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1 MANAGEMENT DELLE AZIENDE SANITARIE (APPUNTI DEL CORSO A CURA DEL DR. C. DI BERNARDO) GLI OBIETTIVI DEL CORSO Il corso si propone di dare agli studenti gli elementi basilari di conoscenza per comprendere il funzionamento delle Aziende Sanitarie pubbliche, che costituiscono un esemplare modello della profonda trasformazione che la Pubblica Amministrazione sta affrontando dagli inizi degli anni 90. Il quadro legislativo che ha implementato il suddetto processo è ispirato alla finalità generale di consentire alle aziende sanitarie di dotarsi degli strumenti tipici delle imprese private per divenire soggetti organizzativi in grado di adeguare il loro funzionamento alle necessità ed alle dinamiche del contesto di riferimento, attraverso l'autonoma capacità di organizzarsi, gestirsi finanziariamente e di creare uffici in grado di conseguire nel migliore dei modi la mission assegnata. Il percorso sarà sviluppato analizzando preliminarmente l'ambiente esterno delle aziende sanitarie, che condiziona in maniera significativa le scelte e le decisioni delle aziende stesse, per poi focalizzare l'attenzione sulle fondamentali dinamiche del loro funzionamento. 1. L'AMBIENTE ESTERNO: IL MERCATO E PRINCIPI DI ECONOMIA 1.1 Considerazioni generali Le aziende sanitarie sono organizzazioni a cui lo Stato ha demandato l'onere di erogare i servizi finalizzati alla soddisfazione del bisogno sanitario della collettività. Pertanto per capire il loro funzionamento non è possibile prescindere dalla conoscenza delle dinamiche con le quali il bisogno sanitario si esprime e cerca soddisfazione nell'offerta di servizi. In altre parole significa avere la conoscenza dei principali meccanismi del mercato sanitario, materia che attiene alla più ampia disciplina dell'economia dal cui sapere attinge le basilari regole funzionali. Inoltre visto il rapporto di agenzia esistente tra medico e paziente, di cui più avanti si discuterà, la duplice veste del medico in quanto attore nella formazione della domanda sanitaria e “produttore” dei servizi sanitari in un contesto in cui parte dell’onere viene assunto dalla collettività, la deontologia professionale, e in parte l’etica medica, non può esimersi dal considerare l’economia come uno degli aspetti da valutare nell’effettuazione delle scelte; da quest’ultima affermazione nasce l’esigenza di una diffusa conoscenza di principi di economia sanitaria da parte dei medici che raramente hanno la percezione di svolgere il ruolo di “razionatore” delle risorse e che consentono parzialmente le conseguenze delle decisioni professionali in termini di costi. Il presente capitolo mette in luce le particolarità del mercato dei beni e servizi sanitari, esplicita il processo di formazione della domanda sanitaria ed analizza l’offerta e il processo produttivo, soffermandosi, infine, a riflettere sul rapporto fra efficienza ed equità. 1.2 Che cos’è l’economia sanitaria Per arrivare a definire l’economia sanitaria è utile partire dalla definizione di economia: “L’economia è la scienza che studia come i singoli e la società scelgono

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MANAGEMENT DELLE AZIENDE SANITARIE (APPUNTI DEL CORSO A CURA DEL DR. C. DI BERNARDO)

GLI OBIETTIVI DEL CORSO

Il corso si propone di dare agli studenti gli elementi basilari di conoscenza per comprendere il funzionamento delle Aziende Sanitarie pubbliche, che costituiscono un esemplare modello della profonda trasformazione che la Pubblica Amministrazione sta affrontando dagli inizi degli anni 90. Il quadro legislativo che ha implementato il suddetto processo è ispirato alla finalità generale di consentire alle aziende sanitarie di dotarsi degli strumenti tipici delle imprese private per divenire soggetti organizzativi in grado di adeguare il loro funzionamento alle necessità ed alle dinamiche del contesto di riferimento, attraverso l'autonoma capacità di organizzarsi, gestirsi finanziariamente e di creare uffici in grado di conseguire nel migliore dei modi la mission assegnata. Il percorso sarà sviluppato analizzando preliminarmente l'ambiente esterno delle aziende sanitarie, che condiziona in maniera significativa le scelte e le decisioni delle aziende stesse, per poi focalizzare l'attenzione sulle fondamentali dinamiche del loro funzionamento. 1. L'AMBIENTE ESTERNO: IL MERCATO E PRINCIPI DI ECONOMIA 1.1 Considerazioni generali Le aziende sanitarie sono organizzazioni a cui lo Stato ha demandato l'onere di erogare i servizi finalizzati alla soddisfazione del bisogno sanitario della collettività. Pertanto per capire il loro funzionamento non è possibile prescindere dalla conoscenza delle dinamiche con le quali il bisogno sanitario si esprime e cerca soddisfazione nell'offerta di servizi. In altre parole significa avere la conoscenza dei principali meccanismi del mercato sanitario, materia che attiene alla più ampia disciplina dell'economia dal cui sapere attinge le basilari regole funzionali. Inoltre visto il rapporto di agenzia esistente tra medico e paziente, di cui più avanti si discuterà, la duplice veste del medico in quanto attore nella formazione della domanda sanitaria e “produttore” dei servizi sanitari in un contesto in cui parte dell’onere viene assunto dalla collettività, la deontologia professionale, e in parte l’etica medica, non può esimersi dal considerare l’economia come uno degli aspetti da valutare nell’effettuazione delle scelte; da quest’ultima affermazione nasce l’esigenza di una diffusa conoscenza di principi di economia sanitaria da parte dei medici che raramente hanno la percezione di svolgere il ruolo di “razionatore” delle risorse e che consentono parzialmente le conseguenze delle decisioni professionali in termini di costi. Il presente capitolo mette in luce le particolarità del mercato dei beni e servizi sanitari, esplicita il processo di formazione della domanda sanitaria ed analizza l’offerta e il processo produttivo, soffermandosi, infine, a riflettere sul rapporto fra efficienza ed equità. 1.2 Che cos’è l’economia sanitaria Per arrivare a definire l’economia sanitaria è utile partire dalla definizione di economia: “L’economia è la scienza che studia come i singoli e la società scelgono

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di impiegare risorse scarse che potrebbero avere usi alternativi allo scopo di produrre vari tipi di beni e di distribuirli per il consumo, nel presente o nel futuro, tra gli individui e i gruppi della società. In sintesi, l’economista tenta di rispondere a tre quesiti fondamentali: cosa, come e per chi produrre. Se le risorse fossero illimitate non ci si porrebbe questi quesiti ma, al contrario, le risorse sono scarse e i bisogni virtualmente illimitati, pertanto si è alla ricerca del miglior uso delle risorse per ottenerne il massimo beneficio. Quali beni e servizi sanitari produrre, come produrli e per chi, sono i quesiti ai quali contribuisce a rispondere l’economista sanitario. Nel valutare le attività e i risultati conseguiti gli economisti vengono spesso tacciati di occuparsi prevalentemente degli aspetti “quantitativi”; in realtà gli economisti ambirebbero e tentano, per quanto possibile allo stato attuale delle conoscenze, di misurare la qualità e i cambiamenti in termini di salute consci della sua importanza per definire il beneficio raggiunto o il massimo beneficio raggiungibile. La ricerca del massimo beneficio in termini di salute implica il riferimento ad un “concetto di salute”, concetto complesso e la cui disquisizione richiede l’apporto di più discipline; preme qui solo sottolineare come l’avere ben chiaro qual è il concetto di salute (obiettivo che si vuole conseguire) cui si fa riferimento sia una guida fondamentale:

● nella scelta dei bisogni da soddisfare; ● nella scelta delle attività da produrre; ● nella valutazione dei risultati conseguiti.

1.3 Il mercato di concorrenza perfetta Il territorio dell’economia è rappresentato dal mercato che possiamo definire come il luogo (ideale e non fisico) nel quale si svolgono i fenomeni di cui si interessa l’economia, e in particolare la produzione, il consumo e lo scambio. Il mercato può anche essere un sottoinsieme di questo luogo ideale, relativo a un solo tipo di bene o servizio o ad un area geografica delimitata (es: mercato dell’auto o dell’informatica oppure mercato nazionale o mondiale). Sul mercato operano, con ruoli diversi, molti soggetti (protagonisti), ma per ragioni di semplicità didattica ne prendiamo in considerazione due soltanto: le famiglie e le imprese. Con quali dinamiche si correlano i protagonisti all’interno del mercato? Per rispondere alla domanda possiamo descrivere il mercato come un doppio flusso circolare di elementi reali e monetari: Le famiglie forniscono alle imprese le risorse (lavoro) necessarie alla produzione e vengono retribuite mediante un reddito, mentre le imprese forniscono beni e servizi alle famiglie ricevendone in pagamento i relativi prezzi che costituiscono il reddito delle imprese. Famiglie e imprese entrano in contatto in modo continuo, sul mercato dei beni e delle risorse, ricoprendo di volta in volta il ruolo di compratori o di venditori, ciascuno per procurarsi ciò di cui ha necessità e per vendere ciò che gli consente di pagarlo. Come e secondo quali regole esse si scambiano ciò di cui hanno bisogno nei due versanti dei beni e delle risorse? Come determinano le quantità di beni o di risorse da vendere o da acquistare e i prezzi in base ai quali lo scambio deve avvenire? La spiegazione ai due quesiti è fornita dalle leggi della domanda e dell’offerta.

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Definizione della domanda La domanda di un consumatore si può definire come la quantità di beni che egli è disposto e contemporaneamente in grado di acquistare. La domanda di un consumatore è influenzata dal prezzo del bene, dai gusti e dal reddito. Cosa succede nel comportamento di un consumatore se, a parità di gusti e reddito, il prezzo del bene varia? La quantità acquistata aumenta se il prezzo diminuisce e viceversa. Pertanto possiamo formulare la legge della domanda: A parità di ogni altra condizione (gusti, reddito) i consumatori acquistano maggiori quantità di un bene in presenza di prezzi minori e viceversa.

Il comportamento del consumatore è quindi molto influenzato dal prezzo del bene. Ma il consumatore non agisce solo in funzione del prezzo assoluto, ma anche in termini di prezzi relativi, specialmente in presenza di beni succedanei. Ad esempio se un disco in vinile costa 5 euro e un CD costa 15 euro, il prezzo relativo del disco in vinile è 5:15=0,33. Se il prezzo del CD scende a 10 euro, il prezzo relativo del disco in vinile è 5:10=0,5, cioè è aumentato e pertanto scenderà la domanda dei dischi in vinile a parità di prezzo assoluto. Perché lo scambio possa avvenire, non è sufficiente che esista una domanda da parte dei consumatori; deve ovviamente esistere una disponibilità a offrire beni da parte dei produttori. Pertanto possiamo definire l’offerta come la quantità di beni che i produttori sono disposti e contemporaneamente in grado di produrre. Il comportamento del produttore, come quella del consumatore, dipende da molti fattori quali la tecnologia adottata o il costo delle risorse utilizzate nella produzione, ma principalmente dal prezzo di vendita dei beni. Legge dell’offerta: a parità di ogni altra condizione (tecnologia, costo risorse) i produttori offrono maggiori quantità di un bene in presenza di prezzi relativamente maggiori e viceversa. Ma se come abbiamo visto il comportamento del consumatore e del produttore sono prevalentemente influenzati dal prezzo di scambio del bene, come si determina il prezzo? Il prezzo di scambio di un bene è determinato automaticamente dal mercato che tende ad equilibrare la domanda e l’offerta e le spinte sui prezzi operate da quest’ultime fino al raggiungimento del cosiddetto prezzo di equilibrio. In parole povere: in una situazione teorica in cui la quantità domandata di un certo bene è pari alla quantità offerta dello stesso, vuol dire che il prezzo di scambio del bene è quello che garantisce la massima utilità sia del consumatore che del produttore. Rispetto a questa situazione teorica possono verificarsi due situazioni reali: una carenza di offerta del bene (e quindi un eccesso di domanda) e una eccedenza di offerta del bene (e quindi una carenza di domanda). Nella situazione di carenza di offerta, i consumatori, in concorrenza fra di loro, saranno portati ad accettare prezzi più elevati allo scopo di dividersi la scarsa merce disponibile. Il prezzo salirà e con esso la convenienza per i produttori ad aumentare la produzione. Quindi in una situazione di carenza, la domanda opera in modo da spingere il prezzo verso l’alto e di conseguenza fa aumentare la quantità offerta. Al contrario in una situazione di eccedenza di offerta, i produttori, in concorrenza tra di loro, saranno portati ad offrire a prezzi più bassi la merce altrimenti destinata ad accumularsi nei magazzini. Il prezzo scenderà e renderà conveniente

