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Il Sole 24 Ore - UNITELNews24 Le Newsletter de Il Sole 24 ORE Percorsi di informazione ed approfondimento per professionisti, aziende e Pubblica Amministrazione Servizio di informazione ed approfondimento in tema di ambiente, appalti, edilizia, urbanistica e sicurezza Chiuso in redazione il 2 marzo 2009 © 2009 Il Sole 24 ORE S.p.a. I testi e l’elaborazione dei testi, anche se curati con scrupolosa attenzione, non possono comportare specifiche responsabilità per involontari errori e inesattezze Sede legale e Amministrazione: via Monte Rosa, 91 – 20149 Milano a cura della Redazione Elettronica Edilizia, Ambiente e PA de Il Sole 24 ORE Tel. 06 3022.52.96 e-mail: [email protected] www.professionisti24.com 19

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n. 19 – 2 marzo 2009

Sommario Pagina

NEWS Ambiente, appalti, economia e finanza, edilizia e urbanistica, energia, fisco, lavoro e previdenza, mercato, Pubblica Amministrazione, rifiuti, sicurezza 4

RASSEGNA DI NORMATIVA Leggi, decreti, circolari: sintesi e classificazione 24

RASSEGNA DI NORMATIVA REGIONALE 32

DURC LE NOVITÀ IN MATERIA DI DURC Con l’avvio del 2009 continuano gli assestamenti della disciplina del DURC con interventi normativi, precisazioni interpretative e introduzioni di nuovi adempimenti. Teniamo presente che sul Documento unico di regolarità contributiva vigono ormai due discipline parallele, in gran parte coincidenti, ma con particolarità distinte: il rilascio del DURC per la partecipazione ad appalti e lavori privati da un lato; il possesso del DURC per la fruizione dei benefici e incentivi dall’altro (cosiddetto DURC interno)

Pietro Gremigni, Il Consulente Immobiliare, Il Sole 24Ore, n. 833/2009 37

Energie rinnovabile PROGETTAZIONE, LA TECNOLOGIA SUPERA GLI OBBLIGHI DI LEGGE: NESSUN OSTACOLO PER I

TECNICI Un’analisi della fattibilità per i progettisti dei principali obblighi stabiliti dalla legge per il nuovo. I requisiti normativi risultano poco stringenti per i tecnici. Il nodo della disomogeneità del quadro normativo tra interventi nazionali e regionali

Dario Bellatreccia, Edilizia e Territorio, Il Sole 24 Ore, 2 marzo 2009, n. 8 39

Antincendio e prevenzione incendi PRODOTTI ED ELEMENTI EDILI: I CHIARIMENTI DEL MINISTERO DELL’INTERNO SULLA RESISTENZA

AL FUOCO A circa un anno dall'entrata in vigore del decreto del Ministero dell'Interno 16 febbraio 2007, concernente la classificazione di resistenza al fuoco dei prodotti e degli elementi costruttivi di opere da costruzione, lo stesso Dicastero ha emesso la lett. circolare 24.10.2008, n. 11635, per fornire alcuni importanti chiarimenti. Nello specifico, il Ministero, con il provvedimento ha voluto rispondere ai numerosi quesiti inerenti a quali debbano essere gli atti necessari per poter utilizzare i rapporti di classificazione emessi dai laboratori di altri Stati della Comunità europea o dagli Stati contraenti l'accordo SEE e la Turchia

Arturo Bianco, Pubblico Impiego, Il Sole 24Ore, febbraio 2009, n. 2 43

Sicurezza ed igiene del lavoro MILLEPROROGHE E SICUREZZA SUL LAVORO: STRESS E DATA CERTA AL 16 MAGGIO 2009 Tra le varie proroghe di cui al Dl 30 dicembre 2008, n. 207, convertito nella legge n. 14 del 27 febbraio 2009 (S.O. n. 28 alla Gazzetta Ufficiale n. 49 del 28 febbraio 2009), ne individuiamo alcune, anche di rilevante importanza, riguardanti la materia della sicurezza nei luoghi di lavoro disciplinata dal Dlgs n. 81/2008

Luigi Caiazza, Guida al lavoro, Il Sole 24 Ore, 13 marzo 2009, n. 11 45

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Rassegna di giurisprudenza AMBIENTE, APPALTI, BENI CULTURALI, EDILIZIA E URBANISTICA, ENERGIA, INQUINAMENTO, PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO, PUBBLICA AMMINISTRAZIONE, RIFIUTI, SICUREZZA ED IGIENE

DEL LAVORO, VALUTAZIONE DI IMPATTO AMBIENTALE 49

Responsabilità della PA BUCHE STRADALI: COMUNI RESPONSABILI DEGLI INCIDENTI ANCHE SE LA MANUTENZIONE È

APPALTATA ALL’ESTERNO

La Corte di cassazione affronta di nuovo il problema degli incidenti causati dalle buche e dalle strade urbane dissestate stabilendo una responsabilità dell’Ente anche se i lavori periodici sono stati affidati a ditte esterne

Federico Gavioli, Guida agli Enti Locali, Il Sole 24Ore, 7 marzo 2009, n. 10 64

Danno erariale DANNO ERARIALE DA REATO PENALE: SUL “QUANTUM” DECIDE IL GIUDICE CONTABILE La sezione lombarda della Corte dei conti, ridisegnando, alla luce del nuovo art. 538 c.p.p., il rapporto tra giurisdizione penale e contabile sul danno da reato, afferma che il giudice penale, in ipotesi di costituzione di parte civile della PA, non possa andare oltre una mera sentenza di condanna generica dell'imputato al risarcimento del danno

Aurelio Laino, Diritto e Pratica Amministrativa, Il Sole 24 Ore, 1° marzo 2009, n. 3 67

Appalti APPALTI: QUANDO L’UTILE DICHIARATO PUÒ DIRSI INCONGRUO? Secondo i giudici di Palazzo Spada, il margine di utile dichiarato in una gara d'appalto è in realtà un elemento neutro poiché esso, ove esiguo, costituisce soltanto l'indice sintomatico della necessità di verificare se nel suo insieme l'offerta possa dirsi congrua e affidabile, vale a dire tale da garantire la corretta esecuzione dell'opera Appalti: quando l'utile dichiarato può dirsi incongruo?

Giancarlo Tanzarella, Diritto e Pratica Amministrativa, Il Sole 24 Ore, 1° marzo 2009, n. 3 71

Sicurezza ed igiene del lavoro IL DIRETTORE DI STABILIMENTO RESPONSABILE DELLA SICUREZZA La veste di dirigente non comporta necessariamente poteri di spesa e fonda autonomamente la veste di garante per la sicurezza nell’ambito della sfera di responsabilità gestionale attribuita allo stesso dirigente.

Gabriele Taddia, Ambiente&Sicurezza, Il Sole 24Ore, 24 marzo 2009, n. 6 75

L’ESPERTO RISPONDE In questa edizione gli esperti de Il Sole 24 ORE rispondono a quesiti in materia di appalti, edilizia e urbanistica, energia, pubblico impiego, rifiuti, sicurezza ed igiene del lavoro 77

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Appalti

La Sardegna svecchia il prezzario del 2000. Con la nuova sezione relativa alla sicurezza è stato completato il prezzario per le opere pubbliche della Regione Sardegna. Opere marittime, restauro, ponti e viadotti sono, insieme alla sicurezza, alcune delle novità di un prezzario che ha visto la luce in poco più di un anno attraverso quattro grossi aggiornamenti al vecchio listino, le cui ultime importanti modifiche risalivano addirittura al 1999-2000. Un documento che accontenta pienamente le richieste degli imprenditori, con prezzi allineati a quelli di mercato, e liberamente consultabile attraverso il sito Internet della Regione. «Siamo soddisfatti del risultato ottenuto ma anche del metodo utilizzato – spiega Maurizio De Pascale, presidente dell’Ance Sardegna – con la quarta parte si è completata in maniera complessiva e organica quello che sarà un buon elemento per tutti i progettisti ». Quello approvato dalla Regione è l’ultimo di quattro aggiornamenti che prima della sicurezza si erano occupati di tutti gli altri aspetti del settore, con oltre 5.900 prezzi unitari che vanno dai materiali alla forza lavoro, fino all’introduzione di nuovi elementi riguardanti soprattutto le opere marine e i restauri. Un lavoro condotto dagli uffici regionali grazie al determinante contributo delle associazioni del settore, che hanno contribuito all’elaborazione. Il documento si divide in tre sezioni: costi elementari, semilavorati e voci finite. Rispetto al vecchio prezzario sono stati introdotti diversi elementi che ormai sono di uso comune e che nel 1999 non erano presenti, come quelli legati alla tecnologia. Nel precedente listino non c’erano nemmeno ponti, viadotti, sistemi di precompressione e interi capitoli sulle opere marittime, sul restauro e quello importante che si occupa della sicurezza. «Sotto questo punto di vista il prezzario è totalmente cambiato rispetto al vecchio – continua De Pascale – soprattutto per quanto riguarda la sicurezza, che vogliamo faccia parte integrante dei progetti futuri". La riscrittura era cominciata nel dicembre del 2007 con un aggiornamento parziale sulle prime 1.500 voci riguardanti otto categorie. I successivi passaggi sono arrivati nell’aprile e nel luglio del 2008. Nel febbraio 2009, infine, l’ultimo capito riguardante la sicurezza e la definitiva approvazione del nuovo documento. Fin dai primi aggiornamenti il prezzario è stato disponibile via Internet, liberamente consultabile o scaricabile dal sito della Regione Sardegna. «È una piattaforma informatica efficiente e facilmente navigabile – dice Flavio Sechi, direttore dell’Ance nel nord Sardegna – questo è un grande risultato che semplifica e agevola il lavoro dei progettisti e delle imprese». La rilevazione dei prezzi elementari dei materiali è stata condotta su base statistica e calcolando, poi, il valore medio tra i prezzi di listino rilevati nel corso di specifiche indagini di mercato. Il compito che attende adesso la Regione, in collaborazione con le associazioni di categoria, è quello di continuare ogni anno le rilevazioni e le indagini, per aggiornare periodicamente il prezzario in base ai valori di mercato. (Fabio Pireddu, Edilizia e Territorio, Il Sole 24Ore, 2 - 7 marzo 2009, n. 8, p. 12)

Appalti di lavori, a gennaio 1.905 bandi. A gennaio 2009 l’Osservatorio Cresme-Il Sole 24 ORE ha rilevato 1.905 bandi di gara per appalti di lavori pubblici per un valore dei lavori messi in appalto di 2,612 miliardi di euro. Rispetto al mese di gennaio del 2008, quando i bandi erano stati 2.015 per un valore di 1,927 miliardi, il confronto è positivo del +35,5% per l’importo in gara mentre il numero dei bandi è diminuito del 5,5%. Segnaliamo anche che i valori di gennaio 2007 erano stati di 2.637 bandi per un importo di 2,641 miliardi di euro e quelli di gennaio 2006 di 2.591 gare per un importo di ben 4,398 miliardi di euro. Nel 2009 sembra quindi proseguire la tendenza alla diminuzione del numero delle gare cui fa però riscontro un buon aumento del valore delle opere messe in appalto. (Consulente Immobiliare, Il Sole 24Ore, n. 833, p. 400)

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Appalti di progettazione, 276 nuove gare nel mese di gennaio. L’Osservatorio mensile dell’OICE, l’associazione di categoria delle società di ingegneria, ha registrato in gennaio 276 nuove gare per affidare progettazione e servizi di ingegneria, per un importo dei progetti in gara pari a 56,3 milioni di euro. Il valore medio di ogni appalto è stato di euro 204.085; 37 bandi superano la soglia di valore per la pubblicazione comunitaria e valgono complessivamente 46,3 (l’82,2% del totale dell’importo dei progetti in gara). Confronto con i mesi precedenti: rispetto al mese di dicembre del 2008 in gennaio si rileva un calo dell’8,3% nel numero delle gare e del 14,8% per valore. Il valore medio delle gare è diminuito del 7,1% e il numero di bandi sopra la soglia comunitaria è diminuito del 27,5% e il loro valore del 16%. Rispetto al mese di gennaio del 2008 c’è una diminuzione del 30,7% nel numero dei bandi e del 3,5% in valore; il valore medio dei bandi è aumentato del 39,2% e il numero di quelli sopra la soglia comunitaria è diminuito del 28,8% e il loro valore è aumentato del 13,4%. Progetti grandi e piccoli: il confronto dei dati del 2009 su quelli del gennaio 2008 evidenzia il calo del 28,3% dei piccoli progetti di taglio fino a 100.000 euro. Diminuisce anche del 26% la classe di importo dai 100.000 ai 200.000 euro. Aumentano invece di numero (+10,3%) i progetti sopra i 200.000 euro; i grandi progetti assorbono circa l’81,8% di tutto il valore dei servizi messi in gara. Edilizia, strade e servizi di assistenza tecnica: i settori dove viene bandito il maggior numero di gare sono quelli di assistenza tecnica, la pianificazione e l’edilizia; per valore invece prevalgono i progetti stradali e autostradali e quelli di edilizia sanitaria. Stazioni appaltanti: gli appalti di servizi banditi dai comuni sono in diminuzione del –6,2% mentre aumentano del 19,2% gli appalti delle province e quelli delle regioni del 20%. Positivi anche gli appalti di ASL e ospedali. Regioni ed aree geografiche: il maggior numero di bandi sono stati pubblicati al sud (però –50,7% rispetto al 2007), seguito da nordovest (–22%), nordest (–1,7%), centro (–24,1%), e isole (+28,3%). Per valore prevale il sud, seguito da centro, nordest, isole e nordovest (nel sud e nel nordest i valori sono in aumento rispetto al 2008). La regione con il maggior numero di gare è la Campania con 28, seguita da Lombardia (27) e Veneto (23); per valore prevale la Campania seguita da Sardegna e Friuli Venezia Giulia. Tempi di aggiudicazione e ribassi: i dati più recenti sui tempi medi di aggiudicazione delle gare rilevano tra i 166 e i 220 giorni in media, con un progressivo miglioramento dei tempi delle gare più recenti rispetto a quelle più risalenti nel tempo. I ribassi medi delle gare aggiudicate nel 2008 sono del –32,4%, e si tratta della percentuale più elevata tra tutte quelle degli anni precedenti (che si collocano tra il –23,3% del 2003 e il –30,3% del 2007). (Consulente Immobiliare, Il Sole 24Ore, n. 833, p. 400)

Project financing, appalti integrati, appalti concorso e general contractor. Nel mese di gennaio del 2009 le amministrazioni pubbliche hanno emesso 1 avviso per sollecitare proposte dei promotori; nel dicembre 2008 erano stati 2. Le successive gare bandite dalle amministrazioni per affidare le proposte elaborate dai promotori sono state a gennaio 17, rispetto alle 16 del dicembre 2008. Le aggiudicazioni di gare per lavori con finanza di progetto sono state a gennaio 10, rispetto alle 19 di dicembre 2008. Per le concessioni di costruzione e gestione sono stati pubblicati 17 bandi rispetto ai 19 del precedente mese di dicembre. Per quanto riguarda gli appalti integrati di progettazione ed esecuzione dei lavori, a gennaio sono stati rilevati 36 bandi per un valore di 328 milioni di euro, da confrontare con i 54 del mese di dicembre con valore di 928 milioni di euro. Gli appalti concorso a gennaio non sono stati banditi, rispetto ai 7 di dicembre per 51 milioni di euro. Anche per la ricerca di general contractor nel mese di gennaio non è stato pubblicato nessun bando. Commento dell’OICE: l’associazione considera i primi dati del 2009 non positivi in quanto è continuata la fase di flessione già rilevata a dicembre. Tra i punti critici per il settore OICE continua a rilevare i ritardi nei pagamenti delle amministrazioni e le difficoltà delle banche ad accordare credito agli operatori (Consulente Immobiliare, Il Sole 24Ore, n. 833, p. 401)

In house solo a chi ha risorse sufficienti. Tar Veneto. L'affidatario deve possedere mezzi adeguati senza rivolgersi all'esterno. Il Tar Veneto, sezione I, con la sentenza 236 del 2 febbraio 2009 ha stabilito un nuovo criterio per gli enti locali per conferire direttamente proprie attività all'esterno. Infatti, nella sentenza, il Tar Veneto ha chiarito che le amministrazioni locali possano ricorrere allo svolgimento in house di un proprio servizio solo se il soggetto interno affidatario abbia

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l'effettiva possibilità, all'interno del proprio contesto organizzativo, di svolgere con le proprie risorse, umane e strumentali, il servizio oggetto dell'affidamento, o comunque una sua parte significativamente consistente. Se invece, deve rivolgersi a soggetti esterni (ed essendo un organismo di diritto pubblico deve farlo rispettando le forme dell'evidenza pubblica), risulta evidente una diseconomia per l'ente locale, non solo finanziaria (in quanto il costo dello svolgimento del servizio verrebbe aggravato dall'intermediazione dello stesso affidatario in house), ma anche sotto l'aspetto dell'efficacia e dell'economicità dell'azione amministrativa (la gestione infatti risulterebbe appesantita dall'ingresso di un soggetto che fungerebbe solo da mero tramite, senza avere altra funzione utile, che verrebbe invece svolta poi dal soggetto esterno che svolgerebbe materialmente il servizio). La sentenza è poi interessante anche perché sottolinea come gli elementi che hanno determinato l'affidamento del servizio (controllo analogo e produzione dedicata delle attività) caratterizzino il soggetto affidatario in house come un organismo di diritto pubblico, cosa che comporta per lo stesso l'obbligo di applicare le procedure del Codice dei contratti per appaltare servizi marginali che non può gestire in proprio. Insomma, il Tar Veneto non boccia tout court l'affidamento in house, ma richiede che il soggetto a cui siano affidate le attività le possa realizzare concretamente. (Alberto Barbiero, Il Sole 24 Ore - Norme e tributi Autonomie locali e Pa del 23 febbraio 2009, p. 10 - Sintesi a cura della redazione)

Consiglio di Stato. Si può richiedere che le società abbiano patrimoni superiori ai minimi. Legittima una maggiore discrezionalità giustificata con la complessità e il valore della gara. La quinta sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 525/2009 ha stabilito che è legittimo per una stazione appaltante richiedere nel bando di gara requisiti particolari circa la consistenza minima del patrimonio netto della società partecipante alla gara. Ciò, se a prima vista sembrerebbe una restringimento ingiustificato dei possibili candidati, in realtà trova la sua ragion d'essere nell'esigenza di far partecipare soggetti particolarmente qualificati ed affidabili, che sappiano garantire dunque maggior solvibilità in rapporto al valore del servizio richiesto. La vicenda è nata da una gara indetta da una stazione appaltante per un appalto pluriennale di servizi, con un significativo importo a base d'asta. La stazione, tra i requisiti richiesti, aveva segnalato il possesso di un patrimonio netto non inferiore alla misura espressamente riportata. Il bando precisava, inoltre, la percentuale di patrimonio netto che andava ripartita fra i vari soggetti partecipanti ad una eventuale Associazione temporanea di imprese. In primo grado, il Tar aveva bocciato tale richiesta come "irragionevole", mentre il Consiglio di Stato l'ha giustificata, sentenziando appunto che in alcuni casi sia ammissibile una certa discrezionalità della stazione appaltante nello stabilire criteri più stringenti rispetto a quelli minimi previsti per legge. Se per un verso, in apparenza, la stazione riduce il bacino dei possibili gareggianti, violando così la par condicio, nella realtà favorisce la partecipazione di soggetti che vantano una qualificazione tecnica e finanziaria particolarmente stringente. Pertanto, la richiesta inserita nella lex specialis non è apparsa al Consiglio di Stato né manifestamente irragionevole, né arbitraria o sproporzionata, tenuto conto del rilevante valore a base d'asta per un appalto di servizi di durata pluriennale. Tra l'altro, ha puntualizzato il Collegio, la stessa facoltà delle imprese di riunirsi in Associazione temporanea, avvalendosi pertanto di requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico e organizzativo di altro soggetto, non consente ulteriormente di ritenere la clausola impugnata un'iniziativa volta illegittimamente ad orientare l'esito della procedura di gara. (Raffaele Cusmai, Il Sole 24 Ore - Norme e Tributi / Autonomie Locali e Pa del 23 febbraio 2009, p. 10 – Sintesi a cura della redazione)

Il collaudo dei lavori pubblici dopo il III correttivo. Il d. lgs n. 152/2008 (III correttivo al Codice dei Contratti pubblici) modifica l’art. 120 “Collaudo”, introducendo delle importanti novità al comma 2-bis , ovvero l’obbligo in via prioritaria, per le stazioni appaltanti, di conferire l’incarico di collaudo ovvero di presidente o componente della commissione collaudatrice o di verifica di conformità al loro interno, tra dipendenti propri o in mancanza dei requisiti, tra dipendenti di altre amministrazioni aggiudicatrici, (in tal caso al dipendente incaricato del collaudo spetta, quale compenso dell’attività svolta, l’incentivo ai sensi dell’art. 92.5 del Codice), sempre e comunque con elevata e specifica qualificazione in riferimento all’oggetto del contratto, alla complessità e

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all’importo delle prestazioni, sulla base di criteri da fissare preventivamente, nel rispetto dei principi di rotazione e di trasparenza, con un provvedimento che motiva la scelta (l’incarico di collaudo infatti, secondo la Commissione europea, rientra nell’elenco di servizi dell’allegato IIA della direttiva 2004/18, nella cat. 12 comprendente i servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria.) A tal proposito si era espressa l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori servizi e forniture, già in passato con delibera n. 82/2007 ed i pareri n. 65 e 102 del 2008, ribadendo che il collaudo di lavori pubblici rientra tra i servizi soggetti alla disciplina del codice. Con determinazione n. 2 del 25 febbraio 2009, l’Autorità precisa che è ammesso il ricorso a professionisti esterni, nel rispetto dei principi e della normativa comunitaria, solo in caso di carenza di personale idoneo alla prestazione, accertata dal responsabile del procedimento. Pertanto, l’art. 91 del Codice “Procedure di affidamento” regola l’affidamento esterno nel caso di collaudo di lavori in concordia con l’art. 187 e successivi al Titolo XII del Regolamento, il D.P.R. 554/99 e l’art. 141 del Codice. L’Autorità fa poi una lunga considerazione in merito alla natura del collaudo all’interno del processo amministrativo relativo alla esecuzione di un’opera pubblica, fornendo utili indicazioni in merito. Esso costituisce il momento conclusivo dell’iter realizzativo di un’opera pubblica mediante il quale l’amministrazione accerta la conformità della stessa alle pattuizioni contrattuali e alle regole dell’arte. L’attività di collaudo consta di atti di diversa natura e di 3 momenti decisivi: - la verifica dell’opera, in contraddittorio con l’appaltatore; - l’emissione del certificato di collaudo; - l’approvazione del collaudo da parte della amministrazione. Le operazioni peritali ai fini dell’espletamento dell’incarico di collaudo sono molteplici e i risultati e le considerazioni in merito confluiscono in una relazione particolareggiata (la relazione riservata del collaudatore) che viene sottoposta all’attenzione del responsabile del procedimento. Altro è invece il certificato di collaudo quale atto conclusivo dell’appalto. Ricordiamo a tal proposito che in passato era contemplato l’affidamento esterno su base fiduciaria a dipendenti interni dell’amministrazione aggiudicatrice, a dipendenti pubblici o professionisti esterni, soppresso a seguito di procedura di infrazione C412-04 e che con la legge comunitaria 2004 sono stati abrogati anche gli elenchi dei collaudatori presso il Ministero dei lavori pubblici e le Regioni, previsti dall’art. 188 del R.A., nell’ambito dei quali le stazioni appaltanti potevano attingere per individuare i professionisti cui affidare direttamente l’incarico. Non è già da tempo così e il III correttivo al Codice chiarisce e definisce ancor più la questione. Il Codice, così corretto, infine, consente l’affidamento in economia dell’incarico di collaudo qualora la stazione appaltante abbia indicato tale attività nel proprio regolamento interno, ai sensi dell’art. 125 del Codice. (Ing. Ilde Garritano consulente dello Studio Rusconi Partners, www.professionisti24.ilsole24ore.com)

Il DURC si applica a prescindere dal tipo di contratto e dal suo importo. Il Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali risponde ad un interpello dell’Università degli Studi di Sassari in merito all’obbligo di presentazione del DURC da parte di fornitori di beni, servizi e lavori in economia e qualora si tratti di contratti sotto soglia comunitaria ai sensi dell’art. 124 del Codice dei Contratti. Come noto il Titolo II del Codice disciplina i contratti pubblici di lavori servizi e forniture di importo inferiore alla soglia comunitaria, ora determinata al netto dell’Iva in euro 5.150.000= per lavori e 206.000 per forniture e servizi. Nel caso specifico il riferimento è all’art. 124 che disciplina gli appalti di servizi e forniture sotto soglia e all’art. 125 che regola i lavori, servizi e forniture in economia. Acquisito il parere della Direzione Generale per le Politiche Previdenziali e dell’INAIL, il Ministero ha chiarito che sono oggetto della disciplina del Codice le forniture ed all’interno di queste sia quelle che attengono a prestazioni periodiche e continuative sia quelle che si concretizzano nella acquisizione di beni. Inoltre, l’art. 125 del Codice che disciplina le acquisizioni in economia, quali contratti sotto soglia comunitaria, (i lavori in economia infatti, sono ammessi per importi non superiori a 200.000 euro, le forniture e i servizi in economia sono ammessi per importi inferiori a 137.000 euro per le amministrazioni aggiudicatrici di cui all’art. 28.1 lettera a) del Codice e per importi al di sotto dei 206.000 euro per le stazioni appaltanti di cui all’art. 28.1 lettera b) dello stesso Codice ) non contiene alcuna deroga all’art. 38 dello stesso Codice, che stabilisce che ai fini degli accertamenti relativi alle cause di esclusione … resta l’obbligo

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per l’affidatario di presentare la certificazione di regolarità contributiva …Resta pertanto ben inteso che l’importo del contratto è irrilevante ai fini della verifica dei requisiti di regolarità contributiva, consentendo solo di adottare procedure di scelta del contraente semplificate rispetto al caso di importi notevoli. Il DURC, afferma il Ministero, ha l’obiettivo di garantire trasparenza negli affidamenti e di verificare che le imprese che operano nel settore pubblico rispettino la normativa in fatto di previdenza, a prescindere dall’importo del contratto e dalla procedura di selezione del contraente adottata e per ogni tipo di contratto pubblico. Di conseguenza, il Durc trova applicazione anche nel caso specifico di acquisti in economia o di modesta entità e per acquisizioni mediante procedura di cottimo fiduciario (procedura negoziata in cui le acquisizioni avvengono mediante affidamento a terzi), con la sola esclusione degli interventi in amministrazione diretta. (Ing. Ilde Garritano, consulente dello Studio Rusconi Partners, www.professionisti24.ilsole24ore.com)

La determinazione dei criteri di valutazione da parte della Commissione di gara. Il Consiglio di Stato con la sentenza 25 febbraio 2009 n. 1134 torna a chiarire i compiti della Commissione di gara in una procedura ad evidenza pubblica. In particolare, i giudici amministrativi si sono pronunciati sulla necessità o meno da parte di una Commissione di gara di specificare i criteri da seguire per la valutazione delle offerte. Le conclusioni a cui perviene il collegio però prescindono da ogni valutazione soggettiva circa la necessità o meno di integrare i criteri di valutazione indicati nel bando di gara, ma si basano, invece, sulle dichiarazioni svolte dalla stessa Commissione in seduta pubblica prima dell’apertura delle offerte. Queste le conclusioni dei giudici di Palazzo Spada: “a prescindere, dunque, dalle soggettive valutazioni circa la necessità, o meno, di un intervento integrativo della commissione per predeterminare o specificare i criteri da seguire in sede di valutazione delle offerte, è certo che dai verbali risulta che la commissione di gara ritenne, e peraltro in modo del tutto ragionevole, di operare siffatta specificazione dei più generali criteri indicati nell’avviso di gara. Nondimeno, è inconfutabile che tali sottocriteri non furono esplicitati nei verbali, nell’ambito delle operazioni che avrebbero dovuto essere svolte prima dell’apertura delle buste pervenute; il che è come dire, in diritto, che detti sottocriteri non siano mai stati deliberati, nonostante la loro ritenuta opportunità”. In sostanza, precisa il Consiglio di Stato, è illegittimo l’operato di un Commissione di Gara che prima dichiari di volere specificare e precisare i criteri di valutazione delle offerte e che poi, invece, ometta tale adempimento. Secondo i giudici amministrativi, questa pronuncia è un ulteriore applicazione del principio giurisprudenziale secondo il quale “nel procedimento di aggiudicazione di un pubblico appalto la commissione di gara può introdurre elementi di specificazione ed integrazione dei criteri generali di valutazione delle offerte indicati nel bando di gara o nella lettera d’invito, ovvero sottocriteri di adattamento dei criteri generali o regole specifiche sulle modalità di valutazione, solo quando vi provveda prima dell’apertura delle buste recanti le offerte dei partecipanti” (tra le molte, Consiglio di Stato, Sez. V – sentenza 8 marzo 2005 n. 937). Va precisato, inoltre, come con il D.lgs. 11 settembre 2008 n. 152 (c.d. terzo decreto correttivo) sia stato soppresso il terzo periodo del comma 4 dell’art. 83 del codice, nella parte in cui stabiliva “La commissione giudicatrice, prima dell'apertura delle buste contenenti le offerte, fissa in via generale i criteri motivazionali cui si atterrà per attribuire a ciascun criterio e subcriterio di valutazione il punteggio tra il minimo e il massimo prestabiliti dal bando”. (Avv. Michele Lombardo, Studio Legale Rusconi Partners, www.professionisti24.ilsole24ore.com)

Cause di esclusione dalla gara. Il ‘falso innocuo’ nelle autodichiarazioni. Con la pronuncia 13 febbraio 2009 n. 829, il Consiglio di Stato conferma l’introduzione della categoria penalistica del falso innocuo nelle procedure ad evidenza pubblica. Questo significa che l’eventuale falsa dichiarazione del concorrente non comporta in modo automatico la sua esclusione. Nel caso di cui in sentenza, il disciplinare di gara onerava le imprese partecipanti ad allegare all’istanza di ammissione una dichiarazione attestante l’assenza delle cause di esclusione di cui alla lett. c) dell’articolo 75.1 D.P.R. n. 554/1999, anche nei confronti di soggetti cessati dalla carica nel triennio antecedente la data di pubblicazione del bando. Come noto, la disposizione è ora ripresa dall’art. 38.1 lett. c) del codice dei contratti. La stazione appaltante ammetteva alla gara un concorrente che, nella specie, aveva reso delle dichiarazioni non veritiere, in quanto aveva precisato nella propria offerta che non vi erano soggetti cessati dalla carica nel triennio antecedente la data di

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pubblicazione del bando, mentre dalle attestazioni SOA allegate alla domanda di partecipazione si evinceva chiaramente che alcuni direttori tecnici erano cessati dall’incarico nel triennio in questione. Questi ultimi peraltro non avevano subito alcuna condanna o patteggiamento. Il giudice amministrativo ha ritenuto legittima l’ammissione specificando sul punto come la disciplina di gara vada interpretata, in coerenza con la normativa regolamentare, nel senso di non attribuire rilievo ad omissioni e difformità non incidenti su requisiti e condizioni rilevanti per la partecipazione. Dalla formulazione dell’art. 75.1 lett. c) D.lgs. 554/99 (ora art. 38.1 lett. c) si ricava che non possa essere pronunciata un’esclusione basata unicamente su una dichiarazione non veritiera, dovendo necessariamente concorrere l’ulteriore presupposto dell’esistenza di una sentenza di condanna o di patteggiamento per reati incidenti sull’affidabilità morale e professionale dell’impresa. In altri termini, ciò che rileva ai fini degli accertamenti sulla esistenza delle cause di esclusione non è la semplice circostanza che nel triennio antecedente la data di pubblicazione del bando alcune persone siano cessate dalla carica rivestita all’interno della compagine sociale, senza che per loro sia stata prodotta la realtiva dichiarazione, quanto piuttosto che non abbiano riportato condanne penali oppure, in caso contrario che l’impresa abbia assunto idonee iniziative per dissociarsi dalle condotte sanzionate penalmente. Questo il principio di diritto affermato dal Consiglio di Stato: la dichiarazione non rispondente al vero caratterizzata dal c.d. falso innocuo, privo di qualsivoglia offensività rispetto agli interessi presidiati dalle regole che governano la procedura di evidenza pubblica, non è stigmatizzabile con la sanzione dell’esclusione. (Dr.ssa Marianna Garritano – consulente esterno studio legale Rusconi Partners, www.professionisti24.ilsole24ore.com)

Associazioni e categorie

Dai segretari nuova istanza per rivedere gli stipendi. L'Unione nazionale dei segretari degli enti locali torna sulla costruzione degli stipendi dei segretari e su un'applicazione del "galleggiamento", ossia l'istituto che alza lo stipendio del segretario sopra quello del dirigente più alto, che prescinda dalle eventuali maggiorazioni di posizione legate a funzioni aggiuntive. In una lettera all'Aran e al ministero dell'Economia, l'unione dei segretari chiede un'interpretazione autentica dell'articolo 41 del contratto nazionale del 16 maggio 2001, proponendo una lettura opposta a quella fornita dall'Aran il 3 agosto 2003 e dal ministero dell'Economia il 3 settembre 2008. Secondo il ministero, il galleggiamento deve intervenire per ultimo nella costruzione dello stipendio, solo quando le eventuali maggiorazioni della retribuzione decentrata non sono sufficienti a far sì che la busta paga dei segretari sia superiore a quella del primo dirigente. Secondo i segretari, invece, questa lettura unisce due elementi che devono rimanere separati, perché il galleggiamento fa parte della retribuzione "fondamentale" del segretario, prevista dal contratto nazionale e legata alle sue funzioni istituzionali, mentre le maggiorazioni decentrate sono eventuali e servono a remunerare compiti aggiuntivi eventualmente attribuiti dall'ente. Secondo i segretari, poi, non si può neanche obiettare che ciò comporti maggiori costi, perché la retribuzione decentrata è ancorata dal contratto alla presenza di risorse di esponibili nell'ente. La maggiorazione, sottolinea la lettera dell'Unione dei segretari, va applicata in percentuale sulla retribuzione di posizione in godimento, di cui il galleggiamento fa parte. (Gianni Trovati, Il Sole 24 Ore - Norme e tributi Autonomie locali e Pa del 2 marzo, p. 13 – Sintesi a cura della redazione)

Aria

Allarme smog in sei città italiane per le polveri sottili. Le più colpite dall’inquinamento nei primi due mesi del 2009 sono Torino e Frosinone, seguite da Brescia, Sondrio, Alessandria e Milano. Aria pulita invece a Salerno che, insieme a Potenza, è il Comune che non ha mai sforato i limiti di legge riguardo le Pm10. Altra aria invece a Torino e Frosinone che, nonostante la pioggia battente di questo inizio d’anno, hanno oltrepassato il limite massimo di livelli di polveri sottili per ben 41 giorni, ben oltre quindi i 35 giorni considerati dalla normativa attuale come limite annuale

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consentito per salvaguardare la salute dei cittadini. Sono 38, invece, i giorni con troppo smog registrati a Brescia, Sondrio e Alessandria. Aria sporca a Milano per ben 35 giorni da gennaio a quasi fine febbraio. I dati aggiornati sull’inquinamento atmosferico di 77 città italiane arrivano dall’edizione 2009 della campagna «Treno Verde» di Legambiente e Ferrovie dello Stato. Secondo il dossier «Mal’aria», realizzato su dati di Arpa, Regioni, Province e Comuni, le città di Lodi e Asti hanno superato i limiti di Pm10 per 33 giorni, mentre Lucca per 31 e Napoli per 30. Troppo smog anche a Firenze per 27 giorni, Venezia (25), Verona (22), Bologna (20). Aria inquinata, tra le altre città, a Roma per 17 giorni, ad Avellino (11) e a Palermo (9). Pochi i giorni con troppe Pm10 nell’aria, invece, a Caserta (4), Siena (4), Trieste (3) e Livorno (3). (Guida agli Enti Locali, Il Sole 24Ore, 7 marzo 2009, n. 10)

Economia, finanza, fisco, agevolazioni e incentivi

Finanza pubblica. Le contromisure alle nuove regole. Le alienazioni aiutano il Patto se non finanziano investimenti. Con l'articolo 77 bis, comma 8, della legge 133/2008 come modificato dalla Finanziaria 2009, si sono inasprite le regole riguardo le spese correnti e il rispetto del Patto di stabilità interno. Ma viene anche accettato che il plusvalore delle alienazioni di beni patrimoniali, immobili inclusi, può essere conteggiato nei saldi utili per il rispetto del Patto se destinato al finanziamento di uscite aventi carattere non ripetitivo, connesse alle finalità che guidano l'utilizzo dell'avanzo di amministrazione. La norma, infatti, stabilisce che le risorse derivanti da cessioni di azioni o di quote di società di servizi pubblici locali e la vendita di immobili non possono conteggiarsi nella base assunta a riferimento nel 2007 per l'individuazione di obiettivi e saldi utili per il Patto, se tali risorse sono destinate a investimenti o a ridurre il debito. Ma tali proventi possono però essere inclusi fra le entrate rilevanti per gli obiettivi di finanza pubblica se destinati a spesa in conto capitale diversa dagli investimenti. E' stata la Finanziaria 2004 a stabilire un elenco puntuale di ciò che deve essere considerato investimenti: l'acquisto, la costruzione, la ristrutturazione e la manutenzione straordinaria di beni immobili; la costruzione, demolizione, recupero e manutenzione straordinaria di opere e impianti; l'acquisto di beni immobili ad utilizzo pluriennale; gli oneri per beni immateriali a utilizzo pluriennale; l'acquisizione di aree e servitù onerose; le partecipazioni azionarie e i conferimenti di capitale; i trasferimenti in conto capitale ad altra Pa; i trasferimenti in conto capitale a soggetti operanti nei servizi pubblici dove sia prevista alla scadenza la retrocessione degli investimenti agli enti committenti; gli interventi di recupero e valorizzazione del territorio. Non sono considerati investimenti, invece, anche se compresi nella spesa in conto capitale, i conferimenti per la ricapitalizzazione di aziende o società finalizzata al ripiano di perdite; i trasferimenti a soggetti diversi dalla Pa. C'è da notare che la locuzione usata nella norma lascia la possibilità agli enti locali, anche in mancanza di una finalizzazione delle somme, di conteggiarle nei saldi utili per il Patto. Quindi se l'amministrazione non destina i proventi ad alcuna spesa (facendoli quindi confluire nel risultato di amministrazione) può in ogni caso utilizzarli per il miglioramento del saldo finanziario. In questo caso, però, occorre chiarire se la destinazione di queste somme deve essere intesa in riferimento al loro impegno (criterio di competenza) o al loro pagamento (criterio di cassa, in quanto spesa afferente il secondo titolo di bilancio). Alla luce di una corretta analisi dei principi contabili degli enti locali, sembrerebbe ipotizzabile la prima soluzione, secondo la quale si ha destinazione della somma quando matura l'obbligazione giuridica. (Anna Guiducci, Il Sole 24 Ore - Norme e Tributi / Autonomie Locali e Pa del 2 marzo 2009, p. 13 - Sintesi a cura della redazione)

