MANAGEMENT, ECONOMIA E POLITICA SANITARIA

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MANAGEMENT, ECONOMIA E POLITICA SANITARIA

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MANAGEMENT, ECONOMIAE POLITICA SANITARIA

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MANAGEMENT, ECONOMIA E POLITICA SANITARIAcollana della Fondazione Smith Kline

DIRETTORE

Marco Trabucchi

CONDIRETTORE

Nicola Raffa

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RAPPORTO SANITÀ 2000

L’Ospedale del futuro

a cura diNicola Falcitelli, Marco Trabucchi e Francesca Vanara

SOCIETÀ EDITRICE IL MULINO

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I lettori che desiderano informarsi sui libri e sull’insieme delle atti-vità della Società editrice il Mulino possono consultare il sitoInternet: http://www.mulino.it

ISBN 88-15-07664-6

Copyright © 2000 by Società editrice il Mulino, Bologna. È vietata lariproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresala fotocopia, anche ad uso interno o didattico, non autorizzata.

Gli autori del volume ringraziano Daniela S. Milani perl’intelligente e accurato lavoro redazionale.

Impaginazione a cura di Eurologos Milano.

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INDICE

Presentazione

Rapporto Sanità 2000: documento introduttivo, diSandro Albini, Achille Ardigò, Enrico Brizioli, MarcoCampari, Cesare Catananti, Claudio Clini, GiulianoCozzaglio, Luigi D’Elia, Luciano Di Pietra, NicolaFalcitelli, Claudio Galanti, Mariapia Garavaglia,Gianni Giorgi, Piero Micossi, Mauro Moruzzi, LeoNahon, Roberto Palumbo, Franco Provera, MicheleRomano, Girolamo Sirchia, Renzo Tellini, AngelaTesti, Marco Trabucchi, Francesca Vanara

PARTE PRIMA: L’EVOLUZIONE DEL RUOLO DELL’OSPEDALE

Nascita ed evoluzione dell’Ospedale: dall’ospitalitàalla organizzazione scientifica, di Cesare Catananti

L’Ospedale del futuro tra sistema e ambiente, diAchille Ardigò

Le trasformazioni demografiche ed epidemiologi-che e l’ospedalizzazione del futuro, di Eva Buiattie Daniela Balzi

La programmazione dell’assistenza ospedaliera, diFrancesca Vanara

Comunicazione e tecnologie telecomunicative, diMauro Moruzzi

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Modelli innovativi per le cure a lungo termine, diEnrico Brizioli

Il classico problema del rapporto fra “Ospedale eterritorio”, di Claudio Galanti

PARTE SECONDA: L’ORGANIZZAZIONE INTERNA OSPEDALIERA

La ricerca di un nuovo modello di ospedale, di PieroMicossi

Outcome e qualità nell’ospedale, di Marco Trabucchi

La riabilitazione trova collocazione nell’ospedale peracuti?, di Giuliano Cozzaglio

L’Ospedale ed i pazienti anziani: problemi clinicied organizzativi, di Renzo Rozzini e Tony Sabatini

L’esternalizzazione dei servizi, di Michele Romano

Programmazione, progettazione e realizzazionedelle strutture edilizie, di Roberto Palumbo

PARTE TERZA: L’OSPEDALE TRA UTENTI E PROFESSIONISTI

Identità e appartenenza nell’ospedale in trasfor-mazione, di Leo Nahon

L’ospedale a misura di persona, di Claudio Clini

Le professioni e l’ospedale, di Cesare Catananti

PARTE QUARTA: GLI STRUMENTI ECONOMICI E DI GESTIONE

Misure dell’efficienza tecnica e di scala dei serviziospedalieri, di Angela Testi

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Gli strumenti di management ed il controllo digestione, di Gianni Giorgi

Il finanziamento degli ospedali, di Sandro Albini

Salviamo i grandi ospedali pubblici, di GirolamoSirchia

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PRESENTAZIONE

Il quarto rapporto annuale della Fondazione Smith Klineaffronta il tema dell’ospedale alla fine di un complesso iter dilavoro e di studio. Non è però un’opera conclusiva, perché ilruolo dell’ospedale in tutto il mondo è al centro di un processodi trasformazione del quale ancora non si conoscono comple-tamente i connotati. Purtroppo – come evidenziato in piùparti nel volume – mancano punti di riferimento culturali,scientifici, epidemiologici per poter con sufficiente precisioneprevedere il futuro; nel frattempo abbiamo però l’obbligo digestire l’oggi nella maniera più razionale, per garantire allapersona che soffre un’assistenza moderna ed umana.

A tal fine le diverse parti del libro dedicano attenzione aiproblemi dell’organizzazione interna ed esterna dell’ospedale,perché nessuna riforma o evoluzione politica potrà togliere aquesta istituzione una centralità nel processo di cura, anchese equilibrata dalla presenza di servizi organizzati attorno allacasa del cittadino.

Ancora una volta i Rapporti della Fondazione Smith Klinesi inoltrano nelle problematiche più complesse e discusse dellasanità; lo scopo è – come in passato – sollecitare una discussio-ne intelligente e non partigiana per migliorare un servizio checosta molto, coinvolge numerosi operatori e spesso è impor-tante per ridare la salute o controllare le malattie.

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S. ALBINI, A. ARDIGÒ, E. BRIZIOLI, M. CAMPARI, C. CATANANTI,C. CLINI, G. COZZAGLIO, L. D’ELIA, L. DI PIETRA, N. FALCITELLI,

C. GALANTI, M. GARAVAGLIA, G. GIORGI, P. MICOSSI, M. MORUZZI,L. NAHON, R. PALUMBO, F. PROVERA, M. ROMANO, G. SIRCHIA,

R. TELLINI, A. TESTI, M. TRABUCCHI, F. VANARA(°)

RAPPORTO SANITÀ 2000:DOCUMENTO INTRODUTTIVO

1. Ripensare l’ospedale

I sistemi sanitari dei paesi industrializzati sono interessatida un processo di progressiva specializzazione dei serviziospedalieri, orientati verso un aumento della capacità di rispo-sta ad emergenze cliniche, problemi acuti, interventi diagno-stici e terapeutici ad alta complessità. Contestualmente, siregistra un progressivo aumento delle problematiche legate

(°) Sandro Albini: Amministratore delegato Poliambulanza, Brescia; AchilleArdigò: Commissario Istituti ortopedici Rizzoli di Bologna; Enrico Brizioli:Direttore sanitario Asl Jesi (An); Marco Campari: Partner responsabile HealthCare Consulting – Kpmg Consulting, Milano; Cesare Catananti: Direttore sani-tario Policlinico Gemelli, Roma; Claudio Clini: Direttore generale Aziendaospedaliera San Camillo Forlanini, Roma; Giuliano Cozzaglio: Direttore sani-tario, Casa di Cura Poliambulanza, Brescia; Luigi D’Elia: Direttore generaleAzienda ospedaliera S. Giovanni Addolorata, Roma; Luciano Di Pietra: Coordi-natore Settore autonomie locali e Federalismo Regione Lombardia; NicolaFalcitelli: Presidente della Fondazione Smith Kline; Claudio Galanti: Direttoregenerale Ospedale Careggi, Firenze; Mariapia Garavaglia: Presidente generaleCroce Rossa Italiana; Gianni Giorgi: Direttore generale Azienda ospedalieradi Parma; Piero Micossi: Gruppo Ospedaliero San Donato; Mauro Moruzzi:Direttore generale Cup 2000, Bologna; Leo Nahon: Primario Psichiatria,Azienda ospedaliera Niguarda, Milano; Roberto Palumbo: Facoltà di Architettu-ra, Università di Roma La Sapienza; Franco Provera: Ospedali Riuniti diBergamo; Michele Romano: Direttore generale Azienda ospedaliera – Istitutiospitalieri di Verona; Girolamo Sirchia: Primario Centro trasfusionale e di immu-nologia dei trapianti, Ospedale Maggiore Policlinico di Milano; Renzo Tellini:Direttore generale Azienda ospedaliera Ospedale di Circolo e Fondazione Mac-chi, Varese; Angela Testi: Facoltà di Economia, Università di Genova; MarcoTrabucchi: Università di Roma “Tor Vergata” e Gruppo di ricerca geriatrica,Brescia; Francesca Vanara: Fondazione Smith Kline, Milano.

