MALATTIE DEL METABOLISMO PROF. GIUGLIANO LEZIONE … · LEZIONE DEL 11/10/2013 . ... è legata...
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MALATTIE DEL METABOLISMO
PROF. GIUGLIANO
LEZIONE DEL 11/10/2013
Sbobinata da Raffaella Carpentieri
DIABETE
Il diabete mellito è la piu’ frequente malattia del metabolismo nel mondo.
Dalle stime effettuate sulla popolazione mondiale,il diabete interessa 350milioni di persone nel
mondo e per il 2030 i diabetici saranno 550 milioni di persone (circa 8-9 % della popolazione totale
mondiale) .
ogni anno muore l’ 1% della popolazione mondiale per malattie croniche non trasmissibili e non
comunicabili cioè non mediate da agenti patogeni .
al primo posto troviamo le malattie cardiovascolari ,al secondo posto le malattie oncologiche al
terzo posto, le malattie respiratorie e al quarto posto,il diabete mellito.
le principali forme di diabete sono: -diabete mellito di tipo 1
-diabete mellito di tipo 2
diabete tipo 1: ci riferiamo alla malattia autoimmune organo specifica legata alla distruzione delle
beta cellule (che producono insulina)e che soccombono all’attacco dei linfociti citotossici
diabete tipo 2: malattia multifattoriale, poligenica, associata a due importanti fattori:
- l’insulino resistenza
- la deficitaria secrezione insulinica
l’ obesita’ è associata all’ insulino resistenza che predispone al diabete.
consideriamo due soggetti obesi, che hanno lo stesso peso, la stessa insulino resistenza ma uno dei
due sviluppa il diabete e l’altro no. Il soggetto che diventa diabetico ha una forte familiarità del
diabete mentre l‘altro non ha l’ereditarieta’.
l’ereditarieta’ è probabilmente legata alla possibilita’ della beta cellula di compensare.
quando abbiamo insulino resistenza (intesa come la difficolta’dell’ormone insulina ad esplicare il
suo messaggio biologico sul metabolismo dei glicidi), l’organismo per cercare di mantenere
l’omeostasi produce piu’ insulina. E cosi l’obeso diabetico produrra’ piu’ insulina rispetto ad un
individuo normale anche se avranno gli stessi livelli di glicemia.
consideriamo un soggetto normopeso che diventa diabetico. In questo caso l’insulino resistenza non
è legata all’obesita’ ma è geneticamente determinata e prevalgono le condizioni di deficitaria
secrezione insulinica .
esiste una terza forma di diabete, il diabete gestazionale. insorge durante la gravidanza che è uno
stato di resistenza insulinica perchè gli ormoni (e principalmente il progesterone) hanno questo
effetto.la beta cellula è sottoposta ad uno stress ulteriore e se la donna è gia’ predisposta possiamo
avere la manifestazione del diabete gestazionale
ci sono altre forme di diabete piu’ rare come quelle geneticamente determinate
diagnosi di diabete
1)facciamo diagnosi di diabete sulla base di un esame del sangue molto semplice:la glicemia
mediante glucometri
la glicemia viene misurata a digiuno ,dopo riposo notturno si effettua un prelievo .per la diagnosi il
valore dovra’ essere maggiore di 126mg/dl (7mMol)
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2)glicemia random :in qualsiasi momento della giornata viene misurata la glicemia che dovra’
essere superiore a 200mg/dl
-un valore compreso tra 110 e 125mg/dl , soggetto con alterata glicemia a digiuno
sono sogetti che progrediscono piu’ rapidamente al diabete
bisogna scendere al di sotto di 100m/dl per non essere considerati soggetti a rischio
3)test da carico di glucosio per via orale: 75 gr di glucosio anidro( in genere si preferisce
soluzione glicosata al 50% )
dopo due ore si effettua un prelievo di sangue , possiamo avere vari scenari:
1)valore di glicemia 220mg/dl :soggetto diabetico
2)se il valore ottenuto è inferiore a 200 mg/dl ma superiore a 140mg/dl in questo caso oltre
all’alterata glicemia a digiuno avremo anche alterata tolleranza al glucosio
3)glicemia inferiore a 140mg/dl : alterata glicemia a digiuno
4)emoglobina glicata :emoglobina ha degli aa liberi che legano glucosio
cosi piu’ glucosio si lega e piu’ si forma emoglobina glicata ( valore per la diagnosi :6.5-6.6)
cosa succede nel nostro organismo per quanto riguarda la glicemia nel periodo post
assorbitivo e nel digiuno?
La glicemia in genere compresa tra 70/100mg/dl è ben regolata perché l ‘organismo deve difendersi
dall’ ipoglicemia (quando la glicemia scende sotto i 70mg/dl)
Ma deve difendersi anche dall’iperglicemia che causa molti danni.
La glicemia è in feedback positivo con l’insulina. Quando aumenta la glicemia , l’insulina sale per
evitare la glicosilazione non enzimatica.
I tessuti insulino sensibili principali sono:muscolo,fegato e tessuto adiposo.Mediante glut 4 entra il
glucosio all’interno della cellula . L’insulina in questi tessuti favorisce lo stoccaggio del glicogeno e
la glicolisi e in questo modo la glicemia si riduce.
In caso di digiuno non rischio l’ipoglicemia ad esempio ,durante il riposo notturno, l’insulina si
riduce e attiva il glucagone per la glicogenolisi, le scorte di glucosio del fegato sono abbastanza
piccole e non sufficienti ma la glicemia non scendera’ mai al di sotto dei 70mg/dl grazie alla
glucogenesi attivata dal glucagone nel fegato.
In caso di pasto proteico, gli aa(basici), stimolano la secrezione di insulina, che facilita l’ingresso
degli aa nel fegato che vengono indirizzati alla sintesi proteica e stimolano anche il glucagone per
prevenire l’ipoglicemia .
Nel caso di intensa attivita’ fisica non rischiamo ipoglicemia perché si abbassa il livello di insulina
si attiva il sistema adrenergico, la glicogenolisi ed il fegato produce glucosio
l’insulina è un ormone anabolico:
–aumenta la concentrazione di glicogeno nel fegato, nel muscolo
-nel tessuto adiposo determina la formazione di trigliceridi perché facilita la formazione di
glicerolo e acidi grassi liberi, il tessuto adiposo si espande sotto l’azione dell’insulina
-aumenta la sintesi proteica
la sintomatologia del diabete di tipo 1 inizia a manifestarsi dopo la distruzione del 90%delle cellule
beta, l’esordio è improvviso. anche nei bambini si manifesta con stanchezza ,scarsa
attenzione,dimagrimento nonostante l’alimentazione,poliuria .
il dimagrimento si spiega per la carenza di insulina ed il catabolismo del tessuto
adiposo:lipolisi(scissione dei trigliceridi ad acidi grassi liberi e glicerolo)
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l’iperglicemia si genera a causa dell’eccesso di glucagone favorito dalla deficitaria azione dell’
insulina, esalta la glucogenesi e si produce piu’glucosio dal fegato
anche gli acidi grassi hanno un ruolo.quando arrivano al fegato, in assenza di insulina ed eccesso di
glucagone vengono inviati alla beta ossidazione che termina con la formazione di acetil coA che
comporta la formazione dei corpi chetonici.
i corpi chetonici sono caricati elettricamente e ad elvate concentrazioni fanno scendere il ph, si crea
acidosi .
l’organismo ha due meccanismi per difendersi da questa condizione :attraverso
iperventilazione(respiro di kussmaul) o attraverso il meccanismo tampone a livello renale.
la poliuria osmotica: in presenza di glicemia superiore a 180mg/dl viene sueperata la soglia di
riassorbimento del glucosio, avremo glicosuria che determina poliuria ed il glucosio essendo
osmoticamente attivo richiamo acqua e sodio, per cui la sete è secondaria alla poliuria osmotica
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Malattie del Metabolismo Prof. Giuliano Lez 16.10.13
Abbiamo parlato delle differenze tra chetosi e chetoacidosi e ci spiegavamo in base alle alterazioni biochimiche la sintomatologia del bambino o del giovane adulto che ha questi problemi di scompenso glicemico per mancata secrezione di insulina. Esiste anche un’altra possibilità che è il coma iperosmolare. Sia il coma iperacidosico che il coma iperosmalare sono rari da quando è stato possibile avere strumenti a casa che misurassero la glicemia. Il coma iperosmolare si verifica nella persone anziane ed è appannaggio del diabete di tipo II Il coma acidosico del diabete di tipo I Il coma iperosmolare non comporta né chetosi né chetoacidosi (differenza biochimica oltreché fisiopatologica dal diabete di tipo I) perché non c’è assenza di secrezione insulinica ,il processo non coinvolge l’autoimmunità e non c’è della distruzione betacellula quindi, anche se poca, la quantità d’insulina fa sì che non avvenga gicolisi passiva, e che quindi non si formino corpi chetonici, questa è la differenza fondamentale biochimica. Questo tipo di coma come dice la stessa parola è dovuto ad un aumento dell’osmoralità del sangue conseguente all’aumento dei soluti ed in particolare del glucosio quindi è dato dall’iperglicemia. Quali sono le condizioni favorenti il coma iperosmolare? L’età, questo è un fattore predisponente poiché l anziano percepisce poco lo stimolo della sete, ed ecco perché gli anziani dovrebbero bere un predefinito quantitativo di acqua, inoltre l’anziano può prendere dei farmaci che possono facilitare l’iperglicemia come i diuretici( altro fattore predisponente: allotanando acqua e Na aumentano l’osmolarità) o farmaci che aumentano l insulino resistenza come i cortisonici. E infine un fattore scatenante come un forte stress dovuto a febbre, polmonite o un ricovero ospedaliero. Abbiamo tracciato il profilo di un soggetto a rischio di coma iperosmolare. Ovviamente il coma iperosmolare è ad alta mortalità. [Evoluzione della specie –tex willer-indiani-mesopotamia] […]Se diecimila anni fa ci fossero stati due individui uno economo e l'altro che dissipava tutta l energia. La specie si è evoluta favorendo il genotipo economo, cioè quello che era predisposto ad accumulare le riserve di cibo poiché riuscivano a mangiare rarissimamente. Se Noi siamo discendenti di quest’ultimo genotipo pero’ associato ad una grande disponibilità di cibo, siamo per forza dei perdenti perché l obesità rappresenta più di 600 milioni al mondo. Parentesi sulla povertà che rappresenta primo fattore di morte[…] I fattori di rischio per il diabete di tipo II: -l’età, -la storia familiare, -una dieta di tipo occidentale -mancanza di esercizio fisico
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Contro gli ultimi due fattori di rischio si puo’ lottare attraverso il cambiamento dello stile di vita: sana nutrizione ed esercizio fisico. Complicanze vascolari del diabete oggi il diabetico non soccombe più agli eventi acuti (coma iperosmolare/chetoacidosico)ma bensì a quelli cronici. Mentre prima il diabetico soffriva di complicanze acute perché non c’erano farmaci adatti, si curava o con alti dosi di acido acetilsalicilico o con gli oppioidi, l’insulina fu scoperta nel ’21 e fu commercializzata ne ’22 e da allora le cose sono cambiate e quindi ora il diabetico muore prevalentemente di complicanze cardiovascolari(60-65%). Le complicanze croniche si dividono in: -Microvascolari: colpiscono piccoli vasi e quindi a livello retinico, glomerulare e vasi che avvolgono i nervi. Sono strettamente collegate all’ iperglicemia e quindi al diabete. -Macrovascolari: colpiscono grandi vasi ( principalmente le coronarie, i vasi che portano il sangue al cervello e quelli che lo portano agli arti inferiori), sono associate al diabete e non sono strettamente dipendenti dall’ iperglicemia ma riconoscono tutti gli altri fattori di rischio cardiovascolari: fumo, dislipidemia, ipertensione arteriosa e obesità, si possono dividere in modificabili e non , maggiori , minori ed accessori. Il soggetto diabetico, principalmente di tipo II, ha un’elevata incidenza di malattie cardiovascolari perché nella sua persona si associano gli altri fattori di rischio cardiovascolari essendo nel 70% dei casi è iperteso, nell’ 80% dei casi è in sovrappeso o obeso e nel 90% dei ha un’iperglicemia che non è ipercolesterolemie ma aumento dei trigliceridi e diminuzione dell HDL colesterolo. L’iperglicemia comporta danni ai vasi attraverso la glicazione non enzimatica delle proteine, la presenza dei prodotti di glicazione proteica avanzata, la produzione di ROS, soprattutto l anione superossido, che ha la capacità di sequestrare il monossido di azoto con la formazione di perossinitrito che è il radicale libero piu’ dannoso di tutti. Altre strade come la vie dei pentoso fosfati che puo’ essere private. Retinopatia diabetica Colpisce la retina, che è la parte nobile dell’occhio, deputata alla visione attraverso i coni e i bastoncelli. I piccoli capillari che portano il sangue alla retina possono soffrire d’ischemia; si forma così un area ischemica (che è possibile vedere con esami strumentali) Quest’ area causa una vasodilatazione riflessa con conseguenti microemorragie, se questo meccanismo viene ripetuto nel tempo si forma tessuto cicatriziale che scompaginerà la visione , questo processo può richiedere anni. Per prevenire la retinopatia bisogna andare dall’oculista per l’analisi del fondo oculare. Il diabetico di tipo II necessita di un’ indagine annuale. Quello di tipo I alla diagnosi ogni 5 anni. Perché nel diabete di tipo II noi possiamo risalire alla data della diagnosi clinica ma non possiamo sapere da quanti anni dura uno stato di alterata tolleranza al glucosio. Ovviamente l’oculista ci dirà quello che vede , aree ischemiche, microemorragie retiniche e si porrà a questo punto il problema su come intervenire, perché bisogna chiudere quelle microemorragie, perché sarà il tessuto cicatritriziale che causerà la cecità, ed infatti il diabete rappresenta ancora la prima causa di cecità.
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Anzitutto bisogna migliorare il controllo glicemico, vi basti sapere che questa ipotesi è stata dimostrata con uno studio di intervento, prendendo 1000 soggetto diabetico, di cui 500 sono stati trattati con terapia insulinica tradizionale e gli altri in maniera più aggressiva in modo da ridurre l’emoglobina glicata (studio di intervento in cui vado a testare l’ ipotesi) . Seconda cosa da fare bisogna cercare di agire sugli altri fattori di rischio : fumo di sigaretta, ma se nonostante tutti i nostri sforzi noi non dovessimo riuscire a migliorare le condizioni, abbiamo ancora una altra possibilità: per visualizzare meglio la retina puo’ fare un esame che si chiama fluoroangiografia retinica: mediante la somministrazione di un mezzo di contrasto la fluorescina che colora di giallo i vasi retinici, dopodiché si fotografa l’occhio e se vi sono microemorragie, vengono fermate attraverso l’induzione della coagulazione con un sottile fonte di calore, questo processo si chiamo elettrocoagulazione o fotocoagulazione e avviene attraverso un laser (laserterapia) che emette una luce monocromatica che permette un’estrema precisione, nonostante tutto vengono danneggiate anche cellule ancora sane, è stato provato pero’ che sono maggiori i benefici a lungo termini ( ritardo della cecità) che gli svantaggi di questo trattamento. Il paziente diabetico può accusare un calo della vista anche inseguito a trattamento insulinico perché l’ abbassamento repentino della glicemia causa un cambiamento dell’osmolarità del sangue ( prima più alta), mentre quella del cristallino ci mette più tempo per regolarizzarsi e quindi questa differenza tra il cristallino ed il sangue può dare questa perturbazione della vista, ma dopo 4-5 gg rientra nella normalità. Nefropatia diabetica: (molte cose ve le diranno i colleghi nefrologi), il diabete è la prima causa di insufficienza renale. il diabetico è più suscettibile al danno renale Come si verifica la nefropatia: sembra che tutto parta dall’ iperglicemia, a livello dei glomeruli esiste un intenso scambio attraverso i pori e sembra che questi pori, che permettono il passaggio di molte sostanze, abbiamo anche il ruolo di regolare lo scambio proteico. Le proteine normalmente non passano ma non tutte per la grandezza poiché alcune, tipo l’albumina, riuscirebbero a passare ma non lo fanno a causa delle cariche elettriche. L’albumina è carica negativamente e anche la MB quindi vi è un respingimento che non permette all’ albumina di passare, nel soggetto diabetico vi è una perdita di questo meccanismo in quanto vi è una diminuzione di cariche negative dei glicosamminoglicani della MB e quindi diventa più semplice per l’ albumina passare, ma questo cosa centra con la nefropatia? Perché sembra che questo traffico danneggi il rene, ma indipendentemente dalla causa, sembra che più proteine si perdano dal rene e maggiore sia il danno presente, allora quale è stata la furbizia di alcune persone: noi andiamo a valutare la salute del rene testando la quantità di proteine e visto che l’albumina è la più piccola si è passati al concetto di albuminuria che è un marcatore di nefropatia. Noi possiamo dividere l albuminuria in micro e macro albuminuria, dove per microalbuminuria si intende l’emissione di 30-300mg/die e macro 300-500mg/die, ovviamente stiamo parlando di piccole quantità di proteine ma l importanza del fattore di rischio è quella di prevenire la malattia. Quindi cosa faccio con un pz con diabete e microalbuminuria ? Anzitutto faccio molti controlli glicemici, secondo il fattore di rischio più importante dopo l’elevata glicemia è l’elevata PA, quindi fare attenzione al controllo della PA, addirittura in fase tardiva il controllo della PA diventa preponderante anche su quello della glicemia perché il rene risente moltissimo della PA e non solo è un induttore dell’ipertensione ma anche un bersaglio e allora come fare? Il sistema renina-angiotensina è fondamentale per la regolazione della pressione e sapete anche cha la pressione dell’ arteriola afferente e dell’ arteriola
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efferente ma principalmente dell’arteriola afferente risente molto dell’angiotensina II ed infatti l aumento di filtrazione renale aumenta quando aumenta la pressione della capsula del Bowman, ma come fa ad aumentare la pressione a questo livello? Se esiste uno squilibrio tra l’arteriola afferente ed efferente, se l’arteriola efferente si contrae noi abbiamo un aumento di pressione a monte, questo aumento di pressione a monte, nel tentativo di forzare il blocco a valle, determina un aumento di pressione di perfusione, un aumento del filtrato e quindi anche un aumento dell’albumina che vediamo, quindi agire sull’arteriola efferente è fondamentale e come agiamo? Con i farmaci che agiscono sull’angiotensina II ( ACE inibitori, i sartanici che bloccano i recettori per l’angiotensina II o l’anti renina). In particolare nel diabete di tipo I si usa l’ACEinibitore anche in assenza di ipertensione, e se presenta micro/macroalbuminuria è possibile prescriverlo a carico del sistema sanitario nazionale e quindi serve non solo per abbassare la pressione ma anche per ridurre la quantità di albumina nelle urine. Nel diabete di tipo II si usano preferibilmente i sartani, ma non perché gli ACE inibitori non vadano bene ma perché ci sono più studi che hanno dimostrato un effetto positivo dei sartani in questa forma di diabete. Ovviamente quando c’è progressione di nefropatia, quindi nel soggetto vi è aumento della creatinina e allora la malattia è già avanzata e non si può aspettare che aumenti la creatinina per fare diagnosi di nefropatia diabetica. La nefropatia diabetica oltretutto comporterà un maggiore rischio di malattie cardiovascolari. Neuropatia diabetica: causa principale di amputazioni non traumatiche. È una complicanza microvascolare del diabete, è un’ alterazione dovuta alla compromissione dei piccolissimi vasi dei nervi, che irrorano il nervo e quindi anche in questo caso partiamo da una complicanza ischemica, ovviamente i nervi sono tanti, come faccio a parlare di neuropatia? Può essere una mononeuropatia, una polineuropatia può essere sensitiva, motoria….. tutti i nervi IN TEORIA possono essere colpiti, IN PRATICA c’è una predizione in alcuni nervi. es: Un pz diabetico accusa doppia visione e comincia ad essere strabico, il medico capisce che lo strabismo insorto all’improvviso in un soggetto può essere una paresi capisce per dove va l’occhio se è il III, il IV o il VI, che innervano i muscoli che fanno muovere l’occhio, quindi questo soggetto ha avuto la peresi di uno di questi. La prima cosa da fare è bendare l’occhio per evitare stress inutili. Ma è raro che la neuropatia diabetica si presenti come mono, la forma più comune di neuropatia è una polineuropatia simmetrica distale centripeta sensitiva-motoria (le due componenti dei nervi), i nervi sono molto lunghi e guarda caso un fattori di rischio per neuropatia diabetica è l’altezza del soggetto, entrando nel dettaglio: la maggior parte delle volte queste forme decorrono in modo asintomatico, che non è un bene. Vediamo quelle sintomatiche che sono sintomatiche (30-40%), il soggetto accusa di notte dei formicolii (parestesie) o dolori forti ed urenti, crampi e piedi freddi, a volte il soggetto diabetico non riesce a sopportare il peso del lenzuolo (allodinia : ad uno stimolo innocuo corrisponde un forte dolore), un’altra fetta di soggetti diabetici non ha sintomi, quindi non viene da voi ve ne potete accorgere se il soggetto ha delle lesioni e non sa come se le è procurate, se non sente più l’acqua fredda o calda, quindi queste sono espressioni di alterata sensibilità periferica; queste sono più importanti da un punto di vista prognostico, immaginate di avere un piccolo sasso nella scarpa, vi provoca dolora e voi lo togliete, ma il diabetico potrebbe non accorgersi di averlo perché è prevalsa l’ alterazione della fibra sensitiva, quindi significa che manca quel sistema di controllo automatico che permette di regolare l’appoggio plantare a seconda degli stimoli provenienti dal suolo, noi lo facciamo automaticamente, senza avere coscienza di quello che stiamo facendo, nemmeno il diabetico ce l’ha. Immaginate quindi che un soggetto diabetico non percepisca bene il suo appoggio plantare, a noi è un fatto automatico se scegliamo una scarpa piuttosto che un’altra perché abbiamo una determinata conformazione,
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caratteristica del nostro piede, se il diabetico percepisce male significa che appoggia dove capita e che non esiste piu’ un sistema automatico su quello che noi percepiamo con i nostri recettori e sul modo di impostare la nostra camminata. Quindi il diabetico non si rende conto del modo posa il piede e si creano dei punti di iperpressione e quindi delle callosità caratteristiche sotto la pianta ed in particolare sulle teste dei metatarsi, quando c’è un appoggio prolungato sulle teste dei metatarsi perché non riusciamo a distribuire bene il peso per mancanza di informazioni si formano queste callosità. Quindi da un’alterazione sensitiva siamo arrivati ad un’alterazione del piede.