Finanza pubblica. "Premio" di difficile applicazione. L'articolo 2 ter della legge 2/2009 stabilisce un periodo transitorio per i Comuni (e non per gli altri enti) che hanno rispettato il Patto di stabilità nel trienni precedente e hanno destinato somme per investimenti infrastrutturali o per il pagamento di spese in conto capitale, se finanziate con economie derivate dalla riduzione di oneri finanziari. Ma tale norma pone alcuni dubbi applicativi. La lettera a) del comma 1 dell'articolo 2 ter, infatti, chiarisce che deve trattarsi di risparmi derivati dalla riduzione dei tassi di interesse dei mutui, oppure derivati dalla rinegoziazione di tali mutui. In più tali risparmi possono essere

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utilizzati per alleggerire il Patto solo se non sono già stati inseriti nel bilancio di previsione. E qui si accentra l'inapplicabilità di tale norma. Infatti, la possibilità è limitata solo ai pagamenti di investimenti per impegni già assunti (quindi precedenti al 2009). Ma è inverosimile che questi impegni possano essere stati decisi con finanziamenti di cui non si sia tenuto conto in fase di programmazione finanziaria. Infatti, in base agli articolo 183, comma 5, e 199 del Dlgs 267/2000 l'assunzione dell'impegno di spesa per investimenti va preceduta dall'accertamento, giuridico e contabile, della fonte di finanziamento, che pertanto deve essere prevista nel bilancio di previsione, appunto. Mal si comprende, inoltre, il motivo per il quale non possa beneficiarsi anche dei minori oneri finanziari derivanti dalla riduzione dei tassi di interesse (variabile) sulle obbligazioni oltre che sui mutui. E perché prendere in considerazione solo la rinegoziazione e non anche l'estinzione anticipata di tali mutui? Solo il decreto del ministero dell'Economia, da emanarsi entro trenta giorni dall'entrata in vigore della legge, potrà chiarire i dubbi e offrire elementi di valutazione sull'efficacia delle disposizioni. (Anna Guiducci, Il Sole 24 Ore - Norme e Tributi / Autonomie locali e Pa del 23 febbraio 2009, p. 11 - Sintesi a cura della redazione)

Ici. La pertinenza esclude l'edificabilità. La Ctr Piemonte, con la sentenza 31/2008, ha chiarito che l'asservimento all'immobile principale di un terreno esclude che quest'ultimo sconti autonomamente l'Ici come area edificabile. Il caso è nato da un contribuente che in primo grado si era visto riconoscere uno sconto su un parco, legato all'abitazione principale, il quale però continuava ad essere considerato edificabile. I giudici torinesi hanno invece riconosciuto la natura pertinenziale di tale terreno legato all'abitazione principale. La Ctr ha ritenuto sufficienti le spiegazioni fornite dal contribuente ed ha considerato la zona in questione pertinenziale, così come previsto dall'articolo 817 del Codice Civile. L'effetto attrattivo che "discende dal vincolo di asservimento della zona rende ininfluente l'altra destinazione in quanto quest'ultima attiene a fini estranei al rapporto con la cosa principale considerata dalla norma tributaria". (G.Pi., Il Sole 24 Ore - Norme e Tributi / Fisco e Sentenze del 2 marzo 2009, p. 4 - Sintesi a cura della redazione)

La stretta sui rurali dà incassi ridotti. Il direttore dell'Agenzia del Territorio, Gabriella Alemanno, in audizione alla Commissione bicamerale di vigilanza sull'Anagrafe tributaria ha comunicato che la stretta sui fabbricati rurali e sugli immobili a destinazione speciale avviata nel 2006 non ha dato i risultati economici prospettati. Gli incassi maggiori possono arrivare dal milione e mezzo di "case fantasma", ossia quegli immobili che non risultano in Catasto, ma che invece risultano dalle foto aeree effettuate da Agea. Dall'audizione arriva quindi la conferma dell'eccesso di ottimismo nelle promessa fatta nel 2006 ai Comuni di ottenere 2,1 miliardi di Ici in tre anni dai fabbricati rurali e dagli immobili speciali (che ha comportato di conseguenza un equivalente taglio dei trasferimenti erariali). L'Agenzia ha operato a tutto campo, e tra i rurali che hanno perso i requisiti ha trovato 800mila unità immobiliari. Ma da questo si sono ricavati solo 54 milioni di nuova base imponibile; ben poca cosa, anche perché l'addio alla ruralità non è poi così automatica e il Territorio è chiamato a "ulteriori verifiche". Nelle stazioni e negli aeroporti, invece, sono emersi 27mila esercizi commerciali che equivalgono a una maggiore base imponibile per 127 milioni. In tutto 181 milioni di nuova rendita catastale (e quindi una cifra ancora più modesta di Ici) e un buco di quasi 2 miliardi di trasferimenti in tre anni. Come detto, le grandi cifre vanno recuperate grazie alle fotografie aeree che mostrano 1,5 milioni di immobili imponibili sconosciuti al Catasto, sparsi nel 70% del territorio. Finora si sono ricavati 42 milioni di nuovo imponibile, ma l'aggiornamento degli atti è appena iniziato. La questione, però, mette in luce lo scarso impegno dei Comuni nei controlli. I sindaci hanno in questo una grande potenzialità, che va però meglio sfruttata. Qualcosa si è già smosso anche su questo fronte, come mostrano le attività del Territorio e dei Comuni sulle variazioni edilizie non presentate al Catasto o incoerenti con la situazione reale degli immobili (24mila aggiornamenti in 594 Comuni negli ultimi 10 mesi, con 48 milioni di nuovo imponibile) e l'aggiornamento delle valutazioni nelle microzone. (Marco Mobili, Gianni Trovati, Il Sole 24 Ore - Norme e Tributi del 26 febbraio 2009, p. 27 - Sintesi a cura della redazione)

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Tributi. Rifiuti, passaggio alla Tia bloccato dal nodo-costi. Il Dl ambiente riapre alla tariffa ma la copertura è impraticabile. La possibilità per i Comuni resterà teorica finché non cambia il sistema. E' stata approvata in prima lettura al Senato la legge di conversione del Dl 208/2008 (Codice dell'ambiente). La legge stabilisce il blocco ancora per questo anno del regime di prelievo, ma stabilisce anche che se entro il 30 giugno 2009 non verrà approvato il regolamento attuativo del Codice, i Comuni che saranno in grado di passare dalla Tarsu alla Tia, potranno farlo. L'intenzione della legge è buona, ma purtroppo di difficile applicazione. Infatti, il riferimento al 30 giugno 2009 non significa che dal 1° luglio sarà possibile passare alla Tia. Il cambio di sistema in corso d'anno, infatti, andrebbe contro alla disposizione di legge di blocco del regime di prelievo per il 2009; inoltre, avere due tipologie di entrate in uno stesso anno contabile è praticamente ingestibile e, infine, un'eventuale modifica regolamentare adottata dopo il 30 giugno 2009 potrebbe essere materialmente attuata solo a partire dal 1° gennaio 2010. Quindi, in sostanza, la legge di conversione premette ai Comuni di passare alla Tia solo dal 1° gennaio prossimo, ma anche in questo caso si pone un problema: in base a quale normativa i Comuni dovranno approvare i regolamenti per la Tia? Il decreto Ronchi (Dlgs 22/1997) che ha istituito la Tariffa "in via sperimentale" è stato abrogato e la legge approvata in Senato non fa cenno a un nuovo regime in via sperimentale. Quindi i Comuni dovrebbero ricorrere alla propria autonomia regolamentare per applicare un regime tributario privo, allo stato attuale, di copertura legislativa. L'univo provvedimento "vigente" cui fare riferimento per la Tia resta quindi il metodo normalizzato (Dpr 158/1999). Ma questo Dpr impone la copertura integrale dei costi. Inoltre, occorrerebbe coprire anche i costi amministrativi, di accertamento, riscossione ecc. previsti dal metodo normalizzato, oggi invece non coperti dalla Tarsu. Senza considerare poi l'assenza totale di parametri applicativi certi. Basta infatti osservare l'esperienza dei circa 1200 Comuni che già hanno adottato la Tia per rendersi conto di quanto la situazione sia estremamente difforme: riguardo i termini per effettuare il recupero delle annualità pregresse gli enti li stabiliscono su un periodo che va dai due ai dieci anni. Lo stesso vale per i rimborsi. Per quanto riguarda le sanzioni, solo in alcuni casi è rispettato il parametro legale, mentre le grandi città (tra cui anche Firenze, Roma, Genova) applicano le stesse sanzioni della Tarsu e alcuni Comuni hanno introdotto maggiorazioni "civilistiche" dal 10 al 50% a titolo di risarcimento del danno. Insomma, è necessario che si uniformino le modalità di applicazione e passaggio della Tia e, quindi, è auspicabile che il ministero dell'Ambiente approvi il regolamento attuativo entro l'anno, per consentire ai Comuni di applicare, a regime, la nuova tariffa prevista dal Codice ambientale. (Giuseppe Debenedetto, Il Sole 24 Ore - Norme e Tributi / Autonomie locali e Pa del 23 febbraio 2009, p. 11 - Sintesi a cura della redazione)

Credito agevolato. Le commisioni da riconoscere alle banche. Nella Gazzetta Ufficiale del 09.03.2009, n. 56 sono stati pubblicati i decreti del Ministero dell'economia e delle finanze 2 marzo 2009 relativi alle maggiorazioni forfettarie da riconoscere alle banche per gli oneri connessi con le operazioni di credito agevolato per l'anno 2009 per i settori turistico-alberghiero, fondiario-edilizio e imprese artigiane. Le commissioni onnicomprensive da riconoscere alle banche per gli oneri connessi alle operazioni di credito agevolato risultano quindi essere: - turistico-alberghiero: 0,98% - fondiario-edilizio: 0,88% sia per i contratti condizionati stipulati nel 2009, sia per i contratti definitivi stipulati ne 2009 e relativi a contratti stipulati fino al 2008. La maggiorazione forfettaria da riconoscere alle banche per gli oneri connessi alle operazioni di credito agevolato risulta quindi essere: - imprese artigiane: 0,93% per le operazioni di durata fino a 18 mesi e 0,98% per le operazioni di durata oltre i 18 mesi. (www.professionisti24.ilsole24ore.com)

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Edilizia e urbanitica

Nel 2009 a rischio 250 mila posti di lavoro nel settore edile. Un documento condiviso per affrontare la grave crisi economica che investe il settore dell’edilizia: lo hanno proposto i sindacati di categoria Feneal-Filca-Fillea agli industriali del settore per definire un “Avviso Comune” e attivare un tavolo di confronto presso la presidenza del Consiglio dei ministri. «Dopo anni di crescita ininterrotta, anche l’edilizia», afferma una nota sindacale, «è interessata dagli effetti della crisi internazionale, che colpisce gravemente un settore già alle prese con un rallentamento fisiologico della sua crescita. La combinazione di questi due fattori produce effetti dirompenti sia in termini di riduzione dei volumi di fatturato, sia in termini di occupazione con stime di circa 250.000 occupati in meno nel corso del 2009». Secondo i sindacati di settore, è necessario agire tempestivamente per arginare l’emorragia di posti di lavoro e di capacità produttiva che si sta abbattendo sull’edilizia. «A questo fine», si legge nel comunicato, «Fenea, Filca e Fillea hanno definito unitariamente un documento basato sul rilancio degli investimenti a partire dal completamento delle opere pubbliche, sul potenziamento degli ammortizzatori sociali, sull’attivazione di tutte le risorse spendibili a livello territoriale, sulla definizione di un vero piano strutturale per affrontare il disagio abitativo che colpisce oltre 3 milioni di famiglie con il rilancio del Piano casa nazionale e un disegno organico sul tema del risparmio energetico. Obiettivo dell’Avviso Comune è anche quello di consolidare la qualità del lavoro e delle imprese, per favorire le aziende in regola con la normativa contrattuale». (a cura di Il Sole 24 ORE – Radiocor immobiliare, www.radiocor.ilsole24ore.com/)

E15: –2,2% produzione costruzioni in dicembre. In dicembre la produzione nel settore delle costruzioni è calata del 2,2% nell’eurozona dopo –1,7% in novembre; rispetto a dicembre 2007 –10,1%. Nella Ue –1,7% dopo –1,1%; rispetto a dicembre 2007 –6,7%. Nell’intero 2008 la media della produzione è calata nell’eurozona del 2,7% e nella Ue dell’1,2%. Lo rileva Eurostat. Rispetto a novembre la costruzione di palazzi nell’eurozona è calata dell’1,8% e nella Ue del 2,1% dopo –1,3% in novembre nelle due zone; ingegneria civile –2,7% e –0,6% dopo –0,7% e +0,3%. Rispetto a dicembre 2007 palazzi –10,3% e –7,7% dopo –5,5% e –3,5%; ingegneria civile –10,6% e –1,3% dopo –4,4% e +0,9%. I dati italiani sono confidenziali. (a cura di Il Sole 24 ORE – Radiocor immobiliare, www.radiocor.ilsole24ore.com/)

Edilizia.Costruttori: allarme occupazione. A rischio 130mila posti - Indagine sul primo semestre: fatturato e investimenti sono stimati in calo. La crisi dell'edilizia in Piemonte e Valle d'Aosta si fa sempre più pesante e crescono le preoccupazioni per l'occupazione del settore per la riduzione degli appalti pubblici e la situazione di stallo del mercato immobiliare. La conferma viene dall'ultima indagine congiunturale dell'Ance – condotta su un campione di circa 300 imprese associate e relativa alle prospettive per il primo semestre 2009 – che delinea uno scenario a tinte ancora più fosche rispetto a quello, già negativo, del semestre scorso. Cresce, infatti, il numero di imprese che si attendono una riduzione di fatturato nella prima metà di quest'anno, diminuiscono quelle che hanno in programma investimenti (immobiliari e non), peggiorano le prospettive per l'occupazione, si dilatano i tempi di pagamento dei committenti. Quest'ultima, unita alle difficoltà di accesso al credito bancario, sta mettendo a rischio la sopravvivenza stessa di diverse aziende. «A questo punto – spiega il presidente di Ance Piemonte e Valle d'Aosta, Giuseppe Provvisiero – diventa centrale il problema dell'occupazione: le imprese non sono più in grado di assicurare la tenuta a causa del calo degli appalti pubblici e della situazione di stand-by del mercato immobiliare privato». «Per il 2009 a livello nazionale – aggiunge il vicepresidente dell'Ance piemontese e valdostana, con delega al centro studi, Filippo Monge – sono a rischio 130mila posti di lavoro, con potenziale ricaduta complessiva a 200mila considerando l'indotto. Purtroppo non si intravvedono segnali di ripresa: durante quest'anno bisognerà cercare di mantenere quanto più possibile inalterati i livelli occupazionali attuali». «In provincia di Torino - conferma il Presidente del Collegio Costruttori, Alessandro Cherio – riscontriamo una forte riduzione delle risorse disponibili per gli appalti pubblici: nei primi due mesi del 2009 sono state bandite gare per 5 milioni, per una proiezione a fine anno che si attesta sui 500 milioni, inferiore all'ammontare del 2008».

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«Di conseguenza – aggiunge Cherio – le attese sono inevitabilmente di ricavi ridotti per oltre metà dei nostri associati. Inoltre, ci sono meno transazioni per l'insicurezza che pervade i cittadini, in un territorio che sta risentendo della crisi dell'auto, cui è strettamente legato». Quanto ai dati della ricerca, essa rivela che soltanto l'8,8% delle aziende associate ad Ance Piemonte e Valle d'Aosta prevede l'aumento del fatturato nei prossimi sei mesi a fronte di un 38,7% che si attende una riduzione. Il saldo tra ottimisti e pessimisti è, così, negativo (-29,9) e peggiore rispetto a sei mesi fa (-20,6). Le previsioni, inoltre, sono negative anche per le imprese di tutte le classi dimensionali. Male pure per l'occupazione: il 3,4% delle imprese intende aumentare il personale, mentre il 29,1% ne prevede la riduzione. Anche qui il saldo è negativo (-25,7) e peggiore del semestre precedente (-19,9). Frenano pure gli investimenti, programmati nei primi sei mesi del 2009 dal 31,8% delle imprese: nella seconda metà del 2008, le intenzioni di investimento riguardavano il 40,4% del campione. Diminuiscono le intenzioni di ricorrere a manodopera esterna, mentre si riducono le difficoltà di reperire personale qualificato e generico. Crescono invece i tempi medi di pagamento dei committenti, pari, in media, a 101,8 giorni, rispetto ai 96,8 giorni della rilevazione precedente. Per i committenti pubblici si arriva addirittura a tempi medi di 143,4 giorni (da 130,4). Come uscire dall'impasse? Spiega Provvisiero: «È necessario sbloccare le risorse per le opere pubbliche medio-piccole e avere agevolazioni fiscali per il comparto immobiliare». «Purtroppo – aggiunge Cherio – al momento non abbiamo prospettive, né segnali di un cambio di rotta, se non per una domanda sempre viva nel settore immobiliare privato che però non si traduce in ordini». «È necessario – sottolinea il presidente del Collegio costruttori di Torino – trovare le risorse per far ripartire le opere pubbliche: soltanto così si può invertire la tendenza. Nell'immediato saranno fondamentali, oltre ai grandi progetti, soprattutto le piccole e medie infrastrutture, come ad esempio la seconda linea della metropolitana, per dare ossigeno al tessuto di imprese della regione». «Chiediamo risorse per appalti pubblici, chiediamo il sostegno delle banche – aggiunge Rino Bazzani, presidente dei costruttori di Biella, la provincia del Piemonte dove la crisi si avverte di più – Il Biellese risente delle difficoltà del tessile e di un mercato immobiliare privato fermo. Avremmo bisogno, anche dal punto di vista psicologico, di un segnale di attenzione verso il nostro settore, così come è stato fatto, giustamente, per il tessile». (Filippo Bonsignore, PMI24)

Industria 2015, edilizia hi-tech. Il primo data-base italiano per i materiali edili ad alta efficienza energetica, caldaie a micro-cogenerezione con emissioni bassissime, fotovoltaico a concentrazione per incamerare molta energia in poco spazio, con un film sottile per essere impiegato anche in spazi minuscoli oppure utilizzato a sostegno dell’illuminazione. Sono alcune delle applicazione destinate a cambiare il mondo della progettazione a basso impatto nel prossimo futuro. Almeno nel giro di tre anni, quando i 30 progetti finanziati da Industria 2015 dovrebbero tradursi in realtà. Il programma è appena partito, con la pubblicazione della graduatoria che ha assegnato a 30 progetti (su 86 presentati) un contributo statale in media del 35% del valore totale, stanziando in tutto 200 milioni che ne andranno a sviluppare 500. L’80% sarà speso al Nord, ma nei progetti sono state coinvolte filiere che comprendono 234 imprese, 160 enti di ricerca, molte le piccole e medie realtà, anche se tra i capofila compaiono brand piuttosto noti. È il caso del Centro Ricerche Fiat che ha presentato un progetto per produrre energia dai rottami, Telecom che lavora sul programma E-Cube nel campo del «machine-to-machine», Riello, Indesit, Beghelli e Merloni. Avvicinandosi di più alle costruzioni spicca il nome di AnceEnergia che da Industria 2015 ha ottenuto circa 16 milioni per il progetto «InnovAnce», firmato anche da diversi centri di ricerca tra cui Cnr, Enea, Politecnico di Torino e Università Federico II di Napoli. L’obiettivo è quello di creare il primo data-base italiano dei materiali ad alta efficienza energetica. Il progetto si propone di creare un sistema di classificazione univoco (codice a barre) degli elementi che costituiscono il prodotto edilizio. Una banca dati di libero accesso contenente tutte le informazioni dei prodotti, affiancata da un sistema di interoperatività dei software di progettazione e gestione, sia dei produttori di componenti che delle imprese di costruzione, dialogante con le informazioni della banca dati. Primo in graduatoria è invece il progetto Microgen30 presentato dalla Ici Caldaie di Verona in collaborazione con l’Enea, il Politecnico di Milano, Cnr e altri piccole aziende del settore. L’attenzione è puntata sulla realizzazione di un sistema di micro-cogenerazione (30 kWe) alimentato a gas naturale e basato su celle a combustibile. Molto gettonata la ricerca sul

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fotovoltaico. Spunta il nome di Enel nel progetto per il fotovoltaico a concentrazione, ovvero una tecnologia, seguita dal Gruppo Angelantoni di Perugia, che consente di diminuire la superficie colpita dal sole per ottenere rendimenti molto elevati. Qui la sfida è quella di produrre le celle “concentrate” a costi di mercato per sfruttarle al massimo in impianti con grandi superfici, ma anche per sistemi più piccoli per l’alimentazione di complessi industriali o usi domestici. Strati di poche centinaia di nanometri di spessore in grado di assorbire la luce del sole e trasformarla in elettricità. È lo scopo del progetto Flexosolar, presentato dall’Organic Sprintronics di Bologna in collaborazione con Siena Solar Nanotech. Infine, film fotovoltaici impiegati anche per l’illuminazione. È la proposta del Centro ricerche Plast-Optica che dovrebbe integrare al fotovoltaico, batterie a film per l’accumulo energetico, sistemi wireless per la comunicazione allo scopo di ridurre i consumi di illuminazione negli arredi urbani, nelle strade e per usi domestici. (Deborah Appolloni, Progetti e Concorsi, Il Sole 24 Ore, 9 - 14 marzo 2009, p. 12)

Energia

Conto energia, una nuova guida dal GSE. Il Gestore dei Servizi Elettrici ha pubblicato la terza edizione della Guida al Conto energia che si rivolge a tutti coloro che intendono realizzare un impianto fotovoltaico e richiedere i relativi incentivi. La pubblicazione, curata dal GSE in collaborazione con gli uffici tecnici dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas, può essere consultata e scaricata dal sito www.gse.it. Tra le novità di questa terza edizione, le nuove regole dello scambio sul posto (innalzamento della soglia incentivabile per impianti fino a 200 kW), l’aggiornamento delle nuove tariffe incentivanti ai valori del 2009 e le nuove condizioni procedurali, economiche e tecniche per la connessione alla rete stabilite dall’Autorità (AEEG) (Consulente Immobiliare, Il Sole 24Ore, n. 833/2009, p. 402)

Energie alternative per l’autotrasporto. Il tema dell’energia, nei prossimi anni, ci impegnerà nella ricerca di un percorso per una concreta attuazione delle politiche di mobilità sostenibile. Ciò in un contesto generale che sarà caratterizzato da tre grandi aree di crisi globale: 1) la crisi energetica, annunciata qualche anno fa, che ha portato il prezzo del petrolio prima al massimo di 145 dollari e ora a un minimo di 40; 2) gli alti consumi nei Paesi occidentali a carico del debito pubblico finanziato dal surplus dei Paesi esportatori; 3) i cambiamenti climatici che richiedono interventi nel Governo del territorio e delle strutture urbane. In questo quadro il tema dell’energia non può essere affrontato solo negli aspetti di costo, ma in modo strutturalmente collegato ai nuovi modelli di mobilità passeggeri e merci. Questa fase potremmo definirla come il «dopo petrolio», tenendo conto anche delle politiche che si vanno affacciando a livello mondiale – in particolare negli Stati Uniti con la presidenza di Barak Obama – con elementi in parte contraddittori di: privatizzazione/ liberalizzazione e gestione diretta dei servizi; regole restrittive per contenere i ritmi di crescita del trasporto stradale; difficoltà a individuare strozzature e previsioni di intervento nel settore infrastrutturale. Nel frattempo bisogna prendere atto che, almeno a livello europeo, alcuni segnali di cambiamento nei consumi di energie si sono avuti, non in termini quantitativi, quanto e soprattutto in termini sostitutivi. Infatti 30 anni fa il 50% dell’energia veniva dal petrolio e il 31% dal carbone mentre nel 2008 il 41% arriva dal petrolio e il 18% dal carbone, con il metano che è passato dal 13 al 24%. Per quanto riguarda il trasporto merci – di cui si parlerà estesamente il 19 febbraio al convegno del Freight Leaders Council che si terrà a Roma nella Sala del Carroccio in Campidoglio e di cui anticipo queste considerazioni – gli spazi di manovra vanno ricercati sia sul versante dei costi di produzione del servizio, in particolare del carburante, sia soprattutto nella riduzione dei costi esterni dovuti all’inquinamento. Ipotizzando fattori di conversione e/o diffusione all’impiego di energie alternative, differenziati per l’autotrasporto professionale di lungo raggio, di distribuzione, di medio-lungo raggio, il risparmio aziendale per il complesso degli operatori conto terzi potrebbe oscillare tra il 5 e il 10%. In questi calcoli il risparmio è dato dal minore costo del carburante di circa il 50%, di cui il 60% dovuto alla minore incidenza dell’accisa e il 40% ai minori costi industriali. I benefici sociali di una soluzione di energia alternativa determinano notevoli impatti anche nella riduzione dei costi esterni, in particolare dell’inquinamento. Con un fattore di riduzione delle emissioni di Co2 del 20%, il potenziale risparmio sociale è stimabile nel 6,5% per il

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traffico merci su strada di lunga distanza e nel 16,5% per il traffico di distribuzione. Se le prospettive di beneficio sono interessanti, certo ci sono problemi da affrontare. Le tecnologie devono ancora consolidare soluzioni pienamente industrializzate dal punto di vista non solo dei veicoli, ma anche dei combustibili, e le diverse opzioni sono tuttora aperte. Il metano appare la soluzione più prossima, ma ci sono sperimentazioni sui biocombustibili, sul gas naturale liquefatto, sui veicoli a trazione elettrica e ibrida, senza escludere le soluzioni con un più lungo orizzonte temporale quali l’alimentazione metano/ idrogeno e i veicoli a idrogeno. Inoltre la disponibilità dei combustibili alternativi ha tuttora limiti severi nel ciclo di approvvigionamento- produzione-distribuzione. Servono quindi ancora investimenti di competenze diverse e, come facilitatore del coordinamento tra i diversi protagonisti, una politica fiscale incentivante le energie alternative che faciliti l’uso, e non semplicemente l’acquisto, di veicoli a basso impatto ambientale. Certo in parallelo alle efficienze sui carburanti e sui motori a basse emissioni, occorre: 1) continuare a impegnarsi in altre dimensioni di efficienza e soprattutto modificare le abitudini degli utenti con servizi affidabili che facilitino il passaggio al conto terzi; 2) governare il territorio e le infrastrutture per migliorare accessibilità e connettività di rete e 3) gestire il traffico in modo più innovativo in relazione alle motivazioni degli spostamenti e alle fasce orarie. (Rocco Giordano, Trasporti, Il Sole24Ore, 16-28 febbraio 2009, n. 3, p. 10)

Lavoro e previdenza

L'Inpdap restituisce i tagli. Errore nei conguagli. Non riconosciute le detrazioni per carichi di famiglia. L'Inpdap, l'istituto di previdenza dei dipendenti pubblici, ha fatto sapere, con una nota diffusa ieri, che non ha funzionato bene il meccanismo di trasmissione dai Caf all'Istituto delle dichiarazioni di detrazioni per carichi di famiglia. La qual cosa ha fatto sì che in occasione del conguaglio fiscale operato nel mese di febbraio, l'Istituto abbia recuperato più del dovuto quanto attribuito, come detrazione, lo scorso anno. L'Inpdap ha ammesso la "gravita sociale del fenomeno". In totale a febbraio sono state ridotte 235mila pensioni e ora si dovrà procedere alla verifica di quante di queste decurtazioni sono indebite e quindi vadano risarcite. Al riguardo, la nota dell'Inpdap fa sapere che il commissario straordinario, Paolo Crescimbeni, ha "dato disposizioni a tutta la tecnostruttura dell'Istituto, per il tramite del direttore generale, di attivarsi senza indugio per la restituzione immediata ai soggetti interessati degli importi erroneamente trattenuti". Tale restituzione avverrà da marzo, così da permettere a migliaia di famiglie di recuperare la tranquillità e la possibilità di pianificare il proprio budget mensile. Inoltre, il commissario straordinario ha dichiarato che lavorerà per "la precisa individuazione della responsabilità, a qualunque livello, con l'adozione di provvedimenti cogenti". L'obbligatorietà della denuncia annuale del proprio diritto agli sgravi è stata stabilita dalla Finanziaria 2008. Il commissario è stato attivato grazie a una proposta di legge di modifica del dettato della Finanziaria 2008, in modo tale da proteggere le fasce più deboli della società, quali i pensionati, e far sì che non sussista per loro l'obbligo della denuncia annuale, "la cui assenza, per dimenticanza o per ragioni riconducibili a comportamenti di soggetti terzi, ha portato al verificarsi di gravi e ingiusti fenomeni come quello attuale". Comunque, il termine ultimo per presentare quest'anno la dichiarazione e fruire delle detrazioni per carichi di famiglia è fissato al 15 aprile. Le richieste vanno presentate ai Caf o ai professionisti convenzionati con l'Inpdap, oppure ancora direttamente alla sede provinciale dell'Istituto che eroga la pensione. L'Inpdap applica le detrazioni per l'anno solare in cui il pensionato presenta la domanda. (Il Sole 24 Ore - Norme e Tributi del 29 febbraio 2009, p. 29 - Sintesi a cura della redazione)

Lavoro e maternità. Il Governo: niente divieti automatici sui notturni. Il Governo sta valutando una nuova strategia da attuare riguardo il divieto al lavoro notturno per le lavoratrici in gravidanza o neomamme (fino ad un anno di vita del figlio). Tale divieto, così, potrebbe venire meno. L'intento è quello di superare l'automatismo. Infatti, è stato fatto notare che questo divieto di lavoro notturno ha come conseguenza una perdita del 20% del reddito. Sul tema si era pronunciata la Commissione europea, che aveva considerato il divieto discriminatorio e in contrasto con la direttiva comunitaria sulla parità di trattamento tra uomini e donne. Per questo, la questione

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"potrebbe essere rivisitata in un'ottica di una nuova struttura del welfare - ha spiegato dal sottosegretario al Lavoro, Pasquale Viespoli - che renda l'occupazione delle donne uno strumento effettivo di sviluppo ovvero, nell'immediato, attraverso un apposito provvedimento legislativo che, superando l'automatismo, renda non obbligatorio l'esonero dal lavoro notturno". Immediata la replica dell'opposizione. Vittoria Franco (Pd) ha parlato di "schizofrenia governativa", di "opera di totale revisione dei diritti acquisiti delle lavoratrici e dei lavoratori che questo Governo sta mettendo in atto" e di "un nuovo attacco ai diritti delle madri lavoratrici". (Il Sole 24 Ore - Norme e Tributi del 27 febbraio, p. 33 - Sintesi a cura della redazione)

Confine decisivo. Limite giornaliero. Trasferte fuori Comune intassabili fino a 46,48 euro. Con la risoluzione 53/E, l'Agenzia delle Entrate fa sapere che fino all'importo di 46,48 euro le indennità per trasferte fuori dal territorio comunale non sono considerante facenti parte del reddito e in quanto tali sono escluse dalla tassazione. La risoluzione dell'Agenzia è di risposta ad un quesito posto da un Comando provinciale dei vigili del fuoco. Nel caso di trasferta di vigili del fuoco fuori dal proprio territorio comunale per svolgere il proprio ruolo istituzionale, le somme loro erogate rientrano nella fattispecie delle indennità di trasferta, in quanto remunerano un'attività svolta in una località distante in modo significativo dalla sede di servizio. Questo tipo di indennità è disciplinato dal comma 5, articolo 51 del Tuir, che stabilisce che le indennità e i rimborsi che il lavoratore percepisce per coprire le spese sostenute per recarsi a prestare il proprio lavoro fuori dal territorio di competenza vanno a formare il reddito solo per la loro parte che eccede i 46,48 euro al giorno (cifra che sale a 77,47 euro in caso di trasferte all'estero, al netto delle spese di viaggio e trasporto). Questo però vale solo per le indennità percepite per trasferte di lavoro fuori dal territorio comunale. Le indennità percepite per trasferte all'interno del territorio del Comune dove è situata la sede di lavoro sono invece interamente comprese nella determinazione della base imponibile dello stipendio (T.Mor., Il Sole 24 Ore - Norme e Tributi, 26 febbraio 2009, p. 29 - Sintesi a cura della redazione)

Welfare. Con l'allineamento a 65 anni risparmi di spesa contenuti. Il bilancio dell'intervento di parificazione "minimo" per le dipendenti pubbliche. I tecnici del ministero del Lavoro hanno elaborato una manovra per adeguare le pensioni Inpdap alla sentenza della Corte europea che però non va molto al di là di un semplice ritocco dei requisiti minimi per andare in pensione di vecchiaia. In pratica, un intervento "minimo", giusto per ottemperare alle richieste dei giudici europei. In base a questo intervento, a partire dal 1° gennaio 2010 l'età minima per andare in pensione salirà da 60 a 61 anni. Poi continuerà così (l'aumento di un anno di età minima ogni ventiquattro mesi) per arrivare al 2018 con l'allineamento pieno del requisito di uomini e donne a 65 anni. In questo modo si renderà "obbligatorio e non più facoltativo anche per le donne l'accesso alla pensione di vecchiaia a 65 anni", con gradualità, nel rispetto dei diritti acquisiti. In attesa del parere della Commissione europea, su questa modifica che non tocca però le pensioni Inps (dipendenti privati), i tecnici del ministero completeranno l'analisi dell'impatto finanziario dell'intervento, sul quale si dovrà pronunciare poi anche la Ragioneria generale dello Stato. Finora, l'unica stima prospettata (che però tiene conto dell'allineamento a 65 anni sia dei dipendenti pubblici che di quelli provati) parla di risparmi cumulati per 1.467 milioni di euro entro il 2010 (con un picco di 250 milioni nel 2013-2014). Una cifra che però è destinata a ridimensionarsi se, come previsto, i gradini scatteranno solo per i dipendenti pubblici. L'intervento che verrà presentato a Bruxelles, infatti, così come è, se non viene modificato, introduce delle disparità tra le dipendenti pubbliche e quelle private (per le quali l'età minima per andare in pensione di vecchiaia rimangono i 60 anni, contro i 65 degli uomini). Una distinzione che i giudici europei non hanno preso in considerazione perché la natura delle pensioni Inps è "legale", e quindi in linea con la normativa comunitaria, mentre le pensioni Inpdap sono considerate di tipo "professionale", con trattamento pensionistico pagato direttamente dal datore di lavoro. Per risolvere la distinzione, i tecnici avevano anche pensato di estendere anche ai dipendenti pubblici il regime "legale" Inps, mantenendo la distinzione di età tra uomini e donne. Ma l'ipotesi è stata subito accantonata: "comporterebbe una riforma di tutto il sistema previdenziale più radicale di quanto finora considerato anche dai progetti del passato Governo. L'Inpdap dovrebbe essere completamente assorbito dall'Inps fino a scomparire, e così il sistema delle contribuzioni figurative, le peculiarità

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del trattamento di fine servizio (Tfs) e i regimi speciali, con costi ed effetti di difficile quantificazione". (Davide Colombo, Il Sole 24 Ore - Norme e Tributi del 25 febbraio 2009, p. 28 - Sintesi a cura della redazione)

La frenata dell'economia sulla rivalutazione del Tfr. I criteri di calcolo con valori negativi nella parte variabile. Gli esperti che hanno dovuto determinare il coefficiente di gennaio per la rivalutazione del trattamento di fine rapporto si sono dovuti porre il quesito se fosse possibile ridurre il Tfr, invece di "incrementarlo" come stabilisce testualmente l'articolo 2120 del Codice Civile. Questo articolo, infatti, stabilisce che il trattamento deve essere "incrementato" annualmente, su base composta "con l'applicazione di un tasso costituito dall'1,5% in misura fissa e dal 75% dell'aumento dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, accertato dall'Istat". Ma a gennaio l'indice Istat assunto per la rivalutazione del Tfr ha prodotto un valore negativo. Il parametro "variabile", infatti, è stato pari a -0,167286. Il risultato deriva dalla differenza in percentuale tra l'Istat di dicembre 2008 e gennaio 2009, calcolata al 75%. E dunque la somma algebrica del tasso "fisso" di 0,125000 mensile (vale a dire l'1,5% annuale) darebbe appunto un coefficiente negativo, precisamente -0,042286. Per attenersi il più possibile al dettato dell'articolo 2120 del Codice Civile, i tecnici hanno stabilito il parametro variabile uguale a zero (da cui è derivato il coefficiente di gennaio pari a 0,125000, che costituisce - parametro a mese - quella che si ritiene la remunerazione garantita dal Codice Civile dell'1,5% annuale). L'operato degli esperti ha incontrato l'approvazione degli operatori. La Confindustria ha pubblicato ieri una nota in cui afferma che "Considerata la lettera della norma che, nel descrivere il metodo di calcolo, fa esplicito riferimento ad 'aumenti dell'indice dei prezzi al consumò e non a variazioni dell'indice stesso, sembra corretto ritenere che, in caso di variazioni negative, la quota variabile del coefficiente di rivalutazione deve essere posta pari a zero". Diversamente, con un coefficiente di valore negativo si sarebbe erosa la quota del Tfr di quanti si sono dimessi a gennaio. D'altra parte, un chiarimento del ministero porrebbe le imprese al riapro da "rischi di calcolo" sul Tfr che è cruciale per le famiglie e per la consistenza finanziaria delle impre. (Maria Carla De Cesari, Giuseppe Maccarone, Il Sole 24 Ore - Norme e Tributi del 25 febbraio 2009, p. 28 - Sintesi a cura della redazione)

