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MANIFESTO SUL LAVORO IDEE E PROGETTI PER COSTRUIRE IL FUTURO Partito Democratico di Bergamo A CURA DEL TAVOLO LAVORO E IMPRESA DEL PARTITO DEMOCRATICO DI BERGAMO

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MANIFESTO SUL LAVORO

IDEE E PROGETTI PER COSTRUIRE IL FUTURO

Partito Democratico di BergamoA CURA DEL TAVOLO LAVORO E IMPRESA DEL PARTITO DEMOCRATICO DI BERGAMO

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INTRODUZIONE.....................................................................................................................1

L’INDUSTRIA 4.0....................................................................................................................2

IL LAVORO............................................................................................................................. 3

LAVORO E TERRITORIO.......................................................................................................4

POLITICHE ATTIVE DEL LAVORO ………………………………………………………………6

LAVORO, WELFARE E FAMIGLIA ……………………………………………………………….7

CHE FARE.............................................................................................................................. 8

NOTE...................................................................................................................................... 9

Sommario

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Introduzione È noto a tutti che, non solo in Italia, ma anche e soprattutto a livello internazionale, è in atto un processo sempre più accentuato di concentrazione della ricchezza prodotta nella disponibilità di settori sempre più ristretti di popolazione. In tutti i paesi ad elevato sviluppo la distribuzione della ricchezza si polarizza accentuando le distanze fra una quota minore di popolazione, che vede crescere in modo significativo il proprio reddito, ed una maggioranza, che perde potere di acquisto e reddito disponibile. In questo quadro non necessariamente la crescita del P.I.L. di un Paese si traduce in un aumento del benessere e della qualità della vita per la popolazione in generale. Va quindi particolarmente apprezzata la decisione di inserire, negli strumenti di valutazione socio economico di un Paese, gli indicatori della qualità della vita, del benessere e della distribuzione della ricchezza. In questa situazione di disuguaglianza sociale accentuata e crescente, sono ormai evidenti la crescita e la diffusione della povertà. Come attestato e più volte ribadito dalla Caritas Nazionale e dall’ISTAT, in Italia settori sempre più ampi di popolazione, soprattutto giovanile, stanno finendo sotto la soglia di povertà, con grave rischio, in prospettiva, per la stessa tenuta democratica del Paese.Per valutare con oggettività i problemi del mondo del lavoro, occorre inoltre tener conto delle spinte innescate dalle trasformazioni in atto su più fronti: - nel mondo lavoro, attraversato da una crescente flessibilizzazione, precarizzazione e partecipazione delle donne; - nell’economia, che, superato l’assetto industriale fordista, si trasforma sempre più in una economia dei servizi, centrata sul sapere e sulle tecnologie dell’informazione; - nella struttura demografica, che registra un progressivo invecchiamento della popolazione; - nelle strategie e nei modelli familiari, che vanno incontro a fenomeni di diversificazione, pluralizzazione, fragilizzazione; - nel rapporto tra individuo e società, all’insegna di un processo di individualizzazione sempre più marcato, correlato a esigenze di autorealizzazione ma anche a sentimenti di vulnerabilità e incertezza. In risposta alle trasformazioni appena tratteggiate, in tutta Europa, utilizzando gli strumenti del lavoro e della formazione, si tende a ridisegnare il sistema di welfare verso forme tese a stimolare la promozione sociale dei cittadini, la loro responsabilità ed il loro empowerment, ossia la loro capacità di fronteggiare le situazioni con consapevolezza ed efficacia, di accrescere le proprie conoscenze e le proprie competenze personali e di far leva sulle proprie risorse.

