché scioglie il vincolo pertanto non è possibile riscuotere il credito oppure se il credito viene riscosso, nasce l’obbligo di restituzione quando si verifica l’evento. Tale condizione non è rilevante ai fini del fallimento.

Se fossero legittimati a presentare la domanda solo i creditori titolari di un credito esigibile, cioè che può essere riscosso, il fallimento avrebbe solo una funzione esecutiva cioè diretta al soddisfacimento del credito pertanto dalla legittimazione dei creditori titolari di un credito sottoposto a condizione sospensiva, si desume l’ulteriore funzione cautelare del fallimento cioè diretta a tutelare il creditore, in una fase antecedente, dagli atti che possono aggravare il dissesto (aumenta il passivo e quindi il numero dei creditori con cui correre pertanto diminuiscono le possibilità di soddisfacimento) o diminuire i beni a garanzia del credito stesso, se vi sono elementi certi (quadro univoco di circostanze) che inducono a ritenere l’imprenditore insolvente e non in grado di adempiere al verificarsi dell’evento.

3. pubblico ministero in Italia è prevista l’iniziativa pubblica ai fini della dichiarazione del fallimento a differenza di altri ordinamenti che tuttavia prevedono ulteriori norme a tutela dei creditori.

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La disciplina (art. 7) è stata modificata con la riforma e prevede una situazione di doverosità cioè l’obbligo per il pubblico ministero, di presentare ricorso quando l’insolvenza risulta: a. in una procedura penale relativa ai reati fallimentari l’insolvenza è un elemento costitutivo

indefettibile (presupposto) dei reati fallimentari cioè senza l’insolvenza il reato non è integrato (art. 216 ss) pertanto l’iniziativa del PM è indirizzata a sollecitare la sentenza dichiarativa di fallimento cui è subordinato l’esercizio di tale azione.

b. su segnalazione del giudice che l’ha rilevata in un procedimento civile il giudice deve trasmettere gli atti al PM affinché verifichi la sussistenza di una situazione tale da determinare la presentazione del ricorso. Con la riforma e in seguito alla pronuncia della Corte di Cassazione, il cui contenuto è stato ribadito dalla Corte Costituzionale, è stata eliminata l’ iniziativa d’ufficio del giudice in base alla quale il giudice poteva dichiarare il fallimento d’ufficio se apprendeva la conoscenza dello stato di insolvenza durante un procedimento (ricorso del creditore per ottenere il pagamento). Tale previsione era incompatibile con il principio di terzietà del giudice, secondo cui il giudice deve essere neutrale rispetto agli interessi delle parti coinvolte, perché il giudice assumeva un’iniziativa che prevaricava gli interessi sia dei creditori che del debitore cioè superava una valutazione che doveva essere rimessa alle parti e si creava una sorta di diritto volto a tutelare in via privilegiata l’interesse dei creditori. Salva l’ipotesi di riapertura del fallimento di caso di risoluzione/annullamento del concordato fallimentare, il tribunale non può dichiarare il fallimento d’ufficio nemmeno in consecuzione del concordato preventivo perché può essere dichiarato solo su iniziativa di un creditore o del PM. Nei casi di consecuzione a concordato preventivo, la dichiarazione di fallimento presuppone l’accertamento dell’insolvenza perché non coincide con lo stato di crisi che è il presupposto oggettivo del concordato inoltre il debitore, a tutela del suo diritto di difesa, deve sempre essere sentito dal tribunale.

Una parte della dottrina solleva delle perplessità ritenendo la norma carente sotto un profilo perché sarebbe stato opportuno ampliare i casi in cui il PM è legittimato a presentare il ricorso (ad esempio se ha notizia dello stato d’insolvenza del debitore tramite canali diversi da quelli previsti dalla legge) tuttavia sotto un altro profilo ritiene che sarebbe stato opportuno circoscrivere l’ambito di applicazione della norma alle sole ipotesi definitivamente patologiche cioè quelle in cui dalla mancata presentazione del ricorso può derivare un grave pregiudizio per i creditori infatti la situazione di doverosità non tutela le ragioni dei creditori nella misura in cui assoggetta alla procedura soggetti che in quella fase sono recuperabili.

In merito all’istanza di estensione del fallimento ai soci illimitatamente responsabili, la legge distingue a seconda che la loro esistenza:1. risulta dal fallimento non è necessaria un’iniziativa perché il fallimento dei soci è una

conseguenza automatica (art. 147). 2. emerge successivamente l’estensione del fallimento è l’effetto di un autonomo provvedimento

che il tribunale non può pronunciare d’ufficio, ma su istanza di parte pertanto sono legittimati i creditori, il curatore e gli altri soci già dichiarati falliti.

L’intera disciplina sulla legittimazione è coerente con la tendenza ad intendere le procedure concorsuali come modalità di gestione della crisi dell’impresa e quindi rimesse alla valutazione (e negoziazione) delle parti. I vari ordinamenti nazionali si differenziano in base alle scelte sugli interessi da tutelare:1. Francia l’iniziativa spetta ai creditori ma può essere anche pubblica (autorità giudiziaria) perché

l’insolvenza è ritenuta un problema che coinvolge l’interesse generale.2. Spagna e Germania l’iniziativa è riservata all’imprenditore e ai suoi creditori perché si ritiene che

lo stato d’insolvenza può essere valutato meglio dai soggetti interni all’impresa pertanto è evitata l’ingerenza da parte di terzi esterni. Tuttavia sono stati previsti altri strumenti di tutela infatti il sistema tedesco prevede per gli amministratori di persone giuridiche l’obbligo di presentare istanza per l’apertura delle procedure concorsuali e il sistema spagnolo prevede tale obbligo per il debitore dopo che sia decorso un certo termine da quando l’insolvenza era a lui conoscibile.

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3) L’istruttoria prefallimentareGli atti possono avere due forme:1. citazione l’atto è notificato alla controparte e poi è depositato.2. ricorso l’atto è depositato e poi è notificato alla controparte (istanza di fallimento).

Alla presentazione del ricorso segue una fase istruttoria prefallimentare (art. 15) effettuata dal tribunale e costituita sia da accertamenti che da assunzioni di mezzi di prova da parte del tribunale ed ammissione delle prove depositate dalle parti, per la verifica di:1. competenza del tribunale 2. presupposti sostanziali per la dichiarazione del fallimento se l’imprenditore è soggetto fallibile sul

piano soggettivo e se ricorre lo stato d’insolvenza.3. mancato decorso dell’anno dalla cancellazione del registro delle imprese se l’insolvenza si è

manifestata prima della cancellazione o entro l’anno successivo.4. debiti scaduti e non pagati di almeno 30.000€

La ratio di tale fase preliminare alla dichiarazione di fallimento consiste nel trovare un equilibrio tra:1. interesse debitore consiste nella tutela del suo diritto di difesa infatti la presentazione del ricorso

potrebbe essere un modo coattivo con cui il creditore cerca di essere soddisfatto cioè se il debitore adempie, il creditore ritira il ricorso risparmiando sia i tempi che i costi.

2. interesse creditore consiste nella tutela dell’integrità del patrimonio cioè evitare che la ritardata dichiarazione del fallimento implichi l’aggravamento del dissesto perché il debitore potrebbe compiere atti pregiudizievoli l’entità del patrimonio.

L’istruttoria prefallimentare si svolge davanti al tribunale in composizione collegiale, o se c’è stata una delega (99% dei casi) davanti al giudice delegato, e devono partecipare tutti gli interessati (debitore, creditore istante) pertanto il tribunale deve emettere un decreto di convocazione ad apposita udienza (a cui partecipa anche il PM istante), apposto in calce al ricorso, da notificarsi a cura di parte, ma tra la data di notificazione e quella di convocazione devono esserci almeno 15 giorni affinché i soggetti acquisiscano i mezzi di prova che intendono portare. Il contenuto del decreto:1. indicazione della finalità del procedimento accertamento dei presupposti per il

fallimento.2. dispone il deposito di documenti all’imprenditore bilanci relativi agli ultimi 3 esercizi e

situazione patrimoniale, finanziaria ed economica aggiornata (può richiedere eventuali informazioni urgenti).

3. indicazione di un termine non può essere inferiore a 7 giorni prima dell’udienza ed entro tale termine possono essere presentate memorie difensive, documenti e relazioni tecniche di esperti di parte che avallano o contrastano lo stato d’insolvenza (se il fallimento è richiesto dai creditori e l’imprenditore dimostra di esercitare un’attività agricola o di non versare nello stato d’insolvenza).

I termini sono derogabili infatti il giudice, con decreto motivato, può disporre una convocazione immediata (convocazione ad oras) in situazioni di particolare urgenza bloccando il compimento di atti pregiudizievoli che possono aggravare il dissesto (vendita di un cespite per cui è fissato l’appuntamento dal notaio). In tal caso, il presidente del tribunale può disporre che il ricorso e il decreto di convocazione siano portati a conoscenza delle parti con ogni mezzo idoneo, omessa ogni formalità non indispensabile alla conoscibilità degli stessi. La disciplina in esame assicura il rispetto del contraddittorio (notifica dell’istanza indicante i motivi e del decreto che fissa l’udienza con preavviso di almeno 15 giorni) e deve essere rispettata anche nel fallimento in estensione di soci illimitatamente responsabili che avviene su istanza del curatore o del socio fallito (art. 147). La disciplina delle procedure concorsuali prima della riforma, si basava sul principio inquisitorio cioè l’onere della prova dell’esistenza dei presupposti per la dichiarazione di fallimento gravava sul creditore istante e il tribunale doveva assumere tutti i mezzi di prova necessari per dimostrare la ricorrenza dei presupposti mentre dopo la riforma è stato attenuato tale principio (art. 15 c3) infatti sebbene il ruolo del creditore rimane valorizzato, il tribunale può (non deve) assumere mezzi di prova d’ufficio e sono stati ampliati i suoi poteri istruttori. Il creditore deve dimostrare la natura dell’impresa (presupposto soggettivo qualitativo: impresa commerciale) e lo stato

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d’insolvenza (presupposto oggettivo) mentre il debitore deve dimostrare che i suoi debiti non sono dell’entità richiesta dalla legge fallimentare (presupposto soggettivo quantitativo: impresa medio – grande) perché tale prova per il creditore è difficile essendo privo delle scritture contabili. Gli atti pregiudizievoli compiuti dal debitore prima della dichiarazione di fallimento sono disciplinati della revocatoria fallimentare (art. 67) che considera gli atti a titolo oneroso compiuti nell’anno anteriore la sentenza di fallimento e non la data di presentazione del ricorso. Tale disciplina risulta più a favore del debitore perché gli atti compiuti dopo la presentazione del ricorso ma prima dell’anno anteriore la sentenza dichiarativa del fallimento non sono revocabili pertanto per offrire una maggiore tutela ai creditori sarebbe stato opportuno prevedere che il dies a quo decorresse dalla data di presentazione del ricorso tuttavia tale problema è in parte attenuato con la possibilità di adottare, su istanza di parte, provvedimenti conservativi e cautelari che tutelano i creditori sia contro gli atti di disposizione del debitore (limitazione dei suoi poteri) che contro gli altri creditori (limitando dei loro poteri) perché è anticipato il momento in cui i creditori non possono più intraprendere o preseguire singole azioni esecutive. L’efficacia di tali provvedimenti è limitata alla durata del procedimento pertanto sono destinati ad essere revocati nel caso di rigetto dell’istanza o in caso di accoglimento possono essere confermati dalla sentenza dichiarativa di fallimento. In tali casi vi è un urgenza di provvedere ma c’è sempre un margine di normalità mentre in situazioni più patologiche potrebbe essere incaricato un ausiliario che esercita una funzione di controllo sull’attività dell’imprenditore e in situazioni estremamente patologiche può essere addirittura anticipato lo spossessamento del debitore nella gestione e nella titolarità dei suoi beni (che scatta con la dichiarazione di fallimento) con la nomina di un amministratore giudiziario che gestisce l’impresa al posto del debitore. Alla conclusione dell’istruttoria i possibili esiti sono:1. sentenza dichiarativa di fallimento (art. 16) situazione patologica in cui è dichiarato il fallimento

del debitore a seguito di:a. accertamento positivo sussistenza dei presupposti (oggettivo, soggettivo). Tuttavia, se il

tribunale accerta l’insolvenza e il superamento delle dimensioni previste per l’amministrazione straordinaria, deve dichiarare d’ufficio lo stato d’insolvenza e non il fallimento.

b. accertamento negativo insussistenza di situazioni alternative al fallimento pertanto il giudice deve valutare in che misura possono essere adottati tali strumenti alternativi.

2. provvedimento di rigetto del ricorso il tribunale respinge l’istanza con decreto motivato e revoca gli eventuali provvedimenti cautelari o conservativi adottatisi, in due casi:a. assenza di un presupposto b. creditore istante privo di legittimazione se non ha provato l’esistenza del credito.Tale decreto è comunicato dal cancelliere alle parti:a. debitore o socio illimitatamente responsabile non può presentare reclamo nemmeno se

ha richiesto il proprio fallimento.b. istante creditore, PM, curatore o soci falliti nel fallimento in estensione che, entro 30

giorni dalla comunicazione, possono presentare reclamo alla corte d’appello contro tale decreto. La trattazione si svolge nel rispetto del contraddittorio tra le parti che devono essere sentite e il giudice può disporre d’ufficio l’assunzione dei mezzi istruttori. Il procedimento è finalizzato ad accertare l’attuale sussistenza dei presupposti per il fallimento pertanto la corte d’appello, con decreto da comunicarsi alle parti a cura del cancelliere, dispone sul reclamo:– rigetto se accerta che i presupposti del fallimento non sussistevano ma il ricorrente può

presentare una nuova istanza di fallimento eventualmente corredata da nuovi elementi. – accoglimento se accerta l’attuale sussistenza dei presupposti pertanto la corte rimette

gli atti al tribunale competente (anche se diverso da quello originario) che dichiarerà il fallimento se nel frattempo i presupposti non sono venuti meno. In questo caso la decorrenza del termine annuale parte dal decreto della corte e non dalla sentenza del tribunale (eccezione).

3. provvedimento di dichiarazione dell’incompetenza del tribunale (art. 9, 9bis, 9ter) se il tribunale a cui è stato presentato il ricorso si dichiara incompetente dispone con decreto

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l’immediata trasmissione degli atti al tribunale ritenuto competente che, accertata la propria competenza, dispone la prosecuzione della procedura (nomina degli organi) entro 20 giorni dal loro ricevimento altrimenti si dichiara a sua volta incombente. Tuttavia l’onere di riassumere il procedimento, cioè di istaurarlo presso il giudice competente, grava sulla parte ricorrente. In merito alla competenza, si può verificare:a. conflitto negativo entrambi i tribunali si dichiarano incompetenti pertanto quello dichiarato

competente può richiedere d’ufficio un regolamento di competenza (statuizione esterna).b. conflitto positivo entrambi i tribunali si dichiarano competenti e se hanno dichiarato il

fallimento, il procedimento prosegue davanti al tribunale che si è pronunciato per prima (criterio della prevenzione) pertanto l’altro tribunale trasmette gli atti al primo, se non intende richiedere d’ufficio il regolamento di competenza.

In entrambi i casi, restano salvi gli effetti degli atti compiuti nell’istruttoria svolta di fronte al tribunale originario e l’istanza di tale regolamento deve essere proposta alla corte di cassazione.

4. decreto di archiviazione nel 90% dei casi, la fase prefallimentare si chiude con tale decreto quando il ricorso viene ritirato da parte di colui che l’ha presentato cioè dal creditore parzialmente o totalmente soddisfatto poiché sia il pubblico ministero che l’imprenditore insolvente non possono farlo in quanto il primo svolge una funzione di tutela degli interessi pubblici mentre il secondo dovrebbe dimostrare che non è più insolvente ed ha incassato dei crediti.

4) La sentenza dichiarativa di fallimentoLa sentenza dichiarativa di fallimento (art. 16) è un provvedimento complesso perché non si limita a dichiarare il fallimento ma provvede all’assunzione di una serie provvedimenti ordinatori con una funzione d’impulso alla procedura che sono:1. nomina organi della procedura sono il curatore e il giudice delegato cioè coloro che permettono

l’avvio della procedura stessa. Nel caso in cui sia dichiarato il fallimento sia della società che dei singoli soci illimitatamente responsabili, le procedure sono distinte ma la sentenza provvede alla nomina di un unico giudice delegato ed un unico curatore (finalità di coordinamento).

2. ordine di deposito della documentazione necessaria non ancora depositata entro 3 giorni dalla notifica della sentenza a pena di sanzioni penali. .

3. individuazione del calendario di esecuzione della procedura definisce le date necessarie all’approvazione del passivo stabilendo giorno, luogo ed ora dell’adunanza dei creditori in cui si procede all’esame dello stato passivo (termine perentorio di 120 giorni dal deposito della sentenza o 180 giorni per le procedure complesse) ed assegnando un termine perentorio di 30 giorni prima dell’adunanza per la presentazione delle domande di ammissione al passivo da parte dei creditori e di rivendicazione/separazione di cose in possesso del fallito da parte dei terzi che vantano sulle stesse diritti reali/personali. Quest’ultima previsione è una novità che permette di accelerare i tempi relativi all’accertamento dello stato passivo e quindi della procedura, con la ratio di salvaguardare il complesso produttivo cioè evitare che i beni destinati alla vendita a breve si deteriorino provocando un danno sia alla produttività dell’azienda che ai creditori.

4. disposizione dell’esercizio provvisorio dell’impresa se dalla sua interruzione può derivare un danno grave ma purché la continuazione non arrechi pregiudizio ai creditori.

La sentenza deve essere pubblicata col deposito in cancelleria e le forme di pubblicità (art. 17) previste:1. comunicazione diretta alle parti interessate entro il giorno successivo deve essere notificata al

debitore e comunicata per estratto al curatore, PM e creditore istante.2. iscrizione nel registro delle imprese del luogo della sede effettiva dell’impresa e anche in quello

della sede legale, se diversa da quella effettiva.3. iscrizione nei pubblici registri è una forma non obbligatoria che ricorre solo se nel fallimento ci

sono beni soggetti a determinate forme di pubblicità (beni immobili o mobili registrati).La sentenza dichiarativa del fallimento è immediatamente esecutiva e un’ulteriore novità riguarda la diversa disciplina del dies a quo cioè da quando si producono gli effetti del fallimento che in astratto

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potrebbe essere individuato nel momento in cui la sentenza è pronunciata o è depositata in cancelleria o è pubblicata.

La legge (art. 16 c2) prevede espressamente il criterio della pubblicazione (come nella vecchia normativa) tuttavia bisogna distinguere tra:1. pubblicazione produce effetto verso il fallito, come lo spossessamento, in quanto la sentenza è

comunicata direttamente al fallito (criterio soggettivo). 2. iscrizione nel registro delle imprese produce effetti verso i terzi, come il divieto di azioni esecutive

individuali, in quanto non essendo possibile la notifica a tutti i creditori, si è reso necessario un criterio oggettivo che instaura una presunzione assoluta di conoscenza per i creditori.

L’efficacia della sentenza dichiarativa di fallimento non è sospesa nemmeno se è impugnata pertanto se in accoglimento del reclamo viene revocato il fallimento, le conseguenze prodotte sul patrimonio del fallito permangono, se discendenti da atti legalmente compiuti dagli organi della procedura. Tuttavia, per evitare questo problema, le parti e il curatore possono presentare alla corte d’appello, con ricorso, un’istanza di sospensione della liquidazione (art. 19) dell’attivo che la corte può accettare totalmente o parzialmente, definitivamente o temporaneamente. La sentenza dichiarativa di fallimento produce come effetto principale, l’apertura della procedura di fallimento da cui discendono:1. effetti penali l’apertura del fallimento è il presupposto oggettivo di punibilità di certi

comportamenti posti in essere nella procedura e prima di essa inoltre incide sul trattamento sanzionatorio di altri fatti penalmente rilevanti (reati societari).

2. effetti processuali possono riguardare:a. processi pendenti l’apertura del fallimento determina l’interruzione automatica del processo

in corso che può essere riassunto su iniziativa del curatore o della controparte (art. 43) poiché in conseguenza allo spossessamento il fallito perde la capacità processuale ed è sostituito dal curatore in tutti i giudizi relativi a rapporti patrimoniali compresi nel fallimento. Nei giudizi patrimoniali il fallito può comunque conservare un interesse alla difesa se dalla questione può dipendere una sua responsabilità penale per fatti di bancarotta pertanto il curatore è legittimato a stare in giudizio ma il fallito può intervenire. Alla luce della neutralizzazione delle prerogative dei rimedi creditori, le azioni esecutive/cautelari sui beni fallimentari non possono essere proseguite salvo i casi previsti dalla legge (art. 51) tuttavia il curatore può subentrare al creditore oppure può decidere che la vendita coattiva avvenga in sede fallimentare e in questo caso l’esecuzione individuale è dichiarata improcedibile su istanza del curatore (art. 107).

b. procedimenti arbitrali possono proseguire solo se la clausola compromissoria in forza della quale sono stati promossi è contenuta in un contratto che continua nonostante la dichiarazione di fallimento pertanto il curatore subentra al fallito nel giudizio previa autorizzazione del giudice delegato. Le ragioni della diversità rispetto al caso precedente è sostanziale non processuale perché la clausola arbitrale segue le sorti dell’intero regolamento negoziale.

5) Il giudizio di reclamo e la revoca del fallimentoIl reclamo (art. 18) è la forma con cui il debitore può opporsi alla sentenza dichiarativa di fallimento entro 30 giorni dalla notifica della sentenza tuttavia sono legittimati ad agire tutti gli interessati cioè coloro che subiscono gli effetti da tale sentenza e il termine decorre dall’iscrizione nel registro delle imprese o se non sono stati attuati tali adempimenti pubblicitari, entro un anno dalla pubblicazione:1. creditori possono avere interesse a proporre il reclamo se hanno già esercitato (o intendono

esercitare) azioni esecutive individuali per soddisfare le proprie pretese o hanno acquistato (o intendono acquistare) diritti di prelazione per avere una posizione privilegiata nel soddisfacimento del proprio credito.

2. terzo se il debitore compie un atto pregiudizievole (vendita appartamento ad uso abitativo) con un terzo, quest’ultimo è a rischio di revocatoria pertanto può avere interesse a proporre il reclamo.

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3. coniuge del fallito può avere interesse a proporre il reclamo perché si ha la presunzione muciana (lart. 64) secondo cui sono privi di effetti rispetto ai creditori, se compiuti dal fallito negli anni anteriori, atti a titolo gratuito (donazioni) esclusi i regali d’uso e gli atti compiuti in adempimento ad un dovere morale o a scopo di pubblica utilità.

La funzione del reclamo è di contestare la sussistenza dei presupposti al momento in cui è stato dichiarato il fallimento pertanto se questi erano presenti e sono venuti meno in seguito, l’accoglimento del reclamo non è legittimato e non comporta la revoca del fallimento ma semmai la sua chiusura. Con lo stesso reclamo si impugna il decreto del tribunale che ha respinto il concordato preventivo. Il contenuto del ricorso (art. 18 c2) previsto dalla legge:1. indicazione della corte d’appello competente2. generalità dell’impugnante e elezione del domicilio nel comune in cui ha sede la corte

d’appello3. esposizione dei fatti e degli elementi di diritti su cui si basa l’impugnazione con le

conclusioni4. indicazione dei mezzi di prova di cui il ricorrente intende avvalersi e dei documenti

prodottiPrima della riforma il reclamo era proposto di fronte alla stesso tribunale che aveva pronunciato la sentenza (anche se in composizione collegiale diversa) ma tale soluzione era inefficiente rispetto:1. tempi lunghi era necessario aprire una nuova istruttoria.2. imparzialità la procedura avviene di fronte allo stesso ente.

Con la riforma viceversa è stato imposto di proporre il reclamo di fronte alla Corte d’appello che provvede con sentenza di:1. accoglimento si ha la revoca della sentenza dichiarativa di fallimento se viene accertato che il

tribunale ha sbagliato nella verifica dell’esistenza dei presupposti o è stato violato il diritto di difesa cioè non viene sentito il debitore o il creditore istante (art. 22). Quest’ultima ipotesi deriva da un’evoluzione giurisprudenziale il cui obiettivo è quello di instaurare il contraddittorio. La sentenza di revoca è notificata, a cura della cancelleria, al curatore, al creditore istante e al debitore (se non ha presentato il reclamo) inoltre è soggetta agli stessi adempimenti pubblicitari (pubblicazione, comunicazione ed iscrizione) previsti per la sentenza dichiarativa di fallimento. La sentenza di revoca del fallimento non è immediatamente esecutiva, come quella dichiarativa, ma produce gli effetti solo all’atto del passaggio in giudicato. La procedura del fallimento si arresta e decadono i relativi organi inoltre il tribunale, con decreto non soggetto a reclamo, liquida le spese e il compenso del curatore su relazione del giudice delegato oltre ad impartire le disposizioni esecutive per ottemperare alla decisione. Gli effetti della sentenza dichiarativa di fallimento vengono meno retroattivamente salvo quelli degli atti legalmente compiuti dagli organi della procedura.

2. rigetto viene confermato il contenuto della sentenza dichiarativa di fallimento e viene notificata al reclamante a cura della cancelleria.

Contro la sentenza della corte d’appello è ammesso il ricorso in cassazione entro 30 giorni dalla notifica. Inoltre, se all’esito del giudizio di appello, risulta accertato che l’impresa insolvente ha i requisiti dimensionali per l’amministrazione straordinaria, la corte, al momento del passaggio in giudicato della sentenza e se non è esaurita la liquidazione dell’attivo, invita con decreto il curatore a depositare in cancelleria e a trasmettere al Ministro delle attività produttive, entro 30 giorni, una relazione motivata sull’esistenza dei presupposti dell’ammissione a tale procedura.

6) La chiusura della proceduraLa morte del fallito non è un’ipotesi di chiusura del fallimento perché la procedura non ha esaurito la sua funzione, sussistendo un patrimonio da liquidare pertanto prosegue nei confronti degli eredi o del curatore. L’individuazione di un rappresentate degli eredi è essenziale per la prosecuzione della procedura infatti se non è nominato entro 15 giorni dalla morte del fallito, vi provvede il giudice delegato (art. 12). Tuttavia la morte del fallito non comporta la confusione dei patrimoni e l’attrazione

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del patrimonio degli eredi poiché è già avvenuta la separazione del patrimonio fallimentare. La chiusura del fallimento si ha in due ipotesi principali (art. 118):1. passivo completamente soddisfatto la procedura ha svolto integralmente la sua funzione:

a. omologazione del concordato fallimentare si ha la ristrutturazione dei debiti.b. pagamento integrale dei crediti e delle spese prima del riparto finale e quindi in sede di

ripartizioni parziali o con altri mezzi.

2. passivo impossibile da soddisfare la procedura non può più svolgere la sua funzione:a. mancata presentazione di domande tempestive di ammissione al passivo se non vi sono

creditori da soddisfare in prededuzione.b. ripartizione finale dell’attivo anche se alcuni accantonamenti in precedenza eseguiti non

possono essere ancora distribuiti.c. insufficienza dell’attivo a soddisfare anche parzialmente i creditori e a pagare le spese. Se

invece l’attivo può soddisfare i crediti prededucibili e le spese ma è presumibile che non consente di soddisfare nemmeno parzialmente i creditori concorsuali, il fallimento non si chiude e il tribunale, su istanza del curatore, previo parere del comitato dei creditori e sentito il fallito, può disporre di non farsi luogo al procedimento di accertamento dei crediti concorsuali.

Tali ipotesi di chiusura del fallimento pongono dei dubbi interpretativi:1. mancanza di domanda di ammissione non è necessario aspettare la decorrenza dei termini per la

presentazione tardiva delle domanda essendo perentorio il termine stabilito nella sentenza dichiarativa di fallimento.

2. pagamento integrale dei debiti prima del riparto finale l’estinzione deve essere generale pertanto deve comprendere tutti i crediti ammessi anche se impugnati da altri creditori perché la contestazione non riguarda il debitore e il suo obbligo di pagare come risultante dallo stato passivo. Per i crediti condizionali compresi nei crediti ammessi con riserva, si può ipotizzare che il debitore deve depositare le somme relative per addivenire alla chiusura della procedura. Più dubbio è se la chiusura può essere richiesta in pendenza di opposizione allo stato passivo da parte dei creditori non ammessi o ammessi con riserva. La soluzione positiva è preferibile perché non si può condizionare la chiusura della procedura ai tempi dei giudizi di opposizione e perché per i crediti non ammessi per i quali è stata proposta opposizione non sono previsti accantonamenti sul ricavato, a differenza di quanto avviene per i creditori ammessi con riserva.

