MANGIARE LA BENEDIZIONE: REGOLE ALIMENTARI NELLA … · identità di popolo dell'alleanza 6....

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Maurizio Girolami MANGIARE LA BENEDIZIONE: REGOLE ALIMENTARI NELLA BIBBIA E LE INTERPRETAZIONI RISTICHE DI GEN 25 ,29-34 A partire dal racconto narrato in Gen 25,29-34, si intende presentare alcuni aspetti generali riguardanti l'alimentazione nella Bibbia cristiana assieme ad alcune considerazioni di carattere ermeneutico circa 1' influenza che il racconto suddetto ha esercitato nella fecon- da e variegata epoca patristica. L'episodio è conosciuto: per un po' di pane I e una minestra di lenticchie Esaù, primo- genito di Isacco e Rebecca, vende la sua primogenitura al fratello Giacobbe, il quale, con l'aiuto della madre, riesce a carpire al padre, ormai vecchio e cecuziente, la benedizione. Esaù viene presentato dal testo biblico come un cacciatore: «abile nella caccia, un uomo della steppa» (Gen 25,27) e Giacobbe, invece, come un coltivatore e allevatore: «un uomo tranquillo che dimorava sotto le tende» (Gen 25 ,27) 2 I due atelli differiscono non solo per il loro lavoro, ma anche per le caratteristiche somatiche: uno peloso e rossastro, l'al- tro glabro; essi sono diversi anche nel carattere: il primogenito cacciatore pieno di vigore fisico ma non capace di trattenere i propri istinti, l'altro invece sagace e scaltro nel far vol- gere le situazioni a suo vore. Tale rapporto di aternità con differenze così pronde si ricollega ai primi due atelli della storia biblica: Caino e Abele. Si legge in Gen 4,2: «ora Abele era pastore di greggi, mentre Caino era lavoratore del suolo». Continua il testo del Genesi dicendo che «Caino presentò utti del suolo come offerta al Signore, mentre Abele presentò a sua volta primogeniti del suo gregge e il loro grasso. Il Signore gradì Abele e la sua offerta, ma non gradì Caino e la sua offerta» (Gen 4,4-5). Anche questi primi due fratelli, così distanti nel loro lavoro, si distinguono per il tipo di alimentazione che produ- cono ben percepibile dall'offerta presentata a Dio. Va rilevato che nessuno dei due è ancora cacciatore 3 Infatti il termine 'caccia' compare di fatto solo dopo il diluvio, in Gen 10,9, quando si dice che Nimrod (figlio di Etiopia, figlio di Cam, figlio di Noè) divenne potente sulla terra perché era «valente cacciatore davanti al Signore». Il testo biblico manista una grande attenzione nel collocare l'esperienza della caccia solo dopo il diluvio, e anzi non subito dopo, ma solo alla terza generazione dopo Noè. Già Ambrogio, verso la fine del IV Il termine 'pane' traduce la parola ebraica lehem che può avere anche il valore generico di cibo: cfr. K1M 2011, pp. 424-430. 2 Il testo ebraico dei masoreti può essere tradotto: «Esaù un uomo conoscitore della caccia, un uomo dei campi, mentre Giacobbe divenne un uomo tranquillo, abitatore di tende», traduzione da G1uNTOLI 2013, p. 126. La versione dei LXX recita invece: EomJ av8gwoç ELowç X1JV11YEiv aygmxoç Iaxw� �V av8gwoç aÀaooç olx6v olx(av; «ed era Esau un uomo che sapeva cacciare, e viveva in campagna, Giacobbe invece era un uomo semplice, che stava in casa» (traduzione da MoRTARI 1999, p. 109). 3 Il termine 'cacciatore' nei LXX viene reso con la parola aygmxoç, che viene utilizzato in Gen 16,12 e 25,27.11 comparativo è usato solo in 2Mac 14,30 in ririmento alla eddezza nei rapporti di Nica- nore rispetto a Maccabeo. In Gen 16,12 viene ririto l'oracolo dell'angelo del Signore ad Agar che partoriIsmaele che sarà appunto 'uomo cacciatore'. La traduzione italiana della CEI 2008 traduce «asino selvati- co» come dice il testo ebraico pere' 'adam ma la traduzione letterale direbbe «asino selvatico uomo». 159

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Maurizio Girolami

MANGIARE LA BENEDIZIONE: REGOLE ALIMENTARI NELLA BIBBIA E LE INTERPRETAZIONI PATRISTICHE DI GEN 25 ,29-34

A partire dal racconto narrato in Gen 25,29-34, si intende presentare alcuni aspetti generali riguardanti l'alimentazione nella Bibbia cristiana assieme ad alcune considerazioni di carattere ermeneutico circa 1' influenza che il racconto suddetto ha esercitato nella fecon­da e variegata epoca patristica.

L'episodio è conosciuto: per un po' di pane I e una minestra di lenticchie Esaù, primo­genito di Isacco e Rebecca, vende la sua primogenitura al fratello Giacobbe, il quale, con l'aiuto della madre, riesce a carpire al padre, ormai vecchio e cecuziente, la benedizione. Esaù viene presentato dal testo biblico come un cacciatore: «abile nella caccia, un uomo della steppa» (Gen 25,27) e Giacobbe, invece, come un coltivatore e allevatore: «un uomo tranquillo che dimorava sotto le tende» (Gen 25 ,27) 2

• I due fratelli differiscono non solo per il loro lavoro, ma anche per le caratteristiche somatiche: uno peloso e rossastro, l'al­tro glabro; essi sono diversi anche nel carattere: il primogenito cacciatore pieno di vigore fisico ma non capace di trattenere i propri istinti, l'altro invece sagace e scaltro nel far vol­gere le situazioni a suo favore. Tale rapporto di fraternità con differenze così profonde si ricollega ai primi due fratelli della storia biblica: Caino e Abele. Si legge in Gen 4,2: «ora Abele era pastore di greggi, mentre Caino era lavoratore del suolo». Continua il testo del Genesi dicendo che «Caino presentò frutti del suolo come offerta al Signore, mentre Abele presentò a sua volta primogeniti del suo gregge e il loro grasso. Il Signore gradì Abele e la sua offerta, ma non gradì Caino e la sua offerta» (Gen 4,4-5). Anche questi primi due fratelli, così distanti nel loro lavoro, si distinguono per il tipo di alimentazione che produ­cono ben percepibile dall'offerta presentata a Dio. Va rilevato che nessuno dei due è ancora cacciatore 3