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Lez. di Malattie del Metabolismo del 17/10/13
prof.Giugliano
Proseguendo quello che ci siamo detti ieri, dobbiamo adesso finire le complicanze, principalmente le
microvascolari e, se non ricordo male, stavamo alla neuropatia diabetica. Avevamo già parlato della
retinopatia e avevamo incominciato a discutere sulla neuropatia e avevamo detto che sebbene tutti i nervi
possano essere colpiti dal processo, in quanto il processo è sistemico, purtuttavia vi erano delle preferenze
per quanto riguarda alcune localizzazioni. E avevamo parlato di una polineuropatia simmetrica sensitivo-
motoria centripeta e distale. Quindi queste aggettivazioni ci aiutavano ad inquadrare il fenomeno.
Avevamo anche detto che questa localizzazione prevalente agli arti inferiori, non in tutti i soggetti diabetici
si appalesava sintomaticamente, nel senso che in alcune persone c’era la possibilità di non avere sintomi.
Fortunatamente per noi e sfortunatamente per il paziente, questi sintomi ci mettono in allarme e sono
probabilmente la migliore cosa per il paziente perché vi dicono che c'ha una neuropatia periferica.
Altrimenti nelle fasi asintomatiche il paziente può soffrirne senza che noi ce ne accorgiamo. Dei sintomi ne
abbiamo, sono sintomi fastidiosi: i formicolii, le parestesie, sensazioni di crampi notturni, l’intolleranza del
peso del lenzuolo, e tanti altri. In linea generale, dobbiamo fare diagnosi differenziale con altri sintomi che
ci possono essere, perché il paziente diabetico può andare in contro spesso a complicazioni per esempio del
canale centrale delle radici nervose. Un ernia del disco per esempio può venire anche ad un paziente
diabetico. E dovremmo fare diagnosi differenziale in genere, in un ernia del disco, monolaterale con dolore.
Non so quanti di voi avranno visto persone che soffrono di queste cose a livello sacrale. Esiste sempre la
possibilità che ci possa essere anche nel soggetto diabetico. Avevamo anche accennato al fatto che la
maggior parte dei pazienti diabetici sono asintomatici, nel senso che questa patologia, questa
compromissione delle vie nervose non dà segni o può dare dei segni negativi (cioè il paziente non sente
normali stimoli) a cui il paziente non fa tanto caso. Per cui la bravura del medico è di domandare piuttosto
che ascoltare perché la prevenzione si fa anche domando alla persona che cosa avverte o che cosa non
avverte. Ovviamente la perdita della sensibilità profonda che è quella che ci dà informazioni sulla nostra
postura e ci dà informazioni sui nostri movimenti, la perdita, o la distruzione, o anche la parziale distruzione
di quelle fibre si associa ad una perdita non dell’equilibrio, ma a disturbi dell'appoggio plantare. Per cui il
soggetto non riconosce, non si accorge, perché nessuno glielo dice, che può avere degli incidenti di
percorso. Ma quello che è più grave è che rischia di perdere questa distribuzione del peso corporeo ai
normali punti di appoggio che ovviamente può determinare delle iperpressioni in qualche zona della pianta,
per cui si hanno delle manifestazioni che possono sembrare banali, come delle callosità o ipercheratosi, ma
che banali non sono perchè a questo si aggiunge il fatto che non avvertendo la sensazione dolorifica o
anche la sensazione di pressione il soggetto continua a camminarci sopra, si può avere fissurazione, se a
questo aggiungete il fatto che il paziente diabetico è più portato a processi infettivi, allora è chiaro il quadro
di questa situazione, che si può avere l’ulcera a tutto spessore di cui il paziente non si accorge neanche.
Prendete un anziano che vive solo (oggi è abbastanza, non dico frequente, ma diciamo non è inusuale che
l'anziano possa vivere da solo, sia per problemi di spazio nelle famiglie che si fanno sempre più piccole ma
anche per problemi di metratura quadrata degli appartamenti per cui il nonno, la nonna non ci stanno più)
che non può guardarsi sotto la pianta del piede, perché gli risulta difficile, non si accorge del problema.
Quindi il consiglio che noi diamo ai medici è di scoprire i piedi a qualsiasi paziente diabetico di qualsiasi età.
Scoprite i piedi dei pazienti diabetici. Ovviamente potete anche dire al paziente, che potrebbe avere pudore
di scoprirsi i piedi, "vi vedrò i piedi la prossima volta" così lo mettete in uno stato di rilassamento mentale,
voi state tranquilli e siamo tutti felici. Questo per cercare callosità e ulcere plantari e tutto quello che
vedete a livello del piede da segnalare. Vi ricordo che un piede neuropatico, non è un piede vascolare: il
piede vascolare è quello in cui non arriva più il sangue per un ostruzione, alla femorale, poplitea, tibiale
dove volete voi, che impedisce l’afflusso di sangue. Come succede alle coronarie può succedere anche alle
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altre arterie. Per fare la differenza, cioè come faccio a distinguere il piede vascolare dal piede neuropatico?
Ovviamente riferendoci alla fisiopatologia, nel piede vascolare, se arriva poco sangue il piede sarà freddo,
pallido, gli annessi cutanei atrofici, il piede neuropatico sarà invece più caldo, ma perché? Perché la
neuropatia diabetica a livello del sistema autonomico determina un apertura degli shunt arterovenosi per
cui il piede è caldo e cianotico. La classica ulcera neuropatica ha la caratteristica di essere completamente
indolente. Il paziente non ha dolore. Ecco perché può essere fastidiosa e pericolosa, perché è frequente che
l’ulcera si infetti e questo è il pericolo fondamentale, perché un ulcera infettata, va in gangrena. Le ulcere
infette fanno davvero raccapriccio perché si creano dei tragitti fistolosi all’interno delle strutture del piede
che possono arrivare anche fino all’osso. L’amputazione, quando avviene, se avviene, nel paziente
diabetico, a parte microamputazioni delle dita del piede che non compromettono l’ambulazione,
l’amputazione del piede, fino al ginocchio eventualmente, è dovuta proprio al fatto che noi non riusciamo a
controllare l’infezione perché è talmente vasta e ampia che l’unica alternativa è l’amputazione. Ovviamente
l’amputazione è un fenomeno destruente per una qualsiasi persona perché priva dell’ambulazione naturale
e i soggetti amputati sono quelli che più facilmente sono a rischio di altre amputazioni, così come i soggetti
infartuati sono a rischio di ulteriori infarti.
Se il medico si accorge per tempo che c’è qualcosa che non va è possibile prevenire o ritardare la comparsa
dell’ulcera, ma come? Anzitutto scaricando la pressione. Perché se il problema principale è la pressione in
un punto specifico che determina la formazione della callosità e a sua volta fissurazione e poi ulcera, se noi
agiamo a monte riusciamo a evitare questa come. Come lo facciamo? Semplicemente valutando quali sono
i punti di pressione, con un apparecchio che si chiama podometro che dà i punti di pressione. Vengono
quindi usati dei plantari idonei fatti su misura con materiale super leggero che consentono di scaricare il
peso in modo più uniforme. Lo stesso avviene anche con l’ulcera infetta: se il paziente ha avuto un
infezione per cui la glicemia che è salita alle stelle (non dimenticate mai che la febbre o comunque un
infezione è uno stress per il paziente e viene visto come un aumento degli ormoni cortisonici che sono
diabetogeni), se noi vogliamo curare un ulcera infetta oltre ad un antibiogramma, oltre ad usare il più
potente antibiotico, oltre a tutto quello che volete voi, anche in questo caso dobbiamo scaricare il piede del
soggetto, non lo possiamo mettere a letto per 30 giorni, facciamo male al paziente rischiando trombosi da
stasi ed embolie, ma non possono camminare sulla lesione, ma vengono usati dei tutori che permettono al
paziente di camminare scaricando il peso.
Quindi il piede diabetico l’abbiamo visto, l’ulcera diabetica l’abbiamo vista. Ricordiamo che essa è
indolente, mentre l’ulcera vascolare è molto dolente e questa è un'altra caratteristica che ci aiuta a
dirigerere la nostra attenzione verso una cosa piuttosto che un'altra.
Vi dicevo prima che la neuropatia diabetica colpisce anche altri distretti. Noi abbiamo il sistema sensitivo, il
sistema motorio ma esiste anche il sistema neurovegetativo che a volte sottovalutiamo. Vorrei fare un
ragionamento con voi, visto che siete una classe abbastanza omogenea per età. L’esplorazione del sistema
cardiaco in genere si fa su quello cardiovascolare perché è quello più facilmente accessibile, immediato e si
basa su un principio fondamentale che è quello della [Perfusione]. La frequenza è influenzata innanzitutto
dal sesso, dall’età, dall’attività fisica (in genere chi fa attività fisica ha una frequenza più bassa xkè è più
allenato). Ma fermo restando questo quello che è importante per la fisiologia cardiaca è l’alternanza della
frequenza, cioè non abbiamo una frequenza fissa, ma variabile, e questa variabilità della frequenza è una
spia importante della nostra salute cardiovascolare. Più variabile è la frequenza più stiamo bene.
Ovviamente come si può fare a valutarla, anche a casa vostra, con mezzi di fortuna? Una di queste è la
respirazione, che è accoppiata al cuore proprio per vicinanza ed è chiaro che possono avere altre
connessioni oltre a quella geografica. Se voi inspirate profondamente abbiamo variazioni della frequenza
che sono fisiologiche. Quindi quando io inspiro, la frequenza che fa? Diminuisce via dell’aumento del
ritorno venoso, perché i polmoni dilatandosi determinano un abbassamento della pressione nelle cavità
toracica che richiama più sangue. Questo sangue raggiunge l’atrio destro l’aumento di pressione atriale
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determina l’attivazione dei barocettori presenti nell’auricola dell’atrio. I barocettori mandano quindi
segnali che rallentano la frequenza cardiaca. Quando noi espiriamo succede l’opposto. Allora se voi vi fate
una prova sulla vostra frequenza, meglio farlo con l’ecg che ci da l’intervallo R-R, che è l’intervallo tra due
sistoli successive e quindi ci da la frequenza cardiaca... Allora avendo a disposizione una striscia
elettrocardiografica noi possiamo calcolare l’intervallo R-R e vediamo che esso in inspirazione si allunga ed
in espirazione si accorcia. Quindi in un cuore perfettamente normale come quello di una classe come voi, in
un ispirazione se noi facciamo il rapporto tra l’intervallo R-R più lungo, cioè la massima diminuzione della
frequenza che si è avuta in ispirazione e quello basale noi abbiamo un rapporto che è superiore ad uno,
perché stiamo confrontando un R-R che si è allungato con un R-R più piccolo. Se non vado errato se il
numeratore è maggiore del denominatore significa che il rapporto sarà maggiore di 1, come avviene in
questo caso. In un cuore normale addirittura vediamo 1,4-1,5 a testimoniare che quest’estrema variabilità
della frequenza è in rapporto agli atti respiratori. Quindi quanto più è alto questo rapporto, tanto più il
cuore gode di buona salute, almeno da questo punto di vista. Orbene immaginiamo un soggetto diabetico:
Come facciamo a vedere se ha una neuropatia vegetativa? Sembra, almeno in studi prospettici e
osservazionali, che più coesista questa cardiopatia autonomica, più aumenta il rischio di morte improvvisa.
Quindi se il soggetto ha una cardiopatia autonomica, nel senso che ha un alterazione neurovegetativa
cardiaca è più esposto al rischio di morte improvvisa. Detto questo, dite: ma come faccio io a valutare nel
soggetto diabetico, se voglio accertarmi che mio zio Pasquale che è diabetico da tanti anni, tiene questa
cardiopatia? Io che faccio? Esiste un test che si chiama Respirazione Profonda cioè Deep Breathing degli
autori anglosassoni, e si fa in questo modo: si standardizza quello che vi ho detto prima, in modo che sia
sempre uguale in tutti quanti. Si devono fare un Inspirazione profonda che dura 6 secondi, ovviamente
bisogna allenarsi un attimo perché noi respiriamo più velocemente: dai 15 ai 22 atti al minuto a seconda del
vostro stato ansioso e altre condizioni che possono alterare la vostra respirazione. Dobbiamo abituarci a
respirare a 6 atti al minuto. 5 secondi di inspirazione e 5 di espirazione. Una volta, diciamo per due minuti,
allenati a questo, poi si incomincia. Si calcola L’R-R basale, si calcola l’R-R al massimo dell’inspirazione, si fa
il rapporto e si vede che zio Pasquale ha un R-R di 1, cioè ha una frequenza fissa, non varia assolutamente
questo rapporto. Questo significa che la sua salute cardiovascolare autonomica è completamente andata,
non riesce a modulare la frequenza cardiaca in risposta a questi atti respiratori. Ce ne sono tant’altri di test
ma il test Deep Breathing è molto più accettato e semplice da farsi, però da una valutazione solo
parasimpatica. Per avere una valutazione anche simpatica si fa il test dello Squating che significa
accovacciamento. Infatti quando voi vi accovacciate, se ci riuscite, voi avete una diminuazione della
frequenza cardiaca perché? Per lo stesso motivo che abbiamo detto prima perché quando vi accovacciate
aumentate il ritorno venoso al cuore. Quando vi alzate per passare da una posizione di accovacciamento ad
una posizione in piedi, voi avete l’inverso e quindi si attiva il sistema simpatico e la frequenza ritorna
normale. Se avete un paziente anziano che non riesce ad accovacciarsi, se gli mettete uno sgabello piccolo
su cui sedersi, riuscite a farlo accovacciare con una seduta per cui non cade per terra. Ma esistono anche
altre possibilità. È importante un concetto: più è ampia la variabilità cardiaca, più è indice di buona salute
cardiovascolare. La frequenza fissa o la mancanza di aumento o diminuzione della frequenza in risposta a
manovre fisiologiche è un segno che esiste una cardiopatia autonomica. La cardiopatia autonomica si
associa ad un aumento del rischio di morte improvvisa.
Adesso come ultima tappa vi devo parlare di una complicanza che riguarda principalmente i maschietti e
cioè la disfunzione erettile, diretta conseguenza di questa neuropatia autonomica. Se ricordate… Dobbiamo
fare un passo in dietro un professore di sessuologia a L’Aquila, mio amico, diede al suo gruppo a cui insegna
a L’Aquila nella facoltà di Psicologia, diede un foglio di carta su cui disegnare i propri genitali, sia ai maschi
che alle femmine, mentre per i maschi era più facile, con pure un po’ di esagerazione, nelle donne invece
c’era molta discordanza, sia per quanto riguarda la grandezza, ma sia per quanto riguarda proprio
l’ubicazione delle varie cose. Quindi per dirvi che la conoscenza da parte del paziente del proprio corpo non
la dovete dare per scontata. Ritornando a quanto dicevamo prima, prima questa cosa si chiamava
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impotenza, che però, visto che le parole uccidono più delle scoppiettate, si iniziato ad usare il termine
“disfunzione erettile”, più elegante. Chi è che vuole… non voglio vedere niente… sono sapere
concettualmente come avviene fisiologicamente l’erezione. Chi se la sente?