3. ripartizione finale dell’attivo con creditori parzialmente insoddisfatti la chiusura del fallimento non è pregiudicata anche nel caso in cui vi siano creditori non soddisfatti perché ammessi con riserva o non ammessi e che abbiano fatto opposizione allo stato passivo.

Il tribunale si pronuncia con decreto di chiusura (art. 119) motivato, su istanza del curatore o del fallito, ma anche d’ufficio nei casi previsti dalla legge tuttavia se l’attivo risulta insufficiente prima dell’approvazione del programma di liquidazione, il tribunale può provvedere solo dopo aver sentito il comitato dei creditori e il fallito. Tale decreto deve contenere le disposizioni esecutive volte ad attuare gli effetti della decisione e deve essere pubblicato con le stesse forme previste per la sentenza dichiarativa di fallimento. Inoltre può essere opposto reclamo al decreto dinanzi alla corte d’appello e contro il decreto della corte d’appello può essere opposto reclamo in cassazione entro 30 giorni dalla notifica/comunicazione del provvedimento per il curatore, fallito, comitato dei creditori, ricorrente o chi è intervenuto nel procedimento o dalla pubblicazione del provvedimento per tutti gli altri interessati. Il decreto di chiusura acquista efficacia solo quando è decorso il termine per il reclamo o è stato definitivamente rigettato. Gli effetti della chiusura sono:1. cessazione degli effetti sul patrimonio del fallito e delle incapacità personali2. decadenza degli organi fallimentari3. creditori possono esercitare le azioni verso il debitore per la parte non soddisfatta dei loro crediti

per capitale ed interessi, salvo il beneficio dell’esdebitazione riconosciuto al debitore.4. non prosecuzione delle azioni derivanti dal fallimento

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Una disciplina specifica è prevista per la chiusura del fallimento di società poiché il curatore deve chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese se la chiusura deriva dalla ripartizione finale dell’attivo o dalla sua insufficienza anche se, solo per le società di persone commerciali, il fallimento è una causa autonoma di scioglimento. Inoltre, la chiusura del fallimento di società nei casi di mancata tempestiva presentazione di domande di ammissione al passivo o di integrale soddisfacimento dei creditori, determina la chiusura delle procedure relative ai soci illimitatamente responsabili, a meno che nei confronti del socio non sia stata aperta una procedura in qualità di imprenditore individuale.

7) La riapertura del fallimentoLa riapertura del fallimento è disposta dal tribunale solo in certe ipotesi (art. 121):1. chiusura del fallimento per ripartizione finale o insufficienza dell’attivo è necessaria l’istanza del

debitore o qualunque creditore, entro 5 giorni dal decreto di chiusura se:a. presenza di attività nel patrimonio del fallito che rendono utile il provvedimentob. fallito offre garanzia di pagare almeno il 10% ai creditori vecchi e nuovi

2. risoluzione/annullamento del concordato fallimentare è disposta d’ufficio.La sentenza di riapertura è soggetta alla pubblicità prevista per la sentenza dichiarativa di fallimento, può essere reclamata e i suoi effetti sono:1. nomina del curatore e del giudice delegato possono essere richiamati in ufficio anche i vecchi e il

giudice delegato nominerà il comitato dei creditori considerando anche i nuovi creditori.2. nuovi termini per l’esame del passivo e presentazione delle domande d’ammissione possono

essere dimezzati. I creditori ammessi nel fallimento chiuso possono chiedere al giudice delegato la conferma del provvedimento d’ammissione ma è necessaria una nuova domanda per insinuare ulteriori interessi e in sede di riparto deve essere dedotto quanto percepito nel fallimento chiuso. I provvedimenti relativi all’accertamento dei crediti/diritti reali adottati nel fallimento chiuso restano efficaci anche in quello riaperto mentre le operazioni devono essere rinnovate. I termini per l’esercizio delle azioni volte alla ricostruzione dell’attivo (revocatoria) decorrono dalla sentenza di riapertura e sono inefficaci verso i creditori gli atti a titolo gratuito e quelli tra coniugi compiuti tra la chiusura e la riapertura del fallimento (art. 122 e 123).

8) La esdebitazioneIn seguito alla chiusura del fallimento, alla persona fisica fallita può essere riconosciuto il beneficio della esdebitazione (art. 142) cioè liberazione dai debiti insoddisfatti pertanto verso il fallito sono inesigibili:1. crediti concorsuali non integralmente soddisfatti 2. crediti sorti prima dell’apertura del fallimento per i quali non è stata presentata la domanda di

ammissione e per la parte eccedente la percentuale attribuita nel concorso ai creditori di pari grado.Tali debiti non possono essere soddisfatti coattivamente ma se il debitore li paga volontariamente, non sono ripetibili. Le esclusioni da tale beneficio riguardano le obbligazioni derivanti:1. risarcimento di danni extracontrattuali 2. sanzioni penali o amministrative (non accessorie a debiti estinti) 3. obblighi di mantenimento, alimentari o estranei all’esercizio dell’impresa L’esdebitazione non riguarda i diritti che i creditori vantano verso i coobbligati, obbligati di regresso e fideiussori del fallito perché sono pretese verso patrimoni di altri soggetti pertanto non è motivato un meccanismo liberatorio che inoltre lederebbe l’affidamento dei creditori su un patrimonio diverso da quello dell’imprenditore. L’esdebitazione è decisa dal tribunale col decreto di chiusura del fallimento o con decreto emanato su ricorso del debitore entro l’anno successivo alla chiusura, sentiti il curatore e il comitato dei creditori, contro il quale ogni interessato può proporre reclamo. L’ammissione è subordinata alla soddisfazione parziale dei creditori concorsuali ed a requisiti di meritevolezza del fallito:1. collaborazione con gli organi fallimentari fornendo informazioni e documentazioni per

l’accertamento del passivo, consegna della corrispondenza al curatore2. non distrazione dell’attivo o esposizione di passività inesistenti3. non cagionato/aggravato il dissesto

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4. non ricorso abusivo al credito o contribuzione a ritardare lo svolgimento della procedura5. non condannato per bancarotta fraudolenta o delitti contro l’economia pubblica6. non abbia beneficiato dell’esdebitazione nei 10 anni precedentiLa finalità dell’istituto è di rimuovere la remora per il fallito allo svolgimento di ogni attività economica perché senza tale beneficio il debitore rimarrebbe soggetto alle azioni giudiziarie dei suoi creditori non soddisfatti. Inoltre, tale beneficio può incentivare la richiesta del fallimento eliminando le imprese insolventi dal mercato.

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CAPITOLO 7: L’AMMINISTRAZIONE DEL PATRIMONIO NEL FALLIMENTO

1) L’organizzazioneIl patrimonio del debitore è destinato all’esercizio dell’impresa pertanto rileva sia come strumento di garanzia che come oggetto di gestione. In caso di crisi dell’impresa, sono sottratti i poteri al debitore e la gestione è affidata al curatore, che compie tutte le operazioni della procedura sotto la vigilanza del giudice delegato e del comitato dei creditori (art. 31). Il sistema di poteri di gestione e controllo è attuato con gli organi del fallimento (tribunale, giudice delegato, curatore, comitato dei creditori). La riforma ha influito sui rapporti tra gli organi perché gli organi giudiziari sono stati privati di diverse funzioni a favore del comitato dei creditori tuttavia tali organi non hanno un ruolo residuale e sono rimasti alcuni elementi della vecchia disciplina: 1. principio gerarchia tra i diversi organi c’è un rapporto di sovraordinazione pertanto l’organo

sovraordinato a fronte dell’inerzia o di comportamenti non conformi alla legge da parte dell’organo subordinato, può avere un potere di surrogazione ad esso. La sovraordinazione e quindi il rapporto gerarchico dipende da:a. funzioni di vigilanza il tribunale è sovraordinato al:

curatore vigila sulla sua attività e svolge, in alternativa al giudice delegato, un controllo di legalità valutando se l’attività è esercitata in conformità ai principi fallimentari (presenza del parere obbligatorio del comitato dei creditori sull’esercizio provvisorio dell’impresa).

giudice delegato (art. 26) in merito:o atti di competenza potere limitato perché è esclusa la funzione decisoria

giurisdizionale cioè gli atti di esclusiva competenza del giudice delegato (art. 25 n. 7 nomina degli arbitri, su proposta del curatore, verificata la sussistenza dei requisiti).

o poteri generali di amministrazione del patrimonio poiché il tribunale è investito dell’intera procedura inoltre, secondo il principio generale, la delega di funzioni non priva il tribunale da esse, potendo questi avocare sempre a se la decisione delegata.

o funzioni il tribunale può intervenire se il giudice delegato omette di compiere certi atti ed è un meccanismo più veloce rispetto al reclamo contro attività/omissione del giudice delegato che permette di raggiungere lo stesso risultato.

b. funzioni di gestione il comitato dei creditori è sovraordinato al: curatore molti atti di gestione (esercizio provvisorio dell’impresa) sono autorizzati dal

comitato stesso che esegue un controllo di merito. giudice delegato nonostante sia subordinato ad esso rispetto alle funzioni di vigilanza

perché si ha un’equivalenza di funzioni amministrative tra giudice delegato e comitato dei creditori cioè si controllano a vicenda infatti il comitato può reagire contro i provvedimenti del giudice delegato col reclamo e il giudice delegato può agire di fronte a disfunzioni del comitato dei creditori provvedendo alla sostituzione dei componenti (art. 41 c4 il giudice delegato provvede in caso di inerzia, urgenza, impossibilità di costituzione/funzionamento).

2. fonte dei poteri i poteri attribuiti ai diversi organi della procedura derivano solo dalla legge quindi è precluso ogni intervento modificativo da parte dell’autonomia privata.

3. criterio di ripartizione delle competenze al curatore e al comitato dei creditori spetta la funzione di gestione mentre la funzione di vigilanza spetta sia al giudice delegato (legalità) attraverso le autorizzazioni che al comitato (merito) attraverso i pareri inoltre sul curatore grava un onere di informativa e al tribunale investito dell’intera procedura spetta un controllo generale della gestione.

Il tribunale fallimentare e il giudice delegato, a differenza del comitato dei creditori e del curatore, sono organi che esprimono un’autorità giudiziaria ed esercitano le loro funzioni con l’emanazione di provvedimenti giurisdizionali che nel 90% dei casi sono decreti che svolgono una funzione di controllo e verifica sulla corretta amministrazione fallimentare e possono essere:1. decreti ordinatori esauriscono i propri effetti all’interno della procedura in quanto si tratta di

autorizzazioni che concede un organo della procedura ad un altro organo come l’autorizzazione del giudice delegato al curatore per il compimento di certi atti.

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2. decreti decisori sono relativi ai rapporti con soggetti esterni che magari sono chiamati a prestare la loro opera all’interno della procedura come la liquidazione dei compensi del perito pertanto riguardano diritti soggettivi.

Il reclamo è un rimedio processuale contro i decreti sia del giudice delegato che del tribunale ma nel primo caso la competenza è del tribunale e nel senso caso è della corte d’appello (cui è ammesso ricorso in cassazione solo per i decreti decisori) tuttavia in entrambi i casi non è sospesa l’esecuzione.

2) Il tribunale fallimentareI poteri di controllo giurisdizionale del tribunale sono rimasti sostanzialmente immutati anche se ha comunque subito gli effetti della degiurisdizionalizzazione poiché non può più promuovere d’ufficio l’apertura del fallimento e non deve più autorizzare gli atti di straordinaria amministrazione essendo autorizzati dal comitato dei creditori. Con la riforma, i poteri degli organi giudiziari hanno assunto una dimensione strettamente giurisdizionale attraverso:a. privazione poteri amministrativi solo limitatamente alla fase dell’istruttoria, il tribunale può, ad

istanza di parte, emettere provvedimenti cautelari/conservativi (art. 15) e disporre, con la sentenza dichiarativa di fallimento, l’esercizio provvisorio dell’impresa o ordinare in ogni momento la cessazione di tale esercizio, sentito il curare e il comitato dei creditori (art. 104).

b. ampliamento poteri giurisdizionali è stata ampliata la vis attractiva del tribunale fallimentare a tutte le controversie che derivano dal fallimento (art. 24).

Il tribunale fallimentare (art. 23 e 24) è sovraordinato rispetto agli altri organi fallimentari essendo investito dell’intera procedura e le sue principali funzioni sono:1. poteri d’impulso con la sentenza di fallimento nomina il curatore e il giudice delegato (art. 16).2. poteri di nomina e revoca nomina/revoca/sostituisce gli organi per giustificati motivi, salvo la

competenza del giudice delegato, e la decisione è reclamabile (art. 26). Il potere di nomina del curatore e del comitato dei creditori è sottoposto ad un limite perché i creditori possono chiedere la sostituzione del curatore (indicando i motivi ed un nuovo nominativo) e dei componenti del comitato pertanto in questi casi il potere di nomina si traduce in un potere di controllo della proposta dei creditori.

3. funzione di vigilanza si desume dal potere di richiamo e da quello di revoca del giudice delegato e del curatore inoltre può modificare la composizione del comitato dei creditori. La revoca è un controllo di legalità e di merito perché significa che l’operato del l’organo non è soddisfacente. Il tribunale può sentire tali organi e li controlla.

4. funzione di assunzione d’informazione di fronte ad esso si instaura il contraddittorio pertanto deve sentire tutti gli interessati (curatore, fallito e comitato dei creditori).

5. funzione decisoria sulle controversie relative alla procedura che non sono di competenza specifica del giudice delegato e sui reclami contro i provvedimenti di quest’ultimo. Quest’ultima funzione permette di desumere un superiore potere di vigilanza del tribunale.

I provvedimenti del tribunale, salvo diversa previsione, hanno la forma del decreto ed il reclamo può essere proposto alla corte d’appello solo per i decreti emessi direttamente dal tribunale e non per quelli emessi su reclamo contro i decreti del giudice delegato entro 10 giorni dalla comunicazione o notificazione del provvedimento per il curatore, fallito, comitato dei creditori o per chiunque ha chiesto o nei cui confronto è stato chiesto il provvedimento stesso. Per gli altri interessati il termine decorre dall’esecuzione delle formalità pubblicitarie disposte dall’organo che ha emesso il provvedimento. In assenza della comunicazione o notificazione, opera il termine lungo di 90 giorni dal deposito del provvedimento in cancelleria inoltre sia il reclamante che il resistente devono indicare i mezzi di prova dei quali intendono avvalersi. La decisione deve essere adottata entro 30 giorni dall’udienza con decreto motivato che conferma, modifica o revoca il provvedimento reclamato. Inoltre, contro i decreti della corte d’appello resi in sede di reclamo è proponibile il ricorso in cassazione ma solo per i provvedimenti decisori cioè quelli che hanno deciso una controversia su diritti soggettivi.

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3) Il giudice delegatoIl giudice delegato (art. 25) in linea di principio è un organo sovraordinato rispetto al curatore e al comitato dei creditori, le cui principali funzioni sono:1. funzione di vigilanza e controllo generale continuativo sull’attività del curatore e funzionamento

del comitato dei creditori. Tale vigilanza si pone su due piani:a. piano informativo controlla la relazione del curatore sull’andamento della procedura (art.

33) e vigila sulla straordinari amministrazione infatti il curatore deve informare il giudice delegato per il compimento di atti eccedenti 50.000€ e delle transazioni, già autorizzati dal comitato dei creditori, perché se ritiene l’atto illegittimo o lesivo dei creditori, può esercitare i poteri di convocazione, emanare provvedimenti urgenti o attivarsi per la revoca del curatore.

b. piano dell’iniziativa (art. 25 c1 n. 3) può convocare il curatore e il comitato dei creditori sia nei casi previsti dalla legge che per garantire il corretto/sollecito svolgimento della procedura quando si verifica un rallentamento della stessa. Si tratta di un controllo di legalità e non di merito perché mira ad assicurare la regolarità della procedura rispetto alla legge.

Tali poteri di vigilanza e controllo sono rafforzati per evitare che la maggiore autonomia attribuita al curatore non si risolva in una gestione incontrollata anche se in seguito alla riforma, sono venuti meno i poteri di controllo di merito sulle scelte del curatore ma residuano solo quelli di legalità. Il giudice delegato può sostituire in ogni momento uno o più componenti del comitato dei creditori e proporre la tribunale la revoca del curatore.

2. potere d’autorizzazione al compimento di certi atti in tali ipotesi il giudice delegato può ingerirsi direttamente nella gestione perché senza la sua autorizzazione il curatore non può compiere certi atti tuttavia dopo la riforma, gli atti che necessitano dell’autorizzazione sono diminuiti:a. esercizio provvisorio dell’impresa (art. 104 c2)b. affitto d’azienda (art. 104 bis)c. autorizzazione del curatore a stare in giudizio (art. 25 c1 n. 6) deve essere data per atti

determinati e per ogni grado di giudizio tuttavia la mancanza può essere sanata con efficacia retroattiva

Le decisioni sulle controversie derivanti dagli atti autorizzati dal giudice delegato e compiuti dal curatore, sono di competenza del tribunale fallimentare per evitare il giudizio imparziale cioè la commistione tra il profilo gestorio e quello decisorio. Inoltre conserva un limitato potere di gestione perché emette o provoca dalle competenti autorità provvedimenti urgenti per la conservazione del patrimonio (salvo quelli che indicono sui diritti di terzi che rivendicano un proprio diritto incompatibile con l’acquisizione art. 25 c1 n. 2).

3. funzione decisoria sui reclami proposti contro il curatore e il comitato dei creditori (poteri giurisdizionali). Inoltre accerta i crediti e i diritti reali/personali vantati dai terzi provvedendo all’esame/approvazione dello stato passivo ed a renderlo esecutivo con decreto depositato in cancelleria. I provvedimenti devono essere sempre motivati.

4. funzione sostitutiva di fronte ad un comportamento omissivo od errato, il giudice delegato può sostituirsi sia con atti che avrebbe dovuto compiere il curatore sia con autorizzazioni che il comitato dei creditori avrebbe dovuto concedere.

Avverso i decreti (ordinatori e decisori) del giudice delegato può essere promosso reclamo al tribunale da parte del curatore, fallito, comitato dei creditori e chiunque vi abbia interesse. Inoltre è stato risolto il problema di terzietà ed imparzialità del giudice delegato prevedendo che non possa partecipare ai procedimenti di impugnazione contro i propri atti e non possa decidere cause da lui stesso autorizzate.

4) Il comitato dei creditoriIl comitato dei creditori (art. 40 ss) è l’organo collettivo rappresentativo dei creditori che svolge le sue funzioni tramite l’emanazione di pareri per la tutela degli interessi dei creditori stessi. Prima della riforma aveva una funzione consultiva blanda perchè spesso i pareri erano facoltativi mentre con la riforma sono aumentati i suoi poteri poiché gli sono state attribuite molte funzioni che spettavano al giudice delegato.

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Il comitato è diventato un organo di direzione, consulenza e controllo passando dalle originarie funzioni consultive a penetranti poteri di affiancamento del curatore nella gestione e a poteri di vigilanza del curatore. Si deduce la filosofia della riforma cioè la privatizzazione degli interessi rispetto a quella pubblicistica passata perché alcune scelte fondamentali della procedura (esercizio provvisorio) sono rimesse ai soggetti che ne subiscono le conseguenze. A fronte di tale ampliamento dei poteri si ha:1. professionalità i componenti devono adempiere i doveri con la professionalità e la diligenza

richieste dalla natura dell’incarico. All’elevata professionalità corrisponde un maggior rigore sulla valutazione della responsabilità che non si riferisce alla culpa in vigilando ma ha carattere omissivo cioè quando il comitato viola il potere – dovere d’intervento nella gestione. L’azione può essere proposta solo dal curatore durante la procedura previo decreto d’autorizzazione del giudice delegato con cui sostituisce i componenti verso cui è autorizzata l’azione (art. 41).

2. compenso facoltativo può essere previsto in favore dei membri, oltre al rimborso delle spese, ma non può superare il 10% di quello del curatore, se è deciso dai creditori ammessi in sede di adunanza a maggioranza semplice calcolata per teste.

Il comitato è un organo rappresentativo pertanto fa capo all’assemblea del creditori e solo successivamente sono scelti i componenti del comitato tra i creditori. L’assemblea non ha una disciplina propria non essendo un organo istituzionale della procedura infatti è previsto solo che conclusa l’adunanza dei creditori, convocata per l’esame dello stato passivo, l’assemblea ed in particolare i creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti, possono effettuare nuove designazioni dei componenti del comitato e richiedere la sostituzione del curatore indicando al tribunale le ragioni ed un nuovo nominativo (art. 37bis). La nomina del comitato spetta al giudice delegato, sentiti i creditori e il curatore, entro 30 giorni dalla sentenza dichiarativa di fallimento ed è composto da 3/5 membri scelti tra i creditori in modo da rappresentare in modo equilibrato la qualità/quantità dei crediti inoltre entro 10 giorni dalla nomina, il comitato convocato dal curatore, nomina a maggioranza il proprio presidente (art. 40). La composizione può variare in seguito alla sostituzione dei membri provocata da:1. giudice delegato (art. 40) col provvedimento emesso in relazione alle variazioni dello stato

passivo o per altro giustificato motivo.2. creditori (art. 37bis) al termine dell’adunanza per l’esame dello stato passivo e prima della

dichiarazione d’esecutività, da parte dei creditori presenti che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi ma a differenza della sostituzione del curatore, non è necessaria una nuova designazione giustificata.

Ogni componente può delegare, previa comunicazione al giudice delegato, l’espletamento delle proprie funzioni ad uno dei soggetti aventi i requisiti per la nomina a curatore (art. 40) e si ritiene che la delega possa assumere carattere permanente. In merito al funzionamento la legge prevede che il presidente convoca il comitato per le deliberazioni di competenza (o quando sia richiesto da 1/3 dei componenti) che vengono assunte a maggioranza dei votanti (a prescindere dall’entità del credito). Il voto può essere espresso in riunioni collegiali o con uno strumento elettronico/telematico che consente la conservazione della prova della manifestazione del voto al fine di poter verificare la sussistenza di un conflitto d’interessi poiché il componente che versa in conflitto d’interessi rispetto ad una decisione deve astenersi dal voto. Il comitato svolge una funzione consultiva generale in quanto autorizza atti ed esprime pareri quando è previsto dalla legge o è ritenuto opportuno dal tribunale o giudice delegato (art. 41) inoltre ha:1. funzione di gestione è esercitata attraverso:

a. autorizzazioni sul piano funzionale possono essere equiparate ai pareri vincolanti ma sono diversi strutturalmente perché in quest’ultimi il potere decisionale resta all’autorità giudiziaria mentre nelle autorizzazioni è trasferito al comitato dei creditori. Le principali autorizzazioni sono: compimento atti di straordinaria amministrazione (art. 35 c1) riduzione dei crediti,

transazioni, compromessi, rinuncia alle liti, accettazione di eredità, ecc. Se tali atti superano 50.000 € e per le transazioni deve essere preventivamente informato il giudice delegato.

nomina coadiutori e delegati (art. 32 c1 c2) il coadiutore è un ausiliario del curatore.

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rinuncia acquisizione beni sopravvenuti (art. 42 c3) se i costi per l’acquisto e la conservazione sono superiori al loro presumibile valore di realizzo.

investimento delle somme riscosse (art. 34 c1) con strumenti diversi dal deposito nel conto corrente purché sia garantita l’integrità del capitale.

subentro nei rapporti giuridici pendenti o scioglimento (art. 72, 73, 81) rinuncia acquisizione attivo o liquidazione beni (art. 104ter) se non è conveniente.

Le prime due ipotesi erano poteri che spettavano al giudice delegato. b. pareri possono essere facoltativi o obbligatori (vincolanti e non vincolanti) e in questi casi,

spesso l’autorizzazione spetta al giudice delegato che però richiede un parere favorevole del comitato pertanto si riduce il suo margine valutativo. In alcuni casi i pareri sono vincolanti nella sola forma negativa: continuazione temporanea attività d’impresa (art. 104 c2) affitto d’azienda (art. 104bis c1) concessione convenzionale diritto di prelazione (art. 104 bis c5) proposta di concordato fallimentare (art. 125 c2) restituzione a terzi di beni mobili su cui vantano diritti (art. 87bis c1)

Alcuni pareri non vincolanti che il comitato deve dare riguardano: concessione del sussidio a titolo di alimenti per il fallito e famiglia subentro del curatore nel contratto di finanziamento destinato ad uno specifico affare esdebitazione azione di responsabilità contro amministratori, sindaci, direttori generali, liquidatori e soci srl decreto di chiusura del fallimento sospensione per gravi e giustificati motivi delle operazioni di vendita

La mancanza dell’autorizzazione o del parere vincolante e l’inosservanza del diniego dell’autorizzazione/parere rendono l’atto reclamabile. L’assenza dell’autorizzazione/parere è un vizio del procedimento che non incide di per se sulla validità o efficacia dell’atto pertanto il rimedio deve essere fatto valere nella procedura col reclamo mentre per i pareri non vincolanti opera la più ampia discrezionalità. Contro le autorizzazioni/dinieghi del comitato o suoi comportamenti omissivi, il fallito e ogni altro interessato possono proporre reclamo al giudice delegato che provvede con decreto motivato e contro di esso può essere proposto ricorso al tribunale inoltre se viene accolto il reclamo contro un comportamento omissivo, il giudice delegato provvede in sostituzione del comitato (art. 36). Il comitato può interporre reclamo al tribunale o alla corte d’appello contro i decreti del giudice delegato o del tribunale, salvo che sia diversamente disposto. Il giudice delegato può sostituire i componenti del comitato nei casi di urgenza, inerzia (il comitato non decide entro 15 giorni), impossibilità di funzionamento o impossibilità di costituzione (insufficienza di numero, indisponibilità dei creditori). Tra i poteri gestori del comitato si hanno dei poteri di indirizzo tra cui assume rilievo il potere, in concorrenza col curatore, con cui il comitato esercita: prospettazione e preselezione delle opzioni più convenienti può sollecitare il curatore ad

apportare modifiche al programma di liquidazione conferma dell’opportunità delle soluzioni suggerite dal curatore si esprime sul programma.L’ingerenza del comitato nella procedura determina una collaborazione col curatore assicurando una maggiore stabilità dei provvedimenti e delle decisioni gestorie. Inoltre il comitato e ciascun membro può formulare osservazioni scritte al rapporto riepilogativo semestrale del curatore.

2. vigilanza riguardano sia l’operato del curatore che lo svolgimento dell’intera procedura:a. poteri di iniziativa può proporre reclami contro i decreti del giudice delegato (art. 26 c2) e

chiedere la revoca del curatore (art. 37 c1). Tale potere di revoca è concorrente con quello dei creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ma si differenziano perché nel primo caso il potere non è soggetto ad alcun limite di tempo ed è necessaria una semplice motivazione mentre nel secondo caso l’assemblea può chiedere la revoca solo alla fine dell’esame del passivo indicando una motivazione più stringente.

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Il potere di vigilanza sull’operato del curatore inoltre emerge dalla necessità di autorizzazione di taluni atti tuttavia il comitato ha anche un generale potere di vigilanza sulle iniziative del curatore e si verifica una concorrenza col giudice delegato mentre il potere di controllo spetta sempre al tribunale.

b. poteri ispettivi ed informativi ha un potere di ispezione sia delle scrittura contabili che dei documenti della procedura e può esercitare il diritto di informazione richiedendo al curatore e al fallito chiarimenti sulla procedura o sul compimento di determinati atti (art. 41 c5) inoltre può prendere visione di ogni atto/documento contenuto nel fascicolo della procedura depositato in tribunale. Insieme al giudice delegato e al curatore, ha un diritto – dovere di vigilare sull’adempimento del concordato fallimentare secondo le modalità stabilite nel decreto di omologazione infatti il comitato può convocare l’imprenditore per acquisire informazioni/chiarimenti inoltre deve predisporre/depositare una relazione motivata con il suo parere definitivo.

c. obblighi informativi del curatore deve presentare un rapporto riepilogativo e nel caso di esercizio provvisorio, deve informare ogni 3 mesi il comitato dei creditori e deve informare senza indugio sia il giudice delegato che il comitato, delle circostante sopravvenute che possono influire. Inoltre, il curatore deve informare sia il comitato che il giudice delegato sugli esisti delle procedure di vendita, depositando in cancelleria la documentazione.