Per i part-time verticali "sufficienti" le ore quotidiane. Il ministero del Lavoro ha diffuso ieri l'interpello 11/2009 con cui chiarisce che in un rapporto di part time verticale non è obbligatorio indicare la fasce orarie precise in cui si deve svolgere il lavoro; basta prevedere il numero delle ore giornaliere complessive. La pronuncia viene in risposta alla Confcommercio che aveva dei dubbi interpretativi riguardo l'articolo 2 comma 2 del Dlgs 66/2003, nel punto in cui afferma che "nel contratto di lavoro a tempo parziale è contenuta puntuale indicazione della durata della prestazione lavorativa e della collocazione temporale dell'orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all'anno". La Confcommercio chiedeva allora se nel caso di rapporto di lavoro part time di tipo verticale, con prestazione giornaliera a tempo pieno (o superiore), basti indicare nel contratto l'ammontare della stessa prestazione giornaliera o si dovesse invece indicare puntualmente le fasce orarie in cui tale prestazione deve essere svolta. Il ministero ha risposto che quando la prestazione di lavoro in termini di durata è equiparata a quella a tempo pieno non occorre predeterminare la precisa collocazione del tempo di lavoro. Il parere del ministero prende spunto dalla sentenza 210/1992 della Corte costituzionale che afferma che se il lavoro part time deve svolgersi in un numero di giornate alla settimana inferiore a quello normale, la distribuzioni di tali giornate nell'arco della settimana deve essere esplicitamente determinata. Invece, la distribuzione dell'orario deve essere preventivamente determinato nell'arco della giornata solo se le parti si accordano per un orario di lavoro giornaliero inferiore a quello ordinario. (Enzo De Fusco, Il Sole 24 Ore - Norme e Tributi del 24 febbraio 2009, p. 30 - Sintesi a cura della redazione)

Niente "scivoli" per i dipendenti.Il contratto. Le linee di indirizzo dell'Economia. Il Consiglio dei ministri ha dato ieri il via libera all'atto di indirizzo per il rinnovo contrattuale per le

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Regioni e gli enti locali, ma con delle limitazioni volute dal ministero dell'Economia. I veti sono stati posti alla possibilità di finanziare posizioni organizzative con i bilanci degli enti, alla quantificazione "aperta" del fondo per le risorse decentrate, all'introduzione di "scivoli" per l'uscita consensuale dei dipendenti. L'Economia già nel dicembre scorso aveva bocciato la prima previsione a causa del (mancato) collegamento con il Dpcm che fin da settembre avrebbe dovuto individuare gli enti virtuosi da rendere più liberi nella spesa. La quantificazione "aperta" dei fondi decentrati, da aggiornare una volta emanato il Dpcm, non è stata accolta dal ministero dell'Economia, perché non può essere lasciata in bilico una voce così importante per determinare il conto finale del rinnovo. E' da capire, ora, se il veto dell'Economia riguardi ogni ipotesi di quantificazione senza Dpcm o se voglia invece impedire la possibilità di un nuovo ritocco. Riguardo la possibilità di finanziare con i bilanci degli enti le indennità di posizione organizzativa, il no del ministero ribadisce che le risorse per tali indennità devono rimanere ancorate ai fondi che già le alimentano. Un no anche per gli "scivoli" agevolanti le "risoluzioni consensuali" dei rapporti di lavoro dipendente. L'atto di indirizzo prevedeva che tali risoluzioni potessero essere finanziate dai risparmi strutturali ottenuti proprio con l'addio ad alcuni dipendenti. Ma ora, dopo il diniego dell'Economia, il tema viene rimandato al prossimo rinnovo della parte normativa (ma viene accolto invece per quanto riguarda le figure dirigenziali). La Funzione Pubblica, invece, con il parere 2/2009, ribadisce che le indennità di posizione ad personam per incarichi dirigenziali decadono in caso di assenza. La Funzione Pubblica, inoltre, chiede anche una "comunicazione preventiva" per il dipendente in malattia che debba allontanarsi dalla propria abitazione nelle fasce orarie di reperibilità delle visite fiscali. Al riguardo, l'Anci torna a chiedere che i ministeri dell'Economia e della Salute si facciano carico dei costi delle visite. (Gianni Trovati, Il Sole 24 Ore - Norme e Tributi del 18 febbraio 2009, p. 29 - Sintesi a cura della redazione)

Professionisti

Per la falsa dichiarazione il segreto professionale non conta. Cass. VI sez. PENALE, sen. n. 9866 del 4 marzo 2009. I professionisti "non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragioni del loro ministero, ufficio o professione, salvi in casi in cui hanno l'obbligo di riferirne all'autorità giudiziaria. L'eventuale segreto professionale non può essere ritenuto a priori, ma va eccepito da chi chiamato a deporre, rientra nelle indicazioni di cui all'art. 200 cod. proc. pen." Così la Cassazione nell'accogliere il ricorso per la condanna di falsa testimonianza di un professionista che aveva reso dichiarazioni contraddittorie in riferimento ad eventi che aveva appreso nella veste di legale. Accertata la sussistenza della falsa dichiarazione, a nulla è valso l'accertamento della circostanza che la deposizione non sia stata proceduta dall'avviso al teste della facoltà di astensione. Su questo punto, infatti, la Corte ribadisce che: "L'esimente di cui all'art. 384, cod. pen., nella parte in cui prevede l'esclusione della punibilità se il fatto è commesso da chi avrebbe dovuto essere avvertito della facoltà di astenersi dal rendere informazioni o testimonianza non si applica ai soggetti indicati nell'art. 200 cod. proc. pen., a quali è invece applicabile l'esimente nell'ipotesi in cui siano stati obbligati a deporre o comunque a rispondere su quanto hanno conosciuto per ragioni del loro ministero, ufficio o professione, salvi in casi in cui hanno l'obbligo di riferirne all'autorità giudiziaria." (www.professionisti24.ilsole24ore.com)

Pubblica Amministrazione

Personale. Il rapporto autonomo "non è incompatibile" con l'esercizio di poteri direttivi e di spesa. Il ministero del Lavoro amplia le possibilità per i collaboratori. Con l'interpello n. 8/2009 il ministero del Lavoro, Direzione generale per l'attività ispettiva, rende noto che possono essere conferiti anche ai collaboratori incarichi dirigenziali per conto di una Pa nella direzione di enti e fondazioni con personalità giuridica autonoma, perché in questi casi non sussiste incompatibilità con la natura autonoma del rapporto di lavoro. Questa nota modifica la posizione finora presa dalla giurisprudenza amministrativa, che impediva che venissero affidati incarichi

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dirigenziali a chi non facesse parte in modo stabile della struttura dell'ente tramite un contratto di subordinazione. Ora il ministero del Lavoro chiarisce che si deve "ritenere non incompatibile il ricorso al lavoro autonomo, anche in forma coordinata e continuativa, con un incarico che determini l'esercizio di poteri direttivi e di spesa ove tali poteri risultino, anche dalla configurazione operata dalle parti nel regolamento contrattuale, funzionali all'esecuzione dell'incarico e compatibili, quanto al loro concreto esercizio, con la scelta di ricorrere alla modalità autonoma di esecuzione della prestazione". Come si vede, viene chiaramente definita la compatibilità delle collaborazioni coordinate e continuative con gli incarichi dirigenziali, ossia quelli che presuppongono il potere di spesa e di direzione delle risorse umane. Un'ulteriore conferma di questa compatibilità si ottiene anche osservando che il lavoro subordinato è caratterizzato da "assoggettamento del lavoratore al potere organizzativo, gerarchico e disciplinare dell'altra parte, estrinsecatesi non già in semplici direttive, ma in specifici ordini e in un'assidua opera di vigilanza e di controllo sull'esecuzione della prestazione". Da ciò deriva che "il conferimento al collaboratore di poteri specifici all'interno dell'organizzazione e funzionali all'esecuzione dell'incarico non può certo essere considerato un indice di per sé determinante di esclusione della natura autonoma del rapporto di lavoro". (Arturo Bianco, Il Sole 24 Ore - Norme e Tributi/Autonomie locali e Pa del 2 marzo 2009, p. 14 – Sintesi a cura della redazione)

Il presidente non deve "sostituire" il Consiglio. Il Tar Lazio-Roma, Sezione II, con la sentenza 139/2009 ha deciso che non è legittima la delibera del presidente del consiglio comunale che, in sostituzione del consiglio stesso, ha nominato il difensore civico comunale. Se non diversamente stabilito dallo Statuto comunale, va allora applicato l'articolo 136 del Dlgs 267/2000, che affida al difensore civico regionale la nomina di un commissario ad acta con il compito di intervenire in via sostitutiva. Solo in assenza di quest'ultimo si può applicare la proroga degli organi scaduti. Il tutto è nato dal caso di un Comune in cui il consiglio, dopo otto sedute, non era stato in grado di nominare il difensore civico. Il presidente del consiglio comunale, allora, aveva nominato un difensore civico e il suo vice, rifacendosi all'articolo 4, comma 2, della legge 444/1994 che prevede che se gli organi collegiali non provvedono, la competenza delle nomine è trasferita ai rispettivi presidenti. Il Tar ha ritenuto tale agire illegittimo per i seguenti motivi: per prima cosa, la legge 444/1994 va interpretata alla luce delle nuove norme costituzionali del Titolo V e, di conseguenza, è lo Statuto comunale che deve prevedere e disciplinare la mancata nomina del difensore civico comunale dopo la scadenza del periodo della proroga degli organi scaduti. Se però lo Statuto nulla dispone, allora si deve fare riferimento alla normativa più recente. E in questo caso è il Dlgs 267/2000. Quindi, si deve applicare l'articolo 136 di detto Dlgs, che stabilisce che se gli organi non eseguono atti obbligatori per legge deve provvedervi un commissario ad acta nominato da un difensore civico regionale. Il commissario deve provvedere entro 60 giorni dal conferimento dell'incarico. Infine, se la Regione non ha previsto la nomina di un difensore civico regionale, allora e solo allora si potrà applicare l'articolo 4 della legge 444/1994 al fine di evitare il vuoto normativo.La sentenza del Tar Lazio è importante perché stabilisce che il difensore civico comunale non è un organo amministrativo o un organo di governo dell'ente locale, bensì è un organo garante dell'indipendenza e dell'imparzialità dell'agire dell'ente nel quale viene nominato. Può quindi essere paragonato ad una Authority. In secondo luogo, la sentenza del Tar è importante perché sottolinea come lo Statuto comunale, pur essendo formalmente un atto amministrativo, è però nella sostanza un atto di livello "subprimario" (ossia sottostante ai principi fissati dal Dlgs 267/2000) e in quanto tale costituisce la determinante espressione dell'autonomia normativa e dell'identità giuridica dell'ordinamento locale. (Vittorio Italia, Il Sole 24 Ore - Norme e Tributi / Autonomie locali e Pa del 23 febbraio 2009, p. 10 - Sintesi a cura della redazione)

Enti territoriali, la riforma frena. Autonomie. Rischio svuotamento per le strutture centrali: stop dei ministeri. Solo esame preliminare al Consiglio dei ministri per il Ddl sulla riorganizzazione. I quattro disegni di legge proposti ieri al Consiglio dei ministri dal ministero dell'Interno, e rientranti nel disegno complessivo di attuazione del federalismo fiscale, hanno ricevuto una battuta d'arresto. I disegni di legge riguardano le funzioni fondamentali delle Regioni e degli enti locali, la carta delle autonomie, le Città metropolitane, i piccoli Comuni.

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Verranno comunque presi in considerazione per un esame preliminare. Sono state numerose le obiezioni e i dubbi sollevati dal Consiglio, dai ministri dell'Economia, della Pubblica Amministrazione, dei Rapporti con le Regioni. Il timore più grande è stato quello circa uno svuotamento delle agenzie e degli organi pubblici centrali, senza che fosse stata preventivamente delineata una mappa delle conseguenze e degli effetti che si produrranno sulle strutture amministrative, sia centrali che locali. Inoltre, grandi perplessità ha prodotto la ristrettezza dei tempi che il Viminale ha prospettato per l'esercizio delle deleghe legislative (da sei mesi per le funzioni fondamentali a un anno per la carta delle autonomie). La "fretta" era stata dovuta all'intenzione di dare pronta risposta alle richieste dei Comuni sul disegno federalista complessivo. Ma i disegni di legge dovranno attendere che siano prima sciolti alcuni nodi importanti quali le modalità di soppressione delle Comunità montane, la possibilità di avere assessori esterni al consiglio per i Comuni con più di 15mila abitanti, la durata del mandato dei sindaci, le modalità di assorbimento delle Province laddove nasceranno le nuove Città metropolitane. Il ministro dell'Economia ha avanzato anche obiezioni sulla mancanza di definizione degli impegni relativi al fondo dell'Interno per i piccoli Comuni e sulle agevolazioni fiscali. (Giorgio Santilli, Il Sole 24 Ore - Norme e Tributi del 18 febbraio 2009, p. 29 - Sintesi a cura della redazione)

Danno da ritardo per inerzia della Pubblica Amministrazione. La Quinta sezione del Consiglio di Stato (sentenza 2 marzo 2009 n. 1162) si è occupata di una questione molto attuale: quella del risarcimento dei danni causati dal ritardo nell'adozione di provvedimenti amministrativi. Il tema, in altre parole, è quello dell'inerzia della pubblica amministrazione. Secondo i Giudici di Palazzo Spada, il nostro diritto positivo non prevede, allo stato attuale della legislazione, un meccanismo riparatore dei danni causati dal ritardo procedimentale in sé e per sé considerato. L'inerzia amministrativa, per essere sanzionabile in sede risarcitoria, postula non soltanto il previo accertamento giurisdizionale della sua illegittimità, ma altresì il concreto esercizio della funzione amministrativa, ove ancora possibile e di interesse per il cittadino istante, in senso favorevole all'interessato (ovvero il suo esercizio virtuale, in sede di giudizio prognostico da parte del giudicante investito della richiesta risarcitoria). Il danno da ritardo, quindi, non ha un'autonomia strutturale rispetto alla fattispecie procedimentale da cui scaturisce, dato che è legato inscindibilmente alla positiva finalizzazione di quest'ultima. Il tipo di danno qui in esame, inoltre, non rappresenta neppure una ordinaria ipotesi di riparazione per equivalente, tenuto conto che si associa il più delle volte (quando non vi ostano circostanze fattuali sopravvenute) alla riparazione in forma specifica dell'effettivo rilascio (sia pur tardivo) del provvedimento favorevole. Trattasi di conclusioni pienamente in linea con quanto precisato dall'Adunanza Plenaria dello stesso Consiglio di Stato (n. 5 del 15 settembre 2005). In tale pronuncia si precisava che, allo stato attuale della legislazione, non è risarcibile il danno da ritardo "puro", cioè disancorato dalla dimostrazione giudiziale della meritevolezza di tutela dell'interesse pretensivo fatto valere e che, pertanto, l'eventuale danno non è risarcibile quando l'amministrazione abbia adottato, ancorché con notevole ritardo, un provvedimento (rimasto inoppugnato) dal contenuto negativo per l'interessato. (Avv. Stefano Calvetti - Studio Legale Rusconi Partners, www.professionisti24.ilsole24ore.com)

Dipendenti comunali: mazzetta fa rima con licenziamento. Cassazione, sez. Lavoro, sentenza n. 5581 del 6 marzo 2009. È legittimo il licenziamento in tronco di un dipendente comunale condannato in sede penale per concussione. E a nulla vale invocare il principio di autonomia tra processo penale e processo civile per contestare la legittimità del provvedimento. Sono questi gli importanti principi fissati dalla sezione Lavoro della Suprema corte di cassazione con la sentenza n. 5581 del 21 gennaio 2009, depositata il 6 marzo 2009. I giudici di Piazza Cavour hanno rilevato, altresì, che "in tema di impiego pubblico la condanna penale comporta di per sé il venir meno della fiducia, che presiede al rapporto di lavoro e tanto è sufficiente per confermare la legittimità del recesso". L'invocato canone di autonomia tra il processo penale e quello civile non rileva, poi, in quanto "la motivazione del recesso fa leva non solo sul fatto storico che sia stata irrogata al lavoratore stesso una condanna penale, ma anche sulla nuova valutazione del fatto oggetto di accertamento, anche in sede disciplinare". Questi in sintesi i motivi del rigetto del ricorso e della condanna del ricorrente a rifondere le spese del giudizio. (www.professionisti24.ilsole24ore.com)

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Comuni e sicurezza. Nord in testa. Sindaci, sotto tiro prostitute e alcol. Anci-Cittalia ha anticipati alcuni dati scaturiti dallo studio ancora in corso voluto dall'Anci per fare il chek-up della nuova tendenza dei sindaci comunali ad emanare ordinanze sulla sicurezza cittadina. Da novembre ad oggi è raddoppiato il numero dei provvedimenti urgenti sulla sicurezza, ha sfondato il numero di 600 ordinanze in 318 Comuni. In prima fila i municipi del Nord, con il 66% dei provvedimenti (nella sola Lombardia ne sono stati emanati ben 141). La maggior parte di queste ordinanze riguardano misure urgenti in tema di prostituzione, abuso di alcol, atti di vandalismo, ma non mancano anche provvedimenti contro i bivacchi, gli schiamazzi, l'abbandono di rifiuti e altri danni al decoro urbano. In sette casi su dieci le ordinanze si rivolgono all'intera cittadinanza, senza distinzione tra privati o titolari di esercizi commerciali, e nel 58% dei casi estendono i loro effetti su tutto il territorio comunale. Tra i problemi più pressanti, il 36% dei cittadini sente come prioritario quello del rafforzamento della polizia municipale, mentre il 24,6% esprime il desiderio di una maggiore prevenzione sociale ed educazione civica; un ambito molto ampio, questo, che comprende anche la "partecipazione attiva dei cittadini al monitoraggio del territorio", ossia in una parola: le ronde. Ma l'Anci non è coinvolta soltanto nella corsa all'ordinanza da parte dei sindaci. Ieri è stata impegnata nell'audizione presso la Commissione parlamentare sull'Anagrafe tributaria. La partecipazione dei Comuni alla lotta all'evasione, ha spiegato Sergio Chiamparino, sindaco di Torino, rimane una componente importante, ma per la quale permane un vizio di fondo: il "premio" del 30% sul "riscosso" a titolo definitivo è troppo basso e, soprattutto, troppo dilazionato nel tempo per ripagare i Comuni di un'attività che richiede "risorse significative". Proprio per questo, i Comuni tornano a chiedere che la percentuale di premio venga riconosciuta loro sull'evasione "accertata" e non su quella recuperata e "riscossa". (Gianni Trovati, Il Sole 24 Ore - Norme e Tributi / Giustizia del 27 febbraio 2009, p. 35 - Sintesi a cura della redazione)

Difesa del suolo: intesa tra Protezione civile e Comunità montane. Firmato un protocollo d’intesa tra la Protezione Civile e l’Uncem a sostegno di iniziative e servizi che rafforzino le attività di previsione, prevenzione e mitigazione dei rischi naturali sul territorio e rendano più efficaci la gestione e il superamento delle emergenze. In particolare, il protocollo si pone come obiettivo il sostegno agli Enti montani per la predisposizione dei piani comunali e intercomunali di protezione civile laddove i sindaci abbiano loro demandato tali compiti. (Guida agli Enti Locali, Il Sole 24Ore, 7 marzo 2009, n. 10)

Rifiuti

Rifiuti: tutela "adeguata e non riducibile" dello Stato. La Corte Costituzionale è intervenuta ancora una volta in tema di rapporti tra competenze nazionali e regionali in materia ambientale, riferendosi, in particolare, alla disciplina dei rifiuti. In linea generale è stato ribadito che "la dizione, secondo la quale, in materia di tutela dell'ambiente, lo Stato stabilisce "standard minimi di tutela" va intesa nel senso che lo Stato assicura una tutela "adeguata e non riducibile" dell'ambiente." Conseguentemente nulla toglie che, le fonti regionali, nell'ambito delle loro competenze e salvo il rispetto della normativa statale di tutela dell'ambiente, possono stabilire livelli di tutela più elevati (in materia di tutela della salute, di governo del territorio, di valorizzazione dei beni ambientali, etc.). Ma, prosegue la Corte con una importante precisazione, il raggiungimento di livelli di tutela più elevati finisce con l'incidere sul bene materiale ambiente, ma al fine non di tutelare l'ambiente, già salvaguardato dalla disciplina statale, bensì di disciplinare adeguatamente gli oggetti delle loro competenze. (Cfr. tra le altre, sentenze Corte Costituzionale - sentenza 6 febbraio 2009 n. 30.) Sulla base di tali premesse la Corte Costituzionale, con la sentenza in commento, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 14, commi 1, 2, 3 e 6, della legge della Regione Valle d'Aosta 3 dicembre 2007, n. 31, in quanto tali disposizioni attengono alla stessa definizione di "rifiuto", riguardanti la materia della tutela ambientale affidata alla competenza esclusiva dello Stato, e che non sono riferibili a nessuna altra competenza propriamente regionale né statutaria né desumibile dal combinato disposto degli artt. 117 della Costituzione e 10 della legge costituzionale n. 3 del

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2001. Inoltre, sotto altro profilo, è stato dichiarato incostituzionale anche il comma 5, nella versione di cui all'art. 64 della legge della Regione Valle d'Aosta n. 5 del 2008, ed il comma 6 dello stesso art. 14, poiché " le disposizioni, sia del comma 5, che riguarda «l'individuazione delle aree di stoccaggio attrezzate» e la loro ubicazione, sia del comma 6, secondo il quale «la realizzazione e l'esercizio delle aree di stoccaggio attrezzate» dei materiali inerti da scavo non sono assoggettate alle procedure autorizzative di cui al d.lgs. n. 152 del 2006, pur rientrando nella competenza statutaria della Regione in materia di urbanistica, in quanto si riferiscono alla individuazione, ubicazione, realizzazione ed esercizio delle «aree di stoccaggio attrezzate», sono in contrasto con i commi 2 e 3 dello stesso art. 186 del d.lgs. n. 152 del 2006, i quali seguono una nozione più ampia di "rifiuto" ed una disciplina più rigorosa delle «aree di stoccaggio attrezzate», ammettendo "il deposito" dei soli materiali da scavo che abbiano i requisiti di cui al comma 1 dello stesso articolo e per un tempo limitato (secondo i casi: uno o tre anni). Non può certo dirsi in altre parole che la Regione abbia esercitato le sue competenze per fissare limiti più elevati di tutela ambientale." (Avv. Antonio Giacalone – Studio legale Rusconi & Partners, www.professionisti24.ilsole24ore.com)

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Legge e prassi

(G.U. 2 marzo 2009, n. 50)

IN PRIMO PIANO

NORME TECNICHE PER LE COSTRUZIONI MINISTERO INFRASTRUTTURE E TRASPORTI: CIRCOLARE 2 febbraio 2009, n. 617 Circolare applicativa del D.M. 14.01.2008 (GU del 26 febbraio 2009, n. 47)

Con la Circolare 617/09 il Ministero ha inteso fornire agli operatori del settore indicazioni, elementi informativi ed integrazioni, per una più agevole ed univoca applicazione delle Nuove norme tecniche per le costruzioni. Il testo della circolare non modifica argomenti trattati dalle Nuove norme tecniche né aggiunge nuovi argomenti, se non per informazioni, chiarimenti ed istruzioni applicative di un provvedimento corposo quale il decreto ministeriale 14 gennaio 2008 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 4 febbraio 2008, n. 29): Nuove norme tecniche per le costruzioni, testo normativo che raccoglie in forma unitaria le norme che disciplinano la progettazione, l'esecuzione ed il collaudo delle costruzioni al fine di garantire, per stabiliti livelli di sicurezza, la pubblica incolumità. La ratio del DM è ravvisabile nella tutela della pubblica incolumità nel settore delle costruzioni, secondo un'impostazione coerente con gli eurocodici e con contenuti all'avanguardia, riguardo alla puntuale valutazione della pericolosità sismica del territorio nazionale, mentre l'obiettivo della circolare esplicativa si ravvisa nel cercare di privilegiare, con una trattazione maggiormente diffusa, gli argomenti più innovativi e per certi versi più complessi trattati dalle Nuove norme tecniche. (www.professionisti24.ilsole24ore.com)

CONVERTITO IL C.D. MILLEPROROGHE LEGGE 27 febbraio 2009, n. 14 Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni finanziarie urgenti. (GU n. 49 del 28-2-2009 - Suppl. Ordinario n.28)

Iter di conversione concluso per il decreto Milleproroghe. Dopo il via libera definitivo al testo, passato con la fiducia alla Camera lo scorso 24 febbraio, il Dl diventa legge. Molte le misure previste sul fronte trasporti, tra le proroghe già previste nel testo originario e le modifiche introdotte lungo il percorso parlamentare (tutte, in sostanza, apportate in commissione a Palazzo Madama), alcune delle quali particolarmente rilevanti: dagli sgravi al cabotaggio marittimo alla contestata stretta sull’autonoleggio, dalle correzioni al decreto anti-crisi per i contratti di servizio per le ferrovie alle misure per l’autotrasporto. Cabotaggio marittimo. Tornano gli sgravi per i traghetti. Dopo vari tentativi andati a vuoto è entrata nella versione definitiva del Dl l’estensione anche per il 2009 degli sgravi contributivi (assistenziali e previdenziali) destinati alle imprese di cabotaggio marittimo, con un fondo di copertura di 20 milioni. Una misura richiesta con insistenza dagli operatori del settore perché giudicata strategica per sostenere la competitività delle imprese private che svolgono servizi marittimi. La norma ha trovato posto nel Milleproroghe dopo l’esclusione sia dalla Finanziaria che dal decreto anti-crisi. Per assicurare la continuità dei servizi di cabotaggio marittimo per il 2009 sono state prorogate fino a fine anno, nei

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limiti degli stanziamenti di bilancio in essere, le convenzioni Tirrenia in vigore, al fine di giungere alla completa liberalizzazione del settore attraverso la conclusione, entro il 31 dicembre 2009, del processo di privatizzazione dei servizi di collegamento «essenziali». Infine, in vista delle esigenze derivanti dalla liberalizzazione del settore del cabotaggio marittimo, è previsto l’adeguamento dell’assetto organizzativo e funzionale del Corpo delle capitanerie di Stato – Guardia costiera. Ferrovie. Varata la correzioneal decreto anti-crisi sui fondi alle Ferrovie, che modifica l’articolo 25 del testo nella parte in cui si stabilisce che una quota dei 480 milioni annui per assicurare i servizi di trasporto pubblico ferroviario (oggetto dei contratti stipulati da Stato e Regioni con Trenitalia) debba essere destinata all’acquisto di materiale rotabile. Tale norma viene cancellata e si prevede che il ministero dell’Economia, di concerto con i Trasporti, provveda con decreto (entro 60 giorni) a destinare le risorse per i diversi contratti. Tra le proroghe già previste nella prima stesura del Milleproroghe sul versante ferrovie, invece, c’è lo slittamento di un anno, al 31 dicembre 2009, dell’adeguamento dei canoni di utilizzo dell’infrastruttura ferroviaria. Per stabilire i nuovi canoni, infatti, è necessario un decreto ministeriale redatto sulla base di una relazione del gestore Rfi, che non ha ancora inviato la proposta finale. Differito inoltre al 30 giugno (dal 15 dicembre scorso) il termine per la conclusione dell’indagine conoscitiva del ministero dei Trasporti per individuare il «perimetro» dei servizi di utilità sociale. Previsti infine i fondi destinati al sevizio sperimentale italo-francese di Autostrada Ferrovia Alpina, sulla direttrice Orbassano-Aiton. Aeroporti. Scatta la proroga di un anno (al 31 dicembre 2009) per l’emanazione dei decreti per l’aggiornamento della misura dei diritti aeroportuali pagati dai vettori ai gestori degli scali per l’uso delle infrastrutture centralizzate. In proposito sono state appena approvate con un decreto ministeriale e pubblicate in Gazzetta Ufficiale le linee guida Enac «applicative della direttiva ministeriale in materia di regolazione tariffaria dei servizi aeroportuali offerti in regime di esclusiva» (si veda servizio a pagina 18). Prolungati infine di un anno (al 31 dicembre) gli affidamenti in concessione delle gestioni totali aeroportuali. Autotrasporto. Va in porto anche la disciplina con gli sgravi all’autotrasporto sul capitolo dei premi Inail. Per il 2009 saranno disponibili 42 milioni (già previsti in via strutturale e semplicemente riassegnati) e altri 80 milioni destinati solo in via sperimentale (si veda articolo a pagina 3). Confermata infine la proroga per l’avvio della disciplina Ue sull’accesso alla professione di autotrasportatore: si partirà il 17 agosto 2010. Noleggio con conducente. Introdotta con un emendamento una modifica alla legge 21/1992 che riguarda, tra l’altro, l’attività di noleggio con conducente. Le nuove norme fissano ulteriori paletti per segnare la «separazione» tra l’attività di noleggio auto e il servizio taxi. Una norma che ha provocato le immediate proteste dei rappresentanti degli Ncc (si vedano servizi a pagina 5). Sicurezza sul lavoro. Differita, infine, l’applicazione di alcune disposizioni del Testo unico sulla sicurezza sul lavoro, di interesse anche per il settore trasporti. In particolare, varata la proroga al 16 maggio 2009 (rispetto al 1° gennaio) sia dei termini per le comunicazioni di infortuni inferiori al giorno, che per le disposizioni in materia di valutazione dei rischi da lavoro. Rischi che includono anche il cosiddetto «stress da lavoro correlato», precisazione che fa luce sul dibattito riguardante il cosiddetto «stress da macchinista». (Francesco Nariello, Trasporti, Il Sole24Ore, 2-14 marzo 2009, n. 4, p. 15)

SEMPLIFICAZIONE NORMATIVA LEGGE 18 febbraio 2009, n. 9 Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 22 dicembre 2008, n. 200, recante misure urgenti in materia di semplificazione normativa. (GU n. 42 del 20-2-2009 - Suppl. Ordinario n.25)

Agenti nocivi e sostanze pericolose MINISTERO DEL LAVORO, DELLA SALUTE E DELLE POLITICHE SOCIALI: DECRETO 3 dicembre 2008 Revisione delle patenti di abilitazione per l'impiego dei gas tossici. (GU n. 50 del 2-3-2009)

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Agricoltura, Allevamento, alimenti e bevande Regolamento (CE) della Commissione 27 gennaio 2009, n. 152/2009 «Regolamento (CE) n. 152/2009 della Commissione del 27 gennaio 2009 che fissa i metodi di campionamento e d’analisi per i controlli ufficiali degli alimenti per gli animali» (G.U.C.E. L del 26 febbraio 2009, n. 54)

Il regolamento ha fissato i metodi di campionamento e di analisi per i controlli ufficiali degli alimenti per animali. In particolare, il provvedimento ha stabilito che: - il prelievo dei campioni destinati al controllo ufficiale degli alimenti per animali, per quanto concerne la determinazione dei costituenti, degli additivi e delle sostanze indesiderabili, eccettuati i residui di pesticidi e i microorganismi, sia effettuato secondo i metodi descritti nell’Allegato I al regolamento; - la preparazione dei campioni per l’analisi e l’espressione dei risultati siano conformi ai metodi indicati nell’Allegato II al regolamento; - le analisi per i controlli ufficiali degli alimenti per animali siano effettuate secondo i metodi indicati nell’Allegato III, «Metodi di analisi per il controllo della composizione delle materie prime per alimenti per animali e degli alimenti composti », nell’Allegato IV, «Metodi di analisi per il controllo del contenuto di additivi autorizzati negli alimenti per animali», nell’Allegato V, «Metodi di analisi per il controllo della presenza di sostanze indesiderabili negli alimenti per animali », e nell’Allegato VI, «Metodi di analisi per la determinazione dei costituenti di origine animale nell’ambito del controllo ufficiale degli alimenti per animali», al regolamento; - il valore energetico degli alimenti composti destinati al pollame sia calcolato conformemente al metodo descritto nell’AllegatoVII al regolamento. Il provvedimento ha abrogato, inoltre, una serie di direttive e, in particolare, le direttive 71/250/ CEE, 71/393/CEE, 72/199/CEE, 73/46/CEE, 76/371/CEE, 76/372/CEE, 78/633/CEE, 81/ 715/CEE, 84/425/CEE, 86/174/CEE, 93/70/ CEE, 93/117/CE, 98/64/CE, 1999/27/CE, 1999/76/CE, 2000/45/CE, 2002/70/CE e 2003/126/CE. Il regolamento entrerà in vigore il ventesimo giorno successivo alla sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea, avvenuta il 26 febbraio 2009, e troverà applicazione a decorrere dal 26 agosto 2009. (Sintesi a cura dell’Avv. Sabrina Apicella, Ambiente&Sicurezza, Il Sole 24Ore, 24 marzo 2009, n. 6, p. 100)

Ambiente LEGGE 27 febbraio 2009, n. 13 Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 208, recante misure straordinarie in materia di risorse idriche e di protezione dell'ambiente. (GU n. 49 del 28-2-2009)

Tra le numerose novità introdotte dalla legge di conversione si segnala, in particolare: 1) l’inserimento di un termine per l'adozione dei piani di gestione dei bacini idrografici di cui all'articolo 13, Direttiva 2000/60/CE, da effettuarsi, sulla base degli atti e dei pareri disponibili, entro e non oltre il 22 dicembre 2009, a cura di appositi Comitati istituzionali delle autorità di bacino di rilievo nazionale, sì come integrati da componenti designati dalle regioni il cui territorio ricade nel distretto idrografico al quale si riferisce il piano di gestione (non già rappresentate nei medesimi comitati), con termine intermedio in tal senso (30 giugno 2009) entro il quale le autorita' di bacino di rilievo nazionale dovranno provvedere a coordinare i contenuti e gli obiettivi dei Piani medesimi rispetto al programma di misure previste dall’ art. 11 della direttiva citata (comprensivi, quanto meno, di talune "misure di base" , ove necessario, "misure supplementari", annoverando tra le prime: le misure necessarie per attuare la normativa comunitaria in materia di protezione delle acque, quelle volte a garantire un impiego efficiente e sostenibile dell'acqua, le misure di controllo dell'estrazione delle acque dolci superficiali e sotterranee e dell'arginamento delle acque dolci superficiali etc.);