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L’industria 4.0 La “Quarta Rivoluzione Industriale”, detta 4.0, già in atto, è il punto più evidente delle trasformazioni che la globalizzazione e la diffusione delle tecnologie digitali hanno tracciato, accompagnando le economie e le società oltre la recente crisi; il processo di cambiamento che si è avviato è strutturale, non ha caratteristiche temporanee e si configura come una radicale trasformazione della nostra struttura produttiva, che deve trovare nella ricerca, nella innovazione e nella crescita del capitale umano le leve per accompagnare in modo attivo questo cambiamento. Il mondo cresce puntando sulla economia della conoscenza e investe sulla cultura e sulla difesa dell'ambiente come motori di un vero sviluppo compatibile. Industria 4.0 comporterà nel breve-medio periodo, profonde trasformazioni anche per i lavoratori, a causa della nuova ondata di diffusione della robotica, dell’intelligenza artificiale ed in generale delle soluzioni digitali che interesserà in particolare le industrie manifatturiere. L’adozione delle nuove tecnologie aumenterà la competitività dei produttori, attraverso un aumento della loro capacità produttiva. Ciò richiederà una più alta intensità di capitale, con un restringimento dei vantaggi ad investire nei Paesi a basso costo del lavoro e, quindi, con la probabilità che produzioni in precedenza delocalizzate vengano riportate in U.E. e U.S.A. Esiste così la concreta possibilità per l’Italia di un recupero di competitività del suo sistema industriale, che si è ridotta di ben 20 punti percentuali rispetto alla Germania negli ultimi 20 anni. L’industria 4.0 modifica profondamente anche il modello del rapporto fra le politiche industriali ed il processo di sviluppo: pensando al ruolo dei territori ed al loro rapporto con le reti, le nuove politiche industriali puntano, infatti, ad un modello che crei sul territorio nazionale degli HUB con competenze specifiche, verso i quali le imprese verranno indirizzate; ma non più, come ora, all’HUB più vicino territorialmente, ma a quello più competente. Questo approccio abbandona la logica del distretto, per passare a quella del “cluster”, che ha una radice nel distretto, ma con legami orizzontali e verticali, a monte e a valle, molto più estesi. Appare quindi ancor più evidente come le condizioni per interpretare in modo attivo le scommesse del cambiamento siano: competenze (digitali di base, linguistiche, soft skills, matematiche e computazionali), gestione dei processi di

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mobilità e infrastrutture. Il territorio è una importante risorsa, in quanto è un retroterra che facilita i processi di interazione e la costruzione sia di saperi (saper fare) sia di senso, ma solo superando il localismo ed il provincialismo tipici degli anni bui leghisti, che sono una caricatura di una dimensione territoriale moderna. Stato e Regioni devono rafforzare gli investimenti in ricerca di base (ricerca libera), condizione per essere protagonisti del progresso tecnologico. Dobbiamo andare oltre gli schemi tradizionali ed investire nei nostri dipartimenti universitari, negli enti pubblici di ricerca e nelle scuole professionali e dare attuazione ad un vero affiancamento di ricerca e didattica, dentro lo sviluppo di un rapporto costante fra scuola e lavoro. Tuttavia, non si deve sottovalutare il fatto che nella percezione della maggioranza degli Italiani ci sarà un “processo di cambiamento vissuto con paura ed apprensione”, in un quadro con “tinte fosche”, con la perdita di posti di lavoro e con una accresciuta disuguaglianza sociale, che viene considerata fin da ora come insostenibile.

Il lavoro La Rivoluzione 4.0 comporterà modifiche che interessano la natura e l’organizzazione del lavoro. L’impatto occupazionale sarà influenzato anche dalla capacità dei diversi territori di offrire forza lavoro pronta alle nuove sfide ed esigenze.La progressiva diffusione della robotica, infatti, modificherà i compiti di molti lavoratori, la richiesta di impiegati a bassa qualificazione sarà ridotta e tecnici adeguatamente formati avranno la possibilità di controllare i macchinari (e anche di risolvere molti problemi) da remoto. Pertanto, anche il modo di rendere la prestazione dei dipendenti nelle fabbriche diventerà più flessibile e un maggior numero di persone potrà beneficiare della possibilità di lavorare, sia pure in parte, dalla propria abitazione. Allo stesso tempo, i lavoratori più qualificati e dotati di un’alta capacità di ricerca e sviluppo di nuove tecnologie e di nuovi brevetti potranno incrementare la propria centralità. Da altro punto di vista, i nuovi strumenti offerti dal settore 4.0 – come ad esempio la possibilità di interagire in tempo reale con i consumatori, monitorando i loro gusti e

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preferenze – spingeranno le imprese a ridurre lo spazio per i prodotti standardizzati e ad aumentare gli sforzi verso produzioni su misura. Di conseguenza, in molte fabbriche si sperimenterà la produzione continua, per essere in grado di reagire in tempi brevi alle nuove esigenze del mercato. A sua volta, questa innovazione comporterà una modifica della attuale organizzazione del tempo di lavoro, che non potrà limitarsi alle realtà produttive, ma investirà sempre più anche i servizi e la Pubblica Amministrazione.Nel Lavoro 4.0, quindi, i dipendenti, per essere competitivi, dovranno essere altamente qualificati e ben formati e, al contempo, soddisfare le richieste di flessibilità riguardo al tempo ed al luogo di svolgimento della propria attività lavorativa.