5) Il curatoreIl curatore (art. 27 ss) in genere è un professionista che per quanto riguardo l’esercizio delle sue funzioni è un pubblico ufficiale (art. 30). La curatela è un organo gestorio esterno alla procedura poiché assume l’amministrazione del patrimonio fallimentare ed è chiamato a rappresentare in giudizio la procedura stessa cioè dopo la sentenza dichiarativa di fallimento spetta al curatore e non al debitore stare in giudizio come convenuto. Tutto questo si verifica sia per l’impresa individuale che per quella societaria e nelle società di capitali, gli organi sociali rimangono in carica con un ridimensionamento dei loro poteri che rimangono integri solo per gli ambiti non toccati dalle esigenze della procedura e non riguardanti il patrimonio oggetto dello spossessamento. Il fallimento non è una causa di scioglimento delle società di capitali ma nei casi di chiusura per ripartizione finale dell’attivo e per incapacità di soddisfacimento dei creditori concorsuali, il curatore deve richiederne la cancellazione dal registro delle imprese. La gestione del patrimonio fallimentare è esercitata dal curatore per la realizzazione della garanzia dei creditori quindi implica un’attività diretta sia alla conservazione dei beni/diritti del patrimonio che alla liquidazione del patrimonio per il soddisfacimento dei creditori. In merito alla legittimazione processuale è previsto che gli atti di costituzione in giudizio richiedono l’autorizzazione del giudice delegato per l’esercizio dei poteri di azione/difesa da parte del curatore ma si ritiene che l’autorizzazione può intervenire anche successivamente (art. 31 c2). Tale autorizzazione è riferita alla sola fase decisionale dell’iniziativa processuale mentre la successiva rinuncia/transazione è rimessa alla valutazione del comitato dei creditori, che rilascia l’autorizzazione, col solo onere di informativa preventiva al giudice delegato (art. 35). Si ha una differenza tra le attribuzioni del curatore e quelle degli altri organi giudiziari inoltre la stessa differenza si ha rispetto alle funzioni del comitato dei creditori. Gli organi giudiziari operano tramite atti che esauriscono la loro efficacia nella procedura come il comitato dei creditori se i suoi pareri hanno solo rilievo interno mentre il curatore opera tramite atti che hanno una rilevanza esterna. Tale differenza implica che tale funzione spetta esclusivamente al curatore il quale non può essere sostituito dal giudice delegato o dal comitato dei creditori nel compimento di atti con rilievo esterno. Se è esercitata la revocatoria verso un soggetto che aveva acquistato un bene sottocosto ma questi per trattenere il bene corrisponde la differenza al curatore evitando i costi ed i tempi lunghi del giudizio. Se il giudice delegato ritiene conveniente per la procedura tale transazione col terzo può autorizzare il curatore a compierla ma se questi omette di compiere l’atto, non essendo possibile la sostituzione, lo strumento di tutela è la revoca del curatore qualora tale inerzia sia censurabile.

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Nell’esercizio dell’amministrazione del patrimonio il curatore instaura rapporti con:1. fallito può avvalersi della sua cooperazione nella ricerca dei modi più idonei per riallocare le

risorse produttive nell’interesse dei creditori favorendo l’esdebitazione. A fini collaborativi è previsto che se occorrono informazioni/chiarimenti per la gestione, il fallito, amministratori, liquidatori di società/enti soggetti al fallimento devono presentarsi di persona (per mandatario solo in caso di legittimo impedimento o altro giustificato motivo) agli altri organi fallimentari e devono comunicare al curatore il cambiamento della residenza/domicilio (art. 49). La corrispondenza indirizzata al fallito non persona fisica o quella a lui indirizza ma riguardante i rapporti compresi nel fallimento deve essere consegnata al curatore (art. 48).

2. altri organi nella gestione è affiancato dal comitato dei creditori ed è soggetto alla vigilanza sia del giudice delegato (potere autorizzativo limitato dalla funzione consultiva, spesso vincolante, del comitato dei creditori) che del comitato (potere di direzione/controllo).

Nel sistema precedente era presente una vendita coattiva che richiedeva una serie di autorizzazioni cioè la procedura era complicata sia in termini di tempo che di controllo essendo necessaria un’autorizzazione atto per atto e poteva pregiudicare gli interessi della procedura mentre nella nuova disciplina c’è una tendenziale autorizzazione globale da parte del giudice delegato che riguarda tutti gli atti conformi alla procedura, previa autorizzazione da parte del comitato dei creditori (art. 104ter c8). Al curatore è stato riconosciuta una maggiore autonomia sulla gestione liquidativa del patrimonio fallimentare infatti non è necessaria l’autorizzazione per gli atti d’ordinaria amministrazione volti alla conservazione dei valori e per le operazioni della procedura che rientrano nell’autonomia decisionale del curatore (controllati dal comitato e giudice delegato) mentre per gli atti di straordinaria amministrazione che possono comportare una modificazione patrimoniale è necessaria l’autorizzazione del comitato dei creditori (prima spettava al giudice delegato) previa informativa al giudice in taluni casi e il curatore deve formulare le proprie conclusioni sulla convenienza dell’atto da compiere. Tale maggiore autonomia ha richiesto la previsione di requisiti soggettivi per la nomina del curatore che in passato non erano necessari perché era manovrato dal giudice delegato (art. 28):1. nominabili avvocati, dottori commercialisti, ragionieri, studi professionali, società tra

professionisti e coloro che hanno svolto funzioni di amministrazione, direzione e controllo in spa dando prova di adeguate capacità imprenditoriali, purché non siano stati dichiarati falliti.

2. non nominabili coniuge, parenti, affini entro il 4° grado, creditori e coloro che hanno concorso al dissesto dell’impresa nei due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento nonché chiunque è in conflitto di interessi col fallimento pertanto si tratta di un elenco aperto e non tassativo.

Il curatore, entro 2 giorni alla comunicazione della sua nomina, deve far pervenire al giudice delegato la propria accettazione altrimenti il tribunale provvede d’urgenza alla nomina di un altro curatore (art. 29). Rispetto al passato è rimasto il principio della personalità della carica (art. 32) secondo cui l’incarico deve essere svolto tendenzialmente dal curatore ma previa autorizzazione del comitato dei creditori, può avvalersi di ausiliari (art. 31) la cui revoca è di competenza del giudice delegato (art. 25 c1 n4):1. delegato la nomina avviene nell’interesse del curatore e riguarda la delega dell’esecuzione di

specifiche operazioni salvo gli adempimenti indelegabili.2. coadiutore è un tecnico o altra persona retribuita (compreso il fallito) che agisce sotto la

responsabilità del curatore e la sua collaborazione è prestata nell’interesse della massa per attività nelle quali il curatore non ha specifiche competenze.

La nomina degli ausiliari non implica la delega di attribuzioni quindi il curatore non si priva delle sue competenze ma si avvale solo del lavoro degli ausiliari infatti il curatore è sempre responsabile a prescindere dalla presenza o meno degli ausiliari. Vi sono però delle eccezioni in cui il principio della personalità è inderogabile perché talune attività devono essere obbligatoriamente svolte dal curatore:1. elenco dei creditori e titolari di diritti reali mobiliari e redazione del bilancio (art. 89) 2. avviso ai creditori ed agli altri interessati (art. 92) 3. progetto dello stato passivo e udienza di discussione (art. 95) 4. comunicazione dell’esito del procedimento di accertamento (art. 97) 5. programma di liquidazione (art. 104ter)

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Sono attività che hanno ad oggetto la situazione contabile dell’impresa e convocazione/comunicazione dei creditori (secondo una prospettiva di tutela dei creditori che potranno fare reclamo). All’ampiezza dei poteri gestori del curatore corrisponde un’ampiezza della sua responsabilità in caso di violazione:1. obblighi specifici sono obblighi che incombono in modo specifico sulla persona del curatore

(convocazione dei creditori entro un certo termine, redazione tempestiva della relazione sulla situazione dell’impresa, deposito tempestivo delle somme riscosse, tenuta regolare del registro da cui risultano le sue operazioni).

2. obbligo generale il patrimonio del fallito deve essere amministrato con diligenza professionale richiesta dalla natura dell’incarico (art. 1176 2c cc) pertanto non è sufficiente la diligenza del buon padre di famiglia (uomo medio).

In questi casi si hanno due conseguenze:1. revoca con decreto di cui è ammesso ricorso in corte d’appello.2. azioni di responsabilità è proposta dal nuovo curatore per ottenere il risarcimento dei danni

previa autorizzazione del giudice delegato e del comitato dei creditori (art. 38).Gli atti di competenza del curatore più significativi sono:1. relazione (art. 33) deve essere presentata al giudice delegato entro 60 giorni dalla dichiarazione

di fallimento e contiene:a. cause/circostanze del fallimentob. diligenza del fallito nell’esercizio dell’impresa.c. responsabilità del fallito (o altri)d. atti del fallito impugnati dai creditori e di quelli che intende impugnare il curatore.e. azioni che intende proporre a tutela della procedura azioni di responsabilità contro gli organi

societari, se è fallita una società (o anche dei soci nel caso di srl). Il curatore dovrebbe ricostruire il patrimonio netto relativo agli ultimi esercizi e confrontarlo sia con la situazione patrimoniale che con l’inventario redatti alla data del fallimento, inoltre dovrebbe accertare la sussistenza d’operazioni di distrazione e conseguenti profili di responsabilità.

La relazione svolge quindi una funzione ricognitiva ed informativa, la cui efficacia probatoria è:a. piena fino a querela di falso per gli atti/fatti che sono stati compiuti dal curatore o sono

avvenuti alla sua presenza.b. fa fede fino a prova contraria per i fatti appresi nell’esercizio delle sue funzioni ma sonoc. assente per le affermazioni/considerazioni del curatore frutto del suo apprezzamento.

La relazione è depositata in cancelleria e trasmessa al PM per l’accertamento delle responsabilità penali del fallito e degli amministratori inoltre il giudice delegato può disporre la segregazione con riferimento a parti relative a:a. responsabilità penale del fallito e di terzib. azioni che il curatore intende proporre se possono comportare misure cautelari.c. circostanze estranee agli interessi della procedura che investono la sfera personale del fallitod. parti la cui conoscenza può costituire fonte di pregiudizio per la procedura

2. rapporti riepilogativi contengono le attività svolte nel semestre e le informazioni raccolte dopo la prima relazione, unitamente al conto della gestione e vengono trasmessi sia al comitato dei creditori che all’ufficio del registro delle imprese.

3. programma di liquidazione (art. 104ter) deve essere predisposto entro 60 giorni dalla redazione dell’inventario e contiene le linee guida dell’attività liquidatoria inoltre deve essere approvato dal comitato dei creditori e comunicato al giudice delegato che autorizza l’esecuzione degli atti conformi. Il programma approvato deve essere attuato dal curatore che è responsabile dell’inadempimento degli obblighi imposti dalla legge o derivanti dal piano di liquidazione approvato. Tuttavia se l’attuazione non è più rispondente agli interessi della massa, il curatore deve presentare un supplemento al piano, soggetto anch’esso all’approvazione del comitato dei creditori. In caso di mancata approvazione del programma, il curatore deve predisporre un nuovo piano recependo le indicazioni impartite dal comitato dei creditori. Il programma approvato è comunicato al giudice delegato che autorizza l’esecuzione degli atti conformi.

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La relazione e il programma svolgono un ruolo di indirizzo della procedura, ma mentre la relazione ha una funzione ricognitiva ed informativa, il programma rileva sul piano operativo e programmatica essendo l’atto di pianificazione ed indirizzo sulle modalità e termini previsti per la realizzazione dell’attivo. Contro gli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione del curatore, il fallito ed ogni altro interessato possono proporre reclami (art. 36) per violazione di legge al giudice delegato che tramite decreto motivato può annullare l’atto reclamato o i suoi effetti (in tutto o in parte) ma non può sostituire l’atto del curatore perché non gli compete l’amministrazione fallimentare. Se il reclamo è accolto in relazione ad un comportamento omissivo del curatore, questi è tenuto a dare esecuzione al provvedimento. Contro il decreto del giudice delegato sul reclamo, può essere proposto ricorso al tribunale che decide con decreto motivato non soggetto a gravame. Il tribunale può in ogni tempo disporre la revoca del curatore con decreto motivato, su proposta del giudice delegato o su richiesta del comitato dei creditori o d’ufficio (art. 37) e contro tale decreto è ammesso reclamo alla corte d’appello (art. 26). La sostituzione invece può essere disposta dal tribunale che verifica la sussistenza dei giusti motivi, solo quando è conclusa l’adunanza per l’esame dello stato passivo ma prima della dichiarazione di esecutività dello stesso, su richiesta dei creditori presenti che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi, con indicazione delle ragioni della richiesta e del nome del successore (art. 37bis). Il curatore revocato senza giusta causa ha diritto al risarcimento del danno e analogo risarcimento dovrebbe competere al curatore in caso di sostituzione. Al curatore spettano inoltre ulteriori poteri, rispetto a quelli gestori, che riguardano la valutazione di:1. proposta di concordato fallimentare (art. 125) il giudice delegato può proseguire l’iter solo dopo

il parere del curatore sulla convenienza e il parere favorevole del comitato dei creditori. 2. domande dei creditori di ammissione al passivo (art. 95) 3. richiesta di non farsi luogo all’accertamento del passivo per la previsione di insufficiente realizzo

(art. 102) il curatore deve redigere una relazione sulle prospettive di liquidazione con specifico riferimento alle possibilità di soddisfacimento dei creditori concorsuali.

4. cessioni di attività/passività dell’azienda (o rami), di beni o rapporti giuridici individuabili in blocco (art. 105)

5. cessioni di crediti, azioni revocatorie concorsuali e partecipazioni sociali (art. 106) Il curatore può richiedere l’estensione del fallimento ad altri soggetti aggiungendo così altri patrimoni alla garanzia dei creditori (art. 147) e realizzandosi le gestioni separate perché i patrimoni dei soci rimangono distinti da quello della società (art. 148). Se fallisce una spa che ha costituito patrimoni destinati, al curatore spetta l’amministrazione di questi con gestione separata, preferibilmente cedendo a terzi il patrimonio per conservarne la funzione produttiva (art. 155). Il ricavato della liquidazione (o il corrispettivo della cessione) è utilizzato in via prioritaria per pagare i creditori del patrimonio e il residuo attivo sarà acquisito all’attivo fallimentare. Il curatore a compimento della liquidazione ma prima del riparto finale e in ogni caso in cui cessi dall’ufficio, deve presentare al giudice delegato il rendiconto della gestione della procedura (art. 116). Il compenso del curatore e le spese della procedura sono liquidati con decreto del tribunale non soggetto a reclamo dopo l’approvazione del rendiconto o l’esecuzione del concordato ma il tribunale può stabilire con decreto la somma da attribuire al curatore in conto del compenso finale (art. 109). Se si sono succeduti più curatori, il compenso è stabilito secondo criteri di proporzionalità ed è liquidato al termine della procedura, salvi acconti (art. 39). In caso di revoca, il compenso e le spese sono liquidati dal tribunale con decreto che in questo caso è reclamabile. Il compenso liquidato dal tribunale è l’unico compenso spettante al curatore infatti questi è sottoposto a sanzioni penale se riceve/pattuisce, retribuzioni ulteriori, anche in forma diversa dal denaro (art. 229).

6) L’amministrazione fallimentareIl fallimento è un procedimento esecutivo per espropriazione perché il debitore perde la titolarità di certi beni infatti la dichiarazione di fallimento apre il procedimento di liquidazione del patrimonio, finalizzato alla distribuzione del ricavato fra i creditori, che può avvenire con la cessione d’azienda o con la cessione atomistica dei singoli beni (soluzione inefficiente). Si distingue tra:

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1. esecuzione individuale può essere attuata dal singolo creditore ed ha ad oggetto beni/diritti determinati (pignoramento). Le forme attraverso cui può realizzarsi l’esecuzione individuale sono:a. espropriazione mobiliare riguarda beni mobili di proprietà del debitore che si trovano in suo

possesso o in quello di terzi. b. espropriazione immobiliare riguarda beni immobili.c. espropriazione di crediti pignoramento del quinto dello stipendio.

L’esecuzione individuale può avere ad oggetto tutti i beni del debitore ma in questo caso la procedura non ha comunque carattere unitario perché può svolgersi in modo frammentato presso diversi giudici (se un bene è in x ed uno in y si hanno due giudici diversi) pertanto si differenzia dall’esecuzione concorsuale. Il creditore non può aggredire i diritti potestativi del debitore (opzione, prelazione, riscatto) perché vale il principio secondo cui il debitore rimane libero di esercitare tali diritti pertanto i creditori possono agire solo dopo che il debitore abbia esercitato tali diritti ma non possono indurre il suo comportamento. Nel caso dei contratti a prestazioni corrispettive in cui ogni parte è in una posizione di debito/credito rispetto all’altra parte, il creditore può tutelarsi contro l’inadempimento della controparte, non adempiendo a sua volta. In genere, la gestione dei beni pignorati è affidata ad un custode, spesso coincidente col debitore e non con un ufficio giudiziario, che non ha poteri di disposizione (come nel fallimento) ma solo poteri conservativi, salvo eccezioni in cui è prevista una serie di cautele (se la merce si deteriora il custode deve chiedere di poterla mettere in vendita).

2. esecuzione concorsuale in conseguenza alla visa actractiva del fallimento si ha un solo giudice pertanto le caratteristiche principali sono:a. unitarietà l’esecuzione si attua solo nella procedura che ha ad oggetto tutti i beni/diritti del

debitore pertanto si ha il tribunale unico. Gli organi della procedura subentrano anche nei diritti del debitore, compresi quelli potestativi, pertanto possono esercitarli.

b. universalità implica l’attribuzione della custodia (ottica conservativa) e della gestione (ottica dinamica) del patrimonio dell’impresa agli organi della procedura che non coincidono mai con l’imprenditore fallito. Nel fallimento quindi la gestione dinamica (atti di disposizione) è fisiologica e non eccezionale inoltre il curatore, a differenza del creditore, può decidere se continuare o sciogliere un contratto.

L’amministrazione fallimentare è l’insieme delle attività volte alla liquidazione del patrimonio per il pagamento dei creditori con la ripartizione dell’attivo pertanto in linea di principio gli atti relativi all’amministrazione fallimentare, sono atti di conservazione e liquidazione. Tale attività conosce tuttavia dei limiti in ipotesi tassativamente previste, in cui l’obiettivo finale della liquidazione è mediato cioè l’amministrazione fallimentare si realizza con atti di gestione, caratterizzati dalla continuazione dell’esercizio dell’attività e dall’assenza della finalità conservativa, pur mantenendo quella liquidativa:1. esercizio provvisorio attività d’impresa (art. 104) in linea di principio l’accertamento dello stato

d’insolvenza postula una situazione di crisi irreversibile che non consente un’utile prosecuzione dell’attività poiché l’impresa, invece di produrre nuova ricchezza, consuma quella esistente traslando il costo e il rischio imprenditoriale dell’eventuale continuazione sui creditori. Tuttavia la finalità liquidativa non è incompatibile con una prosecuzione temporanea dell’impresa se comporta un’utilità per il fallimento. L’istituto ha quindi una finalità liquidativa mediata e non conservativa essendo caratterizzato dalla nuova assunzione del rischio d’impresa per ottenere un maggior realizzo a seguito dell’alienazione dell’intero complesso aziendale o di suoi rami. L’esercizio provvisorio rientra nelle gestioni sostitutive che attribuiscono ad un soggetto diverso dal titolare l’amministrazione di un patrimonio pur imputando gli effetti giuridici al primo tuttavia sebbene la gestione fallimentare è svolta nell’interesse sia dei creditori che dell’imprenditore insolvente, il rischio d’impresa grava solo sui creditori poiché i risultati della gestione incrementano o diminuiscono il patrimonio incidendo positivamente o negativamente sui creditori pertanto è assente la relazione tra rischio e potere gestorio che caratterizza l’impresa in bonis. Infatti, gli obblighi assunti in virtù della continuazione sono qualificati come debiti della massa da parte in prededuzione e i contratti pendenti proseguono fino alla cessazione dell’esercizio

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provvisorio, salvo il potere del curatore di sciogliere o sospendere il rapporto negoziale. L’analisi della disciplina può essere inquadrata in una duplice prospettiva:a. privatistica (tutela interessi privati) sono tutelati gli interessi dei creditori perché

l’interruzione dell’attività gli potrebbe causare un danno grave mentre la continuazione mira ad assicurare un miglior risultato soddisfacendo più efficacemente il loro interesse.

b. pubblicistica (tutela interessi generali) si ha la conservazione dell’organismo produttivo perché probabilmente vi sono prospettive future di cessione totale/parziale dell’azienda che consentono una migliore liquidazione rispetto alla vendita atomistica (logica riallocativa).

L’autorizzazione all’esercizio provvisorio dell’impresa (o di specifici rami) spetta:a. tribunale fallimentare vi provvede se dall’interruzione ne deriva un danno grave e l’esercizio

dell’impresa non pregiudica l’interesse dei creditori, con la dichiarazione di fallimento o in seguito con decreto motivato, su proposta del curatore (che ne valuta la convenienza nella redazione del programma di liquidazione) e previo parere favorevole del comitato. Il tribunale deve valutare, sulla base delle conoscenze assunte nell’istruttoria o nel programma, l’opportunità dell’istituto per verificarne la compatibilità con l’interesse dei creditori.

b. giudice delegato dopo la dichiarazione di fallimento, l’esercizio provvisorio può essere proposto dal curare che nel programma di liquidazione deve indicare le condizioni economiche dell’impresa, le ragioni che suggeriscono la continuazione in relazione alle possibilità di cessione a terzi del complesso aziendale, la durata, i rischi ed i benefici. Sulla base di tali informazioni, il comitato dei creditori deve esprimere parere favorevole affinché la proposta sia sottoposta ad autorizzazione del giudice delegato, che vi provvede con decreto motivato in cui fissa la durata, in seguito al controllo di legalità e non di merito sulle scelte del curatore.

In ogni caso è sempre necessario il parere vincolante del comitato dei creditori, sulla base di una valutazione di convenienza economica, che può essere:a. positivo continua l’esercizio provvisorio dell’attività con l’obiettivo della liquidazione e non

dell’utile. Un esempio è il caso in cui sia già iniziata la costruzione di un immobile perché il continuo dell’attività permette il completamento dell’immobile destinato alla vendita. Un altro esempio è il caso in cui siano già stati presi degli ordini relativi a certi materiali.

b. negativo è ripristinata l’ordinaria amministrazione fallimentare interrompendo l’attività economica e quindi sono applicate le norme sull’amministrazione fallimentare liquidativa.

Durante lo svolgimento il curatore ha un obbligo d’informazione sull’andamento dell’impresa infatti deve convocare, almeno ogni 3 mesi, il comitato dei creditori per illustrare i risultati della gestione ed assicurare flussi informativi costanti sulla base dei quali deve essere valutata l’opportunità di proseguire o interrompere l’attività. Inoltre, il curatore deve comunicare senza indugio, al giudice delegato e al comitato dei creditori, le circostanze sopravvenute idonee ad incidere sulle condizioni economiche fondamentali per la valutazione di convenienza nella prosecuzione dell’impresa. Si tratta di un istituto provvisorio perché il parere dei creditori è richiesto ogni 3 mesi inoltre il tribunale può disporre in ogni momento, con decreto non soggetto a reclamo, sentiti il curatore e il comitato dei creditori, l’interruzione dell’esercizio provvisorio. Il curatore ha anche un obbligo d’informazione contabile infatti ogni 6 mesi e al termine dell’esercizio provvisorio deve presentare un rendiconto (da depositare in cancelleria) al comitato dei creditori ed una relazione che fornisca le notizie idonee ad illustrare le prospettive della gestione.

2. conferimento d’azienda (art. 105) il curatore può conferire l’azienda, rami di essa, beni o crediti insieme ai relativi rapporti contrattuali ineseguiti, in una o più società anche di nuova costituzione. Tale norma è strumentale alla liquidazione del patrimonio perché consente alla procedura, se previsto nel programma di liquidazione, di conferire l’azienda ad una società veicolo continuando l’impresa del fallito affrancandolo dalle rigidità tipiche di una gestione conservativa, con intatte garanzie di controllo sulla gestione, tramite il potere di nomina degli amministratori professionali.

3. affitto d’azienda (art. 104bis) è un istituto meno rischioso perché si ha la continuazione dell’attività e la conservazione del complesso ma il rischio d’impresa grava sull’affittuario, che ha diritto di godimento sui beni aziendali, e la procedura si assicura un’entrata certa pari ai canoni

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pattuiti. Tale istituto è molto usato nella prassi ma solo con la riforma è stata introdotta una disciplina risolvendo i problemi sorti sui limiti, le modalità e i soggetti che dovevano stipulare il contratto. Il contratto deve essere autorizzato dal giudice delegato su proposta del curatore, previo parere favorevole del comitato dei creditori ed accertamento che l’affitto è idoneo a realizzare una vendita dell’azienda (o parte di essa) più proficua. La scelta dell’affittuario deve rispettare dei criteri oggettivi cioè le procedure previste per la vendita fallimentare (art. 107) secondo cui è necessaria una “gara” e deve essere garantita la trasparenza al fine di ottenere un certo risultato sul piano oggettivo. Tale procedura prevede diverse fasi:a. valutazione d’azienda un soggetto è incaricato della stima al fine di stabilire il canone. b. pubblicità per garantire la parità di trattamento, gli interessati devono avere tutte le

informazioni utili per valutare la convenienza dell’affare e formulare l’offerta.c. criterio d’efficienza scaduti i termini per la presentazione delle richieste, il curatore deve

scegliere l’offerta più conveniente considerando:1. canone offerto (“asta”)2. garanzie prestate3. durata del contratto 4. attendibilità del piano di prosecuzione con riguardo alla conservazione dei livelli

occupazionali.In questo caso non è necessario il parere del comitato dei creditori e il curatore ha la facoltà di sospendere la stipula del contratto se dopo la scadenza del termine originariamente concesso perviene un’offerta irrevocabile migliorativa di almeno il 10%.

d. contratto d’affitto è richiesta la forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata e deve essere depositato nel registro delle imprese inoltre è previsto un contenuto minimo obbligatorio (non esclude la presenza di ulteriori previsioni) per garantire che l’affitto sia utile alla migliore liquidazione dell’attivo:1. durata deve essere compatibile con le esigenze della liquidazione.2. diritto d’ispezione del curatore per controllare la destinazione dei beni dell’affittuario

negli interessi dei creditori e ai fini dell’eventuale azione di risoluzione per inadempimento.3. diritto di recesso del curatore è necessario il parere obbligatorio ma non vincolante del

comitato dei creditori e permette al curatore di sciogliere il contratto se l’affitto non è più conveniente per i creditori (corrispondendo all’affittuario un giusto indennizzo) o l’affittuario non ha comportamenti congrui pertanto in quest’ultimo caso può essere considerato come un rimedio a tali comportamenti e non è previsto l’indennizzo.

4. garanzie offerte dall’affittuario devono essere idonee in relazione all’adempimento delle obbligazioni derivanti dal contratto e dalla legge.

Il diritto di prelazione dell’affittuario in caso di vendita è subordinato all’inserimento di tale clausola alla valutazione di opportunità del curatore, previa autorizzazione del giudice delegato e parere favorevole del comitato dei creditori poiché tale soggetto ha già iniziato ad esercitare l’attività e vi sono interessi generali da tutelare (dipendenti) inoltre anche in questo caso, il prezzo di vendita è fissato secondo criteri oggettivi ed è comunicato entro 10 giorni dal curatore all’affittuario, il quale può esercitare il diritto entro 5 giorni dalla comunicazione. Alla scadenza, si ha la retrocessione dell’azienda alla procedura da parte dell’affittuario. Per la regolazione delle migliorie/sostituzioni effettuate dall’affittuario, è lasciata ampia autonomia alle parti mentre ai rapporti pendenti si applica la disciplina generale (art. 72) ed è esclusa qualsiasi responsabilità della procedura per i debiti maturati sino alla retrocessione in deroga al diritto comune. La stipula del contratto d’affitto può essere proposta in tre momenti:– prima della procedura fallimentare nell’imminenza della procedura concorsuale per

cercare di salvare l’impresa.– nella procedura fallimentare dopo l’assoggettamento al fallimento e solo in questo caso

è applicata la disciplina speciale descritta (art. 104bis).– nel concordato preventivo il contratto d’affitto è il contenuto del concordato.