Ragazzo: allora da quello che ricordo ci sono delle arterie, le arterie elicine, la loro vasodilatazione mediata
dall’ossido nitrico determina un aumento del flusso. Contemporaneamente abbiamo una riduzione del
ritorno venoso perché appunto questa vasodilatazione di queste arterie fa riempire di sangue i corpi
cavernosi che comprimendo le vene impediscono il ritorno venoso.
Prof: Qualcuno vuole aggiungere qualcosa? Ci manca come parte lo stimolo. Allora nella fase più classica,
nel maschio, ci sono più stimoli, visivi, uditivi, tattili, olfattivi, qualsiasi cosa è buona, perché poi ognuno ha
le sue manie. Qualsiasi stimolo attiva delle fibre dette Nanc (non adrenergiche, non colinergiche) che
utilizzano ossido di azoto come neurotrasmettitore (dette anche nitrergiche). Quindi questo stimolo va a
determinare un rilascio locale, a livello dei corpi cavernosi, di NO sia attraverso queste fibre sia attraverso
l’endotelio di cui è ricco il corpo cavernoso. Parliamo di una spugna, quindi pensate quanto endotelio ci sia
tra tutti gli anfratti. L’NO agisce sull’GMPc e poi determina vasodilatazione e lo strozzamento delle vene.
Ovviamente quando si ha la detumescenza? Quando prevale il sistema simpatico. In quel caso voglio dire
dopo… la sigaretta, per capirci, va ad attivarsi il sistema simpatico e si ha la detumescenza. Perché
l’attivazione degli alfa-recettori determina vasocostrizione. Allora perché è importante? Innanzitutto
perché è un segno innanzitutto psicologico di virilità nel maschio e nel diabetico la prevalenza di
disfunzione erettile è 3 volte superiore a quella del non diabetico. Ovviamente se bisogna dire quali sono i
fattori di rischio più importanti, il primo è l’età, su questo non si discute, e tutti i fattori di rischio
cardiovascolari sono fattori di rischio di disfunzione erettile. Ma in un giovane, anche se non diabetico, la
disfunzione erettile può essere il primo segno di una malattia aterosclerotica. In questi casi non dimenticate
di andare a valutare il rischio cardiovascolare del giovane, perché si è visto che questa disfunzione si associa
ad un aumento del rischio. Come possiamo curare questa condizione? Anzitutto curando il diabete e i
fattori di rischio, monitorando la pressione, invitando a smettere di fumare, se possibile, e poi se non ci
riusciamo abbiamo delle misure farmacologiche importanti. Fino all’uscita del primo farmaco nessuno
parlava di impotenza, nemmeno con il proprio medico. Qualche anno fa una prostaglandina, sapete che le
prostaglandine appartengono ad una famiglia di molecole alcune con attività vasodilatatrice, fu messa in
commercio da una casa farmaceutica e si chiamava Prostadil. Era una prostaglandina che si iniettava
direttamente nei corpi cavernosi attraverso una puntura. Quindi il concetto è: io metto direttamente il
vasodilatatore nel sito d’azione, esso dilata i corpi cavernosi e parte l’erezione. Ovviamente quando voi
utilizzate questi farmaci, voi sganciate il meccanismo dell’erezione dallo stimolo psicologico. Potete pure
fare un’altra cosa, tipo leggere il giornale o guardare la televisione, se vi iniettate la prostaglandina voi
avete lo stesso l’erezione. Ovviamente questo farmaco non avuto poi molta fortuna per due motivi
fondamentali: uno per il fatto che fosse cruento, non bene accetto dal paziente, e due perché c’era questa
dissociazione. E poi è venuta la pillola blu, il viagra. Il principio attivo del viagra agisce su quel sistema di cui
parlavamo prima, cioè del NO, perché quello è il sistema fisiologico. È questa la trovata. Perché è un
inibitore delle fosfodiesterasi che hanno il compito di degradare il GMPc. Esistono varie isoforme di
fosfodiesterasi, come quella polmonare, se vogliamo inibire quella vascolare dobbiamo dare questi inibitori
che inibiscono specificamente sulla fosfodiesterasi presente nei corpi cavernosi. Il viagra funziona perché
amplifica quello che fisiologicamente succede. Cioè fa stare più tempo il GMPc a disposizione per avere
effetto vasodilatatore. Quindi senza donne il viagra non funziona! Perché se non si attiva il meccanismo
dello stimolo, non si libera NO a livello delle terminazioni nervose e quindi non c’è la possibilità di
attivazione. Quindi è un potenziamento di quello che fisiologicamente accade. Questo è importante perché
vi rendete conto del perché ci dicono che il viagra va preso grosso modo un’ora prima di un presunto
futuro… Ovviamente vi rendete conto quindi di come avere a disposizione un farmaco abbia fatto sorgere
un problema nascosto di cui 30 anni fa nessuno parlava. Oggi la situazione è molto cambiata un po’ anche
perché i medici hanno più conoscenze su questo, hanno più strumenti, e quindi la patologia può essere
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indagata perché abbiamo gli strumenti. Quello che però sta succedendo oggi è che l’uso di questi farmaci
invece di essere appannaggio di soggetti che hanno la disfunzione erettile è appannaggio giovani e meno
giovani che vogliono aumentare le prestazioni. Quindi incomincia ad essere usato in modo abnorme dalla
popolazione. Anche perché chiunque guarda nel web troverà molte offerte di pillole a meno di 1€ l’una
(costano un po’ di più). Il problema è che non siamo sicuri di cosa ci sia dentro a queste pillole. Infatti un
esempio che è uscito sul New England Journal, che è uno dei giornali più importanti al mondo… due anni fa
usci sul New England Journal of Medicine un articolo che parlava di una seria circostanza: in un ospedale di
singapore ci fu in centinaio di ricoveri per ipoglicemia. Visto che nessuno era diabetico incominciarono ad
insospettirsi gli epidemiologi, perchè si era passati in una settimana da 0 a 150 casi, quindi c'era qualcosa
che non funzionava. Soprattutto perchè si trattava di soggetti non diabetici. Quindi iniziano le indagini
epidemiologiche e vanno a scoprire che tutti questi soggetti avevano assunto un determinato farmaco, che
guarda caso è il viagra ed era dello stesso logo farmaceutico per tutti. Fecero delle analisi sulla pillola e nel
viagra oltre al sildenafil, che è il costituente principale, che ci deve stare per forza, c'era della glibenclamide.
La glibenclamide è una sulfanilurea ad azione ipoglicemizzante che stimola la secrezione di insulina. E il
bello è che non ce n'era una quantità irrisoria, ce ne erano 100mg. Che è tantissimo, al diabetico si danno
due pillole da 5mg, lì dentro c'erano 20 compresse di sulfanilurea! Alcuni dicono che mettono un po' di
ipoglicemizzanti perchè la soglia dell'ipoglicemia stimola di più il sistema nervoso adrenergico e quindi
boh... Ci sta un'altra azienda cinese che propagandava un prodotto simile, dichiarando che era un prodotto
di erbe naturali. Ovviamente quando uno sente che sono erbe pensa "vabbè sono erbe che ci possono fare?
fanno solo bene" e invece in questo prodotto, e anche in altri anche statunitensi, c'erano o ci sono degli
analoghi del sildenafil mai testati sull'uomo! cioè noi rischiamo di ingerire delle schifezze incredibili senza
sapere di cosa si tratta. Voi direte "non c'è nessuno che controlla?". Quando sono integratori, nessuno
controlla. Si dovrebbero controllare ma nessuno lo fa. Perchè non sono farmaci e quindi non devono
sottostare alle leggi a cui sottostanno i farmaci.
Questo è un ultimo esempio che vi dico: Un altro caso clinico uscito sul New England parla di un soggetto
con sindrome metabolica, un poliziotto americano ispanico (sapete che gli ispanici sono quelli che vengono
dal messico), a cui il medico aveva consigliato di perdere peso. Allora questo va in un drug-store americano
e si compra uno di quei barattoloni di integratori e vitamine, vede che sono tutti prodotti naturali, si
rassicura, prodotto brasiliano tra l'altro, e dice "beh questo mi può fare solo bene". Inizia quindi anche a
dimagrire. Poi va a fare dei controlli, sapete che la polizia come tutti gli enti governativi fa dei controlli per
la salute, ed esce che è positivo alle anfetamine. Il poliziotto viene quindi lincenziato per uso di sostanze
illecite. Che c'era quindi nel barattolone? C'erano dei derivati anfetaminici. Voi sapete che fanno
aumentare la tensione, la vigilanza, sono quindi degli adrenergici. Per dirvi, noi non sappiamo cosa
assumiamo. Esistono anche i farmaci contraffatti. Voi pensate all'italia, una realtà piccola, ma guardate alla
cina e all'india come facciamo a sapere che assumono quelli là?. Gli anfetaminici erano usati per far perdere
di peso, e mi sembra anche giusto, perchè aumentano il metabolismo energetico, quindi aumentano il
metabolismo basale e la produzione di energia. Ovviamente però fanno aumentare frequenza e pressione
aumentando il rischio cardiovascolare, infatti oggi in Italia nessuno di questi farmaci ha l'indicazione per
perdita di peso. Oggi l'unico farmaco che ci è rimasto per la perdita di peso è un farmaco che agisce a livello
intestinale aumentando la scissione dei trigliceridi, ma funziona poco da noi, perchè mangiamo pasta e
pane, non cibi particolarmente grassi.
Bene così abbiamo chiuso questa panoramica delle complicanze microvascolari nel soggetto diabetico.
Abbiamo parlato della retinopatia con le sue alterazioni che ricordiamo tutti quanti. Abbiamo parlato della
necessità di operare i bulbi oculari di un soggetto diabetico. Abbiamo ricordato i principali fattori di rischio
che sono la pressione arteriosa, il fumo di sigaretta nella retinopatia diabetica. Abbiamo anche detto che
poi potrebbe essere necessario una fluorangiografia per individuare queste microemorragie che possono
essere dannose. E allora abbiamo parlato del laser e della fotocoagulazione laser che va a bruciare i vasi
determinando delle piccole lesioni che però arrestano l'emorragia e possono prevenire la cecità. La
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fotocoagulazione negli ultimi anni ha permesso la riduzione del 50% della cecità nei soggetti diabetici.
Abbiamo poi parlato della nefropatia diabetica e la compromissione dei vasi glomerulari renali in corso di
diabete mellito. Abbiamo anche ricordato come la microalbuminuria, quella condizione che è una spia di
una nefropatia incipiente, cioè quella che ci dice se il soggetto è più predisposto a sviluppare la malattia e
quindi che cosa dobbiamo mettere in essere in quel soggetto per evitare la progressione. Quindi abbiamo
visto che la microalbuninuria va da 30 a 300 mg nelle urine delle 24 ore, si dosa con un metodo specifico
perchè le striscette urinarie non riescono a trovarla. E in questi soggetti con microalbinuria dobbiamo
consigliare quello che consigliamo a tutti i diabetici e cioè di controllare al meglio la glicemia, di controllare
meglio la pressione arteriosa e comunque gli date un inibitore del sistema renina-angiotensina che può
essere un ACE-inibitore o un saltanico. Poi abbiamo parlato anche stamattina della polineuropatia diabetica
che può essere sensitiva, motoria e vegetativa, quindi può prendere tutti i sistemi neurologici
dell'organismo. Quindi può esserci una mononeuropatia ma è più frequente una polineuropatia, che può
essere sia sintomatica che asintomatica e la forma asintomatica è la più pericolosa. E abbiamo anche
ricordato stamattina di come sia importante far scoprire i piedi al soggetto diabetico perchè è quello che ci
da la spia di questa neuropatia motoria e sensitiva. Quindi questo è stato un po' il summit di tutto quello
che ci siamo detti. Ricordate che il 60-70% dei pazienti hanno un danno al sistema nervoso. Quindi è una
cifra importante anche se non tutti saranno asintomatici. Oggi anche i pazienti diabetici stanno
sperimentando un aumento dell'aspettativa di vita. Nonostante il soggetto diabetico ha un aspettativa di
vita ridotta di 4-5 anni (quando è giovane, perchè ovviamente in un 80enne diabetico l'aspettativa di vita
sarà quasi uguale a quella di un 80enne normale; la fascia più colpita da questa riduzione è tra i 40 e i 60
anni). Quindi ovviamente tutto questo ci dice che il soggetto diabetico va guardato con attenzione. Ora
vorrei spendere gli ultimi minuti per un argomento che non è meno importante ma che non è peculiare del
soggetto diabetico, cioè l'aterosclerosi. Nel soggetto diabetico è uguale a quella nel soggetto non diabetico
solo che è accelerata, amplificata. Abbiamo ricordato l'altra volta che i fattori di rischio cardiovascolari si
dividono in fattori non modificabili e modificabili. Tra i fattori modificabili ci sono l'età, il sesso (il sesso
maschile è più propenso) e c'è la familiarità. Quelli su cui possiamo intervenire sono quelli modificabili e
cioè la pressione arteriosa (vi ricordo che la pressione arteriosa rappresenta il fattore di rischio più
importante per mortalità del mondo intero; non so se vi ho già parlato del Global Burden of Disease, come
dice il nome è uno studio, il più grande studio fatto finora, in cui sono andati a valutare lo stato di salute del
mondo intero, questo studio è stato finanziato dalla Fondazione Gates, la fondazione di quello che ha
fondato Microsoft, che ha finanziato circa 30 miliardi di dollari. Da questo studio è emerso proprio che
l'ipertensione arteriosa ancora oggi è la principale causa di morte al mondo.), l'ipercolesterolemia, fumo di
sigaretta e l'obesità. Quindi questi fattori sono modificabili, nel senso che possiamo incidere su questi
fattori di rischio con modificazioni degli stili di vita e con farmaci. Ma che rischio ha un soggetto diabetico di
avere un ictus o un infarto o un'angina instabile oppure di un'arteriopatia periferica rispetto un soggetto
non diabetico? In genere riguardo al sistema cardiovascolare ha un rischio di 2,5 volte in più rispetto ad un
soggetto non diabetico. Addirittura riguardo le arteriopatie periferiche il rischio sarebbe molto più elevato
per la compartecipazione di altri fattori di rischio. Ovviamente tutto questo fa sì che il soggetto diabetico
diventi un soggetto molto vulnerabile dal punto di vista cardiovascolare e questo significa che noi
dobbiamo prestare particolare cura al suo livello di aterosclerosi. Come facciamo noi a valutare lo stato di
salute del cuore? Abbiamo a disposizione molte armi. Non dobbiamo solo valutare la glicemia perché non è
solo la glicemia che amplifica il processo. Anzi mentre negli studi di intervento si è visto che più curavi il
diabete, nel senso che più gli abbassate l'emoglobina glicata, meglio va per le complicanze microvascolari,
per le complicanze macrovascolari (ictus, infarti...) non esiste questa relazione o almeno non è così
evidente, il che fa pensare che esistono molti altri fattori che influiscono. Se il soggetto diabetico c'ha un
emoglobina glicata di 7,5, poi c'ha il colesterolo di 130 (voi sapete che il colesterolo aterogeno è LDL, che è
una parte del colesterolo; per calcolare le LDL si usa una formula, la formula di Friedewald, questa forma ci
dice che per calcolare le LDL si fa colesterolo totale meno colesterolo HDL meno trigliceridi/5 [LDL=Col.Tot.
- HDL - (Tri/5)]. Però questa forma va bene per valori di trigliceridi che non superano i 400, perchè
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altrimenti vai a sottostimare le LDL. Il colesterolo LDL è quello che dobbiamo prendere come riferimento)...
Se prendiamo una donna che c'ha 230 di colesterolo totale ma c'ha 80 di HDL perchè è in età fertile,
secondo la formula, avrà un colesterolo LDL di 124 grosso che per una donna della sua età in età fertile è
assolutamente normale, ovviamente può essere non normale nel soggetto diabetico, perchè il limite nel
soggetto diabetico è 100mg di LDL. Quindi mentre nella microangiopatia possiamo focalizzarci solo sulla
glicemia come fattore di rischio e forse la pressione arteriosa per la nefropatia e la retinopatia, nella
macroangiopatia, per ridurre il rischio cardiovascolare abbiamo più bersagli: la pressione, i lipidi, la glicemia
e il peso, ma questa è una battaglia persa come vedremo.
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Malattie metabolismo Giugliano 29.10.2013
FARMACI PER IL TRATTAMENTO DEL DIABETE
Prima di ricorrere al farmaco bisogna porre l’attenzione sulla correzione degli stili di vita.
Grafico di confronto tra trattamento placebo, trattamento farmacologico e correzione degli stili di vita
mostra come si possa avere un ritardo nel peggioramento delle condizioni del paziente facendo ricorso alla
correzione di stili di vita sbagliati.
È importante tenere in considerazione lo stile di vita del paziente prediabetico e diabetico sia prima della
terapia farmacologica che durante. Spesso il paziente crede di poter continuare ad avere delle abitudini
alimentari non sane dato che gli viene somministrato un farmaco per tenere sotto controllo il diabete. È
invece compito del medico educare il paziente ad una corretta alimentazione che sarà accompagnata da
una terapia farmacologica.
SUFANILUREE
Nel dopoguerra intorno alla metà degli anni ‘50, osservando effetto dei sulfamidici in soggetti volontari,
notarono che una categoria era responsabile di ipoglicemia, stimolando beta cellule pancreatiche a
produrre insulina, queste erano le sulfaniluree (oggi utilizziamo la terza generazione di sulfaniluree). Sono
detti farmaci secretatori in quanto stimolano secrezione di insulina.
Azione: chiusura canali K+ simulando azione del glucosio non perché aumenta il rapporto ATP/ADP nella
cellula, ma perché va ad agire con un recettore suo specifico posto all’esterno della membrana che è
accoppiato al canale del potassio. Il recettore si chiama SUR1 (sulfanilurea receptor 1) accoppiato al canale
del K+, la sulfanilurea lo aggancia quindi si chude il canale e da qui il meccanismo è lo stesso come quando
avviene l’entrata del glucosio. (ricorda glc entra tramite GLUT2, viene convertito a glc6p quindi avviene la
glicolisi che determina aumento della concentrazione di ATP responsabile della chiusura dei canali per K+.
Segue quindi la depolarizzazione della membrana con attivazione di canali per Ca2+ che, entrando nella
cellula, causa rilascio dell’insulina). Quindi la sulfanilurea causa aumento della secrezione insulinica anche
in un soggetto non diabetico (il prof lo menziona tra i farmaci utilizzati a scopo suicida per la sua azione
ipoglicemizzante). Epidemia di ipoglicemia a Singapore a seguito di utilizzo di viagra poichè nella compressa
c’era glibenclamide, una sulfanilurea di seconda generazione, alla dose di 100mg, quando normalmente
dose max è in compresse da 5mg.
Vantaggi:
funzionano fin quando esiste una riserva di funzione della beta cellula, quindi nel diabete di tipo1
non funzionano
sono molto efficaci
hanno un costo molto ridotto (molti hanno perso il brevetto, disponiamo quindi di molti generici).