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alla disabilità ed alle malattie croniche, che determina unadomanda crescente di servizi di assistenza a lungo termineed a basso contenuto sanitario. I due fenomeni possono essereconsiderati entrambi conseguenza dello sviluppo della scienzamedica, che impone di affrontare il problema della specializ-zazione tecnologica dell’ospedale del futuro e quello di orga-nizzare e gestire modelli di assistenza a lungo termine in am-bienti sempre più professionali.

Che cosa è dunque oggi l’ospedale? A che cosa serve? Po-trebbe essere considerata una domanda provocatoria, irri-spettosa del comune sentire e del lavoro di molti operatoriattenti e capaci, ma con delicatezza e senso della misura vaposta per aiutare la transizione dell’intero sistema sanitarioverso una vita nuova, nella quale l’ospedale trovi la propriacollocazione ottimale, che è il riflesso di una riconosciuta utili-tà sociale. Andare quindi a ricercare questa funzione rappre-senta un momento importante, che è necessario analizzarecon determinazione, anche se senza estremismi.

L’ospedale, nell’accezione oggi comunemente attribuita diluogo specialistico di cura, nasce appena due secoli fa. Primadi allora, l’ospedale era un generico contenitore della più di-sparata umanità: gente senza fissa dimora, emarginati sociali,poveri nel corpo e nello spirito, derelitti di ogni genere e certa-mente anche malati; a questa popolazione fragile l’ospedale dava,per l’appunto, come l’etimologia spiega, solo “ospitalità”.

Oggi, nell’era dell’high tech, della new age, del post mo-derno e delle biotecnologie, siamo anche nell’epoca dell’insuf-ficienza delle risorse rispetto ai bisogni, scarse le prime, cre-scenti i secondi, ed in questa spirale apparentemente senzauscita l’ospedale è il grande divoratore di risorse (non menodel 50% della intera spesa sanitaria del nostro Ssn). Non c’èpaese al mondo che non stia, ormai da anni, immaginando esperimentando per l’assistenza ospedaliera soluzioni innova-tive, da quelle di alta strategia economico-finanziaria, comefusioni, acquisizioni, creazioni di rete integrate, a quelle al-trettanto strategiche del business process reengineering. I ventidi tempesta che spirano forti oltre oceano arriveranno anchequi: per ora abbiamo avuto l’effetto dirompente dei Drg che,nel bene e nel male, hanno comunque generato l’esigenza di

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porsi la domanda di quanto costano le prestazioni ed inevita-bilmente stanno spingendo anche verso la ricerca di appro-priatezza delle cure.

In questo contesto globalizzato, l’ospedale è obbligato aripensare la sua funzione, la sua organizzazione interna e lasua stessa configurazione strutturale.

2. L’ospedale tra sistema sociale e ambiente

Non si deve mai assumere un sistema sociale solo comeun’identità autoregolabile per decisioni del management in-terno, vale a dire l’ambiente come coeteris paribus, e quantopiù un’organizzazione sanitaria risponde all’ambiente, deco-dificandone i bisogni espressi anche caotici, tanto più deveintegrarsi al suo interno.

L’analisi della fenomenologia degli ospedali come sistemisociali può avvenire secondo diversi livelli di approccio all’og-getto formale della ricerca. Il primo è quello dell’ospedalecome il sistema sociale, assunto nella sua unità e complessità:è a questo livello che si privilegia la ricerca dell’identità omission complessiva dell’ospedale rispetto alle sfide ambienta-li. Tale approccio implica attenzione privilegiata alla gestionesistema/ambiente sotto il profilo del management gerarchico,a partire dalla riverifica periodica della mission dell’aziendae delle prospettive di privilegiamento, in positivo e in negativo,del core business e dei processi di selezione della complessitàin riferimento alle sfide ambientali. L’approccio merita di esse-re approfondito qualora ci si attenda che l’ospedale sia sotto-posto ad uno sforzo significativo di autonomia imprenditorialee di cooperazione interna rianimata con grande flessibilità,per far prevalere le funzioni sulle strutture.

In questa direzione si sono mossi i trust hospital inglesiche hanno portato i segni distintivi della politica thatcheriana,prima delle critiche emerse anche in Gran Bretagna dopo lavittoria di Tony Blair. Lo sviluppo e il potenziamento dell’au-tonomia imprenditoriale di ogni ospedale pubblico (con enfasisull’aziendalizzazione) sono stati perseguiti in Italia con i D.lgs502/92 e 517/93, con risultati significativi di razionalizzazione

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delle unità produttive anche se per il permanere del peso ge-rarchico-normativo del governo centrale e regionale la distri-buzione risorse finanziarie non ha che parzialmente permessodi realizzare una effettiva autonomia aziendale degli ospedalipubblici. E’ stata così affidata alla riforma ter la revisionedella non realizzata spinta autonomistica e di competizioneamministrata ed uno degli obiettivi maggiori è ora promuoverela collaborazione fra i diversi soggetti sanitari pubblici.

L’approccio sistemico all’ospedale inteso come il sistemasociale a forte autonomia imprenditoriale non va tuttavia di-satteso, anzi va arricchito nel senso di esplicitarne il primatofunzionale, partendo dalla definizione e ridefinizione dellamission dell’azienda in rapporto ad obiettivi di miglioramentodello stato di salute della popolazione, con soddisfazione delpaziente. Infatti, se ciò non avviene, è inevitabile che prevalgal’obiettivo errato di continuare nella primaria difesa e crescitadelle strutture interne esistenti e dei relativi portatori di inte-resse. È solo la priorità delle funzioni, per la mission (ripreci-sata), che può portare il management del sistema a rivedere,anzitutto in sede di bilancio e di linee di azione, quelle stessestrutture quando si rivelino fuori o marginali rispetto al corebusiness del sistema.

Il secondo approccio è quello dell’ospedale come sottosi-stema di uno o più sistemi sociali più vasti. Comincia a diffon-dersi, in forme più o meno flessibili e strutturate, il modellodell’ospedale come uno dei nodi di una rete di area vasta el’ipotesi è che nel futuro prossimo le organizzazioni sanitariecomplesse tendano ad aprirsi alla pluralità flessibile di macro-sitemi sociali a rete in contesti ambientali regionali o all’internodi province e di città metropolitane. L’ospedale come partedi un tutto ha assunto di recente due modelli diversi:

a) sistema di forte (perché centralizzato) governo dei siste-mi ospedalieri pubblici, quale l’Assistance Publique Hopitauxde Paris e l’unico grande ospedale di rete pubblica degli StatiUniti, la Health and Hospitals Corporation di New York (checomprende 11 ospedali per acuti, 5 strutture di lungodegenza,6 centri sanitari territoriali – cui fanno riferimento i consultorifamiliari, i centri di assistenza domiciliare e le strutture diprestazioni diagnostiche strumentali –, 11 strutture per la

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medicina preventiva, 1 Hmo, 1 servizio di emergenza medica);b) sistema della cooperazione interaziendale ed interorga-

nizzativa che porta ad un gruppo multiospedaliero pubblicoe/o privato, con maggiori spazi di autonomia dei singoli nodiospedalieri. È a questo secondo tipo di sistema che può esseremeglio attribuito il modello di sistemi a rete (l’Agenzia Cata-lana della salute, per esempio, è un centro di acquisto pubblicocon responsabilità regionale che si avvale di 29 ospedali pub-blici e 38 privati non profit e for profit).

La spinta verso modelli multiospedalieri anche grandi, maflessibili, non è solo di tipo economico. Vi sono almeno altrequattro ragioni forti per prevedere nel futuro anche da noi laformazione di reti poliospedaliere: il superamento della sepa-razione tra pubblico e privato, tra gerarchia e mercato; il supe-ramento della separazione tra singolo ospedale e territorio diarea vasta; lo sviluppo della circolazione delle informazioni edelle conoscenze fra diversi punti o unità del sistema; la cresci-ta del ruolo delle regioni, fino alle soglie del federalismo sanita-rio basato sul federalismo fiscale. Già oggi forme preliminaridi rete interospedaliera si formano con gemellaggi tra regionie, a livello provinciale, non solo per città metropolitane, siintravede la tendenza consortile e di mediazioni compromis-sorie tra vari ospedali di un’area vasta per concordare tariffeprovinciali per Drg o per i flussi di mobilità interregionali(sempre in termini di Drg) e altri accordi per gestioni consortilidi servizi. Tale livello di rete di area vasta va naturalmentesempre più beneficiando dei supporti delle telecomunicazioni.

È individuabile anche un terzo approccio, ancora incipien-te, rappresentato dalla popolazione in cura sanitaria come si-stema sociale in fieri. È sperabile che nell’ospedale del futuroaumenti il peso del consenso informato degli utenti anche nel-le questioni gestionali più vicine ai bisogni dell’ospedalizzato.