• Infatti il termine 'caccia' compare di fatto solo dopo il diluvio, in Gen 10,9, quando si dice che Nimrod (figlio di Etiopia, figlio di Cam, figlio di Noè) divenne potente sulla terra perché era «valente cacciatore davanti al Signore». Il testo biblico manifesta una grande attenzione nel collocare l'esperienza della caccia solo dopo il diluvio, e anzi non subito dopo, ma solo alla terza generazione dopo Noè. Già Ambrogio, verso la fine del IV

Il termine 'pane' traduce la parola ebraica lehem che può avere anche il valore generico di cibo: cfr. K1M 2011, pp. 424-430.

2 Il testo ebraico dei masoreti può essere tradotto: «Esaù un uomo conoscitore della caccia, un uomo dei campi, mentre Giacobbe divenne un uomo tranquillo, abitatore di tende», traduzione da G1uNTOLI 2013, p. 126. La versione dei LXX recita invece: EomJ av8gw:rcoç ELowç X1JV11YEiv aygmxoç Iaxw� �V av8gw:rcoç a:rcÀ.aoi:oç olx6.Jv olx(av; «ed era Esau un uomo che sapeva cacciare, e viveva in campagna, Giacobbe invece era un uomo semplice, che stava in casa» (traduzione da MoRTARI 1999, p. 109).

3 Il termine 'cacciatore' nei LXX viene reso con la parola aygmxoç, che viene utilizzato in Gen 16,12 e 25,27.11 comparativo è usato solo in 2Mac 14,30 in riferimento alla freddezza nei rapporti di Nica­nore rispetto a Maccabeo. In Gen 16,12 viene riferito l'oracolo dell'angelo del Signore ad Agar che partorirà Ismaele che sarà appunto 'uomo cacciatore'. La traduzione italiana della CEI 2008 traduce «asino selvati­co» come dice il testo ebraico pere' 'adam ma la traduzione letterale direbbe «asino selvatico uomo».

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MAURIZIO GIROLAMI

secolo, notava che è difficile trovare nella Bibbia un reale apprezzamento per i cacciatori, per coloro che procacciavano carne uccidendo animali 4

• Ben più positive sono le figure degli allevatori e dei coltivatori.

Perché questa differenza? Dove si radica la netta preferenza degli autori biblici per coloro che si nutrono del suolo o di ciò che offre la natura rispetto a quelli che vanno a caccia? Allargando lo sguardo sull'orizzonte del!' intero testo biblico, ci si accorge che la questione della fonte dell'alimentazione non solo percorre tutto il testo dall'inizio alla fine, ma è stata oggetto di profonda riflessione da parte degli autori sacri, non solo quelli della Scrittura giudaica ma anche dei primi scrittori cristiani 5

. Anzi, come emerge da molti passi, la scelta alimentare assurge progressivamente a criterio distintivo per affermare la propria identità di popolo dell'alleanza 6

. Infatti se c'è un punto che ha distinto il popolo di Israele da tutti gli altri popoli è stato proprio il complesso di regole di purità rituale legate al cibo: alcuni cibi sono puri (kasher), altri no, come attestano le molteplici regole di purità riportate nel libro del Levitico e del Deuteronomio. Non solo i cibi, ma anche alcuni animali sono puri 7, altri no. Se si pensa al grande racconto della Pasqua, Es 12 - il racconto fondatore dell'identità del popolo ebraico -, viene specificatamente detto che l'agnello non deve essere bollito, ma cotto al fuoco; il pane non deve essere lievitato, ma azzimo; le erbe non devono essere cotte, ma amare. I libri del Levitico, al cap. 11, e del Deuteronomio, al cap. 14, in due redazioni temporalmente e teologicamente diverse, attribuite rispettivamente alla redazione sacerdotale e a quella deuteronomistica, riprendono le regole riguardanti la distinzioni tra animali puri e impuri come un segno distintivo della presenza dei giudei in mezzo agli altri popoli. Cosicché le norme di purità diventano un confine preciso che separa e distingue Israele in mezzo alle genti 8

.

Il problema della distinzione di purità, però, non è solo un tema veterotestamentario, ma si ritrova anche nella primitiva tradizione cristiana e nel giudaismo della diaspora 9

:

Gesù dà scandalo perché mangia con gente peccatrice considerata impura (cfr. Mt 9,9-13; Le 7 ,36-50; Le 19 ,1-10) 10

, rimprovera i farisei che fanno abluzioni, ma non puliscono il

Ambr. in psalm. 118 serm. 8,42 (traduzione di P1zzoLATO 1987, p. 355): «Nebrot, che vuol di.re 'amarezza', oppure - come no? - Esaù, che vuol dire 'terragno e scaltro (terrenus et callidus)'. Costoro erano cacciatori, infatti, e sono abituati a catturare bestie con i lacci e legare con catene gli animali senza favella. Inutili cacciatori, però che catturano bestie da offrire come attrazione per gli spettacoli del popolo, come strumento per la crudeltà. Tant'è vero che lungo il corso delle Sacre Scritture non abbiamo trovato nessun uomo giusto tra i cacciatori».

5 Per una presentazione globale del valore del mangiare e del bere nella Bibbia si veda 1ENKS 1992, pp. 250-254.

6 Cfr. STEMBERGER 2012, pp. 209-224, fa notare che soprattutto dopo la caduta del tempio di Geru­salemme nel 70, la distinzione del cibo diventò un marchio di identità non solo cultuale ma anche politica. Si vedano anche gli studi di MAcDONALD 2008 e MAcDoNALD 20 I 2.

7 La prima volta che si trova questa distinzione è in Gen 7,2; altre liste in Lv 11,1-47 e Dt 14,3-21. Per quanto riguarda il Nuovo Testamento si pensi al racconto di esorcismo narrato in Mc 5, 1-20 dove imaiali sono definiti animali impuri.