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2) la previsione dell’emanazione, da parte del Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare, di talune Linee Guida, da emanarsi affinché l'adozione e attuazione dei menzionati piani di gestione abbia luogo garantendo uniformità ed equità sul territorio nazionale, da emanarsi entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione in oggetto; 3) talune correzioni apportate all’importante nuova disciplina in materia di transazioni del danno ambientale (art. 3, D.L. in oggetto) in particolare quanto alla sanatoria degli accordi transattivi gia' stipulati alla data di entrata in vigore del D.L. n. 208/2008 ovvero degli accordi transattivi attuativi di accordi di programma gia' conclusi a tale data, nonché l’inserimento di una nuova disposizione concernente l’efficacia della stipula del contratto di transazione, che comporterà anche “…la facolta' di utilizzare i terreni o singoli lotti o porzioni degli stessi, in conformita' alla loro destinazione urbanistica, qualora l'utilizzo non risulti incompatibile con gli interventi di bonifica, alla luce del contestuale decreto direttoriale di approvazione del progetto di messa in sicurezza e di bonifica del suolo e della falda, sia funzionale all'esercizio di un'attivita' di impresa e non contrasti con eventuali necessita' di garanzia dell'adempimento evidenziate nello schema di contratto” (nuovo comma 5-bis dell’art. 2 del D.L. n. 208/2008); 4) l’estensione della disciplina già prevista a favore della continuità della Commissione V.I.A. anche alla Commissione istruttoria per l'autorizzazione ambientale integrata - IPPC, di cui all'art. 10, D.P.R. n. 90/2007 (art. 4-bis della Legge di conversione in oggetto); 5) l’estensione del regime transitorio previsto per il conferimento dei rifiuti in discarica ex art. 17, D.lgs. n. 36/2003, fino al 30 giugno 2009, con possibilità di ulteriore proroga, limitatamente alle discariche per rifiuti inerti o non pericolosi, qualora il Presidente di una regione o di una provincia autonoma ne faccia richiesta entro il 15 marzo 2009 (fermo restando un termine finale, fissato al 31 dicembre 2009, entro il quale le discariche dovranno, comunque, essere adeguate alla disciplina del D.lgs. n. 36/2003); 6) la possibilità per i comuni di adottare la tariffa integrata ambientale (TIA) anche in assenza del regolamento all’uopo previsto dall’art. 238, c. 6, D.lgs. n. 152/2006 (quale dovrebbe definire in maniera uniforme le componenti dei costi sulla base dei quali determinare la tariffa) (nuovo comma 2-quater dell’art. 5, D.L. in oggetto); 7) il rinvio al 30 aprile 2010 del termine per utilizzare la nuova modulistica sul M.U.D. sì come introdotta dal D.P.C.M,. 2 dicembre 2008, con salvezza, per le dichiarazioni da presentare entro il 30 aprile 2009 (in riferimento all'anno 2008) del modello allegato al precedente D.P.C.M. 24 dicembre 2002 e successive modifiche e integrazioni (nuovo comma 2-quinquies, art. 5 citato); 8) la sottrazione al regime dei rifiuti delle materie prime secondarie “…stoccate presso gli impianti autorizzati alla gestione dei rifiuti in base alle vigenti norme ambientali, che effettuano una o piu' delle operazioni di recupero dei rifiuti provenienti dalla raccolta differenziata urbana o da raccolte dedicate di rifiuti speciali recuperabili in carta e cartone, vetro, plastica e legno”, qualora vengano rispettate le disposizioni in materia di tutela della sicurezza dei lavoratori, di prevenzione incendi e le norme in tema di protezione dell'ambiente e della salute e, comunque, per un periodo di dodici mesi a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione in oggetto e, sempre, nel rispetto della capacita' annua autorizzata dell'impianto o, in mancanza della stessa, della potenzialita' dell'impianto (al ricorrere di tali condizioni le m.p.s. saranno da considerarsi destinate “in modo effettivo ed oggettivo all'utilizzo nei cicli di consumo e di produzione, ai sensi e per gli effetti dell’art. 3, c. 3, D.M. 5 febbraio 1998” – dunque non potranno essere considerate “rifiuti” ex art. 183, c. 1, lett. A, D.lgs. n. 152/2006); 9) l’inserimento di un’importante norma di interpretazione autentica in materia di “Normale tollerabilita' delle immissioni acustiche” (nuovo art. 6-ter, D.L. in oggetto) in forza della quale nell'accertare la normale tollerabilita' delle immissioni e delle emissioni acustiche, ai sensi dell'articolo 844 del codice civile, dovranno essere “…fatte salve in ogni caso le disposizioni di legge e di regolamento vigenti che disciplinano specifiche sorgenti e la priorita' di un determinato uso”; 10) l’ulteriore norma interpretativa relativa alla classificazione dei rifiuti contenenti idrocarburi con frase di pericolo H7, «cancerogeno», la quale dovrà avvenire conformemente a quanto indicato per gli idrocarburi totali nella Tabella A2 dell'Allegato A al D.M. 7 novembre 2008; 11) un’ulteriore disposizione volta a limitare il consumo di carta nella pubblica amministrazione, a tenore della quale il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, oltre ad organizzare iniziative e strumenti di monitoraggio e verifica, dovrà realizzare progetti e campagne di comunicazione anche con riferimento alla riduzione dei formati di stampa ed all'uso del fronte-retro, all'utilizzo di carta con spessore ridotto o di carte generate da macero,

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all'utilizzo di testi in formato elettronico in alternativa alla stampa cartacea, al riutilizzo delle stampe di prova e dei vecchi documenti per funzionalita' di carta per appunti (art. 7-bis, l. l. di conversione in oggetto); 12) la modifica apportata all'art. 4 del D.L. n. 314/2003, conv., con modificazioni, dalla l. n. 368/2003, Disposizioni urgenti per la raccolta, o smaltimento e lo stoccaggio, in condizioni di massima sicurezza, dei rifiuti radioattivi, ai sensi del quale detto contributo dovrà essere assegnato annualmente con deliberazione C.I.P.E. “sulla base delle stime di inventario radiometrico dei siti, determinato annualmente con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, su proposta dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), valutata la pericolosita' dei rifiuti” e con ripartizione territoriale in misura del 50 per cento in favore del comune nel cui territorio e' ubicato il sito, in misura del 25 per cento in favore della relativa provincia e in misura del 25 per cento in favore dei comuni confinanti con quello nel cui territorio e' ubicato il sito (in tale ultimo caso in proporzione alla superficie ed alla popolazione residente nel raggio di dieci chilometri dall'impianto) (comma 7-ter, D.L. in oggetto); 13) infine, il cospicuo stanziamento di fondi a favore dei “Progetti ed iniziative di educazione ambientale” di cui al c. 10 dell'art. 12, D.L. n. 35/2005, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 80/2005, (art. 7-quater D.L. in oggetto) e, insieme, l’istituzionalizzazione dei “Progetti di promozione della sensibilita' ambientale nella scuola secondaria superiore e nell'universita'” ai sensi dell’art. 7-quinquies introdotto dalla legge di conversione in commento. (Sintesi a cura dell’Avv. Marco Fabrizio, in collaborazione con la rivista “Ambiente&Sicurezza”)

Antincendio e prevenzione incendi MINISTERO DELL'INTERNO: DECRETO 16 febbraio 2009 Modifiche ed integrazioni al decreto 15 marzo 2005 recante i requisiti di reazione al fuoco dei prodotti da costruzione. (GU n. 48 del 27-2-2009)

Il provvedimento ha modificato e integrato il decreto ministeriale 15 marzo 2005 in materia di requisiti di reazione al fuoco dei prodotti da costruzione installati in attività disciplinate da specifiche disposizioni tecniche di prevenzione incendi in base al sistema di classificazione europeo. In particolare, è stata modificata la comparazione vigente tra la classificazione europea e quella italiana, prevedendo che alcune classi europee corrispondano a classi italiane caratterizzate da una maggiore reazione al fuoco, nel rispetto dei requisiti di sicurezza. Il decreto è entrato in vigore il 28 febbraio 2009. (Sintesi a cura dell’Avv. Sabrina Apicella, Ambiente&Sicurezza, Il Sole 24Ore, 24 marzo 2009, n. 6, p. 101)

Appalti AUTORITÀ PER LA VIGILANZA SUI CONTRATTI PUBBLICI DI LAVORI, SERVIZI E FORNITURE: Determinazione 25 febbraio 2009, n. 2 Affidamento degli incarichi di collaudo dopo il dlgs n. 152/2008

Con il provvedimento in rassegna, l’Autorità ha fornito agli operatori alcune indicazioni in ordine alla fase di affidamento degli incarichi di collaudo, anche in base a segnalazioni provenienti dalla Commissione europea. In particolare, l’Autorità ha richiamato il disposto dell’art. 120 del Codice dei lavori pubblici, evidenziando che il collaudo relativo a un contratto pubblico di lavori, servizi e forniture va affidato in via prioritaria al personale interno della stazione appaltante, in possesso dei requisiti fissati preventivamente in relazione alla complessità della prestazione. L’affidamento deve essere motivato dalla esperienza e competenza dell’interessato, nel rispetto dei principi della proporzionalità, della trasparenza e della rotazione, assicurando anche una adeguata pubblicità degli incarichi affidati. Al personale dipendente della stazione appaltante incaricato del collaudo spetta un incentivo per l’attività svolta, come già stabilito dall’articolo 92, co. 5, del Codice. In caso di carenza di organico, la stazione appaltante deve verificare la possibilità di

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affidare il collaudo a dipendenti di un’altra amministrazione. Gli eventuali affidamenti esterni dell’incarico di collaudo, invece, devono avvenire mediante procedure a evidenza pubblica, nel rispetto delle disposizioni che riguardano l’affidamento di servizi di architettura e ingegneria. I dipendenti pubblici non possono partecipare alle gare, a eccezione dei casi in cui è consentito lo svolgimento della libera professione dalle norme sul pubblico impiego. Il collaudo deve comprendere ogni attività di verifica tecnica e, ove necessario, il collaudo statico. Le società di ingegneria possono partecipare alle procedure concorsuali, ma devono indicare il responsabile della prestazione, in analogia con quanto previsto per gli incarichi di progettazione. Per favorire la più ampia partecipazione dei soggetti interessati alle gare, i requisiti dovranno essere proporzionati alla prestazione richiesta e comprendere anche le altre prestazioni professionali. (Tiziana Krasna, Diritto e Pratica Amministrativa, Il Sole 24 Ore, 1° marzo 2009, n. 3, p. 111)

Aria MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE: COMUNICATO Approvazione della deliberazione del Comitato nazionale di gestione e attuazione della direttiva 2003/87/CE. (GU n. 45 del 24-2-2009)

Sono state pubblicate sul sito WEB del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (http://www.minambiente.it/) le deliberazioni n. 02/2009 e 03/2009 inerenti il rilascio dell'autorizzazione e l'aggiornamento delle autorizzazioni ad emettere gas a effetto serra ai sensi del decreto legislativo 4 aprile 2006, n. 216 e successive modifiche e integrazioni.

Economia, Finanze, Agevolazioni e Fisco LEGGE 27 febbraio 2009, n. 14 Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni finanziarie urgenti. (GU n. 49 del 28-2-2009 - Suppl. Ordinario n.28) MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE: CIRCOLARE 13 febbraio 2009, n. 11434 Istruzioni applicative dell'art. 2 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 convertito con modificazioni dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2 - Mutui prima casa (Seguito circolare del 28 dicembre 2008). (GU n. 48 del 27-2-2009) MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE: CIRCOLARE 2 febbraio 2009, n. 5 Aggiornamento della codificazione dei dati gestionali delle Amministrazioni centrali dello Stato. (GU n. 45 del 24-2-2009)

Demanio DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 9 febbraio 2009 Identificazione delle aree demaniali marittime e del mare territoriale di preminente interesse nazionale della regione Friuli-Venezia Giulia. (GU n. 50 del 2-3-2009)

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Lavoro AGENZIA PER LA RAPPRESENTANZA NEGOZIALE DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI: COMUNICATO 27 febbraio 2009 Contratto collettivo nazionale di lavoro per il personale non dirigente del comparto degli enti pubblici non economici biennio economico 2008-2009. (GU n. 48 del 27-2-2009)

Privacy GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI: DISPOSIZIONE 12 febbraio 2009 Unificazione e proroga dei termini per l'adempimento delle prescrizioni impartite con il provvedimento del 27 novembre 2008 ai titolari dei trattamenti effettuati con strumenti elettronici relativamente alle attribuzioni delle funzioni di amministratore di sistema. (GU n. 45 del 24-2-2009 )

Protezione civile DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 3 dicembre 2008 Organizzazione e funzionamento di Sistema presso la Sala Situazione Italia del Dipartimento della protezione civile. (GU n. 41 del 19-2-2009)

Il decreto regolamenta il funzionamento del Centro di coordinamento nazionale istituito presso la Sala Situazione Italia del Dipartimento della protezione civile, con il compito di monitorare e sorvegliare il territorio nazionale al fine di individuare le situazioni emergenziali previste o in atto, seguendone l’evoluzione, nonché al fine di allertare e attivare le diverse componenti e strutture operative del Servizio nazionale della protezione civile concorrenti la gestione delle emergenze.

Pubblica Amministrazione CENTRO NAZIONALE PER L'INFORMATICA NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE: CIRCOLARE 13 febbraio 2009, n. 55 Attività di valutazione del CNIPA relative ai sistemi ICT delle PAC. (GU n.50 del 2-3-2009)

Rifiuti LEGGE 6 febbraio 2009, n. 6 Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulle attivita' illecite connesse al ciclo dei rifiuti. (GU n. 39 del 17-2-2009)

La legge istituisce una Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, per tuta la durata della XVI legislatura, con compiti di: a) indagare sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, sule organizzazioni in esse coinvolte o ad esse comunque collegate, sui loro aspetti societari e sul ruolo svolto dalla criminalità organizzata; b) individuare le connessioni esistenti tra le attività illecite nel settore dei rifiuti e le altre attività economiche, in particolare in riferimento al traffico di rifiuti tra regioni e internazionale; c) verificare l’eventuale esistenza di comportamenti illeciti da parte della p.a., anche in riferimento alle modalità di esercizio dello smaltimento di rifiuti da parte degli enti locali e

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relativi sistemi di affidamento; d) verificare l’eventuale sussistenza di attività illecite relative ai siti inquinati nel territorio nazionale; e) verificare la corretta attuazione della normativa vigente in materia di rifiuti pericolosi e relativa caratterizzazione. La Commissione dovrà riferire al Parlamento con cadenza almeno annuale ed è composta da 12 senatori e deputati nominati dai due Presidenti del Senato e della Camera, proporzionalmente al numero dei componenti dei gruppi parlamentari. (Sintesi a cura dell’Avv. Marco Fabrizio, in collaborazione con la rivista “Ambiente&Sicurezza”)

Sicurezza ed igiene del lavoro MINISTERO DEL LAVORO, DELLA SALUTE E DELLE POLITICHE SOCIALI: DECRETO 2 dicembre 2008 Individuazione dei criteri per l'utilizzo e la ripartizione dei fondi per le finalità di cui all'articolo 197, lettera c) del testo unico sulle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. (GU n. 42 del 20-2-2009)

(...) 1. Per le finalità di cui all'art. 197, lettera c) del testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, approvato con decreto del Presidente della Repubblica n. 1124/65 e successive modifiche ed integrazioni, le somme assegnate sul capitolo di bilancio a tal fine destinato dovranno essere utilizzate: a) nella misura del 30% per contribuire alla realizzazione di studi e ricerche sulle discipline infortunistiche e di medicina sociale; con successivo decreto direttoriale saranno individuate le specifiche tematiche di studio e ricerca da ammettere alla contribuzione, le modalita' di presentazione delle domande, nonche' le procedure di concessione ed erogazione dei contributi; b) nella misura del 70% per il finanziamento di attivita' promozionali ed eventi in materia di salute e sicurezza del lavoro, con particolare riferimento alla predisposizione e realizzazione di «campagne informative» nei settori a piu' elevato rischio infortunistico, nel rispetto della legge 7 giugno 2000, n. 150, e del relativo regolamento di attuazione, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 21 settembre 2001, n. 422; con successivo decreto direttoriale saranno individuate le specifiche campagne informative e le modalita' per il finanziamento delle campagne medesime. (...) CONFERENZA PERMANENTE PER I RAPPORTI TRA LO STATO LE REGIONI E LE PROVINCE AUTONOME DI TRENTO E BOLZANO: ACCORDO 20 novembre 2008 Accordo tra il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, per individuare le priorità per il finanziamento di attività di promozione della cultura e delle azioni di prevenzione della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. (Repertorio atti n. 226/CSR). (GU n. 42 del 20-2-2009)

Sicurezza pubblica DECRETO-LEGGE 23 febbraio 2009, n. 11 Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonche' in tema di atti persecutori. (GU n. 45 del 24-2-2009)

Trasporti MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI: DECRETO 5 febbraio 2009 Riconoscimento degli esperti per l'esecuzione delle prove sulle cisterne dei carri-cisterna ai sensi del paragrafo 6.8.2.4.6 del regolamento concernente il trasporto di merci pericolose per ferrovia (RID). (GU n. 42 del 20-2-2009)

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Legge e prassi

Acque

Piemonte LR 11 febbraio 2009, n. 5 Abrogazione dell'articolo 29 della legge regionale 23 maggio 2008, n. 12 (Legge finanziaria per l'anno 2008). (BUR 12 febbraio 2009, n. 6)

L'articolo 29 della legge regionale 23 maggio 2008, n. 12, che ha introdotto una modifica al Piano di tutela delle acque, è abrogato a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge stessa.A decorrere stessa dalla data vige nuovamente la lettera d) dell'articolo 23 delle norme del Piano di tutela delle acque, approvato con deliberazione del Consiglio regionale 13 marzo 2007, n. 117 - 10731. Successive modificazioni alla citata lettera d) sono apportate con deliberazione del Consiglio regionale.

Agricoltura, Ambiente e Territorio

Lazio Determinazione 16 febbraio 2009, n. 231 Approvazione delle “Norme tecniche di difesa integrata e controllo delle erbe infestanti per l’applicazione della Misura 214, pagamenti agro-ambientali, Azione 214,1, agricoltura integrata, del Programma di Sviluppo Rurale per il periodo 2007-2013 attuativo del Regolamento CE n. 1698/2005 art. 36 (a) (iv) e art. 39” (BUR 7 marzo 2009, n. 9, suppl. ord. n. 33)

Liguria Delib.G.R. 12 febbraio 2009, n. 119 Programma regionale di Sviluppo Rurale 2007-2013 - misure 112 e 121. Individuazione delle fattispecie di violazione di impegni e dei livelli di gravità, entità e durata per ciascuna violazione, ai sensi del D.M. 20 marzo 2008. (BUR 11 marzo 2009, n. 10)

Lombardia D.Dirig. 23 febbraio 2009, n. 1696 Modifica ed integrazioni del D.Dirig. 3 dicembre 2008, n. 14236 "Modalità per la comunicazione dei dati relativi ai controlli delle emissioni richiesti dall'Autorizzazione Integrata Ambientale rilasciate ai sensi del D.Lgs. 18 febbraio 2005, n. 59". (BUR 2 marzo 2009, n. 9)

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D.Dirett. 19 febbraio 2009, n. 1638 Utilizzo agronomico di letami, liquami, fanghi, acque reflue e fertilizzanti azotati diversi dagli effluenti di allevamento, ai sensi della Delib.G.R. n. 8/5868 del 21 novembre 2007 (BUR 23 febbraio 2009, n. 8) Delib.G.R. 11 febbraio 2009, n. 8/8950 Modalità per la valutazione ambientale dei Piani comprensoriali di tutela del territorio rurale e di riordino irriguo (art. 4, L.R. n. 12/2005; Delib.C.R. n. VIII/351/2007). (BUR 23 febbraio 2009, n. 8, suppl. straord. 26 febbraio 2009, n. 2) Delib.G.R. 11 febbraio 2009, n. 8/8952 Determinazioni in merito alla verifica della sussistenza dei requisiti di organizzazione e di competenza tecnico-scientifica per l’esercizio delle funzioni paesaggistiche (art. 146, comma 6 del D.Lgs. n. 42/2004) – Proroga dei termini stabiliti dalla Delib.G.R. n. 8/7977/2008 a seguito del decreto legge n. 207 del 30 dicembre 2008. (BUR 23 febbraio 2009, n. 8)

Marche Delib.G.R. 23 febbraio 2009, n. 283 L. 164/98 - Sviluppo acquacoltura in acque dolci - Misura 2 - Approvazione criteri e modalità per l’accesso ai benefici regionali - euro 37.624,09 cap. 31106218. (BUR 6 marzo 2009, n. 23)

Molise Delib.G.R. 2 febbraio 2009, n. 66 Progetto denominato: "Natural Risk Prevention in Mediterranean Countries", acronimo NARPIMED approvato dalla Commissione Europea - Divisione Generale Ambiente, in data 30 settembre 2008, per sviluppare tecniche, metodi e procedure per promuovere politiche di prevenzione dai rischi naturali (in particolare quello sismico) a livello nazionale o europeo, condivise tra i diversi partners attraverso la redazione di un apposito Manuale della Prevenzione - Provvedimenti. (BUR 16 febbraio 2009, n. 3)

Piemonte D.P.G.R. 23 febbraio 2009, n. 2/R Regolamento regionale recante: "Integrazioni ed ulteriori modifiche al regolamento regionale approvato con D.P.G.R. 29 ottobre 2007, n. 10/R: Disciplina generale dell'utilizzazione agronomica degli effluenti zootecnici e delle acque reflue e programma di azione per le zone vulnerabili da nitrati di origine agricola (Legge regionale 29 dicembre 2000, n. 61)" (BUR 26 febbraio 2009, n. 8, suppl.)

Aree cimiteriali

Basilicata L.R. 24 febbraio 2009, n. 3 Cimiteri per animali d'affezione. (BUR 1° marzo 2009, n. 10)

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Marche Reg. 9 febbraio 2009, n. 3 Attività funebri e cimiteriali ai sensi dell'articolo 11 della legge regionale 1° febbraio 2005, n. 3. (BUR 19 febbraio 2009, n. 17)

Difesa della fauna

Emilia-Romagna L.R. 2 marzo 2009, n. 1 Norme per la definizione del calendario venatorio regionale per le stagioni venatorie 2009/2010, 2010/2011 e 2011/2012. Modifiche alla legge regionale 15 febbraio 1994, n. 8 (Disposizioni per la protezione della fauna selvatica e per l'esercizio dell'attività venatoria). (BUR 2 marzo 2009, n. 32)

Economia, finanza, agevolazioni, fisco

Basilicata L.R. 16 febbraio 2009, n. 2 Bilancio di previsione per l'esercizio finanziario 2009 degli enti ed organismi comunque costituiti dipendenti dalla Regione. (BUR Basilicata 20 febbraio 2009, n. 9) L.R. 16 febbraio 2009, n. 1 Legge regionale per lo sviluppo e la competitività del sistema produttivo lucano". (BUR 20 febbraio 2009, n. 9)

Campania Delib.G.R. 23 febbraio 2009, n. 257 Attività di supporto alla Programmazione Unitaria nell'ambito dell'Accordo di Programma Quadro "Azioni di Sistema" per l'attuazione dell'Intesa Istituzionale di Programma della Campania del 16 febbraio 2000. (BUR 9 marzo 2009, n. 16)

Liguria L.R. 18 febbraio 2009, n. 3 Modifiche alla LR 24 dicembre 2008, n. 44 (Disposizioni collegate alla legge finanziaria 2009). (BUR 25 febbraio 2009, n. 4) L.R. 16 febbraio 2009, n. 1 Istituzione del Gruppo Europeo di Cooperazione Territoriale (GECT) Euroregione Alpi Mediterraneo. (BUR 25 febbraio 2009, n. 4)

Lombardia Delib.G.R. 11 febbraio 2009, n. 8/8927 Determinazioni in merito alle modalità di presentazione di Progetti innovativi nei settori agroalimentare, energia-ambiente, sanità e manifatturiero avanzato – Integrazione della Delib.G.R. n. 8/7025/2008. (BUR 23 febbraio 2009, n. 8)

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Edilizia e urbanistica

Molise L.R. 19 febbraio 2009, n. 6 Modifiche alla legge r regionale 18 luglio 2008, n. 25, recante: "Interventi per il recupero dei sottotetti, dei locali interrati e seminterrati e dei porticati". (BUR 28 febbraio 2009, n. 4)

Enti e istituzioni

Abruzzo Delib.G.R. 9 febbraio 2009, n. 31 L.R. n. 77/1999 - Ridefinizione delle Direzioni Regionali - Definizione degli obiettivi (BUR 27 febbraio 2009, n. 13)

Molise L.R. 19 febbraio 2009, n. 7 Modifiche alla legge regionale 27 gennaio 1999, n. 2, recante: "Norme sull'autonomia organizzativa, funzionale e contabile del Consiglio regionale". (BUR 28 febbraio 2009, n. 4)

Sicurezza

Emilia-Romagna L.R. 2 marzo 2009, n. 2 Tutela e sicurezza del lavoro nei cantieri edili e di ingegneria civile. (BUR 2 marzo 2009, n. 33)

Art. 1. Principi. 1. La Regione Emilia-Romagna, con la presente legge, promuove livelli ulteriori di intervento e garanzia rispetto a quanto previsto dalla normativa statale di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori nei cantieri edili e di ingegneria civile, temporanei o mobili, a committenza pubblica o privata. 2. La Regione esercita le proprie competenze ai sensi dell'articolo 117, comma terzo, della Costituzione nel rispetto dei principi fondamentali riservati alla legislazione statale in materia di tutela e sicurezza sul lavoro. (…) Art. 3. Promozione della sicurezza nei cantieri. 1. La Regione promuove la realizzazione di interventi diretti alla tutela della salute e della sicurezza nei cantieri, alla prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali, al contrasto dell'irregolarità delle condizioni di lavoro, alla diffusione della cultura della sicurezza, della legalità e della qualità del lavoro, favorendo la piena e più efficace applicazione, anche in sede locale, dei relativi strumenti normativi ed attuativi. 2. A tal fine la Regione promuove: a) la realizzazione di attività formative rivolte ai lavoratori che operano nel cantiere, comprensive dei percorsi volti a garantire gli standard formativi individuati dalla Giunta regionale per l'apprendistato in edilizia;

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b) la realizzazione di attività formative rivolte ai lavoratori e ai soggetti incaricati di assicurare in sede progettuale ed esecutiva l'adozione delle misure di sicurezza, relativamente a lavori particolarmente complessi o pericolosi; c) la realizzazione di attività formative per il personale preposto alla vigilanza sui cantieri; d) la sottoscrizione di accordi con ordini e collegi professionali, organismi paritetici di settore ed altri enti competenti, al fine di assicurare il coordinamento delle attività di formazione e il riconoscimento di crediti formativi previsti dalle disposizioni vigenti; e) la realizzazione di moduli formativi specifici sulla sicurezza e sulla tutela della salute nei cantieri per giovani e adulti non occupati che frequentano percorsi di formazione professionale finalizzati all'inserimento lavorativo in edilizia; f) la realizzazione di moduli formativi specifici sulla sicurezza e sulla tutela della salute rivolti agli imprenditori e ai lavoratori autonomi che operano nel cantiere, nonché ai soggetti che intendono intraprendere tali attività. 3. La Regione promuove, altresì, la sottoscrizione di accordi con gli enti competenti nelle materie di cui alla presente legge e le associazioni di rappresentanza dei lavoratori e delle imprese di settore, finalizzati: a) all'informazione, assistenza e consulenza ai lavoratori e alle imprese; b) al perseguimento della legalità e regolarità del lavoro; c) al miglioramento dei livelli di tutela definiti dalle disposizioni vigenti; d) alla valorizzazione della responsabilità sociale delle imprese; e) all'adozione di modelli di organizzazione e di gestione ai sensi dell'articolo 30 del decreto legislativo n. 81 del 2008; f) a definire forme di incentivazione, anche economica, a favore dei lavoratori correlate all'adozione di misure di sicurezza e tutela della salute ulteriori rispetto a quelle previste dalle disposizioni vigenti. 4. Ai sensi del comma 3 la Regione promuove, in particolare, la sottoscrizione di accordi preordinati alla definizione di un sistema di prescrizioni rivolte alle imprese ed ai soggetti che a qualunque titolo operano nei cantieri. Tali accordi vincolano gli aderenti al rispetto di quanto in essi disposto e possono essere riconosciuti dalla Regione, che a tal fine si esprime sentito il Comitato regionale di coordinamento di cui all'articolo 7 del decreto legislativo n. 81 del 2008, a condizione che prevedano: a) prescrizioni volte a definire buone prassi, norme di buona tecnica ovvero codici di condotta, da adottare nello svolgimento delle attività in cantiere; b) la definizione delle modalità organizzative e procedimentali di individuazione e di aggiornamento delle prescrizioni di cui alla lettera a); c) la definizione delle modalità di adesione volontaria, piena e incondizionata, alle prescrizioni di cui alla lettera a) da parte dei soggetti esecutori che, a qualunque titolo, svolgono la propria attività nell'ambito del cantiere; d) l'individuazione di idonee e specifiche modalità di controllo sull'effettiva adozione delle prescrizioni di cui alla lettera a) da parte delle imprese che hanno sottoscritto tali accordi. 5. Nel caso di lavori particolarmente complessi o particolarmente pericolosi, gli accordi di cui al comma 4 possono essere definiti direttamente tra i committenti, le imprese esecutrici e le associazioni di rappresentanza dei lavoratori e delle imprese di settore. 6. La Regione approva gli indirizzi per la tutela della salute e la prevenzione degli infortuni nel comparto delle costruzioni, sentito il Comitato regionale di coordinamento di cui all'articolo 7 del decreto legislativo n. 81 del 2008, in coerenza con gli accordi tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome per la tutela della salute e la prevenzione nei luoghi di lavoro. 7. La Regione promuove, anche attraverso la rete degli sportelli unici per le attività produttive e per l'edilizia, l'informazione e la divulgazione ai cittadini, alle imprese, ai professionisti del settore e alle relative associazioni, ordini e collegi, delle informazioni relative agli strumenti di incentivazione di cui al Capo III e agli atti di attuazione della presente legge. (…)

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DURC

Le novità in materia di DURC Con l’avvio del 2009 continuano gli assestamenti della disciplina del DURC con interventi normativi, precisazioni interpretative e introduzioni di nuovi adempimenti. Teniamo presente che sul Documento unico di regolarità contributiva vigono ormai due discipline parallele, in gran parte coincidenti, ma con particolarità distinte: il rilascio del DURC per la partecipazione ad appalti e lavori privati da un lato; il possesso del DURC per la fruizione dei benefici e incentivi dall’altro (cosiddetto DURC interno). Pietro Gremigni, Il Consulente Immobiliare, Il Sole 24Ore, n. 833/2009, p. 442 Rilascio del DURC negli appalti pubblici Dal 28 gennaio 2009 le stazioni appaltanti pubbliche devono acquisire d’ufficio, anche attraverso strumenti informatici, il Documento unico di regolarità contributiva (DURC) dagli istituti o dagli enti abilitati al rilascio in tutti i casi in cui è richiesto dalla legge. Pertanto, l’obbligo di richiedere il DURC in tutti i casi di appalti pubblici di lavori, servizi e forniture è diventato a esclusivo carico delle stazioni appaltanti e non più delle imprese appaltatrici o subappaltatrici. Quanto previsto è frutto dell’art. 16-bis, comma 10, della legge 2/2009 che ha convertito il D.L. 185/2008. L’INAIL ha già preso atto della modifica con la nota del 4 febbraio 2009, nella quale si evidenzia che l’applicativo informatico DURC è già predisposto per ricevere le richieste da parte delle stazioni appaltanti le quali, ai sensi dell’art. 3, comma 2, del D.M. 24 ottobre 2007, hanno l’obbligo di utilizzare esclusivamente la via telematica. La nota INAIL rammenta che le stazioni appaltanti che sono in possesso di una casella di posta certificata possono ricevere il DURC all’indirizzo PEC indicato in fase di richiesta. Al momento, tale possibilità è data nel solo caso di richiesta di DURC per appalti pubblici di lavori emessi dalle Casse edili. Si tratta di una semplificazione indubbia per le imprese appaltatrici che però potrebbe scontrarsi con la lentezza della stazione appaltante pubblica nell’intraprendere l’iter burocratico richiesto. DURC e benefici contributivi I datori di lavoro di qualsiasi settore, edilizia compresa, che fruiscono di benefici contributivi e normativi devono essere in possesso di alcuni requisiti ossia del cosiddetto DURC interno. In particolare devono: – avere rispettato i contratti e gli accordi collettivi; – non avere a proprio carico provvedimenti definitivi in ordine alla commissione di violazioni in materia di tutela delle condizioni di lavoro, indicate nell’allegato A del D.M. 24 ottobre 2007, ovvero deve essersi compiuto il decorso del periodo indicato dallo stesso allegato, relativo a ciascun illecito. Ebbene sul primo punto il Ministero del lavoro con la circ. n. 34/2008 ha stabilito che il requisito non può essere autocertificato dall’impresa, in quanto deve costituire oggetto di accertamento e verifica amministrativa che porterà, nel caso, in un secondo momento alla revoca dei benefici qualora non venissero riscontrati i requisiti.

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Rispetto al secondo aspetto, invece, l’impresa deve attestare l’inesistenza di condanne, con apposita autocertificazione, firmata dal legale rappresentante, da presentare alla Direzione provinciale del lavoro territorialmente competente in base alla sede legale. L’autocertificazione deve essere fornita una sola volta utilizzando esclusivamente il modulo allegato alla circolare ministeriale. Ogni eventuale modifica di quanto dichiarato dovrà essere tempestivamente comunicata alla stessa DPL presso la quale è stata depositata. In sede di prima applicazione, la presentazione di detta autocertificazione deve essere effettuata entro il 30 aprile 2009.

BENEFICI CONTRIBUTIVI – Contratto di apprendistato; – contratto di inserimento; – assunzione di disoccupati/cassintegrati di lunga durata; – assunzione dalle liste di mobilità; – assunzione di disabili; riduzione dell’11,50% in edilizia; – assunzione di sostituti a termine di lavoratori in congedo di maternità. BENEFICI ECONOMICI Sotto-inquadramento e non computabilità per i lavoratori con contratto di inserimento e apprendistato

DURC e impresa straniera Rispondendo all’interpello n. 6/2009, il Ministero del lavoro ha affrontato il problema se un’impresa straniera che distacca propri lavoratori in Italia per eseguire per esempio un contratto di appalto con un committente italiano debba o meno essere in possesso del DURC. Il Ministero distingue:

1. le imprese che hanno sede in un Paese extracomunitario: in questo caso sulla base delle regole di diritto internazionale privato (art. 61, legge 285/1985) e sempre che non sussistano norme di diritto internazionale pattizio che dispongano diversamente, è applicabile l’intera normativa italiana, compreso l’obbligo di chiedere il rilascio del DURC, salvo che si tratti di appalto pubblico dove, come detto poc’anzi, l’obbligo ricade sulla stazione appaltante;

2. le imprese che hanno sede in uno Stato membro dell’Unione europea: in tale caso l’impresa dovrà presentare la documentazione rilasciata dall’organismo competente straniero da cui risulti il rispetto degli adempimenti in materia contributiva, equivalenti al possesso del DURC. La questione viene risolta sulla base degli stessi criteri adottati nell’interpello n. 24/2007 nel quale è stato precisato che le imprese extracomunitarie devono, per lavori nell’ambito dell’edilizia, iscriversi alla Cassa edile, mentre per quelle comunitarie tale obbligo sussiste soltanto qualora le stesse non abbiano già posto in essere, presso un organismo pubblico o di fonte contrattuale, quegli adempimenti finalizzati a garantire gli stessi standard di tutela derivanti dagli accantonamenti imposti dalla disciplina contrattuale vigente nel nostro Paese.

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Energie rinnovabili

Progettazione, la tecnologia supera gli obblighi di legge: nessun ostacolo per i tecnici Un’analisi della fattibilità per i progettisti dei principali obblighi stabiliti dalla legge per il nuovo. I requisiti normativi risultano poco stringenti per i tecnici. Il nodo della disomogeneità del quadro normativo tra interventi nazionali e regionali Dario Bellatreccia, Edilizia e Territorio, Il Sole 24 Ore, 2 marzo 2009, n. 8, pag.13 Un'analisi della fattibilità per i progettisti dei principali obblighi stabiliti dalla legge per il nuovo. I requisiti normativi risultano poco stringenti per i tecnici. Il nodo della disomogeneità del quadro normativo tra interventi nazionali e regionali. Il quadro normativo di recepimento della direttiva 2002/91/Ce, relativa al rendimento energetico degli edifici, è ormai ricco di riferimenti, e purtroppo non del tutto limpido e comprensibile. Storicamente, la legge n. 10 del 1991 aveva identificato ruoli e metodologie per un processo di valutazione "oggettivo": i risultati sono stati piuttosto deludenti. Ben poca efficienza, soprattutto per l'assenza di chiari meccanismi incentivanti e cogenti, che rendessero la certificazione energetica un vantaggio competitivo e un obbligo al tempo stesso. A questo quadro si è sovrapposto il Dlgs 192, con le successive integrazioni del Dlgs 311: dal 2005 a oggi il legislatore è ripetutamente intervenuto, rimanendo sostanzialmente coerente con i presupposti tecnici della legge 10/1991 ma introducendo indici prestazionali teoricamente inconfutabili, che poi le amministrazioni locali avrebbero dovuto utilizzare per costringere (attraverso i valori Eplimite) e per premiare (attraverso le classi energetiche). Va sottolineato che questo notevole sforzo è diretto, a oggi, a fronteggiare le sole problematiche invernali: le norme sono cioè concentrate a regolamentare e a rendere più efficienti gli interventi finalizzati al controllo delle condizioni di comfort nella stagione fredda. In inverno, i consumi sono dovuti al riscaldamento, e quindi si concretizzano in metri cubi di gas, in larga parte importati, il che rappresenta certamente un rischio sistemico, che la normativa tenta di limitare. In questo senso, queste leggi sono incomplete, e rischiano di non considerare un altro pericolo, altrettanto serio. Durante l'estate, l'accendersi praticamente contemporaneo di una molteplicità di gruppi per il condizionamento genera picchi di assorbimento di potenza elettrica, che rendono decisamente più complicato il controllo di stabilità della rete. E comunque, una parte larghissima della nostra potenza elettrica è generata, di nuovo, da centrali turbogas e causa, quindi, ulteriore dipendenza dai metanodotti esteri. Al di là di queste considerazioni, le Regioni hanno recepito l'input del 192 e del 311: hanno utilizzato la clausola di cedevolezza (articolo 17), producendo normative regionali che in diversi casi hanno colmato i vuoti lasciati dalla mancanza di decreti attuativi e di linee guida; in altri casi hanno introdotto vincoli non del tutto armonizzati, creando diversi disagi ai professionisti che si aspettavano, ovviamente, di poter operare in un quadro omogeneo. Il fattore di forma S/V Per i fabbricati di nuova costruzione, il mix di best practices è ampio e complesso: in primis, il cosiddetto fattore di forma S/V, sul quale il progettista può lavorare a ridurre le superfici in ragione dei volumi utili. Ridurre la superficie a parità di volume è certamente efficiente: la dispersione termica (così come i carichi solari per la climatizzazione) sono proporzionali all'estensione in metri quadri di facciate e coperture. Una scelta accurata dell'orientamento, una forma compatta, con poco movimento e dinamismo su coperture e facciate (per dirla in gergo architettonico), facilita la gestione energetica dell'edificio, anche se rende più difficoltosa l'opera di valorizzazione estetica.