Svantaggi:
possibilità di indurre ipoglicemia, soprattutto in pazienti anziani.
Alcune sulfaniluree di prima generazione avevano un’azione molto lunga (anche fino a 48h)
Aumento ponderale.
Oggi sulfaniluree non sono farmaci di prima scelta nel diabete di tipo 2.
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METFORMINA
Farmaco di prima scelta oggi raccomandato nel diabete di tipo 2. Appartiene alla classe dei biguanidi. Ha
cinquant’anni di storia quindi si caratterizza per costi molto ridotti in quanto disponibile come farmaco
generico. Esplica la sua azione attraverso un effetto di sensibilizzazione insulinica. Facilita azione
dell’insulina prevalentemente a livello epatico. Principalmente blocca la neoglucogenesi mattutina
(meccanismo che spiega, quando non inibito, l’iperglicemia a digiuno del diabetico. Aumentata resistenza
epatica all’insulina, quindi aumento della neoglucogenesi). Sensibilizzazione attraverso l’aumento
dell’amilasi epatica quindi riduce iperglicemia a digiuno.
Vantaggi:
Non da’ ipoglicemia
Non da’ aumento di peso (a volte può anche determinare calo ponderale)
Presenta un costo ridotto in quanto non è più coperta da brevetto (in questo è uguale alle
sulfaniluree, ma i precedenti punti spingono all’utilizzo della metformina come farmaco di prima
scelta)
Svantaggi:
Intolleranza gastrica: 10-20% non la tollera, ha senso di ripienezza gastrica, acidità, nausea, sapore
metallico in bocca, a volte diarrea (o ridurre la dose o sospendere la somministrazione)
Potrebbe non essere indicata in pz con IRC con un valore di filtrato di 45ml/min (a volte anche
60ml/min)
Quando l’emoglobina glicata >7% dobbiamo introdurre un farmaco (SELEZIONARE TARGET DELL’HB
GLICATA DA RAGGIUNGERE IN BASE AL TIPO DI PAZIENTE CHE ABBIAMO IN CURA. Target dell’emoglobina
glicata può variare in base al momento di insorgenza e alle condizioni del paziente, ad esempio un soggetto
con problemi cardiovascolari anziano può avere un target di Hb glicata del 7-8%, nei giovani con lunga
aspettativa di vita è preferibile avere un target più ristretto di Hb glicata intorno al 5%). Il primo è la
metformina disponibile in commercio in compresse da 500 o 850mg e la dose max giornaliera è di 2.5g. si
saggia prima la tollerabilità gastrica quindi, se possibile, si aumenta la dose.
Il problema della patologia diabetica è la cronicità con esaurimento progressivo della cellula beta per cui
dopo un tempo variabile (da 1 a 5 anni o più, a seconda della dieta seguita) bisogna modificare la terapia in
quanto la metformina tenderà a fallire. Aggiungiamo quindi una sulfanilurea in quanto complementare alla
metformina (esiste in commercio una formazione precostituita di una sulfanilurea con metformina).
Oggi in Italia abbiamo bel 9 classi di farmaci per il diabete. È un grosso business, in quanto le previsioni di
spesa mondiale della sanità fino al 2015 danno come prima fonte di spesa i farmaci oncologici con 70 mld di
dollari, mentre al secondo posto ci sono i farmaci antidiabetici con 50 mld di euro di spesa.
GLITAZONE di cui ne abbiamo uno solo oggi: il PIOGLITAZONE (TIAZOLIDINEDIONI).
Entrarono in commercio alla fine degli anni ’90. Sono degli attivatori di PPAR agiscono sul metabolismo dei
lipidi, infatti l’effetto ipoglicemizzante è un effetto secondario in questa categoria di farmaci. Per la FDA ha
dimostrato capacità di riduzione dell’emoglobina glicata, quindi idoneo per essere utilizzato come farmaco
antidiabetico. Portano alla riduzione degli FFA (free fatty acid)normalmente implicati nell’azione di
resistenza all’insulina quindi riducendo FFA miglioriamo la sensibilità insulinica. Il primo farmaco ad essere
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introdotto sul commercio solo negli Stati Uniti fu il troglitazione, mai arrivato in italia e rimosso dal
commercio poiché epatotossico. Il rosiglitazone fu ritirato dal mercato nel 2007 perché correlato a
problemi cardiovascolari.
Vantaggi:
Riduce insulino- resistenza ma con un meccanismo di azione diverso dalla metformina
Basso costo (non più coperto da brevetto)
Non da’ ipoglicemia
Svantaggi:
aumento del peso stimolando la sintesi dei trigliceridi (aumento depositi sottocutanei e non
viscerali che sono invece correlati con l’insulino-resistenza) e favorendo la ritenzione idrica poiché
tra i meccanismi d’azione dobbiamo ricordare anche l’aumento del recupero del sodio a livello del
tubulo renale (importante considerare se ad esempio il pz ha uno scompenso cardiaco).
Possibilità di fratture al polso della donna (stimola riassorbimento osseo)
il medico di medicina generale può prescrivere metformina e sulfaniluree, ma ci sono numerosi altri farmaci
che non possono essere prescritti dal medico di base per cui bisogna far riferimento ad un specialista.
ACARBOSIO
Inibitore delle disaccaridasi intestinali. L’glucosidasi intestinale è un enzima che scinde i disaccaridi
formando monosaccaridi, che saranno poi assorbiti. Ritarda ma non sopprime l’assorbimento del glucosio
poiché non è un inibitore al 100%, si avrà quindi una riduzione del picco postprandiale della glicemia.
Farmaco molto usato in Giappone in quanto è stato scoperto lì. In Italia è prescrivibile in fascia A (con
insulina, sulfanilurea e metformina) per i soggetti diabetici da poco tempo.
Vantaggi:
Prezzo
Non produce ipoglicemia
Non da’ aumento ponderale
Svantaggi:
Presenza di disaccaridi nell’intestino con conseguenti disturbi gastrointestinali.
GLINIDI
Agiscono come le sulfaniluree. In Italia sono una, la repaglinide. Stimolano secrezione insulinica e hanno
anche gli stessi effetti collaterali della sulfaniluree con la differenza che hanno ancora un costo elevato
poiché sotto brevetto.
INCRETINE
Farmaci nuovi (dal 2006). In realtà negli anni ’60 scoprirono nell’intestino qualcosa che amplificava la
risposta insulinica al glucosio.
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Somministrando in un campione glc per endovena e nel secondo campione glc per via orale osservarono
che, a parità di glicemia, nel campione con somministrazione orale l’insulina aveva un valore doppio
rispetto al campione con somministrazione endovenosa.
Aumento della secrezione dell’insulina indotto dall’intestino. I mediatori di questo effetto sono GLP-1 e GIP,
due ormoni intestinali secreti in risposta al cibo, potenziano la risposta insulinica al glucosio.
Il vantaggio delle incretine rispetto alle sulfaniluree è dovuto ad un’ azione delle prime solo quando c’è
iperglicemia, quindi non sono responsabili di ipoglicemia. In secondo luogo inibiscono la secrezione del
glucagone.
GLP-1 è un peptide e non può essere somministrato per via orale poiché verrebbe degradato, quindi
dovrebbe essere somministrato per via sottocutanea come l’insulina ma ha un’emivita di 2 minuti (essendo
un ormone intestinale ha un’attività paracrina). Due problemi da risolvere: emivita e via di
somministrazione. Da alcuni studi su Gila monster (Heloderma suspectum, grossa lucertola del deserto
dell’Arizona) è stata trovata nella saliva una proteina con il 50% di omologia con GLP-1, utilizzata per
formare il primo analogo sintetico del GLP-1, l’exenatide ( ha un’emivita di 12h, valida per una
somministrazione bi giornaliera). In alcuni casi determina anche perdita di peso.
Svantaggi:
somministrazione parenterale con un ago sottocute (exenatide 2 volte al dì)
disturbi gastrointestinali (nausea, vomito)
costo elevato (200-300€/mese)
Dopo l’exenatide,p stata commercializzata la liraglutide che necessita di una sola somministrazione al
giorno.
Medici di medicina generale non hanno accesso alla prescrizione di questi farmaci, solo medici specialisti o
un centro antidiabete accreditato, per contenere la spesa.
Il problema della somministrazione parenterale per questi farmaci non è stato risolto.
Si è posta allora l’attenzione sulla via di degradazione di GLP-1, attraverso l’enzima dipeptidilpeptidasi-4
(DPP-4). L’obiettivo era prolungare l’emivita del GLP-1 attraverso il blocco del catabolismo. Nel 2006
nascono inibitori del DPP-4. Gli inibitori del DPP-4 oggi prodotti in Italia sono 4 chiamati GLIPTINE
(sitagliptin, linagliptin, saxagliptin e vildagliptin).
Gliptine
Vantaggi:
somministrazione orale (monogiornaliera, a volte bi giornaliera)
non determinano ipoglicemia
non determinano variazione di peso
svantaggi:
costo
potenza molto inferiore alla sulfanilurea
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non ci sono ancora prove sufficienti sulla loro sicurezza.
INIBITORI DEL CONTROTRASPORTO SODIO/GLUCOSIO A LIVELLO RENALE
Sarà disponibile dall’anno prossimo. Agiscono favorendo la glicosuria. Altro effetto vantaggioso legato alla
perdita delle calorie legate al glucosio, possiamo quindi aspettarci una riduzione del peso.
Già negli anni ’80 esisteva la florenzina, derivato di una pianta, utilizzato nel cane diabetico per produrre
glicosuria
Negli Stati Uniti altri farmaci non utilizzati in Italia:
bromocriptina: dopaminergico utilizzato per abbassare la prolattina, ha effetto immediato, data di sera
inibisce il sistema adrenergico e determina un abbassamento del picco mattutino della glicemia (sistema
adrenergico aumenta insulino-resistenza)
resina a scambio ionico che si usa per abbassare il colesterolo e funziona anche abbassando la glicemia.
TERAPIA INSULINICA
Sempre nel diabete di tipo 1, insulino privo.
Nel diabete di tipo 2, soprattutto quando altri farmaci hanno fallito, nelle fasi tardive del trattamento.
Somministrazione per via sottocutanea. Sono allo studio spray nasali ormonali che sfruttano la superficie
alveolo-capillare per l’assorbimento, ma l’assorbimento risulta troppo variabile. Ancora si sta tentando la
somministrazione per via orale con scarsi risultati.
Formulazione farmacologica è insulina pronta che però ha un’ azione max di 4-6h. quando diamo insulina
esogena dobbiamo rispettare i pasti. La durata di 6 ora dell’azione insulinica pone il problema del
raggiungimento del mattino successivo. Già negli anni ’40 avevano ovviato al problema attraverso l’insulina
glutaminata, con un rilascio prolungato nel tempo (utilizzata fino agli anni ’90), l’azione era prolungata per
10-12h, esponendo però il paziente ad un rischio di ipoglicemia notturna.
Insulina umana è arrivata negli anni ’80, quando, grazie all’ingegneria genetica, venne prodotta da E.Coli
tramite DNA ricombinante. Prima insulina di cavallo, poi di bue, dopo ancora porcina (differente per un solo
aminoacido). Quando fu disponibile insulina umana furono fatti vari tentativi di ricombinazione
aminoacidica, producendo analoghi dell’insulina. Il primo di questi fu l’insulina lys-pro, invertendo lisina e
prolina della catena , rendendola più rapida dell’insulina nativa. L’insulina nativa andava somministrata
20-30min prima del pasto, invece l’insulina lys-pro ha una maggiore rapidità di azione, quindi il paziente
può somministrarsela appena inizia il pasto. Sono presenti 3 analoghi rapidi in commercio. Analoghi lenti
invece si ottengono aggiungendo alcuni aminoacidi e danno quindi una copertura temporale maggiore.
Terapia di somministrazione attraverso il sistema basal-bolus: 3 somministrazioni di insulina rapida
(colazione, pranzo, cena) più la puntura per la glicemia a digiuno(basal). 4 punture al giorno per la
somministrazione dell’insulina a cui aggiungerne altre 2 per il controllo della glicemia. Le 4 punture per la
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somministrazione dell’insulina vengono effettuate in zone che vanno incontro a rotazione:
somministrazione sottocutanea alla faccia volare dell’avambraccio, alla coscia e all’ombelico, posizionando
la siringa a 45° sulla linea della pelle. Le due punture per il controllo della glicemia vengono effettuate ai
polpastrelli.
Effetti collaterali della somministrazione di insulina sono dati prevalentemente dall’ ipoglicemia
(soprattutto nel diabete di tipo 1) se non c’è una corretta correlazione dose-pasto o ancora con l’attività
fisica (bruciando più glucosio abbiamo anche un consumo maggiore di insulina). Il diabetico di tipo 1 va
educato ad autosomministrarsi l’insulina.
Microinfusori sono apparecchi della grandezza di un pacco di sigarette che hanno una siringa con insulina
pronta, dotati di un algoritmo per la somministrazione continua dell’insulina, collegati al soggetto diabetico
di tipo 1 attraverso un’agocannula sottocutanea. Paziente programma l’apparecchio ad esempio su un
‘unita di insulina per ora basale variando l’insulina ai pasti.
Il futuro è nella comunicazione tra microinfusori e i sensori della glicemia. Sono già in vendita dei sensori
della glicemia per le 24h ( una sorta di holter glicemico) che misurano la glicemia nel liquido interstiziale.
Questo può dialogare col microinfusore con un sistema bluetooth determinando la quantità di insulina da
iniettare.
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Lez. Malattie del metabolismo 31-10-13 Prof. Esposito Viene definita ipoglicemia una condizione patologica in cui la glicemia, ossia il livello di glucosio nel sangue, è inferiore ai 70mg/dL. Le ipoglicemie, nonostante vi siano diverse tipologie di classificazione, preferiamo classificarle in relazione temporale con il pasto e quindi dividerle in: 1)spontanee o a digiuno che compaiono almeno 5 ore dopo il pasto 2) reattive o postprandiali che compaiono entro 5 ore dal pasto. Tra le ipoglicemie spontanee le più importanti sono: - quelle da farmaci (insulina e sulfaniluree); in caso di insulina non è necessario il controllo post-dimissionale dall’ospedale; nel caso delle sulfaniluree si; è necessario infatti un controllo di 72 ore in quanto potrebbero esserci nuovi attacchi ipoglicemici anche dopo compenso con glucosio. - quelle da iperinsulinismo endogeno ( insulinoma).Il test cardine per la diagnosi biochimica è la dimostrazione dell'ipoglicemia mediante test del digiuno protratto o delle 72 ore. Il paziente viene invitato a non alimentarsi per un massimo di 3 giorni e, qualora dovesse verificarsi una ipoglicemia, vengono dosati i livelli di insulina e C-peptide presenti nel sangue. Qualora essi dovessero essere elevati viene posta la diagnosi. Tra le glicemie reattive invece le più importanti sono: - quelle idiopatiche o funzionali - quelle da disfunzioni alimentari Gli organi che entrano in gioco nell’ipoglicemia sono: - intestino, che è responsabile del trasporto di glucosio in seguito ai pasti - il fegato, che rappresenta una riserva di glucosio - il muscolo, utilizzatore di glucosio - il cervello, organo più sensibile alle variazioni della concentrazione di glucosio In condizioni fisiologiche vi sono una serie di ormoni che entrano in gioco nella cosiddetta regolazione dell’omeostasi glicemica; vi sono alcuni ormoni ad azione iperglicemizzante ed ormoni ad azione ipoglicemizzante. Inoltre per quanto riguarda il discorso di riserva di glucosio, una quota significativa di riserva, utilizzata come substrato in situazioni di ipoglicemia, è rappresentata dagli acidi grassi liberi ( fino al 25% di riserva di glucosio) Domanda d’esame: qual è la principale riserva di glucosio in condizioni di ipoglicemia? Gli acidi grassi liberi. Ma come vengono mobilitati questi acidi grassi? In condizioni di ipoglicemia aumenta la stimolazione del simpatico da parte delle catecolamine, vi è un aumento consequenziale della lipolisi e quindi aumento degli acidi grassi liberi. Normalmente la glicemia plasmatica deve oscillare tra i 72 e i 100 mg/dL. Quando siamo in una condizione di digiuno (N.B. la prof. sta proiettando una slide in cui mette in relazione gli organi coinvolti nell’ipoglicemia con il digiuno e la fase post prandiale) non vi è la freccia che porta dall’intestino al glucosio; pertanto in questa condizione di ipoglicemia transitoria il glucosio viene mobilitato dal fegato Digiuno Ipoglicemia transitoria Fegato Cervello (chiaramente in condizioni di ipoglicemia il glucosio sarà utilizzato in misura ridotta dal muscolo, al fine di garantire un corretto apporto di zuccheri al cervello.) Questa rappresenta un momento di regolazione dell’omeostasi glicemica., che si rende necessaria per il mantenimento della quota giornaliera di glucosio al cervello ( 100g/die per la sopravvivenza cerebrale)
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Nella fase post prandiale invece vi è la freccia che porta dall’intestino al glucosio, in quanto l’organo estrae il glucosio dagli alimenti assunti. In questo caso quindi il fegato può recuperare le sue riserve di glicogeno da mobilitare in caso di ipoglicemia e il muscolo può tornare ad utilizzare zuccheri. Deficit sistemi di contro regolazione causato da: - mancata assunzione di un pasto - notevole perdita di peso Ritornando al discorso degli ormoni dobbiamo vedere quali sono gli ormoni coinvolti in caso di ipoglicemia acuta. L’ipoglicemia acuta (4-5min) è una condizione che si verifica rapidamente, con la glicemia che scende sotto i 70mg/dL ( tra i 60 e i 55) e il paziente che avverte subito una sintomatologia. In caso di ipoglicemia acuta gli ormoni coinvolti nella contro regolazione fisiologica sono ormoni a rapida azione:glucagone e adrenalina. - Il glucagone aumenta la gluconeogenesi e glicogenolisi epatica - L’adrenalina aumenta la gluconeogenesi epatica e renale e inoltre riduce l’uptake glucosio-insulina indotto Invece in caso di ipoglicemia prolungata (60-90min) entrano in gioco ormoni ad azione più lenta ,GH e cortisolo (in aggiunta agli acidi grassi liberi di cui abbiamo parlato prima), mentre glucagone e adrenalina vanno a scemare. Qualora i meccanismi di contro regolazione non riescano a correggere la condizione di ipoglicemia ecco allora che si ha una sintomatologia, distinta in neurogenica e neuroglicopenica. Ricordiamo inoltre che nell’ipoglicemia entrano in gioco una serie di sistemi: sistema nervoso autonomico, sistema neuroendocrino, le modificazioni emodinamiche,alterazioni cognitive e/o comportamentali. Prima abbiamo detto che la sintomatologia si divide in neurogenica e neuroglicopenica; IMPORTANTE: quando si parla della sintomatologia essa va sempre rapportata al livello di glicemia La sintomatologia neurogenica (ansia, cardiopalmo, sudorazione, irritabilità e tremore) subentra quando la glicemia è compresa tra i 50-60 mg/dL ed è propria dell’inizio della condizione di ipoglicemia e quindi precede la sintomatologia neuroglicopenica (che si instaura quando persiste la caduta dei valori glicemici), quest’ultima che subentra quando i valori scendono al di sotto dei 40 mg/dL ed è caratterizzata da: fame,vertigini,astenia, visione offuscata, cefalea,difficoltà a concentrarsi,sonnolenza,amnesia, stupore e poi coma. Chiaramente per quanto riguarda l’approccio terapeutico alla sintomatologia propria dell’ ipoglicemia, avremo una fase in cui è possibile intervenire e una fase in cui i danni risultano essere irreversibili. Per quanto riguarda le manifestazioni sintomatologiche occorre dire che molto dipende dalle caratteristiche dell’attacco ipoglicemico; infatti qualora vi sia un attacco ipoglicemico acuto(8-10 minuti) i sintomi sono più gravi. Come abbiamo detto prima i sintomi neuroglicopenici, più gravi, subentrano quando persiste la caduta dei valori glicemici ( 1 ora dall’inizio dell’ipoglicemia). Ipoglicemia e danno neurologico: cosa può portare l’ipoglicemia grave? Predispone alla demenza e a disturbi cognitivi, disfunzione cerebrale ( per questo gli anziani cadono) ed eventi cardiovascolari.