3. La ricerca di un nuovo modello di ospedale

La struttura dell’offerta sanitaria e, in specie, ospedalieradeve essere organizzata in funzione del soddisfacimento deibisogni complessivi di salute della popolazione. A livello re-

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gionale e locale, in un quadro di assegnazione di risorse perquota capitaria (pesata), occorre anche garantire l’equilibrioeconomico fra i diversi campi di intervento. È , pertanto, ne-cessario valutare quale strategia di azione sia preferibile adot-tare: se, ad esempio, sia opportuno fissare tetti di spesa perlivelli assistenziali o se occorra, invece, una più incisiva politicaprogrammatoria delle strutture di offerta. Naturalmente, laprospettiva che fa capo alla programmazione sanitaria centraledeve tenere conto non solo dei bisogni accertati dai tecnici,ma anche delle domande avanzate dagli utenti e dei processidi aggiustamento di cui ai tre approcci menzionati nel par. 2.

La ridefinizione del modello di ospedale è evidentementenecessaria e, nello stesso tempo, di grande difficoltà, data an-che la resistenza che le professioni oppongono a qualsiasi ten-tativo concreto di revisione delle gerarchie professionali: nonpare comunque opportuno definire modelli astratti, qualiquelli che si generavano nei processi di programmazione sa-nitaria degli anni settanta.

Il sistema ospedaliero italiano presenta oggi una grandevarietà di strutture con funzioni e vocazioni non sempre ricon-ducibili a modelli predeterminati, anche in relazione alla so-vrapposizione di norme che dalla legge Mariotti (l. 132/1968)alla l. 833/1978 ai decreti di riordino hanno progressivamentericlassificato le strutture senza curare la riprogettazione fun-zionale della rete. La situazione venutasi a determinare nelcorso degli anni per ciascun territorio può essere assunta adiniziale punto di riferimento. Alcuni criteri da utilizzare nelladefinizione delle tipologie organizzative ed operative degliospedali sono individuati nel seguito.

• L’intensità di cura: è decisivo nella organizzazione di unospedale valutare a fondo il tipo di casistica trattata e quindiil tipo di domanda che ad esso si rivolge.

• La stratificazione dei tipi di casistica trattata: un ospedaleche abbia acquisito competenza e credibilità per particolariattività o casistiche va valorizzato e sviluppato all’interno di esse.

• L’accesso a tecnologie complesse all’interno di un siste-ma a rete o al contrario la necessità di dotarsi autonomamen-te della maggior parte di esse.

• Il dimensionamento operativo: l’analisi del case-mix e

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delle funzioni esistenti o da attivare va operato tenendo con-to della massa critica e della focalizzazione operativa (la grandedimensione organizzativa priva di focalizzazione e di carat-terizzazione va scoraggiata perché produce inefficienza).

• Il grande ospedale specializzato ha un senso solamentesulla grande dimensione territoriale e si giustifica con esigen-ze di concentrazione di casistiche di sperimentazione clinica;questo non deve tuttavia precludere la possibilità di ricorre-re ad ospedali specializzati di piccole dimensioni ed elevatafocalizzazione (ad esempio in campo cardiochirurgico).

• Il modello organizzativo: per le attività ad alta specialità,con basso requisito di continuità della cura e ad alto contenutoin tecnologia, a prevalente utilizzazione interna, il modellodipartimentale è di tipo verticale (cardiochirurgico, nefrouro-logico, ...); nei casi in cui esiste, invece, un forte requisito dicontinuità della cura, anche in presenza di alta tecnologia edi elevata specializzazione, è opportuno pensare a modelli più“comunicanti” col territorio (oncologia, malattie respiratoriecroniche, Aids, ...); per la bassa intensità di cura i modelli ope-rativi possono fare riferimento all’ospedale di comunità e con-finare con la nursing home con attività sanitarie incluse ed ilmodello organizzativo dovrebbe tendere alla “orizzontalità”.

• L’esigenza didattica non può determinare a propria misu-ra il dimensionamento e l’articolazione organizzativa: sonoproprio l’errata impostazione culturale e collocazione delladidattica a produrre modelli sbagliati e anacronistici per inuovi medici. Andrebbe quindi operata una riflessione sulcontenuto in didattica e sul rapporto specializzazione/modellidi servizio del medico nella società del nuovo millennio.

Gli aspetti rilevanti per arrivare alla definizione dell’ospe-dale del futuro sono rappresentati da:

– una riorganizzazione interna dei servizi assistenziali checonsenta di aggregare le attività, sfruttando tutte le sinergiepossibili in termini di integrazione clinica con al centro del-l’interesse il paziente;

– l’utilizzo comune, per quanto possibile, delle risorse (spa-zi, tecnologia, personale);

– la definizione di linee guida cliniche su cui costruire ipercorsi organizzativi;

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– l’integrazione, sempre sognata, dell’ospedale con i ser-vizi territoriali, per garantire al paziente la continuità dellecure e dell’assistenza ed all’ospedale di concentrarsi sulla suapiù specifica utenza;

– la ricerca della massima sintonia tra management e clinici;– una organizzazione snella e pronta, soprattutto cultural-

mente, a cogliere i cambiamenti in atto;– i controlli di qualità interni ed esterni.Per quanto riguarda l’organizzazione interna dell’ospedale,

per il futuro si propende per un’organizzazione di tipo dipar-timentale, in particolare per coinvolgere i medici nelle respon-sabilità gestionali. Inoltre, il numero delle specialità e dellesub-specialità mediche e chirurgiche è in continuo aumentoe solo l’interazione dei vari specialisti e sub-specialisti puògarantire ai pazienti un’assistenza moderna. Dal punto di vistaorganizzativo-gestionale il dipartimento consente di superarele barriere funzionali ed i “sequestro” di personale e di attrez-zature all’interno delle divisioni, che provocano inefficienzee relativi costi. Inoltre, l’attribuzione dei posti letto alle diversespecialità e sub-specialità tende a dilatare le degenze di relativioneri in un periodo in cui le moderne tecniche chirurgiche ele nuove metodologie organizzative consentono di contrarrei posti letto e di diminuire i costi di degenza. Anche dal puntodi vista della ricerca e della didattica, i vantaggi sono conside-revoli. Le integrazioni orizzontali, basate su criteri di aggrega-zione che tendono a ricostruire il percorso diagnostico-tera-peutico specifico del paziente, rappresentano la soluzione piùavanzata ed innovativa e hanno l’indubbio pregio di darecontinuità alle cure.

4. Dalla evidence based medicine agli outcome

Che cosa ha preso il posto dell’ospitalità come principaleatto ospedaliero volto a lenire il dolore ed a combattere lamalattia? Viene spontaneo pensare ai risultati delle cure, chein termine tecnico sono chiamati outcome e che, anche primadell’ondata di riflessioni più recenti, hanno costituito, negliultimi cinquanta anni, il motivo principale per il quale l’ospe-

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dale trovava la propria giustificazione sia verso il cittadinoammalato sia verso l’operatore. L’attività ospedaliera dovreb-be essere incentrata sul percorso che parte dalla evidence basedmedicine e arriva agli outcome, passando attraverso l’utilizza-zione di linee guida. Potrebbe sembrare un itinerario logico,ma è necessario tener conto di una serie di limiti che rendonoprecaria questa costruzione, fondata su una visione illumini-stica e non sempre realistica del dato scientifico e della suaconcreta applicazione al letto di ogni ammalato.

Non è sempre possibile, attraverso l’evidence based medi-cine, arrivare a declinare procedure precise per ogni ambitoterapeutico. Le gray areas of clinical practice sono ancora moltovaste: si dibatte se coinvolgono il 50% o più della prassi tera-peutica. Certamente, nonostante la crescita esponenziale deglistudi controllati, è difficile ipotizzare che nel prossimo futurosi possa arrivare ad una dimostrazione completa attraverso le“prove” di tutti gli atti terapeutici. Resta quindi a monte, pri-ma ancora di iniziare qualsiasi discussione sulla trasferibilitàdei dati dei grandi trials, un forte limite, cioè la non disponibi-lità di studi adeguati in ogni campo della medicina.

Subentra poi il problema delle linee guida, fondate sulleprove: mille sono gli aspetti applicativi critici, che vanno dauna certa mentalità luddistica dei medici all’incapacità dicogliere il significato positivo di strumenti standardizzati, chenon devono limitare la specificità o la sperimentalità di ogniatto clinico, ma rappresentano sempre un’utile indicazionedi fondo. La capacità di comprendere fino in fondo la storiaclinica ed umana del paziente non deve necessariamente essereschiacciata all’interno degli “stampi” predisposti dallaevidence based medicine: il rapporto è fortemente dialettico emutuamente arricchente.