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E d'altra parte, gran parte della piccola edilizia residenziale (case singole e a schiera) è caratterizzata, per forza di cose e per richiesta di mercato, da rapporti S/V non certo eccezionali. Il Dlgs 311 parametrizza i valori Eplimite in ragione dei valori S/V, proprio nell'intento di non penalizzare troppo le residenze unifamiliari, o le schiere di villini, per le quali l'attuale mercato immobiliare, e in particolar modo quello dei piccoli costruttori, ha un'evidente preferenza. Rispetto all'approccio CasaClima, che non tiene conto della geometria dell'edificio, la normativa nazionale facilita il progettista, ma in qualche modo rende meno comparabili i risultati finali. Se i valori di Energy Performance e quindi le classi energetiche dovevano corrispondere, quasi automaticamente, a bollette energetiche più o meno salate, con il parametro S/V questa correlazione si perde, e fabbricati in classi energetiche "buone" potrebbero avere, a parità di zona climatica, bollette più costose (a parità di superficie utile) rispetto a residenze con classi energetiche più "scarse", solo perché i rispettivi indici Ep diventano più laschi quando si parla di villette a schiera. I valori Ep richiesti sono facilmente raggiungibili, sui nuovi fabbricati, utilizzando isolamento a cappotto, infissi ad alte prestazioni, e una tecnologia di impianti ormai disponibile a costi non troppo dissimili da quelli tradizionali. Per l'isolamento a cappotto, la difficoltà è semmai rappresentata dal rischio di perdere superficie utile lorda: i muri perimetrali aumentano infatti di spessore, da pochi centimetri fino a oltre 15 cm. Diverse amministrazioni locali hanno modificato i regolamenti edilizi per bilanciare queste perdite di valore commerciale. La trasmittanza Dal punto di vista tecnologico, le trasmittanze (massime) consentite dalla norma per le pareti opache, sia verticali che orizzontali, sono facilmente raggiungibili con soluzioni disponibili, mature, di semplice installazione, presso diversi fornitori, il che assicura adeguata concorrenza. L'acquirente finale avrà qualche perplessità quando, alla classica "bussata" sul muro perimetrale, avrà una sensazione di "vuoto e leggero", diversamente da quanto accade con la tamponatura tradizionale, che suona "piena e solida". Analoghe considerazioni valgono per le superfici trasparenti: il mercato offre infissi e serramenti che garantiscono prestazioni termiche adeguate, con doppi e tripli vetri, e taglio termico, con trasmittanze dell'ordine di 0,8 W/m 2 K, quando la norma nelle condizioni più critiche richiede 1,3 W/m 2 K. Sono stati recentemente annunciati infissi "attivi", i quali attraverso sensori e meccanismi di ventilazione sono in grado di ridurre ulteriormente questi valori. Gli impianti termici Per gli impianti termici, utilizzati per il riscaldamento e la produzione di acqua calda sanitaria, la norma definisce un rendimento minimo (intorno all'80%), che cresce all'aumentare della potenza. Ciò perché da sempre, caldaie più potenti e costose impiegano materiali e tecnologie più efficienti. In generale, la centralizzazione degli impianti consentirebbe sinergie, economiche, di rendimenti e in termini di fattori inquinanti, tutte positive. Non a caso le normative ultime ( Dlgs 115/2008) cominciano a introdurre alcuni meccanismi premianti (e in parte obbligatori) per la misurazione dell'energia, condizione necessaria (anche se non sufficiente) per avere produzione centralizzata e pagamenti equi per usi discontinui, com'è tipicamente quello residenziale. Le famose tabelle millesimali per pagare il riscaldamento dovranno, presto o tardi, andare in pensione, altrimenti non sarà possibile arginare l'utilizzo di inefficienti e altamente inquinanti caldaie autonome. Si ricordi che il rendimento termico di tali impianti è calcolato (Dpr 412) utilizzando il potere calorifico inferiore del combustibile: le ormai famose caldaie ad alta efficienza superano "di slancio" i rendimenti minimi richiesti, arrivando a recuperare gran parte del calore di condensazione dei fumi. Gli impianti di riscaldamento moderni ed efficienti lavorano a temperature più basse, utilizzando ampie superfici radianti, con aumento di comfort e riduzione delle dispersioni, proporzionali ai salti termici. La ventilazione meccanica Sempre nell'alveo delle tecnologie efficienti, la normativa non cita esplicitamente la Vmc, ventilazione meccanica controllata, che invece è dimostrato essere un ottimo strumento di controllo dei consumi. Le tamponature e gli infissi attuali sono ormai a prova di spiffero: le perdite sono

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stimabili con la norma En 13829 - Blower Door Test (letteralmente: test della porta "soffiante") che misura la tenuta all'aria, sia in pressione, scenario tipico invernale (aria calda che "scappa" dall'interno), sia in depressione, scenario tipico estivo (aria calda che "entra" all'interno, a pressione minore). L'assenza di impianti Vmc, obbliga di fatto all'apertura di porte e finestre per il ricambio dell'aria. La norma Uni 13790 (ex En 832) raccomanda, per usi residenziali, 0,5 V/h. Il che equivale a dire che ogni due ore l'intero volume d'aria di un appartamento viene espulso e cambiato, e perciò riportato dalla temperatura esterna alla temperatura interna di progetto (i 20 °C del Dpr 412). Questa prescrizione è ovviamente obbligatoria per il comfort delle persone che utilizzano gli ambienti, e aumenta all'aumentare delle presenze. Se però la ventilazione non è controllata, ed è conseguenza di manovre "manuali" come l'apertura di porte e finestre, allora i volumi scambiati aumentano, ben oltre 1 V/h. Di conseguenza, aumentano inutilmente i consumi, e in termini molto rilevanti: a Bologna, un appartamento di 100 mq con tamponature e infissi di qualità, certificato in classe A (si veda CasaClima, 30 kWh/m 2 ) può esibire viceversa consumi da classe B o C (50 kWh/m 2 o anche oltre) semplicemente perché, in assenza di Vmc, si aprono le finestre per cambiare l'aria. In Francia la Vmc è obbligatoria da tempo, tanto per dare un riferimento. Queste ultime considerazioni aprono un tema vasto e complesso, che è quello della Building e Home Automation: oggi l'elettronica è perfettamente in grado di controllare presenze-assenze di persone nei locali, e di modificare il comportamento degli impianti termici, di illuminazione e di ventilazione in ragione dell'effettivo utilizzo. La normativa vigente di fatto suggerisce, e in parte obbliga, all'utilizzo di tecnologie "sicure" in termini di risultato: isolamento a cappotto, infissi ad alte prestazioni, impianti termici (in gran parte caldaie) ad alta efficienza. Il mercato però offre diverse altre tecnologie che "riducono la bolletta energetica": si tratta di abbattimenti equivalenti o superiori, che hanno spesso il pregio di essere immediatamente misurabili. Sono stati realizzati impianti di illuminazione controllata nei quali l'investimento è rientrato in dieci mesi (si veda il museo Mart, Rovereto), e genera risparmi di decine di migliaia di euro l'anno, che equivalgono evidentemente a consistenti riduzioni di fabbisogno di energia primaria; che però non sono immediatamente contabilizzabili nelle norme, molto sbilanciate sui fabbisogni "termici", ed esplicitamente legate a isolamento, infissi, caldaie. Le detrazioni del 55%, previste nelle passate Finanziarie, parzialmente messe in discussione e poi riconfermate recentemente, incentivano anche queste soluzioni: ma ne complicano nei fatti l'utilizzo, poiché la trasmittanza di murature e infissi è spesso una semplice conseguenza dei dati dei fornitori, ed è quindi facilmente gestibile dal tecnico certificatore. I benefici della Home o Building Automation invece devono seguire un iter di calcolo non del tutto definito e soggetto a diverse interpretazioni. La Finanziaria 2008 ha prorogato gli incentivi fiscali già presenti nella legge 244/2007: le statistiche, fornite dall'Enea, indicano che le richieste di detrazione si sono concentrate sui commi 345, 346 e 347, rispettivamente incentivanti gli infissi a bassa trasmittanza termica e pareti isolanti, l'uso del solare termico per acqua calda sanitaria e riscaldamento, e la sostituzione di caldaie obsolete con le più moderne caldaie a condensazione. Le recenti modifiche, introdotte dal decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, eliminano l'obbligo dell'attestato di certificazione energetica e cancellano la nullità dei contratti di compravendita e di locazione in assenza dell'attestato stesso. I segnali sono quindi contraddittori: da una parte, le detrazioni fiscali rimangono, sia pure dopo qualche trambusto dovuto probabilmente a problemi di copertura finanziaria; dall'altra, si elimina lo strumento cogente forse più efficace, introdotto dal 192/2005 e confermato dal 311/2006, è cioè l'annullamento del contratto. Infine, l'iter di definizione della figura del certificatore è stato reso talmente complesso, che è lecito avere il dubbio di avere di fronte il professionista giusto: le Regioni, in primis la Lombardia e l'Emilia Romagna, hanno stabilito regole non del tutto armonizzate, per le quali un tecnico accreditato in Emilia ha obiettive difficoltà a operare in Lombardia, e viceversa. Tanto per fare un esempio, un chimico può richiedere di accedere agli elenchi dei Certificatori lombardi, mentre in Emilia Romagna lo stesso titolo di studio non è contemplato nella normativa. In Lombardia e in Piemonte la normativa richiede esplicitamente una verifica di ingresso per un professionista proveniente da altre regioni, in Liguria le procedure risultano semplificate, e non viene menzionato un test d'ingresso. Per ogni regione, l'ente che gestisce e aggiorna l'elenco dei Certificatori accreditati è diverso: in alcuni casi è una sorta di società "terza" a proprietà pubblica (Lombardia), in altri casi non è ancora definito (Emilia).

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Conclusioni In definitiva, gli ostacoli all'efficienza energetica nell'edilizia non sono certamente tecnologici: esiste una pluralità di metodi, componenti, soluzioni, le famose best practices, che riescono a soddisfare i requisiti anche più stringenti. Mentre si moltiplicano esempi di case 2 litri, o perfino 1 litro, con riferimento ai consumi annui al m 2 , e quindi con classi energetiche A+ e oltre, il problema sembra essere altrove: quali sono i metodi e gli strumenti per misurare questa efficienza? Chi ha la competenza per misurare e attestare/certificare questi risparmi, chi accredita il "misuratore"? E soprattutto, in quale modo si spendono soldi pubblici per incentivare i migliori, e cioè quelli che, rispetto ai valori Eplimite obbligatori, hanno saputo fare di più? In Emilia le classi energetiche sono definite non tenendo conto né delle zone climatiche, né del fattore S/V, in potenziale conflitto almeno con i concetti della normativa nazionale; ma le classi energetiche hanno tanto più senso, e saranno tanto più "metabolizzate" dall'utilizzatore finale, quanto più forte sarà la politica incentivante, nazionale e locale, che su tali classi farà leva. Il mercato degli elettrodomestici è illuminante: nessuno sa bene quanto acquistare un frigo in classe A ridurrà la sua bolletta elettrica, eppure tutti sappiamo che gli elettrodomestici in classe A sono incentivati da contributi pubblici, e quindi compriamo quelli e non gli altri. Le classi energetiche disomogenee produrranno una distribuzione sperequata di denaro pubblico? La frammentazione della normativa è una conseguenza della complessità della materia, della tecnologia, del nostro territorio, o deriva anche da pressioni lobbistiche di fronte alle quali l'autorità e la credibilità di alcune istituzioni fatica a mantenere autonomia decisionale e coerenza di obiettivi?

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Antincendio e prevenzione incendi

Prodotti ed elementi edili: i chiarimenti del Ministero dell’Interno sulla resistenza al fuoco A circa un anno dall'entrata in vigore del decreto del Ministero dell'Interno 16 febbraio 2007, concernente la classificazione di resistenza al fuoco dei prodotti e degli elementi costruttivi di opere da costruzione, lo stesso Dicastero ha emesso la lettera circolare 24 ottobre 2008, n. 11635, per fornire alcuni importanti chiarimenti. Nello specifico, il Ministero, con il provvedimento ha voluto rispondere ai numerosi quesiti inerenti a quali debbano essere gli atti necessari per poter utilizzare i rapporti di classificazione emessi dai laboratori di altri Stati della Comunità europea o dagli Stati contraenti l'accordo SEE e la Turchia. Marco Albanese, Ambiente & Sicurezza, Il Sole 24 Ore, 10 marzo 2009, n. 5, pag.48 Alla luce dei numerosi quesiti pervenuti al Dipartimento dei Vigili del Fuoco, è emersa la necessità di specificare alcuni aspetti inerenti all'applicazione del decreto del Ministero dell'Interno 16 febbraio 2007 [1] il quale, è opportuno ricordarlo, riveste un ruolo di notevole rilevanza. Infatti, attraverso la sua emanazione, è stato recepito il sistema europeo di classificazione di resistenza al fuoco dei prodotti e degli elementi costruttivi delle opere da costruzione per uniformarli ai requisiti essenziali di "Sicurezza in caso di incendio", stabilito dalla direttiva comunitaria 89/106/CEE. E' opportuno evidenziare, al riguardo, che questo provvedimento europeo è uno dei più complessi e importanti tra quelli emanati sino a oggi, in quanto mira a regolamentare tutti i prodotti destinati a essere permanentemente incorporati in opere di costruzione (gli edifici e le opere d'ingegneria civile). Si tratta di prodotti che, di fatto, devono consentire la costruzione di opere che soddisfano i requisiti essenziali in materia di resistenza meccanica e di stabilità, di igiene, di sanità e di ambiente, di sicurezza di utilizzazione, di protezione dal rumore, di economia di energia, di isolamento termico e di sicurezza in caso d'incendio. Il D.M. 16 febbraio 2007 ha disciplinato proprio questo ultimo requisito trattando, in particolare, i prodotti e gli elementi costruttivi per i quali è prescritto il requisito di resistenza al fuoco ai fini della sicurezza in caso di incendio delle opere nelle quali sono inseriti. La circolare n. 11635/2008 Con la circolare 24 ottobre 2008, n. 11635, il Ministero dell'Interno ha fornito indicazioni sugli atti necessari per poter utilizzare, ai fini della resistenza al fuoco di questi prodotti, i rapporti di classificazione emessi dai laboratori dagli Stati della UE o da quelli contraenti l'accordo SEE e la Turchia, in conformità alle norme tecniche europee. In particolare, per prima cosa è ribadito che il D.M. 16 febbraio 2007 ha consentito l'impiego dei risultati di prova di resistenza al fuoco contenuti nei rapporti di prova e di classificazione redatti in altri Stati della UE o negli Stati contraenti l'accordo SEE e la Turchia, a condizione che sia le prove sia le classificazioni siano eseguite in conformità alle specifiche contenute dalle norme EN indicate nell'Allegato A al D.M. 16 febbraio 2007. Inoltre, è possibile utilizzare anche i rapporti di prova e di classificazione emessi prima della pubblicazione del D.M. 16 febbraio 2007. La nuova circolare ha ribadito che, come stabilito dal D.M. 16 febbraio 2007 (Allegato B, punto B.5), per rapporto di classificazione si intende il documento redatto dal laboratorio di prova in conformità ai modelli previsti dalla norma EN 13501, il quale attesta, sulla base di uno o più rapporti di prova, la classe del prodotto o dell'elemento costruttivo oggetto della prova (si veda la tabella 1). Inoltre, è stato evidenziato che sia i rapporti di prova, sia i rapporti di valutazione (nel caso di prove che si riferiscono a rivestimenti protettivi qualificati secondo le norme ENV 13381) devono essere necessariamente tradotti in lingua italiana. Per quanto concerne i laboratori di prova, il Ministero dell'Interno ha ribadito che a questi deve essere riconosciuta l'indipendenza e la competenza prevista dalla norma EN ISO CEI 17025 o da equivalenti garanzie riconosciute in uno degli Stati stessi.

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Evidenziate alcune disposizioni dettate dal D.M. 16 febbraio 2007, la circolare 24 ottobre 2008, n. 11635, ha proseguito specificando quali siano i documenti che il produttore dei prodotti e degli elementi costruttivi (per i quali è prescritto il requisito di resistenza al fuoco) deve rendere disponibile. Al riguardo è stato precisato che devono essere rese disponibili la traduzione in lingua italiana del rapporto di classificazione (accompagnata da una dichiarazione giurata sulla fedeltà della traduzione), l'atto amministrativo rilasciato da un organismo terzo (pubblico o privato) che garantisca sull'idoneità del laboratorio all'esecuzione delle prove e delle successive classificazioni di cui si chiede l'accettazione. Per quest'ultimo aspetto il Ministero dell'Interno ha precisato che è possibile fare riferimento a documenti quali: - la copia conforme all'originale del documento rilasciato da un organismo di accreditamento dei laboratori appartenente al EA (European co-operation for Accreditation) per operare in conformità alla specifica norma; - la dichiarazione del laboratorio che attesta di essere stato notificato quale organismo di prova alla Commissione dell'Unione europea (con l'indicazione del codice di notifica), con riferimento alla specifica norma; - la copia conforme all'originale di qualsiasi atto amministrativo con il quale lo Stato membro (nel quale risiede il laboratorio) riconosce l'idoneità del laboratorio a operare con riferimento alla specifica norma. Tabella 1

Allegato B, "Modalità per la classificazione in base ai risultati di prove"

Punto Disposizioni

B.1 Le prove di resistenza al fuoco hanno l'obbiettivo di valutare il comportamento al fuoco dei prodotti e degli elementi costruttivi, sotto specifiche condizioni di esposizione e attraverso il rispetto di misurabili criteri prestazionali.

B.2 Le condizioni di esposizione, i criteri prestazionali e le procedure di classificazione da utilizzare nell'ambito delle prove di cui al punto B.1, sono indicate nelle parti 2, 3 e 4 della norma EN 13501.

B.3 Le specifiche dei forni sperimentali, delle attrezzature di prova, degli strumenti di misura e di acquisizione, le procedure di campionamento, conservazione, condizionamento, invecchiamento, installazione e prova e le modalità di stesura del rapporto di prova sono indicate nelle norme EN o ENV richiamate dalle parti 2, 3 e 4 della EN 13501.

B.4 Nel caso in cui una parte della EN 13501 oppure una delle norme EN o ENV in essa richiamate non sia ancora oggetto di una pubblicazione UNI, le prove sono effettuate e la classificazione rilasciata secondo le modalità seguenti: B.4.1 si segue la norma EN o ENV prevista, se disponibile; B.4.2 si segue il progetto di norma europeo (prEN o prENV) previsto, se disponibile e ritenuto sufficiente dal laboratorio di prova in mancanza della possibilità indicata al punto precedente.

B.5 Il rapporto di classificazione è il documento, redatto in conformità ai modelli previsti nella norma EN 13501 da parte del laboratorio di prova, che attesta, sulla base di uno o più rapporti di prova, la classe del prodotto o dell'elemento costruttivo oggetto della prova.

B.6 Il rapporto di prova deve essere rilasciato per prodotti o elementi costruttivi completamente definiti e referenziati nel complesso e nelle parti componenti. Queste definizioni e referenze, riportate sul rapporto di prova da parte del laboratorio, devono essere fornite dal committente della prova e verificate dal laboratorio.

B.7 I rapporti di prova sono redatti in conformità allo specifico paragrafo previsto dalle norme EN 13631, 2 e alle informazioni richieste dalle norme di prova proprie di ciascun prodotto o elemento costruttivo.

B.8 In caso di variazioni del prodotto o dell'elemento costruttivo classificato, non previste dal campo di diretta applicazione del risultato di prova, il produttore è tenuto a predisporre un fascicolo tecnico.

---- [1] "Classificazione di resistenza al fuoco di prodotti ed elementi costruttivi di opere da costruzione", in Gazzetta Ufficiale 29 marzo 2007, n. 74

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Sicurezza ed igiene del lavoro

Milleproroghe e sicurezza sul lavoro: stress e data certa al 16 maggio 2009 Tra le varie proroghe di cui al Dl 30 dicembre 2008, n. 207, convertito nella legge n. 14 del 27 febbraio 2009 (S.O. n. 28 alla Gazzetta Ufficiale n. 49 del 28 febbraio 2009), ne individuiamo alcune, anche di rilevante importanza, riguardanti la materia della sicurezza nei luoghi di lavoro disciplinata dal Dlgs n. 81/2008 Luigi Caiazza, Guida al Lavoro, Il Sole 24 Ore, 13 marzo 2009, n. 11, p. 22 Il nuovo Testo unico sicurezza aveva già previsto l’entrata in vigore differita di alcune disposizioni derivanti anche dalla necessità di fornire, a seconda dei casi, gli strumenti normativi ed organizzativi necessari per il loro corretto adempimento. L’art. 306, comma 2, Tu aveva infatti stabilito che le disposizioni di cui agli artt. 17, comma 1, lett. a) e 28, nonché le altre disposizioni in tema di valutazione dei rischi che a esse rinviano, ivi comprese le relative disposizioni sanzionatorie, sarebbero diventate efficaci decorsi 90 giorni dalla data di pubblicazione del decreto stesso sulla Gazzetta Ufficiale; fino a tale data avrebbero continuato a trovare applicazione le disposizioni previgenti. Il Tu è stato pubblicato sul S.O. n. 108/L alla Gazzetta Ufficiale n. 101 del 30 aprile 2008, per cui nella sua interezza il decreto stesso sarebbe entrato in vigore dal 15 maggio 2008. La deroga di cui all’art. 306 Tu riguarda la valutazione del rischio nonché l’elaborazione del relativo documento riferito esclusivamente ai nuovi obblighi segnatamente riportati nell’art. 28 e nelle altre disposizioni che, negli altri articoli (181, 190, 209, 216, 223, 249, 271 e 290, Dlgs n. 81/2008), direttamente o indirettamente, ad esso si riferiscono differiti alla data del 29 luglio 2008. Con il successivo Dl n. 97 del 3 giugno 2008 (art. 4, comma 2), convertito nella legge 2 agosto 2008, n. 129, sono stati previsti alcuni ulteriori differimenti ai nuovi obblighi introdotti con il Dlgs n. 81/2008. Tali differimenti hanno riguardato: l’obbligo relativo alla denuncia all’Inail e all’Ipsema, ai fini statistici ed informativi, anche degli infortuni che comportino una assenza dal lavoro di almeno un giorno, escluso quello dell’evento (art. 18, comma 1, lett. r); il divieto, da parte del medico competente, ad effettuare le visite mediche in fase preassuntiva (art. 41, comma 3, lett. a). A tali differimenti, con apposito emendamento, presentato in sede di conversione del decreto legge citato, è stato aggiunto anche quello di modificare le parole «decorsi novanta giorni dalla pubblicazione del presente decreto nella Gazzetta Ufficiale » di cui al citato art. 306, comma 2, con quelle: «a decorrere dal 1° gennaio 2009». In sostanza, l’originario termine del 29 luglio 2008, entro il quale il datore di lavoro avrebbe dovuto integrare la valutazione dei rischi (per le aziende già operanti alla data di entrata in vigore del Tu), secondo i nuovi criteri individuati nell’art. 28, comma 1, del Tu e rielaborare il relativo documento della sicurezza, secondo le indicazioni contenute nell’art. 28, comma 2, è stato protratto al 1° gennaio 2009. Il Milleproroghe Malgrado la proroga sopra richiamata, nel frattempo, però, non erano intervenuti quei necessari chiarimenti da parte degli organi competenti per una corretta ed unanime osservanza delle nuove normative, per cui si è reso necessario inserire, nel decreto «Milleproroghe», un ulteriore differimento, fissando le scadenze al 16 maggio 2009, coincidente con l’entrata in vigore (prevista per la stessa data) delle «disposizioni integrative e correttive » al Dlgs n. 81/2008, da adottare ai sensi dell’art. 1, comma 6, della legge delega n. 123/ 2007. Ciò comporterà che i problemi legati alla applicazione delle norme in esame potranno essere più correttamente affrontati e risolti nell’ambito della rivisitazione complessiva delle disposizioni del Testo unico sulla salute e sicurezza sul lavoro.

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La nuova proroga contenuta nell’art. 32 del Dl n.207/2008 riguarda alcuni adempimenti ed obblighi di natura formale o documentale di seguito illustrati. Adempimenti formali Il comma 1 dell’art. 32, Dl n. 207/2008 proroga i termini di applicazione della disposizione relativa alla comunicazione ai fini statistici e informativi all’Inail o all’Ipsema (per i lavoratori marittimi) degli infortuni sul lavoro che comportino un’assenza dal lavoro di almeno un giorno, escluso quello dell’evento (art. 18, comma 1, lett. r, Tu). Visita preassuntiva Alla stessa data del 16.5.2009 è stato protratto il divieto dell’effettuazione della sorveglianza sanitaria (visite mediche obbligatorie) «in fase preassuntiva », da effettuarsi da parte del medico competente. Ciò comporterà che il datore di lavoro dopo tale data, soltanto dopo aver formalizzato l’assunzione, potrà far sottoporre dal medico competente la visita medica preventiva intesa a constatare l’assenza di controindicazioni al lavoro cui il lavoratore è destinato, al fine di valutare la sua idoneità alla mansione specifica. Ciò comporterà anche che, in caso di dichiarata inidoneità sanitaria alle mansioni, il lavoratore dovrà essere assegnato a quelle più confacenti allo stato di salute dichiarato dal medico competente e, soltanto in caso di impossibilità, potrà essere licenziato per giustificato motivo soggettivo (art. 3, legge n. 604/1966) seguendo le procedure del caso. Stress lavoro-correlato Con il comma 2 dell’art. 32, Dl n. 207/2008 viene disposto il differimento al 16 maggio 2009 della parte del Tu riguardante i rischi collegati allo stress lavorocorrelato (art. 28, comma 1) e dell’apposizione della «data certa» sul documento della sicurezza (art. 28, comma 2). La novità relativa allo «stress» era stata introdotta dall’art. 28, comma 1, Tu il quale, nel riscrivere gli obblighi del datore di lavoro e nel prevedere una serie di valutazioni, ha soffermato la propria attenzione anche sui rischi connessi allo stress lavorocorrelato (Slc), secondo i contenuti dell’Accordo europeo 8 ottobre 2004. Tale obbligo, ai fini di una più corretta applicazione, è completato dal contenuto del successivo art. 32 Tu sulle capacità e requisiti professionali degli addetti e responsabili del servizio di protezione e prevenzione (Spp), che al comma 2 stabilisce, appunto, che il responsabile del Spp, per lo svolgimento della propria funzione, oltre ai requisiti riportati al precedente comma 1, è necessario che possieda un attestato di frequenza, con verifica di apprendimento, a specifici corsi di formazione in materia di prevenzione e protezione dei rischi, anche di natura ergonomica e «da stress lavorocorrelato ». La materia, regolamentata inizialmente dall’Accordo quadro europeo 8 ottobre 2004, tra UniceUeapme, Ceep e Ces e realizzato su base volontaria, prevedeva la sua applicazione entro tre anni dalla sua sottoscrizione (art. 7, comma 3). A seguito dell’invito rivolto alle parti sociali dalla Commissione delle Comunità europee ad avviare negoziati in tema di Slc, e quasi in coincidenza, dunque, con l’emanazione del Tu, l’Accordo è stato recepito dalle Confederazioni datoriali italiane e da quelle dei lavoratori, con l’Accordo interconfederale 9 giugno 2008, dopo quindi i tre anni previsti dall’Accordo europeo ai fini della sua applicazione. La proroga prevista dal Dl n. 207/2008 non si ritiene tuttavia totale. Essa, infatti, avrà rilevanza ai fini della non applicazione delle sanzioni penali in caso di inadempimento da parte della generalità dei datori di lavoro (art. 306 Tu). Non si ritienepossa avere, al contrario, rilevanza in sede civilistica (art. 2087 c.c.) nei confronti dei datori di lavoro che aderiscano ad una delle associazioni datoriali che hanno sottoscritto l’Accordo interconfederale al quale si è fatto cenno. Pertanto, il datore di lavoro già potrà essere chiamato a rispondere di eventuali danni che abbiano cagionato l’integrità fisica o morale del lavoratore determinato dall’inosservanza dell’Accordo interconfederale in questione. Fermo restando che lo Slc non è una malattia, esso, più nel merito, può riguardare ogni luogo di lavoro e ogni lavoratore, indipendentemente dalla dimensione dell’azienda, dal settore di attività o dalla tipologia del contratto o del rapporto di lavoro. Lo Slc è dunque una condizione che può essere accompagnata da disturbi o disfunzioni di natura fisica, psicologica o sociale e trova la sua causa dal fatto che alcuni soggetti, esposti ad una prolungata tensione, non si sentono in grado di corrispondere alle richieste o alle aspettative

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riposte in loro. L’individuazione di Slc richiederà una analisi sui fattori che lo determinano, quale l’inadeguatezza nella gestione dell’organizzazione e dei processi di lavoro (disciplina dell’orario di lavoro, grado di autonomia, corrispondenza tra le competenze ed i requisiti professionali richiesti ai lavoratori, carichi di lavoro, ecc.), condizioni di lavoro ed ambientali (esposizione a comportamenti illeciti, rumore, calore, sostanze pericolose, ecc.), comunicazione (incertezza in ordine alle prestazioni richieste, ecc.) e fattori soggettivi (tensioni emotive e sociali, ecc.). A fronte dei risultati di tali valutazioni, sarà compito del datore di lavoro adottare le misure preventive per prevenirle, eliminarle o ridurle, conformemente a quanto avviene per gli altri fattori di rischio di cui all’art. 28 Tu, avvalendosi della professionalità del Rspp che, nel frattempo, ai sensi dell’art. 32, si sia aggiornato sulla nuova problematica. Data certa L’ulteriore proroga contenuta nel comma 2 dell’art.32, Dl n. 207/2008 riguarda la prova che il documento sia stato elaborato in «data certa». In attesa della soluzione della problematica con atto legislativo o amministrativo è tuttavia da rilevare che mentre l’art. 96-bis del Dlgs n. 626/1994 prevedeva che il datore di lavoro che intraprende un’attività lavorativa di cui all’art. 1 del medesimo decreto è tenuto a elaborare il documento della sicurezza, entro tre mesi dall’effettivo inizio dell’attività il nuovo Testo unico nulla dice in proposito, per cui potrebbe ritenersi che la valutazione del rischio e l’elaborazione del relativo documento debbano avvenire prima dell’inizio dell’attività; cioè alla data di inizio dell’attività il datore di lavoro dovrà essere in grado di aver soddisfatto entrambi gli obblighi. Del resto, l’art. 55, commi 1 e 2, Tu che sanziona l’inadempimento all’art. 17, comma 1, lett. a), nell’ipotizzare la violazione fa generico riferimento al datore di lavoro (tale obbligo non è delegabile al dirigente) «che omette la valutazione dei rischi e l’adozione del documento di cui all’articolo 17, comma 1, lett. a)», senza però individuare la data in cui tale omissione si concretizzi. Quanto precede è di estrema importanza in quanto potrebbe verificarsi una ipotesi, tutt’altro che remota, consistente in un accesso ispettivo dopo solo qualche giorno dall’inizio dell’attività senza che l’azienda abbia ancora provveduto ad effettuare la valutazione del rischio e/o elaborato il relativo documento. L’omissione, ai sensi del citato art. 55, potrà essere punita con l’arresto da quattro ad otto mesi o con l’ammenda da 5mila a 15 mila euro e, nei casi più gravi, con l’arresto da sei a diciotto mesi. A tale incertezza si aggiunge, come anticipato, quella comunque inerente l’individuazione della «data certa» e della sua valida dimostrazione. In assenza di qualsiasi indicazione rilevabile dal Testo unico, appare opportuno, salvo tempestive modifiche al testo o attendibili precisazioni, seppure nella complessità della procedura, dover collegare tale previsione di legge alla comune disciplina civilistica in materia di prove documentali e, in particolare, con quanto previsto dagli artt. 27022704 c.c., i quali recano una elencazione non esaustiva degli strumenti per attribuire «data certa» ai documenti, consentendo di provare tale data in riferimento ad ogni «fatto che stabilisca in modo egualmente certo l’anteriorità della formazione del documento» (art. 2704, comma 3, c.c.). Si tratta, in sostanza, come chiarito in altra circostanza dal Garante per la protezione dei dati personali (Newsletter del 5 dicembre 2000), di collegare il documento ad un «fatto oggettivo attribuibile al soggetto che lo invoca, ma sottratto alla sua esclusiva sfera di disponibilità». In questa prospettiva lo stesso Garante indicava, seppure in modo non esauriente, alcuni possibili strumenti utilmente utilizzabili quali:

a) il ricorso alla cd. «autoprestazione» presso gli uffici postali (art. 8, legge n. 262/1999);

b) per le amministrazioni pubbliche, l’adozione di un atto deliberativo di cui sia certa la data in base alla disciplina della formazione, numerazione e pubblicazione dell’atto;

c) apposizione della cd. marca temporale (Dpcm 8 febbraio 1999); d) apposizione di autentica, deposito del documento o vidimazione di un verbale, in conformità alla legge notarile;

e) registrazione o produzione del documento a norma di legge presso un ufficio pubblico.

Trattasi, come è evidente, di un onere amministrativo piuttosto gravoso in termini gestionali, di cui senz’altro tener conto per una eventuale chiara interpretazione, senza escludere, tra le ipotesi legali sopra indicate, quella più pratica che potrebbe coincidere con la data di consegna del

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documento al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza. In tal caso si trasformerebbe tale operazione, subordinata alla richiesta di quest’ultimo (art. 18, comma 1, lett. p, Tu), ad un obbligo incondizionato. Gli altri rischi Implicitamente, il comma 2 dell’art. 32, Dl n. 207/ 2008 conferma l’entrata in vigore già al 1° gennaio 2009 delle nuove disposizioni, riguardanti la valutazione di tutti i rischi e l’elaborazione del relativo nuovo documento, introdotte dall’art. 28 Tu e dalle altre disposizioni ad esso collegabili. Le novità riguardano, tra l’altro, le attività riferibili a gruppi di lavoro esposti a rischi particolari, quelli riguardanti le lavoratrici in stato di gravidanza (tale obbligo non è nuovo, atteso che già gli artt. 11 e 12, Dlgs n.151/2001, avevano previsto la specifica valutazione dei rischi e l’elaborazione del relativo documento), nonché quelli connessi alle differenze di genere, all’età, alla provenienza da altri Paesi (ai sensi dell’art. 37, comma 13, Tu essa avviene previa verifica della comprensione e conoscenza della lingua veicolare utilizzata nel percorso formativo). Il documento unico da interferenze Il decreto in esame non ha disposto alcuna proroga in merito al contenuto del terzo periodo dell’art.26, commi 3 e 5, Tu riguardante il documento unico da interferenze (Duvri). Resta così confermato che con riferimento ai contratti di appalto, d’opera o somministrazione, stipulati anteriormente al 25 agosto 2007 ed ancora in corso alla data del 31 dicembre 2008, venga elaborato dal datore di lavoro committente il Duvri che indichi le misure adottate per eliminare o, ove ciò non sia possibile, ridurre al minimo i rischi da interferenze e venga allegato al contratto entro tale ultima data. Entro la stessa data, a pena di nullità, ai sensi dell’art. 1418 c.c., ai medesimi contratti devono essere specificamente indicati i costi relativi alla sicurezza del lavoro (la cui stima nel settore delle costruzioni è regolamentata dall’Allegato XV, punto 4, Tu) con particolare riferimento a quelli propri connessi allo specifico appalto.

Nuovi obblighi prorogati al 16 maggio 2009

- comunicazione a fini informativi all’Inail ed Ipsema degli infortuni sul lavoro che

comportino un’assenza dal lavoro di almeno un giorno, escluso quello dell’evento. Continua a trovare applicazione l’obbligo di annotare

- detti infortuni sul registro degli infortuni; - valutazione dei rischi derivanti da stress lavoro-correlato; - indicazione della «data certa» sul documento della sicurezza; - divieto di visita preassuntiva.

Nuovi obblighi operanti dal 1° gennaio 2009

- valutazione dei rischi riguardanti: a) le lavoratrici madri; b) la differenza di genere;

c) l’età; d) la provenienza da altri Paesi. Nel settore costruzioni totale osservanza dei contenuti indicati nell’Allegato XV;

- modello di organizzazione e di gestione; - informazioni al servizio di protezione e prevenzione e medico competente; - elaborazione del Duvri in caso di contratto di appalto, subappalto e

somministrazione; - indicazione dei costi della sicurezza nell’ipotesi precedente.