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4. atti indirettamente finalizzati alla liquidazione dell’attività categoria generale in cui è presente un nesso mediato. In tali ipotesi potrebbe essere antieconomico procedere solo al compimento di atti conservativi come nel caso in cui sono necessarie le manutenzione dei macchinari. Al fine di evitare la disgregazione del complesso aziendale sono autorizzati gli atti di custodia e gli atti di manutenzione. La manutenzione dei macchinari è a carico della procedura ma potrebbero essere stipulati dei contratti affinché tali costi siano a carico di altri soggetti. Un esempio è il comodato perché colui che cede i macchinari può entrare in possesso del bene ma i costi di manutenzione sono carico di colui che riceve i macchinari. Nella procedura possono essere stipulati tutti gli atti gratuiti volti direttamente alla conservazione ed indirettamente alla liquidazione che costituiscono una categoria generale atipica (a differenza degli istituti precedenti che sono tipici) pertanto volta per volta deve essere valutato se l’atto presenta tali caratteristiche.

7) Gli effetti del fallimento sui contratti pendentiIn merito agli effetti del fallimento sui contratti pendenti (art. 72) cioè ineseguiti o parzialmente eseguiti da entrambe le parti perché altrimenti sorgerebbe una pretesa nei confronti dell’altra parte (venditore non ha consegnato la merce e l’acquirente non ha pagato il prezzo), è considerato l’intero rapporto cioè sia il lato attivo che quello passivo a differenza della sostituzione del curatore nei diritti e nelle azioni del fallito. Se il fallito acquista un bene prima del fallimento ma non ha ancora effettuato il pagamento, l’acquisto è perfezionato pertanto si differenzia rispetto ai beni sopravvenuti in cui l’acquisto si perfeziona successivamente alla dichiarazione di fallimento. Dopo la dichiarazione di fallimento, il contraente in bonis, non ha un potere d’iniziativa perché non può avvalersi degli strumenti di autotutela (risoluzione del contratto per inadempimento, eccezione di inadempimento con rifiuto di adempiere, sospensione dell’adempimento per mutate condizioni patrimoniali dell’altra parte), non può agire per essere soddisfatto, non può eseguire la prestazione e maturare un credito da insinuare al passivo perché l’adempimento non sempre realizza l’esigenze della liquidazione. Il curatore oltre a stipulare nuovi contratti, può subentrare in quelli già conclusi se la prosecuzione è utile per una più proficua liquidazione tuttavia da un lato gli assicura la prestazione del contraente in bonis ma dall’altro lo impegna ad adempiere integralmente e fuori concorso l’obbligazione assunta dal fallito. Tale soluzione contempera l’esigenza di tutela del contraente in bonis con l’interesse della procedura, legittimata a selezione, sulla base di una valutazione di convenienza economica, quali contratti conservare. La regola generale prevede che nei contratti pendenti, il fallimento produce la sospensione degli effetti e il curatore ha la facoltà di:1. subentrare si sostituisce al fallito nell’acquisto ma deve assolvere l’obbligo di pagamento perché

il subentro è nell’interezza del rapporto e tale manifestazione di volontà del curatore richiede l’autorizzazione del comitato dei creditori (prima era una competenza del giudice delegato) perché implica l’assunzione di quel debito come debito della massa incidendo sul concorso.

2. non subentrare il rapporto è sciolto pertanto la controparte è liberata dall’obbligo di effettuare la prestazione e tale manifestazione di volontà del curatore, non richiede nessuna autorizzazione. Gli effetti sono equiparabili ad una risoluzione pertanto il contraente può vantare pretese restitutorie.

Tale regola, in assenza di diversa disposizione espressa, si applica a tutti i contratti ineseguiti o parzialmente eseguiti, compreso il contratto preliminare dove l’obbligazione assunta dalle parti consiste nel prestare il consenso alla stipula del contratto definitivo, ad esclusione del preliminare di vendita di immobile destinato ad abitazione principale dell’acquirente, parenti e affini entro il terzo grado se l’atto è trascritto prima della dichiarazione di fallimento. Per assicurare l’effettività della disciplina, le clausole che prevedono la risoluzione del contratto in caso di fallimento di una delle parti sono inefficaci tuttavia se il contraente in bonis ha proposto la risoluzione per inadempimento prima della dichiarazione di fallimento, la domanda giudiziale ha effetto verso la procedura se gli è opponibile quindi se si tratta di beni immobili è necessaria la trascrizione anteriore al fallimento. Se l’azione è diretta ad ottenere la sola dichiarazione giudiziale di risoluzione, si ha la sostituzione processuale e il giudizio prosegue dinanzi al giudice ordinario mentre se il contraente in bonis agisce anche per ottenere la restituzione di quanto già adempiuto o il risarcimento del danno subito, il giudizio

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si interrompe e la domanda deve essere riproposta secondo la disciplina dettata per l’ammissione al passivo del credito o per ottenere la restituzione della cosa (art. 103). Il contraente in bonis non può impedire che la procedura subentri nella posizione del fallito tuttavia il terzo contraente è sufficientemente garantito che le sue pretese saranno soddisfatte per intero in quanto la curatela deve adempiere integralmente quale spesa prededucibile e quando la natura del contratto non assicura analogo affidamento, è la legge subordinata la possibilità di mantenere in vita il rapporto al rilascio di idonee garanzie:1. contratto di appalto (art. 81) la curatela entro 60 giorni dalla dichiarazione di fallimento deve

comunicare la volontà di proseguire il contratto e deve fornire garanzie idonee la cui misura è determinata dal comitato dei creditori e si distingue in base al soggetto fallito:a. appaltante o committente la garanzia è meno essenziale se è limitata alla corresponsione del

prezzo pattuito poiché va pagato in prededuzione.b. appaltatore la garanzia assicura l’esatto adempimento della prestazione di fare.

2. vendita a termine o a rate con riserva di proprietà (art. 73) se fallisce l’acquirente, il venditore può chiedere al curatore che subentra, una cauzione, salva la facoltà della procedura di pagare tutto il prezzo dovuto al netto degli interessi legali in conseguenza dell’adempimento anticipato.

Nel caso di prosecuzione dei contratti ad esecuzione continuata/periodica e dell’assicurazione contro i danni, si ha una deroga ai principi generali che implica la prededucibilità anche dei crediti maturati per le prestazioni effettuate dal contraente in bonis prima della dichiarazione di fallimento, altrimenti sottoposte alla regola del concorso. Inoltre, la prededuzione parziale è generalmente prevista per le ipotesi di prosecuzione ex lege infatti nel contratto di mandato a seguito del fallimento del mandante, solo i crediti sorti dopo la scelta del curatore sono a carico della massa mentre per il compenso maturato e per le anticipazioni effettuate prima della dichiarazione di fallimento, il mandatario deve insinuarsi al passivo. La sospensione degli effetti implica che se il curatore non opera una scelta, si realizza una situazione di stallo e il contraente in bonis è tutelato con la messa in mora del curatore con cui può richiedere al giudice delegato di fissare un termine, non superiore a 60 giorni, entro il quale il curatore si deve pronunciare (dichiarazione di volontà recettizia e irrevocabile una volta giunta a conoscenza della parte) altrimenti si verifica la scioglimento automatico del contratto. La messa in mora permette quindi di evitare la situazione di incertezza in cui può permanere il contraente in bonis e sul piano civilistico può essere equiparata ad una diffida ad adempiere. Nel contratto di compravendita, se l’acquirente è il fallito, il contraente in bonis (venditore) può soddisfare la propria pretesa creditoria solo insinuandosi al passivo per un credito pari al prezzo di vendita ma il curatore, in base alla regola generale, ha la facoltà di scelta pertanto non può essere obbligato a pagare perché potrebbe essere più favorevole la restituzione della merce. In merito al venditore in bonis la riforma ha apportato delle modifiche pertanto:1. principio generale prima della riforma, il venditore aveva diritto di insinuarsi nel passivo, cioè il

curatore subiva la scelta del contraente di dare esecuzione al contratto consegnando la merce, e pretendere il credito mentre oggi è necessario che tale possibilità sia prevista dalla legge.

2. risoluzione implica lo scioglimento del contratto cioè la parte che richiede la risoluzione ha diritto alla prestazione che ha effettuato (restituzione del bene) ma tale regola urta con i principi della legge fallimentare perché con la sentenza dichiarativa di fallimento il bene è acquisito nel patrimonio fallimentare e destinato al soddisfacimento della massa dei creditori. Prima della riforma era valido il principio secondo cui anche in caso di risoluzione del contratto, rimanevano fermi i diritti acquistati dai terzi (art. 1458 c2) cioè la risoluzione non produceva effetti verso il curatore perché ormai il bene era appreso nel patrimonio fallimentare. Dopo la riforma è stato ribaltato tale principio prevedendo la possibilità (non obbligo) per la risoluzione promossa prima del fallimento, di produrre effetti anche verso il curatore pertanto il contraente in bonis ha diritto alla restituzione del bene.

Tuttavia vi sono ipotesi speculari in cui il curatore (e non il contraente in bonis) ha diritto ad acquisire beni immobili in via espropriativa senza passare attraverso il subentro cioè quando il contraente in bonis

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è inadempiente (non ha pagato) mentre il fallito ha già adempiuto (consegna della merce). In questo caso si rientra nella fattispecie dell’inadempimento e i rimedi generali previsti dall’ordinamento sono:1. eccezioni d’inadempimento (art. 1460) nei contratti con prestazioni corrispettive, ciascuna parte

può rifiutarsi d’adempiere, se l’altro non adempie o non offre di farlo contemporaneamente, salvo diversi termini per l’adempimento stabiliti dalle parti o risultanti dalla natura del contratto.

2. mutamento delle condizioni patrimoniali dei contraenti (art. 1461) ciascun parte può sospendere l’esecuzione della propria prestazione, se le condizioni patrimoniali dell’altra sono divenute tali da porre in evidente pericolo il conseguimento della controprestazione, salvo idonea garanzia.

Il curatore pertanto può tutelarsi (ottenere il bene senza subentrare) con i rimedi generali chiedendo l’adempimento in via coattiva, non offrendo la propria prestazione opponendo l’inadempimento altrui o sospendere l’esecuzione del contratto (se ha natura continuativa). In caso di subentro, il principio generale prevede l’obbligo per il curatore di rispettare le norme del contratto ma è necessario un coordinamento con la disciplina dell’inopponibilità di una normativa contrattuale perché vi possono essere eccezioni in cui alcuni atti sono opponibili solo al contraente e non al curatore subentrato. Se fallisce il conduttore, ad esempio, le regolamentazioni ad hoc tra le parti (canone maggiore rispetto a quello previsto dal contratto) prima della dichiarazione di fallimento non sono opponibili al curatore se lo scritto è privo di data certa. Nei contratti di durata (contratto di fornitura) si ha il problema di capire le regole sul pagamento dei crediti che vanta il contraente in bonis, il quale continuerà a consegnare la merce alla curatela. A tali crediti è applicata la regola della prededucibilità cioè i crediti sorti in ragione della continuazione devono essere soddisfatti prima degli altri crediti della massa (sinallagma). In caso di scioglimento, gli effetti hanno carattere definitivo anche se è revocato il fallimento pertanto il contratto non torna ad esistere e la disciplina degli effetti dello scioglimento si distingue in:1. regola generale si distingue in base a:

a. contratti a prestazioni istantanee operano retroattivamente perché vengono private di giustificazione le prestazioni già effettuate pertanto deve essere ripristinata la situazione precedente al contratto cioè come se questo non fosse mai avvenuto.

b. contratti di durata non operano retroattivamente pertanto le prestazioni già effettuate permangono e se sono sorti dei crediti, questi devono essere soddisfatti nella procedura.

2. eccezioni sono due:a. contratto di leasing (art. 72quater) se fallisce l’utilizzatore, il concedente ha diritto alla

restituzione del bene e ad essere pagato in moneta fallimentare solo per la differenza tra il credito alla data di dichiarazione di fallimento e il ricavo ottenuto dalla nuova allocazione del bene inoltre il concedente deve versare alla curatela la differenza tra il ricavato dalla collocazione del bene a valori di mercato e le somme a lui dovute per sorte capitale. La peculiarità della norma che consiste nella possibilità per il contraente in bonis di soddisfarsi fuori dal concorso sebbene è necessario l’accertamento concorsuale del titolo e della misura del credito relativo alla sorte del capitale, è giustificata dalla considerazione che i canoni pagati dall’utilizzatore non sono solo il corrispettivo per il godimento del bene ma sono anche una porzione del prezzo per acquistarne la proprietà alla scadenza

b. contratto di vendita a rate con riserva della proprietà (art. 73) se fallisce l’acquirente, a fronte dell’obbligo di restituzione alla procedura delle rate già riscosse, il venditore ha diritto di riavere il bene e di ricevere un equo compenso per l’uso della cosa da parte del compratore.

Lo scioglimento è un potere riconosciuto ex lege pertanto il contraente in bonis non può agire per chiedere il risarcimento del danno inoltre per garantire che lo scioglimento del contratto ineseguito non comporti conseguenze per il fallimento è prevista l’inefficacia delle clausole compromissorie inserite nel contratto per risolvere le controversie tra le parti mediante il ricorso ad un giudizio arbitrale pertanto al momento dello scioglimento del contratto, l’eventuale procedimento arbitrale in corso deve essere interrotto (art. 83bis).

Tuttavia vi sono eccezioni in cui non è applicata la regola generale della sospensione degli effetti:

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1. esercizio provvisorio dell’impresa la norma è stata molto modificata dalla riforma e cerca di evitare che sia compromesso l’interesse alla prosecuzione dell’attività infatti per la durata dell’esercizio provvisorio prevede il subentro automatico nei rapporti pendenti, salva la facoltà del curatore di sospensione o scioglimento. La sorte di tali contratti dipende dal momento in cui è disposto l’esercizio provvisorio (variabile temporale):a. con la sentenza dichiarativa di fallimento tutti i contratti proseguono. b. dopo la sentenza dichiarativa di fallimento finché non è disposto l’esercizio provvisorio è

applicata la regola generale tuttavia il fallimento è causa di scioglimento automatico di alcuni contratti pertanto si potrebbe essere già verificato lo scioglimento automatico tuttavia se gli effetti di tale scioglimento non si sono ancora prodotti, l’ammissione all’esercizio provvisorio integra una condizione risolutiva dello scioglimento e quindi il contratto può proseguire.

2. contratti con effetti reali i contratti con effetti reali hanno per oggetto il trasferimento o la costituzione di un diritto reale (proprietà, uso, usufrutto) e si considerano eseguiti quando si è verificato il trasferimento/costituzione del diritto stesso (il contratto di compravendita è eseguito quando il venditore ha consegnato la merce a prescindere dal pagamento) mentre i contratti ad effetti obbligatori fanno sorgere un diritto di credito in capo ad un soggetto. In generale il diritto del contraente in bonis con una pretesa creditoria è soggetto alla regolazione concorsuale e non può pretendere l’integrale soddisfacimento perché può soddisfarsi solo in concorso con gli altri creditori sull’eventuale attivo mentre se ha una presta reale, il suo diritto non è soggetto alla regolazione concorsuale e può pretendere l’integrale soddisfacimento se l’effetto traslativo/costitutivo del diritto è realizzato prima della dichiarazione di fallimento perché ha già modificato la composizione del patrimonio del debitore. Se tale diritto fosse soggetto a regolazione concorsuale non potendo pretendere l’integrale soddisfacimento anche il curatore, per effetto del sinallagma (prestazioni corrispettive) non potrebbe pretendere la sua prestazione dovuta se non è in grado di assicurare l’esecuzione integrale della prestazione fuori concorso. Il curatore pertanto subentra nel contratto solo se è in grado di assicurare tale pretesa o se il contratto è favorevole alla procedura altrimenti il contratto si scioglie (tutela del contraente in bonis). Si distinguono due casi speciali:a. vendita a rate con riserva della proprietà è un’estensione della regola precedente perché in

questo caso si ha la sola consegna della cosa ma viene assimilata alla fattispecie traslativa. Il fallimento del venditore non è causa di scioglimento pertanto è garantito lo stesso venditore che ha interesse a ricevere il prezzo alle scadenze pattuito e non di conservare la proprietà inoltre tale interesse non contrasta con quello della procedura.

b. vendita di cose mobile da piazza a piazza è un’eccezione alla regola precedente poiché l’obbligo di consegna del venditore è adempiuto con la spedizione pertanto se è stata effettuata prima della dichiarazione di fallimento del compratore, il contratto non sarebbe pendente in quanto una delle due parti ha eseguito la prestazione tuttavia se la cosa spedita non è giunta a destinazione e se nessuno ha acquistato diritto sulla stessa, il venditore può riprenderne il possesso, accollandosi le spese e restituendo gli acconti ricevuti, evitando di dover far valere il proprio credito insinuandosi al passivo. Si ha un effetto sospensivo del contratto per volontà del contraente in bonis che può riqualificare come contratto pendente un rapporto negoziale eseguito, dal quale dovrebbero sorgere solo un credito concorsuale e che pertanto impone al curatore, se interessato a ricevere le merci, a pagarle in prededuzione.

3. ipotesi speciali è prevista una disciplina speciale per certe figure contrattuali:a. subentro automatico ex – lege il curatore è obbligato a subentrare nel contratto di:

lavoro subordinato l’obbligo si ha se fallisce il datore di lavoro quindi si ha una massima tutela dei dipendenti in quanto sono conservati i diritti dei lavoratori come il TFR perché il fallimento del datore di lavoro non è giusta causa di licenziamento (art. 2119 c2).

leasing (art. 72 quater) se fallisce il concedente e il contraente in bonis (utilizzatore) deve corrispondere i canoni ma ha diritto di acquistare la proprietà del bene alla scadenza del contratto pagando il riscatto pattuito.

locazione immobili (art. 80) si distingue in base al soggetto che fallisce:49

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o locatore il contratto prosegue per la durata tuttavia se la locazione ha una durata superiore a 4 anni dalla dichiarazione di fallimento, il curatore può, entro 1 anno dall’apertura della procedura, recedere dal contratto corrispondendo alla parte in bonis un equo indennizzo da pagare in prededuzione. Tale indennizzo non sarebbe dovuto se il curatore avesse avuto la facoltà di scelta prevista dalla regola generale ed è determinato dal giudice delegato nel dissenso tra le parti.

o conduttore si ha una disciplina analoga alla precedente con la peculiarità che il curatore può esercitare in qualsiasi momento il diritto di recesso. La disciplina cerca di assicurare all’amministrazione fallimentare la disponibilità di uno strumento di custodia dei beni per far rimanere ferme, in capo al locatore, le responsabilità derivanti dal contratto.

affitto d’azienda (art. 80bis) entrambe le parti hanno diritto di recesso che possono esercitare entro 60 giorni dalla dichiarazione di fallimento con l’obbligo di corrispondere un equo indennizzo che, se dovuto dalla procedura, va soddisfatto in prededuzione. La possibilità di recesso in caso di fallimento del concedente è un eccezione al principio generale della locazione che si giustifica con l’esigenza di far prevalere l’interesse della procedura a non subire limiti per la più utile e rapida liquidazione dell’attivo. Se invece fallisce l’affittuario, la prosecuzione presuppone l’autorizzazione dell’esercizio provvisorio d’impresa che tuttavia non soddisfa l’interesse della massa ad una più proficua liquidazione con cessione a terzi del complesso aziendale poiché alla scadenza del contratto la procedura deve retrocederlo dal concedente. In tal caso, la continuazione è giustificata con l’esigenza di consentire alla procedura di completare il ciclo produttivo.

assicurazione contro i danni (art. 82) l’obbligo si ha se fallisce l’assicurato, salvo patto contrario o aggravamento del rischio tuttavia la norma ha posto dei dubbi. La copertura assicurativa sui beni in possesso del curatore, di fronte ad un eventuale incendio, va a tutelare l’amministrazione fallimentare pertanto l’impostazione tradizionale prevede il subentro automatico (l’assicuratore può comunque sciogliere il contratto in seguito all’aggravamento dei rischi) tuttavia, nella prospettiva opposta, il curatore in seguito al subentro continua a pagare i premi e questo potrebbe contrastare con l’amministrazione fallimentare pertanto l’interpretazione innovativa prevede la continuazione del rapporto ma non esclude che il curatore possa avvalersi dello scioglimento. Inoltre si ha la particolarità dell’opponibilità alla procedura, purché il patto abbia data anteriore alla dichiarazione di fallimento, della clausola che prevede lo scioglimento del contratto in caso di fallimento dell’assicurato, tuttavia tale disciplina è ritenuta tacitamente abrogata in virtù della sua incompatibilità con la previsione secondo cui sono inefficaci le clausole negoziali che prevedono la risoluzione del contratto in caso di fallimento di una delle parti.

In questi casi è esclusa al curatore la facoltà di scioglimento del contratto pertanto può solo avvalersi dello scioglimento unilaterale cioè il recesso, in presenza di certi presupposti e rispettando un certo iter (equo indennizzo) mentre nell’altro caso è necessaria la dichiarazione di non subentro del curatore al fine di verificare lo scioglimento automatico del contratto.

b. scioglimento automatico ex – lege per individuare un equilibrio tra l’esigenza di tutela della parte in bonis e dell’amministrazione fallimentare, il curatore è obbligato allo scioglimento: rendita perpetua e vitalizia (art. 60) tale norma è fuori dal capo sui rapporti pendenti ma

è riferita ad essi. Lo scioglimento tutela il principio di diritto fallimentare, alla base della disciplina dei debiti non scaduti, secondo cui è necessario quantificare i debiti pertanto affinché al passivo siano imputate somme certe è necessaria una valutazione delle somme future attraverso l’attualizzazione della rendita.

scioglimento del rapporto limitatamente ad un socio il fallimento di un socio di una srl limitata non implica il fallimento della società ma è causa di esclusione.

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contratto di associazione in partecipazione (art. 77) se fallisce l’associante si ha lo scioglimento perché l’eventuale prosecuzione è in conflitto con le regole del concorso che non consentono una compartecipazione esclusiva su somme ricavate nella liquidazione.

contratti di finanziamento destinati ad uno specifico affare (art. 72 ter) è il caso di patrimoni destinati ad uno specifico affare di tipo finanziario (ex art. 2247 bis) cioè veniva stipulato un contratto di finanziamento e i proventi erano oggetto di destinazione. Tali contratti si sciolgono se il fallimento della società impedisce la realizzazione/continuazione dell’attività con riguardo al quale è stato costituito un patrimonio destinato pertanto il fallimento può acquisire i beni strumentali destinati alla realizzazione dell’operazione e il finanziatore può insinuarsi al passivo per il credito derivante dal mancato rimborso dell’erogazione effettuata. Tuttavia, lo scioglimento non opera automaticamente con la dichiarazione di fallimento ma si ha quando il curatore accerta l’impossibilità di realizzare l’affare o sceglie di non subentrare nel contratto. Se il fallimento della società non impedisce la realizzazione dell’affare, il contratto può proseguire con la procedura che assume gli oneri necessari per portare a termine l’affare pertanto è necessaria la scelta del curatore di subentrare nel contratto previo parere non vincolante del comitato dei creditori. In caso di mancato subentro della procedura, il finanziamento può proseguire l’attività necessaria per la realizzazione dell’operazione, anche tramite un terzo da lui indicato, che non comporta il sub ingresso nel contratto di finanziamento ma nella gestione dell’affare. Il finanziatore può trattenere i proventi dell’affare fino alla concorrenza dell’importo erogato e degli interessi pattuiti, inoltre può insinuarsi al passivo come chirografario per la parte del finanziamento non rimborsato con i proventi realizzi fino all’apertura del fallimento. Per subentrare nella gestione dell’affare, il finanziatore deve presentare istanza al giudice delegato che provvede con decreto motivato, previo parere del comitato dei creditori, dopo averne accertata l’utilità per la procedura. Il giudice delegato può non considerare i motivi che hanno portato il curatore a non subentrare poiché in tal caso di ha sostituzione nel potere gestorio dell’affare con assunzione degli oneri e dei rischi da parte di chi subentra nell’operazione.

contratto di borsa a termine (art. 76) le parti hanno un fine speculativo e assumono un alto rischio finanziario pertanto lo scioglimento evita che l’alea sia a posto carico della massa. Se la differenza tra il prezzo stabilito dal contratto e quello risultante al fallimento è positiva, il contraente in bonis può insinuarsi al passivo per il credito mentre se è negativo la curatela ha titolo per esigere il credito.

contratto di conto corrente, commissione e mandato (art. 78) si distingue tra: conto corrente (art. 1823) le parti si obbligano ad annotare in un conto i crediti

derivanti da reciproche rimesse, considerandoli inesigibili ed indisponibili fino alla chiusura del conto per snellire i pagamenti di soggetti con continui rapporti di scambio (posizioni debito/credito in compensazione). Lo scioglimento evita la violazione di un principio cardine della disciplina fallimentare che impone il divieto di compensazione tra rapporti sorti prima del fallimento e rapporti sorti successivamente.

mandato e commissione la commissione è una sottospecie di mandato in quanto è l’incarico ad acquistare/vendere certi beni. Lo scioglimento del contratto di mandato si ha quando fallisce il mandatario tutelando il rapporto fiduciario tra le parti poiché è un contratto intuito personae cioè il mandante sceglie come mandatario un soggetto di sua fiducia pertanto non può subentrare il curatore perché la prestazione è infungibile (non è indifferente il soggetto che la compie).

contratto d’appalto (art. 81) il contratto si scioglie se fallisce una delle parti, salvo il diritto del curatore, da esercitarsi entro 60 giorni dalla dichiarazione di fallimento previa autorizzazione del comitato dei creditori di subentrarvi. Se fallisce il committente, la prosecuzione dipende dalla curatela mentre se fallisce l’appaltatore e la qualità soggettiva è stata un motivo determinante per la conclusione del

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contratto si ha lo scioglimento tuttavia è possibile una deroga se il committente riconferma comunque l’appaltatore. La disciplina tutela il contraente in bonis in presenza di un rapporto fiduciario con l’appaltatore che non deve riguardare solo le qualità personali ma può estendersi all’affidamento nelle capacità organizzative dell’impresa.

Inoltre sono previste ulteriori ipotesi in cui il potere di sostituzione del curatore è escluso: beni/diritti non acquisibili il rapporto che viene in considerazione ha ad oggetto tali

beni/diritti come nel caso del contratto di assicurazione sulla vita perché le somme spettanti al fallito non sono comprese nel fallimento.

beni/diritti acquisibili la sostituzione non è ammissibile in tre casi: incompatibilità con esigenze/interessi della procedura fallimentare è un criterio

generale di convenienza del subentro. contratti intuito personae contratto caratterizzato dall’elemento fiduciario. contraente in bonis ha un interesse assoluto diritto di godimento.

divieto di legge il curatore non può subentrare nei contratti che hanno ad oggetto prestazioni professionali (commercialista, sindaco di società, ecc).

c. contratti che proseguono col fallito hanno ad oggetto prestazioni volte a soddisfare esigenze di vita del fallito e della sua famiglia (contratti di lavoro) pertanto il fallito continua ad essere parte e non si verifica né lo scioglimento del rapporto né il subentro del curatore.

d. scioglimento volontario non si ha lo scioglimento ex lege del contratto ma il contraente in bonis ha la facoltà di valutare la convenienza di sciogliere o proseguire il rapporto. Nei contratti relativi ad immobili da costruire (art. 72bis) lo scioglimento è una forma diretta di tutela che legittima il contraente a recuperare per intero e fuori concorso le somme versate al costruttore prima del suo fallimento invece di insinuarsi al passivo. A tal fine, l’acquirente deve escutere la fideiussione che il costruttore è obbligato a consegnargli all’atto della stipula del contratto, per un importo pari alle somme da lui riscosse o da riscuotere prima del trasferimento del diritto di proprietà o di altro diritto di godimento sull’immobile. Si tratta di un diritto potestativo che deve essere esercitato nel rispetto della legge tuttavia la tutela del contraente in bonis non è particolarmente efficace perché l’esercizio del potere di sciogliere il contratto è subordinato alla circostanza che il curatore non abbia già comunicato la sua decisione inoltre la norma non precisa se per realizzare l’effetto dissolutivo, l’acquirente deve solo escutere la fideiussione oppure deve anche comunicarlo al curatore.