8 Anche la terminologia aiuta a comprendere la Weltanschauung giudaica: essi si definiscono popo­lo (ì..a6ç; , 'am), mentre tutti gli altri sono definiti 'gente' (ÈBV't],goim). Si veda lo studio di ALTMANN 2011.

9 Cfr. Lb1-1R 2003, pp. 17-37. Commenta il brano di Flavio Giuseppe (cfr. J. Ap. 2,281) dove si parla dei divieti alimentari. Si veda anche BRos1-11 2001.

io Cfr. TRAMAILLE 1999, pp. 121-137.

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cuore (cfr. Mc 7), e nello stesso tempo assume il mangiare assieme come un'attività di evangelizzazione, tanto che nell'ultima cena con i suoi apostoli pone le basi per la memo­ria perenne della sua presenza 11• Gesù di Nazaret, pur conoscendo molto bene le regole dipurità del popolo giudaico, dimostra una totale libertà di fronte alle distinzioni basate sulle regole di alimentazione, rivelando e sancendo per i suoi discepoli un superamento, non altrimenti immaginabile, della distinzione tra ciò che è puro e impuro. Si può ipotizzare che il superamento voluto da Gesù fosse dovuto ad un atto derivante dalla concezione nuova del suo messaggio di perdono, messaggio che avrebbe abolito la legge antica; oppure, forse, in modo più preciso, si può dire che Gesù di Nazaret non ebbe mai timore di contaminarsi, per­ché considerava se stesso non solo sempre puro, ma anzi capace di purificare e di perdonare coloro che gli si accostano 12• Egli era il puro e il purificatore 13• Gesù, così, non avrebbeabolito la categoria del puro e dell'impuro, ma avrebbe reso possibile un nuovo modo di rendere puro l'uomo accostandosi alla sua persona. Della forza purificatrice e risanatrice della sua persona ne sarebbero conferma i racconti di guarigione, i risuscitamenti, e la sua stessa risurrezione 14• L'essere risorto dai morti significa che la sua persona non può piùdiventare impura, soggetta a corruzione e morte. Ritornando alla sua predicazione, Gesù usa anche l'immagine del banchetto per parlare del Regno di Dio, come di un luogo dove l'attività principale sarà un mangiare assieme a tutti gli eletti senza più alcuna distinzione tra chi è puro e impuro, affermando così il pieno superamento, nella vita eterna, di ogni distinzione di appartenenza 15• Anche l'attività apostolica prende le mosse innanzitutto dalnutrire e dal dar da mangiare, come risulta chiaro dal comando del Risorto a Pietro sulla riva del mare di Galilea: «pasci i miei agnelli», dove il verbo 'pascere' (�6oxElV) ha come primo significato quello di nutrire 16•

Anche gli Atti degli Apostoli e le lettere di Paolo testimoniano una chiara presa di posizione sulla distinzione tra puro e impuro. Negli Atti, secondo volume di Luca, una delle prime questioni affrontate dalia primitiva comunità cristiana riguardò il problema del servi­zio alle mense, perché le vedove di lingua greca non erano trattate nello stesso modo delle vedove di lingua ebraica (cfr. At 6,1) 17• La comunità degli Atti, considerando il mangiareassieme un atto sacro, stenta a mettere in secondo piano le norme giudaiche circa la possi­bilità di consumare pasti tra persone pure e impure. Infatti un giudeo non può mangiare con

11 Cfr. ICor 11, 25-27; Mt 26,26-29; Mc 14,22-25; Le 22,19-20. Si vedano gli studi di DELORME 1999 e di WEBSTER 2003.

12 Si pensi all'episodio narrato da Mc 5,25-34 a proposito di quella donna affetta da emorragie dadiversi anni guarita dal solo toccare il lembo del mantello di Gesù.

13 li termine lÀ.ao-c�QLOV usato da Paolo in Rm 3,25 si muove in questa direzione, così come tutta la teologia legata al sangue di Gesù che perdona e purifica (cfr. lPt, lGv). Si veda la voce lÀ.ao-c�QLOV curata daBOcHSEL 1968,coll. 1001-1012.

14 Si veda lo studio di NEUFELD 2000, pp. 15-26. 15 L'espressione "bere vino nel regno dei cieli" si trova in Mt 9,16.17; Mc 2,21.22; Le 5,36-39. Si

vedano anche gli studi di SMJT 2008; CHILTON 1992, pp. 473-488 e BouLNOIS 2011. 16 Cfr. MoussY 1969.17 Cfr. TYSON 1979, pp. 69-85. Luca si pone in mezzo tra la soluzione di Paolo (cfr. Gal 2,Jl-21),

dove la questione del pasto assieme non si può discutere, e Giustino (Prima Apologia 20; 66-67), il quale ritiene valide le regole alimentari solo per i giudei. Luca riflette una comunità dibattuta sul prendere pasto assieme tra giudei e gentili.

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un gentile, altrimenti tutto il popolo santo di Dio verrebbe contaminato. Il problema viene risolto con l'elezione di alcuni tra gli ellenisti per il servizio alle vedove di origine greca. La soluzione, dunque, non va nella direzione di un'abolizione delle norme rituali tra puro e impuro, ma viene data sul piano di un'organizzazione diversa perché il pasto assieme possa essere svolto nel rispetto delle regole alimentari. Anche più avanti, nel racconto di At 10, si dice che Pietro, nella casa del centurione Cornelio, vede scendere una tovaglia piena di ani­mali e la voce divina che gli dice: «uccidi e mangia» (At 10,13), «ciò che Dio ha purificato, tu non chiamarlo profano» (At 10,15). Non si tratta solo del cibo, ma delle persone con le quali si prende cibo. Nella lettera ai Galati (cfr. Gal 1,12-13) Paolo dirà che Pietro aveva evidentemente torto quando si sottrasse dal prendere cibo assieme ai pagani:

Infatti, prima che giungessero alcuni da parte di Giacomo, egli prendeva cibo insieme ai pagani; ma, dopo la loro venuta, cominciò a evitarli e a tenersi in disparte, per timore dei circoncisi. E anche gli altri Giudei lo imitarono nella simulazione, tanto che pure Bàrnaba si lasciò attirare nella loro ipocrisia.