Infine, se per alcuni settori dell’attività ospedaliera l’out-come è chiaro ed indiscutibile – il raggiungimento di una dia-gnosi, la guarigione dopo un intervento chirurgico, un attodi pronto soccorso di fronte a situazioni patologiche tempora-nee ma gravi – per molti altri è invece più difficile arrivarealla dimostrazione di un risultato, anche qualora la culturadelle misurazioni oggettive avesse trovato un fondamentoconcreto ed abituale. Lo sviluppo, per quanto ancora troppo

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lento nel nostro Paese, della medicina generale ha sottrattoall’ospedale una serie di atti diagnostico-terapeutici risolvibiliattraverso le attività distrettuali: si arriva quindi al ricoveroper problemi non diagnostici e non chirurgici soprattutto conuna casistica molto complicata, prevalentemente cronica, perla quale è difficile identificare un processo di guarigione.

La valutazione dell’attività svolta deve considerare ancheelementi di customer satisfaction, umanizzazione e qualità dellavita, al di là di quella sorta di illusione tecnicistica che ritienepossibile definire once and for all criteri di appropriatezzabasati sulla misura degli outcome, oggettivi e fondati epidemio-logicamente: occorre considerare che i cittadini hanno unapropria visione di benessere e di salute e tenderanno semprepiù a negoziare con i medici e con gli erogatori di prestazioniquello che intendono acquisire.

Per quanto riguarda le grandi aree di attività, i compitidiagnostici dell’ospedale del prossimo futuro dovrebbero ve-nire espletati in un ambito organizzativo che permetta un’in-tensità molto elevata, con limitatissimi spazi morti (12 ore algiorno, per 7 giorni alla settimana). Ciò comporta che anchechi è responsabile del caso sia disponibile con orari ampi esia in grado di compiere rapidamente sintesi e delineare strate-gie (è quindi importante che vi sia un reale lavoro d’équipenella gestione del singolo paziente). Una degenza di tre giornidovrebbe risolvere in un ospedale di medie dimensioni la stra-grande maggioranza degli interrogativi clinici. In questa pro-spettiva, le strutture diagnostiche (laboratorio, imaging, anato-mia patologica, ecc.) rappresentano il cuore dell’ospedale equindi non è opportuna l’ipotesi di esternalizzare questi servi-zi: al contrario, le esigenze di rapidità e di incisività impongonoun coinvolgimento dei tecnici che va molto al di là della stesuradi un referto cartaceo (o su rete).

L’altro grande settore dell’ospedale è quello chirurgico ostrumentale in senso lato (endoscopia, radiologia interventi-stica, ecc.). Si tratta di un ambito altamente tecnologico, carat-terizzato da un rapido turn-over delle attrezzature, in gradodi portare a risultati misurabili in tempi definiti. Naturalmen-te, l’outcome non è indipendente dall’appropriatezza degliinterventi, anzi, un controllo rigoroso degli stessi potrebbe

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mettere in luce abusi, sprechi, malpratiche, costituendo unasorta di indirizzo del sistema che altrimenti rischia di autogiu-stificare se stesso e le proprie scelte (giuste o sbagliate) soloin nome dell’efficienza tecnologica. Chi debba essere titolaredi questo diritto-dovere di controllo in Italia resta ancora unpunto oscuro; si dovrebbe con moderazione cercare un puntodi incontro tra il sistema sanitario nel suo complesso e glioperatori addetti, in modo da raggiungere consensualmenteun buon livello di verifica dei risultati ottenuti in pazienti cheeffettivamente necessitino di uno specifico intervento.

Per quanto riguarda il settore medico, l’ospedale deve at-trezzarsi soprattutto sul piano della cultura degli operatori,l’unico patrimonio in grado di migliorare significativamentela qualità dei risultati clinici. In questo caso è importanteimpostare una terapia anche se non è possibile misurarne tuttigli outcome nel breve periodo della degenza: l’outcome vaspesso misurato su parametri di lungo periodo e quindi occor-re seguire il paziente nei suoi itinerari di vita, talvolta anchecomplessi, come è complesso lo stile di vita di molti ammalaticronici. Ciò pone la necessità che l’ospedale sia inserito inuna rete di servizi che seguono il paziente nella sua storianaturale ed è critica la decisione se la fase post-ospedalieradebba essere controllata dall’ospedale stesso o possa essereinvece affidata ad altre realtà del sistema. La soluzione piùrazionale dovrebbe prevedere un network di comunicazionimolto articolate, per cui l’atto intraospedaliero viene vissutoanche al di fuori come momento di un continuum e l’outcomeviene quindi misurato per unità di tempo, indipendentemen-te da dove sia avvenuta la decisione terapeutica.

Questi tre filoni principali di attività ospedaliera devonotrovare una modalità di convivenza non occasionale all’inter-no della stessa struttura. È importante ricercare un outcomecomune ed un ruolo specifico deve essere giocato dalla diri-genza dell’ospedale per trovare un equilibrio tra le diversecomponenti al fine di collegare stabilmente il lavoro clinicocon le premesse culturali e con la dimostrazione dei risultati.

L’intero processo clinico può essere configurato in unoschema a matrice, come trasversale o longitudinale rispettoad una serie di afferenze verticali costituite dai servizi di labo-

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ratorio, radiologia, consulenze, risorse tecnologiche utilizzate(sale operatorie, strumentazione diagnostica). Si realizza cosìl’equidistanza della committenza clinica rispetto a tutte le ri-sorse ed a tutte le competenze disponibili, teoricamente con-siderando ugualmente accessibili sia quelle interne sia quelleesterne all’ospedale. Questo modello, che realizza la continuitàdi cura ed è costruito attorno ad un “padrone del processo”(owner of the process) richiede una struttura informativa e dicontrollo disegnata in modo da consentire la gestione delletransazioni unitarie determinate dalla identificazione del pro-cesso clinico in corso e, quindi, che almeno probabilistica-mente i percorsi clinici siano riconducibili e sovrapponibiliin un quadro di sufficiente standardizzazione.

5. I nuovi professionisti dell’ospedale

Il problema fondamentale di ogni organizzazione, ovverocome raccordare le motivazioni individuali agli scopi del grup-po, si pone per l’ospedale in modo particolarmente impor-tante. Inoltre, il vissuto soggettivo degli utenti si intreccia conquello degli operatori ed il governo del personale ha effettidiretti sull’utenza, cosicché occorre promuovere identità edappartenenza degli operatori in modo che essi contribuisca-no in parallelo a rafforzare identità ed appartenenza degliutenti e più tecnologico è l’ospedale, più deve essere ricco dicapacità di accoglienza, accompagnamento, sostegno.

In generale, le professioni di aiuto si fondano su un’elabo-razione complessa dell’istinto materno: la spinta all’accudi-mento della prole si mescola al desiderio ed alla tensione ver-so un sistema sociale più giusto, il tutto spesso fortementeidealizzato.

L’evoluzione della tecnologia ed i cambiamenti nelle aspet-tative dell’opinione pubblica hanno messo profondamentein crisi il modello professionale tradizionale in quanto negliospedali si è sviluppata sempre di più una infrastrutturaorganizzativa, di comunicazione e di controllo, che funzionacon logiche proprie autonome, che stabilisce una relazionecon il pubblico e relazioni contrattuali con le istituzioni prepo-

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ste al finanziamento delle attività sanitarie, in base a modelliculturali e di management non affini alla cultura professiona-le del medico. Di qui nasce la frizione, quando non il conflitto,fra l’attività dei singoli professionisti, che si percepisconocome espropriati della propria autorità sull’organizzazione,e gli obiettivi e la mission che la struttura aziendale (ormainon più solamente burocratica) percepisce come propri. Que-sto processo di progressivo e conflittuale adattamento dellacultura dei professionisti medici a quella aziendale richiedein primo luogo che i medici accettino di condividere nell’orga-nizzazione la propria cultura e di consentire l’operare di pro-cessi di standardizzazione delle scelte cliniche.