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per le famiglie aumentare il consumo. Quindi in una situazione di eccedenza, l’offerta opera in modo da spingere il prezzo verso il basso e di conseguenza fa aumentare la quantità domandata. Queste due spinte contrarie continuano ad operare fino al raggiungimento del prezzo di equilibrio, ossia quel prezzo in corrispondenza del quale la quantità volontariamente domandata e quella volontariamente offerta coincidono. Quindi l’economia ci insegna che dato il reddito disponibile e in presenza di un mercato di concorrenza perfetta, il consumatore è il miglior giudice del proprio benessere, acquistando quantità successive di un bene o servizio fino al punto in cui il beneficio connesso al consumo eguaglia il prezzo pagato per ottenerlo (Sovranità del consumatore). Al tempo stesso nel mercato di concorrenza perfetta si sviluppa una particolare funzione chiamata efficienza allocativa, cioè tutte le risorse vengono utilizzate nel miglior modo possibile, in quanto i consumatori ricercano il massimo dell’utilità (sovranità del consumatore) e i produttori ricercano il massimo del profitto. Tutto ciò avviene nei cosiddetti mercati di concorrenza perfetta i quali sono nella realtà molto pochi (borsa valori, mercato mondiale dei metalli e delle derrate alimentari), ma la conoscenza del meccanismo ci consente di capire il funzionamento dei mercati che non hanno le stesse caratteristiche. Solitamente nei mercati il cui funzionamento si allontana dai canoni della concorrenza perfetta c’è l’intervento dello Stato. Lo Stato di solito interviene maggiormente nei mercati ove si scambiano beni e servizi la cui finalità intrinseca è rivolta a soddisfare bisogni per così dire primari e quindi essenziali per lo sviluppo della società: uno di questi è il mercato sanitario. 1.4 Particolarità del mercato sanitario Abbiamo visto come la teoria economica insegna che, dato il reddito disponibile e in presenza di condizioni ideali di mercato di concorrenza perfetta, il consumatore, considerato il miglior giudice del proprio benessere, acquista quantità successive di un bene o di un servizio fino al punto in cui il beneficio connesso al consumo eguaglia il prezzo pagato per ottenerlo. A quantità ulteriori, infatti, corrisponde un costo superiore al beneficio. Il settore del mercato sanitario presenta però particolari caratteristiche che, da una parte, spiegano il differente comportamento del consumatore rispetto a quanto sopra esposto e, dal lato dell’offerta, richiedono l’intervento, anche parziale, dello Stato e la limitazione della concorrenza. Le caratteristiche sono le seguenti: l’imperfetta conoscenza del consumatore, l’impercezione economica del consumatore, l’incertezza della domanda, l’equità distributiva, i beni e servizi sanitari come beni pubblici. L’imperfetta conoscenza del consumatore Il consumatore ha, per la maggior parte dei beni, una seppur vaga idea di qual’è la qualità del prodotto che vuole acquistare e della rispondenza di questo alle proprie esigenze. In sanità, il consumatore, prima che inizi il trattamento (e in molti casi anche dopo), non ha capacità che gli consentono di valutare il trattamento della malattia e la sua probabile efficacia; in certi casi non avverte neppure il bisogno sanitario. Tali conoscenze le ha il medico che è anche il fornitore del servizio.

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L’impercezione economica del consumatore In un regime di mercato in cui il servizio viene erogato a spese dello Stato, il consumatore non ha la percezione del costo del servizio richiesto, e quindi è portato ad espandere la sua domanda oltre il reale beneficio raggiungibile, che peraltro quasi mai è in grado di valutare per la sua incompetenza (l’imperfetta conoscenza del consumatore). L’incertezza della domanda Contrariamente a quanto vale per la generalità dei beni, il bisogno sanitario, e di conseguenza la domanda di beni e servizi sanitari, è tendenzialmente inaspettata; non si può prevedere (se non per i servizi preventivi) quando si avrà necessità di una prestazione sanitaria, prestazione che potrebbe essere anche molto costosa. La risposta a questa incertezza l’individuo la trova nel meccanismo assicurativo, sia esso pubblico o privato. L’equità distributiva Considerando la tutela della salute un diritto di tutti gli individui, ne discende che i beni e i servizi sanitari non possono essere lasciati totalmente al regime di libero mercato, dove acquista e consuma solo chi ha la possibilità di pagare il relativo prezzo; infatti un intervento pubblico seppur minimo viene previsto in ogni paese. I beni e servizi sanitari come beni pubblici “I benefici tratti da un bene pubblico, a differenza di quelli tratti da un bene puramente privato, implicano effetti esterni indivisibili sul consumo di più di una persona. Per contro, se un bene può venire suddiviso in modo che ogni sua parte possa essere venduta separatamente in modo concorrenziale a una persona diversa, senza effetti esterni su altri, allora esso è un bene privato. I beni pubblici richiedono spesso un’azione collettiva, mentre i beni privati possono essere forniti in modo efficiente dai mercati”. In base alla definizione di bene pubblico e alla tendenza ormai consolidata a considerare: - la salute come fattore di sviluppo economico e - la spesa sanitaria come investimento teso a potenziare la possibilità di una

popolazione, si possono ritenere i beni e servizi sanitari nel loro complesso come beni pubblici. Al loro interno è però necessario fare dei distinguo anche al fine di spiegare come mai in alcuni Stati c’è un servizio sanitario nazionale e in altri no e come mai alcuni beni o servizi sanitari sono comunque quasi sempre gestiti dalla collettività e altri quasi sempre forniti dal mercato. Volendo portare gli esempi estremi: - la prevenzione, la salute pubblica, il controllo delle malattie infettive implicano effetti esterni indivisibili rilevanti al di là del singolo consumatore del vaccino, dello screening ecc. − al contrario si può ritenere che un intervento di chirurgia estetica non presenti

effetti esterni, di qualche rilievo, ma solo beneficio per il consumatore. Tra questi estremi abbiamo le cure mediche che rivestono, a seconda del concetto di salute che si considera, un maggiore o minore connotato di bene pubblico; lo dimostra la differente scelta degli Stati nel gestirle in proprio oppure nel lasciarle fornire al mercato.

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Peraltro anche in Italia, paese con un SSN di tipo universalistico, con il cosiddetto decreto dei LEA (DPCM 29/11/2001) sono state escluse dal totale carico dello stato alcune prestazioni sanitarie che hanno il connotato di bene privato (es. terapia chirurgica per la correzione dei vizi refrattivi). 1.5 La domanda sanitaria

1.5.1 Il processo di formazione della domanda sanitaria Si parla di processo di formazione della domanda sanitaria perché il passaggio dall’identificazione di un bisogno sanitario all’acquisto del bene per soddisfarlo non è immediato e in questo processo ha un ruolo determinante la figura del medico e il rapporto di agenzia che si crea fra medico e paziente. Utilizzando la terminologia suggerita dalla letteratura economica, il medico si comporta da “agente” ed effettua al posto del suo cliente/paziente la miglior scelta di consumo in quanto l’assunzione della sovranità del consumatore non può essere applicata nel mercato della sanità a causa della asimmetria di informazioni fra il paziente e il medico. Studi recenti analizzano i sistemi di remunerazione come un meccanismo per influenzare i medici ad identificare qual è la funzione di utilità dei pazienti e agire su questa informazione. A fronte di una situazione di bisogno sanitario l’individuo può reagire nei modi seguenti: 1. non effettuare nessun intervento e, anche in presenza di bisogno, non creare domanda sanitaria; 2. intraprendere delle azioni direttamente e creare domanda sanitaria: è l’individuo che, senza intermediari, decide quale bene o servizio sanitario consumare; 3. rivolgersi alle strutture competenti domandando prevalentemente visite e pronto soccorso. In quest’ultimo caso l’individuo non è in grado di individuare quali beni o servizi sanitari sono in grado di soddisfare il suo bisogno e allora si rivolge al medico che si comporta come un “agente” del paziente, ovvero prende in sua vece le decisioni necessarie per soddisfare il bisogno. Il bisogno sanitario - se si contatta il medico - si trasforma in domanda di servizi e quindi di consumo effettivo solo se il medico - alla luce delle proprie conoscenze e dell’esperienza - ritiene giustificati i sintomi manifestati dal paziente e tali da essere efficacemente curati dato lo stato delle conoscenze biomediche. Il medico è quindi il perno del processo che porta dal bisogno al consumo sanitario. Ne consegue che ogni scelta volta a controllare il livello e la dinamica dei consumi sanitari non dovrebbe prescindere da un controllo (incentivi e penalità) del comportamento del medico. Appurato che gli attori nel processo di formazione della domanda sanitaria sono due, paziente e medico, passiamo ad analizzare per ciascuno di essi quali sono le variabili che influenzano il loro comportamento. 1.5.2 Il comportamento dell’individuo I bisogni dell’individuo variano in relazione allo stato di morbilità, età, sesso, ecc, mentre la reazione a questo stato ovvero il comportamento tenuto dal singolo individuo può variare in relazione alla disponibilità e accessibilità dei servizi.

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Per accessibilità “si intende l’insieme dei fattori che influenzano la partecipazione di ogni individuo al sistema dei servizi sanitari”. Tali fattori possono essere così sintetizzati: - culturali (livello di istruzione, cultura di riferimento, ...); - psicologici (fiducia nella medicina, ...); - connessi alla qualità del servizio e del comfort; - ubicazionali (i servizi sono lontani, non c’è parcheggio, ...);, - economici (ticket, livello di reddito, ...); - connessi alle modalità di erogazione del servizio (orari di apertura, sistema di prenotazione, code, ...); − connessi all’integrazione fra i servizi (dover andare in posti diversi, difficile

passaggio delle informazioni da operatore a paziente, da paziente ad altro operatore, ...).

− Gli economisti hanno dedicato particolare attenzione alle variabili economiche: considereremo, in questa sede, l’elasticità della domanda rispetto al reddito e rispetto al prezzo anche non monetario.

L’elasticità della domanda al reddito È stata rilevata una relazione positiva tra domanda e livello di reddito, ovvero ad un aumento del reddito corrisponde un aumento della domanda di beni e servizi sanitari, ma con un’elasticità inferiore a 1. Non è detto, però, che ad un aumento del livello del reddito aumenti il livello di salute, anzi come risulta dallo sconcertante studio di Grossman, l’aumento del livello del reddito nei Paesi sviluppati incide negativamente sul livello di salute a causa della sregolatezza della vita e del consumo di cibi e sostanze da esso indotte. L’elasticità della domanda al prezzo e al costo non monetario Il ruolo preponderante del medico nella formazione della domanda sanitaria, la diffusione delle assicurazioni e il finanziamento pubblico del servizio sanitario rendono poco sensibile la domanda alle variazioni di prezzo, che per certi versi non esiste. Nei servizi sanitari pubblici forme parziali di pagamento, quali il ticket, hanno uno o più dei seguenti obiettivi: - riduzione della domanda: la riduzione della domanda attuale potrebbe portare, però, ad un aumento della domanda futura (dovuto all’abbassarsi del livello di salute futura conseguente alla poca cura attuale) e pertanto creare un meccanismo perverso; - controllo di forme di abuso; - prezzo come stimolo: ogni servizio ha un costo e, per rendere consapevole l’individuo, nessun servizio viene erogato in modo totalmente gratuito; − aumento delle entrate pubbliche. È utile a questo punto un cenno al costo

opportunità del tempo. L’individuo che impiega del tempo in code, attese ecc., subisce un costo non in termini di prezzo monetario, ma in termini di mancato impiego alternativo del tempo (es.: lavoro ma anche tempo libero ecc.). Pertanto il costo opportunità varia a seconda delle possibilità di guadagno, dell’importanza data al tempo libero ecc. e influenza la scelta tra servizio pubblico e privato ed il ricorso stesso ai servizi sanitari.

1.5.3 Il comportamento del medico Il comportamento del medico può essere influenzato da fattori relativi al suo

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curriculum personale, sia di studio sia di lavoro, da fattori psicologici (la paura di incorrere in possibili conseguenze legali...), da fattori legati all’organizzazione sanitaria e ai servizi a disposizione nonché da fattori legati al perseguimento dei propri obiettivi (reddito, tempo libero, intensità dello sforzo ecc.). Proprio questi ultimi rendono il medico un “agente imperfetto” in quanto non persegue nel rapporto di agenzia solo gli obiettivi del paziente. Particolare attenzione hanno dedicato gli economisti alla relazione tra forme di retribuzione e comportamento del medico. Il sistema tariffario e la quota capitaria sono utilizzati prevalentemente per la retribuzione del medico di base; il medico ospedaliero al contrario, percepisce normalmente uno stipendio. Sistema tariffario: comporta il pagamento di una tariffa per ogni servizio prestato. Influenza il comportamento del medico che tenderà a massimizzare il guadagno attraverso la massimizzazione del numero delle prestazioni e della tariffa. Quota capitaria: comporta il pagamento di una quota per ogni individuo il quale può accedere alle prestazioni di quel medico per un determinato periodo di tempo. In questo caso il medico ha un livello di reddito monetario determinato dal numero di assistiti. Il suo comportamento tenderà a massimizzare il numero degli assistiti e, dato il numero di assistiti, a minimizzare il numero e il livello delle prestazioni erogate. Stipendio: comporta il pagamento di uno stipendio per un certo periodo di tempo, indipendentemente dalla quantità di prestazioni erogate. Se lo stipendio dipende solo dall’anzianità di lavoro, il comportamento del medico dovrebbe tendere a minimizzare il numero e il livello delle prestazioni erogate. In realtà, di solito è retribuito a stipendio il medico ospedaliero il quale dovrebbe tendere alla riduzione del tasso di ospedalizzazione (ricorso al ricovero); ciò non avviene in quanto sul tasso di ospedalizzazione influiscono altre variabili, sia relative al comportamento del medico, sia relative al funzionamento degli altri servizi. 1.5.4 Il Medico di Medicina Generale (MMG) come agente perfetto Con il 502 e tutte le s.m.i il legislatore ha voluto introdurre le regole di competitività nel sistema pubblico al proprio interno e tra pubblico e privato, basandosi sulla convinzione che si tratti di un passaggio obbligato per rendere efficiente lo stesso sistema pubblico.

In altre parole ha voluto introdurre nel sistema sanitario le regole del mercato ed in particolare la peculiare capacità del mercato, denominata funzione allocativa, in cui il fisiologico incontro tra domanda ed offerta rende efficiente la distribuzione delle risorse, sia quelle destinate alla produzione che quelle destinate all’acquisto.

Ciò si verifica in quanto sia il consumatore che l’imprenditore cercano di massimizzare la propria utilità.

