Manifattura decisiva per tornare a crescere - ilsole24ore.com · Il Sole 24 Ore 7 Venerdì 6 Marzo...

1
Il sistema manifatturiero tra ritardi e criticità Il confronto tra l’Italia e i principali Paesi competitori europei e il grafico del Centro Europa Ricerche sul rischio deflazione Produzione potenziale pro capite. Milioni di euro in prezzi 2010 per 1.000 abitanti LA MANIFATTURA INDICE DI RISCHIO DEFLAZIONE DELL’ECONOMIA ITALIANA 5 1,0 20 15 10 25 Q1 Q4 Q3 Q2 Q1 Q4 Q3 Q2 Q1 Q4 Q3 Q2 Q1 Q4 Q3 Q2 Q1 Q4 Q3 Q2 2000 ‘01 ‘02 ‘03 ‘04 ‘05 ‘06 ‘08 ‘09 ‘07 ‘10 ‘11 ‘12 ‘13 ‘14 0,9 0,8 0,7 0,6 0,5 0,4 0,3 0,2 0,1 0 I II III IV I II III IV I II III IV I II III IV I II III IV I II III IV 2009 2010 2011 2012 2013 2014 Grecia 7,905 Spagna 15,869 Germania 18,960 Italia 22,270 Grecia 6,483 Portogallo 9,046 Spagna 11,052 Francia 13,238 Italia 17,426 Portogallo 10,278 Medio Basso Alto Medio Indice ponderato Francia 15,840 Germania 24,750

Transcript of Manifattura decisiva per tornare a crescere - ilsole24ore.com · Il Sole 24 Ore 7 Venerdì 6 Marzo...

Il Sole 24 Ore 7Venerdì 6 Marzo 2015 ­ N. 64

Manifattura decisiva per tornare a crescereL’aumento dell’integrazione con i servizi e il terziario rappresenta una quota importante del valore aggiunto

Il sistema manifatturiero tra ritardi e criticità

Il confronto tra l’Italia e i principali Paesi competitori europei e il grafico del Centro Europa Ricerche sul rischio deflazione

di Paolo Bricco

u Continua da pagina 1

E ,  soprattutto,  questiprimi refoli di aria fre­sca  sono  esclusiva­

mente provocati da gigante­sche  ventole  esterne  –  ilquantitative  easing  dellaBce, la svalutazione dell’eu­ro rispetto al dollaro e il crol­lo del greggio – oppure (al­meno in parte) il capitalismoproduttivo italiano ha rico­minciato a battere le ali nellasua forza autorigeneratrice enella sua propensione meta­morfica  di  lungo  periodo,esprimendo  le energie perun equilibrio e un assesta­mento in grado di sostenernedi nuovo il volo? 

Di certo, l’economia realeè fondamentale. Non c’è sol­tanto la quota di Pil riferibileall’industria, che nel 2014 –secondo i dati di contabilitànazionale ­ è fissata al 15,5%per la manifattura in senso stretto: aggiungendo il setto­re energetico si sale al 18,5%;con le costruzioni si arriva al23,4 per cento. Secondo l’uffi­cio studi di Intesa Sanpaolo,su  475  miliardi  di  euro  diesportazioni di beni e servizii prodotti manifatturieri in­cidono per il 78,5 per cento. Ildato è del 2013, ma il peso re­lativo resta quello. Semprestando agli economisti di Càde Sass, le spese in Ricerca eSviluppo contabilizzate sui bilanci dalle imprese italiane– di qualunque comparto –sono ammontate, nel 2013, a11,107 miliardi di euro: il 73% èappannaggio di aziende delmanifatturiero.  Quest’ulti­mo mostra anche una cre­scente  capacità  di  integra­zione con i servizi: secondo ilquinto numero di Scenari in­dustriali del Centro Studi di Confindustria,  i  servizi ac­quistati dalla manifattura in­cidono in media per più del 15% sul totale del valore dellaproduzione industriale, conpicchi superiori al 20% in al­cuni comparti. 