Vanno ricordati anche i capitoli della 1 Corinzi ( cfr. l Cor 8-1 O) nei quali si ricorda che la prassi cultuale dei greci e dei romani di mangiare carni immolate agli idoli fu percepita dai cristiani come un'azione idolatrica che rinnegava la fede nel Dio di Gesù Cristo 18. Il criterio dato dall'apostolo Paolo, però, non è più di una distinzione tra sacro e profano, ma unicamente di attenzione al fratello perché non sia scandalizzato: «se un cibo scandalizza il mio fratello, non mangerò mai più carne, per non dare scandalo al mio fratello» (l Cor 8,13). La considerazione dell'apostolo si fonda sul dono di Cristo il quale, con la sua morte, ha reso fratelli tutti gli uomini e, quindi, la «cena del Signore», che fa memoria di lui, non può essere considerata un pasto comune, ma va celebrata in modo degno di ciò che significa (cfr. lCor 11,20-29). Paolo lega in modo stretto la celebrazione eucaristica allo stile di vita dei cristiani chiamati a rendere grazie, a condividere, ad aspettare tutti prima di mangiare. Dunque non più le regole di Deuteronomio o Levitico, ma l' amore fraterno diviene il criterio per discernere se prendere o astenersi dal cibo. Medesimo criterio lo troviamo al cosiddetto concilio di Gerusalemme (cfr. At 15) durante il quale si stabiliscono le norme da osservare per gli incirconcisi: «astenersi dalla contaminazione con gli idoli, dalle unioni illegittime, dagli animali soffocati e dal sangue» (At 15,20 e poi v. 29). Queste norme furono date per non dare scandalo a quanti nel giudaismo osservavano ancora le norme sui cibi.

Andando a leggere con maggiore profondità i testi, si possono scoprire le ragioni di questa mentalità così radicata e pervasiva? Nei primi capitoli del libro del Genesi, ove si racconta la creazione, si dice che Dio diede tutti i frutti degli alberi da mangiare, tranne di quello della conoscenza del bene e del male nel mezzo del giardino (cfr. Gen 2,16-17). Il peccato dell'uomo inizia con il mangiare un frutto dato da Dio per essere visto ma non per essere mangiato. Perché non lo si può mangiare? Perché tutta la creazione appartiene a Dio. L'uomo non è Dio, ma viene dichiarato sua immagine; ne deriva che la proibizione divina di non mangiare dell'albero era un servizio alla memoria dell'uomo per ricordargli che egli non è Dio, ma una sua creatura in mezzo alle altre. Dio, quindi, ha posto un limite

18 Cfr. NEWTON 1998.

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nei cibi, per ricordare che, anche se tutta la creazione viene affidata all'uomo, l'uomo non ne è il creatore. Le distinzioni sul cibo allora mirano a preservare la coscienza che tutto è di Dio perché ogni cosa viene da Lui e così non tutto si può mangiare. Tuttavia l'uomo, di nascosto - sarà mai possibile nascondersi davanti a Dio? si interroga il salmista (cfr. Sal 139) - mangia del frutto che gli era stato proibito. Tale atto - mangiare qualcosa proibitoda Dio - ha rotto una distinzione che garantiva una comunione. L'uomo viene cacciato dalgiardino di Dio perché ritenuto un ladro dell'identità divina mettendosi nella condizione diessere un commensale non più gradito.

In Gen 2, ancora prima del diluvio, quando il cibo è prevalentemente agricolo, frutto della creazione e della natura, emerge la realtà del peccato. Solo dopo il diluvio l'uomo comincia a mangiare carne, nel momento dopo il quale, nonostante l'operazione di rinnovamento di tutta la terra, Dio sembra quasi rassegnarsi che l'uomo abbia un cuore inclinato al male. Da questo momento in poi troviamo nella Bibbia la distinzione tra ani­mali puri e impuri, da quando Noè (cfr. Gen 7,1-4) deve prendere nell'arca animali puri (sette paia) e impuri (un paio). Le caratteristiche che individuano l'impurità o la purità di un animale sono poi descritte in Lv 11, un testo ben conosciuto e commentato non solo dagli antichi scrittori cristiani 19

, ma anche da Filone 20 e prima ancora dalla Lettera di Aristea 21

• La distinzione tra animali puri e impuri aiuta il popolo di Israele a ricordarsi che non è un popolo come gli altri, ma che, grazie alle distinzioni alimentari, si ricorda quotidianamente che Dio lo ha scelto tra tutti i popoli 22.

Ritornando alla domanda injziale: perché i coltivatori e gli allevatori sembrano avere una considerazione più benevola rispetto ai cacciatori? I cacciatori sono l'espressione di una situazione postdiluviana, infatti essi compaiono sulla scena del racconto biblico dopo il diluvio provocato dal peccato. Gli animali impuri, fondamentalmente quelli carnivori, divorano la carne dove scorre il sangue, sede della vita. Coloro i quali invece continuano a cibarsi di ciò che la terra offre, è come se vivessero in quella condizione come era nella sua primitiva origine, a quel momento nel quale Dio offre all'uomo tutti i frutti degli alberi del giardino. Potremmo dire che il concetto di purità è legato al principio di antichità, principio secondo il quale una realtà è tanto più pura quanto è più vicina all'origine delle cose; per contrario ciò che si distanzia da quel punto di inizio progressivamente diventa impuro.

Le regole alimentari del giudaismo dunque affondano le loro radici in una mentalità secondo la quale ciò che si avvicina ai primordi della creazione, così come sono uscite dalle mani di Dio, vive nella purità, chi invece trasforma la creazione la inquina e la rende impura 23. Infatti, ricordando il testo della Pasqua di Es 12, un agnello cotto al fuoco è più puro di uno bollito, perché per bollire bisogna usare pentole fatte dagli uomini; usare

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19 Origenes Hom. in Lev. VIII e IX.20 Ph. Agric.131-145; Spec. 4,108-116.206; Gen.Q A2,55; Her. 239; Leg. 2,105; Migr. 64-69; Opif.