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Giurisprudenza

Ambiente

T.A.R. CAMPANIA, Napoli, Sez.V – 25 febbraio 2009, n. 1062 AMBIENTE – Accesso in materia ambientale – Art. 3 d.lgs. n. 195/2005 – Disciplina speciale rispetto alla L. n.241/90 - Estensione dei soggetti legittimati all’accesso e delle cognizioni accessibili – Controllo diffuso sulla qualità ambientale – Dir. 2003/4/CE – Illegittimità di ogni limitazione della legittimazione a pretendere l’accesso. L’art. 3 D.L.vo 19 agosto 2005 n. 195, ha introdotto una fattispecie speciale di accesso in materia ambientale, che si connota, rispetto a quella generale prevista nella L n. 241 del 1990, per due particolarità: l'estensione del novero dei soggetti legittimati all'accesso ed il contenuto delle cognizioni accessibili. Sotto il primo profilo, la norma in commento chiarisce che le informazioni ambientali spettano a <chiunque> le richieda, senza necessità, di dimostrare un suo particolare e qualificato interesse. Quanto al secondo aspetto, la medesima disposizione estende il contenuto delle notizie accessibili alle «informazioni ambientali» (che implicano anche un'attività elaborativa da parte dell'Amministrazione debitrice delle comunicazioni richieste), assicurando, così, al richiedente una tutela più ampia di quella garantita dall'art. 22 L. n. 241 del 1990, oggettivamente circoscritta ai soli documenti amministrativi già formati e nella disponibilità dell'Amministrazione. Detta disciplina speciale della libertà d'accesso alle informazioni ambientali risulta, quindi, preordinata, in coerenza con le finalità della direttiva 2003/4/CE, di cui costituisce attuazione, a garantire la massima trasparenza sulla situazione ambientale e a consentire un controllo diffuso sulla qualità ambientale. Tale esigenza viene, in particolare, realizzata mediante la deliberata eliminazione, resa palese dal tenore letterale dell'art. 3, di ogni ostacolo, soggettivo od oggettivo, al completo ed esauriente accesso alle informazioni sullo stato dell'ambiente (Cfr. TAR Lazio III Sez. 28 giugno 2006 n. 5272). Ogni indebita limitazione della legittimazione a pretendere l'accesso alle informazioni ambientali risulta pertanto preclusa sia dal tenore letterale della disposizione, sia dalla sua finalità. (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

Appalti

Corte dei conti, sez. reg. di controllo per la Sardegna, parere n. 4/2009 Regioni a statuto speciale - Enti locali - Appalti di lavori - Incentivi per la progettazione - Disciplina Prevalenza della normativa regionale su quella statale - Legittimità - In quanto rientra nella potestà legislativa esclusiva della regione Gli enti di regioni a statuto speciale, per le materie in cui vi è potestà legislativa esclusiva, possono continuare ad applicare la legislazione regionale anche in presenza di normativa statale difforme e successiva. Così si è espressa la sezione regionale di controllo della Corte dei conti per la Sardegna nella deliberazione n. 4/2009. Il quesito formulato alla Corte dal sindaco di un comune verteva sulla possibilità per l’ente di continuare ad applicare in materia di lavori pubblici la normativa regionale (che prevedeva una percentuale maggiore in ordine agli incentivi per la progettazione) anche successivamente all’entrata in vigore della legge 133/2008 (di conversione del Dl 112/2008). La materia dei lavori pubblici, con riferimento all’art. 3, co. 1 lett. e) dello Statuto regionale rientra tra quelle per le quali la regione ha la potestà legislativa esclusiva: in base a

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questa prerogativa la regione ha emanato la Lr 5/2007 in materia di appalti pubblici, lavori, servizi e forniture nella quale, all’art. 12, comma 1, ha stabilito che gli incentivi per la progettazione debbano esser fissati in misura non superiore al 2% dell’importo posto a base d’asta. Riproducendo, in sostanza, quanto statuito dall’art. 92, comma 5, del Dlgs 163/2006. Con la successiva introduzione della L. 133/2008 (di conversione del Dl 112/2008 e recante misure disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria) la percentuale destinata alle finalità di cui alla predetta disposizione del Codice dei contratti è stata abbassata allo 0,5%, con il restante 1,5% da versare in un capitolo di entrata del bilancio statale. La Corte nel rispondere al quesito ha osservato che il legislatore regionale, emanando una legge con riferimento a una materia coperta da potestà legislativa regionale di tipo esclusivo, ha esercitato una propria prerogativa: poiché la materia è regolabile esclusivamente dalla regione e non avendo la stessa superato i limiti posti dall’art. 3, co. 1 dello Statuto per la misura massima degli incentivi, ben potrà la maggiore percentuale stabilita a livello regionale sopravvivere alle previsioni statali, seppur successive e difformi. (Raffaele Cusmai, Diritto e Pratica Amministrativa, Il Sole 24 Ore, 1° marzo 2009, n. 3, p. 121)

T.A.R. SICILIA, Catania, Sez. III – 18 febbraio 2009, n.371 APPALTI – Bando di gara – Limitazioni territoriali ai fini della partecipazione – Illegittimità. I bandi di gara non possono stabilire limitazioni territoriali ai fini della partecipazione alle pubbliche gare, a pena di totale illegittimità di tali clausole per flagrante violazione dei principi di derivazione costituzionale e comunitaria che vietano ogni discriminazione ratione loci. La nozione di <<sede legale>> dell'impresa, infatti, non assolve di per sé ad alcuna apprezzabile funzione identificativa di specifica idoneità e qualificazione tecnico-organizzativa. Alla clausola in esame, pertanto, non può assegnarsi altra valenza se non quella di una pesante ed ingiustificata discriminazione a favore delle imprese già formalmente localizzate in ambito comunale, come tali note all'amministrazione, senza che a fondamento della stessa sia ravvisabile alcun apprezzabile profilo d'interesse pubblico. APPALTI – Regione siciliana – Art. 15, c. 3 L.r. n. 4/96 – Interpretazione costituzionalmente orientata. Al fine di rendere il contenuto dell’art. 15, comma 3, della legge regionale siciliana 8 gennaio 1996, n. 4 compatibile con le disposizioni di rango costituzionale e comunitario esistenti in materia, la stessa deve essere interpretata nel senso di consentire all'amministrazione locale interessata, in caso di parità sostanziale delle offerte pervenute, di preferire quella proveniente dall'istituzione avente maggiore vicinanza rispetto ai luoghi ove il servizio deve essere svolto, ma non consente di escludere, a priori, le imprese che non posseggano il requisito ivi indicato. (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

Corte di Cassazione, Sezione II, sentenza 23 gennaio 2009, n. 1788 Appalto - Difformità e vizi dell’opera - Azione di garanzia - Decadenza - Termine biennale - Decorrenza – Consegna anticipata con riserva di verifica - Irrilevanza. (Cc, articolo 1667) In tema di appalto, il dies a quo di decorrenza del termine biennale di prescrizione dell’azione di garanzia per vizi - stabilita dall’art. 1667, c. 3, del Cc - deve essere individuato con riferimento al momento della consegna definitiva dell’opera, a seguito di verifica e accettazione dell’opera stessa, e non già con riguardo a una eventuale consegna anticipata, con riserva di verifica. (M.Fin.) (Guida al Diritto, Il sole 24Ore, 14 marzo 2009, n. 11)

Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 13 gennaio 2009, n. 462 Appalto - Esecuzione dell’opera - Responsabilità e risarcimenti - Istruzioni date dal direttore dei lavori - Rispetto da parte dell’appaltatore - Inesistenza della sua responsabilità - Esclusione. (Cc, articoli 1665 e 2043)

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Le istruzioni date dal direttore dei lavori di proseguire i lavori di scavo, non esonerano la responsabilità dell’appaltatore per i danni causati da tali lavori a terzi, atteso che in una situazione di pericolo riconoscibile dall’appaltatore - in base all’esperienza e alla conoscenza di regole tecniche e di comune diligenza che lo stesso deve possedere - detto appaltatore non è tenuto ad adeguarsi alle direttive ricevute. (M.Fin.) (Guida al Diritto, Il sole 24Ore, 14 marzo 2009, n. 11)

Beni culturali e ambientali

CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI – 24 febbraio 2009, n. 1077 BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Autorizzazione paesaggistica – Sub-procedimento di competenza della Soprintendenza - Comunicazione di avvio del procedimento – Necessità – D.lgs. n. 42/2004 – Comunicazione da parte del Comune dell’avvenuto trasmissione della documentazione alla Soprintendenza – Sufficienza – Esclusione. Codice Il Codice sui beni culturali n. 42 del 2004 ha espressamente reintrodotto l’obbligo di previa comunicazione dell’avvio del procedimento di riesame dell’autorizzazione paesaggistica di competenza della Sovrintendenza, e da quel momento la giurisprudenza ha ritenuto implicitamente abrogato, per il principio di gerarchia delle fonti, il d.m. n. 165 del 2002. Da allora si è precisato che l’onere di comunicazione non può essere soddisfatto dalla comunicazione che, a volte, il Comune dà all’interessato dell’avvenuta trasmissione della documentazione alla Sovrintendenza per la successiva fase decisoria, perché detta comunicazione sarebbe comunque incompleta non potendo indicare con precisione il giorno dell’inizio del sub-procedimento, né il responsabile di quel procedimento, né il termine entro il quale far pervenire all’autorità statale eventuali memorie da parte del richiedente la sanatoria. (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

Edilizia e urbanistica

Corte Costituzionale, 27 febbraio 2009, n. 54 URBANISTICA ED EDILIZIA - Art. 1, c. 1 l.r. Basilicata n. 25/2007 – Illegittimità costituzionale – Condono edilizio - Modifica, rispetto alla legge nazionale, del concetto di “opere ultimate” – Muri perimetrali. È fondata la questione di legittimità costituzionale relativa alla lettera a) del comma 1 dell’art. 1 della legge della Regione Basilicata 18 dicembre 2007, n. 25. Infatti questa modifica della legge n. 18 del 2004 muta sostanzialmente il concetto di «opere ultimate» già in origine previsto nell’art. 2, comma 1, lettera d), della citata legge regionale non richiedendo più – come in precedenza –, a tal fine, che l’opera sia edificata in tutte le sue componenti strutturali «ivi compresi (…) i muri perimetrali». Con la soppressione del riferimento a tale ultimo elemento, infatti, si vorrebbe rendere applicabile il condono edilizio anche ad opere che ne sono escluse dalla legislazione statale e dalla previgente legislazione regionale. URBANISTICA ED EDILIZIA – Art. 31 L. n. 47/85 – Definizione di rustico. In applicazione dell’art. 31, comma 2, della legge n. 47 del 1985, la definizione di “rustico” non può prescindere, secondo la costante giurisprudenza ordinaria ed amministrativa, dall’intervenuto completamento di tutte le strutture essenziali, tra le quali anche le “tamponature esterne”. URBANISTICA ED EDILIZIA - Art. 1, c. 1, lett. c) l.r. Basilicata n. 25/2007 – Illegittimità costituzionale – Condono edilizio – Opere abusive edificate su aree sottoposte a vincolo – Esclusione per i soli vincoli di inedificabilità assoluta – Deroga alla normativa nazionale e alle originarie previsioni della L.r. n. 18/2004. E’ fondata la questione di legittimità costituzionale relativa alla lettera c) del primo comma dell’art. 1 della legge della Regione Basilicata n. 25 del 2007. Infatti l’inserimento nell’art. 3, comma 1,

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lettera d), della legge regionale n. 18 del 2004 (articolo intitolato “opere non suscettibili di sanatoria”) del divieto di sanare le opere abusive edificate su aree sottoposte a vincoli di tutela solo quando questi ultimi «comportino l’inedificabilità assoluta», va posto a raffronto non solo con l’art. 33 della legge n. 47 del 1985, la cui osservanza, quanto ai limiti imposti alla sanatoria dai vincoli di inedificabilità, è espressamente garantita dal comma 27 dell’art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, ma anche con la lettera d) del medesimo comma appena citato. Tale disposizione, infatti, attribuisce effetto impeditivo della sanatoria ad ulteriori vincoli, che la norma impugnata, derogando a quanto già previsto in origine dalla legge regionale n. 18 del 2004, avrebbe invece l’effetto di vanificare. (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

T.A.R. LIGURIA, Sez. I – 19 febbraio 2009, n. 244 BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Autorità preposta alla tutela del vincolo – Domanda di sanatoria – Introduzione del vincolo in epoca successiva all’edificazione – Obbligo di pronuncia. La P.A. chiamata a provvedere ai sensi dell’art. 32 L. 47/85 deve necessariamente tenere conto, nel momento in cui provvede, della norma vigente e delle qualificazioni giuridiche che essa impone: la portata generale della norma relativa ai vincoli che appongono limiti all’edificazione non reca alcuna deroga a tale principio e da ciò deriva che l’obbligo di pronuncia da parte dell’autorità preposta alla tutela del vincolo sussiste in relazione all’esistenza del vincolo al momento in cui deve essere valutata la domanda di sanatoria, a prescindere dall’epoca di introduzione del vincolo medesimo. BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Autorizzazioni paesistiche – Motivazione. Le autorizzazioni paesistiche richiedono sempre adeguata motivazione anche nel caso di rilascio, poiché la motivazione deve dare conto dell’assenso rispetto al piano paesistico e deve dimostrare la sussistenza della compatibilità effettiva dell’opera rispetto ai valori tutelati. BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Annullamento ministeriale dei nulla osta paesaggistici – Carattere recettizio – Esclusione – Termine di 60 giorni – Adozione dell’atto. L’annullamento ministeriale dei nulla osta paesistici regionali o comunali non ha carattere recettizio e dunque il termine di 60 giorni stabilito dall’art. 82 comma 9 d.P.R. n. 616/77 riguarda la sola adozione dell’atto. (Massime a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 18/02/2009, Sentenza n. 6910 URBANISTICA ED EDILIZIA - Permesso in sanatoria rilasciato in contrasto con l'art. 36 DPR 380/01 - Inammissibilità sanatoria parziale o condizionata – C.d. doppia conformità - Fattispecie. E’ illegittimo il permesso in sanatoria rilasciato (in contrasto con l'art. 36 DPR 380/01 - in assenza della doppia conformità) perché subordinato alla demolizione della parte della nuova costruzione eccedente il limite volumetrico consentito. Sicché, non è consentito il rilascio di un permesso in sanatoria parziale o subordinato all'esecuzione di opere: l'accertamento della doppia conformità presuppone infatti che le opere siano state già realizzate e che esse siano integralmente corrispondenti alla disciplina urbanistica vigente. Nella specie, il Tribunale, accertata l’illegittimità del rilasciato permesso in sanatoria (ha trasmesso gli atti alla Procura della Repubblica, potendo essere integrati gli estremi del reato di cui all'art. 323 c.p.), lo disapplica, rigettando la richiesta di sospensione a revoca dell'ordine di demolizione. URBANISTICA ED EDILIZIA - Permesso in sanatoria – Condizioni ed effetti - Giudice dell'esecuzione - Poteri di disapplicazione del titolo sanante - Legittimità sostanziale del titolo – Verifica – Necessità. Il permesso in sanatoria, purché legittimo, valido ed efficace esclude l'applicazione dell'ordine di

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demolizione o di riduzione in pristino, eliminando esso ogni "vulnus". Ne discende ulteriormente che tale ordine deve intendersi emesso allo stato degli atti, tanto che anche il giudice dell'esecuzione deve verificare il permanere della incompatibilità degli ordini in questione con atti amministrativi. Nondimeno, il rilascio del permesso in sanatoria non determina automaticamente la revoca dell'ordine di demolizione o di riduzione in pristino, dovendo il giudice, comunque, accertare la legittimità sostanziale del titolo sotto il profilo della sua conformità alla legge ed eventualmente disapplicarlo ove siano insussistenti i presupposti per la sua emanazione (Cass. pen. sez. 3 n. 144 del 30.1.2003 - P.M. c/o Ciavarella). (Massime a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

T.A.R. SARDEGNA, Sez.II – 6 febbraio 2009, n.165 URBANISTICA ED EDILIZIA – Immobile abusivo – Sequestro preventivo – Ordinanza di demolizione – Compatibilità – Acquisizione al patrimonio del comune – Inottemperanza volontaria all’ordine di demolizione – Diniego di dissequestro – Conseguenze. L’esistenza di un’ordinanza di sequestro preventivo del fabbricato, essendo volto ad evitare ulteriori lavori, non appare incompatibile con l’ordinanza di demolizione adottata dalla competente autorità comunale. La demolizione, ovviamente, potrà essere eseguita solo dopo l’accoglimento della richiesta di dissequestro, mentre l’acquisizione al patrimonio del Comune dell’immobile potrà verificarsi solo ove l’inottemperanza all’ordine di demolizione sia volontaria. Non v’è dubbio che l’eventuale diniego di dissequestro da parte del giudice penale, renderà non volontaria l’inottemperanza all’ordine di demolizione, con inoperatività dell’effetto legale dell’acquisizione gratuita. (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 26/01/2009, Sentenza n. 3475 URBANISTICA ED EDILIZIA - Società di capitali - Concorso nei reati edilizi commessi dall'amministratore di fatto - Responsabilità amministratore – Configurabilità - Fondamento. L'amministratore di una società di capitali ha il dovere di garantire l'integrità del patrimonio sociale e deve intervenire tutte le volte in cui tale integrità può essere compromessa. La commissione di reati da parte di amministratori può esporre la società al rischio di azioni risarcitorie nei suoi confronti. Sicché, l'amministratore di diritto di una società di capitali risponde di concorso nei reati edilizi commessi dall'amministratore di fatto se per dolo o per semplice negligenza (ossia il fatto di avere omesso di vigilare) non ha impedito che l'evento si verificasse. URBANISTICA ED EDILIZIA - Nuova costruzione – Nozione - Installazione di manufatti leggeri prefabbricati - Non diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee - Permesso di costruire – Necessità – Art. 3 n. 5 Testo Unico sull'edilizia - D.P.R. n 380/2001 – Caratteristiche della temporaneità. A norma dell'articolo 3 n 5 del testo unico sull'edilizia si considera nuova costruzione per la quale è necessario il permesso di costruire anche l'installazione di manufatti leggeri prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni che siano utilizzati, come abitazioni, ambiente di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee. La temporaneità deve desumersi da elementi obiettivi e non dalle caratteristiche del manufatto o dall'intenzione soggettiva del costruttore. BENI CULTURALI ED AMBIENTALI - URBANISTICA ED EDILIZIA - Cassoni di camion adibiti ad abitazione, depositi, servizi igienici ecc. – Necessità del nulla osta e del permesso di costruire – Presupposti. L'articolo 181 del decreto legislativo n 42 del 2004, già articolo 163 del decreto legislativo n 490 del 1999, fatta eccezione per gli interventi di cui all'articolo 149 decreto n 42 del 2004, vieta senza la prescritta autorizzazione o in difformità da essa lavori di qualsiasi genere su beni paesaggistici.

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La norma non distingue tra difformità totale o parziale dall'autorizzazione o tra opere precarie e non precarie, ma richiede solo che l'intervento sia astrattamente idoneo a ledere il bene protetto. Quindi anche una struttura provvisoria, se idonea astrattamente a ledere il bene tutelato dalla norma, richiede il nulla osta dell'autorità preposta alla tutela del vincolo. Nella specie, a norma dell'articolo 3 n 5 del testo unico sull'edilizia anche i "cassoni di camion" se adibiti ad abitazione, depositi, servizi igienici ecc. rientrano nella previsione di cui all'articolo 3 del testo unico sull'edilizia considerandoli nuova costruzione per la quale è necessario il permesso di costruire. PROCEDURE E VARIE – Ricorso in Cassazione - Motivi aspecifici – Nozione - Inammissibilità – Art. 591 c. 1 lett. c) - Fattispecie. Si considerano aspecifici i motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame. La mancanza di specificità del motivo invero deve essere apprezzata, non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate della decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità conducente a mente dell'articolo 591 comma 1 lett. c) all'inammissibilità (Cass. 18/09/1997 Ahemtovic; Cass. sez II, 6/05/2003 Curcillo). Nella fattispecie la ricorrente si limita a riproporre censure già avanzate alla sentenza di primo grado e puntualmente respinte dalla corte territoriale senza indicare in maniera specifica i vizi del ragionamento del giudice censurato. (Massime a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 22/01/2009, Sentenza n. 2872 URBANISTICA ED EDILIZIA - Forme di abusivismo funzionali ad impedire o a ritardare a tempo indefinito la demolizione di opere in precedenza illegalmente realizzate - Estensione ordine di demolizione ad altri manufatti – Presupposti – Fondamento - Artt. 7 L. n. 47/85 e 31, DPR n. 380/01. L'estensione di un ordine di demolizione, disposto con una sentenza passata in giudicato, ad altri manufatti è consentito a condizione che questi ultimi siano stati realizzati successivamente e, per la loro accessorietà all'opera abusiva, rendano ineseguibile l'ordine medesimo. Non può, invero, consentirsi che un qualunque intervento additivo, abusivamente realizzato, possa in qualche modo ostacolare l'integrale attuazione dell'ordine giudiziale di demolizione dell'opera cui accede e, quindi, impedire la completa "restitutio in integrum" dello stato dei luoghi disposta dal giudice con sentenza definitiva. Se così non fosse si finirebbe per incentivare le più diverse forme di abusivismo, funzionali ad impedire o a ritardare a tempo indefinito la demolizione di opere in precedenza ed illegalmente realizzate (cfr. Cass. sez. 3, 20.1.2002-Corbi). (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

Inquinamento

T.A.R. ABRUZZO, L’Aquila, Sez. I – 24 febbraio 2009, n. 90 INQUINAMENTO – Attività insalubri – Art. 216 T.U. n. 1265/1934 – Applicabilità – Natura non industriale dell’attività insalubre – Rilevanza – Esclusione. Ai fini dell’applicazione dell’articolo 216 T.U. 27 luglio 1934 n. 1265 sulle attività insalubri (con specifico riguardo all’allevamento di animali) ciò che rileva non è che l’attività sia industriale, commerciale od agricola, ma lo scopo perseguito dalla norma appena citata, che consiste –al di là di quella qualificazione- nell’impedire che dallo svolgimento di determinate lavorazioni possa derivare pericolo per la salute dei cittadini (Cons. Stato sez. V n. 778 dell’8.6.1998). (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

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T.A.R. SICILIA, Catania, Sez. II – 20 febbraio 2009, n. 387 INQUINAMENTO – Industrie insalubri di prima classe – Esercizio in prossimità delle abitazioni – Art. 126 T.U. leggi sanitarie – Divieto – Amministrazioni – Oneri istruttori volti ad accertare l’effettiva portata del danno – Sussistenza – Esclusione. Le attività insalubri di prima classe, tra le quali è annoverata la produzione di formaggi e derivati del latte, non possono essere esercitate in prossimità di abitazioni nella corretta applicazione delle norme di riferimento (artt. 126 del T.U. leggi sanitarie che testualmente recita “ la prima classe comprende quelle -manifatture o fabbriche, n. d. r. - che debbono essere isolate nelle campagne e tenute lontane dalle abitazioni…”). All’Amministrazione comunale, accertata la natura dell’attività e il suo svolgimento nel contesto urbano, non incombe alcun onere istruttorio volto ad accertare l’effettiva portata del danno scaturente dall’attività in parola, poiché all’atto dell’inserimento delle attività nell’elenco delle industrie insalubri di prima classe, è stata operata a priori ed in astratto la valutazione della pericolosità per la salute pubblica e non permane in capo all’ente locale alcun potere ulteriore di accertamento discrezionale (in termini, sent. C. Stato, sez. V n.- 1307 del 19/03/07). (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

T.A.R. LOMBARDIA, Brescia, Sez. I – 18 febbraio 2009, n. 317 INQUINAMENTO – Bonifica dei siti di interesse nazionale – Competenza tecnico-gestionale degli organi esecutivi – Art. 15 D.M. 471/99 – Art. 252 d.lgs. n. 152/2006. Gli atti del procedimento di bonifica dei siti di interesse nazionale, compresi quelli conclusivi, rientrano nella competenza tecnico-gestionale degli organi esecutivi (dirigenti) poiché non contengono elementi di indirizzo politico-amministrativo che possono attrarre detta competenza nella sfera riservata agli organi di governo (i quali ultimi definiscono solo gli obiettivi e programmi da attuare, verificandone i risultati, il cui raggiungimento è riservato alla responsabilità dirigenziale). Ciò in forza del generale principio di distinzione tra attività di governo e attività di gestione che presiede l’organizzazione e il funzionamento delle amministrazioni pubbliche. Detta conclusione è valida sia con riguardo allo schema procedimentale di cui all’art. 15 del DM 471/99 (precedente al D.Lgs. n. 165/2001 e non avente natura legislativa), ancorché stabilisca che il progetto definitivo della bonifica venga approvato dal Ministro dell'Ambiente (di concerto con i Ministri dell'Industria, del Commercio e dell'Artigianato e della Sanità), sia nello schema procedimentale di cui all’art. 252 del D.Lgs. n. 152/2006, che attribuisce genericamente la competenza per la procedura di bonifica al Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio (sentito il Ministero delle Attività produttive). INQUINAMENTO – Bonifica – Pareri o intese di cui agli artt. 252, c. 4 d.lgs. n. 152/2006 e 15, c. 4 D.M. 471/99 – Acquisizione nell’ambito della conferenza di servizi – Obbligo motivazionale. Nel modulo procedimentale della conferenza di servizi i pareri o le intese di cui agli artt. 252 comma 4 del D.Lgs. 152/06 e 15 comma 4 del D.M. 471/1999 ben possono essere acquisiti all’interno della conferenza stessa, senza che in sede di adozione del provvedimento finale si debba procedere ad una nuova acquisizione. Del resto lo scopo del modulo procedimentale in esame è proprio questo, cioè concentrare in un unico momento l’acquisizione di tutti gli atti di assenso, comunque denominati, delle amministrazioni coinvolte. Di ciò dovrebbe tuttavia essere adeguatamente dato atto nello stesso provvedimento, adempiendo così all’obbligo motivazionale di cui all’art. 14-ter, c. 6bis della L. n. 241/1990, in combinato disposto con l’art. 252, c. 6 d.lgs. n. 152/2006. (Massime a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

T.A.R. EMILIA ROMAGNA, Bologna, Sez. II – 16 febbraio 2009, n. 137 INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO – Stazioni radio base – Regione Emilia Romagna – L.R. n. 30/2000 – Localizzazione su edifici di valore storico-artistico – Divieto.

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Benché la legge statale consideri le stazioni radiobase come opere di urbanizzazione primaria, l’art.9 della L.R. Emilia Romagna 30/2000 ne vieta la localizzazione sugli edifici di valore storico-architettonico e monumentale: al Comune non residua alcun margine di discrezionalità, imponendogli la norma regionale un diniego totalmente vincolato a prescindere dalle misurazioni di campo di competenza ARPA ed AUSL. (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

Miniere, cave e torbiere T.A.R. TOSCANA, Sez.I – 19 febbraio 2009, n. 299 CAVE - Attività estrattiva – Uso del territorio – Contributi di cava – Giurisdizione esclusiva del G.A. – Esclusione – Sent. Corte Cost. n. 204/2004 – Fattispecie. La disciplina dell'attività estrattiva, per quanto riguarda le cave, non può dubitarsi che rientri nel campo dell'uso del territorio: in tali termini si sono espresse recentemente e chiaramente le Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza 2 luglio 2008 n. 18040. Ciò tuttavia non basta per riconoscere la giurisdizione del G.A. sulle controversie relative ai contributi di cava, riguardanti diritti soggettivi; alla luce delle sentenze della Corte costituzionale nn. 204/2004 e 191/2006, infatti, la giurisdizione esclusiva del G.A. va limitata alle materie che "contemplerebbero pur sempre, in quanto vi opera la pubblica amministrazione-autorità, la giurisdizione generale di legittimità" (fattispecie relativa alla richiesta di pagamento di contributi connessi all'esercizio dell’attività estrattiva, cioè di una attività imprenditoriale la cui particolare tipologia comporta la corresponsione, in favore del Comune interessato, di somme finalizzate "ad interventi infrastrutturali e a opere di tutela ambientale comunque correlati alle attività estrattive", ovvero "alla razionalizzazione degli adempimenti comunali relativi all'istruttoria delle domande di autorizzazione e al controllo delle attività di cava, compresa la relativa vigilanza”) (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

Pubblica Amministrazione

CONSIGLIO DI STATO, Sez. V – 25 febbraio 2009, n.1115 PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Procedimento amministrativo – Mera conferma e atto confermativo a carattere rinnovatorio – Differenza. La conferma “mera” si verifica solo nei casi in cui la nuova determinazione dell’amministrazione si limiti a ripetere il contenuto del precedente provvedimento, senza aggiungere alcun ulteriore supporto motivazionale e senza percorrere una rinnovata istruttoria delle circostanze ritenute rilevanti ai fini della valutazione dell’istanza proposta dal richiedente. Qualora l’amministrazione adotti un atto di identico contenuto dispositivo di un altro precedente, ma arricchito da una puntuale motivazione prima inesistente, o basato su elementi istruttori prima non considerati, si è in presenza di un atto confermativo, a carattere rinnovatorio, che modifica la realtà giuridica, riaprendo i termini per la proposizione del ricorso giurisdizionale da parte dei soggetti che ne intendano contestare la legittimità. (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

T.A.R. VENETO, Sez. II – 23 febbraio 2009, n. 457 PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Procedimento – Accesso – Illegalità commesse dall’amministrazione – Presupposto idoneo a giustificare l’accesso – Esclusione. Il presupposto di eventuali illegalità commesse dall'Amministrazione non è sufficiente a radicare il diritto d'accesso, in mancanza di ulteriori specificazioni atte a fornire un inizio di prova (cfr. T.A.R. Lazio, I bis, 9.5.2007 n. 4155) (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

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Corte dei conti, sez. giur. per la regione Trentino Alto Adige, sentenza 19 febbraio 2009, n. 6 Enti locali - Incarichi esterni - Conferimento - Per la redazione di un frazionamento per la realizzazione di un’opera pubblica - Carenza di profili di complessità o di straordinaria urgenza - Responsabilità del segretario generale di un comune - Sussiste Con la decisione in rassegna, la sezione ha richiamato il consolidato orientamento giurisprudenziale della Corte dei conti, in materia di sindacato di conferimenti degli incarichi esterni (sezione giurisdizionale Abruzzo, sentenze n. 184 del 13 febbraio 2007 e n. 389 in data 28 novembre 2005; sezione III giurisdizionale centrale di appello, sentenze n. 122 in data 20 marzo 2006 e n. 74 in data 6 febbraio 2006), affermando che, per diversamente ritenere, avrebbero dovuto essere provate una preesistente situazione di carenza di organico - sia dal punto di vista quantitativo sia, soprattutto, per l’insussistenza di personale dotato di idonea formazione specialistica (sez. III centrale di appello, sent. n. 370 del 30 ottobre 2007) - e/o l’assoluta eccezionalità e peculiarità dell’attività richiesta al professionista (sez. III centrale di appello, sent. n. 177 del 26 giugno 2007) ovvero la complessità e straordinarietà delle esigenze da soddisfare soddisfare o dei problemi da risolvere anche sotto il profilo, non meno pregnante, dell’urgenza e inderogabilità dell’attività da svolgere (sez. giur. Umbria, sent. n. 11 del 15 gennaio 2007). L’immotivato affidamento a professionista esterno dell’incarico - ove non caratterizzato da profili di complessità o di straordinaria urgenza tali da giustificare, concorrente il requisito dell’insufficienza di organico interno, il ricorso a esso - configura perciò un’ipotesi di colpa grave. (Tiziana Krasna, Diritto e Pratica Amministrativa, Il Sole 24 Ore, 1° marzo 2009, n. 3, p. 114)

Pubblico Impiego

Consiglio di Stato, Sezione V, decisione 10 febbraio 2009 n. 751 Pubblico Impiego - Mansioni - Svolgimento mansioni superiori – Retribuzione - Limiti. Nel rapporto di impiego con le pubbliche amministrazioni il diritto alla retribuzione delle mansioni superiori va riconosciuto, con carattere di generalità, a decorrere dall’entrata in vigore del Dlgs 387/1998, che, atteso il suo evidente carattere innovativo, non riverbera in alcun modo la propria efficacia su situazioni pregresse e non può trovare applicazione nei confronti dell’impiegato che abbia cessato di svolgere mansioni superiori anteriormente, senza che possano configurarsi sospetti di incostituzionalità della norma, con riferimento all’articolo 3 della Costituzione, a causa della (pretesa) disuguaglianza, sotto il profilo temporale, della disciplina dello svolgimento di mansioni superiori, non remunerabile per il passato. Nel cessato regime e prima della novella del 1998, nel rapporto di impiego con le pubbliche amministrazioni, in linea generale, è la qualifica e non le mansioni il parametro al quale la retribuzione è inderogabilmente riferita, considerato anche l’assetto rigido della pubblica amministrazione sotto il profilo organizzativo, collegato anch’esso, secondo il paradigma dell’articolo 97 della Costituzione, a esigenze primarie di controllo e contenimento della spesa pubblica. (Guida al Diritto, Il sole 24Ore, 14 marzo 2009, n. 11)

Tribunale di Bari, ordinanza 15 novembre 2008 Pubblico impiego - Bando di concorso - Esclusione per pregresse condanne penali - Rilevanza delle condanne penali sospese - Limiti di legittimità della clausola rispetto all’art. 166 c.p. Il comma 2 dell’art. 166 c.p. stabilisce che «…la condanna a pena condizionatamente sospesa non può costituire in alcun caso, di per sé sola, motivo…di impedimento all’accesso a posti di lavoro pubblici o privati tranne i casi specificamente previsti dalla legge». …L’inciso «di per sé sola» deve essere interpretato nel senso che il legislatore abbia voluto vietare al datore di lavoro, pubblico o privato che sia, di escludere dal mondo del lavoro un cittadino solo ed esclusivamente perché questi abbia riportato una condanna a pena sospesa ma che nel contempo non abbia voluto

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precludere allo stesso datore di lavoro di valutare, comunque, le condanne riportate da chi chieda di essere assunto. Deve quindi essere escluso che l’aver riportato una condanna a pena sospesa possa essere da sola sufficiente ad escludere dal mondo del lavoro chi ne faccia richiesta; tuttavia, detta condanna può, unitamente ad altri fattori, consentire un giudizio negativo sull’accesso al lavoro.

La massima, senz’altro condivisibile specie per l’ultima precisazione («…unitamente ad altri fattori»), viene applicata per ritenere legittima la clausola di un bando di concorso che prevedeva l’esclusione di chi avesse riportato condanne penali ad eccezione: 1) di condanne penali che fossero state sanzionate esclusivamente con pena pecuniaria purché riferite a fatti di reato commessi antecedentemente all’ultimo quinquennio calcolato a ritroso a decorrere dalla data di pubblicazione dell’avviso; 2) di condanne penali in relazione alle quali fosse stata concessa la riabilitazione. L’effetto di queste limitazioni è, invero, quella dell’esclusione di chi abbia riportato condanne a pene detentive sospese per le quali non sia intervenuta la riabilitazione (condizione nella quale si trovava il reclamante). Lascia perciò perplessi rispetto a quanto chiaramente stabilito dalla richiamata disposizione del codice penale l’affermazione secondo cui la clausola sarebbe legittima perché non prevedrebbe automaticamente l’esclusione dalla selezione per il sol fatto di aver riportato una qualsiasi condanna penale a pena sospesa, ma individuerebbe tale conseguenza unicamente per le sole pene detentive alle quali non abbia fatto seguito un procedimento di riabilitazione. Sulla questione sono rinvenibili orientamenti, anche recenti, di segno opposto (Consiglio di Stato, sez. VI, 6.6.2008, n. 2678, conforme a CdS, sez. VI, n. 3630/2007 e sez. IV n. 3084/2001). (Nicola Roberto Toscano, Guida al Lavoro, Il Sole 24Ore, 27 febbraio 2009, n. 9, p. 45)

Tribunale di Foggia, ordinanza 10 novembre 2008 Pubblico impiego - Giurisdizione del giudice ordinario - Diritto soggettivo al trasferimento dopo la comunicazione del provvedimento - Irrilevanza dell’immissione in possesso - Art. 74 legge n. 133/2008 e salvezza delle procedure di mobilità avviate - Disapplicazione dell’atto amministrativo - «Periculum in mora» Sussiste la giurisdizione del Giudice ordinario in materia di trasferimento dei pubblici dipendenti, in quanto riconducibile alla gestione dei rapporti di lavoro in cui la P.A. agisce con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro. La procedura di mobilità è da considerarsi conclusa al momento dell’adozione del trasferimento, che si perfeziona con il provvedimento che lo dispone. Da tale data sorge il diritto soggettivo del pubblico dipendente all’immissione in servizio nella sede di destinazione. È pertanto illegittima la sospensione dell’esecuzione del trasferimento disposto (anche se non attuato) prima dell’entrata in vigore del Dl n. 112/ 2008 (convertito nella legge n. 133/2008), giustificata dalla necessità di attendere la rideterminazione delle piante organiche di cui all’art. 74 della legge citata. Tale norma fa, infatti, salve le procedure di mobilità non solo concluse, ma anche soltanto avviate, alla data di entrata in vigore del decreto. In tutti i casi in cui vengono in considerazione atti amministrativi presupposti, la tutela delle posizioni di diritto soggettivo in materia di lavoro pubblico è assicurata dalla disapplicazione dell’atto presupposto mediante il suo annullamento.

Il caso affrontato è quello di una dipendente del Ministero della giustizia che ha partecipato a una procedura di mobilità interna disciplinata dall’accordo del 27.3.2007 stipulato fra l’Amministrazione giudiziaria e le organizzazioni sindacali al cui esito è stato disposto il suo trasferimento presso la sede di destinazione. Il trasferimento è però rimasto inattuato, sebbene fossero decorsi i sei mesi dalla data del provvedimento previsti come termine massimo dal citato accordo collettivo per l’immissione in possesso nel nuovo ufficio, in quanto il Ministero della giustizia ha ritenuto di sospenderne unilateralmente l’esecuzione, ritenendo di dover attendere la rideterminazione delle piante organiche imposta dall’art. 74, co. 1, Dl n. 112/2008. Il Giudice del lavoro di Foggia nel solco di svariate altre pronunce dello stesso segno di altri Tribunali (ex multis, Tribunale di Busto Arsizio 19.11.2008; Tribunale di Torino 5.12.2008; Tribunale di Verona

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19.12.2008; Tribunale di Gorizia; Tribunale di Prato) ha sancito la illegittimità del riferito provvedimento di sospensione, sul presupposto che non può un atto amministrativo (come una circolare ministeriale) incidere su un diritto soggettivo acquisito dalla ricorrente. Né il riferimento alla norma di legge evocata dal Ministero potrebbe in alcun modo giustificare la mancata attuazione del trasferimento, stante la chiara precisazione in esso contenuta per cui «sono fatte salve le procedure concorsuali e di mobilità avviate dalla data di entrata in vigore del presente decreto», e considerato che il trasferimento della ricorrente si era addirittura già concluso prima dell’entrata in vigore del decreto. A tal proposito, infatti, l’ordinanza chiarisce che «il trasferimento può ritenersi concluso con il provvedimento che lo dispone […] mentre l’immissione in servizio rappresenta, poi, solo la fase attuativa dello stesso», sicché è dal momento dell’adozione del trasferimento che sorge in capo al lavoratore il diritto soggettivo a prendere servizio nel nuovo ufficio.. L’ordinanza fuga, da ultimo, qualunque residuo dubbio sulla legittimità della postuma interpretazione della norma de quo fornita dal Ministero, secondo cui l’art. 74 farebbe salve le sole procedure di mobilità esterna, e non anche quelle di mobilità interna, poiché come si legge nella pronuncia «è assente qualsiasi riferimento letterale che possa lasciar propendere per questa interpretazione, né la stessa è ricavabile dall’esame complessivo della disposizione, che addirittura salvaguarda la posizione di coloro che avrebbero potuto vantare una posizione di semplice aspettativa conseguente alla partecipazione a una procedura concorsuale». In conclusione, non può non condividersi il costante orientamento giurisprudenziale in cui si inserisce il provvedimento annotato formatosi negli ultimi mesi sulla vicenda, assurta agli onori della cronaca, del blocco dei trasferimenti al Ministero dell’Interno, atteso che, di fatto, l’Amministrazione ha preteso di incidere con un atto amministrativo una mera circolare sul diritto soggettivo dei dipendenti di ricoprire un posto di lavoro che, sebbene non concretamente occupato in difetto dell’immissione in servizio, era comunque da considerarsi a tutti gli effetti dagli stessi «coperto» sin dalla data dell’adozione del provvedimento di trasferimento, tentando, peraltro maldestramente, di accreditare questa condotta con la presunta applicazione di una norma di legge la cui applicazione essa stessa pacificamente escludeva nei casi in questione. (Nicola Roberto Toscano, Guida al Lavoro, Il Sole 24Ore, 27 febbraio 2009, n. 9, p. 46)

Tribunale di Bari 22 ottobre 2008, n. 19262 Pubblico impiego - Indennità amministrazione - Dipendenti pubblici provenienti da diverse amministrazioni - Diversità di trattamento - Legittimità Il precetto costituzionale (artt. 3 e 97 Cost.) non sanziona ogni diseguaglianza, ma solamente quelle che non soddisfino il canone della ragionevolezza, laddove invece si ritengono coerenti con il dettato costituzionale differenziazioni che trovino ragionevole giustificazione nella diversa situazione o condizione dei soggetti sui quali operano. La previsione di diverse indennità di amministrazione per i dipendenti del Ministero…, in ragione della loro diversa provenienza, comporta una differenziazione caratterizzata da ragionevolezza. Infatti, questa situazione trova origine nelle diverse previsioni della contrattazione collettiva, riferita ai singoli settori di provenienza, che a loro volta sono determinate da dinamiche negoziali proprie, in ragione delle specifiche situazioni dei vari settori, dinamiche da cui è conseguita una storia retributiva e sono derivati altresì diritti quesiti.