Lavoro e territorioLe specificità territoriali che hanno originato i distretti industriali, basati su bacini ristretti di sapere e competenze, riguardanti intere filiere di produzione, non trovano oggi spazio in una economia globalizzata.Infatti le filiere di produzione si sono oggi scomposte in singoli processi, il cui valore è determinato dal livello di redditività e non più dalla sua integrazione, a monte o a valle, nella filiera; questo comporta che aree tradizionalmente vocate a specifiche lavorazioni corrano il rischio di vedersi impoverire o addirittura di perdere in pochi anni il patrimonio di competenze e di capitale umano costruito nel corso di decenni.Solo i territori che si sapranno adeguare in tempi rapidi, con servizi adeguati e con strutture idonee, alle nuove sfide della Rivoluzione 4.0 possono pensare di mantenere un alto livello di competitività, contrastando così un declino oggi evidente, ma non per questo inesorabile.Occorre quindi che il “territorio” sappia sviluppare una vera e propria azione di sistema, in cui le politiche del lavoro, della formazione e dello sviluppo abbiano un progetto comune: tutti gli attori istituzionali, economici e culturali devono cioè superare gli ostacoli

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tradizionali, per compiere un’importante azione di progettazione partecipata a favore del territorio. Compito principale delle istituzioni è proprio quello di agire in una logica di “governance” in cui ciascun soggetto veda valorizzato il proprio ruolo e la propria partecipazione, anche attraverso formalizzazioni quali “protocolli di intesa” o veri e propri “patti territoriali”.I nostri territori sembrano già possedere e conoscere alcune delle principali caratteristiche che il processo di riorganizzazione dei servizi e delle relative strutture, ad essi preposte, oggi impone, e che sono facilmente riassumibili in tre parole: multidisciplinarietà, concorrenza, governance. Bisogna saper coniugare in un unico progetto questi tre principi, per traghettare il nostro territorio verso un nuovo sistema organizzato di politica pubblica nell’ambito della gestione dei servizi senza disperdere le competenze e le esperienze maturate nel corso degli anni.È compito della funzione pubblica tutelare sia le esigenze del pubblico sia gli interessi del privato mediante una governance in grado di garantire un sistema concorrenziale tra gli attori del territorio e mediante sinergie che rendano sostenibile il sistema stesso. In questo contesto, l’affermazione della responsabilità sociale delle imprese, che assumono di propria iniziativa impegni che vanno al di là delle esigenze regolamentari e convenzionali cui devono comunque conformarsi, può portare a valorizzare le norme, prassi ed esperienze collegate allo sviluppo sociale, alla tutela dell’ambiente e al rispetto dei diritti fondamentali, adottando un sistema di governo aperto, in grado di conciliare gli interessi delle varie parti interessate nell’ambito di un approccio globale della qualità e dello sviluppo sostenibile. Un ruolo chiave hanno naturalmente le imprese ma anche i portatori di interesse (sindacati, lavoratori, consumatori, organizzazioni di terzo settore, società civile), che attraverso un coinvolgimento attivo e la compartecipazione (cd. approccio multistakeholder), possono favorire i processi in atto.Sotto altro profilo la sostenibilità implica per il nostro territorio un’analisi del sistema formativo e della sua connessione con le esigenze del concreto ed effettivo sistema produttivo bergamasco, nella sua attuale configurazione e nei suoi auspicabili sviluppi futuri. Peraltro, in un contesto di rapida e continua evoluzione tecnologica, diventerà fondamentale per i lavoratori acquisire un vero e proprio diritto alla formazione continua, che potrà essere “scambiata”, anche attraverso la contrattazione collettiva, con una maggiore flessibilità nel momento e nel luogo di lavoro.