Il modello teorico ideale dell’organizzazione professionalemoderna è quello in cui l’informazione, coniugata alla respon-sabilità, sostituisce la gran parte dei meccanismi autoritari eburocratici di controllo. L’informazione e la comunicazione,in un sistema di conoscenze che tendono ad essere semprepiù esplicitate e condivise, permettono di orientare il compor-tamento dei professionisti agli obiettivi strategici dell’azienda,quindi anche all’efficacia ed all’efficienza. Diventa dunqueessenziale all’interno dell’azienda non solo che i singoli indivi-dui siano in grado di trattare informazioni non inerenti lapropria conoscenza, ma ancor più che tutta l’organizzazionesia in grado di discriminare le informazioni necessarie al con-seguimento degli obiettivi aziendali, in primis quello dellasoddisfazione dell’utente.

Il medico suscita ancora rispetto, ma non adorazione e sista scoprendo meno amato e, soprattutto nell’organizzazioneospedaliera, “controllato”. La cosa è comune in tutto il mon-do, ma è sentita con maggiore acuzie negli Stati Uniti, dovele potenti assicurazioni e gli ospedali non possono sopportaresprechi, pena la loro sopravvivenza, e allora la polemica infu-ria, a volte in modo paradossale. Ma anche i pazienti si difen-dono: i contenziosi per malpractice sono in ascesa vertigi-nosa, le associazioni a tutela dei malati con l’occhio semprepiù vigile e gli studi legali alla caccia di pazienti da proteggeree di assicurazioni da spremere.

L’ospedale del futuro potrebbe prevedere non più una solaresponsabilità della gestione dei casi nel primario, ma una

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responsabilità più frammentata fra i medici dirigenti di primolivello, sulla base della loro competenza professionale e dellascelta operata dagli ammalati del proprio medico curante.Perché questo possa funzionare è necessario attribuire al pri-mario una funzione di coordinamento delle politiche dellaqualità, di guida nella definizione dei protocolli di cura pre-valentemente adottati, di revisione critica dell’attività svolta,ma non di responsabilità diretta ed esclusiva sulla diagnosi esulla terapia. Inoltre, potrebbe non essere utile che al prima-rio siano attribuiti la responsabilità e il controllo sull’uso del-la infrastruttura di degenza e del lavoro non medico (i letti,l’infermiera, il lavoro infermieristico). La separazione delcontrollo delle risorse strutturali dal controllo del processoclinico consente di progettare il ciclo clinico sulla base dellaintensità di cura che si intende erogare all’ammalato nellediverse fasi più acute, successivamente decrescente sulla basedella effettiva necessità, e di gestire in modo flessibile gli or-ganici infermieristici, attribuendo all’unità di cura la quanti-tà di assistenza all’ammalato richiesta in ciascun giorno, senzala rigidità imposta dall’organico di reparto.

Accanto alle storiche e tradizionali professioni del medicoe dell’infermiere, ormai vecchie e nuove figure si accalcanosulla scena ed ognuna con il suo bagaglio di vissuti, di prospet-tive, di recriminazioni, di richieste. Reclamano spazi e fannosentire la loro voce biologi, chimici, fisici, psicologi, ingegne-ri, architetti, avvocati, fisioterapisti, tecnici di laboratorio,tecnici di radiologia, economisti, bioetici, esperti di marketinge di comunicazione, ecc. La necessità di immaginare e di at-tuare nuovi assetti organizzativi che consentano di ottimizzarele risorse facilitando al contempo il percorso di cura del pa-ziente è condivisa, ma quando si tenta di modificare quegliassetti quasi tutti calcolano in termini personalistici e di po-tere quali vantaggi o problemi il “nuovo” può comportare. Esiccome in genere il nuovo fa paura, le resistenze vengonofuori, a volte rozze, più spesso sottili e non per questo menoinsidiose. Se tutto ciò è umanamente comprensibile, non èpiù economicamente ed organizzativamente accettabile.

L’ospedale del futuro dovrà vedere (e già si comincia)un’integrazione sempre maggiore tra le professioni sanitarie

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e quelle amministrative, superando una scissione del tuttoanacronistica. Che i sanitari siano sempre più investiti divalenze amministrative è realtà già in atto; sempre più dovràavvenire che gli amministrativi vengano inclusi nella mentalitàdella presa in carico della salute dell’utente come proprio spe-cifico compito per gli aspetti di pertinenza, con una operazio-ne di fusione culturale in cui un sapere ne irrora un altro e neviene di ritorno irrorato.

L’impegno professionale richiesto nell’ospedale del futurodeve arricchirsi delle nuove valenze che caratterizzano il lavoronell’ospedale di oggi: lavorare per processi e per obiettivi,integrare le professionalità e ricercare la qualità.

6. L’assistenza a lungo termine

L’assistenza a lungo termine costituisce oggi, nella granparte delle regioni italiane, un’area di forte criticità, non soloper la fragilità dei pazienti coinvolti, ma anche per la penaliz-zazione che la carenza di servizi pone all’efficienza gestionaledell’attività ospedaliera. L’evoluzione della maggior parte dellemalattie verso la cronicità richiede l’introduzione di approccimiranti a mantenere la continuità di una cura a bassa intensitàquale elemento trainante di precise scelte organizzative. Te-nendo anche conto del fatto che la maggior parte delle pato-logie croniche richiede la integrazione di competenze diver-se, in parte non mediche e in parte non sanitarie, tali patologiedovrebbero essere prevalentemente trattate fuori dall’ospeda-le, pur dovendosi garantire anche ad esse un accesso a tuttala migliore tecnologia e competenza professionale.

È possibile distinguere strutture di assistenza a lungo termi-ne specializzate, di intervento clinico, da strutture di taglioprevalentemente alberghiero-assistenziale. Alcune delle primepotrebbero essere realizzate anche in ambiente ospedaliero,sebbene le loro caratteristiche organizzative impongano unanetta separazione dalle aree di degenza per acuti. In ogni caso,non sussistono controindicazioni alla loro realizzazione instrutture extraospedaliere, purché venga garantita la necessa-ria disponibilità di servizi diagnostici e di consulenze speciali-

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stiche. Valutazioni relative alla disponibilità di spazi ed allaorganizzazione dei servizi generali potranno condizionare divolta in volta le scelte, anche se la tendenza internazionaleappare chiaramente quella di individuare luoghi specializzatiper il long-term care in strutture nettamente distinte dai presidiospedalieri per acuti. Un modello intermedio può essere quel-lo del country hospital, dove la coesistenza di servizi sanitaridiagnostico-terapeutici per acuti ed attività di lungodegenzapuò trovare una soluzione ottimale ed un vantaggio nell’usorazionale dei servizi comuni.

È necessario, inoltre, prevedere la diffusione di strutturedestinate alla gestione professionale di specifici problemi,come hospice per i pazienti neoplastici, nuclei assistiti specialiper pazienti Alzheimer, strutture per pazienti con comi pro-lungati. Il problema del collegamento di queste strutture conil sistema ospedaliero è di tipo sia strutturale che organizza-tivo: se la loro localizzazione più adeguata appare fuori dall’o-spedale, è strategico che esse mantengano con l’ospedale unaconnessione funzionale, nell’ambito di programmi di diseasemanagement che garantiscano continuità assistenziale, appro-priatezza delle cure e garanzia dei livelli assistenziali necessari.

Per quanto riguarda il ruolo da riservare alla riabilitazione,anche alla luce delle nuove linee guida del ministero dellaSanità, tre fenomeni potrebbero essere incentivati: l’inseri-mento in ospedali ad alta intensività delle riabilitazioni adaltissima specialità; la qualificazione ospedaliera per processidi riabilitazione intensiva per patologie gravi (con strutturemono o polispecialistiche); i processi differenziativi con enfasiextra-ospedaliera per la riabilitazione estensiva ed intermedia.Tali fenomeni sono destinati ad accentuare sia l’integrazioneinfraospedaliera (diagnosi, terapia medica o chirurgica, riabi-litazione ad alta intensività) per gli ospedali ad alta specializ-zazione sia la territorializzazione delle cure, anche con suppor-ti da parte dei centri di eccellenza ospedaliera.

La riabilitazione intensiva ad alta specialità e, in particolare,le unità spinali e le unità per le gravi cerebrolesioni acquisiteper i traumi cranio-encefalici sono necessariamente collocatenegli ospedali high tech. Poi, con l’eccezione di alcuni centri incui “l’evento malattia” viene gestito in maniera completa,

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come potrebbe essere, ad esempio, un centro ortopedico incui all’intervento protesico segue la fase riabilitativa. General-mente, nell’ospedale per acuti dovrebbero essere collocatisoltanto tipi particolari di riabilitazione, ossia quelli che richie-dono competenze plurime che solo in una struttura polispe-cialistica possono essere presenti. Tutto il resto della riabilita-zione, che rappresenta numericamente la quota maggiore,dovrebbe invece trovare una giusta collocazione in centri ditipo riabilitativo, separati, seppure in stretto collegamento,con l’ospedale (o gli ospedali) per acuti di riferimento.