«Le stesse imprese mani­fatturiere – si ricorda in Sce­nari  Industriali  –  offronosempre più spesso servizi ac­cessori alla vendita dei loro prodotti». Si tratta di un ef­fetto moltiplicatore che as­sumerà  un  peso  sempremaggiore, dato che appuntoun numero sempre più ele­vato di imprese italiane ap­paia al lavoro «di fabbrica edi laboratorio» una intensaopera di servizio al clienteche rappresenta una quotarilevante del valore aggiuntoriconosciuto sui mercati in­

ternazionali.  Alcune  stimeindicano, per questi servizi,un ulteriore peso del 6% delvalore totale della produzio­ne. Ma, secondo diversi os­servatori, queste stime sonoassai conservative. 

Peraltro, la centralità dellamanifattura è dimostrata an­che  dall’ultimo  Rapportosulla competitività dei setto­ri produttivi dell’Istat, che ri­corda come – in Italia – un au­mento di 100 euro della do­manda manifatturiera attiviuna produzione di servizi delvalore di 27,3 euro. La capaci­tà tutta industriale di alimen­tare i servizi è una peculiaritànon solo italiana, ma anchetedesca:  in Germania  i  100euro “industriali” hanno unaricaduta sui servizi pari a 29,3euro. In Francia si scende dipoco: a 25 euro. Questo feliceconnubio fra fabbrica e ser­vizi rappresenta davvero unelemento comune del pae­saggio industriale europeo. 

Dunque, l’essenzialità del­l’industria è indubbia. In ge­nerale per l’Europa, che ha unsuo asse portante nella suaidentità  manifatturiera.  Inparticolare, per la fisiologiaeconomica più profonda delnostro Paese. E per la sua na­tura – produttiva e culturale,sociale e tecnologica ­ di ar­chitrave del tutto. Certo, lacrisi  ha  provocato  lesionigravi al nostro apparato pro­duttivo. Un apparato produt­tivo che, fin dall’introduzio­ne dell’euro, ha sperimenta­to un rimpicciolimento cherappresenta lo sfondo strut­turale su cui si staglia il bassoutilizzo attuale degli impian­ti (posta a 77 la media fra 2000e 2007, nei calcoli Csc su datiIstat, ora è a 68). 

«Basti pensare – dice Ser­gio De Nardis, capoecono­mista di Nomisma – che, nel2000, la produzione poten­ziale  procapite,  valutata  aprezzi 2010, era di oltre 22 mi­lioni di euro per mille abitan­ti, contro i 19 milioni dellaGermania. Eravamo noi più solidi e forti di loro. Da allora,anche  a  causa  del  vuotod’aria di questa recessione,siamo scesi a 18 milioni. Unquinto in meno». I tedeschi,invece, anche grazie a rifor­me sociali cruente e a politi­che industriali sistematichehanno superato i 24 milioni dieuro per mille abitanti. «Laloro produzione industrialepotenziale,  nonostante  un breve passaggio a vuoto conla recessione, è cresciuta diun terzo», constata il capo­economista di Nomisma. 

Il problema delle policy,

per  un  sistema  industrialeche nelle sue varie compo­nenti ha spesso espresso ra­gioni diverse e bisogni non uniformi e che storicamenteha sempre fatto fatica a farsiascoltare  dalle  élite  politi­che, è in questo caso quellodell’unitarietà  e  della  coe­renza interna. Che non sem­pre c’è. Si va dalle tentazionineo­iriste dell’Ilva agli empi­ti anti sovvenzioni del taglia­bollette, dalla liberalizzazio­ne del mercato del lavoro agli

atteggiamenti contradditto­ri verso le corporazioni e gliordini professionali. E, poi, inun Paese drammaticamente inchiodato  dai  suoi  conti pubblici, non si può trascura­re il tema di denaro. Sulle mi­sure puntuali (dal credito diimposta per gli investimentistrumentali alla Nuova Saba­tini, dal credito di impostaR&I alla detrazione per l’effi­cienza energetica) ­ come hasintetizzato  la  congiuntura flash di febbraio del CentroStudi Confindustria – ci sono«tante misure ma pochi soldiper gli investimenti». 