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CAPITOLO 8: L’ATTIVO DEL FALLIMENTO

1) La struttura dell’attivoIl fallimento è un mezzo di attuazione della garanzia patrimoniale che investe l’intero patrimonio del debitore. La disciplina degli effetti patrimoniali del fallimento per il debitore prevede delle regole per individuare i beni che compongono l’attivo fallimentare tuttavia non è riferita ai soli beni in senso giuridico e ai cespiti che possono essere oggetto di espropriazione forzata perché il fallimento riguarda l’intero patrimonio pertanto può estendersi a tutte le situazioni giuridiche attive dalle quali possa derivare un’utilità grazie alla gestione sostitutiva che si realizza con l’amministrazione fallimentare. Inoltre, il patrimonio essendo destinato ad una funzione produttiva, è caratterizzato dalla complessità legata alla molteplicità dei rapporti giuridici originati dall’attività economica e la componente immateriale potrebbe risultare prevalente. L’attivo fallimentare comprende:1. diritti assoluti su cose materiali che incorporali (diritti patrimoniali su opere dell’ingegno).2. diritti relativi diritti di prelazione, diritti di opzione, etc.3. diritti di esclusiva ditta, insegna, marchio.4. crediti 5. situazioni giuridica attiva ulteriore 6. utilità che derivano dal contenzioso in essere 7. utilità che derivano da azioni esercitabili della curatela in sostituzione del debitore/creditori

Il fallimento determina la cristallizzazione del patrimonio cioè diventa insensibile, in linea di principio, rispetto a modifiche successive della sua consistenza. In realtà, tale effetto preclude solo gli effetti negativi per i creditori (assunzione di nuovi debiti e fuoriuscita di beni dell’attivo) infatti in relazione ai debiti del fallito, è precluso il concorso dei crediti sorti dopo il fallimento (salvo i crediti della massa) mentre il concorso dei creditori può attuarsi, con l’osservanza di regole particolari, anche sui beni/diritti non ancora entrati a far parte del patrimonio alla data del fallimento. Si crea un vincolo di destinazione a carico dell’attivo fallimentare che viene destinato solo al soddisfacimento dei creditori che hanno diritto di partecipare al concorso generando una separazione del patrimonio dalla persona del debitore. Le regole comuni garantiscono la soddisfazione dei creditori anteriori al fallimento secondo il principio della par condicio ma subiscono delle deroghe rispetto a certe operazioni finanziarie per regolare il funzionamento del sistema dei pagamenti, al fine di prevenire il rischio connesso alle ripercussioni a catena dell’insolvenza di operatori/investitori. Nel fallimento dell’imprenditore defunto (art. 11) il vincolo di destinazione sull’attivo ne determina la separazione rispetto al restante patrimonio del successore a titolo universale tuttavia in caso di accettazione dell’eredità pura e semplice, la confusione col restante patrimonio dell’erede rileva solo per privare l’erede della legittimazione a richiedere il fallimento del defunto e impedirgli di sottrarsi alla responsabilità per i debiti ereditari in modo che il patrimonio ereditario sia vincolato prioritariamente al soddisfacimento dei creditori del defunto. In questo caso, se è dichiarato il fallimento del successore universale e vi è stata confusione dei patrimoni, i creditori del defunto hanno diritto di concorrere in entrambe le procedure ma il diritto ad insinuarsi deve essere esercitato in entrambi i fallimenti poiché sono autonomi. In caso di morte del fallito la separazione patrimoniale creata per effetto del fallimento persiste indipendentemente dal fatto che gli eredi abbiano accettato o meno con beneficio di inventario. L’estensione del fallimento ai soci illimitatamente responsabili crea distinte masse attive e passive pertanto i creditori sociali possono concorrere con i creditori personali nei fallimenti dei soci e tale fenomeno è il riflesso del regime di responsabilità per debiti altrui, che determina l’instaurazione di procedure distinte. Gli effetti giuridici del fallimento sul patrimonio del debitore sono disposti in funzione della massimizzazione del dividendo per i creditori concorrenti regolando l’insolvenza tuttavia vi possono essere dei limiti a tale vincolo di destinazione dell’attivo:1. altri vincoli di destinazione sul patrimonio sono considerati se sono opponibili al fallimento.2. natura/funzione di beni/diritti devono essere considerati, se e nei limiti in cui sono stati

preservati dalla liquidazione concorsuale.

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3. fondi di previdenza/assistenza e fondo patrimoniale per i bisogni della famiglia si ha una separazione assoluta dal patrimonio del debitore che permane anche dopo il fallimento pertanto non si determina l’attrazione di tali beni all’attivo.

4. patrimoni destinati ad uno specifico affare la separazione persiste nonostante il fallimento e se non è effettuata la cessazione a terzi, determina un peculiare regime della gestione sostitutiva del curatore perché avviene secondo le regole della liquidazione della società in quanto compatibili, infatti il vincolo di destinazione è preservato solo se è funzionale al soddisfacimento prioritario dei crediti originati dall’affare e l’eventuale residuo netto della liquidazione o del corrispettivo dalla cessione a terzi del patrimonio destinato è compreso nell’attivo fallimentare.

2) Gli effetti del fallimento sul patrimonio del debitoreIn linea di principio, la riforma non ha variato molto la disciplina degli effetti della dichiarazione di fallimento che produce come effetto immediato e diretto lo spossessamento del debitore (art. 42) cioè viene privato della disponibilità del patrimonio per tutta la durata della procedura perdendo i poteri di amministrazione/disposizione dei beni preesistenti poiché spettano agli organi fallimentare. Tale effetto deriva dal fatto che il patrimonio dopo la dichiarazione di fallimento è destinato al soddisfacimento dei crediti concorsuali e non è più auto destinato al soddisfacimento dei bisogni dell’imprenditore, della sua famiglia o dell’impresa. Lo spossessamento si differenzia in base:1. esecuzione individuale l’indisponibilità riguarda solo i beni oggetto della procedura esecutiva ma

richiede l’attuazione di alcune formalità (l’ipoteca giudiziale su un bene deve essere iscritta anche nei registri immobiliari affinché il vincolo sia opponibile e si verifichi l’indisponibilità).

2. esecuzione concorsuale l’indisponibilità è un effetto automatico del fallimento pertanto lo spossessamento e l’inefficacia di atti/pagamenti si verifica dal deposito in cancelleria della sentenza, indipendentemente dalla forma pubblicitaria, anche per i beni soggetti a forme di pubblicità con efficacia costitutiva (beni immobili e mobili registrati) infatti la trascrizione ha valore di mera pubblicità - notizia. Tuttavia il vincolo di indisponibilità è opponibile ai terzi solo dopo l’iscrizione nel registro delle imprese pertanto se la sentenza non è iscritta e il bene è alienato ad un terzo in buona fede, il fallimento non è opponibile al terzo (art. 16).

Nell’attivo fallimentare sono compresi:1. beni di proprietà del fallito anche se sono in possesso di terzi.2. beni di proprietà dei terzi il fallito li deve restituire e l’esistenza di un diritto reale/personale

riconoscibile da parte del terze, rende superflua l’acquisizione alla massa infatti si può avere la restituzione immediata, con decreto del giudice delegato emanato su istanza della parte interessata e previo parere favorevole del curatore e del comitato dei creditori.

In passato si era posto il problema se tutti i beni/diritti colpiti dallo spossessamento erano acquisiti all’attivo fallimentare automaticamente e definitivamente oppure se tale effetto era sottoposto a alla manifestazione di volontà da parte degli organi fallimentare. La norma che consente ai creditori del fallito di aggredire i beni non acquisiti al fallimento con azioni individuali (art. 104 ter c7) esprime una valutazione sulla non opportunità dell’acquisizione inoltre poiché l’inefficacia degli atti compiuti dal fallito rispetto a beni preesistenti si verifica automaticamente, la portata pratica del problema è ridimensionata pertanto gli organi fallimentari possono eccepire l’inefficacia, senza limiti temporale, anche verso i terzi. Un peculiare regime è previsto per i beni sopravvenuti cioè quelli non presenti nel patrimonio del debitore alla dichiarazione di fallimento. Il curatore deve prendere in consegna i beni compresi nell’attivo immettendosi nel possesso materiale degli stessi per assicurare la loro conservazione (art. 84). In caso di mancata collaborazione da parte del fallito/terzo detentore, la consegna al curatore è disposta con decreti di acquisizione del giudice delegato (art. 86). La presa in consegna da parte del curatore ha luogo dopo l’inventario (art. 87) redatto in forma di processo verbale dal curatore con l’assistenza del cancelliere, ed occorrendo, l’ausilio di uno stimatore, sono elencati e valutati i beni del debitore compresi quelli in possesso di terzi (non sono tenuti a consegnarli al curatore se il possesso deriva da un titolo opponibile al fallimento) e quelli in possesso del debitore sui quali un terzo vanta diritti reali/personali (se non è in grado di ottenerne l’immediata restituzione).

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Alle operazioni possono assistere i creditori, il fallito e i componenti del comitato dei creditori che pertanto devono essere avvisati. Al termine, il curatore invita il debitore a rendere notata l’esistenza di altri beni compresi nell’attivo e la mancata collaborazione non pregiudica la successiva apprensione dei beni ma espone il fallito a responsabilità penale (art. 220 e 226). Un particolare bene aziendale è la documentazione relativa all’impresa che non è inventariata ma deve essere consegnata al curatore che può farsi autorizzare a conservarla in luogo idoneo, garantendo al fallito ed agli altri aventi diritto la possibilità di accedervi. Con l’inventario cessano gli effetti dell’apposizione dei sigilli e la responsabilità della custodia incombe sul curatore. Dallo spossessamento derivano: 1. sostituzione fallimentare deriva dalla necessità, in seguito allo spossessamento, di attribuire al

curatore il potere di amministrazione e disposizione del patrimonio del fallito. Tale sostituzione, come la rappresentanza, è caratterizzata dalla divisione tra la titolarità e la legittimazione infatti la prima rimane al fallito fino alla vendita coattiva dei beni stessi mentre la seconda spetta al curatore. Tuttavia il fallito non perde neanche la capacità di agire che permane integra sia in relazione ai beni esclusi dall’attivo fallimentare che in relazione ai beni colpiti dallo spossessamento infatti, se il curatore non ritiene più conveniente eccepire l’inefficacia degli atti compiuti, la massa attiva può giovare dell’attività negoziale del fallito sia in relazione ad operazioni relative a beni/diritti preesistenti che in relazione ad operazioni produttive di nuove attività (beni sopravvenuti). Inoltre opera in un procedimento esecutivo ed ha carattere esclusivo - omnicomprensivo perché essendo conseguenza dello spossessamento riguarda tutti gli atti/diritti che il fallito non può più esercitare. Nel diritto comune, un fenomeno similare è la sostituzione surrogatoria in cui il creditore per tutelare i propri diritti si surroga al proprio debitore che omette taluni comportamenti (art. 2900) cioè il creditore può esercitare diritti/azioni verso terzi che spettano al proprio debitore ma che questi trascura di esercitare purché i diritti/azioni abbiano contenuto patrimoniale e non siano diritti/azioni che, per loro natura o disposizione di legge, possono essere esercitati solo dal titolare. Tale sostituzione, estranea all’ambito fallimentare, è quindi funzionale all’esercizio di una futura azione esecutiva essendo anticipatoria di quest’ultima ed ha carattere concorrente perché non esclude la legittimazione del debitore che quindi può sempre esercitare quei diritti e quelle azioni ma solo in caso di grave inerzia (qualificata) il creditore può sostituirsi al debitore. Nell’azione surrogatoria sono pertanto coinvolti solo beni/diritti determinati cioè quelli a cui si riferisce tale inerzia. Nell’esecuzione individuale, ciascun creditore può tutelarsi rispetto al debitore con:a. sostituzione surrogatoria b. simulazione (art. 1416 c2) i creditori del simulato alienante possono far valere la simulazione

che pregiudica i loro diritti e, nel conflitto con i creditori chirografari del simulato acquirente, sono preferiti a questi, se il loro credito è anteriore all’atto simulato.

c. revocatoria ordinaria è considerata la responsabilità dei terzi per il pregiudizio che è stato arrecato al patrimonio del debitore lesionando la garanzia patrimoniale.

Nell’esecuzione concorsuale, dopo la dichiarazione di fallimento, si ha la surrogazione fallimentare in cui tutte le azioni che nell’esecuzione individuale sono esercitate dal singolo creditore per reintegrare la garanzia patrimoniale, sono esercitate dall’unico soggetto legittimato, cioè il curatore, per tutelare la massa dei creditori (azioni di massa) pertanto si evidenzia ulteriormente la natura collettiva della procedura e i singoli creditori perdono la legittimazione all’esercizio di tali azioni. Il potere di sostituzione del curatore quindi concerne sia il debitore che i creditori.

2. sostituzione processuale (art. 43) la perdita della capacità di stare in giudizio nei giudizi relativi a rapporti di diritto patrimoniale tuttavia il fallito conserva la piena capacità processuale nei giudizi:a. personali divorzio, adozione, etc.b. inerenti beni/diritti esclusi dallo spossessamento c. contro gli organi della procedura fallimentare reclamo contro la sentenza di fallimento.

Di conseguenza verso il fallito non possono essere deferiti i mezzi di prova che presuppongono una piena capacità di disposizione del rapporto dedotto in giudizio come l’interrogatorio formale che tende a provocare una confessione da parte di chi lo rende (art. 2731 cc) e il giuramento decisorio (art. 2737 cc).

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Inoltre la giurisprudenza ritiene che il fallito non può testimoniare nei giudizi aventi per oggetto i rapporti di natura patrimoniale perché il fallito restando titolare del patrimonio ha un interesse personale inconciliabile con la sua testimonianza. Tale sostituzione opera universalmente senza limiti temporali e il fallito può intervenire in giudizio solo per le questioni dalle quali può dipendere un’imputazione di bancarotta fraudolenta a suo carico, se l’intervento è previsto dalla legge. Nel diritto processuale, in alcuni casi l’intervento è obbligatorio mentre in altri è facoltativo perché ci possono essere altri soggetti che hanno interesse ad intervenire nella causa per sostenere le ragioni dell’attore o del convenuto.

Il fallimento oltre a provocare effetti sul patrimonio del debitore produce degli effetti personali:1. corrispondenza diretta al fallito (art. 48) il fallito persona fisica è tenuto a consegnare al curatore

la propria corrispondenza di ogni genere, inclusa quella elettronica, riguardante i rapporti compresi nel fallimento mentre la corrispondenza diretta al fallito non persona fisica è consegnata direttamente al curatore. Tale obbligo previsto per il fallito è funzionale alla tutela degli interessi patrimoniali e in caso di violazione, la sanzione prevista consiste nell’esclusione dal beneficio di esdebitazione, il quale presuppone un comportamento collaborativo con gli organi della procedura.

2. obblighi del fallito (art. 49) prima della riforma c’era un vero e proprio divieto per il fallito di allontanarsi dalla residenza familiare mentre oggi è previsto solo un obbligo di reperibilità.

3. pubblico registro dei falliti (art. 50) è stato abrogato con la riforma.La riforma cerca quindi si eliminare una valutazione morale sulla condotta del fallito per avere una valutazione obiettiva inoltre gli effetti non patrimoniale del fallimento sono comunque funzionali alla tutela degli interessi patrimoniali.

3) Beni e diritti esclusi dal fallimentoIn genere tutti i beni del debitore sono ricompresi nel patrimonio fallimentare destinato al soddisfacimento dei creditori concorsuali tuttavia vi sono dei beni non compresi nel fallimento (art. 46) perché funzionali a soddisfare esigenze di vita e mantenimento sia del fallito che dei componenti della sua famiglia. In questi casi, tassativamente indicati dalla legge, l’esigenza di tutela della persona prevale rispetto alle ragioni dei creditori, anche nell’ottica dei doveri di solidarietà sociale sanciti dalla Costituzione pertanto è ammessa l’interpretazione estensiva per adeguare la portata della norma all’evoluzione dell’ordinamento giuridico e della coscienza sociale. Tali beni che formano il patrimonio personale del fallito sono:1. beni/diritti strettamente personale la sottrazione dallo spossessamento è automatica per tutti i

beni senza natura patrimoniale che hanno funzione di supporto/sostituzione rispetto a funzionalità dell’organismo (occhiali da vista), diritti della persona e diritti personalissimi tuttavia vi sono delle eccezioni in cui un diritto personale può avere riflessi economici: a. diritti/azioni da rapporti familiari non patrimoniali riconoscimento del figlio, separazione.b. diritti a tutela della persona diritto al nome, immagine, reputazione, integrità psicofisica.

L’azione in caso di lesione dell’integrità psicofisica come causa di menomazione della capacità lavorativa, è oggetto di un diritto personale ma i danni liquidati rientrano nei redditi destinati al mantenimento per omogeneità di funzione (criterio da utilizzare nelle ipotesi in cui un bene/diritto non è previsto, per stabili i limiti in cui opera l’eccezione allo spossessamento).

c. diritti morali su opere dell’ingegno diritto di inedito e diritto a ritirare l’opera dal commercio sono sicuramente personali ma possono implicare una valutazione economica.

d. diritti da contratti che soddisfano esigenze primarie di vita locazione dell’immobile adibito ad abitazione del fallito e degli arredi, contratti di lavoro, polizze sanitarie, assicurazioni sulla vita e partecipazione a fondi pensione. In questo caso l’esclusione non si estende alle entrate che possono derivarne, se soggette ad una specifica disciplina.

e. diritti esercitabili solo dal titolare diritto all’uso, abitazione, revoca delle donazioni per ingratitudine o sopravvenienza di figli (ha conseguenze patrimoniali perché il bene donato, dopo la revoca viene compreso nel fallimento).

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2. redditi destinati al mantenimento per gli assegni alimentari, stipendi, pensioni, salari e ciò che il fallito guadagna con la sua attività, l’esclusione dalla liquidazione concorsuale è parziale ed è subordinata al decreto motivato del giudice delegato con cui stabilisce in quali limiti tali redditi devono rimanere destinati al mantenimento del fallito e della sua famiglia (parenti conviventi), considerando la sua condizione personale. Le esigenze di vita che devono essere considerate sono solo quelle legate al soddisfacimento dei bisogni essenziali (concetto di mantenimento è più ampio di quello di alimenti) e deve essere tutelato il diritto del debitore ad un’esistenza libera e dignitosa (art. 36 Cost.). Tra le attività che può compiere il fallito vi sono il lavoro subordinato e quello di libero professionista ma in quest’ultimo caso è necessario che il fallimento non sia ostativo al mantenimento dell’iscrizione nel relativo albo. Inoltre il fallito potrebbe svolgere un'altra attività imprenditoriale se non è stato condannato per uno dei reati fallimentari (art. 216 ss).

3. usufrutto legale dei genitori e fondo patrimoniale sono sottratti al fallimento perché sono oggetto di uno specifico vincolo di destinazione in funzione dei bisogni familiari, i frutti derivanti dall’usufrutto legale sui beni dei figli minori, i beni costituiti in fondo patrimoniale e i relativi frutti tuttavia possono soddisfarsi sul fondo i creditori, anche se per debiti estranei alle esigenze di famiglia se sono incolpevolmente ignari di tale estraneità. La destinazione è opponibile al fallimento se sono state anteriormente compiute le formalità necessarie, salva la possibilità che ne venga paralizzata l’efficacia (art. 66 ss) o che venga discussa la validità del titolo da cui deriva.

4. cose impignorabili per legge sono sottratte per intero dalla liquidazione concorsuale le cose (fede nuziale) per cui si ha un’impignorabilità assoluta anche per l’esecuzione individuale.

Tale disciplina è di generale applicabilità ma nella pratica l’esclusione dallo spossessamento è limitata al fallimento della persona fisica (in proprio o in estensione) seppure determinati diritti personalissimi (diritto al nome quale bene giuridico distinto dalla ditta) non sono esclusivi delle persone fisiche. Inoltre vi sono 2 istituti applicabili solo nel fallimento di persone fisiche (art. 47):1. alimenti al fallito se è il fallito è sprovvisto totalmente di mezzi di sussistenza, il giudice delegato

sentiti il curatore e il comitato dei creditori, può concedergli un sussidio a carico della massa attiva fallimentare a titolo di alimenti pertanto nei limiti del soddisfacimento dei soli bisogni essenziali

2. casa di abitazione non può essere distratta da tale uso fino alla liquidazione delle attività pertanto la norma non deve essere interpretata nel senso che non possa essere venduta ma il fallito e la sua famiglia continueranno a viverci fino alla vendita coatta.

4) Beni e diritti preesistenti compresi nel fallimentoL’oggetto dello spossessamento comprende tutte le situazioni giuridiche attive spettanti al debitore se sono già entrate a far parte del suo patrimonio alla data della sentenza dichiarativa (beni preesistenti) e sempre che siano esistenti a tale momento (beni esistenti). Al fine di individuare i beni preesistenti ed esistenti alla data del fallimento è osservata la disciplina sostanziale della situazione giuridica attiva:1. crediti sono esistenti se il diritto è sorto prima della sentenza dichiarativa di fallimento anche se

non hanno ancora i requisiti della certezza, liquidità ed esigibilità. Il credito dell’assicurato verso l’assicuratore per indennità relative a sinistri verificati prima del fallimento, anche se non accertato, entra a far parte della masse attiva e l’eventuale pagamento al terzo danneggiato da parte dell’assicuratore non è opponibile al curatore se il terzo non ha azione diritta verso l’assicuratore.

2. beni la cui proprietà spetta ad un terzo nonostante l’apparenza tali beni non rientrano nel patrimonio del fallito. Si tratta di cose mobili acquistate in nome proprio dal mandatario fallito in esecuzione dell’incarico perché con l’acquisto entrano a far parte del patrimonio del mandante.

3. beni mobili altrui sono compresi nel fallimento e in caso di perdita della disponibilità materiale, il curatore deve esperire le azioni recuperatorie per poter restituire tali beni al terzo proprietario. Se la restituzione non fosse possibile, il terzo ha diritto al risarcimento dei danni subiti da soddisfare in prededuzione se la perdita è avvenuta per fatto del curatore. Non sono comprese nel fallimento, le cose delle quali il fallito aveva solo la detenzione perché il terzo non ha mai perso l’effettivo possesso e pertanto ha il diritto all’immediata restituzione della cosa.

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4. pagamento con assegno bancario se è stato emesso prima della sentenza dichiarativa di fallimento è stato pagato dalla banca successivamente al fallimento, la banca deve corrispondere le somme pagate al curatore perché la provvista permane nella disponibilità del correntista fino al momento del pagamento.

In relazione a tali beni, la sorte degli atti compiuti dal fallito nella procedura non è disciplinata con effetto erga omnes ma limitatamente agli effetti verso la massa fallimentare pertanto gli atti successivi al fallimento sono validi ed efficaci tra le parti che li hanno posti e verso i terzi ma sono inefficaci verso il fallimento quindi sono ad esso in opponibili. Se ci sono degli eredi con diritti su un bene, non è possibile far valere l’inefficacia perché non essendo creditori, l’atto è efficace nei loro confronti. Tale inefficacia relativa (art. 44, 45) deriva dallo spossessamento perché il fallito perde il potere di disporre dei beni e quindi non è più legittimato a porre in essere tali atti. La mancanza di legittimazione produce effetti diversi dalla mancanza della capacità d’agire infatti nel primo caso l’atto è valido ma inefficace mentre nel secondo (minore, interdetto, …) l’atto è invalido. In questo caso quindi, l’atto compiuto è valido perché il fallito è capace di agire ma non è efficace perché il fallito non è legittimato. Se il fallito dopo la sentenza di fallimento ha acquistato un immobile, i terzi sono tutelati perché l’atto è valido e quindi la proprietà del bene è trasferita al terzo tuttavia l’inefficacia implica che il bene rimane nel patrimonio fallimentare ed è assoggettato alle procedure concorsuali. Se tale bene non è venduto coattivamente, rimane di proprietà del terzo che al termine della procedura acquista il potere di amministrazione/disposizione altrimenti il terzo non è tutelato se la sentenza dichiarativa di fallimento era iscritta nel registro delle imprese tuttavia il terzo può avvalersi dell’istituto dell’evizione nei confronti del fallito che consente al soggetto di essere tutelato se sul bene ci sono terzi che vantano dei diritti. L’inefficacia quindi riguarda: 1. atti compiuti dal fallito non solo atti di disposizione e si distingue tra:

a. relativi a beni/diritti compresi nel fallimento vendita di un bene o cessione di un credito. b. assunzione di debiti si distingue tra esecuzione individuale e concorsuale evidenziando le

deroghe al diritto comune infatti nel primo caso possono intervenire anche i creditori successivi all’apertura dell’esecuzione mentre nel secondo caso il patrimonio fallimentare è destinato al soddisfacimento dei soli creditori anteriori. Nel caso di una procedura esecutiva individuale instaurata da una banca che aveva iscritto un’ipoteca su un bene, i creditori successivi possono intervenire nella procedura e saranno soddisfatti solo se il credito della banca è inferiore rispetto al valore del bene che sarà venduto e successivamente verranno soddisfatti tutti i soggetti secondo il grado e l’intervento (elemento temporale). Tali debiti non sono opponibili al fallimento perché i creditori successivi non sono tutelati all’interno della procedura fallimentare.

2. pagamenti eseguiti dal fallito a terzi il terzo è obbligato a restituire quanto ricevuto alla curatela tuttavia il terzo che in buona fede, ha ricevuto il pagamento prima che la sentenza di fallimento sia iscritta nel registro delle imprese, è tenuto a trattenere le somme ricevute. Il terzo, se il suo credito è anteriore al fallimento, può quindi tutelarsi insinuandosi nel passivo.

3. pagamenti eseguiti da terzi al fallito l’inefficacia sussiste a prescindere dalla conoscenza del fallimento da parte del terzo ed opera anche se la sentenza non è stata iscritta nel registro delle imprese pertanto vi è una tutela massima della massa dei creditori che implica un problema di tutela del terzo perché non è liberato essendo obbligato a ripetere il pagamento al curatore. In merito alla tutela del terzo che ha pagato 2 volte bisogna considerare se il debito è sorto:a. prima della dichiarazione di fallimento il terzo può insinuarsi al passivo, perché formalmente

diventa un creditore anteriore alla sentenza di fallimento. b. dopo la dichiarazione di fallimento il terzo non è tutelato perché l’iscrizione implica una

presunzione assoluta di conoscenza pertanto il terzo avrebbe dovuto fare una visura camerale prima del pagamento e non gli resta che rifarsi eventualmente sui beni personali del fallito esclusi dal patrimonio fallimentare, dopo la chiusura del fallimento. Tuttavia se il terzo in buona fede esegue il pagamento dopo la sentenza ma prima dell’iscrizione (o se non è mai avvenuta l’iscrizione), può tutelarsi richiedendo la revocatoria del pagamento mentre il terzo in malafede non è tutelato a prescindere dall’iscrizione.

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4. formalità eseguite le formalità necessarie per rendere opponibili gli atti ai terzi, sono inefficaci verso i creditori dalla sentenza dichiarativa di fallimento in caso di procedura concorsuale o dalla data di pignoramento in caso di procedura individuale (stessi dias a quo previsti per il vincolo di indisponibilità). Nel diritto privato, la disciplina di tali formalità (art. 2914) distingue tra:a. beni immobili o mobili registrati le alienazioni di tali beni sono inefficaci se la trascrizione è

avvenuta dopo il pignoramento (sentenza di fallimento) anche se sono avvenute prima di esso. Se il pignoramento (sentenza di fallimento) è avvenuto una settimana fa e oggi viene fatta la trascrizione dell’alienazione, tale formalità è in opponibile al pignoramento (fallimento).

b. cessione del credito tale cessione è inefficace se la notifica o l’accettazione del debitore ceduto è avvenuta dopo il pignoramento (sentenza di fallimento).

c. universalità di mobili le alienazioni sono inefficaci se tali universalità non hanno data certa.d. beni mobili non registrati le alienazioni sono inefficaci se il possesso è stato trasmesso dopo il

pignoramento (sentenza di fallimento) salvo l’eccezione in cui il possesso risulta da un documento con data certa anteriore al pignoramento (sentenza di fallimento) stesso. Se prima del pignoramento (sentenza di fallimento) è stipulato un contratto di vendita di un bene mobile non registrato ma il possesso del bene viene trasmesso dopo il pignoramento (sentenza di fallimento), l’atto è sicuramente opponibile perché ha data certa anteriore.