Le strutture lungodegenziali dovrebbero avere uno strettocollegamento con il territorio, interfacciandosi con i medicidi medicina generale e con l’assistenza domiciliare integrata,in quanto il ricovero in lungodegenza non dovrebbe, tranneeccezioni, essere un ricovero a vita, bensì rappresentare unmomento assistenziale nell’ambito di una malattia cronica,fermo restando che l’opzione più opinabile per la gestione ditali malattie resta quella domiciliare.

In chiusura di questo paragrafo, si ricorda che la storiadell’ospedale psichiatrico e delle critiche cui è stato sottopo-sto è emblematica di un tragitto che vide l’ospedale come unmodello di ospedale del futuro e che lo portò in un ciclo stori-co relativamente breve a diventare un ospedale superato einaccettabile anche nelle sue trasformazioni. L’ospedale delfuturo della psichiatria è il non ospedale, la solubilizzazionenel territorio di gran parte dell’assistenza che si volgeva entrole mura. L’interruzione è trauma specie quando si somma allamalattia, la distanza diventa silenzio comunicativo, l’essereoggetto di attenzione medica può essere fonte di passività.Alla fragilità momentanea che porta il paziente dentro le muradel presidio rischia di aggiungersi la fragilità suscitata dall’in-terruzione dei legami naturali. La filosofia dell’ospedalizzazionea domicilio si è fin dall’origine appoggiata su assunti di conti-nuità, oltre che su considerazioni economiche, e il timore chel’ospedale come complesso istituzionale totalizzante mortifi-casse la soggettività dell’utente (rendendo tra l’altro meno effi-caci le cure stesse) ha spinto in passato e spinge tuttora allaricerca di alternative. Alternatives è diventato un capitolo fis-so non più solo dei congressi o delle riviste di psichiatria, ma

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anche di quelle di ostetricia, pediatria, oncologia, geriatria,ecc. L’invenzione di un setting alternativo all’ospedale serveanche per prevenire la fragilità indotta dall’ospedale stesso.

7. Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione

Nell’ospedale del futuro assumeranno un ruolo determi-nante le strategie di comunicazione. Lo sviluppo della comuni-cazione (e delle tecnologie comunicative) costituirà l’elementocaratterizzante del grande processo riorganizzativo che ha co-me meta il nuovo ospedale: un ospedale che ospedalizza unnumero minore di pazienti, che mette in rete le macchine, lecompetenze cliniche, i bisogni di assistenza sanitaria speciali-stica.

Lo sviluppo impetuoso delle tecnologie telecomunicative(informatiche, telematiche) ha posto negli ultimi anni le pre-messe per una rivoluzione nei sistemi di comunicazione delsettore sanitario. Anche se le tecnologie forniscono, già dadiversi anni, gli strumenti per questa rivoluzione comunicativanell’assistenza ospedaliera, il processo innovativo nei sistemicomplessi come l’ospedale necessita di stimoli ben più fortidi quelli che possono derivare da semplici disponibilità tecno-logiche. E soltanto oggi, di fronte a segnali preoccupanti dicollasso economico-produttivo dei grandi ospedali, o di granparte di essi, prende seriamente corpo un’esigenza di profondainnovazione che porta a rivedere tutto l’impianto dell’istituzio-ne ospedale.

Il modello di rete di riferimento per un moderno sistematelecomunicativo ospedaliero non può essere una rete verticaledove il “decisore” controlla tutto, teorizzato dalle burocraziesanitarie, ma quello della rete Internet e dei sottosistemi libera-mente gestiti, senza forme di controllo istituzionale: il modellodi rete sussidiaria offre maggiori opportunità, costi minori emaggiore efficienza, meno burocrazia rispetto al modello ge-rarchico; trattandosi poi di reti che devono intervenire nelprocesso di riorganizzazione dell’ospedale, e quindi nell’ambi-to di un disegno di decentramento e deospedalizzazione, nonsarebbe proponibile un modello di rete centralizzato.

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Un progetto di riorganizzazione dei grandi ospedali italia-ni, caratterizzato nel senso dell’innovazione incrementale edella contaminazione tra sviluppo delle tecnologie e innova-zione politico-organizzativa, dovrà essere innanzitutto unprogetto comunicativo. L’utilizzo delle tecnologie dovrà costi-tuire l’elemento di supporto (o di condizionamento per il co-sto delle tecnologie e per la loro disponibilità sul mercato)del progetto comunicativo e può essere articolato nelle se-guenti otto aree:

– informazione agli utenti;– accesso e accoglienza degli utenti;– interazione con la domanda organizzata;– governo delle risorse (per la visibilità complessiva delle azio-

ni di governo delle risorse e dei processi produttivi sanitari);– messa in rete delle competenze mediche e scientifiche

(l’ospedale virtuale);– deospedalizzazione (in funzione dell’ospedale decentrato

attraverso il teleconsulto, la teleassistenza, ...);– informatizzazione dei percorsi clinici di diagnosi e cura;– sistema comunicativo dell’emergenza.Tali aree comunicative devono essere integrate attraverso

più sistemi “democraticamente” dialoganti tra loro, non gerar-chici, ma dotati di una loro autonomia, secondo criteri diparsimonia informativa (criteri di selezione delle informazionigestite, delle utenze, del contenuto informativo dell’organizza-zione), in un contesto di disseminazione di conoscenza esplici-ta, standardizzata in unità di misura e riconoscibile in modounivoco da tutta l’organizzazione.

Un aspetto saliente del rapporto tra sottosistema ospedalieroed ambiente umano è costituito dalla considerazione di infor-mazioni e comunicazioni tra offerta e domanda di prestazioniassistenziali. Si registra l’esigenza di output relazionali tra am-ministrazione ospedaliera da un lato ed utenti e loro aventicura informali dall’altro. Questo tema, così centrale nell’ap-proccio sistema/ambiente, è destinato ad orientare mutamentisignificativi in certi ospedali specialistici, a coltivare rapportiistituzionali esterni, con medici di famiglia, specialisti in ospe-dali locali ecc., e ciò non solo per via delle nuove esigenze dimarketing anche sociale che l’ospedale deve assolvere.

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Queste argomentazioni confortano anche la considerazio-ne che sarebbe errato un approccio separato, tutto autorefe-renziale all’ospedale, anche di quello di eccellenza mono-oli-gospecialistica, rispetto al restante territorio, pure oltre lo strettobacino di utenza: l’ambiente dell’ospedale sarà sempre menopassivo (si pensi alla crescita della prevenzione e dell’interessepersonale del paziente alla cura), specie al crescere del livellodi istruzione e di reddito dei pazienti. La configurazione dell’o-spedale del futuro, basata essenzialmente sul decentramento esulla deospedalizzazione, richiede un potenziamento della ca-pacità di collegamento interno-esterno (teleconsulto, teleassi-stenza, ecc.) ed una diversa forma di aggregazione delle varieunità di produzione sanitaria, che non vivono più in interazionecon un ambiente chiuso (l’ospedale tradizionale), ma con unnumero pressoché infinito di altre esperienze e competenze.

8. La progettazione, la realizzazione ed il finanziamento dellestrutture edilizie

La configurazione morfologica, funzionale e tecnologicadell’ospedale non è mai riuscita a tenere il passo delle modifi-cazioni di ruolo e funzioni che per esso via via si andavanodefinendo. L’ospedale non può continuare ad essere conside-rato, in termini edilizi e tecnologici, come un corpo separato,prodotto di un sapere tecnico e pertanto del tutto autonomo,ma, identificato come sottosistema del sistema società, di con-tinuo soggetto alle sfide che vengono dal suo ambiente e dalsistema societario complessivo, dovrebbe registrarne costante-mente e puntualmente le linee di tendenza evolutive. Questatesi è confermata dal fatto che la morfologia edilizia dell’ospe-dale è andata nel tempo continuamente modificandosi, an-che se i cambiamenti non sono mai stati contestuali e dellastessa portata del fenomeno che li ha prodotti.