Si cerca quindi di superare la distorsione che si era verificata con la L.833 in cui le risorse erano state utilizzate prevalentemente per pagare l’organizzazione produttiva e non il prodotto.

La capacità allocativa del mercato funziona correttamente in condizioni di mercato perfetto e simmetrico.

In ogni contesto in cui la collettività avverte dei bisogni da soddisfare si esplicita una domanda di beni e/o servizi alla quale corrisponde un’offerta di quei beni e/o

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servizi domandati; in altre parole si determina una condizione di mercato.

Nella gran parte dei casi il consumatore è in grado di procedere in modo autonomo alla traduzione del bisogno in domanda, creando le condizioni di mercato perfetto, in cui la domanda e l’offerta sono parimenti informate, altrimenti definito come mercato simmetrico (Sovranità del consumatore).

Nei mercati ove si scambiano servizi professionali ciò non avviene per l’incapacità del consumatore a tradurre i bisogni in domanda, e pertanto la forte asimmetria informativa produce una fisiologica preponderanza dell’offerta sulla domanda con una evidente distorsione della peculiare capacità del mercato in ordine all’allocazione delle risorse.

In questi casi, la necessità di ricercare una migliore condizione di equilibrio informativo conduce il consumatore a stipulare un rapporto di agenzia con un professionista esperto, il quale assume il punto di vista del cliente ed agisce come se fosse il cliente stesso.

Per essere efficace il rapporto di agenzia deve essere perfetto, che in termini tecnici vuol dire che l’utilità del cliente e dell’agente devono essere indipendenti, e che in parole povere vuol dire che gli interessi del cliente e dell’agente non devono essere potenzialmente confliggenti.

Ma come realizzare un rapporto di agenzia perfetto in un contesto come quello sanitario in cui il medico (agente) è nel contempo fornitore dei servizi di cui consiglia l’acquisto?

La duplice distorsione peculiare del mercato sanitario (asimmetria informativa e imperfezione del rapporto di agenzia), compromettendo in maniera fondamentale la funzione allocativa del mercato, ha determinato la necessità di interventi regolatori dell’equilibrio che si sono concretizzati in una prefigurazione giuridica del MMG nel ruolo di agente perfetto.

Pertanto la convenzione trova la sua ratio esistenziale non solo nell’erogazione delle prestazioni di primo livello ma anche nella necessità di porre all’origine del ciclo decisionale la domanda che, per rendere il mercato simmetrico, deve essere informata.

In tale ambito giurisdizionale di azione il MMG è il focus principale per la trasformazione dell’attuale sistema, partendo dal presupposto che la sua azione professionale è la normale porta di accesso al sistema sanitario.

Il MMG, che assume le funzioni di agente della domanda, può fertilizzare la competizione tra produttori, prefigurata dal 502, basata sulla capacità della migliore scelta:

• Circa il processo sanitario medicalmente efficace (scelta professionale)

• Il gradimento dell’utente (scelta del produttore)

• L’efficienza della prestazione.

Rispetto all’efficienza della prestazione se è evidente che non può essere richiesto ai MMG di rispondere di processi altrove realizzati, è pur vero che in un mercato di concorrenza qualitativa il MMG, diversificando la sua domanda, potrebbe contribuire ad escludere i processi inefficienti.

Per rendere possibile tale azione l’ambito giurisdizionale del MMG non si dovrebbe esaurire solo con l’erogazione diretta delle prestazioni di primo livello e

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con la potestà di accesso al sistema sanitario, ma dovrebbe spingersi fino alla protezione dell’interesse della domanda a essere soddisfatta da parte dei livelli competenti.

Ciò non vuol dire una inversione dell’attuale preponderanza dell’offerta sulla domanda ma, nell’ambito di un mercato informato e trasparente, il libero svilupparsi della domanda come dell’offerta, inteso non nel senso dell’arbitrio, ma della possibilità di esprimersi avuto riguardo ai soli vincoli generali di quel mercato.

Cosa fare quindi per coinvolgere il MMG nella evoluzione del sistema dal focus sull’offerta al focus sul bisogno del cittadino?

Se si intende responsabilizzare il MMG della propria prescrizione, non solo come induzione di spesa ma anche – e prioritariamente – come garante della salute dei cittadini affidati alle sue cure, occorre ridurre al minimo i vincoli alla sua azione di agente della domanda, trasformandoli ove possibile in condizioni sulle quali lo stesso possa intervenire.

Quali devono essere le capacità di intervento del MMG perché possa essere considerato l’agente della domanda?

Fermo restando la libertà del cittadino in ordine alla scelta del soggetto erogatore, è necessario evitare che l’asimmetria del mercato ponga la scelta stessa come una conseguenza dell’autoreferenzialità dell’offerta.

Bisogna quindi spostare la responsabilità da un controllo preventivo (scelta del soggetto erogatore) ad uno successivo (valutazione dell’appropriatezza ed efficacia della prestazione effettuata), affidando al MMG, agente della domanda, un potere nei confronti dell’offerta, rendendolo partecipe e responsabile della valutazione ex post della prestazione effettuata.

Alcuni autori lo definiscono il potere del consenso, intendendo il concetto che il MMG deve essere, per conto dell’assistito e relativamente agli aspetti professionali della prestazione, il controllore dell’appropriatezza e dell’efficacia della prestazione erogata, sia avuto riguardo al singolo professionista, sia al sistema nel suo complesso, essendo, il MMG, il responsabile finale nei confronti del cittadino.

Gli stessi autori fanno risalire tale potere al principio giuridico dell’impiego delle risorse pubbliche secondo il quale ogni spesa deve essere liquidata prima che pagata, deve essere cioè formalmente accertato che la prestazione erogata sia congruente alle condizioni ed alla qualità contrattata.

In sostanza il MMG deve essere in grado di esprimere il suo consenso o il suo diniego a che i soggetti che hanno erogato la prestazione al cittadino suo assistito possano ricevere la controprestazione pattuita.

Tale consenso dovrebbe focalizzarsi esclusivamente sulla soddisfazione/ insoddisfazione da un punto di vista funzionale, valutata sulla base dei risultati riscontrabili negli assistiti di cui il MMG è agente di domanda.

Altre considerazioni fanno avvertire tale necessità.

Come è possibile responsabilizzare i MMG sulla spesa sanitaria da loro indotta, se nel contempo non si affidano agli stessi concreti strumenti attivi di incisione sull’offerta?

A questo punto è lecito chiedersi se ciò è possibile attraverso l’elaborazione di un modello teorico da contestualizzare all’intero universo.

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Allo stato è certo che il sistema non è preparato per una traduzione applicativa sic et simpliciter di tali concetti, ed è necessario attivare approcci sperimentali che consentano una maturazione graduale del sistema.

Finora si è cercato il ripristino della simmetria dell’asse domanda - offerta, anche con discreti risultati, attraverso misure di penalizzazione dell’offerta (vedi gli abbattimenti tariffari sui DRG oltre valori soglia di Tassi di Ospedalizzazione).

Questo tipo di strumenti, seppur utili e ancora di attuale applicazione, sono insufficienti allo scopo, rischiando altresì di deprimere, se esasperati, i livelli assistenziali.

E’ indispensabile attivare contemporaneamente una maturazione responsabile della domanda, in quanto il governo di quest’ultima non si sviluppa attraverso la depressione dell’offerta, e tale obiettivo non può concretizzarsi senza dare un valore concreto alla capacità del MMG di tutelare la salute dei propri assistiti, obbligo peraltro giuridico.

Tutto ciò non può non avere riflessi sulla pianificazione strategica.

Secondo recenti considerazioni sull’analisi strategica, nelle organizzazioni di tipo professionale stanno venendo meno alcuni miti, fra cui la pianificazione dall’alto e la formazione centralizzata delle strategie.

Per quanto si tenti una gestione associata dell’attività medica di base, ogni professionista nelle sue decisioni tenderà ad essere solo, rispondendo di ciò che fa in relazione alla sua professionalità, non a quella di altri.

Siamo quindi di fronte al formarsi di strategie frammentate, quale aggregazione di strategie individuali.

Per ottenere una buona pianificazione occorre quindi tenere presente le differenze rispetto all’analisi tradizionale, facendo condurre l’analisi dagli stessi professionisti in via prioritaria.

1.6 L'offerta di beni e servizi 1.6.1 Il processo produttivo Il trattamento sanitario, così come qualunque attività economica, può essere considerato un processo produttivo attraverso il quale, partendo da una serie di fattori primari comunemente denominati input (lavoro, attrezzature, farmaci, ecc..) si ottengono dei prodotti – output – in grado di rispondere a specifiche esigenze dei pazienti. In realtà, in campo sanitario il processo produttivo non si esaurisce con la semplice produzione dell’output (prestazioni sanitarie, giornate di degenza, ricoveri, ecc..); l’obiettivo finale è il miglioramento (o il mantenimento) dei livelli di salute della collettività; il processo termina con la produzione di esiti sanitari (casi risolti, morti evitate, anni di vita guadagnati, inabilità evitata, valori clinici normalizzati, ecc..) ovvero del cosiddetto outcome.

Input > output > outcome Correlati alla descrizione generica del processo produttivo sono i concetti di efficienza ed efficacia. L’efficienza (produttiva) si realizza allorquando la produzione di una determinata quantità di output è ottenuta con il minor impiego possibile di input (minimizzazione dei costi), ovvero quando da una data disponibilità di input si ottiene la massima quantità di output (massimizzazione del prodotto).

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E’ evidente il legame fra il concetto di efficienza e la nozione di produttività: qualunque giudizio di efficienza presuppone la valutazione dei livelli di produttività, intesa come rapporto fra l’output di un processo produttivo e gli input impiegati. L’efficacia si realizza quando un’azione è capace di conseguire gli obiettivi prefissati, e quindi, con riferimento ai processi produttivi sanitari, quando l’output prodotto è capace di migliorare il livello di salute (outcome) individuale o collettivo. Sebbene la misurazione degli input e la conoscenza del processo produttivo creino ancora qualche problema, oggi siamo in grado di effettuare la valutazione di efficienza con un grado di ragionevole approssimazione, non riproducibile, invece, per le valutazioni di efficacia, stante la difficoltà della misurazione dell’outcome e dell’individuazione di indicatori affidabili di esito clinico. 1.6.2 Efficienza ed equità Risulta interessante, a questo punto, proporre una riflessione in merito ad una delle questioni più profonde che la società deve affrontare: il conflitto tra efficienza ed equità. E’ necessario preliminarmente completare il concetto di efficienza, introducendo la nozione di efficienza allocativa, la quale si realizza quando non è possibile modificare l’organizzazione della produzione in modo da migliorare la soddisfazione di tutti, ovvero quando non è possibile migliorare la posizione di qualcuno senza peggiorare la situazione di qualcun altro. La società, però, non può vivere di sola efficienza! Vediamo perché. I mercati concorrenziali sono perfettamente in grado di concretizzare le migliori condizioni di efficienza (allocativa e produttiva), ma questo non garantisce comunque un uso equo delle risorse. Infatti in un sistema di mercato non tutti i consumatori dispongono del reddito necessario per fronteggiare i prezzi dei beni e servizi indispensabili per lo sviluppo delle loro capacità individuali e sociali. Qundi un sistema economico perfettamente efficiente può avere un elevato grado di disuguaglianza, nel reddito, nei consumi, nella salute. Quando le sperequazioni assumono dimensioni tali da risultare inaccettabili in base al sistema di valori che quel contesto sociale si è dato, la Pubblica Amministrazione interviene per correggere le differenze ritenute ingiuste e/o inaccettabili. In molti casi gli interventi pubblici volti a realizzare migliori condizioni di equità comportano un sacrificio in termini di efficienza allocativa e produttiva. Ad esempio, gli interventi pubblici economici a favore dei disoccupati e dei poveri, oltre a disincentivare la ricerca di un impiego, sottraendo risorse che potrebbero essere impiegate sicuramente in maniera più efficiente peggiorano la posizione di alcuni migliorando la posizione dei destinatari, determinando quindi una inefficienza allocativa. La decisione di mantenere aperte strutture sanitarie, che erogano prestazioni primarie, di dimensioni inferiori al livello minimo di efficienza (output/costi produzione < 1) al fine di migliorare l’accessibilità, determinano inefficienze produttive. Ma qual è il costo (in termini di minore equità) che la società è disposta a pagare in nome di una maggiore efficienza? La risposta al quesito è di esclusiva competenza politica, ed è per lo più influenzata dalle contingenze macroeconomiche. La disciplina economica può solo

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fornire elementi per la valutazione degli effetti delle differenti politiche di intervento. Quest'ultima affermazione ci porta a completare il quadro di riferimento dell'ambiente esterno, che oltre ad essere rappresentato dal tessuto socio-economico, cioè dalle dinamiche di mercato analizzate nel presente capitolo, è definito anche dalle pressioni di natura:

● politico-istituzionale, rappresentate prevalentemente dalle regioni (che sono soggetti sovraordinati alle aziende sanitarie, di cui condizionano i processi di programmazione ed erogazione mediante l'adozione di atti di pianificazione rappresentati dai Piani sanitari Regionali) e dagli enti locali che concorrono al processo di pianificazione e programmazione delle aziende sanitarie che deve adeguarsi alle indicazioni del Piano Sanitario Regionale;

● politico-sociale, rappresentate prevalentemente da organizzazioni sociali non istituzionali (che rientrano nell'eterogenea schiera degli stakeholders) che vigilano sulla tutela di fasce di bisogno.