Tale disciplina del diritto comune deve pertanto essere adatta a quella fallimentare perché esiste un parallelismo tra la data di pignoramento e quella della sentenza dichiarativa di fallimento. In merito alla tutela del terzo è necessario distinguere tra:a. esecuzione concorsuale in generale, il vincolo di indisponibilità si basa su un momento certo

e unico ma con carattere collettivo cioè la data della sentenza di fallimento, salvo le singole formalità, pertanto tutti i successivi acquirenti non sono tutelati. Tale data risulta dall’iscrizione della sentenza di fallimento nel registro delle imprese pertanto si ha una pubblicità generale.

b. esecuzione individuale è necessario individuare per ogni bene/credito aggredito la data rilevante pertanto la tutela del terzo è attuata secondo le regole generali sulla circolazione.

La diversa disciplina si ha perché l’esecuzione individuale riguarda singoli beni mentre in quella concorsuale le esigenze sono inconciliabili con le norme generali sulla circolazione pertanto si ha il principio della pubblicità generale collettiva. Inoltre la trascrizione prima del fallimento delle domande relative ad atti soggetti a trascrizione, permette di far retroagire gli effetti della sentenza di accoglimento escludendo il bene dall’attivo fallimentare con effetto anche verso la curatela quindi la trascrizione della sentenza dopo il fallimento, non è una formalità inefficace.

Tuttavia, se gli atti/pagamenti del fallito non sono pregiudizievoli e incrementano la consistenza del patrimonio, gli organi della procedura possono, anziché avvalersi dell’inefficacia, appropriarsi del risultato utile purché l’operazione si riferisca a beni preesistenti al fallimento (al netto delle spese per l’acquisto/conservazione del bene se l’operazione si riferisce a beni sopravvenuti). Se il fallito ha effettuato una transazione (soluzione bonaria della controversia come compensazione debito/credito) con un creditore e tale transazione è favorevole alla procedura fallimentare, il curatore può non far valere l’inefficacia perché questo atto è a tutela della massa dei creditori e degli interessi della procedura tuttavia è necessaria l’autorizzazione dei creditori.

5) L’opponibilità degli atti anteriori al fallimentoIn merito agli atti anteriori alla dichiarazione di fallimento compiuti dal fallito, è necessario capire la posizione del curatore rispetto al rapporto tra il fallito e la controparte è:1. terzo il curatore non subentra nella posizione fallito perché tutela gli interessi della massa dei

creditori. Ad esempio quando fa valere la pretesa espropriativa cioè l’inopponibilità di un atto di disposizione rispetto al fallimento (art. 45), impugna l’atto simulato, esercita l’azione revocatoria o si oppone alle pretese di terzi volte ad escludere l’esecuzione concorsuale sui beni acquisiti dal fallito. Se non ci fosse il fallimento, tali azioni di reintegrazione della garanzia patrimoniale spetterebbero ai singoli creditori.

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2. parte si realizza la sostituzione in quanto il curatore esercita tutti i diritti e le azioni spettanti al fallito. Ad esempio fa valere contro terzi delle pretese aventi ad oggetto diritti reali/creditori facenti capo al fallito cioè se un bene esce dal patrimonio del fallito perché è stato concesso in comodato ad un altro soggetto oppure il fallito vanta un credito verso un altro soggetto, il curatore chiederà la restituzione del bene o il pagamento del credito e tali azione sarebbero esercitate dal fallito in assenza della dichiarazione di fallimento.

Analogamente, nel procedimento esecutivo individuale, in caso di alienazioni anteriori al pignoramento (art. 2914), il creditore può far valere una pretesa espropriativa collocandosi nella posizione di terzo rispetto al debitore e alla controparte mentre nel caso dell’espropriazione di crediti si colloca nella stessa posizione del debitore ma non può pretendere dal debitore pignorato più di quello che avrebbe potuto pretendere lo stesso debitore. In merito all’opponibilità degli atti anteriori al fallimento, affinché si verifichi la fuoriuscita di un bene dal patrimonio del fallito, è necessario dimostrare sia l’atto/fatto che la sua anteriorità rispetto al patrimonio del fallito, inoltre in alcuni casi è necessario che la posizione acquistata dal terzo sia opponibile ai creditori pertanto se è necessario il compimento di certe formalità, anch’esse devono essere anteriori al fallimento (art. 45). Le questioni sull’esistenza e l’anteriorità dell’atto/fatto non sono influenzate dal fallimento pertanto è applicata la disciplina relativa a ciascuna fattispecie tuttavia possono determinarsi riflessi sul regime probatorio cioè sull’idoneità di certi mezzi di prova rispetto al fallimento, se il curatore agisce nell’interesse dei creditori:1. mandato ad acquistare beni/crediti affinché non si estenda lo spossessamento sulle cose

acquistate dal mandatario fallimento, il mandato deve risultare da un atto con data certa anteriore al fallimento e in genere le scritture private non autenticate non possono dimostrare l’anteriorità dell’acquisto da parte del terzo se ad esse non si può attribuire data certa; tuttavia è salvo il diritto del terzo, sub acquirente in buona fede, che ha conseguito il possesso della cosa secondo le regole dell’acquisto.

2. alienazioni di beni mobili rimasti nel possesso del fallito o universalità di mobili deve risultare da atto di data certa.

3. pagamenti eseguiti/ricevuti dal fallito se è stata rilasciata quietenza, la data di questa può essere accertata con qualsiasi mezzo di prova.

Le eventuali formalità necessarie per rendere gli atti anteriori opponibili ai terzi (e di conseguenza al curatore), che possono essere compiute anche da terzi, sono:1. adempimenti formali trascrizione di atti di vendita di immobili o mobili registrazioni e iscrizioni di

ipoteche.2. operazioni materiali consegna.3. dichiarazioni negoziali o comunicazioni nella cessione del credito è necessaria l’accettazione del

debitore ceduto o la notifica nei suoi confronti dell’avvenuta cessione.In genere il curatore fa valere solo la pretesa di sottoporre un bene alla liquidazione concorsuale pertanto sono richieste le formalità per l’opponibilità ai terzi creditori ma in casi particolari, tale pretesa può scontarsi con i diritti sulla cosa vantati da terzi pertanto il curatore può giovarsi del mancato compimento tempestivo delle formalità necessarie a rendere l’atto opponibile al terzo acquirente.

6) Beni e diritti sopravvenutiI beni sopravvenuti cioè che pervengono al fallito dopo la dichiarazione di fallimento (donazione o eredità) sono compresi nel fallimento dedotte le passività per l’acquisto e la conservazione dei beni stessi (art. 42 c2). Rispetto al principio generale secondo cui il debitore risponde dell’adempimento delle sue obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri (art. 2740) si verifica una deroga sotto il profilo soggettivo, perché i creditori successivi alla dichiarazione di fallimento non sono ammessi al concorso, ma non sotto quello oggettivo perché sono appresi anche i beni sopravvenuti. Si realizza quindi un problema di posizione dei creditori successivi rispetto a quelli anteriori alla dichiarazione di fallimento perché i primi non possono soddisfarsi sui beni anche futuri compresi nel fallimento.

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Le passività da dedurre devono avere una caratteristica d’inerenza rispetto al bene sopravvenuto:1. giuridica si ha un rapporto stringente tra le passività e l’atto perché le prime derivano dal

compimento del secondo pertanto il curatore deve valutare se è o meno conveniente avvalersi di quell’acquisto in ragione delle passività. Se il curatore decide di avvalersi dell’acquisto ha l’onere di far fronte a tutte le passività mentre se decide di far valere l’inefficacia dell’atto compiuto dal fallito, tale inefficacia è totale cioè sia i possibili frutti derivanti dall’acquisto che le passività, le quali non devono essere pagate. Un esempio è il pagamento del corrispettivo.

2. economica manca un collegamento tra le passività e l’atto stesso pertanto è possibile una scissione perché il curatore può considerare compresi nel fallimento gli acquisti ma può avvalersi dell’inefficacia degli atti per sottrarsi alle passività che sono ulteriori essendo derivanti da altri profili. Il terzo che ha sostenuto le spese per conservare un certo bene avrà a disposizione per tutelarsi lo strumento di diritto comune dell’ingiustificato inadempimento. Un esempio sono le spese di manutenzione o ristrutturazione.

Tale distinzione non è sul piano formale ma sostanziale perché incide sulla valutazione di opportunità sull’acquisizione di quel determinato bene. Per capire se i beni sopravvenuti rientrano automaticamente nel patrimonio fallimentare oppure in ragione delle passività tale acquisizione potrebbe non essere automatica la legge prevede che il curatore, previa autorizzazione del comitato dei creditori, può rinunciare ad acquisire i beni che pervengono al fallito durante la procedura fallimentare qualora i costi da sostenere per il loro acquisto e la loro conservazione risultano superiori al presumibile valore di realizzo dei beni stessi (art. 42 c3) pertanto sebbene il debitore, in seguito alla dichiarazione di fallimento, non ha il potere di disporre dei beni sopravvenuti essendo compresi nel fallimento, il curatore non ha un obbligo ma solo un potere di attuazione perché prima di far fronte integralmente alle passività è necessaria una valutazione sulla convenienza dell’acquisto. Oltre ai casi estremi in cui il curatore si avvale o meno dell’acquisto, si potrebbe verificare una situazione di stallo in cui il curatore non si attiva in merito cioè né chiede l’autorizzazione al comitato dei creditori né ha un comportamento finalizzato alla valutazione di convenienza. In merito a tale problema riguardante i terzi che hanno avuto a che fare col fallito, i quali sono interessati a sapere se hanno diritto a ricevere o meno il corrispettivo o riappropriarsi del bene, è previsto che il contraente può mettere in mora il curatore, facendogli assegnare dal giudice delegato un termine non superiore a 60 giorni, decorso il quale il contratto si intende sciolto (art. 72 c2) cioè viene provocata la decisione del curatore utilizzando il principio silenzio uguale dissenso. I beni sopravvenuti che rimano esclusi dal patrimonio fallimentare sono compresi nel patrimonio personale del fallito e formano la garanzia comune perché possono essere aggrediti da tutti i creditori, anche quelli non concorsuali.

10) Gli effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditoriIl patrimonio del fallito è composto dai suoi beni/diritti compresi quelli usciti dal suo patrimonio con atti pregiudizievoli ai creditori compiuti prima della dichiarazione di fallimento. La reintegrazione della garanzia patrimoniale (art. 64 ss) si riferisce alla possibilità di recupero di tali beni/diritti affinché vadano a ricostituire la garanzia comune a tutela della collettività dei creditori tuttavia alcuni sono sottratti all’aggressione da parte della massa e non formano tale garanzia perché sono collegati ad:1. atti non revocabili casi di esenzione dalla revocatoria.2. atti non più revocabili viene meno un presupposto per l’esercizio della revocatoria.

I beni/diritti recuperati al patrimonio del fallito con l’azione di reintegrazione, sono assoggettati all’esecuzione concorsuale ma rimangono nella titolarità dei terzi acquirenti perché si ha un’efficacia relativa dell’atto pregiudizievole che pertanto è valido verso il terzo (acquista la proprietà) e i creditori non concorsuali ma è inefficace verso quelli concorsuali. La ratio della disciplina è:1. incremento dell’attivo fallimentare recupero delle risorse illegittimamente uscite dal patrimonio.2. incidenza del passivo attraverso l’esclusione dal passivo di:

a. diritti di prelazione sui beni compresi nel fallimento negando il diritti di pegno o ipoteca aumenta il passivo destinato ai creditori chirografari.

b. crediti sono esclusi dal concorso quelli derivanti dalla concessione di garanzie personali. 61

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L’inefficacia relativa è lo strumento per garantire tale reintegrazione e può essere: 1. automatica opera l’inefficacia ex lege pertanto l’atto non produce effetti dalla data di

dichiarazione del fallimento. Tale azione è proponibile senza limiti di tempo e si ha una sentenza dichiarativa (non costitutiva) inoltre tali beni/pagamenti si considerano ricompresi nel patrimonio del debitore come se non fossero mai usciti pertanto dalla data di dichiarazione del fallimento scatta per il terzo l’obbligo di restituire il bene o le somme percepite. a. atti a titolo gratuito (art. 64) sono compiuti dal fallito nei 2 anni anteriori alla dichiarazione

di fallimento. Si ha un’attribuzione patrimoniale senza corrispettivo esclusi i regali d’uso e gli atti compiuti in adempimento di un dovere morale (obbligazioni morali: debiti di gioco) o a scopo di pubblica utilità purché la liberalità sia proporzionata al patrimonio del donante. Per tali atti è esclusa l’inefficacia ex lege ma possono essere oggetto di revocatoria ordinaria (art. 2901) o fallimentare (art. 67 c2) perché se manca la proporzionalità recano un danno ai creditori (art. 67 c1 non è applicabile perché prescinde dal danno). Alcuni esempi sono la donazione, rinuncia dell’eredità, comodato gratuito o remissione di credito (A rinuncia ad escutere il proprio debitore B). Prima della riforma vi era il dubbio se le garanzie per debiti altrui (fideiussione: il debitore fallito garantisce un altro debitore) fossero atti a titolo gratuito o meno ma la riforma ha precisato che non sono inefficaci ex lege perché sono revocati, se il curatore prova che l’altra parte conosceva lo stato d’insolvenza del debitore, gli atti costitutivi di un diritto di prelazione per debiti anche di terzi, contestualmente creati, se compiuti entro sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento (art. 67 c2).

b. pagamenti (art. 65) di crediti scadenti nel giorno della dichiarazione di fallimento o posteriormente, eseguiti dal fallito nei 2 anni anteriori alla dichiarazione di fallimento. Tali atti sono equiparati sotto il profilo sostanziale agli atti a titolo gratuito. La riforma del diritto societario ha previsto che il rimborso da parte della srl dei finanziamenti eseguiti dai soci deve essere restituito se è avvenuto nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento e tale norma è richiamata anche nel caso di finanziamenti in favore di società sottoposte a direzione e coordinamento. Tuttavia una modifica recente del 2010, ha previsto che i crediti derivanti d finanziamenti in esecuzione di concordato o accordai di ristrutturazione successivi sono prededucibili compresi anche i finanziamenti dei soci alla società.

2. non automatica (art. 66, 67, 69) per gli atti revocabili è necessaria una sentenza costitutiva che accerta la revocabilità dell’atto e dichiara l’inefficacia. Sia nel caso della revocatoria ordinaria che in quello della revocatoria fallimentare, l’azione deve essere esperita di fronte al tribunale fallimentare in deroga al principio della vis actrattiva che opera solo per le azioni derivanti dal fallimento. L’azione per la revocatoria presenta dei limiti di tempo:a. revocatoria ordinaria (art. 2903) il limite è di 5 anni dalla data dell’atto.b. revocatoria fallimentare (art. 69bis) il limite è di 3 anni dalla dichiarazione di fallimento e

comunque decorsi 5 anni dalla data dell’atto.L’inefficacia relativa produce effetti diversi a seconda del tipo di atto compiuto:1. atto di assunzione di obblighi o costitutivi di diritti di prelazione tutela immediata dei creditori

concorsuali perché nel primo caso il credito vantato dal terzo è escluso dal concorso e nel secondo caso il credito privilegiato diventa chirografario.

2. atti costitutivi di diritti di godimento o traslativi di beni/diritti o pagamenti nei primi due casi viene meno il diritto di godimento pertanto il bene fa parte del patrimonio del debitore ed è assoggettata ad esecuzione concorsuale la piena proprietà del bene mentre per i pagamenti sorge l’obbligo di restituire alla curatela le somme percepite. In questo caso si ha una tutela mediata dei creditori concorsuali perché tra la sentenza di revoca e la vendita coattiva trascorre un certo lasso di tempo in cui il bene può avere un valore diverso. In ogni caso, colui che, per effetto della revoca ha restituito quanto aveva ricevuto, è ammesso al passivo fallimentare per il suo credito (art. 70 c2).

Tali strumenti finalizzati al reintegro della garanzia patrimoniale si estendono sia agli atti anteriori alla dichiarazione di fallimento che agli atti posteriori all’iscrizione della sentenza nel registro delle imprese.

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11) La revocatoria fallimentare: caratteri generali, presupposti Il rimedio speciale previsto dalla legge fallimentare si differenzia da quello previsto dal diritto comune:1. revocatoria ordinaria (art. 2901) è un mezzo di conservazione della garanzia patrimoniale che

tutela i creditori dal compimento di atti pregiudizievoli ma la protezione è più limitata rispetto alla disciplina fallimentare perché sono impugnabili solo gli atti di disposizione pertanto sono esclusi:a. atti dovuti adempimento di un debito scaduto. Nella disciplina fallimentare invece sono

revocabili gli atti a titolo oneroso compresi gli atti dovuti infatti sono assoggettabili al fallimento i pagamenti di debiti scaduti ed esigibili (art. 67 c1 n2).

b. atti di amministrazione atto di gestione del patrimonio che rientra nel modo normale di amministrarlo come nel caso il cui il debitore riscuote i pagamenti derivanti dalla stipula di un contratto di locazione di immobili. Nella disciplina fallimentare, tali atti sono revocabili.

Gli atti di disposizione devono essere compiuti dal debitore pertanto sono esclusi:a. atti compiuti senza il concorso del debitore anche se sono pregiudizievoli come nel caso

dell’ipoteca giudiziale perché è decretata dal giudice quindi non essendo un atto del debitore non è revocabile. Nella disciplina fallimentare è invece revocabile l’ipoteca giudiziale costituita nei 6 mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento (art. 67 c1 n4).

b. atti di disposizione compiuti dal terzo nel caso d’esercizio del diritto di opzione esercitato dal terzo potrà al massimo essere impugnato l’atto con cui il debitore concede il diritto di opzione al terzo perché è questo l’atto del debitore e non l’esercizio del diritto di opzione.

Tale revocatoria può essere proposta nella procedura fallimentare infatti il curatore può domandare che siano dichiarati inefficaci gli atti compiuti dal debitore in pregiudizio dei creditori, secondo le norme del codice civile e l’azione si propone dinanzi al tribunale fallimentare, sia in confronto del contraente immediato che sei suoi aventi causa se è proponibile contro costoro (art. 66).

2. revocatoria fallimentare (art. 64 ss) quando non può essere esperita tale azione, viene esperita la revocatoria ordinaria. a. presupposto oggettivo è duplice:

danno nella disciplina fallimentare, a differenza di quella comune, il danno non è formalmente richiesto dalla norma ma dal titolo della sezione terza “effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori” si ritiene che sia un presupposto sostanziale tuttavia le due discipline si differenziano per il tipo di pregiudizio: pregiudizio concreto l’atto ha prodotto un danno ai creditori. Tale pregiudizio è

richiesto per la revocatoria ordinaria (non è sufficiente il pregiudizio astratto) perché il patrimonio residuo del debitore deve essere insufficiente a pagare i creditori quindi bisogna dimostrare l’insufficienza del patrimonio in ragione di quell’atto.

pregiudizio astratto l’atto è astrattamente idoneo a produrre un danno ai creditori. Tale pregiudizio è sufficiente ai fini della revocatoria fallimentare perché il debitore è già insolvente pertanto è presunta l’insufficienza del patrimonio in seguito agli atti pregiudizievoli compiuti nel periodo sospetto. Se fosse applicata la disciplina comune, bisognerebbe verificare per ogni atto anteriore alla dichiarazione di fallimento (per quelli posteriori è scontato) se il patrimonio residuo è sufficiente o meno e questo sarebbe oltremodo complicato. Secondo la giurisprudenza, il pregiudizio in astratto è dato dalla violazione del principio della par condicio creditorum tuttavia tale espressione è utilizzata impropriamente per indicare le regole di collocazione dei crediti cioè quali crediti devono essere soddisfatti per prima, soprattutto nell’attuale sistema in cui è possibile suddividere i creditori in classe applicando un trattamento diverso ai creditori appartenti a classi diverse e un trattamento uguale a quelli appartenenti alla stessa classe (principio relativo). Nel diritto comune la parità di trattamento è un principio assoluto mentre la preferenza è un’eccezione perché i creditori hanno uguale diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore, salve le cause legittime di prelazione cioè privilegi, pegno ed ipoteca (art. 2741).

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Nel diritto fallimentare viceversa la preferenza in ragione delle cause legittime di prelazione è la regola mentre l’eccezione è la parità di trattamento pertanto sarebbe più opportuno, ai fini del pregiudizio in astratto, considerare la violazione del principio di preferenza. Gli atti astrattamente pregiudizievoli sono:o atti direttamente pregiudizievoli incidono sul piano quantitativo diminuendo il

patrimonio del debitore e vi è un rapporto diretto tra il pregiudizio arrecato dall’atto e il pregiudizio subito dal patrimonio cioè il pregiudizio della garanzia patrimoniale passa necessariamente attraverso quell’atto. Gli atti a titolo gratuito e gli atti a titolo oneroso con corrispettivo inadeguato rispetto al valore del bene, rientrano in questa categoria.

o atti indirettamente pregiudizievoli incidono sul piano qualitativo lasciando inalterato il patrimonio quantitativamente ma determinandone una variazione qualitativa pertanto il pregiudizio è indiretto. Vi rientrano gli atti con cui il debitore scambia merce di facile/pronta liquidazione con merce priva di tali caratteristiche oppure quote di partecipazione in società quotate con quote in società non quotate o un bene immobile con un altro immobile che presenta quote indivise. In tutti questi casi, la vendibilità dei primi è maggiore rispetto ai secondi.

o atti di destinazione certi beni sono destinati in via preferenziale al soddisfacimento di certi creditori o categorie di essi pertanto non incidono sul piano qualitativo e quantitativo. Tali atti devono essere trascritti e vi rientrano:- patrimonio destinato ad uno specifico affare (art. 2447 ss) sorgono dei

creditori che hanno un patrimonio a loro destinato mentre gli altri creditori devono concorrere su un patrimonio comune.

- ipoteca/pegno categoria di creditori privilegiati rispetto alla massa.- trust strumenti di conio pretorio provenienti dal sistema anglosassone che

non sono ancora recepiti dall’ordinamento italiano.- fondo patrimoniale certi beni sono destinati da uno o entrambi i coniugi al

soddisfacimento dei bisogni famigliari ma possono essere costituiti anche da un terzo. La revocatoria di tali atti è molto comune perché mentre sul patrimonio destinato e il trust c’è incertezza applicativa in mancanza di una disciplina compiuta, il fondo patrimoniale è uno strumento tradizionale utilizzato dall’imprenditore individuale per preservare certi beni dall’aggressione dei creditori. Il fondo è opponibile solo in presenza di una serie di formalità tra cui l’annotazione a margine dell’atto di matrimonio e l’iscrizione sui beni oggetto del fondo.

periodo sospetto legale l’atto deve essere compiuto entro un periodo (6 mesi o 1 anno) prima della dichiarazione di fallimento. La riforma ha notevolmente ridotto (la metà) tale periodo, riducendo pertanto anche l’ambito di applicazione della revocatoria fallimentare, perché in passato vi era un uso eccessivo di tale azione anche se mancavano i presupposti inoltre è stato ampliato il nucleo di esenzioni per garantire la continuazione dell’esercizio dell’attività finché possibile, ovviamente credendo nel recupero della stessa. La disciplina del periodo sospetto legale non è cambiata per: atti tra coniugi (art. 69) è previsto un periodo pari a quello in cui il fallito esercitava

l’impresa per gli atti a titolo oneroso, pagamenti e garanzie e un periodo di 2 anni per gli atti a titolo gratuito, se il coniuge non dimostra che ignorava lo stato d’insolvenza del coniuge fallito. Il primo periodo è abnorme e sarebbe stato più opportuno circoscrivere tale periodo.

atti infragruppo delle imprese soggette ad amministrazione straordinaria è previsto un periodo di 5 anni che è diverso da quello previsto se l’impresa è assoggetta all’amministrazione straordinaria pertanto si ha una disparità di trattamento dei terzi che hanno compiuto gli atti in ragione di una variabile che non dipende da essi.

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Inoltre non è giustificato nemmeno il diverso trattamento normativo tra gli atti compiuti infragruppo rispetto agli atti che possono avere con il debitore una relazione sensibile. Per i primi è previsto un periodo di tempo maggiore perché si presuppone l’esistenza di unità sostanziale fra il gruppo di imprese che implica uno stato di conoscenza dell’insolvenza maggiore pertanto sarebbe opportuno dilatare il periodo sospetto legale anche per gli atti compiuti tra il fallito e soggetti a lui legati (atti tra i componenti degli organi di amministrazione e controllo e la società) perché anche in questi atti la consapevolezza dello stato d’insolvenza in cui versa il debitore è insita nella relazione che lega questi soggetti all’impresa.

Prima della riforma, il dies a quo del periodo sospetto in caso di consecuzione di procedure, decorreva dalla data di ammissione al concordato preventivo in quanto aveva lo stesso presupposto oggettivo del fallimento mentre oggi decorre dalla sentenza di fallimento.

b. presupposto soggettivo comprende la conoscenza di: stato d’insolvenza è irrilevante lo stato soggettivo del fallito nel compimento dell’atto

mentre nella revocatoria ordinaria è imposto l’accertamento del suo stato soggettivo essendo necessario un accordo fraudolento col terzo. Inoltre nella revocatoria ordinaria è necessario verificare anche lo stato soggettivo del terzo (norma non applicabile se il terzo è in buona fede) che è rilevante anche in quella fallimentare, salvo due eccezioni: atti a titolo gratuito (art. 64) sono sempre inefficaci. pagamenti anticipati (art. 65) sono sempre inefficaci.Nelle ipotesi in cui lo stato soggettivo del terzo è rilevante l’onere della prova (art. 67) della conoscenza/ignoranza dello stato d’insolvenza, dipende dal tipo di atto compiuto: atto normale (c2) l’onere della prova spetta al curatore che deve dimostrare la

conoscenza dello stato d’insolvenza del debitore da parte del terzo (presupposto soggettivo) e che l’atto sia revocabile e compiuto nel periodo sospetto (presupposto oggettivo) poiché l’atto rientra nell’esercizio dell’attività.

atto anormale (c1) l’onere della prova spetta al terzo che deve dimostrare di aver ignorato lo stato d’insolvenza del debitore (mancanza presupposto soggettivo) e il curatore deve solo dimostrare che l’atto sia revocabile e compiuto nel periodo sospetto (presupposto oggettivo) poiché è presunta la conoscenza dell’insolvenza.

La prova sullo stato di conoscenza/ignoranza dello stato d’insolvenza è molto difficile essendo una prova di stati soggettivi e può essere dimostrata tramite lo strumento delle presunzioni cioè sulla base di elementi precisi, gravi e concordanti si risale da un fatto ignoto ad un fatto noto. Secondo un primo criterio si utilizzava un soggetto che in quel momento storico, sulla base delle informazioni a sua disposizione o che poteva acquisire con la diligenza richiesta, poteva conoscere lo stato d’insolvenza del debitore ma la costruzione del modello astratto del soggetto di ordinaria prudenza e avvedutezza è rischioso perché il modello è arbitrale e si rischia di equiparare la conoscenza effettiva alla conoscibilità inoltre sarebbe utilizzato un unico modello per tutti i creditori. La giurisprudenza ha pertanto sostituito tale strumento con un criterio più obiettivo che mira a garantire l’effettiva conoscenza/ignoranza dello stato d’insolvenza cioè è data concretezza al giudizio e sono considerate le peculiarità del soggetto attraverso una pluralità di modelli costruiti sulla base di indizi concreti che possono essere utili per la prova. A tal fine sono considerati una pluralità di indizi di fatto: tipologia d’attività esercitata dal terzo se il terzo esercita un’attività affine o nella

stessa catena produttiva del debitore ha una maggiore esperienza e capacità concrete di verificare se il soggetto versa in uno stato d’insolvenza.

continuità e/o importanza del rapporto se l’atto è occasionale il terzo ha più difficoltà a conoscere lo stato d’insolvenza del debitore e viceversa se l’atto deriva da un rapporto duraturo.

tipo di atto compiuto65

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contiguità territoriale col territorio in cui si manifestano i sintomi dell’insolvenza vicinanza territoriale tra il luogo in cui il terzo ha l’impresa e il luogo in cui si manifestano i sintomi dell’insolvenza del debitore (se è fallita una grande impresa pisana, tutta la provincia era a conoscenza del suo stato d’insolvenza mentre un soggetto fuori provincia che effettua delle forniture poteva non esserne a conoscenza).