21 Cfr. Aristaes Judaeus Ad Philocratem epistula 128 .142-169. 22 Si vedano altri testi: Gdt 10,5; 11,12-13; Tb l,I0-11; 2Mac 5,27. Circa l'espressione 'pani puri'

di Gdt 10,5 non si sa cosa significhi se pane kosher o puro di qualità; secondo DuBARLE 1966, p. 166 àgi:wv xa0agwv è una corruzione di àgi:wv xaì, i:ugou (e formaggio) come rendono la Vetus Latina, la Peshitta e la Vulgata.

23 Cfr. SoLER 1973, pp. 943-955.

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pane non lievitato è più puro perché il lievito trasforma e altera il prodotto della terra. Tale tradizione continua anche nella letteratura profetica come attesta Ezechiele 4,12-15: se il profeta afferma di essersi sempre mantenuto puro da ogni contaminazione di cibo per fedeltà alla legge del suo popolo, l'esperienza dell'esilio fa percepire che è volontà di Dio superare tali confini e perciò le regole devono essere riviste da capo. Anche quando l'esilio sarà finito, il profeta Daniele, ripensando a quell'esperienza fondamentale, sotto­linea che i tre giovani veggenti sono rimasti integri perché hanno mangiato solo legumi e non si sono contaminati con il cibo e le vivande del re ( cfr. Dn 1,8-16) 24

Dunque, la distinzione riguardante i cibi tra puro e impuro, non è solo una questione di appartenenza etnica o di prassi religiosa, ma interpella la volontà di ciascun ebreo di poter vivere secondo il progetto così come è uscito dalle mani di Dio. Mangiare è un'azione quo­tidiana che assicura la vita, la quale - va ricordato sempre - viene da Dio e, quindi, bisogna nutrirsi seguendo quelle norme date da Lui stesso. Anche alcune sette cristiane scelsero il cibo come criterio per distinguersi e separarsi dal mondo pagano 25

• Ne fa fede Marciane, il quale, nella metà del II secolo, quando volle ravvivare quello che egli riteneva essere l'au­tentico spirito della rivelazione cristiana, impose, nei banchetti delle chiese da lui guidate, che non fossero presenti persone sposate, affinché la comunità potesse essere scevra da ogni possibile contatto con la materia 26

. In questo caso non era il cibo puro o impuro a fare da discrimine, ma l'essere sposati o no.

Ritornando al nostro testo di partenza, Esaù, pur essendo primogenito si rese impuro a causa della caccia, mentre Giacobbe, uomo delle tende, conquistò la primogenitura di suo fratello, anche se con l'inganno, perché restò più vicino al piano di Dio, non nutren­dosi della carne abitata dalla vita. Venne preferito colui che seppe avvicinarsi a ciò che è benedetto da Dio, anche se lo raggiunse con l'inganno. A questo punto è utile passare in rassegna, in ordine cronologico, alcuni passi patristici che hanno commentato l'episodio della benedizione rubata.

INTERPRETAZIONI PATRISTICHE DI GEN 25,34 E LA BENEDIZIONE VENDUTA PER UN PO' DI CIBO

Una prima ricezione dell'episodio di Esaù e Giacobbe, in epoca cristiana, lo tro­viamo nella Lettera agli Ebrei (cfr. Eb 12,16-17), dove Esaù viene paragonato ad un fornicatore o profanatore, poiché vendette la sua primogenitura «in cambio di una sola pietanza». L'esclusione dalla benedizione paterna fu causata dal suo aver venduto la primogenitura, dono di Dio, per un po' di cibo. Ciò che viene sottolineato, nel contesto complessivo del brano 27, è la bassezza morale di chi trascura e sottovaluta la grazia di Dio, barattandola come una cosa che si presta a logiche di commercio, le quali, in ultima analisi, risultano idolatriche, così come capita a chi si dà alla prostituzione poiché fa del

24 Anche nella letteratura giudaico-cristiana non biblica la distinzione tra puro e impuro resta unassioma indiscusso: Abramo nel libro dei Giubilei 22,16 ammonisce Giacobbe: «sepàrati dai pagani, non mangiar con loro, non agir come loro e non essere loro amico poiché le loro azioni sono impure e tutto il loro modo di vivere è immondo e cosa abominevole i loro sacrifici» (traduzione di FuSELLA 1981, p. 315).

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25 Cfr. DUGAN 1995, pp. 539-548.26 Si veda STEWART-SYKES 2012, pp. 207-220.27 Cfr. MARCHESELLI CASALE 2005, pp. 579-583.

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MANGIARE LA BENEDIZIONE: REGOLE ALIMENTARI NELLA BIBBIA

proprio corpo, dono di Dio e sede della vita, un affare per guadagnarci sopra 28. Idolatria

e prostituzione infatti, nella Bibbia, sono temi spesso abbinati 29. L'autore della lettera

agli Ebrei, profondo conoscitore della Scrittura giudaiche 30, per spiegare la novità del

mistero cristiano, non fa che appellarsi ali 'autorità dell'Antico Testamento, riletto in chiave cristologica e morale, secondo quel metodo tipologico inaugurato da Paolo (cfr. lCor 10,6.11; Rm 5,14), non senza risentire pure dell'influenza dell'esegesi allegorica alessandrina, in modo particolare di Filone 31

Nella primissima letteratura cristiana, poi, non troviamo riferimenti o allusioni all'epi­sodio di Esaù e Giacobbe fino ad Ireneo, il quale, scrivendo sulla fine del II secolo, segue il metodo tipologico per leggere nelle vicende di Giacobbe una serie di prefigurazioni del mistero di Cristo. Nel IV libro della sua monumentale opera Adversus Haereses scrive:

«se si conoscono anche le azioni di Giacobbe, si troverà che esse non sono vane, ma piene di economie ... poi ricevette la primogenitura, quando il suo fratello la disprezzò, come il popolo più giovane accolse Cristo il Primogenito di tutti, quando il popolo più vecchio lo rifiutò dicendo: Non abbiamo altro re che Cesare. In Cristo c'è ogni benedizione, e per questo il popolo che venne dopo strappò al Padre la benedizione del popolo che c'era prima, come Giacobbe strappò la benedizione di Esaù. Per questo il fratello era insidiato dal fratello, come la Chiesa subisce questo stesso trattamento da quelli della sua stirpe» 32

.