2. L'AZIENDA DAL PUNTO DI VISTA DELL'ORGANIZZAZIONE In via preliminare è utile chiarire cosa si intende per organizzazione; infatti, parlare di organizzazione in senso lato, senza esplicitare alcuni elementi critici per la comprensione della tematica, rischia di essere fuorviante. L'organizzazione rappresenta, insieme alla gestione ed alla rilevazione, una delle dimensioni che fanno funzionare l'azienda; organizzazione, rilevazione e gestione sono, infatti, i tre aspetti dell'amministrazione che approfondiscono le problematiche connesse alle operazioni di governo aziendale. In particolare, la gestione è costituita dall'insieme delle attività direttamente rivolte alla produzione e al consumo di beni e servizi cui è preposta l'azienda e si esplica nell'acquisizione e nell'impiego delle condizioni produttive e nella cessione dei beni e servizi prodotti. La rilevazione è costituita dalle attività direttamente rivolte alla produzione, trasmissione ed elaborazione dei dati e delle informazioni che alimentano i processi conoscitivi, di comunicazione e di decisione e rappresenta la tematica che indaga la determinazione di grandezze espressive dell'andamento dell'azienda, così da potere apprezzare il grado di soddisfacimento delle finalità perseguite. L'organizzazione rappresenta l'ambito di osservazione, con finalità interpretative e prescrittive, della dimensione organizzativadegli istituti e analizza e valuta il comportamento organizzativo. E' necessario chiarire che la parola organizzazione, oltre che essere intesa come disciplina organizzativa richiama un'attività finalizzata svolta da più parti di un insieme coordinato. In particolare è possibile richiamare quattro distinti significati del termine:

● organizzazione come assetto organizzativo e quindi componente dell'azienda;

● organizzazione come azione organizzativa, ossia specifica attività o funzione tesa a definire l'assetto organizzativo di un azienda;

● organizzazione come carattere di un insieme di elementi finalizzati e coordinati; in questo caso si parla di lavoro organizzato;

● organizzazione come teoria che orienta l'intervento sull'organizzazione. Le quattro definizioni sono strettamente interrelate tra loro; in ogni caso in questa sede assume particolare rilevanza il significato di organizzazione come assetto

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organizzativo di un istituto, in quanto sintesi di lavoro organizzato e azioni tese a costituire o modificare un determinato assetto, coerentemente con la visione definita dalla teoria organizzativa. Le decisioni organizzative portano quindi alla configurazione dell'assetto organizzativo aziendale; la quasi totalità delle teorie organizzative di matrice economico-aziendale vede l'assetto organizzativo come uno degli elementi qualificanti la dimensione la dimensione organizzativa di un istituto. L'assetto organizzativo è la risultante del combinarsi:

● della struttura organizzativa (modalità di distribuzione tra i vari organi aziendali, in insieme coordinato, dei compiti e delle responsabilità);

● dei meccanismi operativi (meccanismi che governano la dinamica e la remunerazione dei prestatori di lavoro e l'assegnazione ai vari organi aziendali degli obiettivi e delle risorse).

L'assetto organizzativo si manifesta inoltre attraverso connotazioni di ordine culturale e comportamentale, come lo sviluppo dei sistemi delle competenze e dei valori, che influenzano il significato di determinate configurazioni di strutture e meccanismi. In tal senso, se la struttura organizzativa e meccanismi operativi rappresentano le variabili hard, il sistema delle competenze e degli stili di leadership, dei valori e della cultura organizzativa rappresentano gli elementi soft e pongono al centro dell'attenzione le persone. Al fine di dotarsi di strumenti logici, metodologici e operativi in grado di facilitare qualsiasi intervento di modifica dell'assetto organizzativo che consenta un migliore perseguimento delle finalità istituzionali è necessaria la comprensione:

● da un lato, delle variabili organizzative e di tutti gli elementi che le caratterizzano;

● dall'altro, delle relazioni che le legano e delle loro interdipendenze. Infatti struttura e meccanismi operativi vengono definiti variabili proprio al fine di sottolineare la loro adattabilità in relazione agli obiettivi e alle finalità istituzionali. In particolare, lo studio della dimensione organizzativa con finalità di identificare e adottare soluzioni organizzative strumentali al perseguimento degli obiettivi generali dell'aziendali (valenza prescrittiva) può essere raggiunto solo se i fenomeni organizzativi vengono indagati per avere una chiave di lettura (valenza interpretativa) della realtà di riferimento. Quindi ogni azienda ha bisogno, per funzionare e conseguire i propri fini, di utilizzare il lavoro di persone e di definire un assetto organizzativo che consenta la divisione dei compiti, l'attribuzione dei ruoli operativi e un coordinamento dei distinti interventi. Attraverso la struttura organizzativa di base, i sistemi operativi e di distribuzione delle responsabilità, elementi dell'assetto organizzativo, è possibile regolare il funzionamento dell'azienda ai diversi livelli di responsabilità. 3. LE VARIABILI ORGANIZZATIVE: LA STRUTTURA 3.1 Generalità La struttura organizzativa di una azienda può essere definita come la configurazione unitaria e coordinata degli organi aziendali e degli insiemi di compiti e responsabilità loro assegnati. Attraverso la struttura organizzativa vengono riassunti il sistema dei ruoli e la divisione del lavoro tra gli operatori, e con un ulteriore livello di approfondimento

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è possibile identificare: ● l'individuazine dei compiti elementari che devono essere svolti per la

realizzazione delle combinazioni economiche aziendali (le combinazioni economiche sono l'insieme delle operazioni svolte da tutte le persone che partecipano all'azienda e in esse si sostanzia l'attività economica dell'azienda);

● l'assegnazione di mansioni alle differenti figure professionali (posizioni) che operano nell'ambito delle unità organizzative;

● l'aggregazione dei compiti in sottoinsiemi di attività omogenee (in relazione a prescelti criteri di divisione del lavoro) suscettibili di essere assegnati a un unica unità organizzativa elementare responsabile del loro svolgimento;

● l'identificazione delle funzioni da assegnare a ciascuna unità organizzativa elementare;

● la definizione dei livelli gerarchici tra le differenti unità organizzative; ● le relazioni che collegano le attività di ciascun organo e quelle di altri

organi. E' quindi possibile distinguere:

● la macrostruttura, che definisce elementi quali le unità organizzative e le funzioni, intesi come mandati con ampia discrezionalità di intento e d'azione, e conseguente responsbilità, attribuite a unità organizzative;

● la microstruttura, che analizza le mansioni, intese come mandati interni alle funzioni con discrezionalità di azione ristretta, e i compiti, intesi come mandati ad ambito discrezionale ancora più esiguo.

La struttura organizzativa di una azienda rappresenta quindi il risultato di una scomposizione degli obiettivi generali in obiettivi particolari (livello macro-organizzativo), che a loro volta trovano traduzione di compiti e mansioni ricondotte al singolo operatore e/o gruppi di operatori (livello micro-organizzativo). In particolare la struttura organizzativa può essere indagata secondo tre dimensioni:

● la dimensione verticale che configura le modalità di sovra/subordinazione e quindi i differenti livelli su cui si articola l'azienda;

● la dimensione orizzontale che individua le le modalità di specializzazione delle unità organizzative;

● la dimensione temporale che identifica il grado di permanenza/continuità delle unità organizzative.

Infine la struttura organizzativa definisce altresì le relazioni tra i diversi organi che la compongono, che possono essere di subordinazione (relazioni verticali), tra organi di pari livello (relazioni orizzontali) o tra organi di diverso livello ma non in rapporto gerarchico (relazioni diagonali). L'organigramma ed il mansionario riassumono in un quadro sinottico tutte le informazioni relative alla struttura organizzativa. 3.2 La progettazione della struttura organizzativa Per affrontare il problema della progettazione archittettonica della struttura organizzativa è necessario introdurre il concetto più ampio della progettazione/riprogettazione organizzativa che inerisce una visione unitaria della struttura e dei meccanismi operativi (che affronteremo più in dettaglio nel prossimo capitolo). L'approccio al processo di progettazione/riprogettazione organizzativa presuppone la necessità di ricomporre secondo un percorso definito i passi fondamentali da

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compiere nell'intraprendere gli interventi organizzativi, che si pongono la finalità di adattare l'organizzazione (intesa come azienda) alle modifiche ambientali, attraverso l'adeguamento delle variabili organizzative (struttura organizzativa e meccanismi operativi) In tal senso è necessario:

● chiarire il rapporto tra processo di progettazione organizzativa e processo di pianificazione strategica;

● sviluppare il processo di progettazione organizzativa attraverso: ● una analisi dei fabbisogni organizzativi della'azienda sanitaria; ● l'individuazione delle leve di intervento da attivare nella definizione

dell'assetto organizzativo; ● identificare la forma organizzativa più coerente con le caratteristiche, le

esigenze e le finalità aziendali. 3.2.1 Il rapporto tra progettazione organizzativa e pianificazione strategica Le aziende sanitarie vivono una situazione di continua osmosi con l'ambiente esterno, che come abbiamo visto nel capitolo 1 è rappresentato dal tessuto socio-economico in cui sono inserite e dall'insieme delle norme e dei comportamenti dei livelli di governo superiore. L'ambiente esterno è soggetto ad un alto grado di turbolenza (inteso come repentinità dei cambiamenti) e quindi tali modifiche non possono non condizionare la vita aziendale, determinando la necessità di continui adeguamenti delle dinamiche e quindi della struttura e dei meccanismi operativi (una organizzazione ripetitiva nel tempo non è una organizzazione). Pertanto le modifiche dell'ambiente esterno e le variazioni degli obiettivi strategici delle aziende sanitarie determinano un processo osmotico del tipo:

variazioni ambientali <> variazione degli obiettivi <> scelte strategiche <> scelte organizzative Se strategia e struttura interagiscono è evidente che occorre procedere simultaneamente; non è possibile elaborare strategie, siano esse di azienda o di parti dell'azienda, senza considerare le soluzioni strutturali e organizzative che consentono il raggiungimento degli obiettivi. A tal fine sarà necessario che, in fase di riprogettazione dell'assetto organizzativo, i vertici direzionali attivino un processo di riflessione strategica che ineriscono scelte di posizionamento a livello di aree di attività/pacchetti di servizi, il collegamento tra le scelte di posizionamento e le politiche di diversificazione e sviluppo, che dovranno essere ricollegate all'analisi delle principali tendenze ambientali (quadro istituzionale, modalità di finanziamento, ecc..), all'assetto e all'evoluzione del sistema competitivo e soprattutto alla verifica dei punti di forza e di debolezza del sistema organizzativo interno. Il fattore critico di successo per l'acquisizione effettiva di questa capacità strategico-organizzativa è rappresentato dall'adozione di processi di tipo partecipativo, in cui l'alta direzione deve coinvolgere i responsabili delle singole unità organizzative. In particolare il budget rappresenta uno strumento utile per coinvolgere le singole unità organizzative nell'esplicitazione di una analisi strategica, finalizzata a ricostruire il quadro delle minacce/opportunità a livello ambientale e dei punti di forza/debolezza interni delle unità operative, lasciando all'alta direzione il compito di verificare la compatibilità con gli obiettivi generali dell'azienda (tale processo fa parte dei meccanismi operativi di cui si parlerà nel prossimo capitolo). Solo con un processo di riprogettazione partecipato si può evitare il rischio

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sempre presente delle spinte centrifughe tra loro contrastanti che nel medio periodo determinerebbero una spaccatura all'interno dell'organizzazione. 3.2.2 Il processo di progettazione/riprogettazione organizzativa Abbiamo visto che il funzionamento complessivo di una azienda sanitaria è condizionato dalle modalità con cui interagiscono le variabili organizzative (struttura organizzativa e meccanismi operativi). Per intraprendere gli interventi di progettazione /riprogettazione organizzativa, è utile seguire un percorso che veda:

● l'identificazione dei fabbisogni organizzativi dell'azienda e dei punti di forza/debolezza del modello organizzativo esistente;

● la progettazione delle leve di intervento sull'assetto organizzativo in termini di: ● la progettazione della struttura organizzativa (che è il focus del

presente capitolo); ● sviluppo dei meccanismi operativi (che è il focus del prossimo

capitolo) ● lo sviluppo delle competenze e l’individuazione del ruolo dell’alta direzione a

supporto del processo del processo di innovazione e lo sviluppo di un sistema di valori di azienda/cultura aziendale;

● il governo dei processi di cambiamento e valutazione delle performance degli interventi organizzativi al fine di intraprendere ulteriori cambiamenti o esplicitare maggiormente le regole del gioco.

3.2.3 Progettare la struttura organizzativa Per arrivare alla progettazione/riprogettazione della struttura organizzativa è necessario analizzare in via preliminare i fabbisogni organizzativi a cui la struttura deve dare risposta. In sostanza se ci si rende conto che la risposta a tali fabbisogni è attualmente insufficiente, bisogna:

• da un lato, misurare i fabbisogni organizzativi, ossia capire il livello di soddisfazione che è stato raggiunto dall’organizzazione rispetto a tali fenomeni e quindi identificare a quali fabbisogni è necessario rispondere più efficacemente;

• dall’altro, definire quali leve organizzative (struttura e meccanismi operativi) attivare per rispondere alle esigenze.

3.2.3.1. I fabbisogni organizzativi In accordo con le principali tendenze di pensiero, i fabbisogni organizzativi possono essere codificati in:

• fabbisogno di differenziazione/specializzazione; • fabbisogno di integrazione; • fabbisogno di identità/appartenenza; • fabbisogno di dinamicità; • fabbisogno di stabilità; • fabbisogno di sviluppo; • fabbisogno di autonomia; • fabbisogno di cooperazione.