Ancora una sentenza sulla controversa questione delle diversità di trattamento economico che si possono realizzare e si realizzano nell’ambito della stessa Amministrazione tra colleghi provenienti da Amministrazioni diverse (il caso tipico è quello dei Ministeri, in conseguenza degli accorpamenti che sovente vengono disposti al mutare degli Esecutivi, ma non sono mancate situazioni simili per gli accorpamenti delle Aziende sanitarie locali). Si ripropone ogni volta la discussione sulla portata del principio di parità economicocontrattuale per i dipendenti pubblici di cui all’art. 45 del Dlgs n. 165/2001 e ai precetti costituzionali contenuti negli artt. 3 e 97 della Costituzione. Persiste un sensibile contrasto interpretativo. Vi è la posizione di chi ritiene (in linea con autorevole dottrina: cfr., ad esempio, Carinci) di immediata e piena applicabilità il principio della parità di trattamento per gli impiegati pubblici, eccezion fatta ovviamente per gli emolumenti giustificati da diversità sostanziali delle condizioni di impiego o da ragioni pure oggettive e

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misurabili legate alla produttività o ad altri elementi variabili della retribuzione. Alcune sentenze giungono perfino a sostituirsi alla contrattazione collettiva (Trib. Roma n. 3159/2005) riadeguando i trattamenti anziché limitarsi a dichiarare la nullità (Trib. Bari n. 3494/2003) delle clausole ritenute in violazione del principio e ad applicare, semmai, una ragionevole e consequenziale tutela risarcitoria. Altre pronunce, pur riconoscendo l’applicabilità del principio, lo limitano al trattamento fondamentale (Trib. Lecce n. 9369/2006). Infine, quelle che come la sentenza segnalata ritengono comunque giustificata la diversità, identificando la motivazione ragionevole della deroga al principio di parità nella diversa storia negoziale con le connesse differenti ed inderogabili implicazioni di spesa imposte da ragioni di finanza pubblica dei dipendenti interessati. La tesi non è condivisa da chi ritiene che il principio di parità, retto com’è da univoci riferimenti costituzionali, tolleri attenuazioni soltanto per i trattamenti accessori legati in qualche modo a diverse condizioni effettive di impiego o di apporto ai risultati dell’ufficio o dell’Amministrazione di appartenenza, mentre non costituiscono motivazioni ragionevoli di differenziazione mere vicende giuridicoformali legate a provvedimenti di macro organizzazione dei diversi rami della Pubblica Amministrazione, ove non incidenti sulle condizioni concrete di prestazione dell’attività lavorativa e queste a parità di inquadramento risultino del tutto omogenee tra i dipendenti di diversa provenienza. In quest’ultimo solco si colloca l’interessante sentenza del Tribunale di Latina n. 2509/2007, che ha proposto l’applicazione del principio di parità di trattamento economicocontrattuale per i pubblici impiegati, di cui alle riferite norme di legge e costituzionali, in combinato disposto con gli artt. 1419, comma 2, e 1418 c.c., nonché con l’art. 36 Cost., ritenendo che, alla disapplicazione delle clausole nulle dei contratti collettivi in quanto non immediatamente perequative, debba seguire l’integrazione ope iudicis dei contratti medesimi o direttamente di quelli individuali con l’applicazione dell’indennità di maggior favore (non potendosi ipotizzare una perequazione al ribasso modificando in peius i contratti dei dipendenti con l’indennità di maggior importo). (Nicola Roberto Toscano, Guida al Lavoro, Il Sole 24Ore, 27 febbraio 2009, n. 9, p. 48)

T.A.R. SICILIA, Palermo, Sez. I – 20 febbraio 2009, n. 378 RIFIUTI – TARSU – Atti comunali di determinazione della tariffa – Giurisdizione del G.A.. Gli atti comunali (nella fattispecie, una deliberazione della Giunta Comunale) di determinazione delle tariffe relative alla tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU) costituiscono esercizio di un potere autoritativo e rientrano pertanto nella giurisdizione del giudice amministrativo” (T.A.R. Sardegna Cagliari, sez. II, 11 marzo 2008 , n. 411). (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

Rifiuti

CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV - 23 febbraio 2009, Decisione n. 1063 RIFIUTI – Ingiunzione di pagamento al Commissario Straordinario Emergenza Rifiuti - Giudizio di ottemperanza – Sospensione – L. n 21/2006 – Fattispecie. L’art. 3 comma 1 del Decreto Legge n. 245 del 2005 convertito dalla Legge n 21 del 2006 non introduce una fattispecie di estinzione in rito del giudizio di ottemperanza introdotto anteriormente alla sua entrata in vigore, ma piuttosto ne impone la sospensione fino alla cessazione dello stato di emergenza (CdS. n. 4105/2008). Fattispecie: ingiunzione al Commissario di Governo per l’emergenza rifiuti nella regione Campania di pagare al comune di Caivano la somma di Euro 431.912,00 oltre interessi legali come richiesti e spese della procedura monitoria. (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

T.A.R. LAZIO, Roma, Sez. I – 18 febbraio 2009, n. 1655 RIFIUTI – Art. 4 d.l. n. 90/2008 – Devoluzione alla giurisdizione esclusiva del g.a. delle controversie attinenti alla gestione dei rifiuti – Interpretazione costituzionalmente orientata – Sent. Corte Cost. n. 204/2004 – Rapporti obbligatori derivanti da pattuizioni

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negoziali – Giurisdizione dell’A.G.O. Un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 4 d.l. 90/2008, convertito, con modificazioni, dalla l. 123/2008, secondo cui sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie comunque attinenti alla complessiva azione di gestione dei rifiuti seppure posta in essere con comportamenti dell’amministrazione pubblica, porta a ritenere, in coerenza con i principi espressi dalle sentenze della Corte Costituzionale n. 204/2004 e n. 191/2006, che la norma attiene a situazioni che postulano l’esercizio di un potere pubblico, con conseguente esclusione della giurisdizione amministrativa nelle ipotesi in cui la censura ha ad oggetto il mero accertamento di diritti di carattere patrimoniale senza incidere sull’azione amministrativa di gestione dei rifiuti. Di talché, la giurisdizione del giudice amministrativo è da escludere ogniqualvolta la controversia, o la singola censura, afferisca ai rapporti obbligatori derivanti da pattuizioni di tipo negoziale intervenute tra le parti per regolamentare la gestione dei rifiuti e, quindi, afferisca all’an o al quantum della pretesa patrimoniale, atteso che in tal caso la fattispecie, di tipo meramente privatistico, esula completamente dal possibile esercizio di un potere autoritativo. In altri termini - mentre tutte le controversie che attengono alla complessiva azione di gestione dei rifiuti, sebbene l’amministrazione non abbia in concreto esercitato il potere in astratto conferito agendo invece attraverso comportamenti o comunque con atti paritetici con conseguente contrapposizione di posizioni di diritto soggettivo, rientrano, ai sensi della norma richiamata, nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo - tutte le controversie, o le singole censure, totalmente estranee all’esercizio del potere pubblico di gestione in materia di rifiuti non possono essere sottratte alla giurisdizione del giudice ordinario ancorché l’accordo privatistico fonte del rapporto obbligatorio in contestazione sia stato stipulato per regolamentare, anche da un punto di vista patrimoniale, la gestione dei rifiuti. RIFIUTI - Regione Campania – OPCM n. 3686/2008 – Attribuzione del potere di nomina commissariale – Illegittimità. E’ illegittima l’attribuzione del potere di nomina commissariale di cui all’ art. 8, co. 4 dell’OPCM n. 3686/2008 (che ha disposto lo scioglimento dei Consorzi di bacino di Napoli e Caserta e la loro riunione in un unico consorzio), poichè l’attribuzione di poteri che possono incidere autoritativamente ed unilateralmente sulle posizioni giuridiche contrapposte deve essere sempre effettuata dalla legge e non da un atto amministrativo, sia pure ad indirizzo politico ed a carattere generale. D’altra parte, se è vero che, ai sensi dell’art. 5, co. 2 e 5, l. 225/1992, per l’attuazione degli interventi conseguenti alla dichiarazione dello stato di emergenza si provvede anche a mezzo di ordinanze in deroga ad ogni disposizione vigente, è altrettanto vero che occorre comunque agire nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico e che le ordinanze emanate in deroga alle leggi vigenti devono contenere l’indicazione, assente nel caso di specie, delle principali norme a cui si intende derogare e devono essere motivate. (Massime a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 16/02/2009, Sentenza n. 6564 RIFIUTI – Sentenza di condanna o di pena concordata - Obblighi - Sequestro e confisca – Effetti ed Adempimenti - Obblighi di bonifica o di ripristino dello stato dei luoghi - Art. 256 c.3 D. L.vo 152/2006. Il disposto dell'art. 256 c.3 D. L.vo 152/2006 prevede che, alla sentenza di condanna o di pena concordata, consegua la confisca del sito sul quale è stata realizzata la discarica se di proprietà dell'autore o del compartecipe del reato "fatti salvi gli obblighi di bonifica o di ripristino dello stato dei luoghi" (obblighi che devono essere ottemperati prima della acquisizione definitiva della area al patrimonio pubblico). La norma è esplicita nel precisare che la confisca è applicabile anche se il sito è stato bonificato per cui tale circostanza (che fa venire meno le esigenze di cautela di cui all'art. 321 c.1 c.p.p.) non ha rilievo per la ipotesi del c.2 dello articolo. (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

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CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 13/02/2009, Sentenza n. 6227 RIFIUTI - Traffico illecito - Documenti di accompagnamento allegati ai containers - Errata indicazione dei soggetti interessati alla spedizione - Reato ex art. 259 D.L.vo 152/06 – Configurabilità – Elementi. Si configura il reato di cui all’articolo 259 1° comma, D.L.vo 152/06 allorquando le irregolarità riscontrate nella documentazione allegata ad una spedizione di rifiuti sono tali da determinare totale incertezza sulla individuazione dell'effettivo autore delle diverse fasi del trasporto (nella specie, il tutto in violazione della disciplina di cui all'art. 37 del Regolamento CE n. 1013/06 e del Regolamento CE n. 801/07 (normative che hanno sostituito le disposizioni di cui all'art. 26 Regolamento CE n. 259/93, indicato nel testo di cui all'art. 259 D.L.vo 152/06). Inoltre, la presenza di un profitto, ulteriore e diretto, riconducibile all'attività illecita non è un requisito richiesto ai fini della sussistenza dell'elemento obiettivo di cui al reato ex art. 259 D.L.vo 152/06. (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

Sicurezza ed igiene del lavoro

Corte di cassazione - Sezione III penale, Sentenza 18 febbraio 2009, n. 6884 Sicurezza sul lavoro - Cantiere - Obbligo dell’appaltatore di dotare la struttura di una cassetta di pronto soccorso - Sussistenza - Contestuale responsabilità del committente - Configurabilità - Esclusione. (Dlgs 626/1994, articoli 7 e 15) In materia di appalti, l’obbligo di dotare il cantiere di una cassetta di pronto soccorso, previsto dall’articolo 15 del Dlgs 626/1994, incombe sul titolare della società che ha assunto l’appalto per l’esecuzione dei lavori nel cantiere stesso. Né può sostenersi che l’obbligo gravi invece sul committente dal momento che l’articolo 7 del Dlgs n. 626, nel regolare la sicurezza dei lavoratori per i casi di opere affidate in appalto all’interno dell’azienda o dell’unità produttiva, non sostituisce il committente all’appaltatore come destinatario degli obblighi di prevenzione, ma si limita a coinvolgere anche il committente in alcuni obblighi specifici, quali l’informazione sui rischi dell’ambiente di lavoro e la cooperazione nell’apprestamento delle misure di protezione e prevenzione. Resta però ferma la responsabilità dell’appaltatore per l’inosservanza degli obblighi di prevenzione che gravano su di lui. (Edilizia e Territorio, Il Sole 24Ore, 9 marzo 2009, n. 9)

Corte di Cassazione, Sezione IV penale, sentenza 22 dicembre 2008, n. 47485 Infortuni sul lavoro - Normativa antinfortunistica - Ambito di applicazione - Appalto – Responsabilità dell’appaltatore - Rapporti con il committente - Ambito di operatività - Fattispecie. (Dpr 27 aprile 1955 n. 547, articoli 4 e seguenti; Dlgs 19 settembre 1994 n. 626, articoli 1 e seguenti; Dlgs 9 aprile 2008 n. 81, articolo 26) Per i lavori svolti in esecuzione di un contratto di appalto, il dovere di sicurezza grava, come in qualsiasi altra ipotesi, sul datore di lavoro, che, di regola, è l’appaltatore, destinatario delle disposizioni antinfortunistiche qualora abbia assunto il rischio inerente all’esecuzione dei lavori e la responsabilità d’organizzare il cantiere con propri mezzi e con personale da lui assunto. In caso di infortunio, è peraltro ammissibile che possano aversi intrecci di responsabilità coinvolgenti anche il committente, anche se la mancata contestazione al committente, o ad altri soggetti tenuti all’osservanza delle norme antinfortunistiche, certamente non libera colui che è parimenti tenuto a osservarle. (Da queste premesse, è stato rigettato il ricorso avverso la sentenza di condanna pronunciata a carico dell’appaltatore, ritenendosi non rilevante la circostanza che, nella specie, non fosse stato contestato al committente, come preteso dal ricorrente, il profilo di colpa sostanziatosi nel non avere provveduto alla nomina del «coordinatore per la progettazione» e del «coordinatore per l’esecuzione dei lavori»; e ciò anche in base al rilievo che, in ogni caso, l’appaltatore avrebbe dovuto attivarsi per tempo nei confronti del committente sollecitandolo agli adempimenti che si assumevano mancanti, rifiutandosi, nelle more, di eseguire le opere commissionategli). (Guida al Diritto, Il sole 24Ore, 14 marzo 2009, n. 11)

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Corte d’Appello di Bari, 27 ottobre 2008, n. 2204 Infortunio sul lavoro - Caduta accidentale - Tempo del permesso bancario - Servizio attivo - Indennizzabilità – Sussiste Il luogo di lavoro comprende l’azienda e ogni luogo in cui il lavoratore si reca per volontà per disposizione del datore di lavoro; ma anche altri luoghi, come quello dove va a riscuotere la retribuzione o a ricevere attrezzi di lavoro o documenti prescritti e, al limite, forse anche all’Inail, dove si reca per sottoporsi a cure relative ad un precedente infortunio.

La massima tratta dall’interpretazione dello stesso Istituto previdenziale formatasi grazie all’art. 12 del Dlgs n. 38/2000 (www.inail.it; Rivista degli infortuni e delle malattie professionali, 2000, fasc. 12, p. I, 27) viene ritenuta applicabile per spiegare l’indennizzabilità di una caduta accidentale occorsa in luogo pubblico, anche sotto il regime normativo previgente, a un dipendente di un’azienda sanitaria recatosi in banca per riscuotere la retribuzione dopo aver richiesto il cd. permesso bancario, previsto dalla normativa contrattuale di riferimento per le aziende prive di sportello interno. Già il Giudice del primo grado aveva ritenuto che il tempo del permesso bancario integra una modalità di riscossione dello stipendio più rischiosa per il lavoratore e in deroga alla regola generale che configura il diritto del dipendente di ricevere la retribuzione sul posto di lavoro; il tempo del permesso bancario deve perciò intendersi come servizio attivo e sussiste di conseguenza l’occasione di lavoro alla stregua di un legame funzionale con la prestazione. A proposito delle ricorrenti questioni di indennizzabilità degli incidenti verificatisi durante situazioni non direttamente lavorative, la Corte d’Appello ricorda, infine, che di contro non sussiste connessione sinallagmatica con la prestazione lavorativa per i luoghi in cui il lavoratore si reca nell’esercizio del diritto di sciopero o nello svolgimento dell’attività sindacale. (Nicola Roberto Toscano, Guida al Lavoro, Il Sole 24Ore, 27 febbraio 2009, n. 9, p. 43)

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Responsabilità della PA

Buche stradali: Comuni responsabili degli incidenti anche se la manutenzione è appaltata all’esterno La Corte di cassazione affronta di nuovo il problema degli incidenti causati dalle buche e dalle strade urbane dissestate stabilendo una responsabilità dell’Ente anche se i lavori periodici sono stati affidati a ditte esterne Federico Gavioli, Guida agli Enti Locali, Il Sole 24Ore, 7 marzo 2009, n. 10, p. 70 Corte di cassazione, sezione III civile, sentenza 23 gennaio 2009, n. 1691 LA MASSIMA Strade comunali - Lavori di manutenzione stradale appaltati - Risarcimento danno per cattiva manutenzione - Responsabilità della pubblica amministrazione ex articolo 2051 Codice civile - Danni da risarcire per i mancati controlli Se la cattiva manutenzione delle strade comunali provoca degli incidenti con danni ai propri cittadini il Comune è sempre tenuto a risarcirli; non può ritenersi una giustificazione per l’Ente locale il presupposto che la manutenzione delle strade comunali sia stata affidata con regolare contratto d’appalto a una impresa. Nei confronti delle amministrazioni comunali esiste una presunzione di responsabilità per il danno causato dalle cose che si hanno in custodia anche se si tratta di beni come le strade oggetto di un uso generale e diretto da parte dei cittadini. IL COMMENTO La Cassazione mette gli Enti locali in difficoltà: nelle ipotesi in cui la cattiva manutenzione delle strade provochi incidenti con danni fisici è in ogni caso sempre il Comune che ne deve rispondere. Non rileva, secondo i giudici di Piazza Cavour, neppure la circostanza che la manutenzione delle strade sia appaltata a un impresa, perché è sempre l’amministrazione comunale a dover essere chiamata in causa dal danneggiato. Con l’importante sentenza n. 1961/2009, la Corte di Cassazione si è pronunciata su un sinistro accaduto a Roma, rinviando in appello la causa intentata da un cittadino che nel 1997 si era gravemente ferito cadendo dal motorino. LA VICENDA All’origine della pronuncia, un incidente capitato a un cittadino sulle strade della Capitale, il quale, alla guida del proprio motorino, nei pressi di una curva, scivolava sul gasolio presente nel manto stradale procurandosi danni giudicati guaribili in quaranta giorni. Il cittadino presentò richiesta di risarcimento danni contro il Comune di Roma che, a sua volta, chiamò in causa l’impresa appaltatrice dei lavori di manutenzione stradale come unico responsabile dell’evento dannoso. L’impresa, come presumibile, respingeva ogni addebito riguardante la circostanza dell’incidente successo al cittadino ricorrente. Contro la sentenza di primo grado e della Corte di Appello che gli diedero torto, il cittadino è ricorso in Cassazione. L’ANALISI DEI GIUDICI I giudici della Suprema Corte osservano che nei gradi di giudizio precedente al cittadino ricorrente, con riferimento ai danni subiti a causa dell’omessa o insufficiente manutenzione delle strade, erano

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state applicate le norme contenute nell’articolo 2043 del Codice civile, che prevede una responsabilità extra-contrattuale che “scatta” solo quando si dimostra una condotta illecita. In realtà con la pronuncia n. 156 del 10 maggio 1999 della Corte costituzionale si era affermato il principio secondo cui alle Pubbliche amministrazioni non si doveva applicare la disciplina dettata dall’articolo 2051 del Codice civile solo allorquando «sul bene di sua proprietà non sia possibile - per notevole estensione di esse e le modalità di uso, diretto e generale, da parte di terzi - un continuo, efficace controllo, idoneo ad impedire l’insorgenza di cause di pericolo per gli utenti». Secondo i giudici di Piazza Cavour questa impossibilità di intervento va dimostrata caso per caso; il fattore decisivo per l’applicabilità della disciplina ex articolo 2051 del Codice civile lo si deve individuare nella possibilità o meno di esercitare un potere di controllo e vigilanza sui beni demaniali, con la conseguenza che l’impossibilità di siffatto potere non potrebbe ricollegarsi puramente e semplicemente alla notevole estensione del bene e all’uso generale e diretto da parte dei terzi, considerati meri indici di tale impossibilità, ma all’esito di una complessa indagine condotta dal giudice di merito con riferimento al singolo, che tenga in debito conto, innanzitutto, gli indici suddetti. La giurisprudenza di legittimità ha affermato, inoltre, riguardo al demanio stradale, la necessità che la configurabilità della possibilità in concreto della custodia consente di indagare un Comune non soltanto con riguardo all’estensione della strada, ma «anche alle sue caratteristiche, alla posizione, alle dotazioni, ai sistemi di assistenza che li connotano, agli strumenti che il progresso tecnologico appresta, in quanto tali caratteristiche acquistano rilievo, condizionante anche alle aspettative degli utenti, rilevando ancora, quanto alle strade comunali, come figura sintomatica della possibilità del loro effettivo controllo, la circostanza che le stesse si trovino all’interno della perimetrazione del centro abitato». Questo procedimento di verifica in merito all’esistenza del potere di controllo e vigilanza, secondo i giudici di legittimità è stato totalmente omesso nelle sentenze precedenti, che si sono trincerate dietro l’inapplicabilità in via di principio dell’articolo 2051 del Codice civile alla manutenzione delle strade da parte della pubblica amministrazione. UN CASO PRECEDENTE Su una circostanza abbastanza simile a quella oggetto dell’argomento in commento, e cioè sulle insidie stradali nelle strade comunali, si era pronunciata la Corte di Cassazione con sentenza n. 390/2007. La Corte di Cassazione, in quella occasione, aveva chiarito gli aspetti relativi alla ripartizione dell’onere probatorio tra attore ed ente convenuto in caso di domanda di risarcimento del danno (ex articolo 2043 del Codice civile) per insidia stradale costituita da un tombino mal posizionato. Nell’ipotesi di lesioni riportate dall’utente di una strada urbana, per il giudici della Suprema Corte, il danneggiato deve essere risarcito, in quanto nei confronti del Comune trova applicazione, la presunzione di responsabilità per danni cagionati da cose in custodia, a meno che risulti oggettivamente impossibile l’esercizio di un adeguato controllo da parte dell’ente proprietario. Ne consegue la necessità per il danneggiato di dimostrare l’esistenza del nesso di causalità tra la cosa in custodia e il danno arrecato nonché comprovare l’imputabilità soggettiva e l’esistenza del danno ingiusto, spettando all’Ente l’onere di provare il fortuito, ossia l’esistenza di fatti straordinari e imprevedibili in grado di interrompere il nesso causale che lega l’evento lesivo alla cosa. Quando il danno colpisce l’utente nella sua incolumità personale o nei suoi beni circolanti, il vizio della strada o dell’opera deve essere tale, perché possa ammettersi un danno risarcibile, da determinare una situazione di pericolo occulto, secondo l’affermato concetto di strada “trabocchetto” o insidia nella circolazione stradale, la cui nozione è data dall’elemento oggettivo della non visibilità del «pericolo ex re (sorpresa) e dall’elemento soggettivo dell’imprevedibilità, cioè dell’impossibilità, pur usando della normale prudenza, di avvistare tempestivamente il pericolo per evitarlo». LE CONCLUSIONI La Corte di Cassazione afferma il principio che la presunzione di responsabilità per il danno cagionato dalle cose che si hanno in custodia, stabilite dall’articolo 2051 del Codice civile, è applicabile nei confronti dei Comuni, quali proprietari delle strade del demanio comunale, anche nel caso in cui tali beni siano oggetto di un uso generale e diretto da parte dei cittadini, qualora la loro estensione sia tale da consentire l’esercizio di un continuo efficace controllo che sia idoneo a impedire l’insorgenza di cause di pericolo per terzi.

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Inoltre, la suddivisione in zone della manutenzione delle strade del territorio comunale, affidata in appalto a varie imprese - la cosiddetta zonizzazione - comporta per il Comune (rispetto a quanto invece asserito da quest’ultimo) un maggiore grado di possibilità di controllo sui beni del demanio stradale, con conseguente responsabilità del Comune stesso per i danni da essi cagionato. Per queste motivazioni la Corte di Cassazione ha disposto il rinvio della causa alla Corte di Appello che dovrà valutare la richiesta di risarcimento di danno. Blackpoint, il pericolo in strada Il progetto Blackpoint promosso dalla Fondazione Ania per la sicurezza stradale ha come obiettivo la raccolta via web o attraverso comunicazioni telefoniche di informazioni provenienti dalle segnalazioni degli utenti relative a un incidente, a uno o più punti ritenuti pericolosi per la circolazione, fornendo l’ubicazione esatta, la tipologia e la descrizione dell’anomalia individuata ed eventualmente le foto. Una volta ricevute le segnalazioni sui punti critici, viene sollecitato l’intervento da parte delle autorità e quindi non appena posto rimedio si procede indicando tali punti come “White Point... abbiamo risolto”

Caratteristiche dei BP

BP causati da buche o fondo stradale sconnesso 1.689

BP che hanno causato incidenti 949

BP causati da incroci pericolosi 732

BP dovuti a segnaletica mancante o poco chiara 522

BP per tipologia di strada

BP localizzati su strade urbane 55%

BP localizzati su strade extraurbane 43%

BP localizzati su rete autostradale 1,8%

Le prime 3 Regioni per numero di BP

BP situati in Lombardia 20,3%

BP situati nel Lazio 15,9%

BP situati in Campania 8,1%

Incidenti e BP

Incidente correlato a incrocio pericoloso BP 381 (38%)

Incidente correlato a buca o fondo sconnesso BP 250 (25%)

Totale Black Point (BP) segnalati 4.556

Fonte: Ania, Rapporto “SmANIA DI SICUREZZA STRADALE”, ottobre 2008

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Danno erariale

Danno erariale da reato penale: sul "quantum" decide il giudice contabile La sezione lombarda della Corte dei conti, ridisegnando, alla luce del nuovo art. 538 c.p.p., il rapporto tra giurisdizione penale e contabile sul danno da reato, afferma che il giudice penale, in ipotesi di costituzione di parte civile della PA, non possa andare oltre una mera sentenza di condanna generica dell'imputato al risarcimento del danno Aurelio Laino, Diritto e Pratica Amministrativa, Il Sole 24 Ore, 1° marzo 2009, n. 3, p. 105 Corte dei conti, sez. giur. Lombardia, sent. n. 5 del 2009 LA MASSIMA Giudizio penale e giudizio contabile - Rapporto - Ex art. 538 c.p.p. - Danno erariale –Risultante da reato - Quantificazione - Da parte della Corte dei conti - Secondo le regole del giudizio contabile – Necessità Con l’avvento dell’art. 538 del nuovo codice di procedura penale è stata ridisegnata la mappa dei rapporti fra giudizio penale - nel quale sia stata insinuata la domanda civile - e giudizio contabile, nel senso che quando vi è vicenda penale, il relativo giudice deve arrestarsi a una condanna meramente generica al risarcimento del danno derivante dal reato in quella sede accertato e in favore della PA costituitasi parte civile. Spetterà, infatti, alla Corte dei conti, statuire in ordine alla concreta determinazione del “quantum”, secondo le regole peculiari del proprio processo. Alla luce di ciò, nell’ipotesi in cui il giudice penale proceda, comunque, alla liquidazione del danno sarà necessario sollevare questione di contrasto di giurisdizione innanzi alle sezioni unite della Cassazione. IL COMMENTO Con la sentenza qui in commento la sezione lombarda della Corte dei conti torna nuovamente ad affrontare il delicato tema del rapporto di concorrenza tra giurisdizione penale e contabile sotto il profilo del danno da reato arrecato a una amministrazione pubblica. La decisione rappresenta un apprezzabile tentativo di ricomposizione, in chiave rimeditativa, del sistema ordinamentale di tutela risarcitoria, avente a oggetto siffatto nocumento, alla luce delle ultime tendenze evolutive della giurisprudenza contabile, formatasi soprattutto successivamente alla fondamentale sentenza della Corte costituzionale n. 272/2007, pronunciata - si noti - proprio a seguito di un'ordinanza di rimessione formulata dalla stessa sezione meneghina nel medesimo giudizio. Lo sforzo della sezione appare, dunque, encomiabile anche per tale ragione, essendo stata prospettata una questione di legittimità costituzionale al fine di ottenere una nuova decisione del Giudice delle leggi che tenesse conto del mutamento del quadro normativo intervenuto con l'avvento del nuovo c.p.p. E ciò, evidentemente, col meritorio intento di consentire alla Corte costituzionale di rivedere il proprio punto di vista sulla questione rispetto ad un non recente passato. La questione di fondo La ghiotta occasione per rimeditare la soluzione della problematica in questione è stata fornita alla sezione da uno degli innumerevoli episodi corruttivi che, purtroppo, da sempre flagellano il nostro Paese e sui quali la magistratura contabile, sulla scia di quella penale, viene sovente chiamata a giudicare. Nella specie, la vicenda si pone a cavallo degli anni ottanta e novanta e si inserisce nel quadro della c.d. “tangentopoli” varesina. In particolare, il giudizio trae origine da un'iniziativa del requirente contabile che conveniva in giudizio il presidente di un consorzio pubblico locale, il quale - sulla scorta delle emergenze probatorie delineatesi nell'omologo giudizio penale, definito con sentenza di condanna in primo grado, confermata in appello - risultava essersi fatto fittiziamente assumere, grazie all'intervento di taluni esponenti politici locali, come dipendente di una società

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privata operante nel campo ambientale, percependo a titolo di retribuzione svariate decine di milioni di lire per diversi anni e ricevendo, altresì, dalla società in questione, un contributo annuo di circa 150 milioni di lire, per due annualità, in cambio del suo intervento volto a influire sul conferimento di incarichi professionali, di appalti di lavori pubblici e di concessioni della gestione degli impianti a favore della società stessa da parte dei vari Consorzi ecologici gravitanti nella zona. Dall'illecito contestato - peraltro, da iscriversi nella più vasta prassi corruttiva che aveva avuto per protagonisti gli esponenti dei partiti politici di maggioranza nella realtà varesina e i loro collettori, tra i quali esisteva un accordo permanente sia sulla richiesta dei “contributi” a privati imprenditori interessati all'aggiudicazione di appalti e sia sulla ripartizione di tali “fondi” fra i partiti allora maggioritari - derivava, a parere della Procura regionale, un notevole danno all'immagine del consorzio stesso, quantificato in oltre cinquecentomila euro e determinato dalla condotta del convenuto che aveva dato - per la posizione di primo piano rivestita nella realtà amministrativa del comune di Varese - preminente apporto alla realizzazione del predetto sistema tangentizio. Circostanza, questa, che deponeva, insieme al clamore dato alla vicenda negli organi di stampa, per una quantificazione del suddetto nocumento in misura doppia rispetto all'ammontare della dazione illecita ricevuta. Nel processo penale già celebratosi, peraltro, l'ente danneggiato dal reato (il consorzio) si era costituito parte civile, ottenendo la condanna generica del (allora) suo presidente a una somma da liquidarsi in separata sede. Da qui l'eccezione di inammissibilità della citazione innanzi alla Corte dei conti, sollevata dalla difesa del suddetto responsabile sulla base dell'assunto secondo cui, essendo già intervenuta una decisione del giudice penale sulle richieste risarcitorie della persona giuridica danneggiata dal reato, un'eventuale nuova pronuncia di condanna da parte della magistratura contabile si sarebbe tradotta, giocoforza, in un'inammissibile duplicazione del medesimo giudizio, con conseguente violazione del principio del ne bis in idem immanente nel nostro sistema processuale. Come accennato, proprio nel risolvere tale eccezione preliminare di rito l'adita sezione, con ordinanza n. 92/2006, aveva sollevato d'ufficio la questione di legittimità costituzionale dell'art. 75, comma 3, c.p.p. nella parte in cui esso, secondo l'interpretazione fornitane dal “diritto vivente”, comporterebbe la sospensione del processo contabile instaurato, nei confronti delle medesime persone, per i medesimi fatti, dopo l'emanazione della sentenza penale di primo grado che avesse pronunciato sulla domanda civile proposta in quella sede. Tale sospetto di incostituzionalità non è stato condiviso dalla Corte costituzionale, la quale - però - con l'accennata sentenza n. 272/2007 - pur dichiarando inammissibile la questione, ha avuto occasione per rimeditare il proprio precedente orientamento, come avremo modo di chiarire meglio di qui a poco. I precedenti Com'è noto, il nostro sistema processuale consente la proposizione dell'azione (civile) risarcitoria del danno da reato innanzi al medesimo giudice che quel reato stesso deve accertare, ossia quello penale. Ciò avviene mediante la costituzione di parte civile della persona (fisica o giuridica, poco importa) danneggiata (art. 75 c.p.p.). Tale istituto, peraltro, ha il fondamentale scopo di consentire al soggetto che subisce le conseguenze patrimoniale e/o morali del reato commesso dall'imputato (c.d. danneggiato), di partecipare al processo penale in qualità di parte processuale, allo scopo di contribuire all'accertamento della verità dei fatti, soprattutto sotto il profilo di siffatte conseguenze. Per questo motivo, alla parte civile vengono attribuite diverse e importanti facoltà processuali, tra cui - in primo luogo - quelle di proporre mezzi di prova e di confutare le prove a discarico offerte dall'imputato stesso, nonché di rassegnare le proprie conclusioni prima della decisione (cfr. artt. 187, 503 e 523 c.p.p.). A mente dell'art. 538 del codice di rito, il giudice penale, laddove riscontri la sussistenza del reato deve, altresì, decidere sulla domanda risarcitoria colà proposta e, qualora ritenga esservi gli estremi del diritto al risarcimento, condannare l'imputato. La condanna, peraltro, sarà necessariamente generica quante volte la competenza alla liquidazione del danno sia devoluta ad altro giudice (art. 538, 2° co., c.p.p.), ovvero quando le prove raccolte non consentano la determinazione del quantum (art. 539 c.p.p.). Proprio al fine di regolare i rapporti tra l'azione risarcitoria del danno derivante da reato proposta in sede civile e penale, soprattutto affinché non si verifichino giudicati contrastanti, l'art. 75 c.p.p. dispone: a) la facoltà di trasferimento nel giudizio penale dell'azione già intentata in sede civile e non ancora definita in prime cure; b) l'obbligatoria sospensione del processo civile quante volte vi sia stata costituzione di p.c. nel processo penale e fino alla definizione di quest'ultimo.