Ireneo di Lione rilegge la storia di Esaù e Giacobbe in chiave cristologica ed eccle­siologica, secondo il metodo da lui stesso espresso: per typica ad vera 33

. La sottrazione della primogenitura ad Esaù da parte di Giacobbe non fu altro che prefigurazione del I 'an­nunzio del vangelo ai popoli gentili, i quali, divenuti credenti in Cristo, principio di ogni benedizione, hanno strappato la benedizione ai giudei, primo popolo scelto da Dio. Questi ultimi, non accogliendo Cristo, hanno disprezzato la loro primogenitura, perché Cristo è il vero primogenito, colui che per primo risorse dai morti (cfr. Col 1,18; Ap 1,5). Invece i pagani, poiché accolsero nella fede Cristo, il Primogenito, riuscirono a strappare la bene­dizione del Padre al popolo che c'era prima «come Giacobbe strappò la benedizione a Esaù» (cfr. Iren. 4,21,3). Il vescovo di Lione sfrutta l'episodio per confermare la visione di una storia di salvezza, più volte esemplificata lungo tutta la sua opera, secondo la quale chi fu scelto per primo rifiutò l'intervento di Dio dando così spazio alla fede di chi era ritenuto lontano.

Quasi contemporaneo a Ireneo, Tertulliano, primo autore cristiano di lingua latina, si riferisce all'episodio di Gen 25,34 per sottolineare la scarsa tempra morale di Esaù:

Sei vecchio, a dire il vero, tu che sei così indulgente nei confronti della gola, e a ragione ti vanti di come eri prima. Io riconosco che hai sempre l'odore di Esaù, il cacciatore di

28 Interpretazione che si ritrova anche in Ippolito (traduzione francese di GARITTE 1965, p. 28; iltesto originale è in georgiano).

29 Cfr . Dt 20,18; Gdc 8,27; Sa! 106,35-37; Ger 3,6-9; Os l ,2; 2,4; Ap 2,20-23.3° Cfr . FABRIS 1984, pp. 237-252.

31 Cfr. THURSTON 1986, pp. 133-143. 32 Cfr. Iren. 4,21,3, traduzione di BELLINI 1997, p. 354.33 Cfr. SIMONETII 1981, pp. 357-382.

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fiere; così ti dai da fare per cercare ovunque dei tordi, così giungi a casa dal campo della tua disciplina assai rilassata, così manchi dello spirito. 2. Se ti offrirò una lenticchia resa rossa dal vino cotto, tu mi venderai tutte le tue primogeniture; per te la carità ferve nelle pentole, la fede scalda le cucine, la speranza sta nei piatti di portata 34

.

Nel trattato De /eiunio, l'autore africano rimprovera Esaù di essersi fatto prendere dal vizio della gola e di non essere stato capace di frenare il suo istinto. L'interpretazione di carattere morale, legata alla capacità di dominare i propri istinti rimarrà una costante in tutto il periodo patristico, soprattutto in ambito latino, come si vedrà più avanti 35

.

Tertulliano, pur appartenendo a quella cultura asiatica più incline alla tipologia 36, non

disdegna la lettura allegorica e psicologica, vicina a quella di Filone alessandrino. Non manca l'ironia sferzante nei confronti di chi, come Esaù, fa della fede cristiana, già sinte­tizzata con le virtù teologali fede speranza carità, una questione di pietanze da mangiare. Il trattato De Ieiunio, scritto nel periodo montanista 37

, esprime la necessità di una disci­plina rigida attraverso esercizi di volontà fatti di rinunce e mortificazioni per ottenere le virtù necessarie per accedere alla salvezza. Contro l'ingordigia e la rilassatezza dello spirito si afferma la necessità di una rigida disciplina circa il cibo, che non può essere paragonato alla superiore grazia di Dio, così come non poteva Esaù scambiare la benedi­zione divina per un po' di cibo.

La medesima interpretazione, che vede in Esaù un pessimo esempio di qualità morali, la troviamo anche in Cipriano, il quale, però, legge l'episodio di Gen 25 ,34 come esempio di un'impazienza che fa perdere la propria dignità e i propri diTitti 38

. L'esempio biblico torna utile ancora un'altra volta sotto la penna del vescovo africano per discutere con coloro che vogliono un secondo battesimo dopo aver rinunciato al primo, ammonendo gli eretici che, una volta rinunciato a un diritto ricevuto da Dio, non è più possibile riacquistarlo 39

.

Origene, ad Alessandria d'Egitto, applicando sistematicamente il metodo allegorico nel leggere tutta la Scrittura, apre nuove possibilità di significato al testo superando sia la tipologia di Ireneo che l'interpretazione morale di Ebrei, di Tertulliano e di Cipriano. Nel libro X del Commento a Giovanni 40

, l'Alessandrino, mentre spiega il modo di esporre la

34 Tert. ieiun. 17 ,l (traduzione italiana di DE FRANCESCO, NocE, ARTIOLI 2011, pp. 332-333). 35 Basilio Magno, nella Regole ampie, alla domanda 16 se è necessaria la temperanza a chi vuole

vivere piamente, risponde: «Anche Esaù fu accusato del più grande dei mali, cioè l'intemperanza poiché vendette per un cibo la primogenitura. E l'uomo cominciò a disubbidire a causa dell'intemperanza» (tradu­zione di ARTIOLI 1980, p. 264).

36 Cfr. SJMONETTI 2008, pp. 599-60 I. 37 Cfr. MATTEOLI 2012, pp. 167-176.38 Cfr. Cypr. patient. 19 (traduzione di CERRETINJ 2004, p. 194): «ugualmente Caino non tollerò il

dono e il sacrificio del fratello, al punto di arrivare a ucciderlo. Anche Esaù cadde da una posizione di pri­vilegio a una inferiore e perse la sua primogenitura per la sua impazienza e per un piatto di lenticchie».