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Domanda d’esame:le ipoglicemie asintomatiche: perdita della capacità da parte del paziente di riconoscere i sintomi dell’ipoglicemia ( i primi sintomi quindi compaiono solo a valori molto bassi di glicemia). Quando si hanno spesso attacchi di ipoglicemia accade che vi è una riduzione della “soglia ipoglicemica”, quindi mentre durante i primi attacchi avvertivo la condizione di ipoglicemia, quindi la sintomatologia era manifesta, a valori glicemici più alti, in caso di riduzione della soglia ipoglicemica io non avverto più la condizione di ipoglicemia agli stessi valori dei primi attacchi ma a valori più bassi; ciò è dovuto al fatto che l’organismo si abitua alla condizione di ipoglicemia e io non avverto più i sintomi a valori medio-alti; ciò tuttavia non è correlato all’assenza di danni da ipoglicemia. Non è valida la relazione: assenza di sintomi – assenza di danni. E’ senza dubbio una condizione pericolosa perché è in grado di mascherare la maggior parte degli attacchi ipoglicemici più lievi. Continuando a chiarire il ruolo dell’ipoglicemia,dobbiamo dire che questa condizione può portare a disfunzione endoteliale, aumento alla sensibilità infiammatoria, aumento di citochine ( in particolare IL-6 e proteina C reattiva), anomalie della coagulazione. Quindi, possiamo affermare che esiste una sorta di correlazione tra l’ipoglicemia e l’iperglicemia. DIAGNOSI DI IPOGLICEMIA: TRIADE DI WHIPPLE: 1) Ipoglicemia documentata 2) segni e sintomi di ipoglicemia 3) recupero dall’ipoglicemia dopo somministrazione parenterale o orale di glucosio Se questi criteri non sono soddisfatti non si può parlare di ipoglicemia. Oltre alla classificazione in relazione temporale con il pasto è utile classificare l’ipoglicemia in base al grado di intensità. Pertanto l’ipoglicemia verrà definita: -lieve:se il paziente riesce ad assumere zuccheri autonomamente -moderata: se necessita di assistenza esterna -grave: se non è in grado di assumere zuccheri o subentrano sintomi gravi Chiariamo un aspetto importante:il grado di ipoglicemia non è direttamente collegato al livello di glicemia. Non tutte le persone infatti presentano la stessa risposta all’ipoglicemia. Quindi possiamo dire che esiste una personalizzazione della risposta all’ipoglicemia. Terapia dell’ipoglicemia: trattamento sintomatico valido per tutti tipi di ipoglicemia; trattamento eziologico valido per una singola causa di ipoglicemia. Trattamento sintomatico o aspecifico: se il paziente è cosciente utilizzo di bevande zuccherate, se il paziente è incosciente 20-30 ml di soluzione glucosata al 33-45%. Nel trattamento dell’ipoglicemia molto utile risulta essere la cosiddetta “regola del 15”: - 15g di carboidrati a rapido assorbimento - 15 minuti dopo ricontrollare la glicemia; se la glicemia risulta essere maggiore di 50 mg/dl e chiediamo al paziente se ha intenzione di assumere alimenti nel giro di 1 ora. Se ha intenzione di assumerli il problema tende alla risoluzione spontanea, ma se non ha intenzione di assumerli si somministrano nuovamente 15-20g di carboidrati più piccole quote di proteine e grassi.
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MALATTIE DEL METABOLISMO
PROF. BELLASTELLA
LEZIONE DEL 08/11/2013
Oggi parleremo della disfunzione erettile e delle complicanze andrologiche del soggetto con diabete.
Avevo pensato di partire di nuovo con la diagnosi e gli obiettivi da raggiungere quando trattiamo un
soggetto diabetico perché trattare il soggetto diabetico, trattare le sue complicanze è qualcosa che deve
andare insieme, non si può trattare soltanto la glicemia, dobbiamo raggiungere degli obiettivi sia in termini
di glicemia che di pressione arteriosa che di lipidi per proteggerlo dalle sue complicanze. Il primo step dell’
approccio ad un soggetto diabetico è un miglioramento dello stile di vita e cioè dell’alimentazione e
dell’attività fisica. Un soggetto diabetico non deve eliminare i carboidrati dalla sua alimentazione, ma ne
deve mangiare nelle giuste quantità e deve mangiare i carboidrati migliori, quelli complessi, non gli zuccheri
semplici, deve assumere il giusto apporto proteico, il giusto apporto di fibre e di frutta e ridurre il sale.
Controllare il diabete non è solo controllare la glicemia, dobbiamo controllare tutte le problematiche ad
esso associate, dall’infiammazione alla disfunzione endoteliale. Questo concetto di disfunzione endoteliale
è molto importante nella disfunzione erettile.
L’ Andrologia è quella branca della medicina che si occupa della salute del maschio, in particolare riguardo
l’attività sessuale, la fertilità e la salute in generale. È un settore un pochino trascurato, è difficile che un
maschio vada di sua spontanea volontà a farsi un controllo andrologico. Prima questa opportunità c’era
con la visita militare dove ti controllavano i genitali, oggi questa visita non esiste più quindi ci sono persone
che arrivano a 30-40 anni con un testicolo risalito o con un varicocele senza rendersene conto. Tra le
patologie andrologiche associate al diabete la più frequente è la disfunzione erettile, seguono poi
l’ipogonadismo e i disordini dell’eiaculazione. Il difetto più caretteristico di quest’ultima nel diabetico è
l’eiaculazione retrograda. Spesso i soggetti diabetici di qualsiasi età possono riferire che non vedono
l’eiaculato nonostante l’orgasmo, questo perché l’eiaculato invece di essere emesso all’esterno torna in
vescica. È un problema importante, quando abbiamo un paziente che ha problemi di infertilità la prima
evenienza da escludere è proprio questa e quindi si chiederanno al paziente informazioni sul proprio
eiaculato; se riferisce che è scarso o assente basta fare un esame molto semplice che è una raccolta di urine
post rapporto e si va a controllare se in quelle urine, che in genere sono biancastre, ci sono spermatozoi e
quindi avremo già identificato un problema molto semplice che poi si può risolvere con dei farmaci che
aiutano la continenza degli sfinteri e quindi portano l’eiaculato all’esterno. Tutto questo si verifica perché il
soggetto diabetico può avere anche una neuropatia autonomica e per via di questa perde anche il controllo
sugli sfinteri, si ha un mancato costringimento dello sfintere vescicale e lo sperma torna in vescica.
Un uomo su 3 ha problemi andrologici, di questi:
il 30% prima dei 18 anni, le patologie più caratteristiche in questa fascia di età sono il
criptorchidismo, il varicocele, l’ ipospadia e l’ipotrofia testicolare;
il 30% tra i 18 e 60 anni con infertilità, ipogonadismo, tumori del testicolo, condilomi e malattie
collegate al papilloma virus, disfunzione erettile e malattie sessualmente trasmesse;
dopo i 60 anni la patologia più frequente è la disfunzione erettile seguita da ipogonadismo e
malattie sessualmente trasmesse.
Quali sono gli elementi caratteristici del diabete che interferiscono con la funzione erettile?
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L’iperglicemia provoca uno stress ossidativo, un’attivazione eccessiva della protein-chinasi C, un
aumento degli AGE;
Fattori nocivi dati dall’eccesso di grasso viscerale: un aumento delle citochine infiammatorie, un
aumento degli acidi grassi liberi e una diminuzione dell’unica citochina positiva che blocca la
cascata infiammatoria, l’adiponectina.
La dislipidemia, caratterizzata da un aumento di LDL e trigliceridi e un abbassamento di HDL.
Tutti questi fattori hanno un unico comune denominatore che è la riduzione di ossido nitrico. La
conseguenza di ciò è una disfunzione endoteliale e da qui disfunzione erettile . Circa il 50 % dei diabetici,
ma anche qualcosa in più, ha una disfunzione erettile entro 10 anni dalla diagnosi di diabete. Questa viene
prima delle altre complicanze ed in alcuni casi può essere un sintomo che vi permette di fare diagnosi di
diabete.
Il soggetto diabetico è in genere obeso (l’obesità è uno dei primi fattori che predispongono al diabete di
tipo 2) e presenta un aumento del grasso viscerale che si quantifica molto semplicemente misurando la
circonferenza vita a livello della linea ombelicale trasversa, valori >88 cm nella donna e >di 102 cm
nell’uomo sono considerati patologici. Correlato all’obesità viscerale è l’aumento delle citochine
infiammatorie e la diminuzione dell’adiponectina e dell’ IL-10 che porta ad un’alterazione di tutto il
meccanismo infiammatorio con una riduzione della disponibilità di ossido nitrico, a questo si può
aggiungere anche un ridotto testosterone e tutto porta ad una disfunzione endoteliale.
Maggiore è la durata della malattia diabetica maggiore è la possibilità di scontrarsi con le complicanze della
stessa, il rischio più alto è quello delle complicanze macrovascolari che sono la prima causa di morte nel
soggetto diabetico, ma anche la nefropatia e la retinopatia sono complicanze non rare del diabetico . Tra le
complicanze croniche ce n’è una, la neuropatia, che è responsabile sia del piede diabetico che della
disfunzione erettile, la disfunzione erettile è causata anche da complicanze micro- e macroangiopatiche
perché naturalmente l’aterosclerosi dei vasi che portano il sangue al pene, cioè le arterie pudende e le
arterie cavernose, è sicuramente responsabile di disfunzione erettile. Per cui parliamo di questo problema
nel soggetto diabetico perché esso è particolarmente predisposto avendo già un’angiopatia (causa
vascolare) ed una neuropatia (causa nervosa) ed a questo si può aggiungere un calo dei livelli di
testosterone (causa endocrina).
L’angiopatia è un problema del 60-70% dei pazienti diabetici, quella che ci interessa di più in questo
momento è la neuropatia autonomica che interessa il sistema nervoso vegetativo il quale controlla gli
sfinteri, la digestione , la frequenza cardiaca, la pressione arteriosa e anche l’erezione e quindi da qui ci
colleghiamo al problema dell’erezione. Qualche anno fa è stato lanciato lo slogan “IMPOTENZA CHE
FORTUNA” perché in un soggetto, diabetico o non diabetico, la disfunzione erettile può prevenire altre
patologie più gravi, quelle cardiovascolari, e quindi una disfunzione erettile diagnosticata in tempo attiva
una serie di iter diagnostici che possono portare alla diagnosi di malattia cardiovascolare al momento
silente.
Si definisce disfunzione erettile “la continua o ripetitiva incapacità a raggiungere e/o mantenere
un’erezione che sia sufficiente ad avere un rapporto sessuale soddisfacente”.
L’OMS ha definito la salute sessuale come parte integrante della salute dell’individuo e le problematiche
della sessualità sono estremamente importanti, proprio perché ci permettono di diagnosticare in tempi
precoci malattie più gravi.
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Un rapido sguardo a ciò che rappresenta il diabete. 58 milioni di morti nel 2005 ed è stato definito
dall’assemblea generale delle nazioni unite una questione internazionale di salute pubblica, unica patologia
insieme all’HIV ad aver avuto questa etichetta; aumenta di 2-4 volte il rischio di cardiopatia, aumenta il
rischio di nefropatia, aumenta il rischio di cecità (prima causa di cecità nei soggetti adulti) ed è causa di
amputazioni. Dei soggetti che in Europa si ricoverano per cardiopatia solo il 29% ha un normale controllo
del glucosio, tutto il resto sono già interessati da diabete o pre-diabete (31% diabete già noto, 12% diabete
di nuova diagnosi e gli altri hanno un’alterata glicemia a digiuno o un’intolleranza ai carboidrati). La Cina ha
un quadro più o meno sovrapponibile al nostro, se non un pochino peggio.
Il diabete nel 2004 si collocava come sesta causa di morte a New York e le previsioni che si facevano per il
diabete per il 2025 erano circa 380 milioni di diabetici. In realtà nel 2011 già si contavano 366 milioni di
diabetici e quindi le previsioni per il 2030 sono totalmente cambiate in quanto se ne prevedono 551 milioni,
dunque questa malattia corre più del previsto. Per quanto riguarda la prevalenza di disfunzione erettile
nella popolazione generale circa il 28% delle persone, soprattutto dopo i 50-60 anni, è a rischio di
disfunzione erettile; se consideriamo la popolazione diabetica la prevalenza sale al 60-70%. Sicuramente
questa problematica aumenta con l’avanzare dell’età e con l’età aumenta anche il rischio di avere
disfunzione erettile di grado più severo. Ci sono voluti molti anni per capire bene il sistema dell’erezione, si
pensava prima che fosse qualcosa di estremamente collegato alla mente, cioè se uno dava più importanza a
quel problema aveva un pene più lungo, poi si è cominciato a dare importanza a l’ossido nitrico, per cui è
stato dato un premio Nobel, e poi nel ’96 si è capito che era qualcosa di regolato da più sistemi. In
particolare oggi definiamo l’erezione come un processo NEURO-ENDOCRINO-VASCOLARE, cioè
intervengono stimoli nervosi, un sistema emodinamico e poi c’è la parte endocrina. Tutto funziona se ci
sono adeguati livelli di testosterone in circolo, se il soggetto è anche ipogonadico può avere anche un buon
sistema nervoso e vascolare, ma il testosterone basso non fa avvenire l’erezione. Quindi perché l’erezione
avvenga è necessario un corretto funzionamento degli stimoli nervosi, del sistema vascolare e del sistema
endocrino. Il pene lo sapete dove è collocato, non lo devo descrivere, la prostata si colloca subito dietro e
sapete che si sono dei collegamenti nervosi che circondano la prostata e poi vanno al pene. Quando il
soggetto è stato operato di prostata oppure ha un’ ipertrofia prostatica o un adenoma prostatico ci può
essere un interessamento dei nervi che passano tra la prostata e il pene e quindi questo già può essere un
problema per l’erezione. Il pene è formato da due corpi cilindrici che sono i corpi cavernosi, i quali saranno
molto importanti nel meccanismo dell’erezione perché sono quelli che si riempiono di sangue, poi al centro
abbiamo il corpo spongioso attraverso il quale passa anche l’uretra. Dall’arteria pudenda interna partono i
rami che porteranno il sangue al pene, che sono le arterie cavernose, le quali si dirigono verso i corpi
cavernosi e poi si diramano nelle arterie elicine che sono quelle che portano il sangue a tutti i corpi
cavernosi. Abbiamo detto che tutto parte dal cervello, dagli stimoli. Sono stimoli visivi, uditivi, tattili,
olfattori o semplicemente l’immaginazione, anch’essa può portar al rilascio di neurotrasmettitori eccitatori.
Questo stimolo viene trasmesso attraverso le vie nervose al canale midollare e arriva fino all’apparato
genitale. Il sistema adrenergico nell’erezione non è qualcosa di positivo, è quello che interviene per
mantenere il pene in condizione di flaccidità, il sistema colinergico invece è quello che ha un maggior
impatto nello stimolo dell’eccitazione. Oltre a questi due si è visto che il sistema NANC dà uno stimolo
importante all’erezione, queste fibre nervose rilasciano qualcosa che ci serve necessariamente per
l’erezione, l’ossido nitrico. Esso è rilasciato sia da queste fibre nervose che dalle cellule endoteliali dei corpi
cavernosi e poi attraversa la membrana della fibrocellula muscolare liscia dei corpi cavernosi (i corpi
cavernosi sono rivestiti di tessuto muscolare) dove attiva la guanilato-ciclasi. Questo enzima permette la
trasformazione del GTP in c-GMP, il quale induce l’attivazione della protein-chinasi GMPc-dipendente
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(PKG). La PKG induce la chiusura dei canali del calcio che quindi non entra più nella fibrocellula muscolare,
la diminuzione di questo ione porta al rilasciamento della stessa.
Da questo possiamo parlare delle varie fasi dell’erezione :
1. FLACCIDITA’, in cui prevale il tono simpatico, quindi c’è una contrazione della cellula muscolare
liscia, il flusso arterioso ai corpi cavernosi è minimo mentre c’è un deflusso venoso molto rapido.
Quindi non c’è accumulo di sangue all’interno dei corpi cavernosi, arriva poco sangue e ne defluisce
molto;
2. RIEMPIMENTO, inizia quando aumenta il tono parasimpatico, quindi c’è un inizio di rilasciamento
delle cellule muscolari lisce, aumenta l’afflusso arterioso, continua ad esserci un rapido deflusso
venoso e quindi non ci sono ancora modifiche della pressione intracavernosa
3. TUMESCENZA, il deflusso venoso comincia a diminuire;
4. EREZIONE COMPLETA, quando aumenta il volume ematico all’interno dei corpi cavernosi, questo
provoca una strozzatura delle venule sub-tunicali e quindi il deflusso venoso viene ad essere
interrotto quasi del tutto. In questa fase, dunque, la concentrazione di sangue e di conseguenza la
pressione intracavernosa aumentano. La pressione arriva più o meno ai livelli della pressione
sistemica.
5. EREZIONE RIGIDA, in questa fase la pressione intracavernosa arriva oltre i valori di pressione
sistolica. Il soggetto potrà ora avere il suo rapporto.