La struttura ospedaliera ha sempre inseguito, e con moltoritardo, le modificazioni sociali che via via si andavano regi-strando, subendo le nuove regole di una società che nel suocomplesso si modificava, piuttosto che anticiparla (e forsesupportarla) attraverso più aderenti spazi e volumetrie sugge-

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riti dall’evoluzione delle tecnologie diagnostiche e terapeu-tiche. Di qui l’esigenza di recuperare il ritardo e di configurarefinalmente l’ospedale non certo come ospedale del futuro,quanto invece almeno come ospedale di oggi, concretamenteancorato alla sua specifica realtà.

Fra i nodi mai risolti, vi sono la cronica carenza di finan-ziamenti pubblici o la distorta utilizzazione dei finanziamentiquando disposti, le inefficienti modalità di erogazione,l’arcaicità di tutto il sistema di distribuzione delle risorse inconto capitale ed il mancato e conflittuale rapporto fra chideve realizzare l’ospedale: la committenza, il progettista e l’im-presa. L’ospedale deve essere strutturato come prodotto dipiù saperi, fra loro disciplinarmente anche distanti, che coe-rentemente ed organicamente interagiscono. Il vero proble-ma rimane comunque quello della scarsezza dei finanziamentipubblici in conto capitale e, a tale proposito, occorre defini-re specifici progetti finanziari che promuovano:

– un modo radicalmente diverso nella erogazione dei fi-nanziamenti pubblici, ad esempio creando un “fondo di ro-tazione” che per la sua stessa natura responsabilizza la com-mittenza, accelera le procedure, offre certezze;

– l’intervento di capitali privati;– l’alienazione e/o la permuta del patrimonio immobiliare

dismesso;– una intelligente riorganizzazione funzionale e ristruttu-

razione tecnologica del parco ospedaliero. Esiste un vasto pa-trimonio edilizio ed artistico di ospedali da riutilizzare e tutela-re, talvolta da valorizzare come risorse storico-culturali piutto-sto che ricorrere alla “scorciatoia” (che poi tale non è) dellaedificazione ex novo: si tratta di operazioni complesse, per lequali, dovendo necessariamente intervenire per “comparti”,si deve seguire una coerente e rigorosa ottica di ristruttura-zione globale nel quadro di una puntuale programmazione(anziché intervenire sulle strutture ospedaliere esistenti attra-verso ristrutturazioni “a pelle di leopardo”, viste come rispostatampone ad una costante emergenza);

– la gestione esterna dei servizi non strettamente sanitari;– l’affitto (e non l’acquisto) di costose attrezzature dia-

gnostiche e terapeutiche.

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Tale articolazione di iniziative può trovare una sua organi-cità in un ben calibrato project financing, formula che prevedeil conferimento da parte dell’ente pubblico ad una società dioperatori economici (costruttori e gestori dell’iniziativa) dellaconcessione a realizzare e gestire l’opera per un certo nume-ro di anni, ove la principale fonte di rimborso del finanzia-mento è rappresentata dal flusso di cassa dell’iniziativa.

9. Gli strumenti di management ed il controllo di gestione

L’ospedale del futuro può crescere in innovazione e inumanizzazione insieme con la crescita di un management pub-blico che viene scelto in relazione alle sue capacità gestionali,alle conoscenze ed ai risultati dimostrati come costruttore egestore di servizi ed in particolare di servizi sanitari appro-priati e coerenti con gli obiettivi di salute che, politicamente,una società locale e regionale si è posta, con le sue istituzionidemocratiche.

Occorre ridare al paziente quella centralità che lo rendel’oggetto privilegiato dell’azione e porre l’enfasi su un sistemadi controllo e programmazione tutto rivolto a verificare con-tinuamente gli obiettivi ed a rimettere a fuoco il prodotto daassicurare: la tutela della salute o la qualità possibile dellavita della persona.

Gli strumenti e le tecniche di direzione, in particolare dellagestione per processi e della relativa analisi e controllo attra-verso la gestione integrata delle attività (activity based mana-gement e costing), vanno pensati o riprogettati con questoobiettivo e rappresentano senz’altro la linea di lavoro più pro-mettente per supportare nell’ospedale una forte governanceclinica a livello di dipartimento.

In questo quadro i percorsi diagnostico-terapeutici rappre-sentano l’unità di osservazione e di analisi nella loro fattualitàquotidiana: sono un modo per portare avanti secondo un mo-dello positivo (osservativo) il controllo di gestione del lavoroospedaliero, ma anche per assumere un modello normativo(dover essere) di riferimento da utilizzare per migliorare oscegliere il percorso da adottare sulla base di verifiche statisti-

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camente significative. La descrizione dei percorsi diagnostico-terapeutici consente di arrivare a percorsi di riferimento pergiungere alla esplicitazione delle modalità con le quali gestireil singolo paziente al fine di perseguire una migliore program-mazione delle attività interne a ciascun centro di responsabilitàed una migliore integrazione tra tutti i settori dell’ospedale.

Lo sviluppo del controllo di gestione (monitoraggio e valu-tazione sistematica del rapporto risorse/risultati a livello diospedale e di ciascuna sua componente organizzativa) è allabase di un ospedale non autoreferenziale e capace di valorizza-re le responsabilità per risultati dei suoi professionisti attraver-so un adeguato sistema premiante (percorsi di formazione,vincoli, incentivi). Pertanto, tutte le linee di produzione do-vrebbero essere coinvolte nel sistema di controllo di gestione,ed anzi esserne protagoniste, per disporre di una guida perobiettivi, sviluppare capacità di problem solving, migliorare everificare le procedure di reporting. Inoltre, le metodologiecomuni di lavoro nei settori critici dovrebbero essere oggettodi sistematici interventi di verifica interna (audit) ed esterna.

Per restare sul mercato e competere ad armi pari con ilprivato il grande ospedale pubblico deve rimanere sotto con-trollo pubblico, ma operare con le regole del diritto privato.L’utilità della privatizzazione delle regole, non della proprietà,è tale da garantire ad una grande struttura ospedaliera quellaflessibilità nella gestione e quella rapidità nell’esecuzione delledecisioni che solo il codice civile può consentire. Le relazioniaziendali e la gestione delle risorse umane possono trarre gran-di vantaggi da una operatività liberata dai vincoli pubblicistici.Così, la contrattazione aziendale può definire una strutturadelle retribuzioni consistentemente ancorata ai risultati dibilancio oltre che a parametri di produttività ed un razionaleimpiego di personale meglio retribuito introduce, come è no-to, motivazione e adesione a criteri di flessibilità e producemiglioramenti nell’intero processo assistenziale.

I modelli di gestione esternalizzanti prevedono l’affida-mento a soggetti esterni dell’esecuzione di talune operazioni(in prevalenza servizi di supporto) rientranti nell’ordinaria ostraordinaria attività dell’ospedale e consentono all’aziendadi concentrarsi sul suo core business. Tali modelli sono suppor-

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tati dal convincimento che la pubblica amministrazione nonè in grado di per sé, dovendo applicare norme e formule orga-nizzative quasi sempre arcaiche e comunque inadeguate, didare risposte tempestive, efficaci ed economiche a specialibisogni. Si è recentemente assistito ad una copiosa propostadi modelli esternalizzanti: alcuni già esistenti, come le conces-sioni, le società miste, i consorzi, ed altri maggiormente inno-vativi, come il general contractor ed il project financing, dalleconnotazioni tuttora da definire per un utilizzo di assolutacertezza.

Naturalmente, l’affidamento a soggetti esterni dell’esecu-zione di alcuni servizi o attività dell’ospedale – in particolaredei servizi di supporto, quali lavanderia, guardaroba, ristora-zione, pulizie – non è fatto che possa avvenire senza riflessisull’organizzazione preesistente della struttura. Il successo omeno dell’esternalizzazione resta comunque legato, in primoluogo, alla definizione di discipline chiare per ciascun modelloesternalizzante e da una effettiva modernizzazione della pub-blica amministrazione: le diverse forme di esternalizzazionepossono essere ottimi strumenti gestionali a condizione cheil committente (l’ospedale pubblico) sia molto forte e compe-tente nel gestire i contratti e che, altrimenti, gli schemi contrat-tuali siano molto rigidi e le linee di guida siano stilate dall’auto-rità sanitaria in modo competente.

10. Il finanziamento degli ospedali e gli accordi contrattuali

Come testimonia anche l’esperienza internazionale, i siste-mi di pagamento incidono profondamente sui comportamentiassistenziali dei soggetti erogatori. I decreti di riordino hannointrodotto un sistema di pagamento a tariffe predeterminateper prestazione per l’assistenza ospedaliera per acuti, cui siaffianca un sistema di pagamento extra-tariffario per attivitàquali l’emergenza e la ricerca. Tale sistema, valido per tutti isoggetti erogatori, pubblici e privati, interni ed esterni all’a-zienda Usl, introdotto di fatto solo in alcune regioni e peralcune tipologie di produttori, si propone di aumentare l’effi-cienza produttiva, ma le critiche rivolte alle sue prime ricadute

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operative rischiano di mettere in discussione un importanteelemento del processo di riordino del Ssn.