Nella scoscesa salita che

dalle fabbriche italiane portaai mercati globali – ancora as­solutamente  strategici,  no­nostante l’Istat abbia sancitola fine della caduta rovinosadel mercato interno – c’è di tutto. Da una pressione fisca­le “ufficiale” che dal 41,6% del 2011 è cresciuta al 43,5% del 2014 a una inefficienza si­stemica che fa sì che la quotadei costi dei servizi di tra­sporto e di logistica nei con­sumi intermedi della nostraindustria sia – stando ai cal­coli dell’Istat – il 56% mag­giore rispetto a quelli soste­nuti  dai  concorrenti  tede­schi. Dal rischio incipiente dideflazione  («per  fortuna  –osserva  il  capoeconomistadel Cer, Stefano Fantacone –il nostro indice di vulnerabi­lità alla deflazione, pur conti­nuando a esprimere un ri­schio elevato, nell’ultimo tri­mestre del 2014 è sceso per laprima volta da tre anni a que­sta parte») fino alla rimodel­lazione del profilo tecnologi­co provocato dalla crisi. 

Il rapporto Met, che verràpresentato il 17 marzo a Ro­ma, evidenzia la fragilità delmodello di innovazione tec­nologica informale e la resi­lienza di quello basato sullaR&S: un elemento di grandeinteresse, anche per le rica­dute di politica economica eindustriale. Nel percorso ac­cidentato che separa la pro­duzione nella fabbrica e l’ap­prodo delle nostre merci alleglobal value chains, all’iniziosi trova un Clup – il costo dellavoro diviso per produttivi­tà oraria – che da quota 100 punti nel 2000 è schizzato a140. Con una asimmetria da fare tremare i polsi rispetto aFrancia e Germania, stabil­mente collocate fra i 95 e i 100punti. Alla fine del percorso,invece, è situata la capacitàtutta italiana di farsi ricono­scere – dai clienti finali – laqualità dei propri prodotti:fissato a 100 nel 2000 il rap­porto fra valori medi unitarie prezzi alla produzione deibeni venduti all’estero, l’in­dustria italiana è ora – nellastima del Csc – a 125 punti,contro i 110 tedeschi e i 105 francesi. In questi due ele­menti – il Clup e il valore ot­tenuto sui mercati – è insitatutta la contraddizione del calabrone che – per le leggi della fisica ­ mai avrebbe do­vuto volare e che, invece, loha fatto. Una contraddizioneche resta la ragione del suofascino. L’economia italiana,dopo questi primi timidi bat­titi di ali, tornerà a farlo?

© RIPRODUZIONE RISERVATA

IL PESO DELL’INDUSTRIASecondo l’Ufficio Studidi Intesa Sanpaolosu 475 miliardi di exporti prodotti manifatturieriincidono per il 78,5 per cento

CONFRONTO IMPARIIl costo del lavoro per unitàproduttiva in 15 anniè schizzato da quota 100a 140; Germania e Franciastanno tra i 95 e i 100 punti

INCHIESTA AL VIA

L’inchiestan Nel Sole 24 Ore di martedì scorso il grido d’allarme della manifattura italiana. Iniziamo oggi un viaggio tra i settori produttivi che rischiano di mancare l’aggancio con la ripresa

Viaggio nell’industriaSFIDE E OSTACOLI VERSO LA RIPRESA

I punti criticiGli ostacoli maggiori sono rappresentati dalla pressione fiscale, dal rischio di deflazione e da una cronica inefficienza sistemica

Luca OrlandoMILANO

pLa prima stima è 16 miliardi.Ma è un calcolo realizzato per difetto, perché non tiene contodell’intera platea dei comparti produttivi. Eppure, anche re­stringendo  l’analisi  alle  sole Pmi, i numeri in gioco fanno giàcapire che tra le discriminanti 

future tra successo o dell’in­successo di un’azienda le tec­nologie 3D giocheranno senza dubbio un ruolo primario. 