6. DETUMESCENZA, dopo il rapporto prevarrà di nuovo il tono adrenergico, si avrà di nuovo la
contrazione delle cellule muscolari lisce, il sangue defluirà nuovamente e si ritornerà ad uno stato
di flaccidità
La disfunzione erettile prevede sia una patogenesi vascolare sia endocrina che neurologica. Tra le cause
vascolari troviamo appunto il diabete al primo posto, ma anche l’obesità di per sé, l’ipercolesterolemia
e le iperlipedemie in generale. In pratica un aumentato rischio cardiovascolare comporta un aumentato
rischio di disfunzione erettile. Poi abbiamo le cause endocrine, quasi tutte le patologie endocrine, in
particolare quelle che portano ad un calo del testosterone, quindi l’ipogonadismo, sia primitivo che
secondario. Primitivo significa che il problema è localizzato a livello testicolare e quindi un danno
testicolare dà bassi livelli di testosterone. Questi in genere si chiamano ipogonadismi ipergonadotropi
perché le gonadotropine aumentano in quanto la loro produzione non è inibita dal testosterone. Invece
negli ipogonadismi secondari, che sono dovuti ad un problema ipofisario, le gonadotropine sono basse,
lo stimolo al testicolo viene meno e viene meno anche una produzione adeguata di testosterone.
L’iperprolattinemia è una delle cause di ipogonadismo ipogonadotropo, l’aumentata concentrazione di
prolattina inibisce la produzione ipotalamica di GnRH e di conseguenza quella di gonadotropine. Anche
i disturbi della tiroide possono portare a disfunzione erettile: l’ipotiroidismo può dare
iperprolattinemia in maniera indiretta, aumentando lo stimolo sia del TRH che del TSH. Il TRH è un
fattore di rilascio della prolattina. Un soggetto che ha iperprolattinemia è esposto a calo della libido e
disfunzione erettile. L’ipertiroidismo più che altro può dare alterazioni della proteina legante il
testosterone e cioè l’SHBG. L’acromegalia e l’ipercortisolismo sono delle vere e proprie malattie
sistemiche in cui l’aumento di IGF-1 e di cortisolo possono indurre una diminuita produzione di
gonadotropine. Le cause endocrine rappresentano circa il 3-4% delle cause di disfunzione erettile, le
cause più frequenti sono sempre quelle vascolari seguite da quelle neurologiche, seguono le malattie
sistemiche , malattie importanti, di tipo oncologico e reumatologico, poi la cirrosi, la cardiopatia,
l’insufficienza renale cronica, la BPCO. Poi da non trascurare sono le cause iatrogene, prima fra tutte
l’utilizzo di beta-bloccanti che bloccando il recettore adrenergico a livello penieno possono dare una
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disfunzione erettile e poi l’utilizzo di spirinolattone, un antialdosteronico che però ha anche attività
antiandrogena e quindi inibisce produzione di testosterone. Gli antidepressivi, gli ansiolitici e gli
anticonvulsivanti sono farmaci che possono essere causa di iperprolattinemia e quindi di disfunzione
erettile.
In passato si pensava che la maggior parte dei casi fosse dovuta a problemi psicologici (ansia, difficoltà
relazionali, depressione), questi in realtà esistono ma non sono poi cosi frequenti come si pensava prima, il
problema psicologico è un qualcosa che può sempre peggiorare il problema dell’erezione quando già c’è
una causa organica perché naturalmente si innesca un circolo vizioso, se il paziente sa di avere la
disfunzione erettile, anche forme non gravi, queste peggiorano e si innesca un’ansia da prestazione che
sicuramente non giova al problema.
Una parola in più la dobbiamo spendere per il problema vascolare che è dovuto essenzialmente ad una
disfunzione endoteliale che a sua volta è dovuta all’azione infiammatoria di numerose citochine e quindi ad
una ridotta disponibilità di ossido nitrico. A questo si aggiunge spesso un problema di tipo fibrotico
localizzato a livello penieno e della tunica albuginea che riveste i corpi cavernosi che si chiama induratio
penis plastica o malattia di La Peyronie, questa in genere è dovuta all’apposizione di placche fibrotiche a
livello delle guaine che rivestono i corpi cavernosi impedendo un giusto riempimento ematico del corpo
cavernoso oppure possono dare una deviazione del pene.
Tornando al problema vascolare, l’aterosclerosi interessa tutti i vasi, in particolare l’interessamento
comincia dai vasi più piccoli e quelli penieni sono sicuramente più piccoli di quelli iliaci, dell’aorta
addominale e così via. Quindi il problema dell’erezione compare sicuramente precocemente, proprio
perché il calibro dei vasi penieni è minore. Il problema può essere sia di origina arteriosa, quindi un deficit
di apporto sanguigno, oppure un deficit veno-occlusivo, cioè non è adeguato il meccanismo che occlude il
flusso venoso dal pene e quindi non si riesce a determinare un aumento della pressione intracavernosa.
Il soggetto con disfunzione erettile può avere già altre problematiche, come quelle collegate al diabete
oppure ipertensione o iperlipidemia, ma può essere anche il primo segno che compare permettendo poi di
fare diagnosi di altre complicanze. In genere il soggetto con disfunzione erettile è quello che ha un peggiore
compenso del diabete, laddove c’è un’emoglobina glicata più alta c’è un peggiore IIEF-5 score, che è il test
utilizzato per quantificare la disfunzione erettile. Allo stesso modo, i soggetti con valori più alti di pressione
arteriosa sistolica (>160 mmHg) hanno una maggiore incidenza di disfunzione erettile, il fumo o un passato
da fumatore predispongono sicuramente alla disfunzione erettile. Sicuramente laddove coesistano più
fattori c’è maggiore rischio di sviluppare disfunzione erettile. Un lavoro internazionale molto importante,
oltre ad aver appurato che in una popolazione di 7000 soggetti ad alto rischio di sviluppare patologia
cardiovascolare circa il 55% già aveva la disfunzione erettile, ha dimostrato chiaramente con metodi
statistici che la disfunzione erettile stessa era predittiva degli eventi cardiovascolari. E’ stata formulata
proprio una ipotesi su questo e si chiama “artery size hypothesis”, cioè la dimensione delle arterie peniene
è più piccola della dimensione delle arterie coronarie, delle arterie femorali, quindi quello che accade alle
arterie peniene accade circa due anni dopo a livello delle arterie coronarie, da qui il valore predittivo della
disfunzione erettile sulla malattia cardiovascolare (le arterie peniene hanno un calibro di 1-2 mm rispetto
alle coronarie che sono di 3-4 mm, le carotidi di 5-7 mm, le femorali di 7-8 mm).
Come si approccia un paziente con disfunzione erettile? Innanzi tutto bisogna avere in testa che anche le
problematiche della sessualità fanno parte della salute generale, quindi quando si ha il primo colloquio con
il paziente oltre a fargli l'anamnesi di tutte le patologie croniche che facciamo normalmente dobbiamo
anche chiedergli se ha problemi della sessualità; certo non è la prima cosa che gli andate a chiedere se non
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avete confidenza col paziente, magari glielo chiedete alla seconda visita, ma ricordatevi sempre che va
indagato anche questo problema.
L'anamnesi andrà sicuramente a valutare lo stato generale del paziente, quindi qualsiasi problema ci possa
venire in aiuto nella diagnosi (abbiamo visto che anche malattie sistemiche possono essere causa di
disfunzione erettile e quindi l'anamnesi deve coprire qualsiasi aspetto anche lontanamente correlato con la
stessa).
Bisognerà prestare particolare attenzione anche all’anamnesi farmacologica, perché abbiamo detto che
molti farmaci possono essere causa di disfunzione erettile, betabloccanti, anti ipertensivi, magari proprio
che tipo di anti ipertensivo usa perché proprio quello potrebbe essere causa di insufficienza erettile.
Ancora, dovrà esser effettuato un EO completo, cioè anche dei genitali, deve comprendere innanzitutto le
dimensioni, non tanto del pene quanto dei testicoli in quanto l'ipotrofia testicolare può essere spia di
ipogonadismo; il volume testicolare si misura con palline di plastica ellissoidi, chiamate Orchidometro di
Prader, confrontando la dimensione di ogni testicolo con quella di ogni pallina, ognuna delle quali porta
scritto il volume in ml. In genere si considera un volume normale dai 14 ai 20 ml nel maschio adulto, se
visitate una bambino di tre anni il volume sarà di 2-3 ml. Il problema ve lo dovete porre se visitate un
18enne e trovate un diametro di due o tre ml, in tal caso avremo o un ritardo nello sviluppo puberale o un
ipogonadismo conclamato. Il problema ve lo dovete porre se il paziente vi dice che è normale, ha dei figli,
quindi è normalmente androgenizzato e poi presenta atrofia testicolare e può essere insorto ipogonadismo.
Per quanto riguarda le di dimensioni del pene non c'è una regola esatta, non esiste una dimensione che si
possa definire normale o anormale. La dimensione del pene corretta è quella tale da permettere una giusta
penetrazione della vagina e permettere un rapporto soddisfacente per entrambi i partner. Si considera
comunque in generale un pene normale quando in erezione si raggiunge una dimensione compresa fra i 9 e
i 16 cm, si considera un pene piccolo se l'erezione è al di sotto dei 7 cm.
Dal punto di vista diagnostico sicuramente un approccio laboratoristico va fatto, se il paziente viene alla
vostra attenzione per disfunzione erettile e non ha mai fatto degli esami generali nell’arco degli anni
sicuramente gli andremo a chiedere:
un emocromo;
un QPE;
un quadro funzionale sia del rene che del fegato, quindi un prelievo per la creatinina e le
transaminasi;
un assetto glucidico, quindi una glicemia e una HbA1c;
un assetto lipidico, quindi il valore di colesterolo con le differenze tra HDL, LDL e trigliceridi
un PSA che va sempre fatto se il soggetto ha più di 50 anni, mentre nel soggetto più giovane solo se
si associano dei sintomi che potete attribuire ad un problema prostatico quali poliuria
Dal punto di vista dell'esame obiettivo il medico deve anche porsi il problema di visitare la prostata e fare
una esplorazione rettale per valutarne le dimensioni, la consistenza ed eventualmente avviarlo verso esami
di secondo livello come ad esempio una ecografia transrettale. Sempre dal punto di vista laboratoristico,
oltre agli esami generali citati dovete anche valutare il profilo ormonale, in particolare il dosaggio del
testosterone TOTALE, ricordatevelo perché il testosterone in circolo è per lo più legato alla sua proteina di
trasporto che è la SHBG oppure è legato all'albumina, una piccolissima quota invece rimane libera. Il
dosaggio del Testosterone libero con metodi laboratoristici è inattendibile quindi si dosa il Testosterone
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TOTALE; se dovesse essere basso per sicurezza andiamo a dosare il Testosterone libero utilizzando una
formula che è disponibile su un sito internet internazionale dove si mette il valore di Testosterone totale, di
SHBG e di Albumina e lui ci calcola il valore di Testosterone libero di questo soggetto, quindi è importante
dosare il testosterone libero e la SHBG. Poi si esegue il dosaggio della Prolattina e degli ormoni tiroidei; va
sempre controllata la funzione tiroidea perché come abbiamo visto gravi problemi di ipertiroidismo e
l'ipotiroidismo possono predisporre alla disfunzione erettile.
Sempre più rari sono oggi gli esami strumentali per questa problematica, prima infatti per la disfunzione
erettile si pensava subito alla causa cardiovascolare e quindi si avviavano esami strumentali dinamici, molto
comune era l'ecodoppler penieno dinamico. Questo è un esame leggermente invasivo per il paziente
maschio perché si somministra una dose di 10, 15, 20 μg di prostaglandine per via intracavernosa: con le
due dita si devono delimitare i corpi cavernosi e alla base del pene si inietta con un ago molto sottile questa
prostaglandina che ha un effetto vasodilatatorio e permetterà quindi l'erezione; bisogna lasciare il paziente
da solo sul lettino a pensare "cose piacevoli", dopo qualche minuto bisogna tornare dal paziente e
chiedere: "avvertite qualcosa?" lui vi dirà: "si si" e vi mostrerà l'erezione. A quel punto con il collega
radiologo, urologo, andrologo con una metodica ultrasonografica che è l’esame DOPPLER si andrà a
valutare le variazioni che si sono avute con l'iniezione di prostaglandina sul circolo venoso e arterioso, in
particolare si valuta il picco sistolico che deve essere superiore ai 25-30 cm/s
L'iniezione viene fatta solo da un lato, se il paziente non risponde viene rieseguita in posizione
controlaterale.
Un altro esame è il Rigiscan, che si pratica con questi due anellini inseriti attorno al pene da tenere durante
la notte e che sono legati con un filo ad uno strumento che rileva tutte le erezioni. Le erezioni notturne
sono un segno positivo in quanto vuol dire che il sistema vascolare in qualche modo funziona. Durante la
notte si hanno delle modifiche, soprattutto verso le prime ore del mattino, aumentano i livelli di
testosterone che è un ormone che ha un ritmo di tipo circadiano; i livelli più alti li raggiunge tra le 7 e le 9 e
quindi in quella fase è più probabile che il soggetto abbia delle erezioni spontanee e questo apparecchietto
registra tutte le erezioni leggendo la pressione grazie a questi anelletti in base a quanto si stringono.
E ora passiamo a qualche accenno di terapia riguardo al problema dell'erezione.
Innanzitutto ciò che vale per il diabete vale anche per l'erezione. Il primo approccio deve essere fatto sullo
stile di vita. Il soggetto con disfunzione erettile, diabetico o meno che sia, sicuramente può giovare di una
maggiore attività fisica, la quale ha un buon effetto sulla attività endoteliale e quindi sulla produzione di
ossido nitrico. Se è fumatore deve smettere di fumare se vuole cercare di migliorare e di risolvere il suo
problema e questo è forse uno dei pochi problemi che riesce a far smettere di fumare le persone, allo
scopo di recuperare l'attività sessuale. Se prende dei farmaci che ci possono dare fastidio possiamo
chiedere eventualmente delle consulenze a dei colleghi cardiologi se prende un beta-bloccante, psichiatri
se prende degli antidepressivi o degli ansiolitici, in modo da evitare qualsiasi influenza negativa sul sistema
endocrino e quindi eventuali ricadute sull'erezione.
Se dopo tutto ciò non c'è stato alcun beneficio possiamo pensare di aggiungere un farmaco specifico per
l'erezione. I farmaci che agiscono sull'erezione sono i farmaci inibitori delle fosfodiesterasi di tipo 5, PDE5
inibitori (PDE5-I), in particolare il Sildenafil, il Vardenafil e il Tadalafil; abbiamo formulazioni che si
somministrano on demand ossia al momento, al bisogno, prima del rapporto, e formulazioni che invece si
assumono quotidianamente o settimanalmente con una cadenza stabilita indipendentemente dal rapporto
sessuale; tutto varia in base all'emivita, se questa è breve il farmaco si prende al bisogno, se invece
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l'emivita è più lunga il farmaco si può prendere due volte a settimana. Per esempio il più comune è il
Tadalafil, nelle formulazioni da 10 e da 20 mg che si assumono 2-3 volte a settimana (ma può essere
utilizzato anche on demand).
Di questi farmaci dovete ricordare che sono molto sicuri, non bisogna dar peso alle voci. In ogni caso 2 sono
le controindicazioni assolute: un utilizzo di nitroderivati, quindi farmaci che si assumono per via
transdermica (cerotto); a i pazienti che portano il cerotto dovete sempre chiedere se lo fanno per la schiena
o per un problema cardiovascolare. In quest’ultimo caso assolutamente non dovete dargli questi farmaci
perchè agiscono in maniera sinergica con una vasodilatazione eccessiva e si può avere un infarto o un
blocco cardiaco.
La seconda controindicazione è in caso di un problema oculare importante, in particolare nelle retiniti
pigmentose, nelle retiniti degenerative in quanto le PDE5-I potrebbero provocare emorragie importanti,
quindi perdita del visus.
Quindi bisogna fare un'anamnesi farmacologica accurata e se usa il cerotto non bisogna dargli niente, poi se
il paziente non lo ha mai fatto, prima di iniziare queste terapie magari gli si fa fare un fondo oculare.
Questi farmaci agiscono sugli enzimi PDE5 inibendo l'enzima che degrada il c-GMP, quindi maggiore
disponibilità di c-GMP e maggiore possibilità di erezione. Questo è quello ci fa pensare allo stile di vita e a
tutti i fattori che possono migliorare l'erezione, sono dovuti in particolare a tutte le sostanze e a tutti i
cambiamenti che studierete che migliorano la disponibilità di NO, in particolare esercizio, utilizzo di
insulina, acido folico, antiossidanti, sono tutti fattori che possono migliorare la disponibilità di NO.
L'NO sapete che deriva da un aa che è l'arginina, quindi una buona disponibilità in circolo di Arg facilita la
produzione endoteliale e da parte delle terminazioni nervose di NO.
I fattori negativi sono invece il fumo, l'eccessivo alcool, l'inattività fisica, l'utilizzo di zuccheri in eccesso,
l'obesità addominale, il diabete, l'ipertensione, l'insulino resistenza, una scarsa quantità di antiossidanti;
vedete come l'attività fisica, la perdita di peso e anche il consumo di una quantità moderata, ovvero un
bicchiere, di vino rosso al giorno possono migliorare l'erezione.
Tutti questi studi sono volti a dimostrare come un miglioramento dello stile alimentare può migliorare, a
prescindere dall'utilizzo dei farmaci, l'attività sessuale.
In questo studio che vi ho portato c'è un metodo che si chiama “Mediterranean Diet Score”, che permette
di quantificare quanto un soggetto si attiene ad uno stile di vita mediterraneo, il paziente registra tutto
quello che mangia dentro ad un quadernetto e voi potete dargli un punteggio; ci sono degli alimenti come
frutta, verdura, carboidrati complessi che danno un punteggio positivo, il punteggio è scarso, assente o
negativo per gli alimenti che si devono consumare poche volte a settimana come ad esempio le carni rosse,
i latticini, le uova. Si è visto come i pazienti che avevano una maggiore aderenza ad una dieta di tipo
mediterraneo, contemporaneamente miglioravano la loro attività sessuale.
Questo questionario è uno strumento essenziale che vi permette di fare diagnosi di disfunzione erettile e di
quantificare ovvero dare un punteggio all’erezione del paziente. Quindi glilo somministreremo al momento
della visita, al momento dell'anamnesi .
Questo si chiama IIEF5 ovvero International Index of Erectile Function che consta di 5 domande; esiste una
forma molto più lunga da 15 domande, ma è molto meglio questo da 5 che è molto rapido.
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( Vi premetto che il paziente è bugiardo).
In base alle risposte che vi da voi fate la somma dei punteggi e vi andate a vedere lo schemino di controllo:
Da 22 a 25 l'attività sessuale è da considerarsi normale. Da 17 a 21 siamo in presenza di disfunzione erettiva lieve. Da 12 a 16 si manifesta una disfunzione erettile lieve-moderata. Da 8 a 11 si tratta di una disfunzione erettile moderata. Da 5 a 7 siamo in presenza di una grave disfunzione erettile.