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Fabbisogno di differenziazione/specializzazione. La differenziazione si può definire come differenza di orientamento conoscitivo tra unità organizzative con diverse modalità di funzionamento interno e che operano in differenti fasi del processo produttivo (ad es. componente medica e componente amministrativa); la specializzazione concerne invece lo sviluppo di competenze specifiche all’interno dell’organizzazione. Nel contesto sanitario, l’elevato grado di innovazione tecnologica e l’autonomia professionale dei medici hanno determinato un processo di specializzazione delle attività che ha portato allo sviluppo di discipline sempre più specialistiche che hanno rafforzato la propria organizzazione scientifica, ottenendo il riconoscimento di articolazioni organizzative autonome. Il grado di eterogeneità del sistema è quindi molto alto. In particolare è possibile parlare di:

• differenziazione professionale, legata alla presenza di differenti percorsi di formazione specialistica e di differenti esperienze. Tale aspetto risulta fortemente complesso con riferimento alla componente medica;

• differenziazione organizzativa, intesa come molteplicità di unità operative, con funzioni e identità proprie, che sono comunque chiamate a interagire per dare risposta ad un bisogno di salute.

• differenziazione geografica, legata ai processi di decentramento sul territorio dell’offerta di servizi. In tal senso la presenza di più distretti con sistemi di valori differenti (spesso corrispondono alle precedenti USL) può determinare differenze di orientamento in merito agli obiettivi, ai rapporti interpersonali e alla formalizzazione delle variabiliorganizzative.

Una elevata differenziazione rischia di far perdere l’obiettivo comune di soddisfare le esigenze di salute degli utenti; nasce quindi l’esigenza di sviluppare gradi di integrazione al fine di consentire un’organizzazione efficiente. Il primo passo è dunque quello di verificare, all’interno dell’organizzazione, quali sono le differenze e le affinità tra le diverse attività e quali sono, di conseguenza, i fabbisogni di integrazione che si generano. Fabbisogno di integrazione. Se l'integrazione si può definire come il grado di collaborazione esistente tra le varie unità operative al fine di raggiungere obiettivi comuni, per fabbisogno di integrazione si intende l'esigenza di coerenza tra i comportamenti delle unità stesse, pur nel rispetto delle esigenze di differenziazione. Il fabbisogno di integrazione dipende quindi proporzionalmente da quello di differenziazione. Una volta differenziato (divisi e chiariti i ruoli) è necessario identificare quali sono le interdipendenze deboli e forti che si creano tra le diverse unità e capire come le attività interagiscono fra di loro. Il livello di interdipendenza tra le diverse unità definisce il bisogno di interscambio e di conseguenza la complessità organizzativa. Esistono diversi tipi di interdipendenza tra unità organizzative: ● strutturale, legata all'uso di spazi o di tecnologie in comune; ● informativa, legata alla necessità di scambi di informazioni; ● economica, legata alla presenza di scambi di risorse tra le varie articolazioni; ● di processo, in cui la produzione del singolo output è determinata dall'apporto operativo di

diverse unità organizzative. Lo sviluppo scientifico ha incrementato in maniera esponenziale il fabbisogno di integrazione e quindi se si vuole rispondere adeguatamente ai bisogni dell'utente è necessario entrare nella logica della catena del valore e ripensare in modo integrato al processo, che va dalla prevenzione, alla diagnosi, al processo terapeutico, al decorso post-terapeutico, al processo di riabilitazione e all'home care, in una dinamica di continuità circolare. Nelle aziende sanitarie l'elevato fabbisogno di integrazione coesiste con un elevato potenziale di conflittualità interna che deriva dalla complessità degli obiettivi da raggiungere e dalla concorrenza tra professionisti sulla ripartizione delle risorse sempre più limitate. Di conseguenza è molto difficile lasciare lo sviluppo di integrazione e di sinergie ai singoli, ma è necessario sviluppare una capacità di governo unitario a livello aziendale. Fabbisogno di identità/appartenenza. Può essere definito come l'esigenza di ogni attore di dominare il proprio ambito organizzativo, di utilizzare in maniera adeguata le proprie capacità e di salvaguardare i propri valori, richiedendo quindi chiarezza del proprio ruolo organizzativo e del sistema di valutazione dei contributi da lui forniti, compatibilità tra i suoi valori e la cultura aziendale, obiettivi aziendali rispetto ai quali sia possibile identificarsi. Pertanto per dare risposta a questo tipo di fabbisogno è necessario individuare:

● da un lato, una struttura organizzativa chiara e sufficientemente definita, che consenta di conoscere le proprie responsabilità, che rispetti le capacità degli individui, che definisca

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l'ambito di autonomia e i rapporti gerarchici ed eviti il crearsi di situazioni confuse; ● dall'altro, sistemi operativi in grado di esplicitare le politiche e gli obiettivi aziendali e il

contributo dei singoli al loro raggiungimento. Fabbisogno di dinamicità. Esso è definito dal vario combinarsi di esigenze di innovatività, di flessibilità e di anticipazione e di orientamento al lungo periodo; in particolare esso evidenzia la necessità di adattare la struttura interna e le relazioni con i soggetti esterni al variare delle condizioni interne e dell'ambiente di riferimento. In altre parole, il fabbisogno di dinamicità è concentrato sui processi di sviluppo ed è fattore di stimolo dei processi di innovazione che tendono ad anticipare l'individuazione e l'analisi dei mutamenti dell'ambiente interno ed esterno. A fronte del marcato dinamismo del mondo sanitario, si impone l'esigenza di adottare condizioni organizzative specificamente orientate alla individuazione delle opportunità e necessità di innovazione intervenendo sulle variabili organizzative (struttura e meccanismi operativi) affinchè le aziende siano rapide nei tempi di risposta ai processi di cambiamento e di anticipazione. Ciò significa orientare la progettazione verso forme organizzative leggere che consentano di:

● diminuire i costi di struttura: tale aspetto risulta molto critico nelle organizzazioni sanitarie in cui i costi per i servizi generali di supporto alla gestione caratteristica dell'azienda risultano molto rilevanti. Da qui l'esigenza di processi di terziarizzazione e di ricorso al mercato per quelle aree di attività per le quali l'esternalizzazione produce vantaggi in termini economici, focalizzando l'attività caratteristica dell'azienda sul core business;

● decentramento delle responsabilità amministrative: in relazione alle accresciute dimensioni delle aziende, diventa necessario porre in essere interventi di decentramento delle funzioni delle responsabilità che riguarda non solo la gestione delle risorse, ma anche la responsabilità di amministrare i fattori produttivi e riprogettare i servizi amministrativi secondo una logica maggiormente diffusa e di dipendenza diretta dalle linee di produzione;

● snellire le procedure: in tal senso sono da considerare tutti gli interventi volti a razionalizzare le procedure tecnico-amministrative con l'obiettivo di recuperare flessibilità operativa e alleggerimento organizzativo.

Fabbisogno di stabilità. Il fabbisogno di stabilità rappresenta una esigenza degli individui che si contrappone a quello di dinamicità, in quanto la maggior parte delle persone posseggono limitate capacità di far fronte ai processi di cambiamento. Dare risposta ai fabbisogni di stabilità non significa evitare i cambiamenti organizzativi, ma gestire in modo adeguato gli stessi, attraverso la gestione delle resistenze al cambiamento e la definizione di regole che rappresentino dei punti di riferimento. Fabbisogno di sviluppo. Esso esprime l'esigenza che, nel corso della vita lavorativa, le persone siano poste in grado di percepire la prospettiva di miglioramento della propria posizione aziendale. E' evidente che lo strumento fondamentale per il soddisfacimento di questo fabbisogno è rappresentato dai meccanismi di gestione del personale, con particolare riferimento all'individuazione dei percorsi di carriera. Fabbisogno di autonomia. Con esso si intende l'esigenza di fare assumere ai processi decisionali forme di articolazione e decentramento molto marcate. Infatti se, come detto a proposito del fabbisogno dinamico, l'incertezza ambientale privilegia forme organizzative flessibili e decentrate, nel caso delle aziende sanitarie questa necessità è ancor più evidente in quanto operano prevalentemente figure ad elevata autonomia professionale, e quindi l'autonomia imprenditoriale e la discrezionalità decentrata devono essere valorizzate. Eventuali interventi di razionalizzazione e di governo unitario non devono essere interpretati dai professionisti sanitari come una minaccia alla loro libertà di azione e alla loro autonomia professionale, ma come strumenti tesi a evitare che si sconfini nell'arbitrio ingestibile. In questo contesto è quindi necessario:

● da un lato, valorizzare l'autonomia professionale; ● dall'altro, orientarla verso gli obiettivi di efficienza ed efficacia organizzativa.

La presenza di autonomia professionale e di professionisti fortemente riconosciuti, anche al di fuori dell'ambiente aziendale, cosi come la valorizzazione dell'autonomia decentrata, porta nelle aziende sanitarie la diffusione di dinamiche di imprenditorialità interna, legate alla crescente capacità da parte delle singole unità organizzative di creare autonomamente fondazioni e associazioni che permettano di acquisire fonti aggiuntive rispetto a quelle tradizionalmente disponibili. Questi organismi, risultato di strategie volontaristiche e capacità imprenditoriali di alcuni medici consentono di attivare e canalizzare fonti finanziarie istituzionali pubbliche (fondi di ricerca) e private (contratti con imprese, donazioni di privati). Tali finanziamenti possono assumere una importanza strategica

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per l'azienda, in quanto possono consentire la messa in opera di progetti di sviluppo in un contesto in cui le assegnazioni finanziarie regionali riescono a stento a coprire la parte corrente. Fabbisogno di cooperazione. Nei sistemi organizzativi complessi l'autonomia deve combinarsi con una forte capacità di cooperazione interna; in particolare il fabbisogno di cooperazione si esprime attraverso lo sviluppo di gruppi di lavoro trasversali e attraverso la costituzione di network informali interni all'organizzazione. Dare risposta al fabbisogno di cooperazione significa:

● coinvolgere gli operatori nei processi aziendali più significativi, quali i processi di definizione degli obiettivi d'azienda, i processi di riorganizzazione interna, i processi di definizione dei sistemi premianti e di valutazione del personale;

● creare team di lavoro trasversali o network informali (indipendentemente dalle strutture codificate) con l'obiettivo di trovare risposta a problemi comuni a tutta l'organizzazione o a più parti di essa e sviluppare logiche di gestione per progetti che favoriscano l'integrazione tra competenze professionali fortemente differenziate;

3.2.3.2. Gli schemi organizzativi e la progettazione organizzativa strutturale Il profilo giuridico dell'autonomia organizzativa introdotto con il D.Lgs.502/92 ha determinato una certa variabilità degli schemi organizzativi strutturali riscontrabili nelle aziende sanitarie, anche se in molti casi legati a meri adempimenti di indicazioni normative e non all'esercizio di una libertà progettuale. In ogni caso è possibile ricondurre i vari schemi strutturali ad alcuni elementi fondamentali dai quali è poi possibile dedurre nel dettaglio tutte le possibili varianti:

● il vertice strategico; ● la linea intermedia; ● il nucleo operativo; ● la tecnostruttura; ● i servizi di supporto.

Nelle aziende sanitarie il vertice strategico include gli organi responsabili dei risultati complessivi dell'azienda e del governo economico della stessa, che esercitano la rappresentanza esterna e la leadership complessiva, ha funzioni di definizione della strategia aziendale e di allocazione delle risorse tra le diverse componenti dell'organizzazione e risponde direttamente alla Regione di eventuali disavanzi di bilancio. In particolare, le scelte organizzative adottate danno origine a due differenti configurazioni del vertice di governo aziendale:

● da un lato, si assume come componente del vertice strategico il solo Direttore generale;

● dall'altro, si considera un vertice allargato oltre che il Direttore Generale, anche al Direttore Sanitario e Direttore Amministrativo (e qualora previsto al Direttore Servizi Sociali e Direttore Scientifico).

La linea intermedia comprende le figure direzionali che collegano il vertice strategico con il nucleo operativo. Esse hanno responsabilità gerarchiche e funzioni di tradurre gli obiettivi generali dell'azienda in obiettivi specifici. Nelle aziende sanitarie è solitamente rappresentata dai Direttori di distretto, dai Direttori di Presidio Ospedaliero e da eventuali Direttori di Dipartimento. Il nucleo operativo svolge le funzioni di produzione delle prestazione tipiche dell'azienda (core business), ed in tal senso sono rappresentate dalle articolazioni operative ospedaliere, distrettuali e della prevenzione (solitamente distinte in strutture complesse e semplici dipartimentali).

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La tecnostruttura comprende gli organi responsabili dell'analisi, controllo e standardizzazione delle funzioni che regolano il funzionamento aziendale. Nelle aziende sanitarie solitamente si distingue tra: tecnostruttura sanitaria: è il caso di funzioni che assumono un ruolo di coordinamento tecnico – scientifico, con prevalenti compiti di elaborazione di linee guida e di protocolli tecnici (es.: qualità, autorizzazione – accreditamento); tecnostruttura amministrativa: prevalentemente supporta la direzione manageriale con strumenti di programmazione e controllo e di regolazione del funzionamento aziendale (es.: controllo di gestione, sistema informativo). I servizi di supporto sono rappresentati da quegli organi che svolgono funzioni non direttamente connesse all'attività caratteristica, ma che ne facilitano e assistono il funzionamento. Si può quindi parlare di servizi di supporto con riferimento ad articolazioni organizzative quali la Farmacia, il Provveditorato-Economato, il Servizio Tecnico, l'Amministrazione del Personale. Definiti gli elementi fondamentali della struttura organizzativa, bisogna soffermarsi sulle caratteristiche delle principali configurazioni di base della stessa. In particolare è possibile distinguere quattro schemi di riferimento:

● struttura funzionale; ● struttura divisionale; ● struttura per area geografica o territoriale; ● struttura a matrice.