Le possibilità di realizzareprototipi o prodotti sfruttandola manifattura additiva, con­sentiranno  infatti  secondoPrometeia alle aziende di mi­gliorare in modo consistente lapropria produttività, riducen­

do inoltre i rischi legati all’in­novazione e migliorando l’effi­cienza delle produzioni in par­ticolare per i piccoli lotti pro­duttivi.  Progettazione  a distanza,  produzioni  ad­hoc per singoli pezzi speciali, auto­matizzazione spinta dei pro­cessi diventeranno progressi­vamente  accessibili  a  costicontenuti, consentendo ad unaplatea più ampia di soggetti di inserirsi con efficacia all’inter­no delle filiere produttive. 

Prendendo come parametrola sola produttività del capitale, ed escludendo dall’analisi altri cambiamenti possibili legati al­l’organizzazione  complessiva, Prometeia ha provato a stimare all’interno di una trentina di set­tori  manifatturieri  l’impattosulla  performance  delle  Pmi “virtuose”. All’interno di questi comparti l’adozione di tecnichedi manifattura digitale potrebbecosì rilanciare i ricavi delle Pmi su base annua di ben 16 miliardi,allineando la produttività al li­vello delle realtà medio­grandi, con dinamiche ampiamente di­versificate  all’interno dei mi­

cro­settori. Nella gioielleria, ad esempio, i guadagni di produtti­vità determinati da queste tec­nologie potrebbero far raddop­piare i ricavi delle imprese mi­nori, per gli organi di trasmis­sione  i  progressi  sono nell’ordine del 70%, per i mobilipoco al di sotto del 50%.

«È un treno che possiamo anco­ra prendere ­ spiega Alessandra Lanza, capo economista di Prome­teia ­ anche se la finestra tempora­le è ridotta. In termini di diffusionedella tecnologia 3D (6 per 10milaaddetti) non siamo così distantidall’Europa ma quello che manca èun’azione di sistema. Ci sono ini­ziative singole in assenza però diuna politica chiara, ad esempio diincentivi, oppure di  formazionescolastica  mirata».  Opportunitànelle tecnologie digitali ma ancherischi,  naturalmente.  Perché  èchiaro ad esempio che tutto ciòche viaggia su file trae beneficiminimi dalla prossimità della fi­liera.  «Verissimo  ­  commentaLanza ­ ed è chiaro che per i nostridistretti questa è una sfida in più,credo però ineludibile».

© RIPRODUZIONE RISERVATAFonte: elaborazione Prometeia

0 30 60 90

Gioielleria(1,12)

Componenti auto(0,34)

Bici e passeggini(0,30)

Apparecchi illumin. e lampadari(0,38)

Mobili cucina(0,36)

Mobili imbottiti(0,54)

Aeromobili, veicoli spaziali(0,28)

Organi trasmissione(0,80)

Le tecnologie 3D

Impatto sul fatturato delle picco­le imprese nei principali micro­settori (var. % 2012, tra parentesi guadagno di produttività)

GLI EFFETTILe possibilità di realizzare prodotti sfruttandola manifattura additiva consentiranno di migliorare la produttività

Pmi. Con le tecniche digitali più ricavi per 16 miliardi ­ Lanza (Prometeia): «Un treno da prendere alla svelta»

L’Eldorado della stampa in 3D

Produzione potenziale pro capite. Milioni di euro in prezzi 2010 per 1.000 abitantiLA MANIFATTURA

INDICE DI RISCHIO DEFLAZIONE DELL’ECONOMIA ITALIANA

5

1,0

20

15

10

25

Q1 Q4 Q3 Q2 Q1 Q4 Q3 Q2 Q1 Q4 Q3 Q2 Q1 Q4 Q3 Q2 Q1 Q4 Q3 Q22000 ‘01 ‘02 ‘03 ‘04 ‘05 ‘06 ‘08 ‘09‘07 ‘10 ‘11 ‘12 ‘13 ‘14

0,9

0,8

0,7

0,6

0,5

0,4

0,3

0,2

0,1

0

I II III IV I II III IV I II III IV I II III IV I II III IV I II III IV

2009 2010 2011 2012 2013 2014

Grecia 7,905

Spagna 15,869

Germania 18,960

Italia 22,270

Grecia6,483

Portogallo9,046

Spagna11,052

Francia13,238

Italia17,426

Portogallo 10,278

Medio

Basso

Alto

Medio

Indice ponderato

Francia 15,840

Germania24,750