Tali circostanze di fatto devono essere valutate volta per volta e inoltre sono considerati anche dei sintomi obiettivi: levata dei protesti contro l’imprenditore è un modo per appurare in modo definitivo

l’inadempimento (assegno portato all’incasso risulta scoperto ed è protestato perché mancano i fondi sia inizialmente che successivamente).

pendenza di procedimenti esecutivi il debitore non ha pagato un proprio creditore il quale ha esercitato azioni esecutive per soddisfare la propria pretesa.

bilanci notizie stampa su giornali locali e/o nazionaliDa tutti questi elementi (indizi e sintomi) è possibile avere un quadro presuntivo cioè un quadro di elementi gravi, precisi e concordanti da cui desumere la conoscenza/ignoranza dello stato d’insolvenza da parte del terzo. Vi sono infine indizi che sono una vera e propria prova diretta della conoscenza dello stato d’insolvenza e quindi assumo un grado di rilevanza maggiore ai fini della prova: protesto del titolo per il presentatore del titolo stesso i protesti sono pubblicati ma

non necessariamente la collettività può conoscere tale pubblicazione (sintomo obiettivo) ma il protesto è un indice sicuro in riferimento al soggetto il cui titolo è protestato perché ha avuto diretta conoscenza della mancanza di fondi per il debitore.

inadempienze reiterate i creditori oltre a sollecitare i pagamenti possono diffidare il debitore ad adempiere o “minacciare” la presentazione dell’istanza di fallimento pertanto tali ipotesi sono una prova diretta da cui si desume l’insolvenza del debitore.

In conclusione, in merito a tale onere della prova, bisogna distinguere se al momento del compimento dell’atto gli indici obiettivi rivelatori dello stato d’insolvenza erano: inesistenti l’azione revocatoria non può essere esperita. esistenti il terzo avrebbe potuto conoscere lo stato d’insolvenza usando l’ordinaria

diligenza pertanto è rilevante per l’esercizio della revocatoria. Bisogna comunque valutare se tali indizi, da soli o con altri elementi, sono sufficienti a provare lo stato soggettivo considerando il modello che non prescinde da circostanze obiettive.

condizioni di fallibilità dell’impresa è irrilevante pertanto il terzo non può difendersi dall’azione revocatoria dimostrando che per lui il debitore era un soggetto non fallibile (privato) salvo il caso del socio illimitatamente responsabile dichiarato fallito in estensione del fallimento della società. In questo caso infatti, nell’ottica di difesa del terzo, è ammesso che il terzo dimostri la sua non conoscenza della qualità di socio illimitatamente responsabile del fallito poiché lo stato di insolvenza è riferito alla società e non al singolo socio pertanto l’ignoranza delle condizioni di fallibilità di un socio illimitatamente responsabile implica la possibilità del terzo di difendersi.

In merito alla tutela dei terzi, l’inefficacia non pregiudica i diritti acquistati a titolo oneroso dai terzi in buona fede salvo gli effetti della trascrizione della domanda di revocazione ordinaria (art. 2901 uc) cioè se l’acquisto è trascritto dopo la trascrizione della domanda di revocazione prevale quest’ultima, e tale norma è applicabile alla revocatoria fallimentare (art. 67, 69) pertanto è tutelato anche il terzo sub acquirente C (A vende a B che vende a C) in buona fede che abbia trascritto l’atto di acquisto prima della domanda di revoca fatta dal curatore per gli atti a titolo gratuito (art. 64) e i pagamenti (art. 65). La mala fede è interpretata dalla giurisprudenza come una consapevolezza dell’instabilità dell’atto d’acquisto del suo dante causa B con il fallito A (C è consapevole che l’atto tra A e B è suscettibile a revocatoria).

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Tale consapevolezza richiesta al terzo sub acquirente C si atteggia in modo diverso a seconda che il dante causa B abbia acquistato dal fallito A con:1. atti a titolo oneroso (art. 67 e 69) è considerata la conoscenza dello stato di insolvenza in cui

versa il primo alienante dichiarato fallito cioè il presupposto della revocatoria fallimentare.2. atti a titolo gratuito (art. 64 e 65) è sufficiente la conoscenza che l’atto tra il suo dante causa e il

primo alienante dichiarato fallito, è a titolo gratuito.

12) Le esenzioni dalla revocatoria fallimentareL’ordinamento prevede un sistema di esenzioni (art. 67), cioè ipotesi in cui l’azione revocatoria non può essere esperita al fine di favorire:1. conservazione del complesso produttivo funzionale alla continuazione e liquidazione. 2. incentivare gli accordi fra l’imprenditore e i creditori per risolvere la crisi se fossero soggetti a

revocatoria gli atti compiuti, nessuno concederebbe più credito. Le ipotesi di esenzione sono:1. pagamenti di beni/servizi effettuati dall’imprenditore nei termini d’uso (a) sono esclusi perché

rientrano nel normale esercizio dell’impresa che permettono di mantenere in vita il complesso produttivo (bollette energia). Tuttavia l’esenzione riguarda i pagamenti ma non gli atti, anche se rientrano nei termini d’uso, sulla base dei quali è stato fatto il pagamento quindi gli atti che hanno ad oggetto beni/prodotti commercializzati sono revocabili mentre non lo sono i pagamenti.Tra i pagamenti vi rientrano quelli per i corrispettivi di lavoro (dipendenti e non) e tra i servizi vi rientrano i pagamenti per le manutenzioni. Inoltre i pagamenti effettuati con ritardo o con mezzi anormali sono revocabili perché non rientrano nell’esclusione.

2. pagamenti dell’impresa per prestazioni di lavoro (f) sia dipendenti che collaboratori pertanto non è necessario la subordinazione al fallito.

3. pagamenti di debiti liquidi ed esigibili relativi a certi servizi (g) devono essere avvenuti alla scadenza e riguardano la prestazione di servizi strumentali all’accesso alle procedure concorsuali dell’amministrazione controllata e di concordato preventivo. La norma di riferisce al concordato preventivo e all’accordo omologato cioè i piani di ristrutturazione (art. 183 bis) ma tratta i piani di risanamento stragiudiziali tuttavia si ritiene che possa essere applicata per estensione analogica (stessa ratio) anche in questo caso. Nel concordato preventivo è richiesto che il piano e la documentazione siano essere accompagnati dalla relazione di un professionista che (ai fini della verifica del possesso dei requisiti) attesta la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano stesso (art. 161 c3).

4. atti, pagamenti e garanzie in esecuzione del concordato preventivo e dei piani di ristrutturazione (e) per favorire la ripresa dell’imprenditore è necessario tutelare coloro che compiono atti con questo dalla revoca degli stessi una volta che il debitore è dichiarato fallito.

5. atti, pagamenti e garanzie posti in esecuzione di un piano di risanamento (d) è l’unico caso in cui è richiamato escplicitamente tale istituto mentre per il concordato e gli accordi di ristrutturazione c’è una disciplina ad hoc. La ricostruzione della disciplina assente è importante per individuare i requisiti del piano, in base ai quali, è possibile disapplicare la revocatoria.

6. preliminari e vendite di immobili adibiti ad abitazione principale (c ) sono esclusi dalla revocatoria, tutelando il terzo acquirente, se sono trascritti ed la vendita è al giusto prezzo.

7. rimesse in conto corrente (b) il problema è se tali rimesse effettuate dal debitore possono essere considerate pagamenti, essendo meccanismi di riduzione dell’esposizione debitoria, e se quindi possono essere suscettibili di revoca. Prima della riforma si avevano due orientamenti:a. massimo scoperto le rimesse sono pagamenti nella misura in cui contribuiscono ad una

riduzione dell’esposizione. La revoca deve essere limitata alla differenza tra la punta massima dell’esposizione debitoria, con riferimento al momento in cui si ha la conoscenza dello stato di insolvenza e l’esposizione residua alla data di dichiarazione del fallimento.

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b. sommatoria il conto passivo è quello che rientra nei limiti del fido mentre il conto corrente scoperto è quello che supera tali limiti. A tal fine, i pagamenti che confluiscono sul conto passivo non sono revocabili perché si ritiene che tali versamenti non sono diretti a ridurre l’esposizione debitoria ma sono diretti a ripristinare la disponibilità sul conto mentre i pagamenti che confluiscono sul conto corrente scoperto sono revocabili perché si ritiene che siano diretti a ridurre o estinguere l’esposizione debitoria.

Con la riforma, è stato accolto il primo criterio perché sono esenti dalla revocatoria le rimesse su un conto corrente bancario purché non abbiano ridotto in maniera consistente e durevole l’esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca. Tale soluzione è preferibile perché secondo il criterio della sommatoria bisognerebbe considerare per ciascuna rimessa se in quel momento il conto era scoperto o passivo. Il criterio di massimo scoperto invece considera un periodo di riferimento in cui fa una sorta di “media” pertanto è preferibile in quanto tutela maggiormente la par conditio credito rum secondo un criterio più equo. Tale articolo deve inoltre essere coordinato con l’articolo (art. 70 c3) secondo cui, qualora la revoca ha ad oggetto atti estintivi di posizioni passive derivanti da conto corrente, il terzo deve restituire una somma pari alla differenza tra l’ammontare massimo raggiunto dalle sue pretese, nel periodo per il quale è provata la conoscenza dello stato d’insolvenza e l’ammontare residuo delle stesse, alla data in cui si è aperto il concorso (data di fallimento) tuttavia resta salvo il diritto del convenuto d’insinuare al passivo un credito d’importo corrispondente a quando restituito. Secondo un principio generale si ritiene che siano soggette a revoca solo le rimesse effettuate nell’andamento normale del rapporto correntista anche considerando l’entità. Alcune delle ipotesi di esenzione erano già previste mentre altre sono state introdotte con la riforma inoltre è rimasta la previsione secondo cui tali disposizioni (atti revocabili e non revocabili) non si applicano all’istituto di emissione e successivamente sono stati inclusi le operazioni di crediti su pegno e di credito fondiario, salvo le disposizioni di legge speciali (art. 67 uc). Nei casi in cui è esclusa la revocatoria fallimentare bisogna capire se sia possibile esperire o meno la revocatoria ordinaria. Secondo un criterio formale (letterale) si ritiene che l’esenzione sia prevista solo per la revocatoria fallimentare e pertanto quella ordinaria è ritenuta esperibile tuttavia secondo un criterio sostanziale che considerando la ratio dell’esenzione si ritiene che non sia esperibile nemmeno la revocatoria ordinaria infatti:a. pagamenti sono esentati dalla revocatoria fallimentare quelli compiuti nei termini d’uso cioè

con mezzi normali ma la normalità dell’operazione implica la mancanza del danno diretto per i creditori e pertanto non è esperibile la revocatoria ordinaria.

b. alienazioni immobiliari sono esentati se il pagamento è avvenuto a giusto prezzo ma in questo caso non si realizza un danno diretto e pertanto non esperibile la revocatoria ordinaria.

c. atti, pagamenti e garanzie in esecuzione di accordi con i creditori l’esenzione deriva dalla volontà di dare rilievo all’elemento soggettivo cioè al volontario convincimento dei creditori sulla superabilità della crisi (se non fossero convinti non accetterebbero l’accordo) pertanto in questo caso manca l’accordo fraudolento e non è esperibile la revocatoria ordinaria.

13) Gli atti revocabiliGli atti revocabili (art. 67) si possono distinguere in:1. atti a titolo oneroso si ha un’attribuzione patrimoniale a fronte di un corrispettivo e si dividono:

a. atti con cui il debitore diminuisce l’attivo trasferimenti di beni, atti costitutivi di diritti di godimento e transazioni.

b. atti con cui il debitore aumenta il passivo fideiussioni perché in caso di mancato pagamento il garantito si insinua al passivo per ottenere il pagamento di quanto garantito, mutuo se il mutuante (banca) ha diritto ad insinuarsi al passivo per le eventuali somme mutuate.

La disciplina è diversa a seconda del rapporto tra il corrispettivo e la prestazione: sproporzione (c1) il periodo sospetto legale è maggiore cioè 1 anno (svendita totale) e il

curatore deve solo dimostrare che l’atto rientra tra quelli revocabili e sia stato compiuti nel periodo sospetto legale.

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proporzione (c2) la disciplina tutela di più il terzo infatti il periodo sospetto legale è minore cioè 6 mesi inoltre incombe sul curatore l’onere di provare la conoscenza dello stato di insolvenza da parte del terzo.

Prima della riforma si utilizzava il criterio della notevole sproporzione ma lasciava troppa di discrezionalità dando luogo ad una disparità di valutazione pertanto la sproporzione è stata quantificata prevedendo che debba essere di oltre un quarto rispetto al giusto prezzo. Tuttavia rimane un certo grado di discrezionalità nello stabilire il giusto prezzo. Con riguardo alla sproporzione si è posto il problema della simulazione cioè se il prezzo dichiarato è inferiore a quello pattuito e corrisposto (per evadere l’iva e l’imposta di registro ma oggi con la legge Bersani è previsto il penale). Nel caso di acquisto di un immobile per abitazione principale del valore di 350.000 € che, in accordo col costruttore, venga pagato regolarmente per 200.000 € e il residuo a nero, se il costruttore è dichiarato fallito e l’atto è revocabile perché non rientra nell’esenzioni, il curatore ha interesse a dimostrare la sproporzione mentre il terzo ha interesse a far risultare il prezzo effettivamente pagato per dimostrare che l’acquisto è avvenuto al giusto prezzo e lo strumento a sua disposizione è la simulazione. Per un certo periodo la giurisprudenza ha negato la possibilità per il terzo di far valere la simulazione dell’atto quindi si diceva che il curatore è un terzo ed è esclusa l’opponibilità della simulazione al fallimento. Il contratto simulato non produce effetto tra le parti (art. 1414) e la prova per testimoni della simulazione è ammissibile senza limiti di tempo, se la domanda è proposta dai creditori o terzi, e qualora sia diretta a far valere l’illeceità del contratto dissimulato anche se è proposta dalle parti (art. 1417). La cassazione, tutelando colui che acquista dal titolare apparente, ha ritenuto però ammissibile la simulazione cioè il convenuto può dimostrare che un elemento del contratto (prezzo) è simulato. L’unico limite è che la simulazione deve essere provata con documenti (quietanza con data certa).

2. atti costitutivi di diritti di prelazione e garanzie (tipiche o atipiche) l’ipoteca e il pegno sono un diritto di prelazione, la fideiussione è una garanzia tipica mentre la lettera di patronage è una garanzia atipica. La disciplina è diversa a seconda del rapporto temporale di tali atti costitutivi rispetto alla sentenza dichiarativa di fallimento:

a. posteriori si rientra nell’ipotesi dell’inefficacia ex lege perché si realizza un pregiudizio alla par conditio creditorum cioè è una tecnica di raggiro delle cause legittime di prelazione createsi in modo naturale.

b. anteriori rileva il rapporto temporale di tali atti costitutivi rispetto al sorgere del debito:– non contestuali la garanzia viene costituita successivamente al sorgere del debito. Nel

caso in cui la garanzia è costituita alla scadenza dell’obbligazione la disciplina è meno rigorosa infatti il periodo sospetto legale è circoscritto a 6 mesi perché viene considerata come una contropartita concessa dal debitore al fine di concedere una dilazione del termine di pagamento. Viceversa, nel caso in cui la garanzia è concessa prima della scadenza dell’obbligazione, la disciplina è più rigorosa infatti il periodo sospetto legale è quello annuale.

– contestuali il periodo sospetto legale è di 6 mesi (art. 67 c2). In merito all’ipoteca si distingue:a. volontaria l’atto è soggetto a revocatoria (art. 67 c1).b. giudiziale bisogna verificare se è contestuale e costituita per debiti scaduti (art. 67 c1 n4) c. legale sono quelle previste dalla legge e sono esentate da revocatoria fallimentare.

La contestualità non deve essere intesa in termini strettamente cronologici (data) ma è applica un criterio funzionale cioè è verificata l’intenzione contestuale delle parti di costituzione della garanzia.

3. pagamenti in generale vale il principio per cui sono assoggettati a revocatoria i pagamenti effettuati dal fallito che incidono sul suo patrimonio, a prescindere dal fatto che siano stati eseguiti spontaneamente o coattivamente. La disciplina è diversa rispetto al mezzo con cui sono eseguiti:a. mezzi normali (c1) sono il denaro ed equivalenti.b. mezzi anormali (c2) restituzione della merce acquistata non pagata ma se rientra nella

volontà delle parti di sciogliere il contratto, il pagamento è revocabile se c’è stato pregiudizio. 69

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Un altro esempio è la concessione di un credito salvo il caso in cui è prevista come modalità di pagamento contestualmente al sorgere del debito (dipende dalla volontà originaria delle parti).

Tuttavia vi possono essere casi in cui, il pagamento per conto del fallito è effettuato da un terzo e in linea di principio tale pagamento non è revocabile salvo i casi in cui il terzo ha:a. pagato con denaro del fallito il pagamento è revocabile a prescindere dalla consapevolezza o

meno da parte del creditore del fallito in merito alla provenienza del denaro che ha ricevuto.b. agito in rivalsa verso il fallito prima della dichiarazione di fallimento vi rientra anche il caso in

cui il terzo abbia compensato un proprio debito con quanto pagato al creditore del fallito.

14) Azioni recuperatorie e azioni risarcitorieLa ricostruzione dell’attivo fallimentare, oltre che con le azioni revocatorie, si può avere se il programma di liquidazione (art. 104ter) prevede la promozione di:1. azioni recuperatorie consentono di ricondurre al patrimonio fallimentare le sue componenti

attive (azioni di rivendicazione, reintegrazione, nullità, annullamento, risoluzione e rescissione). Le azioni di condanna/esecutive per il recupero di denaro/beni dovuti al fallimento, anche se si tratta di realizzare valori già presenti nell’attivo, vi sono dubbi se rientrano nelle azioni recuperatorie perché il programma di liquidazione può risultare appesantito dalla previsione di azioni deverose e che non dovrebbero esporre la procedura a rischi economici. Tuttavia, il legislatore ha affidato la decisione sulla promozione di iniziative giudiziarie, salve norme particolari, al programma di liquidazione e quindi all’approvazione del comitato dei creditori che del giudice delegato. Inoltre, anche la decisione sul recupero di un credito si presta a valutazioni di opportunità che potrebbero giustificare la comprensione nella nozione di azione recuperatoria.

2. azioni risarcitorie nello svolgimento dell’attività, l’imprenditore può subire danni contrattuali (inadempimento) o extracontrattuali (illeciti concorrenziali) che hanno contribuito/cagionato il dissesto pertanto il curatore deve valutare le azioni risarcitorie che possono essere promosse e il loro probabile esito per includerle nel programma di liquidazione da sottoporre all’approvazione del comitato. Un caso particolare riguarda la concessione abusiva di credito consistente nel comportamento della banca che conoscendo lo stato di insolvenza dell’imprenditore, gli concede credito consentendogli di mantenere artificiosamente in vita l’impresa, ingenerando nei terzi l’erronea convinzione che l’impresa sia valida. Si tratta di un illecito capace di generare un danno risarcibile sia ai creditori che hai concorrenti. La Corte di cassazione ha affermato che tale azione risarcitoria non spetta al curatore ma al singolo creditore danneggiato perché l’azione non mira a reintegrare il patrimonio fallimentare (incrementa quello del creditore) e il danno non colpisce la classe creditoria in modo omogeneo infatti ogni creditore/terzo deve dimostrare di aver effettivamente subito un danno e la sua entità. Nel fallimento di società, tra le azioni risarcitorie rientrano le azioni di responsabilità verso gli organi sociali, organi delle controllanti e società controllanti che con comportamenti illeciti possono aver arrecato danno al patrimonio sociale.

15) La disciplina delle azioni di responsabilità in materia societariaIl curatore, previa autorizzazione del giudice delegato e parere non vincolante del comitato dei creditori, può esercitare le azioni di responsabilità contro certi soggetti passivi (art. 146):1. amministratori tutte le società hanno l’organo amministrativo. La tesi prevalente ritiene che tale

categoria comprenda anche l’amministratore di fatto cioè colui che esercita le funzione di gestione proprie di un amministratore in base ad un atto di nomina invalido e in assenza di esso.

2. organi di controllo sono presenti solo nelle società di capitali. In merito ai revisori contabili della spa e srl, sono organi di controllo esterni tuttavia la legge prevede un regime di responsabilità analogo a quello dei membri del collegio sindacale pertanto in caso di fallimento, il curatore può esperire l’azione di responsabilità ma secondo le disposizioni sul programma di liquidazione poiché non sono previsti espressamente tra i soggetti passivi dell’art. 146. La stessa considerazione si ha per il dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili nominato secondo il TUF.

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3. direttori generali si distingue:a. spa secondo il codice civile, se è stato nominato per previsione statutaria o dell’assemblea,

ha la stessa responsabilità degli amministratori altrimenti ha la sola responsabilità contrattuale per inadempimento pertanto si ritiene che solo i primi rientrano nella previsione dell’art. 146.

b. altre società non rientra nella previste dell’art. 146 a prescindere dalla modalità di nomina.4. liquidatori in genere sono assoggetti allo stesso regime di responsabilità degli amministratori.5. soci srl che hanno intenzionalmente deciso/autorizzato atti dannosi (art. 2476 c7) responsabili.

Dopo il fallimento, il curatore deve esercitare tali azioni nell’interesse dalla massa per ricostituire il patrimonio sociale nella sua interezza, ottenendo il risarcimento dei danni sofferti. Per tutti gli altri soggetti passivi, nei confronti dei quali la legge prevede un’azione di responsabilità, il curatore può promuovere l’azione nel programma di liquidazione (essendo un’azione risarcitoria) sottoposto all’approvazione del comitato dei creditori pertanto viene meno il particolare iter autorizzatorio previsto dalla norma in esame (art. 146). Dopo aver definito l’ambito soggettivo della norma, occorre definire l’ambito oggettivo cioè le azioni di responsabilità attribuite al curatore:1. azioni della società contro i soggetti passivi l’attribuzione della legittimazione la curatore deriva

dalla perdita della capacità processuale da parte dell’imprenditore (art. 2394bis cc). 2. azioni dei soci per conto della società è previsto espressamente per le società azionarie

escludendo che vi sia la legittimazione concorrente dei soci e garantendo che vi sia una sola azione sociale di responsabilità verso gli organi societari (art. 2393bis cc). Nelle srl invece, la legittimazione dell’azione sociale di responsabilità non è attribuita alla società ma ai singoli soci, tuttavia considerando la ratio del sistema, anche in questo caso il curatore è l’unico soggetto legittimato in caso di fallimento, liquidazione coatta amministrativa o amministrazione straordinaria.

3. azione dei creditori sociali contro i soggetti passivi è riconosciuta nelle società azionarie per ottenere il risarcimento dei danni derivanti dalla lesione dell’integrità del patrimonio sociale (art. 2394 cc). Nelle società di persone e nella srl tale possibilità non è riconosciuta espressamente ai creditori sociali tuttavia se nelle prime, il problema ha modesta rilevanza pratica in considerazione della responsabilità illimitata dei soci amministratori, nella srl si ritiene applicabile la norma che riconosce tale possibilità ai creditori per analogia.

In merito all’azione contro il socio nel caso della srl è espressamente previsto e consegue al ruolo determinante che i soci possono avere in base all’atto costitutivo mentre nella spa, le delibere assembleari sugli atti di gestione hanno una mera funzione autorizzatoria che non interferisce sulla responsabilità degli amministratori pertanto al curatore non spetta tale azione. Le società/enti che esercitando attività di direzione e coordinamento di società, agiscono nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei principi, sono direttamente responsabili verso i soci di queste per il pregiudizio loro arrecato e verso i creditori sociali per la lesione cagionata all’integrità del patrimonio. In caso di fallimento, liquidazione coatta amministrativa o amministrazione straordinaria, le azioni spettanti ai creditori sono esercitate dal curatore, commissario liquidatore o straordinario tuttavia non rientra nel campo di applicazione dell’art. 146 pertanto può essere intrapresa all’interno del programma di liquidazione. Analogamente le azioni di responsabilità verso gli amministratori/soci della società capogruppo perché non rientrano tra i soggetti passivi. Infine vi sono azioni di responsabilità che non spettano al curatore che restano in capo ai soci/terzi nel caso di danno subito direttamente per effetto del fatto illecito di amministratori, sindaci, liquidatori e direttore generale perché in questi casi, il danno non si è verificato nel patrimonio sociale o patrimonio dei creditori, ma ha riguardato solo e direttamente il patrimonio dei singoli soci/terzi. Un caso particolare è la responsabilità dei liquidatori verso i creditori sociali per le snc, sas e società di capitali infatti dopo la cancellazione della società dal registro delle imprese, i creditori sociali insoddisfatti possono far valere il loro credito verso i soci e liquidatori se il mancato pagamento è dipeso da loro colpa. Se la società successivamente fallisce, tale azione non può essere esercitata dal curatore perché il patrimonio danneggiato non è quello sociale ma è direttamente quello dei creditori per effetto di un’inesatta inosservanza delle regole di liquidazione pertanto i creditori conservano la legittimazione all’azione.

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Nell’ambito dell’azione sociale, l’amministratore deve adempiere le obbligazioni che derivano dalla carica con la diligenza richiesta dalla legge pertanto in caso di inadempimento risponde del danno che deriva alla società e si tratta di una responsabilità contrattuale:1. società di persone gli obblighi dell’amministratore sono ricostruiti in base alle norme sul mandato

pertanto è richiesta la diligenza del buon padre di famiglia tuttavia se non è previsto un compenso, la responsabilità è valutata con minor rigore.

2. società di capitali è richiesta la diligenza qualificata infatti gli amministratori devono adempiere ai doveri loro imposti dalla legge/statuto con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze. Analoghi principi valgono anche per i membri degli organi di controllo.

Secondo il principio generale è prevista la solidarietà passiva degli amministratori, dalla quale il singolo può sottrarsi dimostrando di essere esente da colpa tuttavia nelle società di capitali, l’amministratore deve far annotare il proprio dissenso e nelle spa, in presenza di organi delegati, non vi è solidarietà in merito alle attribuzioni proprie di tali organi. La nuova disciplina ha infatti abolito ogni riferimento a generici obblighi di vigilanza pertanto è venuta meno la culpa in vigilando ma la vigilanza del consiglio sugli organi delegati si traduce in un’attività organizzativa da predisporre ex ante per inquadrare lo svolgimento delle funzioni delegate nell’ambito di un sistema gestionale idoneo a prevenire la mala gestio e a far si che il consiglio riceva tutte le informazioni necessarie per conoscere nel dettaglio l’andamento della gestione ed intervenire per prevenire/attenuare le conseguenze dannose dei malfunzionamenti. Per gli altri soggetti passivi i presupposti per l’azione sociale di responsabilità sono simili a quelli previsti per gli amministratori infatti si ha sempre una responsabilità contrattuale da inadempimento che si basa nell’inosservanza degli obblighi imposti dalla legge/statuto. Un caso particolare è il consiglio di sorveglianza poiché nomina l’organo di gestione infatti sarà responsabile se risulta che i soggetti nominato erano inadeguati a coprire l’incarico tuttavia il tempestivo esercizio del potere di revoca può essere decisivo per escludere tale responsabilità. Analoghe considerazioni in merito alla tempestività si hanno per il consiglio di sorveglianza e il collegio sindacale in riferimento al potere di promuovere l’azione sociale di responsabilità verso l’organo di gestione. Il danno risarcibile è l’intero danno causato dall’inadempimento pertanto è necessario provare l’inadempimento da parte del soggetto passivo, individuare il danno e il nesso causale tra l’uno e l’altro. Secondo la Cassazione, l’amministratore è tenuto a risarcire il danno riconducibile in via immediata e diretta alla sua condotta colposa/dolosa che comprende il sia il danno emergente che il lucro cessante e deve essere in concreto commisurato al pregiudizio che la società non avrebbe subito se un certo comportamento illegittimo non fosse stato posto in essere dall’amministratore. Nell’ambito dell’azione dei creditori sociali i presupposti sono diversi rispetto a quelli dell’azione della società infatti gli organi rispondono per aver violato il loro obbligo di conservazione dell’integrità patrimoniale e solo se il patrimonio risulta insufficiente a soddisfare i creditori. Un atto che è causa di responsabilità verso i creditori sociali è anche causa di responsabilità verso la società ma non è sempre vero il contrario infatti la responsabilità verso i creditori sociali si ha solo in presenza di atti idonei a far diminuire il patrimonio sociale ma non se l’atto ha determinato il mancato aumento del patrimonio. La natura dell’azione è controversa:1. azione surrogatoria rispetto all’azione principale che è l’azione sociale nelle sue forme. Le

conseguenze sono che i benefici dell’azione non possono andare direttamente ai creditori ma alla società (nel fallimento non si pone il problema perché la legittimazione ad esperire entrambe le azioni spetta al curatore) inoltre in merito alle eccezioni opponibili, gli amministratori possono opporre tutte quelle verso la società (ciò non potrebbe accadere se l’azione fosse autonoma).