La struttura funzionale aggrega risorse ed attività secondo un criterio di omogeneità rispetto alle attività caratterizzanti la funzione, privilegiando gli orientamenti specialistici e tendendo a delineare una linea gerarchica chiaramente definita e conosciuta, in quanto questo approccio presuppone che apicalità/abilità scientifica coincida con apicalità/abilità gestionale, in quanto la linea gerarchica è diretta dal dirigente di una materia o disciplina scientifica (per intenderci il vecchio primario). Il focus organizzativo quindi, si concentra sul versante dell'offerta. Il corretto funzionamento di tale struttura dipende largamente dal grado di formalizzazione dei meccanismi operativi tipicamente orientati allo sviluppo di sistemi di integrazione, che comunque diventano insufficienti nel momento in cui, all'aumento della complessità dell'ambiente interno che esterno, si risponde con una moltiplicazione degli organi, generando un fabbisogno di coordinamento talmente elevato da diventare ingovernabile. La struttura divisionale aggrega risorse ed attività secondo il criterio dei prodotti, dei servizi e dei casi trattati, attribuendo quindi le responsabilità su aree complessive e finali di domanda/bisogni e non per singole funzioni tecnico – specialistiche come nel modello funzionale, rispetto al quale si privilegia una linea gerarchica focalizzata sulla integrazione. Il focus organizzativo è quindi centrato sul versante della domanda. La struttura per area geografica o territoriale ha come punto di aggregazione delle risorse il territorio. L'attuazione di tale struttura è subordinata alla capacità di governare le attività a livello locale, garantendo elevati gradi di coordinamento e un'adeguata risposta alle specificità della domanda presente sul territorio di riferimento. La struttura a matrice riassume in sé le caratteristiche peculiari di quelle precedentemente descritte. In essa si trovano contemporaeamente le dimensioni al centro dell'attenzione nelle strutture precedenti (funzione tecnico-specialistica,

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prodotto/servizio, territorio, ecc). Tale struttura si propone di dare risposta contemporaneamente ai fabbisogni di differenziazione e di integrazione e determina un grado di complessità estremamente elevato, dovuto al fatto che le unità organizzative di produzione ed erogazione delle prestazioni hanno duplice dipendenza, verticale ed orizzontale (o gerarchica e funzionale). Nelle Aziende Sanitarie la configurazione di base prevalente è ancora improntata sul modello funzionale che ha determinato una rilevante ampiezza della dimensione orizzontale, dovuta all'elevata specializzazione ed alla differenziazione dei servizi. Se da un lato ciò ha contribuito anche ed elevare la qualità dei prodotti erogati, dall'altro ha fatto perdere di vista la visione complessiva, limitando il governo unitario e di conseguenza la visione integrata della risposta all'utenza. Emerge quindi che la contemporanea necessità sia della specializzazione tecnica che della integrazione determina che la principale difficoltà che le aziende sanitarie incontrano nel definire il proprio assetto organizzativo è rappresentata dalla individuazione del punto di equilibrio tra la tendenza alla crescente specializzazione dei processi produttivi, che causa un aumento della dimensione orizzontale della struttura organizzativa, e la necessità di integrazione degli interventi rispetto all'utente a cui vengono erogate le prestazioni. 4. LE VARIABILI ORGANIZZATIVE: I MECCANISMI OPERATIVI 4.1 Generalità Per meccanismi operativi si intende l'insieme dei processi che fanno funzionare operativamente l'organizzazione, inducendo adeguati stimoli al comportamento. Mentre la struttura definisce un quadro tendenzialmente statico dell'organizzazione attraverso l'identificazione degli elementi di base, relativamente stabili, del sistema dei ruoli, i meccanismi operativi ne rappresentano l'elemento dinamico. Ciò concerne sia l'adattamento operativo della struttura alle esigenze dei processi di produzione e consumo, sia il collegamento fra i ruoli organizzativi e le persone che li occupano. I meccanismi operativi si possono raggruppare in due grandi classi: I sistemi di gestione degli obiettivi e delle informazioni

● il sistema di pianificazione strategica; ● il sistema di programmazione e controllo ● il sistema informativo.

I sistemi di gestione del personale ● i sistemi di ricerca, selezione, accoglimento e inserimento del personale; ● i sistemi di dimensionamento degli organici parziali e generali; ● i sistemi di addestramento e di formazione; ● il sistema di carriera e il connesso sistema di valutazione del pontenziale; ● il sistema retributivo e i connessi sistemi di valutazione delle mansioni e di

valutazione delle prestazioni. Nel corso si affronteranno le problematiche inerenti i sistemi di pianificazione e programmazione, in quanto più direttamente coinvolti nelle dinamiche generali di management. 4.2. Perché pianificare e programmare e definizione dei termini

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Se le risorse fossero illimitate ci si potrebbe forse permettere di non adottare strumenti di pianificazione e programmazione: il decisore potrebbe affrontare le necessità man mano che si presentano, soddisfacendo ogni genere di bisogno. In questa situazione paradossale l’unico elemento vincolante per il decisore sarebbe la struttura organizzativa adottata in quel momento. Nella situazione reale, però, le risorse sono limitate, sia che si prendano in considerazione le risorse di una famiglia, di uno Stato o del mondo intero; pertanto il decisore si trova nella situazione di dover scegliere come destinare, nel modo migliore possibile, le risorse al fine di massimizzare i risultati. Il processo di pianificazione e programmazione si colloca proprio nella logica di agevolare il difficile compito del decisore che deve in qualche modo prevedere il futuro in base alle conoscenze attuali e adottare delle strategie per la risoluzione dei problemi al fine di utilizzare le limitate risorse disponibili nel modo migliore possibile. I termini pianificazione e programmazione sono spesso utilizzati in maniera indifferenziata, anche perché il significato concettuale è abbastanza analogo. Tenendo presente che anche nella realtà operativa i confini non sono sempre delineati (specialmente nella fase di pianificazione che naturalmente contiene elementi peculiari di programmazione), è possibile, anche per fini didattici, dare una chiara caratterizzazione a due fasi di un unico processo. In via preliminare si chiarisce che nel presente contributo il focus è centrato sul processo a livello aziendale, tenuto conto che in sanità, specialmente la pianificazione, è operata anche dal livello statale, con il Piano Sanitario Nazionale, e, ancor più nell'ottica della riforma ordinamentale dello stato (federalismo), dal livello regionale con il Piano Sanitario Regionale. Per questi livelli di pianificazione è dedicato l'ultimo capitolo. Ciò posto potremmo definire la pianificazione di una Azienda Sanitaria come l'individuazione di obiettivi di attività tendenti a migliorare la situazione futura, tenuto conto dei vincoli e delle opportunità determinate dal contesto sia esterno che interno all'azienda stessa. La pianificazione assume quindi come focus il posizionamento dell'azienda all'interno del mercato di riferimento, e pertanto, dato il livello di osservazione, deve acquisire una prospettiva temporale di durata congrua all'esplicitazione degli effetti di miglioramento posizionale che necessariamente si sviluppano nell'arco di qualche anno (solitamente almeno tre). Gli obiettivi individuati nella fase di pianificazione, per essere concretamente perseguiti a livello aziendale, devono necessariamente essere declinati in obiettivi di attività più specifici da assegnare alla responsabilità operativa delle singole articolazioni aziendali, le quali, a loro volta, dovranno esplodere tali obiettivi in specifiche azioni che dovranno essere assegnate ai singoli operatori che compongono tali strutture. Questa è la fase di programmazione che inerisce quindi il come l'azienda persegue gli obiettivi di pianificazione, che, atteso il livello estremamente operativo della fattispecie, acquisisce una prospettiva temporale più breve della pianificazione (di solito un anno). Pianificazione e programmazione aziendale è quindi anche la modalità con la quale si cerca di dare coerenza a tutta l'attività erogata da tutti gli operatori dell'azienda in una dinamica progressiva di accumulazione e specificazione. Detto in altri termini, se intendiamo la pianificazione quale momento di identificazione degli obiettivi e la programmazione quale descrizione delle modalità con cui si intendono raggiungere gli obiettivi stessi, accumulazione e specificazione significa

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che man mano che si passa dal livello più alto a quello più basso, e cioè dal top management (alta direzione) al line management (direttori centri responsabilità) ed ai singoli operatori, gli obiettivi e le relative modalità di raggiungimento vengono via via sempre più specificate, accumulandosi livello dopo livello in un ambito di coerenza generale. 4.3 Il processo di pianificazione Una volta definito il fine della pianificazione, proviamo ora a codificare la metodologia per svilupparla. Abbiamo detto che la pianificazione si concentra su come migliorare la posizione dell'azienda nel mercato di riferimento, tenuto conto dei vincoli esterni ed interni. Pertanto è intuitivo che il processo di analisi necessario alla identificazione degli obiettivi di pianificazione deve concentrarsi sull'ambiente esterno e su quello interno. La metodologia più seguita è la cosiddetta analisi SWOT che considera l'ambiente interno alla luce dei suoi punti di forza (Strengths) e di debolezza (Weaknesses) e l'ambiente esterno alla luce delle opportunità (Opportunities) e delle minacce (Threats). Ma come mettiamo in relazione questi quattro elementi per identificare gli obiettivi che dobbiamo perseguire per migliorare la posizione dell'azienda? Anzitutto dobbiamo concentrare l'analisi sull'ambiente esterno e più precisamente sulle categorie rilevanti di esso: obiettivi di pianificazione dei livelli sovraordinati (Regione, Governo), stakeholders (livello politico, associazioni, ecc), fattori economici (livello dei trasferimenti economici dalla regione). Per ognuno degli elementi presi in considerazione afferenti alle tre categorie suddette, bisogna analizzare la situazione aziendale, attraverso i dati epidemiologici, di attività ed economici, per ipotizzare se essi costituiscono minacce od opportunità. A questo punto le minacce e le opportunità primariamente identificate vanno correlate alle singole articolazioni-funzioni-attività aziendali (ambiente interno) coinvolte nei processi rilevanti il singolo elemento, che costituisce in sostanza l'analisi dell'ambiente interno dalla quale è possibile capire i punti di forza e quelli di debolezza. Facciamo qualche esempio pratico. Ipotizziamo che il Piano Sanitario Regionale individua quale obiettivo prioritario la diminuzione del tasso di ospedalizzazione. A questo punto analizzando il livello aziendale del tasso di ospedalizzazione riscontriamo che esso si colloca al di sopra della media regionale. Possiamo quindi affermare che l'elevata tendenza all'ospedalizzazione della popolazione residente aziendale costituisce una minaccia. Questo elemento va correlato con l'ambiente interno specificamente coinvolto (es. Reparti ospedalieri e Medici di base) e riscontriamo che alcuni reparti ospedalieri hanno una quota significativa di ricoveri inappropriati e che i medici di base ricoverano in misura maggiore rispetto allo standard. Pertanto l'appropriatezza dei ricoveri e l'attività dei Medici di base risultano punti di debolezza aziendale. Ancora. Poniamo il caso che sempre il Piano Sanitario Regionale si ponga l'obiettivo di incrementare la mobilità attiva extraregionale. Analizzando i dati di attività aziendali, rileviamo che un reparto ospedaliero (es.: Reumatologia) abbia già una significativa attrazione extraregionale con elevate liste di attesa per il ricovero, determinate da una fetta di ricoveri inappropriati che potrebbero essere trattati con attività ambulatoriale diversamente organizzata. In questo caso possiamo dire che l'obiettivo regionale di incremento della mobilità attiva extraregionale rappresenta una opportunità e che il reparto di Reumatologia possa essere considerato un punto di forza.

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Una volta identificate le minacce e le opportunità ed i punti di forza e quelli di debolezza, dovremo quindi ragionare su tutto ciò che necessario fare per:

• Sventare le minacce; • Cogliere le opportunità; • Aggredire i punti debolezza; • Consolidare i punti di forza.

Gli obiettivi di attività scaturenti da tale ragionamento costituiranno gli obiettivi di pianificazione. Riferendoci agli 'esempi precedenti:

1. 1. Per aggredire l'appropriatezza dei ricoveri e l'attività dei Medici di base (punti di debolezza) potremo porci l'obiettivo di implementare un sistema di controllo di appropriatezza dei ricoveri, l'attivazione di un area di degenza breve di osservazione, aumentare la capacità dei medici di base nella gestione delle piccole urgenze, sventando così la minaccia del tasso di ospedalizzazione.

2. Per consolidare il reparto di Reumatologia (punto di forza), possiamo incrementare l'attività ambulatoriale attraverso l'attivazione dei PAC (Pacchetti Ambulatoriali Complessi) liberando una significativa quantità di attività di ricovero, che può essere utilizzata per cogliere l'opportunità dell'incremento della mobilità attiva extraregionale, attraverso la riduzione della lista di attesa.

Gli obiettivi dovranno essere declinati in modo da risultare: specifici, misurabili, attinenti, realistici e temporizzati (SMART). Tutto il processo (dall'analisi dell'ambiente esterno/interno all'identificazione degli obiettivi) sarà descritto in un documento che viene solitamente denominato Piano Strategico Aziendale. 4.4 Il processo di programmazione Come abbiamo esplicitato nel precedente paragrafo, la programmazione attiene al come concretizziamo nell'azienda il perseguimento degli obiettivi individuati nella pianificazione, esplodendo questi ultimi in obiettivi più specifici assegnandoli alle singole articolazioni aziendali e poi l'ulteriore esplosione in azioni da assegnare ai singoli operatori. Tale dinamica rende già intuitiva la suddivisione del processi in due fasi conseguenti che consistono nella: − assegnazione della responsabilità degli obiettivi alle articolazioni aziendali che

chiameremo Centri di Responsabilità (CdR). Questa fase denominata Programmazione organizzativa coinvolge l'alta direzione (Direttore Generale, Sanitario e Amministrativo) ed i responsabili dei CdR (direttori di struttura complessa);

− assegnazione della responsabilità di tutte le azioni necessarie al conseguimento degli obiettivi del CdR ai singoli operatori del CdR. Questa fase denominata Programmazione operativa coinvolge i Responsabili dei CdR e i singoli operatori.