Ora rapidamente qualcosina sul rischio cardiovascolare, abbiamo detto che la disfunzione erettile può
essere predittiva, se diagnostichiamo disfunzione erettile dobbiamo attivare un iter diagnostico per il
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rischio cardiovascolare. Su questo ci sono state delle consensus, ovvero delle specie di linee guida, questa
in particolare si chiama Consensus di Princeton, ed ha ribadito che la disfunzione erettile comunemente
compare anche in presenza di una cardiopatia silente e deve rappresentare un punto di partenza per uno
screening cardiovascolare. Questo screening comincia con l'anamnesi in cui si valuta il Cardiovascular Risk
Score, esiste un punteggio basato su i livelli di Colesterolo totale rapportato con la fascia di età (l'età di per
se rappresenta un fattore di rischio), l'HDL, la Pressione Sistolica, il fumo ecc.
Anche qua avremo uno score totale che ci permetterà di calcolare un rischio a 10 anni di avere un evento
cardiovascolare acuto.
Vi vorrei dire due parole sull'utilizzo sconsiderato da parte dei giovani dei farmaci per la disfunzione erettile
anche in assenza di bisogno per avere una super prestazione; questo non è corretto e spesso viene fatto
senza consultare un medico e con farmaci acquistati da internet. Questo è molto rischioso perchè, sebbene
siano farmaci molto sicuri, in soggetti che non ne hanno bisogno, con un utilizzo corrente, soprattutto in
soggetti giovani, si sono registrati effetti gravi come la dissecazione dell'arteria vertebrale associata
all'abuso di Sildenafil. Nei soggetti che usano questi farmaci in associazione alla cannabis, siccome la
cannabis inibisce l'enzima che degrada questi farmaci, questi rimangono più tempo in circolo e quindi si
alza il rischio di eventi avversi.
Inoltre i soggetti che abusano di questi farmaci non ci permetteranno di valutare il sintomo della
disfunzione erettile venendo meno il suo valore predittivo nel rischio cardiovascolare nei prossimi anni
visto che stiamo parlando di un’abuso in età giovanile.
Ritornando al problema dell'ipogonadismo e al testosterone, questo (la slide) è quello che vi stavo dicendo,
con la percentuale libera sotto il 2%, legato all’albumina 38%, legato all’ SHBG il 60%.
Valori di testosterone superiori a 350 ng/dl che corrispondono a 12 nmol/L possono essere considerati
normali, mentre valori compresi tra 230 e 350 ng/dl possiamo considerarli una zona grigia dove se ci sono i
sintomi di ipogonadismo si può pensare di trattare con testosterone il soggetto; al di sotto di 230 ng/dl è un
ipogonadismo conclamato e dovremo fissare assolutamente la terapia sostitutiva con testosterone; non si
fa soltanto per l'attività sessuale, ma si fa perchè il testosterone agisce in molte parti diverse del nostro
organismo, sulla forza muscolare, sullo stato osseo; soggetti che hanno ipogonadismo e non lo sanno per
tanti anni sono maggiormente soggetti a osteoporosi. Il testosterone ha anche effetto sull'umore, i soggetti
con ipogonadismo sono più nervosi, più depressi e così via.
I sintomi di ipogonadismo sono: un calo del desiderio, la disfunzione erettile, la diminuzione della massa
muscolare, una perdita di massa ossea, problemi depressivi, facile affaticamento, una perdita di peluria e di
capelli e una perdita di vigore sessuale. Naturalmente tutto dipende dall'epoca di insorgenza, dall'entità e
dalla durata dell'ipogonadismo.
Importante è il problema associato al diabete dell'ipogonadismo, nel diabete abbiamo soprattutto
ipogonadismo di tipo ipogonadotropo che interessa il 25% dei soggetti diabetici, quindi molto meno dei
soggetti maschi diabetici interessati da disfunzione erettile che sono circa il 60-70%, per cui la disfunzione
erettile non è legata solo a questo ma anche a tutte le altre complicanze del diabete.
L'ipogonadismo può essere un fattore aggiuntivo che può peggiorare la risposta ai farmaci del soggetto con
disfunzione erettile perché il soggetto diabetico che andiamo a trattare con PDE5-I e che ha già bassi livelli
di testosterone non risponderà alla terapia perché abbiamo detto che il meccanismo funziona quando i
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livelli di testosterone sono normali, se abbiamo livelli bassi anche la terapia con PDE5-I può essere
insufficiente e quindi va trattata come un deficit di testosterone.
Una linea guida di una società americana molto importante, la ??? Society che ci dice che in alcune
condizioni particolari noi dobbiamo andare a ricercare l'ipogonadismo a prescindere da quello che ci
racconta il soggetto e una di queste condizioni è proprio il diabete di tipo 2 e in questi soggetti è sempre
opportuno fare uno screening dei livelli di testosterone.
Ma perché dovrebbe esserci questo ipogonadismo? Sono state fatte diverse teorie, varie proposte, una di
queste è l'eccesso di estradiolo che hanno i soggetti con diabete, soprattutto legato alla loro obesità, alla
loro obesità viscerale. Nel tessuto adiposo c'è un enzima che è la aromatasi che trasforma il testosterone in
estradiolo e quindi questi soggetti maschi potrebbero avere questi livelli di estradiolo maggiori. L'estradiolo
aumentando va a inibire il sistema ipofisario, in particolare l'FSH e l'LH, e di conseguenza si avrà un basso
testosterone. Si pensa che gli stessi mediatori dell'infiammazione, citochine e quant'altro che ci disturbano
l'endotelio, possano andare a disturbare l'ipotalamo e l'ipofisi e dare questo ipogonadismo ipogonadotropo
oppure che l'insulino resistenza che si instaura anche a livello delle cellule ipotalamo ipofisarie possa creare
un danno da insulino resistenza.
Ci sone degli ultimi dati che ci dicono che già di per sè l'iperglicemia può essere un fattore inibente la
regione ipotalamo ipofosaria; l’iperglicemia si inserirebbe a livello della kisspeptina e del suo recettore
GPR54 che controllano (stimolandoli) i neuroni ipotalamici GnRH secernenti. Il soggetto che ha una
iperglicemia costante ha un ridotto stimolo sui neuroni GnRH secernenti e quindi si instaura un
ipogonadismo ipogonadotropo.
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Malattie del metabolismo - Katherine Esposito
25/11/2013
La prof durante questa lezione, come sanno coloro che sono stati presenti, ha dato una serie di linee guida per affrontare gli ultimi argomenti che
secondo lei sono molto ben spiegati sul compendio di prossima uscita, da ciò è facilmente intuibile che la seguente sbobinatura è per molti versi
incompleta e deve essere integrata. Grazie ad Angela che ha fornito le foto di alcune slides della lezione, precipitosamente lette dalla prof e di
impossibile comprensione dal file audio.
DISLIPIDEMIE
Sul nuovo libro le abbiamo rese molto più fluide. Sul vecchio libro la parte sul metabolismo delle LDL VLDL
HDL ecc. è molto ampia, a noi interessa che voi abbiate solo una “traccia” di quelle che sono le
caratteristiche sia della via esogena che della via endogena del metabolismo dei lipidi quindi il colesterolo
alimentare, il metabolismo degli acidi biliari. Vogliamo che voi sappiate, ovvero il chilomicrone cosa
raccoglie, le VLDL, le HDL, le LDL di cosa sono vettori, ma soltanto perché altrimenti non capite quando c’è
un deficit a che cosa questo è legato; non c’è bisogno che facciate tutta la via metabolica.
Per quanto concerne le DISLIPIDEMIE dovete sapere che esistono delle forme PRIMITIVE e delle forme
SECONDARIE, nell’ambito di queste ne dovrete approfondire alcune maggiormente.
Nell’ambito delle SECONDARIE dovete subito immaginarvi di trovare quelle da diabete, da ipoti roidismo,
malattie epatiche ostruttive, insufficienza renale cronica, farmaci che aumentano il colesterolo o che
abbassano il colesterolo HDL (in palestra dovete stare attenti agli anabolizzanti, non solo per questo ma per
un ovvia serie di altri motivi, soltanto che ve ne accorgete solo dopo che li avete presi).
Per quanto concerne le cause PRIMARIE, questo sono quelle che dovete conoscere ai fini della discussione
dell’esame ovvero:
- Deficit della lipoproteinlipasi
- Ipercolesterolemia familiare (approfondire particolarmente)
- Iperlipidemia familiare combinata (approfondire particolarmente)
- Iperlipoproteinemia familiare di tipo III
- Lipidemia familiare combinata
- Ipertrigliceridemia familiare
- Ipertrigliceridemia familiare deficit di ApoC2
Le familiari e le combinate sono quelle che vedrete più spesso nella vostra pratica clinica, perché è molto
frequente, se chiedete anche a persone che conoscete che soffrono di queste problematiche potete vedere
che sono quelle più frequenti.
La manifestazione più caratteristica sono gli XANTOMI (xantelasmi se cadono a livello delle palpebre) che
sono degli accumuli di lipidi presenti nelle forme omozigoti, poi leggerete che di queste malattie c’è la
forma in omozigosi ed eterozigosi; in omozigosi avrete delle forme realmente importanti e tutto questo poi
non crea fluidità (?).
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Allora, ora c’è la SINDROME METABOLICA (nel libro nuovo è tutto aggiustato, nel vecchio c’è un errore sulla
pressione arteriosa). La sindrome metabolica è una costellazione di fattori di rischio cardiovascolari, vuol
dire che una persona che tiene tre di questi cinque criteri, che non sono patologia, ha un rischio
esponenzialmente aumentato di avere una patologia cardiovascolare o il diabete.
Quindi se Katherine ha:
- Colesterolo HDL inferiore a 50 mg/dl in quanto donna
- Trigliceridi maggiori di 150mg/dl
- Circonferenza vita più alta di 88cm (limite per la donna)
Puoi dire “guarda, tu sei affetta da sindrome metabolica” il che vuol dire che tu nella tua vita hai un rischio
che è aumentato di molte volte di avere una patologia di tipo cardiovascolare.
Quindi si mette a dieta questa persona e si fa in modo che i parametri glicometabolici e pressori possano
lentamente rientrare, in maniera tale da evitare questa predisposizione al diabete o alla patologia
cardiovascolare.
(Questo che vi sembra così semplice e che voi vedete scritto qua è stato oggetto di discussione tra noi
ricercatori per diversi anni, anche perché alcuni come me e Dario Giugliano sono convinti che a questo si
doveva mettere un tetto, cioè non bastava aver fatto un pavimento, dovevamo mettere un cut-off cioè 88
massimo 90, volevamo evitare di entrare in patologia ma questo non rientra ora nella vostra attenzione. )
Avete visto che non l’LDL ma l’HDL entra nei parametri della sindrome metabolica perché abbiamo
imparato, con anni di studi, che non solo fa male avere il colesterolo LDL alto, ma anche avere un
colesterolo HDL basso. Chi è che ha un colesterolo HDL basso? QUELLI CHE NON SI MUOVONO, i sedentari,
infatti se io vi dovessi chiedere qual è il modo migliore per aumentare il colesterolo HDL è l’ ESERCIZIO
FISICO, solo l’esercizio fisico, perché i farmaci solo qualcuno lo fa e non benissimo, ma in realtà per
compensare il colesterolo negativo, l’ideale è cercare di far aumentare ai pazienti l’esercizio fisico.
(se dovessi fare una domanda sull’insulinoresistenza, mi sorprendo sempre quando voi vi fermate alla
definizione perché io avrei finito l’esame sull’insulinoresistenza perché se uno fosse rapido e brillante in
quel momento si mette a parlare di qualunque patologia vuole, perché se ci fate caso l’insulinoresistenza
rientra nella patogenesi di tantissime patologie metaboliche e cardiovascolari quindi la pressione arteriosa
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o ipertensione, la sindrome metabolica, Dario Giugliano non può non avervi parlato del ruolo
dell’insulinoresistenza, idem voglio dire quando pensiamo alla dislipidemia perché sempre
l’insulinoresistenza è il momento, è il là, quando si ha l’alterazione poi degli acidi grassi liberi e quindi tutto
il meccanismo poi, a livello epatico, l’aumento delle VLDL, dei trigliceridi, quind i quando uno vi chiede
l’insulinoresistenza, voi potete fermarvi tranquillamente alla definizione e avere poi un’altra domanda, però
voi, parlate, dite che è un momento patogenetico che avvia varie patologie e cominciate a parlare poi di
tutto il resto; questo per farvi capire che l’insulinoresistenza realmente è il meccanismo poi alla base di
moltissime patologie.)
L’elevata concentrazione degli FFA circolanti causata dall’eccesso di grasso viscerale, e quindi poi
insulinoresistenza, determina una serie di effetti metabolici sfavorevoli:
Dislipidemia
- Aumento TG
- Diminuzione HDL-colesterolo
- Aumento lipoproteine contenenti ApoB
Iperglicemia
- Aumento produzione GLC epatico
- Diminuzione della funzionalità delle beta-cellule
Infiammazione (IL-6, PCR)
Aterosclerosi
Disfunzione endoteliale (diminuzione NO)
Nella disfunzione endoteliale, ricordatevi sempre, abbiamo una bassa disponibilità (non bassa quantità) di
NO perché viene captato dai radicali.
TERAPIA della dislipidemia:
Tenete presente che le linee guida ormai vanno a concentrare la loro attenzione sulle LDL, non sulle HDL,
l'HDL è per il rischio cardiovascolare, quando un paziente viene da noi guardiamo il colesterolo, guardiamo i
trigliceridi, (attenzione a valori di colesterolo e trigliceridi nelle dislipidemie) e dobbiamo raggiungere un
obiettivo. Per il diabete (o meglio, nel caso di malattia cardiovascolare accertata) dobbiamo raggiungere
valori inferiori ai 100mg/dl di colesterolo LDL, per
tutte le persone con 0 o 1 fattore di rischio
cardiovascolare bisogna rimanere sotto i 160mg/dl, se
una persona ha 2 o più fattori di rischio il valore deve
essere inferiore a 130mg/dl.
I cambiamenti legati allo stile di vita devono essere dal
punto di vista della dieta: i grassi saturi vanno ridotti, i
poliinsaturi vanno bene, i monoinsaturi fino al 20%
delle calorie, i carboidrati 50-60%.
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Secondo Me e Giugliano una dieta mediterranea deve avere massimo il 50% di carboidrati e possibilmente
scelti dalle fibre e quindi quei carboidrati integrali che sono più utili anche per la nostra protezione dal
cancro.
Ricordate che i poliinsaturi fanno bene e sono presenti nel pesce azzurro o nella frutta secca, i grassi
monoinsaturi sono presenti nell'olio di oliva.
Per quanto concerne i farmaci:
FARMACI IPOCOLESTEROLEMIZZANTI
- Resine a scambio ionico colestiramina
- Inibitori dell’HMG-CoA reduttasi statine
FARMACI IPOTRIGLICERIDEMIZZANTI
- Fibrati (Benzafibrato, Gemfibrozil, Fenofibrato)
- Acidi grassi polinsaturi (ac. Eicosapentanoico EPA e ac. Docosaesanoico DHA)
- Acido nicotinico ed i suoi analoghi
Le resine a scambio ionico si usano pochissimo perché hanno una palatabilità oscena, li dai proprio ad un
paziente che è intollerante a tutto; le statine, che sono inibitori dell'HMG-CoA reduttasi, sono i farmaci più
venduti e abbassano molto bene il colesterolo; tra i farmaci ipotrigliceridemizzanti abbiamo i fibrati molto
utilizzati; gli acidi grassi polinsaturi che si trovano in forma di compressa e fungono da veri e propri
integratori che hanno però l'inconveniente di puzzare di pesce.
Per quanto riguarda il trattamento del paziente diabetico:
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L'orlistat è l'unico farmaco autorizzato in italia da usare contro l'obesità, l'unico, il meccanismo attraverso
cui agisce è quello di ridurre l'assorbimento dei grassi del 30% provocando steatorrea.
Cosa dovete sapere per l'esame:
- cosa sono e come funzionano LDL VLDL HDL, cosa portano e dove senza entrare in tutto il meccanismo
- classificazione delle dislipidemie : le secondarie non c vuole molto, le primarie focalizzandosi sulla
ipercolesterolemia familiare, ipertrigliceridemia familiare e sulle forme combinate
- Andate a vedere il livello del colesterolo e dei trigliceridi in omo- ed eterozigosi, l'epidemiologia, la clinica
e la terapia
- attenzione quando parlate dei fibrati, non dite che abbassano il colesterolo
GOTTA
Io ho ancora pazienti con gotta, è dovuta ad una produzione eccessiva di acido urico; la prevalenza nella
popolazione è ancora al 2-3%, l'incidenza allo 0.3%.
Il termine comprende una serie di alterazioni eterogenee genetiche o acquisite del metabolismo purinico.
I disturbi comprendono l'elevazione dei livelli uricemici oltre il limite di solubilità dell'acido urico, quindi
come valore negli esami dovete guardare l'acido urico (prodotto finale del metabolismo purinico). Quando
c'è la precipitazione dei cristalli ci sono problemi alle articolazioni, al sottocutaneo e ai tubuli renali.
Manifestazioni della Gotta:
- Gotta acuta, cioè attacchi di artrite gottosa;
- Gotta cronica: malattia tofacea;
- Nefropatia ostruttiva acuta;
- Nefropatia interstiziale cronica
- Urolitiasi uratica
L’acido urico nell’uomo è il prodotto terminale del metabolismo purinico, perché la specie umana non ha i
sistemi enzimatici per la sua ulteriore metabolizzazione, nell’uomo l’uricemia varia a seconda del sesso e
dell’età, più nei maschi e più con l’età, superato il limite di 7mg/dl a 37°C e pH 7,4 cominciamo ad avere
problemi con la sua solubilità.
L’acido urico deriva dall’aumento del suo apporto alimentare, tramite i precursori purinici (proteine), deriva
dall’aumento della biosintesi delle basi puriniche e dalla ridotta escrezione urinaria (insufficienza renale).
Parlando delle vie puriniche, l'acido urico dipende da quello che noi mangiamo, di queste vie dovete solo
farmi capire che sapete dove ci troviamo e cosa succede, non ve le chiederemo mai. Dicevo ci sono degli
alimenti che possono far aumentare l'acido urico, un passaggio fondamentale è sull'ipoxantina.
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Classificazione:
GOTTA PRIMARIA
- Da deficit di ipoxantina-guanina fosforibosil-transferasi (HGPRT)
- Difetto completo dell’enzima (sindrome di Lesch Nyhan, sindrome molto rara, non si deve sapere)
GOTTA SECONDARIA
- disordini legati a tumori, leucemie, anemie emolitiche, psoriasi, a mononucleosi infettiva, da
farmaci, alcolismo, dieta ricca di fruttosio, glucosio e grassi.