39 Cypr. epist. 73,25,3 (traduzione di V1NCELL1 2007, p. 275): «Ma quanto sia rischioso nelle cosedivine che qualcuno rinunci a un suo diritto e al suo potere lo dichiara la sacra Scrittura, quando nel libro della Genesi Esaù perde la sua primogenitura e non può nel seguito recuperare ciò che una volta per tutte ha ceduto».

4° Cfr. Origenes, Commentariwn in Johannem X,4,20 (traduzione cli E. CORSINI, 19952 , pp. 385-386): «il loro (degli evangelisti) proposito infatti era quello cli esporre la verità, quando ciò era possibile, tanto sotto l'aspetto spirituale (mc-uµauxwç) quanto sotto quello corporeo (owµauxwç); quando però

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verità da parte dei narratori biblici, sostiene che essi intendono dire la verità spirituale delle cose, anche quando il senso letterale o immediato sembra trarre in inganno. Per esempli­ficare tale ragionamento inerente la verità della Scrittura, porta il caso della bugia detta da Giacobbe a suo padre: «sono Esaù il tuo primogenito» (cfr. Gen 27,19): è certamente una menzogna dal punto di vista del senso primo del testo, ma non è una falsità dal punto di vista spirituale, perché Giacobbe doveva rendersi capace di ricevere la benedizione. Origene, coerente con la dottrina delle Èn(voLm, conclude dicendo che, essendo tutta la Scrittura come le vesti del Verbo, anche la lettera, quando fa difetto - secondo il procedi­mento del defectus litterae 41

- dice comunque qualcosa di vero; perciò anche se Giacobbe ha ottenuto la benedizione con l'inganno, dal punto di vista spirituale non era un inganno, ma un modo con il quale il Verbo parlava e si manifestava 42

.

L'autore che dedica più spazio alla vicenda di Esaù e Giacobbe è Ambrogio di Milano, erede della tradizione alessandrina in campo occidentale - non solo Origene, ma anche Filone -, dimostrando una spiccata sensibilità per la dimensione etica e spirituale della vita cristiana ammaestrato dalla sintesi teologica ed esegetica dei grandi padri Cappadoci. Anche se sono una decina i riferimenti alla vendita della primogenitura di Esaù a Giacobbe nell'opera ambrosiana, l'interpretazione prevalente resta quella di carattere morale, con la quale si sottolinea da una parte la passione della gola da parte di Esaù 43 e dall'altra la sobrietà e la capacità di digiuno 44 di Giacobbe. Cosicché i due fratelli vengono additati come esempi di virtù da coltivare, di vizi da combattere, soprattutto la gola e l'intemperanza. Nel trattato De Paradiso si aggiunge anche, oltre alla gola, anche l'elemento della caccia come causa delle perdita delJa benedizione, attività non certo apprezzata dal vescovo di Milano, come dimostra anche il passo nell'esposizione sul Salmo 118 45

. Forse Ambrogio ereditò la concezione giudaica secondo la quale la caccia è frutto del peccato dopo il diluvio? Non vi è certezza nel poter affermare la dipendenza della concezione di Ambrogio dalla mentalità

non era possibile sotto entrambi gli aspetti, [essi intendevano] dare la precedenza a quello spirituale sull 'al­tro, perché la verità spirituale spesso si salva a prezzo, come potrebbe dire qualcuno, di una menzogna sul piano corporeo: come se noi dicessimo, allontanandoci dalla storia, che le parole di Giacobbe ad Isacco: "sono Esaù, il tuo primogenito", sono vere secondo il senso spirituale, in quanto [Giacobbe] aveva ormai ottenuto la primogenitura a cui il fratello aveva perduto il diritto, e aveva assunto l'aspetto esterno di Esaù per mezzo della sua veste e delle pelli cli capretto ed era divenuto Esaù ad eccezione della voce che benedice Dio, in modo che Esaù ricevesse la benedizione in secondo luogo».

41 Cfr. SIMONfffl 1985, p. 102. 42 Un cenno breve all 'episoclio di Esaù e Giacobbe lo si trova anche nel Contra Celsum 4,43, dove

Origene polemizza con il disprezzo dell'autore pagano per le narrazioni bibliche riguardanti le inside tra fratelli e le procreazioni fuori dall'ordine naturale, e anche in Homelia in Genesim 15,4, dove segnala le volte in cui Giacobbe è chiamato con iJ suo nome e non con l'appellativo "Israele". Secondo l'ermeneutica origeniana nomi diversi indicano diverse modalità di conoscenza di Dio.

43 Cfr. Ambr. paraci. 14,72 (traduzione di P. S1NJSCALCO, 1984, p. 157): «egli, che in precedenzaaveva venduto per la gola la sua primogenitura e che per amore della caccia nei campi aveva perduto la grazia della benedizione, giunse a credere che avrebbe potuto essere più buono in futuro, se avesse venerato il fratello come prefigurazione cli Cristo»; si veda anche Cain et Ab. 1,4,12; in psalm. 36,69.

44 cfr. Ambr. Hel. 11,39 (traduzione di F. GoR1, 1985, p. 79) «che cosa rese Esaù schiavo cli suo fratello? Non fu forse il cibo, dolce al momento, poi rivelatosi amaro? Che cosa rese Giacobbe padrone del fratello? Non fu forse il rifiuto del cibo, amaro al momento, salutare in seguito?»; si veda anche in psalm. 45,14; off. 1,24,111; lac. 2,1,4.