Programmazione organizzativa Nella fase di programmazione organizzativa l'alta direzione esplode gli obiettivi di pianificazione in obiettivi più specifici da assegnare poi ai singoli CdR. Ma con quale metodologia si realizza ciò. Di solito viene utilizzato il metodo proposto dal Galgano delle 5W + H, che

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consiste nel porsi 6 domande e le relative risposte: • What?: è l'oggetto cioè l'obiettivo di programmazione (che discende

dall'esplosione dell'obiettivo di pianificazione); • Who?: è il chi deve perseguire tale obiettivo, cioè quale CdR, individuato

sulla base della competenza; • Why?: è il fine dell'obiettivo, che in sostanza è la descrizione di come

l'obiettivo programmazione si correla all'obiettivo di pianificazione dal quale discende;

• Where?: è il luogo dove si svolgono le attività correlate al raggiungimento dell'obiettivo, ma anche i territori o gli ambienti che vengono coinvolti e che spesso diversificano tra loro oggetti aventi lo stesso scopo;

• When?: è il tempo previsto per lo svolgimento delle attività finalizzate al raggiungimento dell'obiettivo;

• How?: è il come viene perseguito l'obiettivo dal CdR, che sostanzialmente inerisce la quantità e la qualità delle risorse necessarie, eventuali metodiche da implementare e come viene valutato il grado di raggiungimento dell'obiettivo.

La costruzione di tutto il processo descritto deve necessariamente essere negoziata con il responsabile del CdR. Quando tutti gli obiettivi di programmazione sono stati definiti, ogni CdR avrà quindi la sua griglia di obiettivi con la descrizione di tutto ciò che serve per il relativo perseguimento; in sostanza è stato espletato il cosiddetto processo di budget, che dal punto di vista documentale si compone delle singole schede budget che sono state negoziate con i CdR con la metodologia descritta. Programmazione operativa Una volta sottoscritto il budget aziendale con i CdR (programmazione organizzativa), deve inziare la fase di programmazione operativa che, come evidenziato in precedenza, consiste nella individuazione delle azioni necessarie al conseguimento degli obiettivi indicati nella scheda budget e l'assegnazione della relativa responsabilità ai singoli operatori. Essa quindi è un processo del tutto interno ai singoli CdR e si svolge tra il responsabile del CdR e i singoli operatori. La metodologia da seguire è la stessa della programmazione organizzativa, cioè 5W + H:

• What?: è l'oggetto, cioè tutta l'attività descritta in senso quali-quantitativo, da assegnare al singolo operatore, necessaria al conseguimento dell'obiettivo di budget;

• Who?: è il chi, cioè quale operatore deve espletare l'attività descritta nel what;

• Why?: è il fine dell'attività, che in sostanza è la descrizione di come l'attività stessa si correla all'obiettivo di budget dal quale discende;

• Where?: è il luogo dove si svolgono le attività descritte nel what; • When?: è il tempo previsto per lo svolgimento delle attività stesse; • How?: è il come vengono svolte le attività, che sostanzialmente inerisce la

quantità e la qualità delle risorse necessarie (in termini di personale, tecnologie, ecc), eventuali metodiche da implementare o quali comportamenti professionali da seguire (protolli o linee guida diagnostico-terapeutiche) e come viene valutato il grado di raggiungimento delle attività assegnate.

La costruzione di tutto il processo descritto deve necessariamente essere

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negoziata tra il responsabile del CdR ed il singolo operatore od equipe interna. Quando tutte le attività correlate al raggiungimento degli obiettivi di budget sono stati definite ed assegnate, ogni operatore od equipe avrà quindi la sua griglia di attività con la descrizione di tutto ciò che serve per il relativo espletamento; in sostanza sono stati elaborati i cosiddetti Piani di Lavoro che rappresentano il documento formale della programmazione operativa. 4.5 Pianificazione e programmazione come flusso circolare Abbiamo visto che sia per la pianificazione che per la programmazione (organizzativa e operativa), ci si deve sempre porre il problema di valutare il grado di raggiungimento degli obiettivi e delle attività. Tra i vari fini di tale valutazione, in questa sede è importante sottolineare che in base agli elementi della valutazione è possibile effettuare variazioni alla pianificazione o alla programmazione per migliorarle oppure formulare il successivo stadio della pianificazione e programmazione. Questo processo circolare può funzionare se è supportato da un sistema informativo ovvero da un insieme correlato e organizzato di informazioni che deve consentire non solo di definire gli obiettivi e le attività ed eventualmente di riformularli, ma anche di effettuare in ogni fase del processo, la valutazione del loro perseguimento. 4.6 L'altra metà della programmazione operativa: la direzione per obiettivi Quanto descritto nel precedente capitolo 4 in merito al processo di programmazione operativa, non è esaustivo di tutto ciò che inerisce tale fattispecie in una azienda; infatti ci siamo limitati a descrivere tutta quella parte di attività di programmazione operativa che è immediatamente ed esclusivamente delegabile ai CdR, cioè alla cosiddetta direzione per funzioni. I CdR idealmente strutturano l'azienda con una suddivisione verticale e se essi fossero centri finali di produzione completamente autonomi e se le risorse di ogni centro di responsabilità fossero controllabili per l'intero ciclo di trasformazione, gli obiettivi coinciderebbero con le funzioni; secondo questa irreale ipotesi, ciascun direttore di centro dovrebbe assumere autonomamente il personale ivi operante, dovrebbe eseguire acquisti per proprio conto, ed eseguire tutte quelle funzioni che per motivi di specializzazione e per economie di scala vengono in realtà eseguite da altri centri di responsabilità; inoltre non dovrebbero sussistere nell'azienda altre opportunità o scopi che possano generare obiettivi al di fuori delle funzioni dei centri di responsabilità così teoricamente organizzati; il controllo sarebbe in tal senso molto semplice e il decentramento decisionale delegabile al massimo grado. Ma sappiamo che per innumerevoli motivi (semplificazione operativa, principio della specializzazione, economie di scala, ecc.) che la situazione reale non è questa, e che la dinamica evolutiva delle strutture aziendali cammina in senso opposto all'ipotesi di fattispecie. Ne consegue l'esistenza di molti obiettivi (programmi) che si posizionano orizzontalmente alle funzioni, che le intersecano per fini di comune utilità o per l'ottenimento di risultati a concorso plurimo. Comunque anche tra le funzioni ordinarie vi sono intersezioni con altri tipi di funzioni (dette processi), che utilizzano prodotti o risultati di attività di centri di responsabilità diversi e costituiscono il momento finale in cui il bene o il servizio

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diviene fruibile all'esterno . E' intuibile che la gestione del complesso degli obiettivi interfunzionali sia l'attività quasi esclusiva dell'alta direzione, la cui posizione di vertice, garantisce la condizione per il raggiungimento dei fini che gli obiettivi indicano dominando, le inevitabili conflittualità di potere tra i direttori di progetto e i direttori di funzione.

Nelle strutture a matrice, in direzione orizzontale operano i direttori dei progetti obiettivo interfunzionali e in direzione verticale i direttori di funzione (direttori dei centri di responsabilità -CdR). I direttori di progetto spesso ricoprono contemporaneamente altri ruoli all' interno dell' azienda e possono coinvolgere all'interno del proprio lavoro, persone che normalmente operano in altri settori dell’organizzazione. E' evidente la conflittualità dei poteri di chi ha la responsabilità dei risultati del programma e di chi ha la responsabilità della funzione operativa, cui soltanto l'esistenza di un autorevole posizione di vertice potrà dominare e coordinare. La direzione per obiettivi è molto spesso assai complessa e impegna quasi totalmente l'alta dirigenza, esigendone la presenza e la conseguente non dispersione in attività delegabili o scarsamente rilevanti.

I Piani di Lavoro (PdL) nella struttura a matrice Nella parte dedicata alla programmazione operativa del precedente capitolo 4, abbiamo visto in che cosa consiste e come si costruisce un PdL. In questa sede affrontiamo il concetto del PdL nella prospettiva della struttura a matrice, descrivendo i rapporti che collegano piani di lavoro di un unico progetto obiettivo attraverso la loro classificazione. In via preliminare i PdL descritti nel precedente capitolo 4 nella parte dedicata alla programmazione operativa sono PdL autonomi, in quanto iniziano e terminano all'interno del CdR, e quindi appartengono alla linea di direzione per funzioni. Nella struttura a matrice si rileva che un PdL costituisca l'origine di altri PdL e viceversa. Sono collegati quando il loro oggetto dà origine ad altro piano di lavoro, in tal caso dicesi PdL a collegamento susseguente, oppure quando il PdL ha origine dall'esecuzione avvenuta di altro PdL, denominati a collegamento antecedente detti più semplicemente originari, o derivati. Altri PdL sono in posizione intermedia, presentando entrambe le caratteristiche e chiameremo mediani. L'importanza di tale classificazione si basa sulla gerarchia che deve instaurarsi tra i PdL collegati, in cui il PdL derivato deve essere gerarchicamente sopraordinato rispetto al PdL da cui ha origine, a prescindere dal grado dei dirigenti che compongono i relativi gruppi di lavoro. Infatti il dirigente responsabile del gruppo di lavoro che, per così dire, trova a valle, viene sempre valutato per i risultati del gruppo di lavoro di cui fa parte e può effettuare il proprio piano soltanto attraverso l'esecuzione del lavoro del gruppo che si trova a monte. Il principio si trasferisce anche per l'esecuzione delle funzioni ordinarie dell' azienda, in cui un buon funzionamento si basa sulla predisposizione di simili gerarchie, che nel loro complesso generano automatismi di interessi contrapposti che opportunamente organizzati formano un sistema autoregolante. Il meccanismo è l'estensione del principio che si ritrova sulle nuove forme

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contrattuali dei dirigenti pubblici, in cui una notevole parte della retribuzione (dal 15% ad oltre il 70%) è da corrispondersi attraverso valutazione dei risultati raggiunti da ciascun dirigente. Molto spesso il fattore tempo, è elemento essenziale per l’esecuzione dei PdL, fenomeno particolarmente emergente in sanità, pertanto rispetto ai tempi di esecuzione si distinguono i PdL urgenti e non urgenti. Quando dall'esecuzione del PdL dipende la diminuzione di un costo o l'aumento di un ricavo, sia direttamente che indirettamente, oppure sono correlati problemi indilazionabili di salute dei cittadini, ricorre il primo caso e i dirigenti che compongono il gruppo di lavoro dovranno essere valutati anche per il rispetto dei tempi programmati. Per i PdL collegati, l'urgenza di un piano di lavoro rende urgenti tutti i piani di lavoro che si trovano a monte, che per identificarli, chiameremo PdL di linea rossa. La gerarchia tra i piani di lavoro, in questo caso, diviene più consistente. Il principio determina la prevalenza delle responsabilità e dei relativi poteri del settore sanitario sul settore amministrativo, posizionato a monte del processo produttivo Il disaccordo dell'opposta corrente di pensiero vuole invece la parte amministrativa in posizione di preminenza (anche sul servizio tecnico) poiché tradizionalmente depositaria del potere economico derivante dall'erogazione e dal controllo delle risorse ai centri di produzione, delegato tradizionalmente dall'organo deliberante. L’adozione dei sistemi di derivazione imprenditoriale nelle aziende sanitarie, nonché la trasformazione del ruolo giuridico della dirigenza in genere (operata dal D.Lgs.29/93 e s.m.i.) e di quella medica in particolare (operata dal D.Lgs.502/92 e s.m.i.) è la negazione di tale linea di pensiero, in cui il medico dirigente era unicamente depositario delle responsabilità strettamente inerenti la propria personale attività medica. Nel nuovo sistema il medico dirigente è anche il gestore del complesso funzionale di cui è posto a capo: la posizione di preminenza deriva soltanto dalla posizione nella linea di produzione. Ne consegue che la professionalità del medico dirigente o di qualsiasi altro dirigente non amministrativo deve estendersi a nozioni ed esperienze carattere economico aziendale, dominio esclusivo, nel passato, soltanto dei quadri amministrativi. 5. UNA BREVE DISAMINA SUI COSTI DI UNA AZIENDA SANITARIA 5.1 Descrizione dei costi Perché ci si deve occupare e in modo particolare, dell’analisi dei costi? Innanzitutto perché per le imprese ogni lira di costo riduce i profitti e per il settore pubblico vuol dire aumento della spesa pubblica, ma anche perché l’analisi dei costi è fondamentale e indispensabile per decidere la quantità di un bene da produrre e vendere e come (con quali combinazioni di risorse) produrlo. Tale decisione per i beni erogati dal mercato è guidata dal prezzo, ovvero quanto si ricava dalla vendita di un’unità di prodotto. Per i beni erogati in modo collettivo la mancanza del meccanismo del prezzo, crea non pochi problemi e rende necessario un maggiore controllo dell’efficienza. Data la vastità dell’argomento in esame, si riportano delle definizioni schematiche dei vari tipi di costi, lasciando al paragrafo successivo l’approfondimento dei