Per quanto riguarda gli aspetti clinici del metabolismo delle purine dovete ricordarvi che l'attenzione nasce
se c'è o non c'è gotta, perché io posso pure avere iperuricemia ma senza manifestazione clinica, posso
decidere con un farmaco di tenergli l'acido urico basso per paura dei depositi a livello renale , ma il soggetto
può non avere la malattia acuta, non ha la clinica, non ha i dolori, non ha i tofi.
L’acido urico è un prodotto di rifiuto del metabolismo. Normalmente è eliminato attraverso l’attività dei
reni, ma se, per qualche ragione, la quantità di acido urico è superiore a quella che il rene riesce a smaltire,
si accumula formando cristalli. La deposizione di questi cristalli che assumono configurazione aghiforme
nella pelle, nelle articolazioni e nei reni crea dolore. Si hanno manifestazioni dolorose molto importanti
anche se tutti i pazienti, così come nella neuropatia diabetica, danno la stessa definizione di questo tipo di
dolore.
Forme di gotta:
- Artrite gottosa;
- Formazione di tofi (aggregati di urati sotto la pelle di preferenza nel padiglione dell’orecchio);
- Calcoli renali, composti di cristalli di acido urico
- Insufficienza renale, in seguito al blocco causato dai calcoli
La gotta ha comunque delle manifestazioni talmente peculiari come quelle a livello dell'orecchio che vedete
immediatamente ed è difficile non identificarle.
PATOGENESI:
L'attacco gottoso acuto è dato dalla precipitazione dei cristalli di urato monosodico nella cavità articolare.
Ciò avviene per un evento traumatico (es. deambulazione protratta) che libera i cristalli nel liquido
sinoviale, dove la cartilagine ha grande affinità per gli urati. Ne deriva che i neutrofili fagocitano tali cristalli
e liberano glicoproteine chemiotattiche, leucotriene B4, per attrarre i macrofagi che a loro volta liberano IL-
1; da qui la cascata dell’infiammazione che si amplifica e che dura da 10 a più giorni. A scatenare l’accesso
gottoso anche un pasto copioso, o un eccessivo consumo di alcool, perché causa un aumento dell’acido
lattico per eccesso di NADH da smaltire ed incremento del pH. Classica descrizione: dolore all’alluce, al
tallone, alla caviglia, come una slogatura, come se acqua fredda venga versata, brividi, febbre. La VES sale e
compare una leucocitosi neutrofila con 10.000-50.000 bianchi. Colpite le articolazioni metatarso-falangea
dell’alluce (podagra), il piede, la caviglia, etc. La podagra è l’articolazione chiave nella descrizione della
gotta, non esiste persona che ha avuto gotta e non ha avuto problemi all’alluce. Nella fase intercritica,
trascorsi i 10 giorni il dolore diviene interarticolare e la malattia prosegue verso la cronicizzazione gotta
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cronica. La deposizione di urati è seguita dalla deposizione di urati con degenerazione della cartilagi ne; si
formano i tofi cioè si deposita urato nelle parti extra-articolari del corpo, es. nei tessuti molli, l’elice,
l’antelice (orecchio esterno), borsa olecranica, mani e piedi. Il deposito di urato si può avere anche nei
visceri: gotta viscerale. Per es. sono colpiti i reni con una nefropatia gottosa e una nefrite interstiziale, cioè
la deposizione di depositi tofacei nell’interstizio, nella midollare, con danno dei tubuli che prevale su quello
glomerulare e nefrolitiasi, cioè acido urico che forma calcoli; ciò è favorito anche dal pH urinario che tende
all’acidità e ad uno scarso introito di liquidi, da qui l’idroterapia con acque oligominerali. L’uropatia con
episodi di insufficienza renale anche gravi può essere alla base della precipitazione di urati nelle vie
urinarie. Si consiglia di BERE TANTO perché si spera che questo possa aiutare la liberazione, il problema è
che noi prendiamo acque molto ricche di minerali, che quindi possono aggravare la situazione di chi ha
queste predisposizioni. Noi siamo una generazione che beve pochissimo e che beve acque minerali senza
guardare l’etichetta.
Non esiste gotta senza attacco all’articolazione all’alluce.
FATTORI DI RISCHIO
- Fattori genetici: una persona su quattro di quelle che soffrono la gotta hanno una storia familiare
di questo disturbo. Con un po’ di attenzione i dati anamnestici dei pazienti malati di gotta
riveleranno la presenza di almeno un familiare con la stessa malattia.
- Età e sesso: la gotta si manifesta più spesso negli uomini rispetto alle donne, principalmente
perché le donne tendono ad avere un livello di acido urico inferiore agli uomini. Nelle donne dopo
la menopausa tuttavia questo livello si avvicina a quello degli uomini. Gli uomini hanno più
possibilità di sviluppare la malattia prima (tra i 30 e i 50 anni) mentre le donne generalmente
sviluppano i sintomi dopo i 50 poiché viene persa la protezione ormonale nei confronti dell’acido
urico.
- Fattori legati allo stile di vita: un consumo eccessivo di alcool, specialmente birra, è il fattore di
stile di vita che aumenta maggiormente il rischio di gotta. Alcool eccessivo generalmente indica più
di due bevande al giorno per l’uomo ed una per la donna. Anche pesare una decina di kg o più
oltre al peso ideale può aumentare il rischio. Logicamente in questo caso non basta lo stile di vita,
ci deve stare la parte genetica, non è che non mangiate e non bevete perché vi viene la gotta.
- Malattie e medicine: l’alta pressioni sanguigna, il diabete, l’iperlipidemia, l’utilizzo di alcuni
farmaci possono scatenare l’attacco (la prof ha trascurato di commentare la relativa slide).
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DIAGNOSI (un po’ come si fa con il glucosio)
- Test delle urine (per scoprire la quantità di acido urico espulso);
- Analisi del sangue (quantità di acido urico nel sangue);
- Laboratorio: le indagini di laboratorio evidenziano una leucocitosi > 10.000 cellule/mm3 , VES
elevata, uricemia > 7mg/dl; all’Rx zone di ipertrasparenza ossea con aspetto a “geode”, per
accumulo subcondrale di urato monosodico e deposizione tofacea delle mani.
TERAPIA
ATTACCO ACUTO:
- FANS (indometacina)
- Colchicina
- Corticosteroidi
- Acido ascorbico in cpr da 4mg/die
- Dietoterapia (priva di purine)
Non mi interessa la posologia iniziate quanto meno a masticare i farmaci, le classi e le categorie.
Dietoterapia che significa:
- Proteine solo limitate a 0,8-0,9 gr/kg
- I grassi debbono essere ridotti
- Il glucosio, il galattosio e il saccarosio non influenzano l’uricemia, essa è incrementata dagli
zuccheri della frutta, fruttosio, sorbitolo e xilitolo. Probabilmente ciò è correlato con un
incremento della sintesi di purine.
- Gli alcolici nel gottoso sono assolutamente da abolire.
- Ridurre gli alimenti che contengono metilxantine: caffè, the, cioccolato, perché interferiscono con i
sistemi enzimatici
- Acqua da impiegare a più non posso: almeno 1,5-2 L/die
Potete prendere tranquillamente le cose che contengono glucosio e il saccarosio, però dovete evitare
soprattutto il fruttosio che è più frequente del sorbitolo e dello xilitolo perché presente nella cascata del
catabolismo delle purine e quindi amplifica la produzione di acido urico.
Ai pazienti che hanno iperuricemia talvolta diamo un farmaco per abbassarla, altrimenti li teniamo in stand-
by con la dietoterapia. Finita la parte dell’attacco gottoso acuto la dieta diventa essenziale, non pensate che
sia così facile perché fare una dieta ipoproteica non è semplicissimo, idem togliere fruttosio e alcolici.
ATTACCO CRONICO
- Uricosurici: probenecid, sulfinpirazone
- Uricoinibitori: allopurinolo
nel lungo tempo li prendono tutti i pazienti.
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OBESITA’ (linee guida per lo studio)
Cosa bisogna sapere:
- Definizione: L’OMS definisce l’obesità come una condizione cronica caratterizzata da eccessivo
peso corporeo per accumulo di tessuto adiposo in una misura tale da influire negativamente sullo
stato di salute. E’ una condizione determinata da uno squilibrio tra l’introito alimentare e la spesa
energetica.
- Epidemiologia: è una pandemia (io vi do le linee guida, voi mi dovete dire qualche chiacchiera in
più)
- Patogenesi: vi avrà già parlato Giugliano del genotipo economo (o frugale, o risparmiatore o thrifty
genotype), ma comunque noi non ci spieghiamo perché ci sono tanti obesi quindi vuol dire che
qualcosa è cambiato, non basta solo una modificazione dei geni, perché sarebbe dovuto accadere
in tempi molto più lunghi, ci vuole tempo per modificarli. Noi con l’impatto ambientale abbiamo
dato una bella accelerazione, sicuramente quello che noi mangiamo sta creando una
amplificazione dei fattori di rischio anche legato agli inquinamenti. Sicuramente la patogenesi è
legata ad una bilancia tra fattori genetici ed ambientali. Alta alimentazione e sedentarietà non
aiutano. Nell’ambito della patogenesi c’è anche l’insulino-resistenza. Inoltre bisogna ricordare il
legame tra obesità viscerale e rischio cardiovascolare. Si può dire che un soggetto è affetto da
patologia “obesità” quando gli fate un BMI e risulta maggiore di 30, però c’è un piccolo problema:
la bilancia insieme al metro misurano tutto, sia il grasso che la massa muscolare. Allora si è deciso
che per capire bene la situazione del rischio cardiovascolare potrebbe essere più utile la
circonferenza vita, la quale da l’idea di quello che è il vero rischio cardiovascolare. Si potrebbero
fare indagini strumentali come la bioimpedenziometria che permette di calcolare massa magra e
massa grassa, ma in realtà già la circonferenza vita è indicativa. Avete già visto che per parlare di
obesità quale parametro nella valutazione della sindrome metabolica, in una donna debba essere
>88cm, nell’uomo >102cm; volevano scendere un poco, volevano scendere a 92 per l’uomo, però
capirete che in tal modo aumenterebbero gli obesi.
La circonferenza vita è etnia-dipendente, non esiste un cinese che abbia una circonferenza vita come le
nostre, è stata fatta questa modifica a livello internazionale, oppure nelle filippine penso che un uomo non
arrivi ad 88cm (limite per le donne), ciò non vuol dire che loro non abbiano rischio cardiovascolare, non
basta essere magri bisogna andare a guardare la disposizione del grasso che si potrebbe fare con la TC
(metodica troppo costosa!). Al posto di questa possiamo compensare con un metro.
Circonferenza vita è un ottimo “surrogato di rischio cardiovascolare”, vuol dire che se una donna ha una
circonferenza vita superiore a 88cm ha un rischio cardiovascolare aumentato, quella circonferenza vita
dimostra che c’è obesità a livello viscerale (NB obesità viscerale è accumulo di adipe all’addome, non alla
pancia). È stato dimostrato che l’obesità che si dispone sui fianchi, tipica del sesso femminile, è protettivo
per il sistema vascolare.
Altra cosa da ricordare è PERCHE’ l’obesità fa male al cuore. Quando si ha obesità VISCERALE, perché è
questa che fa male, si producono le citochine proinfiammatorie quali IL-6, TNFα, etc. e diminuiscono quelle
anti-infiammatorie come l’adiponectina, una citochina prodotta a livello del tessuto adiposo, con l’obesità
si riduce la sua produzione, quindi è come se voi perdeste una protezione. Poi queste proteine
infiammatorie si mettono d’accordo con il fegato il quale aumenta la produzione di PCR quindi si amplifica il
fenomeno, arrivano a livello cardiovascolare aumentando tutto il danno legato al problema cardiaco,
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aumentano anche IL-18. Quando si amplifica questa produzione di citochine si ha una destabilizzazione
della placche ateromasiche con rottura delle stesse con alta probabilità di un evento cardiovascolare acuto.
Grave problema dell’obesità sono le apnee notturne, si crea insufficienza respiratoria. È un problema che
riguarda i gravi obesi, noi in Italia non viviamo ancora questa situazione di disagio, è vero che abbiamo il
primato in Europa dei bambini obesi ma non di terzo grado, negli stati uniti hanno il terzo grado di obesità
perciò sta aumentando chirurgia bariatrica.
Come terapia c’è solo un farmaco che è l’Ornistat che impatta male sulla nostra popolazione perché noi
mangiamo molto pane e pasta, invece quel farmaco agisce sui grassi perciò ha avuto boom negli USA
perché lì mangiano molti grassi e li defecano, quindi fattore importante è il tipo di dieta.
La dieta oggi ci permette di perdere peso in maniera importante, l’unico grande problema è che deve
essere tenuta nel lungo tempo.
Purtroppo tanti medici utilizzano diete che creano delle grandi attivazione metaboliche che poi bloccano,
spengono totalmente il metabolismo e quindi persone che hanno perso anche 10-20 chili con preparazioni
galeniche poi se ne ritrovano anche 40-50 in più. Quindi quando avete persone che hanno tanti chili da
perdere mandateli in centri specializzati per far in modo che la perdita di peso sia sostenuta, ricordate che è
meglio non dimagrire se poi si deve ingrassare di nuovo perché il metabol ismo è come una corda elastica,
perde l’elasticità. Noi una volta facevano la calorimetria indiretta, altro esame che valuta il metabolismo.
Oggi essendo diventati molto bravi con la dietoterapia riusciamo ad avere attivazioni metaboliche con la
dieta soltanto.
Andrebbe costruita insieme all’attività fisica (moderata) e poi all’esercizio fisico (più intenso), non
cominciate una dieta insieme all’esercizio fisico perché se perdete solo mezzo chilo non ve ne accorgete in
quanto lo mettete di massa magra, quindi tutte queste cose vanno introdotte nel momento giusto, tutte le
cose vanno fatte a step, si parte da una cosa e poi se ne introduce un’altra. Vi ricordo che con 3000 passi al
giorno siete sedentari, con 6000 passi al giorno mantenete il vostro peso corporeo, con 10000 al giorno vi
aiutate a dimagrire. Se cammini 10000 passi aiuti la tua dieta, qualunque essa sia, ad avere effetto sulla
perdita di peso. Noi in genere all’inizio consigliamo piccole modifiche tipo salire le scale (scendere fa peso
sulle articolazioni, bisogna salire).
DIETA
Tenete presente che non esiste cibo giusto o sbagliato, esistono diete giuste o sbagliate. E’ dimostrato che i
pattern alimentari occidentali fanno male a tutte le componenti dell’apparato cardiocircolatorio; i pattern
salutari possono proteggere perché aiutano la perdita di peso, aiutano le arterie, aiutano la riduzione della
pressione arteriosa.
( La verità sullo zucchero, studio su nature, lo zucchero può portare agli stessi danni dell’alcool è sbagliato
pensare che fa solo aumentare la glicemia, negli USA lo usano tantissimo in quei bibitoni colorati, succhi di
frutta, che bevono in continuazione. I danni sono dovuti al fruttosio, è quello che fa male.)
La dieta mediterranea oggi è molto importante, è diventata patrimonio dell’Unesco. E’ una dieta ricca di
cereali integrali, povera in grassi, ricca in proteine salutari (quelle vegetali), abbiamo dimostrato con
colleghi europei che spegne l’infiammazione, quella di basso grado, subclinica, che porta a patologie come
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il diabete, il cancro, patologie neurodegenerative, migliora la funzione dell’endotelio e quindi potrebbe
essere un ottimo modo per avere degli effetti cardioprotettivi. Il primo studio del nostro gruppo dimostrò
che la dieta mediterranea può ridurre del 50% la sindrome metabolica.
Per quanto riguarda l’aspettativa di vita alla nascita al primo posto c’è Monaco, prima era Macau, noi non
ce la caviamo male, siamo al 10° posto, gli USA sono al 50 esimo. Nel 2011 la stima delle persone
ultracentenarie in Italia si è triplicata , è un buon augurio per voi però cerchiamo di spenderli in qualità di
vita e non che non ci ricordiamo niente.
Dieta mediterranea (studi nostri tutti pubblicati): riduce la sindrome metabolica del 60 %, nessun farmaco
neanche le statine possono fare questo, prevenzione del diabete nel 43% dei casi e ripristino della funzione
sessuale nel 55% nel maschio e anche nella femmina.
Prescrizione di fine corso : mangiare mediterraneo. Per la sessualità non c’è problema, prevenite il diabete,
se c’è sindrome metabolica la risolvete altrimenti la prevenite.
Per quanto riguarda la piramide alimentare, si sta passando dal concetto di piramide alimentare che siamo
abituati a vedere, ad un nuovo concetto. Innanzi tutto alla base della piramide ci deve essere lo “stare
insieme, lo stare in famiglia e il fare attività fisica” poi ci sono tutti i prodotti come frutta, verdura, cereali
integrali, non ho detto mangiate la pasta integrale ma è già molto sostituire il pane bianco con quello ai
cereali, poi ci sta tutto a salire fino ai dolci; in realtà adesso negli USA hanno proposto il “piatto”.
Vuol dire che l'agricoltura e la sanità si devono unire per la nostra salute, e loro hanno pensato, visto che
non avete ancora capito come dovete mangiare, vi prepariamo proprio il piatto dove dovete vedere queste
proporzioni verdura, frutta, cereali integrali, latte e poi dovete bere; quindi questa dovrebbe essere la
porzione ogni giorno nel vostro piatto, questo è un tentativo di far mangiare bene la popolazione ovvero
questa è la rappresentazione di come dovrebbe essere un piatto ben bilanciato.
Poi la scuola di Harvard ha scritto proprio tutto quello che ci devi mettere, cereali, verdura, frutta ecc. Tutto
questo ovviamente non è che poi te lo friggi negli olii buoni per la salute, dovete grigliare, cuocere a
vapore, al forno, bollire.
La dieta mediterranea da novembre del ???? è diventata Patrimonio Mondiale dell'Umanità ed è protetta
dall'Unesco ovvero “è un patrimonio culturale e immateriale, sono pratiche, rappresentazioni, espressioni,
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conoscenze e saperi che comunità, gruppi ed in alcuni casi individui, riconoscono come facenti parte del
loro patrimonio culturale; tale patrimonio è intangibile e fornisce loro un senso di identità e continuità
promuovendo così il rispetto per la diversità culturale e la creatività umana.”
Ad oggi la regione Campiania è prima, oltre che sola,tra le altre regioni ad aver riconosciuto la dieta
mediterranea e a tutelarla per via legislativa e a farne un modello di sviluppo. In Campania c'è un museo, a
Pioppi, dedicato alla dieta mediterranea.
Si muore di cancro, di malattie cardiovascolari, di malattie neurovegetative, patologie che vedremo molto
più spesso dato che abbiamo aggiunto anni alla vita e vedremo attorno a noi molte più persone con
patologie neurodegenerative e dementi che consumano le famiglie. La dieta mediterranea potrebbe essere
per voi un'opportunità per tamponare altri danni che purtroppo non dipendono sempre da noi.
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