2. azione autonoma in questo caso non sono opponibili le eccezioni verso la società e i sostenitori di tale tesi si basano sulla differenza di presupposto delle due azioni infatti per l’azione sociale è la violazione dei doveri degli amministratori mentre per quella dei creditori è l’inosservanza degli obblighi di conservazione dell’integrità del patrimonio sociale.

Inoltre, anche la natura della responsabilità è controversa:1. contrattuale in relazione agli obblighi nascenti dal contratto sciale e ai doveri verso i creditori (in

linea con la qualifica di azione surrogatoria). L’azione è impostata come quella per l’azione sociale.

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2. extracontrattuale pertanto l’azione sarebbe autonoma (Cassazione). In merito all’impostazione, è necessario provare la violazione del precetto da parte del soggetto passivo, l’elemento soggettivo della colpa/dolo, il nesso di casualità e il danno.

In passato, il danno risarcibile era quantificato nella differenza tra l’attivo e il passivo del fallimento ma la Cassazione non l’ha ritenuta rispondente all’esigenza di verifica della sussistenza di un nesso causale tra la condotta illecita e il danno. Tuttavia si ricollega il danno risarcibile alla differenza tra attivo e passivo se la società fallita non ha tenuto regolarmente la contabilità o sia stata smarrita. Alcuni casi particolari riguardano la responsabilità degli organi sociali verso la società e i creditori sociali per ritardato accertamento del verificarsi di una causa di scioglimento e l’inosservanza dell’obbligo di gestire la società fino alla nomina dei liquidatori ai fini della conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio. Prima della riforma, il caso più comune era il ritardo nell’accertamento della perdita di capitale con conseguente applicazione del divieto di nuove operazioni mentre la riforma del 2003 ha innovato la materia abolendo tale divieto e prevedendo che gli amministratori devono procedere al tempestivo accertamento del verificarsi della causa e alla gestione della società solo per la conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio. Gli accertamenti devono pertanto essere più accurati rispetto al passato per verificare se il comportamento degli amministratori è conforme alla legge. Nel caso di perdita del capitale sociale, deve essere valutata l’adeguatezza del sistema organizzativo/contabile per verificare la sua affidabilità e se i suoi dati consentissero agli amministratori di accertare tempestivamente la perdita. Inoltre deve essere valutato se da quel momento, le operazioni degli amministratori sono state finalizzate alla conservazione altrimenti rispondono delle eventuali perdite prodotte. L’organo di controllo risponde se nello stesso periodo non ha svolto i rilievi o non si è attivato per impedirne la continuazione dell’attività. Se la società ha costituito patrimoni destinati il curatore può agire vero i componenti degli organi di amministrazione e controllo che hanno violato le regole della separatezza. Nell’ambito della responsabilità da direzione e coordinamento l’azione più rilevante è quella esperibile verso la società/ente che nell’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento di società, ha agito nell’interesse proprio o altrui in violazione dei principi di corretta gestione di tali società, arrecando un danno, non compensato da benefici. Tale azione non rientra nell’art. 146 anche se può essere esercitata, in luogo dei creditori, dal curatore e dal commissario liquidatorio/straordinario qualora sia lesionata l’integrità del patrimonio della società (anche se non determina l’insufficienza dello stesso) e i creditori non siano stati soddisfatti dalla società debitrice. L’azione può essere promossa anche verso i soggetti che hanno preso parte al fatto lesivo e anche verso chi ne ha consapevolmente tratto beneficio seppure nei limiti del vantaggio conseguito (necessario provare la consapevolezza). Infine, la responsabilità dei soci srl deriva dalla decisione di compiere un atto e dall’autorizzazione degli amministratori a compierlo ma solo nel secondo caso sono responsabili anche gli amministratori tuttavia la responsabilità dei scoi deriva dall’intenzionalità di compiere un atto dannoso per il patrimonio sociale e il danno risarcibile comprende sia quello emergente che il lucro cessante che siano conseguenza immediata e diretta della decisione. Nell’ambito dell’art. 146, l’esercizio delle azioni spetta unitariamente al curatore pertanto si ha un’unica azione versi gli amministratori, con carattere unitario e inscindibile, che può basarsi sia sui presupposti della responsabilità verso la società che su quelli della responsabilità verso i creditori sociali. Il parere del comitato dei creditori è preventivo ma non vincolante e il mancato rilascio, secondo la giurisprudenza prevalente, è un’irregolarità sanabile successivamente. La competenza a giudicare tale azione spetta al tribunale ordinario perché le azioni di responsabilità non derivano dal fallimento ma da inadempimenti/fatti illeciti ad esso estranei tuttavia c’è chi sostiene il contrario. Il termine di prescrizione sia per le azioni sociali che per i creditori sociali è di 5 anni tuttavia la prima rimane sospesa fino al momento in cui l’amministratore rimane in carica mentre la seconda decorre dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere che per la corte costituzionale è il giorno in cui è divenuto oggettivamente conoscibile da parte dei creditori sociali il dato di fatto dell’insufficienza del patrimonio della società. In genere tale giorno coincide con l’accertamento dello stato di insolvenza (apertura della procedura) pertanto l’azione dei creditori sociali consente l’esperimento delle azioni di responsabilità altrimenti prescritte sotto il profilo dell’azione sociale e dunque di recuperare somme altrimenti non recuperabili.

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CAPITOLO 9: IL PASSIVO DEL FALLIMENTO

1) Considerazioni generali: il divieto dell’esecuzione individualeLa soddisfazione delle pretese dei creditori concorsuali avviene attraverso l’esecuzione del debitore e la disciplina fallimentare deroga a quella comune:1. diritto comune il debitore non è assoggettato al fallimento e si ha una frammentarietà cioè vi

possono essere una pluralità di procedimenti pendenti anche di fronte a giudici diversi che sono assoggettati ad una pluralità di regole diverse in base al bene oggetto di espropriazione. La tutela del creditore del fallito infatti si attua diversamente in base all’oggetto:a. crediti pecuniari si ha un procedimento di espropriazione:

espropriazione mobiliare è espropriato un bene mobile. espropriazione immobiliare è espropriato un bene immobile. espropriazione presso terzi è espropriato un credito che il debitore vanta verso un terzo.

b. obbligazione di facere o non facere si ha l’esecuzione forzata dell’obbligazione.c. consegna di beni mobili o rilascio di beni immobili si ha l’esecuzione per consegna o rilascio

del bene. In questo caso, anche nel fallimento, tali pretese devono essere soddisfatte integralmente all’interno di esso poiché il bene è di proprietà del terzo e non del fallito (un terzo ha prestato una stanza di pregio al fallito per una festa).

2. diritto fallimentare il debitore è assoggettato al fallimento e si hanno tre principi cardine:a. unica procedura l’attuazione coattiva di tutte le pretese si svolge nel procedimento

fallimentare sotto la direzione degli organi preposti al fallimento infatti è previsto il divieto di azioni esecutive e cautelari individuali (art. 51) secondo cui, dal giorno della dichiarazione di fallimento nessuna azione individuale, anche per crediti maturati durante il fallimento, può essere iniziata o proseguita sui beni compresi nel fallimento pertanto si realizza una paralisi di tali azioni. Le azioni cautelari hanno una funzione anticipatoria perché cercano di evitare che la pretesa, nelle more del giudizio di merito, sia pregiudicata in modo definitivo ed irreparabili ma è stata necessaria, con la previsione espressa dell’assoggettamento di tali azioni al divieto perché prima della riforma vi erano dei dubbi. L’unica eccezione al divieto è l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto (art. 2932) infatti se colui che è obbligato a concludere un contratto non adempie l’obbligazione, l’altra parte, qualora sia possibile e non sia escluso dal titolo, può ottenere una sentenza che produca gli effetti del contratto concluso. Tale azione si svolge fuori dal fallimento e nelle forme dell’ordinario giudizio di cognizione. Le domande dirette ad ottenere l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto sono soggette a trascrizione (art. 2652 n2) e prima della riforma vi era un contrasto sul criterio da utilizzare al fine di stabilire se tale azione poteva essere continuata: criterio classico secondo la regola della pubblicità mobiliare (in caso di conflitto tra più

acquirenti dello stesso bene prevale chi ha trascritto l’atto per primo) pertanto l’azione può essere continuata se la domanda giudiziale è trascritta prima della sentenza di fallimento.

orientamento tradizionale l’azione è paralizzata dalla sentenza di fallimento anche se la domanda giudiziale è trascritta prima della sentenza di fallimento pertanto il curatore ha la facoltà di scioglimento del contratto per sottrarsi alla stipula del contratto definitivo.

Dopo la riforma, è stato ribaltato l’orientamento tradizionale con una sentenza della cassazione a sezioni unite che ha ritenuto applicabile il criterio classico pertanto se la domanda giudiziale è trascritta prima della sentenza dichiarativa di fallimento, prevale la prima e l’azione può essere perseguita. L’ambito di applicazione del divieto comprende sia i creditori concorsuali che i creditori della massa cioè coloro che vantano crediti successivi alla dichiarazione di fallimento discendenti dal compimento di atti di qualunque tipo (atto illecito) da parte del curatore.

Se è stata intrapresa un’azione esecutiva individuale prima della dichiarazione di fallimento, si verifica un’apprensione degli effetti positivi dell’azione all’interno della procedura cioè gli effetti

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vanno a beneficio di tutti i creditori (in assenza del fallimento, questo non si verificherebbe) pertanto l’atto di disposizione compiuto dal fallito dopo il pignoramento è inefficace sia verso il creditore procedente che verso tutti gli altri creditori. Tuttavia colui che ha intrapreso l’azione individuale, aumenta il proprio credito con cui si insinua per un importo pari alle eventuali spese sostenute. La ratio del divieto (relativo e non assoluto) non è la garanzia della par conditio creditorum (potrebbe essere consentita l’azione esecutiva individuale ad un creditore non privilegiato rispettando il grado di collocazione dei crediti) ma l’esigenza di rimettere in via esclusiva agli organi preposti al fallimento ogni decisione sui modi e tempi della liquidazione del patrimonio del debitore perché consente un miglior coordinamento e realizzo infatti l’unico obbligo per gli organi è quello di dar conto della liquidazione nel programma di liquidazione. La parconditio creditorum è tutelata anche in presenza di deroghe al divieto che consentono azioni individuali cioè se l’azione esecutiva è intrapresa un creditore che vanta una causa legittima di prelazione, questi è comunque soddisfatto per primo anche se viene sottratto il bene dall’esecuzione individuale affinché possa essere venduto insieme agli altri realizzando una migliore liquidazione (esempio per assurdo). La ratio delle deroghe è assicurare, a determinate categorie di creditori, il pronto realizzo di beni sui quali vantano diritti di prelazione evitando che la dilazione nei tempi possa pregiudicare tali diritti. L’eventuale facoltà, per i creditori con un diritto di prelazione, di esercitare azioni esecutive individuali, non implica una deviazione dalle regole di collocazione dei crediti nella liquidazione fallimentare infatti tale facoltà attribuisce un privilegio processuale e non sostanziale perché il creditore (ipoteca 2° grado) non ha diritto di trattenere le somme eventualmente ottenute nel procedimento esecutivo individuale quando devono essere soddisfatti crediti che hanno una collocazione privilegiata (ipoteca 1° grado) rispetto alla sua e l’eventuale differenza sarà ripartita. I creditori muniti di pegno/privilegio su mobili (art. 539), hanno la facoltà di esercitare/proseguire azioni esecutive individuali verso il curatore che subentra al fallito ma devono chiedere ed ottenere sia la domanda di ammissione al passivo con riconoscimento del diritto di prelazione che l’autorizzazione del giudice delegato, il quale, sentiti il curatore e il comitato dei creditori può: concedere l’autorizzazione è esercitabile l’azione individuale. negare l’autorizzazione viene precluso l’esercizio dell’azione individuale ma il giudice

delegato deve motivare che quell’azione potrebbe pregiudicare le ragioni della procedura (esercizio provvisorio dell’impresa) inoltre è obbligato o ad autorizzare il curatore a riprendere i beni in possesso del creditore pagando il creditore stesso o ad autorizzare la vendita immediata del bene pertanto si evince la tutela di pronto realizzo dell’interesse del creditore.

Ulteriori deroghe sono previste nel TUB (art. 41) per proteggere gli interessi ad un pronto realizzo dei portatori delle cartelle dei crediti fondiari.

b. monetizzazione tutti i crediti concorsuali devono essere convertiti in termini pecuniari per poter essere assoggettati a regolazione all’interno del fallimento pertanto si avrà la soddisfazione di un credito salvo il caso in cui i terzi hanno diritti di proprietà su beni in possesso del fallito.

c. pretese reali hanno ad oggetto la consegna o il rilascio di beni mobili determinati non appartenenti al fallito e sono un’eccezione al principio della monetizzazione perché tali pretese devono essere soddisfatti per intero altrimenti devono provvedere gli organi del fallimento pertanto si ha una tutela reale e non una tutela obbligatoria.

2) I crediti concorsuali: le regole comuniI principi di regolazione dei crediti si distinguono in base:

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1. crediti non pecuniari non scaduti (art. 59) secondo il principio generale, i crediti senza un valore in termini monetari devono essere quantificati in denaro (monetizzazione) perché devono essere ammessi allo stato passivo in base al loro valore.

2. crediti pecuniari (art. 55) si hanno diversi principi:a. scadenza anticipata (c2) tutti i crediti pecuniari scadenti dopo la dichiarazione di fallimento

si considerano scaduti, agli effetti del concorso, alla data della sentenza di fallimento. Tale norma deriva da un principio generale dell’ordinamento secondo cui anche se il termine è stabilito a favore del debitore, il creditore può esigere immediatamente la prestazione se il debitore è diventato insolvente o ha diminuito, per fatto proprio, le garanzie che aveva dato o non ha dato le garanzie che aveva promesso (art. 1186).

b. crediti condizionali (c3) oltre ai crediti scaduti, compresi quelli soggetti a scadenza anticipata, sono ammessi al concorso anche i crediti condizionali cioè quelli la cui riscossione è subordinata al verificarsi di una certe condizione. Inoltre sono equiparati ai crediti condizionali anche i crediti subordinati alla previa escussione del debitore/obbligato principale (fideiussione: il soggetto garantito è obbligato ad escutere prima il debitore principale e poi il fideiussore). Tuttavia per tali crediti si ha l’ammissione con riserva cioè la loro ammissione definitiva è subordinata al verificare della condizione o all’escussione dell’obbligato principale. L’ammissione con riserva ha delle conseguenze perché prima della ripartizione finale dell’attivo possono esserci delle ripartizioni parziali e tali creditori non hanno diritto a partecipare alle ripartizioni parziali tuttavia le somme spettanti a questi soggetti sono accantonate in via cautelare.

c. sospensione interessi sui crediti chirografari (c1) la sospensione si verifica, agli effetti del concorso, dalla sentenza dichiarativa di fallimento pertanto il credito si cristallizza nel suo ammontare. In merito ai crediti garantiti da ipoteca, pegno o privilegio invece continuano a decorrere gli interessi anche agli effetti del concorso.

d. rivalutazione (art. 59) è esclusa infatti i crediti non scaduti, aventi ad oggetto una prestazione in denaro determinata con riferimento ad altri valori o aventi per oggetto una prestazione diversa dal denaro, concorrono secondo il loro valore alla data della dichiarazione di fallimento.

La compensazione è una deroga alle regole concorsuali perché consente di soddisfare il creditore fuori dal concorso opponendo il suo debito a compensazione. In generale la compensazione può essere:1. legale (art. 1241) opera in presenza di tre presupposti cioè omogeneità, liquidità ed esigibilità dei

crediti pertanto se due persone sono obbligate una verso l’altra, i due debiti di estinguono per le quantità corrispondenti.

2. volontaria (art. 1252) opera per volontà delle parti anche se non ricorrono i tre presupposti.3. giudiziale (art. 1243 c2) opera per disposizione del giudice quando manca il presupposto della

liquidità infatti se il debito opposto in compensazione non è liquido ma è di facile e pronta liquidazione, il giudice può dichiarare la compensazione per la parte del debito che riconosce esistente.

Nella disciplina fallimentare, in conseguenza del principio della scadenza anticipata, la compensazione è ammessa anche in assenza del requisito dell’esigibilità (art. 56) infatti i creditori hanno diritto di compensare con il loro debiti verso il fallito, i crediti che essi vantano verso lo stesso, anche non scaduti prima della dichiarazione di fallimento. Tuttavia tale esigibilità riguarda il credito verso il fallito mentre per i crediti che vanta il fallito, sorgono dei dubbi:1. primo orientamento ritiene che la deroga al requisito dell’esigibilità è valida solo per i crediti

verso il fallito mentre i crediti del fallito devono essere scaduti (reciprocità) affinché possano essere compensati altrimenti devono essere fatti valere pertanto non si può avere la compensazione dei crediti verso il fallito quando il credito del fallito non è scaduto. Si preferisce questa impostazione.

2. secondo orientamento ritiene che la deroga al requisito dell’esigibilità è valida sia per i crediti verso il fallito che per i crediti del fallito perché l’unico profilo rilevante è l’anteriorità al fallimento del rapporto debito/credito reciproco. Tuttavia a tale impostazione si oppone la norma secondo cui,

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per i crediti non scaduti, la compensazione non ha luogo se il creditore ha acquistato il credito per atto tra vivi dopo la dichiarazione di fallimento o nell’anno anteriore (art. 56 c2). Ad esempio, A è il debitore del fallito e acquistato un credito nell’anno anteriore per atto tra vivi diventando anche creditore. La ratio del diniego considera pertanto il fatto che l’acquisto possa essere dolosamente preordinato lesionando le regioni dei creditori poiché questo soggetto beneficia di un trattamento di favore.

Ai fini dell’ammissibilità al concorso, non è necessario che l’accertamento del credito sia anteriore al fallimento pertanto l’esistenza del credito può essere successiva alla dichiarazione di fallimento (crediti condizionali) ma è necessario che la causa del debito del fallito sia anteriore alla sentenza dichiarativa del fallimento.

3) I crediti non concorsualiI crediti non concorsuali cioè esclusi dal concorso sono:1. crediti successivi sono quelli sorti da atti successivi alla dichiarazione di fallimento.2. crediti anteriori se risultano da un atto privo di data certa anteriore alla sentenza di fallimento

pertanto tali crediti sono inopponibili al fallimento (art. 2704).3. crediti anteriori maturati dopo il fallimento non c’è una contraddizione rispetto ai crediti

condizionali perché si fa riferimento, ad esempio, ai crediti relativi agli interessi che maturano dopo la sentenza dichiarativa di fallimento.

4. debiti della massa sono sorti da atti successivi alla dichiarazione di fallimento ma hanno una posizione di favore perché sono prededucibili cioè devono essere soddisfatti con precedenza rispetto a tutti i debiti anteriori che siano stati ammessi al concorso. Si tratta di debiti derivanti da atti compiuti dal curatore a prescindere dal fatto che siano leciti o illeciti.

4) Il procedimento di accertamento dello stato passivoIl procedimento di accertamento dello stato passivo e dei diritti reali/personali dei terzi è svolto sotto il controllo dei creditori ed ha una duplice funzione di verifica il diritto a:1. attuazione coattiva delle pretese dei creditori per i crediti pecuniari si realizza con la

partecipazione alla ripartizione del ricavato dalla liquidazione dell’attivo. Tale funzione comprende anche il diritto dei terzi alla consegna dei beni mobili o rilascio dei beni immobili.

2. esclusione dal patrimonio fallimentare di beni mobili/immobili di cui il fallito non è titolare.Tale fase può non verificarsi se fin dall’inizio, vi è una previsione di insufficiente realizzo dell’attivo (art. 102) infatti il tribunale, con decreto motivato da adottarsi prima dell’udienza, dispone non farsi luogo al procedimento di accertamento del passivo se risulta che non può essere acquisito attivo da distribuire ad alcuno dei creditori che hanno chiesto l’ammissione al passivo, salva la soddisfazione dei crediti prededucibili e delle spese di procedura. Per procedere all’accertamento del passivo è previsto l’onere di presentazione della domanda di ammissione entro 30 giorni dalla data fissata per l’udienza di verifica, in capo a coloro che vantano diritti pecuniari, reali o personali verso la procedura. Il creditore viene a conoscenza del fallimento del debitore tramite il meccanismo dell’iscrizione della sentenza nel registro delle imprese tuttavia è stato previsto un meccanismo integrativo (art. 92) in base al quale, il curatore ha l’onere di comunicare (tramite posta, fax o altri mezzi) a tutti i creditori che risultano dalle scritture contabili:1. che possono partecipare al concorso depositando in cancelleria la domanda2. data fissata per l’esame dello stato passivo e quella entro cui vanno presentate le domande 3. ogni utile informazione per agevolare la presentazione della domandaDopo tale sottofase di avviso si ha la sottofase della verificazione cioè un procedimento contenzioso a carattere sommario volto alla verifica, per ciascun credito, di tre presupposti: esistenza, ammontare e diritti di prelazione.

L’accertamento avviene nel pieno del contradditorio ed è incidentem tantum perché ha un’efficacia limitata alla procedura endo – fallimentare cioè l’accertamento dell’esistenza e dell’ammontare è valida solo ai fini della procedura essendo un giudizio di cognizione sommaria pertanto il creditore, al termine

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del fallimento, può instaurare un altro giudizio per avere una cognizione piena (in un giudizio ordinario, l’accertamento sarebbe più approfondito). In tale fase si possono avere delle ipotesi di conflitto sia tra il curatore e i creditori che tra i singoli creditori perché in generale l’ammissione di un credito (anche con prelazione) provoca conseguenze sull’ammontare del passivo e quindi sulla possibilità di soddisfacimento degli altri creditori. Prima della riforma il giudice delegato aveva la possibilità di rilevare d’ufficio l’esistenza di eventuali fatti modificativi, estintivi e impeditivi del credito cioè poteva eccepire i fatti che incidevano sull’esistenza e sull’ammontare del credito (credito sottoposto a condizione risolutiva). Tale norma però ledeva il principio di terzietà ed imparzialità del giudice perché questi difendeva le ragioni del curatore e della massa pertanto con la riforma, la facoltà di eccepire tali fatti è stata attribuita al curatore che esamina le domande e predispone elenchi separati dei creditori e dei titolari di diritti su beni mobili ed immobili di proprietà o in possesso del fallito, rassegnando per ciascuno le sue motivate conclusioni (art. 95). L’obiettivo dell’accertamento del passivo è regolare il diritto dei singoli creditori alla partecipazione al riparto che si traduce nell’obiettivo di risolvere eventuali conflitti. L’anteriorità del credito deve risultare da un atto con data certa anteriore (art. 2704) tra cui la sentenza di decreto ingiuntivo passata in giudicato tuttavia anche in questo caso, il giudice deve effettuare il controllo. Il credito potrebbe risultare anche da una sentenza non passata in giudicato ma il credito va comunque ammesso tuttavia il curatore ha la possibilità di impugnare la sentenza considerando che non è passata in giudicato. Il curatore sulla base di queste conclusioni deve depositare in cancelleria il progetto di stato passivo nei 15 giorni prima dell’udienza affinchè i creditori possano presentare eventuali osservazioni scritti o documenti integrativi fino al giorno dell’udienza di verifica in cui, il giudice delegato, decide sull’ammissione delle singole domande con:1. decreto di inammissibilità (art. 93 c4) la domanda è improcedibile perché manca il requisito

dell’esistenza/ammontare (se manca il diritto di prelazione, il credito è considerato chirografario) tuttavia il creditore può ripresentare la domanda, colmando le lacune, anche dopo il termine.

2. decreto di ammissibilità l’ammissione può essere piena se è riconosciuta la totalità del credito e la pienezza del diritto di prelazione oppure può essere parziale con o senza il riconoscimento del diritto di prelazione. La decisione sull’ammissione è definitiva solo dopo la scadenza del termine entro cui gli altri creditori e il curatore possono fare opposizione.

3. decreto di ammissibilità con riserva si hanno tre casi (art. 96):a. crediti condizionali (art. 55 c3) b. crediti la cui mancata ammissione discende da un fatto non riferibile al creditore i creditori

non possono dimostrare il loro credito per mancanza di un documento non imputabile al creditore.

c. crediti accertati con sentenza non passata in giudicato non sono definitivi perché la sentenza può essere impugnata

Il giudice delegato forma quindi lo stato passivo individuando i creditori, l’ammontare e la natura del credito inoltre emana il decreto di esecutività depositato in cancelleria entro un certo termine dalla data di verifica (per accelerare i tempi della procedura). Tale decreto, che accerta il diritto di ciascun creditore di partecipare al riparto, ha valore di provvedimento giurisdizionale contenzioso pertanto può essere proposta opposizione, impugnazione dei crediti ammessi o revocazione (art. 98):1. impugnazione ordinaria l’opposizione contro il provvedimento di mancato accoglimento è

proponibile dal creditore, dal titolari di diritti e dal curatore che è considerato parte pertanto si è rafforzata la terzietà del giudice e si sono incrementati i poteri del curatore (c3).

2. impugnazione straordinaria la revocazione è ammessa solo per motivi gravissimi come il dolo, falsità dei documenti o mancata conoscenza di elementi decisivi che avrebbero potuto escludere quel credito.

Le domande tardive sono quelle presentate dopo il termine di 30 giorni ma entro il termine massimo (12/18 mesi) stabilito dal decreto di esecutività. In merito agli effetti si distingue in base alla tipologia dei credito:1. creditori chirografari se il ritardo è imputabile ai creditori, questi partecipano solo alle ripartizioni

posteriori alla loro ammissione pertanto se erano già state distribuite delle somme, non hanno 78

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diritto alla ripartizione di queste tuttavia se il ritardo non è imputabile ai creditori, questi partecipazione anche alle ripartizioni anteriori.

2. creditori privilegiati i creditori con diritti di prelazione devono essere soddisfatti in ogni caso integralmente.

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CAPITOLO 5: LE SOLUZIONI CONCORDATARIE

1) Profili generaliLa nuova legge fallimentare favorisce l’autonomia privata nella regolamentazione delle crisi d’impresa prevedendo come soluzioni alternative al fallimento:1. concordato preventivo mira a prevenire il fallimento.2. concordato fallimentare mira a provocare la cessazione anticipata del fallimento e a rimuoverne

gli effetti.Entrambe le alternative possono prevalere sulla liquidazione fallimentare e sono sottoposte ad:1. controllo di merito occorre il favore della maggioranza dei creditori che valuta la convenienza. 2. controllo di legalità svolto dall’autorità giudiziaria in sede di omologazione.

I concordati introducono un’auto disciplina dei rapporti con i creditori concorsuali che si traduce in modifiche dei loro diritti e si tratta di procedure giudiziali in cui l’efficacia della soluzione dipende dall’osservanza sia di regole formali/procedurali a garanzia della trasparenza e corretta informazione dei creditori che di criteri sostanziali per il trattamento degli stessi. Sulla proposta e sul procedimento, l’autorità giudiziaria sorveglia ed esprime, in sede di omologazione, un giudizio di conformità alla legge. I concordati giudiziali si differenziano dalle soluzioni stragiudiziali che non hanno il carattere della concorsualità pertanto possono coinvolgere solo una parte del ceto creditorio, non offrono protezione rispetto ad azioni esecutive

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