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concetti in sanità, con riferimento ai costi ospedalieri. I costi totali (CT) rappresentano la spesa necessaria per produrre ciascun livello di produzione. I costi totali crescono al crescere della quantità prodotta. I costi fissi (CF) comprendono quei costi che rimangono inalterati al variare della produzione, essi rappresentano la spesa che occorre sostenere anche quando la quantità prodotta è nulla. Esempio di costi fissi sono gli interessi passivi o le quote di ammortamento, che vengono sostenuti anche se, per ipotesi, l’attività produttiva è nulla, nonché il costo del personale seppur in maniera non così rigida. I costi variabili (CV) includono quei costi che crescono al crescere della produzione: ad esempio, in ospedale, il costo per i pasti erogati, che varia al variare della quantità prodotta, in questo caso delle giornate di degenza prodotte. Per definizione, è sempre CT = CF + CV. Il costo marginale (CM) è il costo sostenuto per produrre l’ultima unità di prodotto (o meglio l’incremento del costo totale per produrre una unità di più); dipende solo dai costi variabili. Il costo medio o unitario (CU) è il costo di una unità qualsiasi di prodotto, dato dal costo totale diviso il numero dei prodotti (es. costo totale dell’ospedale diviso il numero di giornate di degenza prodotte = costo medio per giornata di degenza). È necessaria un’ultima precisazione su quali costi considerare. Per prendere decisioni economiche non è sufficiente tenere conto del costo finanziario (ovvero della spesa monetaria sostenuta per svolgere una determinata attività) ma occorre considerare il costo-opportunità. Il costo-opportunità di una risorsa è il beneficio che si sarebbe potuto ottenere impiegando la risorsa stessa nel suo migliore impiego alternativo. Ad esempio, una risorsa non utilizzata come un locale vuoto ha costo finanziario zero ma, nell’ipotesi di poterlo cedere in locazione ad altri scopi, ha un costo economico, dato dal mancato guadagno (l’ammontare dell’affitto), che può essere rilevante. La misura del costo-opportunità è molto utile nell’analisi dei costi in sanità, come in tutti i settori della Pubblica Amministrazione, quando i beni non vengono erogati dal mercato. Nella valutazione dei costi dei servizi sanitari riveste notevole importanza, anche se sempre trascurato, il costo-opportunità del tempo che il paziente impiega per utilizzare il servizio, cui va ad aggiungersi, sovente, il tempo dei familiari per assistere o accompagnare il paziente. 5.2 Costi ed efficienza Il passaggio alla remunerazione del prodotto ospedaliero con il sistema dei DRG, ha determinato una crescente attenzione sui costi di produzione del prodotto ospedaliero, in quanto la tariffa per caso trattato necessita di ottimali livelli di efficienza produttiva per realizzare la condizione di equilibrio economico (costi = ricavi) che rappresenta un obbligo giuridico delle Aziende Sanitarie. Nel presente paragrafo verrà soffermata l’attenzione sui costi ospedalieri, stante l’incidenza di essi sul totale della spesa sanitaria, focalizzando l’attenzione prevalentemente sui costi medi ed i costi marginali essendo quelli più importanti in una valutazione economica in un sistema a tariffa predefinita. Quando, come nelle realtà ospedaliere, i costi fissi sono una quota parte prevalente dei costi totali, i costi medi di produzione assumono un andamento decrescente all’aumentare dei volumi di produzione. Ciò significa che a livelli di produzione esigui, il costo medio è enormemente

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elevato, in quanto tutti i costi fissi ricadono su poche unità di output. Man mano che il tasso di sfruttamento della capacità produttiva aumenta, i costi fissi si distribuiscono su un numero sempre più grande di unità di output e quindi il costo medio di produzione decresce. Quando la produzione uguaglia i livelli massimi di sfruttamento della capacità produttiva, i costi medi raggiungono il livello minimo, per poi iniziare ad aumentare alla successiva unità di output prodotto per l’aumento del costo marginale. Perché aumenta il costo marginale oltre il suddetto limite di produzione? Come abbiamo detto in precedenza, i costi marginali sono determinati essenzialmente dai costi variabili (pasti, materiali di consumo, ecc..). Tale condizione è valida fino a che la produzione è contenuta all’interno del livello massimo, in quanto oltre tale livello per produrre una unità in più di output passano nel costo marginale alcune voci di costo che in precedenza (cioè quando la produzione è contenuta all’interno del livello massimo) facevano parte dei costi fissi. Facciamo un esempio pratico. La dotazione organica infermieristica in un reparto di degenza è calcolata sulla base di standard assistenziali che in reparti di bassa complessità è pari a 120m/die per ricoverato. E’ evidente quindi che la dotazione infermieristica è direttamente proporzionale alla presenza media del reparto. Orbene se lo stesso reparto aumenta la presenza media di un ricoverato, si avrà la necessità di aumentare la dotazione organica infermieristica, voce di costo che nella situazione precedente era nei costi fissi. Pertanto diventa indispensabile, al fine di garantire la migliore efficienza produttiva, individuare i livelli massimi di produzione dell’ambiente produttivo osservato nei quali i costi medi risultano minimizzati. La teoria microeconomica indica che il livello ottimale di produzione per un impresa che si propone di massimizzare i profitti, è quello in corrispondenza del quale il costo marginale uguaglia il ricavo marginale. Nel nostro SSN, l’aleatorietà del concetto di ricavo (specialmente in un mercato non regolato dai prezzi ma da tariffe predeterminate) ed il fatto che la contabilità analitica non è ancora uno strumento pienamente sviluppato in tutte le realtà, induce a procedere attraverso approssimazioni successive per l’individuazione dei livelli ottimali di produzione. Comunque, in genere, il livello di produzione in cui i costi medi sono minimi dipende in gran parte dalla dimensione dei costi fissi (rispetto ai costi totali). Nelle imprese in cui i costi fissi sono elevati (come nel caso dell’ospedale), i costi medi minimi sono raggiunti ad alti livelli di produzione, in quanto, all’interno dei costi medi, la componente decrescente dei costi medi fissi prevale sulla componente crescente dei costi medi variabili. Per avere una valutazione abbastanza indicativa sull’efficienza di un reparto ospedaliero, ovvero se i suoi costi medi raggiungono un livello minimo da considerare sufficiente, è utile il monitoraggio comparativo del Tasso di Occupazione, della degenza media (DM) e del rapporto valorizzazione economica dell’output/costi di produzione (VEO/CP). Il tasso di occupazione viene calcolato nel seguente modo:

Gd

To = --————————x 100

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Pl x 365 dove: To = tasso di occupazione; Pl = posti letto; Gd = giornate di degenza. Il costo medio per giornata di degenza decresce all’aumentare del tasso di occupazione; tale relazione è particolarmente significativa in presenza di una quota consistente di costi fissi come nel caso dei costi ospedalieri. Il tasso di occupazione, di per sé, non offre sufficienti informazioni sull’utilizzo ottimale della struttura ospedaliera; perciò esso va letto almeno in relazione alla durata media della degenza (DM) e dal rapporto scaturente dalla valorizzazione economica dell’output (attraverso la sommatoria delle tariffe dei casi trattati) e dei costi totali di produzione. Infatti se aumenta la durata media della degenza (Gd/Ricoveri) il tasso di occupazione aumenta ma, ovviamente, la riduzione del costo medio per giornata di degenza non è sinonimo di maggior efficienza, in quanto il prolungamento della degenza provoca un aumento del costo totale per caso trattato, condizione, quest’ultima, che deve essere evitata atteso che ogni caso trattato da origine ad una tariffa fissa, DRG specifica, a prescindere dalla durata della degenza. Pertanto l’aumento del numeratore del Tasso di occupazione (giornate di degenza) deve essere determinato non da un aumento della degenza media, bensì da un aumento dei casi trattati. Quindi è possibile presumere che in presenza di un T.O. superiore al 75%, di una DM in linea con gli standard - da valutare attraverso l’Indice Comparativo di Performance (ICP) che deve essere <1 - e di un rapporto di VEO/CP almeno pari ad 1, si è in presenza di un reparto ospedaliero che lavora su livelli di capacità produttiva vicini a quello ottimale. Se si è in eccesso di offerta di posti letto (posto che la degenza media sia ottimale cioè ICP < 1), per aumentare il tasso di occupazione è necessario diminuire i posti letto disponibili, al fine di diminuire i costi fissi, specialmente se la dotazione organica è stata calcolata sui posti letto e non sulla presenza media.

Il tasso di occupazione ottimale ( TO > 75%) è calcolato in base alle seguenti considerazioni:

− capacità di soddisfare le punte di massima occupazione; − capacità di soddisfare le emergenze; − l’intervallo di turnover, cioè il tempo che in media intercorre tra la dimissione

di un paziente e l’accettazione del successivo, non può essere zero; un certo periodo di tempo è necessario al fine di conseguire l’accurata pulizia del letto, l’aereazione della stanza ecc.

5.3 La break-even analysis Abbiamo visto come i livelli di attività siano fondamentali per l’efficienza dei servizi, e pertanto la determinazione dei livelli di attività ottimali è di importante ausilio per la gestione dei servizi. A questo scopo un’importante tecnica che si avvale dei costi differenziali è la break-even analysis (o analisi del punto di pareggio) che serve a stabilire il livello di attività per il quale i ricavi totali di una azienda (o più frequentemente di una particolare attività all’interno di essa) sono pari ai costi totali, identificando, quindi, la soglia minima di attività di un determinato servizio. La break-even analysis, pertanto, parte dalla seguente equazione fondamentale:

(1) Ricavi totali = Costi totali

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Poiché i costi totali sono pari alla somma dei costi fissi + i costi variabili, la (1) si può riscrivere come:

(2) Ricavi totali = Costi fissi + Costi variabili totali Per molte attività sanitarie è possibile calcolare in modo semplice i ricavi totali, anche se con una certa approssimazione, ricorrendo alla tariffa della prestazione (che chiameremo p) moltiplicandola per il volume (che chiameremo x). I costi fissi vengono rappresentati algebricamente con il termine a mentre i costi variabili unitari con il termine b (e quindi i costi variabili totali saranno definiti dal prodotto bx, dove x è lo stesso volume dei ricavi totali). Pertanto la (2) si può riscrivere come:

(3) px = a + bx Pertanto conoscendo la tariffa (p), i costi fissi (a) e i costi variabili unitari (b), si può risolvere l’equazione ricavando x, che rappresenta il volume di pareggio:

a (4) x = ------- p – b

Ipotizziamo di dover implementare un servizio di endoscopia digestiva (l’analisi di costo e tariffe su base annuale è stata semplificata per chiarezza espositiva). Costi Fissi: €. 400.000 Personale 3 medici: €.210.000 3 inferm: €.105.000 1 op.tec.: €. 25.000 Ammortamento attrezzature (in 5 anni) €. 50.000 Costi generali €. 10.000 Costi Variabili Unitari: €. 10 Tariffa: €. 110 Formula: x = a/p –b x = 400.000/110 – 10 x = 4.000

L’esempio (semplificato) presentato indica che il volume minimo di erogazione annuale del servizio, ai fini di un approssimativo equilibrio costi/ricavi, deve essere di 4.000 prestazioni. E’ evidente che la metodologia darà dei risultati solo ragionevolmente approssimativi, ma comunque abbastanza efficaci nelle valutazioni di efficienza produttiva, anche perché nella realtà i servizi erogano prestazioni differenti con tariffe differenti; in questi casi essendo il case-mix delle prestazioni piuttosto stabile, è possibile approssimare il calcolo attraverso l’individuazione di una tariffa pesata. Ancora nel caso di U.O. complesse che erogano una eterogenea gamma di servizi, è possibile scomporre l’attività complessiva nelle linee produttive, e per ognuna di esse procedere al calcolo proposto, per ipotizzare un volume complessivo minimo teorico. In questi casi è importante fare attenzione alla struttura dei costi

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fissi, in quanto l’analisi potrebbe risultare fuorviante. Facciamo un esempio pratico. Un ipotetico servizio di trasporti sanitari, opera con due ambulanze. La sua tariffa è di €.1 per Km. L’ambulanza 1 percorre 60.000 Km/anno e l’ambulanza 2 percorre 25.000 Km/anno. Il costo variabile unitario per entrambe le ambulanze è di €. 0,20 per Km. L’organizzazione presenta i seguenti ricavi e costi:

VOCE AMBULANZA 1 AMBULANZA 2 TOTALE Ricavi + €. 60.000 (1 * 60.000) + €. 25.000 (1 * 25.000) + €. 85.000 Costi Variabili - €. 12.000 (0,20*60.000) - €. 5.000 (0,20*25.000) - €. 17.000 Costi Fissi 1.Autista - €. 15.000 - €. 15.000 - €. 30.000 2.Costi Comuni (affitto, spese amministrative)

- €. 20.000 (ripartito sui Km percorsi)

- €. 10.000 (ripartito sui Km percorsi)

- €.30.000

Risultato economico + €. 13.000 - €. 5.000 + €. 8.000 La situazione sopradescritta evidenzia un risultato economico complessivo positivo per €.8.000. Il punto debole dell’organizzazione è l’ambulanza 2 che ha un risultato negativo di €. 5.000 in quanto con 25.000 Km di volumi erogativi non riesce a coprire i costi. Infatti applicando la formula della break-even analisis ci vorrebbero almeno 31.250 Km (x=a/p-b; x=25.000/1-0,20; x=31.250). Inoltre a prima vista sembrerebbe che l’eliminazione della ambulanza 2 potrebbe migliorare tale risultato, portandolo a + €. 13.000. In considerazione che probabilmente i costi comuni rimarrebbero invariati, l’eliminazione della ambulanza 2 porterebbe ad un risultato peggiore (+ €. 3.000 anziché €.8.000):

VOCE AMBULANZA 1 Ricavi + €. 60.000 (1 * 60.000) Costi Variabili - €. 12.000 (0,20*60.000)

Costi Fissi 1.Autista - €. 15.000 2.Costi Comuni (affitto, spese amministrative)

- €. 30.000

Risultato economico + €. 3.000