Occorre, invece, operare interventi di progressiva e conti-nua messa a punto: in particolare, ridefinire l’area di applica-zione della remunerazione extra-tariffaria, come già previstodal D.lgs 229/99, e rivedere l’attuale sistema di remunerazionea giornata di degenza per la riabilitazione e la lungodegenza,con l’introduzione di pagamenti differenziati per classi dipatologie e/o di soggetti erogatori. In generale, deve comun-que sempre prevalere un atteggiamento sperimentale, specienella fase di transizione dal vecchio al nuovo sistema, chevaluti gli effetti delle proposte innovative e preveda adegua-menti graduali.

Con riferimento all’assistenza a lungo termine, tenendoconto del fatto che l’incremento della spesa per questa tipo-logia di prestazioni può essere anche indotta da strategie didimissione precoce da parte degli ospedali, si possono propor-re modelli di finanziamento che integrino l’assistenza post-acuta con quella acuta, aumentando il valore del Drg di unaquota destinata alla gestione del paziente, lungo una doppiafase di intervento, fino al termine del programma terapeutico.

Una soluzione di questo tipo assegna all’unico soggettoerogatore di servizi la responsabilità clinica e finanziaria del-l’assistenza al paziente, con maggiore tutela dei suoi bisognie garanzie di continuità assistenziale.

Lo stesso risultato può essere raggiunto mediante accordiaziendali sui percorsi terapeutici (invece che regionali o na-zionali, in quanto l’ampiezza e la complessità impedisconospesso di poter rimodellare l’integrazione tra i due modelli infunzione delle singole realtà territoriali), esperienza da rea-lizzare almeno per alcuni gruppi di pazienti, ed attuabile an-che con la collaborazione dei medici di medicina generalenell’ambito di un programma di specializzazione delle meto-diche di managed care ed in particolare di disease manage-ment. Questo tipo di approccio, sperimentato già da diversianni nei paesi anglosassoni, assegna un forte potere di discri-minazione e scelta delle cure ad uno degli attori del sistema,da individuarsi in via prioritaria nel medico di medicina ge-nerale, ma si completa in un sistema come quello italiano con

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il diretto coinvolgimento degli ospedali nella erogazione diprestazioni extraospedaliere, con la costituzione di équipe spe-cialistiche per i programmi domiciliari e la supervisione astrutture residenziali.

11. Le attese e valutazioni degli utenti e la bioetica

L’attività di un ospedale va giudicata anche con il supportodi riscontri valutativi della popolazione utente, non bastanogli accertamenti dall’interno del sapere medico-epidemiolo-gico. Occorre esplicitare valutazioni, durante e dopo la cura,da parte della popolazione servita e dei loro interpreti informa-li quanto al soddisfacimento o meno delle attese. L’ambientedell’ospedale sarà sempre meno ambiente passivo, come ancheattestato dalla rilevanza dei problemi della compliance nelrapporto medico-paziente, specie al ridursi della permanenzadel paziente in ospedale e al crescere del suo livello di istruzio-ne e di reddito.

Pure nella progettazione di un ospedale occorre ormai con-siderare le sfide che vengono dal suo ambiente e dal macro-sistema societario. Il nesso tra sistema ospedaliero e ambienteumano trova la sua verifica anche nel crescere della differen-ziazione di funzioni in tale sistema: è stato introdotto l’Ufficiorelazioni con il pubblico (Urp), sono state raccomandate eformate carte istituzionali circa le erogazioni dei servizi e altreinformazioni ai pazienti, scritte e per telefono, sui passi delpercorso diagnostico, terapeutico e riabilitativo, sono statediffuse innovazioni di portata macrosistemica come le retitelefoniche dei Centri unificati di prenotazione (Cup), anchecon il ricorso ad altri media informatici e telematici, senzaparlare dei comitati permanenti di controllo della qualità dellecure dal lato degli utenti, e non solo in termini di customersatisfaction.

Per l’ospedale del futuro è da prevedere che tale tema delnesso sistema/ambiente sia destinato ad orientare mutamentiancora più significativi. Certi ospedali specialistici sarannoindotti ad uscire dallo stretto ambito ospedaliero per “coltiva-re” rapporti istituzionali esterni, con medici di famiglia, con

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specialisti in ospedali locali, ecc. e ciò non solo in ragione delmarketing anche sociale che l’ospedale ha da assolvere.

L’innovazione tecnologico-comunicativa rappresenta unafondamentale opportunità per consolidare la fiducia del citta-dino-utente nel medico, nei servizi sanitari e nell’ospedalequale servizio pubblico. Occorre gestire l’informazione siste-matica ai cittadini sull’accessibilità ai servizi sanitari, sullamalattia e sui percorsi diagnostico-terapeutici e informare ipazienti, stabilendo con essi una relazione di aiuto.

L’ospedale si prepara a essere nel futuro sempre più luogodi negoziazione. La negozialità si presenta come opzioneantidogmatica rispetto al sapere medico basato sulle prove,nella necessità di scelta tra varie opzioni continuamentepresenti dentro questo sapere, nella capacità di riconosci-mento e di accoglienza dei bisogni di salute della comunità.Se l’ospedale saprà raccogliere queste sfide ed elaborarle alproprio interno e al proprio esterno, costituendosi come con-tenitore flessibile di un processo di trasformazione, esso po-trà ricandidarsi come autentico spazio di incontro non soloper le varie professioni che lo gestiscono, ma tra le professionie la comunità dei cittadini alla ricerca della salute.

Di fronte all’avanzare di avanguardie nella più ardita ricer-ca bio-medica, si manifesta, inoltre, il bisogno della bioetica:nessun sistema sociale può sopravvivere senza che la produzio-ne di una normativa etico-religiosa e collettiva, macro-siste-mica, si confronti con i processi intersoggettivi, con la produ-zione o l’adattamento del senso etico dentro le coscienze del-le persone nei loro rapporti intersoggettivi creatori di senso.

12. Considerazioni conclusive

Nell’immaginario collettivo l’ospedale continua ad essereil centro più importante per il recupero della salute perduta:anche se in modo informale, non può quindi oggi perdere ilsuo ruolo di appoggio per le fragilità, almeno fino a quandonon si svilupperanno serie e concrete alternative territoriali.Questa funzione deve essere esperita per ovvie motivazioniumanitarie, ma anche per permettere una transizione del gran-

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de pubblico verso i nuovi compiti dell’ospedale senza rifiutiche potrebbero portare a conflitti dannosi per il rapportofiduciario essenziale alla vita dell’ospedale stesso.

Di fronte a cambiamenti che riguardano ormai tutto ilcontesto in cui l’ospedale opera non pare più dilazionabileuna riflessione profonda sul ruolo futuro dell’ospedale. L’ele-mento centrale del processo di trasformazione pare esserequello del nuovo contesto di comunicazione all’interno delleesigenze di continuità della cura e di pari opportunità di acces-so alle prestazioni. Ulteriore elemento di rilievo è indubbia-mente quello tecnologico, dato che l’ospedale non potrà nonessere la sede di concentrazione delle tecnologie complesse,pur in presenza della necessità di consentire l’accesso ad esseper una gamma vasta ed anche remota di utenti.

Tutto ciò porterà a modelli organizzativi profondamentediversi dagli attuali, in cui si perderanno i rapporti tra com-plessità e dimensione, fra specializzazione e governo autono-mo dei processi di cura, fra territorialità e distribuzione dellespecialità. Sono destinati a mutare gli strumenti di pianificazio-ne ed è destinato a mutare il ruolo della amministrazione,che vedrà sempre più ridotte le funzioni dirette di gestioneoperativa per assumere ruoli terzi rispetto alle organizzazioniche producono i servizi.

L’ospedale moderno deve recuperare la propria funzionesociale, prendendo coscienza dei cambiamenti che sono avve-nuti negli ultimi anni, evitando di subirli passivamente edaccettando di ristrutturarsi per poter svolgere nella manieramigliore i nuovi compiti. In questo contesto appare moltocomplessa la sfida proposta agli operatori del settore, sfidache richiede apertura culturale, capacità di accettazione delrischio, determinazione nella fondazione di nuovi sistemi va-loriali di riferimento.