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Politiche attive del lavoroDopo la lunga crisi economica del 2008, le politiche attive per il lavoro sono state riconfermate come strategia di intervento da parte delle istituzioni europee nell’ambito di specifici pacchetti di politiche rivolte ad arginare l’esplosione della disoccupazione e dell’inattività. L’investimento in tali misure è stato pensato come un impegno “di lungo periodo” per il cambiamento strutturale delle condizioni di rischio dei soggetti che si sono mostrati più vulnerabili alla crisi. Superando l’ottica di un’assistenza di tipo solamente passivo, l’approccio del welfare attivo mira a sostenere la persona nello sviluppo di capacità di auto-protezione e responsabilizzazione rispetto alla variegata gamma dei rischi sociali, passando dalle azioni di sostegno al reddito a quelle di promozione del soggetto per consentire a chi è escluso dal mercato del lavoro di rientrarvi, considerando quindi il lavoro come principale ambito di integrazione sociale.La promozione della buona occupazione si realizzano anzitutto attraverso la rimotivazionee la riqualificazione delle persone che sono senza un impiego, favorendo il passaggio dall’assistenza (welfare) al lavoro (work) anche grazie ad incentivi per determinati target di lavoratori, a una indennità garantita solo a fronte di un impegno nella ricerca attiva di un impiego, alla partecipazione ad azioni di orientamento (counselling) e soprattutto di formazione (lifelong learning) per migliorare l’occupabilità (employability) dei soggetti in difficoltà, sino all’accettazione di una occupazione “adeguata” alle caratteristiche della persona che la cerca, tale da costituire un trampolino di lancio verso il reingresso stabile nel mondo del lavoro. Tale modello di Stato sociale si incentra quindi su un riallineamento tra lavoro e welfare, volto alla ridefinizione del rapporto tra occupazione e protezione sociale, di cui sono pilastri fondativi da un lato i principi dell’occupabilità, della formazione permanente, dell’inserimento lavorativo, dell’impiego sussidiato, dall’altro lato quelli dell’attivazione e della responsabilità individuale, che solo in questo modo possono continuare a intessere legami di solidarietà collettiva. L’ambizione è quella di spostare l’accento da un approccio “correttivo” basato sui trasferimenti monetari e sociali, ad uno più “attivo” basato sull’investimento e mirato a massimizzare il potenziale degli individui perché possano diventare membri autosufficienti e autonomi della società.

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Lavoro, welfare e famigliaOccorrono rinnovate politiche di coesione e di inclusione sociale, compreso un arricchito modello di welfare in grado di sostenere le famiglie – che a volte non trovano nella rete dei servizi una risposta adeguata – attraverso l’introduzione di un pilastro aggiuntivo alle politiche già attive, che abbia come specifico riferimento le situazioni di vulnerabilità economica e sociale e le nuove forme di povertà. Per evitare che fasce crescenti di popolazione scivolino in condizioni di povertà è necessario fornire interventi:- tempestivi (in modo da essere efficaci rispondendo al bisogno quando insorge), - temporanei (definiti in relazione allo specifico bisogno e agli obiettivi del progetto individualizzato), - volti a facilitare la corresponsabilità (per attivare, in un’ottica di responsabilità e fiducia, le risorse personali e comunitarie, costruendo così un reale percorso di uscita dalla condizione di bisogno),- basati sulla definizione di un progetti personalizzati attraverso l’uso delle misure più adeguate ai singoli casi. Il nuovo modello deve svilupparsi, da un lato, sul fronte dell’innovazione sociale, intesa come generazione di nuove idee di prodotti, servizi e modelli, che rispondano ai bisogni sociali in modo più efficace rispetto alle alternative esistenti e, allo stesso tempo, creino nuove relazioni sociali e collaborazioni; dall’altro, sul passaggio grazie alla spinta dei corpi intermedi- dal government a modelli di governance, che, ispirandosi ai principi di partecipazione e reciprocità delle e nelle relazioni tra soggetti tradizionalmente abituati a operare individualmente, siano in grado di coordinare la molteplicità dei fattori in gioco e delle variabili che incidono sulla tenuta stessa del sistema. Il nuovo welfare sociale deve integrarsi con la rete dei servizi e interventi sociali standardizzati con precisi requisiti, quale strumento per la promozione della capacità delle famiglie e delle persone di diventare protagoniste della propria autonomia e responsabilizzazione e di sviluppare le proprie risorse a tutti i livelli grazie a opportunità reali di inclusione sociale.

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Non è da sottovalutare l’evoluzione che, di riflesso all’ambito familiare, ha investito anche quello lavorativo in cui si stanno realizzando profondi mutamenti per quanto concerne gli attori coinvolti e i modelli di riferimento: se l’ingresso delle donne in settori e ruoli tradizionalmente di dominio maschile (ruoli dirigenziali e imprenditoriali) ha comportato sicuramente uno sconvolgimento nelle dinamiche relazionali (di potere e organizzative all’interno delle realtà aziendali), occorre allo stesso tempo mettere in luce l’affermarsi di un nuovo modello organizzativo, basato sulla flessibilità, l’instabilità, la precarietà, la mobilità lavorativa, l’emergere di una “de-standardizzazione” del lavoro stesso e, conseguentemente, dei profili professionali richiesti.In questo contesto il tema della conciliazione tra famiglia e lavoro è stato assunto come sfida sociale che interpella una pluralità di attori, valorizzando il contributo delle istituzioni pubbliche e delle aziende nel processo di ricomposizione dei tempi di vita. Per perseguire tale obiettivo le politiche per la famiglia devono essere progettate ed erogate come politiche d’investimento sociale, cioè come fondamentali fattori produttivi di uno sviluppo sociale inclusivo e sostenibile al cui centro sta la famiglia. Le politiche per la famiglia, perciò, non sono costi, bensì investimenti sul sistema Paese da strutturare entro un quadro strategico coerente e integrato.