45 Cfr. Ambr. in psalm. 118 serm. 8,42, vedi n. 4.

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giudaica circa la priorità e la superiorità della coltivazione rispetto alla caccia, tuttavia nel trattato De Cain et Abel, pur applicando l'esegesi allegorica, non esita a dire che «Esaù era debole, perché desiderava un cibo cotto in acqua; un cibo inadatto per Giacobbe, che fu da lui offerto a chi era senza forza» 46

. Mentre Giacobbe, irrobustito e arrostito dalla parola di Dio fu innalzato per la sua fede salda, Esaù restò debole perché mangiò un cibo cotto in acqua. La significazione morale dell'episodio viene dall'accostamento del testo di Esodo (cfr. Es 12,9) circa la cottura dell'agnello con il cibo preparato da Giacobbe che lo rivela saldo nella fede perché corroborato dalla parola di Dio. Qui Ambrogio, anche senza fare riferimento esplicito, sembra rispettare i costumi giudaici, descritti nella Scrittura, assu­mendoli come prescrittivi e indicativi di una verità morale e spirituale sempre valida. Resta anche presente l'interpretazione salvifica dell'episodio, già inaugurata da Ireneo, riguar­dante il passaggio della benedizione dal popolo giudaico al popolo dei gentili, che per aver creduto in Cristo, ora sono considerati figli di Dio 47

Ambrogio così raccoglie come in un solo canale i molteplici rivoli delle interpre­tazioni antiche su Esaù e Giacobbe, fedele al principio alessandrino secondo il quale la Scrittura ha molteplici significati 48 e tutto l'Antico Testamento, in figura, parla di Cristo, della salvezza da lui portata, capace di educare l'uomo alle virtù, e della nuova economia che permette ai pagani di accedere al vangelo. Così, le regole riguardanti l'alimentazione, se nella Scrittura giudaica segnano un primo passaggio per definire l'identità del popolo ebraico, nell'era cristiana diventano esempio di come si devono vincere le passioni terrestri e un invito a nutrirsi della superiore benedizione ricevuta in Cristo.

46 Cfr. Ambr. Cain et Ab. 2,6,20 (traduzione di P. SINISCALCO, 1984, p. 281 ): «la tua fede deve essere provata nel fuoco e ardente di Spirito Santo. Giacobbe appunto cosse un piatto di lenticchie e strappò al fratello la benedizione della primogenitura, che si ottiene soprattutto con una fede salda. Il primo, dunque, robusto e vigoroso, era innalzato; il secondo, invece, che non sapeva cuocere il suo cibo, snervato e indebo­lito cadeva in basso. Pertanto la virtù della tua anima sia bruciata dalla parola del Signore come dal fuoco ... Perciò Esaù, dopo aver allentato i vincoli della sua virtù, restò disfatto; coloro invece, con i fianchi cinti, ai quali era stato comandato di mangiare il capo di un agnello non crudo né cotto nell'acqua, ma arrostito sul fuoco, come trovi nell'Esodo, con animo forte e fedele attraversarono i mari camminando a piedi. Anche il Signore Gesù mangiava pesci arrostiti, come è scritto nel Vangelo, e su cli lui ridondava la pienezza dello Spirito Santo. Forse per ciò Esaù era debole, perché desiderava un cibo cotto in acqua, un cibo inadatto per Giacobbe, che fu da lui offerto a chi era senza forza».

47 Cfr. Ambr. ln psalm J 18 serm. 13,15 (traduzione di P1zz0LAT0 1987, p. 73): «esaminiamo dunque i comandamenti di Dio, se vogliamo capire più degli anziani! Fuggiamo la strada infida dei peccatori, se vogliamo essere capaci di conservare le prescrizioni del Cielo! Lo rivela il seguito. Giacobbe, il fratello minore, ha capito più dell'anziano, perché, nel momento in cui l'anziano, Esaù, richiese- in forza della pri­mogenitura - il vantaggio della benedizione paterna, abbandonò le vivande più blande per andare in cerca di quelle selvatiche. Una volta partito quello per la caccia, il fratello minore ha indossato i suoi vestiti e li ha trasmessi a me, popolo di altre razze, obbedendo al consiglio della madre. Con quella veste di sapienza, che prima era stata proprietà del popolo dei Giudei, Rebecca ha rivestito me: la sua veste è buona: legge e profeti. Questo popolo fu svestito di questa veste e ne siamo stati rivestiti noi. Ce ne ha rivestito quella madre, la Gerusalemme che sta nel cielo. Ci accostiamo così al Padre, gli offriamo vivande più blande: i cibi della sopportazione, la bontà della misericordia, la soave dolcezza dell'intelligenza. Ecco che ricevo la benedizione, strappo al fratello più anziano il dono dello Spirito. Quello ritorna, si adira, non trova più nulla da ricevere; ci soccorre la madre e ci educa con il suo amorevole consiglio. Si trova da me quella veste tessuta di buoni comandamenti».

48 Cfr. SIMONETTI 1985, p. 282.

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MANGIARE LA BENEDIZIONE: REGOLE ALIMENTARI NELLA BIBBIA

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RIASSUNTO

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MANGIARE LA BENEDIZIONE: REGOLE ALIMENTARI NELLA BIBBIA

della fede la distinzione tra circoncisi e incirconcisi, mantiene tale distinzione tra il cibo puro e impuro per garantire un primato di Dio su tutte le cose. Segue poi una rassegna dei commenti patristici sull'episodio di Esaù e Giacobbe a partire da Ireneo, Tertulliano fino ad Ambrogio.

Parole chiave: cibo; benedizione; puro-impuro; Giacobbe; Esaù; caccia.

SUMMARY

EATLNG THE BLESSING: Fooo RULES IN THE BlBLE AND THE PATRlSTlC INTERPRETATJON OF GEN 25:29-34

The study deals with the food in the Bible starting from the tale of sold birtlu·ight by Esau to Jacob (Gen 25:29-34). lt follows an overview in the ali Bible about the relationship between man and food. The distinction between pure food and impure food is a strong identity marker far the Jewish people and it is applied also to the animals. In according to that, who eats fruits of the earth is closer to God's blessing than who takes food cooking and so modifying strongly the gift of God. The ancient Clu·istian community distinguishes impure and pure food in arder to maintain the primacy of God above the creation. At the end there is a short view of the patristic interpretation about the birthright sold by Esau to Jacob: Irenaeus, Tertullian, Ambrose.

Keywords: food; blessing; pure-impure; Jacob; Esau; hunting.

MAURIZIO GIROLAMI

Facoltà Teologica del Triveneto [email protected]

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