Che fare1. È importante e necessario che la Politica, soprattutto in Italia, ma anche in Europa e nel

mondo, riprenda in mano le redini dell’economia e della finanza, dettando e facendo rispettare regole e promuovendo orientamenti, affinché i capitali vengano investiti nella produzione e nel lavoro e non solo nella finanza. A livello territoriale si deve potenziare la capacità attrattiva del territorio anche sviluppando il ruolo di soggetti che abbiano la funzione di attirare/promuovere investimenti, capaci di aumentare il senso stesso di appartenenza, generare innovatività e opportunità di ricerca e accrescere la competitività.

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2. Di fronte alle nuove modalità di produzione e di lavoro, l’organizzazione gerarchica interna tipica del “taylorismo” e la contrapposizione (se non il conflitto) tra datori di lavoro e dipendenti dovranno necessariamente lasciare lo spazio – per assicurare competitività ed efficienza al sistema produttivo, con i conseguenti positivi riflessi sull’occupazione – ad un rapporto tra lavoratori e impresa maggiormente cooperativo e collaborativo, anche attraverso forme di partecipazione dei lavoratori mediate dalle organizzazioni sindacali a livello aziendale.

3. Amministrazioni pubbliche, organizzazioni sindacali e organizzazioni datoriali dovranno condividere e pianificare programmi di crescita che mettano al centro il fattore umano nell’evoluzione delle tecnologie, per avviare un processo di sviluppo che migliori la qualità del lavoro umano, la sua efficienza e la sua sicurezza soprattutto, e che non ne provochi la distruzione.

4. Proporre piani formativi su base territoriale finalizzati ad una forte campagna di diffusione di competenze di base indispensabili, sostenere e qualificare i programmi di “alternanza scuola-lavoro” senza lasciarli disperdere in variegate iniziative locali, spontanee ed individuali. Costituire, mediante l’intervento attivo delle istituzioni regionali e provinciali, un reale coordinamento per la costruzione di piani formativi aziendali volti all'apprendimento permanente, valorizzando le esperienze già presenti sul territorio.

5. Affrontare attivamente i processi inevitabili di mobilità con politiche e servizi in grado di accompagnare le persone nelle fasi di transizione.

6. Modificare, espandendola, la composizione dell’attuale forza lavoro, incoraggiando i lavoratori a prolungare la vita lavorativa e riducendo il numero di persone in età lavorativa che beneficiano di prestazioni di sicurezza sociale.

7. Rafforzare il gender mainstreaming, in modo tale da raggiungere una partecipazione più equilibrata di donne e uomini in tutti i settori e le occupazioni.

8. Fare proposte a tutti i livelli territoriali per coinvolgere imprenditori e lavoratori e organizzare nuovi modelli di welfare territoriali anche al fine di favorire la conciliazione fra vita e lavoro nella prospettiva di una maggiore partecipazione alla vita lavorativa

Il Partito Democratico deve farsi carico di questa sfida sociale, politica e culturale insieme.

Note

Dopo un percorso di ascolto e confronto sul territorio, il presente documento del Tavolo Lavoro e Impresa del Partito Democratico, in collaborazione con il settore Lavoro della Federazione provinciale del Partito Democratico, è stato approvato all’unanimità. Il MANIFESTO SUL LAVORO DEL PARTITO DEMOCRATICO DI BERGAMO, dopo essere stato fatto proprio dalla Segreteria Provinciale ed approvato dall’Assemblea provinciale, si auspica diventi linea politica ufficiale ed impegnativa di indirizzo del Partito Democratico

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provinciale. I componenti del Tavolo auspicano che tale documento venga inviato alle segreterie regionale e nazionale come espressione degli indirizzi di politica del lavoro del territorio bergamasco.

Bergamo 8 Ottobre 2019