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La coerenza sistematica del descritto meccanismo procedurale, del tutto lineare e logico in via di principio, viene messa profondamente in crisi, però, allorquando il danno da reato sia cagionato a una PA da parte di un pubblico funzionario, per l'inevitabile relazione di interferenza che si viene a creare con i profili di responsabilità amministrativa pure presenti nella fattispecie e stante il tendenziale monopolio della relativa azione in capo al pm contabile, in virtù di svariate disposizioni disseminate nel tessuto ordinamentale (prima tra tutte l'art. 52 Rd n. 1214/1934). Se, infatti, l'azione risarcitoria promossa dall'ente pubblico contro il proprio dipendente innanzi al giudice civile dovrebbe, generalmente, dichiararsi inammissibile per difetto di potestas iudicandi del giudice adito e in favore della Corte dei conti, altrettanto non è a dirsi nell'ipotesi in cui la stessa domanda venga proposta innanzi al giudice penale con la costituzione di p.c.. E invero, pur non essendo prevista espressamente dal c.p.p., tale facoltà viene pacificamente riconosciuta anche in capo alla PA proprio per la fondamentale ragione che, altrimenti, alla stessa sarebbe impedito di esercitare quei poteri processuali dapprima richiamati con manifesta disparità di trattamento rispetto ad altri soggetti dell'ordinamento (persone fisiche o enti privati). Il problema che, allora, in particolare si pone è se, in pendenza di una costituzione di parte civile il giudizio contabile avente il medesimo oggetto debba necessariamente sospendersi in attesa della definizione di quello penale e in applicazione dell'art. 75, 3° co. c.p.p. (nel presupposto che l'azione civile ed erariale di danno avrebbero sostanzialmente lo stesso petitum e causa petendi) e, inoltre, se, una volta che vi sia un giudicato penale di condanna (anche) al risarcimento del danno da reato, l'azione di responsabilità intestata alla Corte dei conti divenga, a sua volta, inammissibile in ossequio al divieto del ne bis in idem. Sul punto, l'opinione della giurisprudenza contabile è apparsa avere un indirizzo non sempre univoco (per la tesi della necessaria sospensione, v. C. conti, sez. II, n. 23/A/96; per quello dell'assoluta autonomia tra i due giudizi, con conseguente inapplicabilità della disposizione de qua: C. conti, sez. riun., n. 754/1992 e, più di recente, C. conti, sez. I, n. 244/2004). La decisione sulla questione, per inciso, si è ritenuta di stretta competenza del giudice contabile, avendo la Suprema Corte sempre considerato il problema una faccenda involgente non già profili di giurisdizione sibbene di mero merito, pertanto non censurabile in Cassazione, sul presupposto che l'interferenza può sussistere tra giudizi ma giammai tra giurisdizioni (tra le tante, Cass., sez. un., ord. n. 4957/2005). La questione, allora, riguarderebbe non la potestas iudicandi del giudice adito, quanto la proponibilità concreta dell'azione innanzi al giudice contabile, una volta che fosse intervenuto un giudicato penale di condanna al risarcimento del danno. In questo quadro ordinamentale e giurisprudenziale si inserisce, dunque, la più volte richiamata sentenza n. 272/2007 della Corte costituzionale, provocata, ricordavamo, dalla stessa sezione lombarda della Corte, dalla cui attenta lettura si ricava la netta impressione che il giudice delle leggi abbia inteso rimeditare il proprio precedente orientamento sul problema della concorrenza delle due giurisdizioni, dando particolare risalto alla norma di cui all'art. 538, 2° co. c.p.p. citata. L'approfondimento Come sapientemente colto dalla decisione in commento, invero, la quale richiama sul punto anche la più accorta dottrina e giurisprudenza (v. L. Venturini, commento a Corte cost. n. 272/2007, su www.amcorteconti.it, e C. conti, sez. I, n. 137/2008), il giudice delle leggi, nel respingere formalmente la prospettata incostituzionalità dell'art. 75 c.p.p., ha però stimolato il collegio remittente a “[...] valutare l'applicabilità alla fattispecie in questione [...] dell'art. 538 c.p.p., il quale limita la giurisdizione del giudice penale in sede di pronuncia sul risarcimento del danno, alla sola condanna generica dell'imputato senza porre problemi di pregiudizialità, essendo questa venuta meno, con l'abrogazione dell'art. 3 del vecchio c.p.p [...]”. Da tale icastica proposizione la sezione, nel proseguire il giudizio contabile sospeso in attesa di risoluzione dell'incidente di incostituzionalità dalla stessa ufficiosamente sollevato, ha tratto il convincimento - peraltro assai corretto, a parere di chi scrive - circa il chiaro revirement operato da palazzo della Consulta rispetto a quanto affermato nella precedente sentenza (sempre di rigetto) n. 773/1988, pronunciata in un contesto normativo, però, profondamente differente da quello attuale (basti pensare a norme come quella dell'art. 26 del codice Rocco “Nel caso di condanna dell'imputato, l'azione civile già esercitata nel procedimento penale non può essere più proposta in sede civile o amministrativa, neanche limitatamente alla liquidazione dei danni”, che più non trovano cittadinanza nell'attuale ordinamento processuale italiano). Ed è di tutta evidenza come il principio di diritto espresso dal collegio meneghino e più sopra massimato discenda pianamente da

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siffatto convincimento a cui è seguito logicamente il rigetto dell'eccezione di inammissibilità della citazione proposta dal convenuto. Nell'approfondire il senso e la portata della dizione letterale della norma di cui all'art. 538, 2° co. cit., la sentenza in commento, riconosce la sussistenza di un (sia pur ridotto) potere di cognizione del giudice penale, il quale andrebbe limitato, tuttavia, “[...] all'attitudine dannosa del comportamento in contestazione, ovvero sulla idoneità - in astratto - della condotta a procurare un danno all'amministrazione [...]”. E presupponendo siffatto pronunciamento una domanda risarcitoria proveniente dall'ente danneggiato, ne risulterebbe confermato, per tale via, il potere di quest'ultimo di esercitare un'autonoma (ancorché innominata) azione “[...] da riconoscere come utile a ogni altro effetto, ivi incluso quello interruttivo della prescrizione dell'azione erariale (concretando senza dubbio un atto di esercizio del diritto di credito di cui l'amministrazione danneggiata si assuma titolare) [...]”. Le conclusioni Così ricostruito il riparto di giurisdizione tra il giudice penale e contabile nella materia de qua, la tendenziale esclusività della potestas iudicandi della Corte dei conti sul danno erariale, anche nell'ipotesi in cui esso derivi dal reato, risulta rafforzata e coerente con il dettato di cui all'art. 103 Cost., essendo tale connotato “protetto”, nell'eventualità di una condanna del giudice penale anche sulquantum, dal rimedio del conflitto positivo di giurisdizione, una volta risolto il quale ben potrebbero le sezioni unite della Cassazione rimettere gli atti al giudice contabile per la prosecuzione del giudizio nella corretta sede, ai sensi dell' art. 382 c.p.c., come suggerito dalla stessa decisione qui in commento che pure richiama, sul punto, la citata dottrina. Esclusività che, peraltro, risulta confermata anche dall'impossibilità per il giudice penale di disporre di una provvisionale in favore della PA costituitasi parte civile, come pure astrattamente previsto dall'art. 539, 2° co., c.p.p., poiché, come giustamente ha evidenziato la sezione, essa presuppone la stima del risarcimento verosimilmente spettante, la quale, però, va considerata anch'essa espressione di quel potere di decisione del quantum che l'art. 538, comma 2, c.p.p. non riconosce al giudice penale. In conclusione, va dato merito al collegio di aver saputo formulare un esaustivo e originale disegno ricostruttivo dei rapporti intercorrenti tra giurisdizione penale e contabile sul danno da reato che, se confermato in seconde cure, rappresenterà un validissimo vademecum per districarsi in una materia tanto stimolante quanto complessa.

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Appalti

Appalti:quando l'utile dichiarato può dirsi incongruo? Secondo i giudici di Palazzo Spada, il margine di utile dichiarato in una gara d'appalto è in realtà un elemento neutro poiché esso, ove esiguo, costituisce soltanto l'indice sintomatico della necessità di verificare se nel suo insieme l'offerta possa dirsi congrua e affidabile, vale a dire tale da garantire la corretta esecuzione dell'opera Appalti: quando l'utile dichiarato può dirsi incongruo? Giancarlo Tanzarella, Diritto e Pratica Amministrativa, Il Sole 24 Ore, 1° marzo 2009, n. 3, p. 58 Consiglio di Stato, sez. VI, dec. n. 215 del 16 gennaio 2009 LA MASSIMA Gara d’appalto - Aggiudicazione - Offerta dell’aggiudicataria - Con un utile dichiarato pari al 2,71% - Anomalia dell’offerta - Esclusione - Incongruità dell’utile - Da valutare non in termini assoluti - Necessità Non può essere condivisa la censura secondo la quale l’offerta dell’aggiudicataria di una gara d’appalto per la fornitura a favore di una pubblica amministrazione del servizio energia, è anomala in quanto l’utile indicato (2,71%) è manifestamente incongruo. Al riguardo, deve essere rilevato come un utile apparentemente modesto può comportare un guadagno importante, quando il contratto abbia un importo elevato. Di conseguenza, la censura di illogicità, nella quale si sostanzia l’argomentazione dell’appellante, non può essere prospettata in termini assoluti, ma con specifico riferimento all’appalto di cui si tratta. Atteso che il mezzo è stato proposto senza calarlo nella concretezza dell’appalto di cui ora si discute, deve essere disatteso. IL COMMENTO Con sintetiche valutazioni la sez. VI del Consiglio di Stato ha respinto il gravame nella parte volta a eccepire l'anomalia di una offerta comportante un utile dichiarato del 2,71% annotando che “deve essere rilevato come un utile apparentemente modesto può comportare un guadagno importante, quando un contratto abbia un importo elevato”. Questa sintetica espressione focalizza uno dei temi centrali del dibattito circa il concetto di “affidabilità e congruità ” dell'offerta formulata nelle pubbliche gare che, come noto, non risulta positivamente definito sicché compete all'interprete, sulla scorta delle linee di indirizzo fornite dalla legge di settore e nel rispetto dei limiti consentiti al sindacato giurisdizionale, l'individuare il modo più corretto per risolvere il quesito se un'offerta economica particolarmente modesta sia per ciò solo inaffidabile. Tale è, per opinione condivisa, l'offerta formulata in termini idonei a rendere ipotizzabile la difficoltà della sua esecuzione o, peggio, che l'acquisizione della commessa possa essere colta unicamente qual mezzo al fine di dare ingresso a un contenzioso con aspettative di risultato più fruttuose di quanto non avrebbe potuto essere il ricavo derivante dalla corretta esecuzione del contratto (“ciò che rileva è la certezza che l'offerta sia seria, nel senso che il concorrente non abbia intenzione di trarre lucro dal futuro inadempimento delle obbligazioni contrattuali”, come annotato nel contesto della sentenza Tar Lazio, sez. III, n. 2514 del 21 marzo 2008, confermata dalla decisione del Consiglio di Stato oggetto del presente commento). Dunque, con riguardo al margine di utile, è possibile formulare valutazioni in negativo: se l'utile manca ciò solo è indice sintomatico di inaffidabilità dell'offerta, così come eguale apprezzamento di disvalore deve essere attribuito a una offerta comprendente un utile “addirittura pari a zero in considerazione della rilevanza strategica derivante dall'acquisizione della commessa nella prospettiva aziendale” (Tar Lazio, sez. III, n. 1527 del 21 febbraio 2007) giacché, come si tornerà a rilevare in appresso, è nell'ambito del singolo contratto che deve essere assicurata la economicità di impresa.

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Tuttavia, se è possibile affermare che un utile deve esservi, non è comunque consentito ipotizzarne in via preventiva un margine minimo al di sotto del quale l'offerta debba considerarsi per ciò solo incongrua. Al riguardo, con valutazione unanime e condivisa, la giurisprudenza amministrativa ha infatti da tempo chiarito che “non esiste una quota di utile di impresa rigida al di sotto della quale la proposta dell'appaltatore debba considerarsi per definizione incongrua” (così, da ultimo, Tar Lombardia, sez. III, n. 1356 del 23 febbraio 2009, sul medesimo principio Cons. Stato, sez. V, n. 3819 del 5 luglio 2007; sez. VI, n. 1072 dell'8 marzo 2004; sez. V, n. 882/2002 e 814/1999). Il margine di utile, quindi, quale che ne sia la sua consistenza ha un semplice valore indiziario (si richiamano al riguardo le ampie e interessanti considerazioni di Tar Lecce, sez. II, n. 1945 del 21 maggio 2007, in particolare p. 13) con l'avvertenza che quand'anche il margine indicato non sia tenue, non per ciò solo l'offerta può sicuramente considerarsi a pieno titolo affidabile: “assumere l'esistenza di un utile di impresa non significa, per sé solo, considerare non anomala un'offerta, poiché il giudizio di anomalia si basa anche su aspetti diversi dall'utile di impresa e quindi non è logicamente accettabile che la presenza di questo sia condizione necessaria e sufficiente per giudicare non anomala l'offerta” (Cga per la regione siciliana, n. 673 del 23 luglio 2007, p. 8, in un contesto nel quale l'offerta aggiudicataria aveva dichiarato un utile del 5% ridottosi, a seguito di verifiche, al 2,51% che tuttavia, in quella particolare fattispecie, è stato considerato idoneo ad attestare la affidabilità dell'offerta). La conclusione cui pare corretto pervenire è che, in sé considerato, il margine di utile è in realtà un elemento neutro poiché esso, ove esiguo, costituisce soltanto l'indice sintomatico della necessità di verificare se nel suo insieme l'offerta possa dirsi congrua e affidabile, vale a dire “tale da garantire la corretta esecuzione dell'opera” (così Cga, cit., pag. 10, con espressione di principio pacificamente condivisa). L'approfondimento Assunta dunque al ruolo di principio cardine l'equivalenza che non è data affidabilità se non è assicurata l'esistenza di un utile per l'imprenditore, si pone il problema di come verificare che un margine di utile esista e quindi, nel caso affermativo, se esso sia idoneo alla bisogna (e cioè ad assicurare che il contratto abbia una effettiva possibilità di essere correttamente eseguito). L'istituto della anomalia risponde per l'appunto a questa funzione: esso, in sintesi, assolve allo scopo di offrire criteri di valutazione che consentano di saggiare - in modo per quanto possibile obiettivo - la attendibilità della proposta contrattuale. La attendibilità (e cioè la congruità dell'offerta) deve, come sopra accennato, essere verificata all'interno del singolo contratto (l'offerta contrattuale, cioè, deve essere formulata in modo da bilanciare costi e ricavi nell'ambito del singolo rapporto contrattuale oggetto di gara) e lo stesso criterio opera per quanto attiene alla individuazione della anomalia, vale a dire dell'elemento indiziario della potenziale esistenza di una situazione di incongruità. La anomalia, infatti, si misura nell'ambito della medesima gara, quale parametro di raffronto incrociato fra le varie offerte pervenute, sicché un significativo discostamento dalla loro media, ovvero una significativa acquisizione di punteggio elevato sono altrettanti elementi che impongono l'attenzione e fanno sorgere il dovere del controllo in accordo alle regole attualmente stabilite dall'art. 86 del codice dei Contratti pubblici (Dlgs n. 163 del 12 aprile 2006). L'emergere dell'elemento sintomatico di una potenziale incongruità (e cioè della anomalia) è infatti sostanzialmente automatico e dipendente dal modo come le concorrenti abbiano, con riguardo a quella specifica gara (e quindi anche con riguardo al momento storico nel quale la gara viene a essere esperita) formulato la propria offerta: secondo il legislatore sono “anormalmente basse” le offerte che superino di una certa percentuale la media di quelle concorrenti nella selezione affidata al criterio del prezzo più basso (art. 86.1); mentre nella selezione imperniata sul criterio della offerta economicamente più vantaggiosa l'indice sintomatico è costituito dal raggiungimento della soglia dei quattro quinti dei punti assegnabili sia per il profilo tecnico che per quello economico. Si impone pertanto, nel caso, l'indagine sulla congruità la quale è intrinsecamente complessa in ragione del fatto che il semplice elemento del prezzo offerto non è intrinsecamente significativo a causa del “ concetto stesso di anomalia, che, come è noto, è un concetto relativo, legato cioè alla media dei ribassi offerti nella singola gara e non generalizzabile: in sostanza, una certa offerta può essere anomala in una gara e del tutto “normale” in un'altra procedura, ciò dipendendo dalla media dei ribassi offerti dai partecipanti alla singola licitazione ” (Tar Lecce, n. 1945/2007, cit. , pag. 15).

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Di qui l'obbligo della stazione appaltante di condurre una indagine che deve avere a oggetto gli elementi di valutazione positivamente indicati nell'art. 87 del Codice ma che costituiscono solo linee guida le quali non le impediscono una indagine anche su altri profili ma che, soprattutto, non interdicono all'appaltatore il diritto di affermare e dimostrare la correttezza della propria offerta (e cioè la sua sostenibilità economico-finanziaria) in qualsiasi modo egli ritenga più confacente al bisogno ma pur sempre con taluni limiti invalicabili. Il primo di essi è dato dal comma 3-bis del più volte menzionato art. 86 (comma che nella sua attuale formulazione è quello introdotto dall'art. 8 della legge n. 123 del 3 agosto 2007). Si tratta della disposizione in forza della quale “nella predisposizione delle gare di appalto e nella valutazione dell'anomalia delle offerte nelle procedure di affidamento di appalti di lavori pubblici, di servizi e di forniture, gli enti aggiudicatori sono tenuti a valutare che il valore economico sia adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro e al costo relativo alla sicurezza, il quale deve essere specificamente indicato e risultare congruo rispetto all'entità e alle caratteristiche dei lavori, dei servizi o delle forniture”. Per quanto concerne la valutazione di congruità, la norma comporta l'obbligo di verificare che il margine di utile residui al netto di costi insopprimibili perché sociali (e cioè il costo del lavoro e il costo della sicurezza; sul punto si richiama anche il disposto di cui all'art. 87, III e IV comma), sicché si è fra l'altro avuto modo di avvertire “che, anche in mancanza di una specifica indicazione dei costi per la sicurezza, l'offerta non può essere considerata anomala, se, computando gli oneri per la sicurezza, la medesima conserva un sufficiente margine di utile per l'impresa” (Tar Sardegna, sez. I, n. 2131 del 15 novembre 2005, pag. 11). Per quanto concerne il complessivo operato dell'amministrazione, tale disposizione sembra assumere un significato e implicare una portata che va ben al di là della semplice indicazione di una linea guida ai fini della verifica di anomalia, giacché sembra in realtà postulare l'obbligo di una fattiva cooperazione della stessa stazione appaltante al fine del raggiungimento dell'obiettivo di far sì che le offerte che perverranno siano potenzialmente congrue. Ciò pare di cogliere nella prima espressione del primo periodo del comma 3-bis ove è evidenziato che il compito di “valutare che il valore economico sia adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro e al costo relativo alla sicurezza, il quale deve essere specificamente indicato e risultare congruo rispetto all'entità e alle caratteristiche dei lavori, dei servizi o delle forniture” deve essere assolto già nella fase della “predisposizione delle gare di appalto”; il che, in concreto, vuol dire che l'oggetto dell'appalto e lo stesso criterio selettivo del contraente devono essere (rispettivamente) definito e scelto avendosi conto della necessità che, per quanto accanita possa essere la competizione, l'imprenditore (serio) sia messo nelle condizioni di poter effettivamente disporre di un margine di comprimibilità del corrispettivo. Dunque, come detto, vi è nella norma un limite intrinseco costituito dalla necessità di costruire un'offerta economicamente attiva pur tenendo conto di costi insopprimibili e vi è, deve ora essere aggiunto, un secondo limite che è dato dalla necessità che la economicità dell'affare sia ricavata nell'ambito del contratto da eseguire, poiché l'ordinamento non consente che alla intrinseca sostenibilità economica di quello specifico affare si sostituisca la soggettiva capacità dell'impresa di sopportarne la perdita con risorse ricavabili dall'insieme della sua attività. Ciò è enucleabile dall'art. 87, primo comma, ove è affermato che le giustificazioni devono essere “pertinenti in merito agli elementi costitutivi dell'offerta medesima” , espressione questa che è stata di recente oggetto di puntuale disamina da parte del giudice amministrativo (Tar Lazio, sez. III, n. 1372 del 14 febbraio 2008, e quindi, con pronunzia di conferma, Consiglio di Stato, sez. VI, n. 3900 del 7 agosto 2008) il quale ha manifestato l'avviso che il connotato di pertinenzialità non coincide esclusivamente con l'oggetto del contratto, bensì con tutto ciò che a quell'oggetto contrattuale comunque si collega, cosiché la sostenibilità economica di una offerta che in quel caso era addirittura e sicuramente in perdita è stata invece affermata perché dal contratto principale nasceva l'occasione di una qualità di contratti collaterali comunque a esso collegati: “ l'errore in cui è incorsa la stazione appaltante, e il cui rilievo non consente di condividere le censure appellatorie, è quello, emergente con evidenza dalla formula legislativa, di far coincidere la 'pertinenza' con il più ristretto concetto di diretta attinenza, o coincidenza, con gli elementi costitutivi dell'offerta, costruendo un concetto di elementi 'estrinseci' che non ha riscontro nel dato normativo. Deve invece ritenersi che siano ammissibili elementi giustificativi la cui pertinenza emerga, come nel caso, da un oggettivo collegamento economico degli stessi con gli elementi costitutivi dell'offerta,

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cioè, in definitiva, con l'oggetto del contratto, sì da aversi una connessione che, sul piano della produzione di servizio, colloca le circostanze addotte come giustificazione all'interno del processo produttivo prefigurato in modo unitario, e in concreto inscindibile, dall'offerente ” (Consiglio di Stato, VI, n. 3900 del 7 agosto 2008, pag. 37). All'assolvimento del proprio obbligo valutativo l'amministrazione è chiamata con il compito di esprimere un provvedimento che, ove ricognitorio della ritenuta incongruità deve risultare particolarmente motivato perché ne sia evidente il fondamento logico-giuridico mentre, secondo una opinione prevalente ma non uniforme, l'eguale necessità di motivazione non sussiste per l'ipotesi di definizione positiva riguardo l'affidabilità dell'offerta. Il relativo apprezzamento assume la connotazione di valutazione tecnico discrezionale che tuttavia, come ormai da tempo pacifico nell'opinione del giudice amministrativo, non significa immunità, bensì assoggettamento al sindacato giurisdizionale cui è dato di verificare la correttezza dei criteri nell'esercizio di un potere che così è stato efficacemente compendiato: “nel caso della discrezionalità tecnica, l'amministrazione è tenuta a seguire regole proprie delle scienze o delle arti e non esprime, propriamente, una volontà di scelta, ma una posizione gnoseologica alla luce di parametri desumibili dalle scienze e dalle arti. Pertanto, ben può il giudice amministrativo, e anzi è tenuto, a verificare che le regole della scienza o dell'arte applicate al caso di specie siano state correttamente seguite e interpretate. Viceversa, l'intervento del giudizio tecnico costituirebbe uno schermo invalicabile dietro il quale potrebbe annidarsi l'arbitrio e l'eccesso di potere, senza che il Giudice possa in alcun modo rilevarlo” (CSA, n. 673/2007 cit., pag. 6). Conclusioni Nella sua breve parte qui oggetto di commento la sezione VI del Consiglio di Stato ha espresso in termini riepilogativi l'attuale approdo di una valutazione ermeneutica che considera l'utile positivo un semplice elemento indiziario alla cui luce può sorgere (ricorrendone i presupposti normativi di cui all'art. 86 TU Appalti) l'obbligo della verifica, ma che non è intrinsecamente indice di inaffidabilità giacché, come rilevato dalla medesima sentenza nel passo immediatamente successivo “la censura di illogicità, nella quale si sostanzia l'argomentazione dell'appellante, non può essere prospettata in termini assoluti, ma con specifico riferimento all'appalto di cui si tratta. Atteso che il mezzo è stato proposto senza calarlo nella concretezza dell'appalto di cui ora si discute, deve essere disatteso”.

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Sicurezza ed igiene del lavoro

Il direttore di stabilimento responsabile della sicurezza Gabriele Taddia, Ambiente&Sicurezza, Il Sole 24Ore, 24 marzo 2009, n. 6, p. 106 Cassazione penale, sez. IV, 12 novembre 2008, n. 42136 LA MASSIMA Sicurezza del lavoro – Infortuni – Responsabilità del direttore di stabilimento – Qualifica di dirigente – Obblighi di sicurezza – Mancata attribuzione dei poteri di spesa – Valutazione circa la rilevanza di tale omissione – Non rileva La veste di dirigente non comporta necessariamente poteri di spesa; e fonda autonomamente la veste di garante per la sicurezza nell’ambito della sfera di responsabilità gestionale attribuita allo stesso dirigente. Tale ruolo è indipendente dalla delega, istituto che trova applicazione quando il datore di lavoro trasferisce su altro soggetto, in tutto o in parte, doveri e poteri (anche di spesa) che gli sono propri. IL COMMENTO La Corte di Cassazione ha chiarito un principio importante nel campo della sicurezza, riguardante la posizione di garanzia del direttore di stabilimento, soggetto spesso equiparato a datore di lavoro di fatto, ma in realtà qualificabile in assenza di deleghe come dirigente e, come tale, portatore di obblighi ben diversi. Nel caso di specie, il direttore di stabilimento è stato condannato per il reato di cui all’art. 590, c.p., in danno di un lavoratore, commesso con violazione della normativa sulla sicurezza del lavoro. La sentenza è stata confermata dalla Corte d’Appello. L’infortunio si era verificato sulla linea di produzione automatica. Il lavoratore, dopo aver notato che una macchina non eseguiva correttamente le lavorazioni previste, era entrato all’interno della linea di produzione, che rimaneva in funzione in modalità automatica, e aveva afferrato con la mano sinistra un involucro metallico mantenendolo in posizione per consentire all’apparato di eseguire il ciclo di lavorazione. Dopo che questa procedura era stata eseguita diverse volte, un involucro in lavorazione era stato spinto contro la macchina schiacciando un dito della mano del lavoratore con conseguenti lesioni personali. L’imputato, direttore dello stabilimento nel quale avvenivano queste lavorazioni, è stato accusato di avere consentito che i lavoratori accedessero usualmente all’interno della catena di lavorazione per consentirne il funzionamento e di non aver adottato misure tecniche volte a evitare che gli organi delle macchine in lavorazione fossero protetti, segregati oppure provvisti di dispositivi di sicurezza. L’imputato è ricorso per Cassazione con diverse motivazioni, rilevando fra l’altro che lo stesso «è destinatario dell’accusa in relazione alla sua qualifica di direttore di stabilimento e procuratore speciale della società. In primo grado il giudice ha ritenuto che l’imputato non ricoprisse il ruolo di responsabile della sicurezza in assenza di idonee deleghe e che egli quindi dovesse rispondere del fatto nella veste di preposto. Tale impostazione trascura completamente il fatto che all’interno dell’organizzazione vi erano altri due livelli di preposti, il capo turno ed il capo reparto. La Corte d’Appello, investita della questione, ha attribuito al ricorrente il ruolo di dirigente, senza che tale profilo fosse mai stato oggetto di vaglio dibattimentale. In realtà l’imputato non aveva alcun potere di spesa, ma esclusivamente un potere organizzativo. Inoltre il sinistro si è verificato esclusivamente per omissione dell’obbligo di vigilanza sulla esecuzione della lavorazione da parte del dipendente, che gravava sul capo turno e sul capo reparto. In sostanza, all’imputato sono state contestate violazioni di obblighi che non rientravano nelle sue attribuzioni ma in quelle dei preposti. Ancora, il lavoratore ben avrebbe potuto compiere gli interventi in questione con la catena di lavorazione in modalità manuale e non automatica.

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La scelta di procedere agli interventi con la catena di lavorazione in modalità automatica non può essere in alcun modo addebitata al direttore dello stabilimento: non vi è prova che l’imputato abbia mai fornito una indicazione in tal senso». Sul punto specifico, la Corte ha rigettato il ricorso (poi accolto in relazione ad altri motivi), rilevando che la «contestazione mossa all’imputato si fonda testualmente sulla sua veste di direttore di stabilimento e quindi di dirigente. Mai gli è stata attribuita la veste di preposto che, con tutta evidenza, non gli si confaceva. L’uso del termine “preposto” che compare in un brano della sentenza di merito è del tutto atecnico e non implica un mutamento della qualificazione soggettiva. D’altra parte, la veste di dirigente non comporta necessariamente poteri di spesa; e fonda autonomamente la veste di garante per la sicurezza nell’ambito della sfera di responsabilità gestionale attribuita allo stesso dirigente. Tale ruolo è indipendente dalla delega, istituto che trova applicazione quando il datore di lavoro trasferisce su altro soggetto, in tutto o in parte, doveri e poteri (anche di spesa) che gli sono propri». La sentenza è condivisibile nella parte in cui ha precisato che il direttore di stabilimento indipendentemente dall’attribuzione di una delega è garante della salute e della sicurezza dei lavoratori e lo è certamente da un punto di vista dell’osservanza degli obblighi di vigilanza incombenti su tutte le figure responsabili, il datore di lavoro, i dirigenti e i preposti, ciascuno per le proprie attribuzioni. In questo senso è certamente vero che il dirigente ha un obbligo sostanzialmente assimilabile a quello del datore di lavoro, poiché sia il D.Lgs. n. 626/1994 (vigente all’epoca dei fatti), sia il D.Lgs. n. 81/2008, hanno imposto a questa figura l’onere di trasmettere, ai preposti e ai lavoratori, le disposizioni del datore di lavoro in tema di igiene e di sicurezza nonché l’onere di vigilare che le medesime disposizioni vengano osservate; il dirigente può essere esente da responsabilità, quindi, nel caso in cui il lavoratore abbia compiuto un’operazione abnorme, ovvero qualora lo stesso abbia esercitato un effettivo e stringente controllo e che l’evento si sia verificato in modo imprevedibile a causa di una violazione assolutamente occasionale. In altri termini, il potere di spesa eventualmente non attribuito al direttore di stabilimento può essere rilevante qualora l’infortunio sia direttamente collegabile con indubbio nesso causale alla impossibilità di esercitare il potere di spesa e che, inoltre, il direttore di stabilimento-dirigente abbia fornito la prova di aver segnalato tempestivamente la carenza al datore di lavoro. In caso contrario dovrà correttamente essere affermata la responsabilità del direttore di stabilimento non nella sua qualità di datore di lavoro di fatto ma in quella di dirigente.

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Casi pratici

Appalti

INFORMAZIONI D. La richiesta di informazioni pervenuta fuori termine va considerata? ----- R. NO. L’articolo 72 comma 3 del Dlgs 163/2006, nel caso delle procedure ristrette, prevede: «sempre che siano state richieste in tempo utile, le informazioni complementari sui capitolati d’oneri, sul documento descrittivo o sui documenti complementari, sono comunicate dalle stazioni appaltanti ovvero dallo sportello competente ai sensi dell’articolo 9, almeno sei giorni prima della scadenza del termine stabilito per la ricezione delle offerte». Le risposte ai chiarimenti sulla documentazione di gara possono essere fornite dalla stazione appaltante, sempre che siano state richieste “in tempo utile”. La stazione appaltante non deve considerare le richieste di chiarimento formulate oltre il termine utile (Parere dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici 193/2008). (M.L.B., Guida agli Enti Locali, Il Sole 24Ore, 7 marzo 2009, n. 10)

PROCEDURE APERTE D. Per le procedure aperte il termine di ricezione delle offerte può essere ridotto in caso di urgenza? ----- R. NO. Ai sensi dell’articolo 122 comma 6 lettera f) del Dlgs 163/2006, per i contratti di lavori pubblici sotto soglia, il termine ordinario di ricezione delle offerte (non inferiore a 26 giorni), può essere ridotto a 18 giorni, quando del contratto è stata data notizia con l’avviso di preinformazione. Invece nelle procedure aperte, non vi è la possibilità di ridurre i termini di ricezione delle offerte per motivi di urgenza, in particolare se la stessa è dettata dalla motivazione della perdita del finanziamento. Al riguardo, come rilevato dall’Autorità e dalla giurisprudenza amministrativa, poiché le ragioni di urgenza devono sostanziarsi in sopraggiunte circostanze impreviste, di carattere cogente e oggettivo, non può rappresentare un motivo di urgenza l’esigenza di impegnare tempestivamente i fondi di bilancio (Parere dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici 159/2007). (M.L.B., Guida agli Enti Locali, Il Sole 24Ore, 7 marzo 2009, n. 10)

APPALTO A CORPO, PREZZO RICALCOLATO IN BASE AI DISEGNI D. In un appalto a corpo, in caso di variante, il raffronto economico va effettuato sulla base del computo metrico estimativo del progetto e della variante o sulla base dei disegni di progetto? ----- R. La tipologia di contratto a corpo prevede che l’appaltatore si impegni a realizzare la prestazione lavorativa conformemente ai disegni e alle tavole progettuali per un determinato prezzo offerto. Il corrispettivo spettante all’appaltatore sarà pagato indipendentemente dalla quantificazione delle lavorazioni effettivamente realizzate per la esecuzione delle prestazioni lavorative. Il vero punto di riferimento nei contratti a corpo sono, di conseguenza, i disegni tecnici, mentre il computo metrico ha solo un fine descrittivo delle voci di lavorazione mentre le quantità indicate non avranno alcun valore contrattuale in sede di esecuzione. Il prezzo offerto dall’impresa in gara diviene immodificabile e non è in nessun modo condizionato dalle quantità che risulteranno effettivamente necessarie per la realizzazione dell’opera. In caso di variante, tuttavia questa immodificabilità del prezzo deve venire meno. In tal senso si è espressa con massima chiarezza l’Autorità di Vigilanza con deliberazione n. 51 del 21/2/2002 disponendo che «Il concetto di immodificabilità del prezzo a corpo non è però assoluto e inderogabile, trovando il limite nella pedissequa rispondenza dell’opera

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da eseguire ai disegni esecutivi e alle specifiche tecniche (che comprendono le prestazioni tecniche dei vari materiali e componenti e le relative modalità esecutive) entrambi forniti dalla stazione appaltante e sulla base dei quali l’offerente ha eseguito i propri calcoli e proprie stime economiche e si è determinato a formulare la propria offerta, ritenendola congrua e conveniente rispetto alle prestazioni da eseguire». In caso di variante, quindi, l’equilibrio sinallagmatico di cui alla originaria offerta viene meno e occorre che le parti rideterminino un corrispettivo equo per entrambe le parti. La determinazione del corrispettivo dovrà sempre partire dalla originaria offerta e occorrerà analizzare le effettive quantità modificate in aumento o in difetto per determinare il nuovo corrispettivo spettante all’impresa. Dispone ancora in tal senso l’Autorità: «Alla suddetta rideterminazione del prezzo a corpo le parti contraenti perverranno assumendo a base di calcolo il prezzo a corpo offerto dall’appaltatore cui dovranno aggiungere o diminuire le quantità e le qualità variate in aumento o in diminuzione ovvero le diverse prestazioni richieste, valorizzate per i corrispondenti prezzi contrattuali che sono quelli dell’offerta a prezzi unitari, nel caso si sia aggiudicato l’appalto con tale modalità, oppure quelli dell’elenco prezzi posto a base di gara, nel caso si sia seguita, come nel caso in esame, la modalità di offerta di ribasso sull’importo dei lavori posto a base di gara. Nel computare le richiamate quantità, le parti contraenti dovranno riferirsi unicamente a quelle quantità previste nel progetto e determinabili con valutazioni oggettive con riferimento ai disegni, sulla cui unica base l’appaltatore medesimo ha formulato la propria offerta e non anche ad altri elementi quantitativi (quali ad esempio le stime predisposte dal committente), carenti di rilevanza contrattuale per la loro esclusiva funzione di rappresentare il metodo seguito per pervenire alla determinazione del presunto prezzo complessivo dell’opera da porre a base di gara. Allo stesso modo si dovrà procedere in caso di variazioni delle specifiche tecniche». (Vittorio Miniero, Edilizia e Territorio, Il Sole 24Ore, 9 - 14 marzo 2009, n. 9, p. 10)

LAVORI IN CORSO, L’ATI NON PUÒ CAMBIARE LE QUOTE D. Può un’Ati cambiare le quote di esecuzione di un lavoro in corso (in occasione della firma di un atto di sottomissione di perizia di variante e suppletiva) stabilite nell’atto associativo precontratto? Precisamente, il bando di gara richiedeva la categoria prevalente OG2 classifica III e una scorporabile non subappaltabile OG11 classifica I. Per la partecipazione alla gara si è composta un’Ati di tipo misto, e precisamente la mandataria nell’atto di raggruppamento temporaneo doveva eseguire il 21% della prevalente, mentre il mandante eseguiva la restante parte della prevalente e tutta la scorporabile. Durante l’esecuzione del lavoro è sopraggiunta la necessità da parte dell’amministrazione di dover formalizzare una perizia di variante e suppletiva. In questa occasione, anche in virtù dei numerosi impegni della mandataria, può la mandante assumere l’esecuzione del 95% della categoria prevalente (avendone i requisiti Soa) e conservare la totalità della scorporabile? ----- R. In base all’orientamento giurisprudenziale più recente, le imprese che compongono il raggruppamento temporaneo devono indicare le rispettive quote di partecipazione allo stesso già in sede di presentazione dell’offerta. Tale indicazione costituisce un vincolo ai fini della successiva fase esecutiva, nel senso che, ai sensi dell’articolo 37 comma 13 del Dlgs 163/2006, i concorrenti riuniti in raggruppamento devono eseguire i lavori nella percentuale corrispondente alla quota di partecipazione al raggruppamento medesimo. In base a questa premessa, si deve ritenere che, una volta definite in fase iniziale, cioè già in sede di presentazione dell’offerta, le rispettive quote di partecipazione al raggruppamento, cui corrispondono le quote di ripartizione nell’esecuzione dei lavori, non possano subire mutamenti nella fase esecutiva del contratto. In particolare, a fronte di atti aggiuntivi e/o di atti di sottomissione resisi necessari a seguito di intervenute perizie di variante, non si rinvengono né disposizioni esplicite né ragioni di carattere sostanziale che possano legittimare il mutamento nella ripartizione delle quote di partecipazione e quindi nell’esecuzione dei lavori rispetto alle percentuali originariamente indicate in sede di offerta e successivamente formalizzare nell’ambito del mandato con rappresentanza, costitutivo del raggruppamento temporaneo. (Roberto Mangani, Edilizia e Territorio, Il Sole 24Ore, 9 - 14 marzo 2009, n. 9, p. 10)

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PROCEDURE DIFFERENTI PER COMMITTENTE E DATORE D. L’art. 90, c. 9, prevede per il committente o il responsabile dei lavori l’obbligo di verificare l’idoneità tecnica dell’impresa affidataria, delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi con le modalità di cui all’all. XVII. Il terzo punto dell’all. XVII recita che in caso di subappalto il datore di lavoro committente verifica l’idoneità tecnico-professionale dei subappaltatori. Premesso che l’ente presso cui presto servizio è un ente pubblico devo considerare i termini «committente» e «datore di lavoro committente» come equivalenti? O meglio la verifica dell’idoneità tecnica del subappaltore è un onere del committente o dell’impresa che subappalta? E qualora si rientri nel secondo caso il committente propedeuticamente all’autorizzazione del subappalto cosa deve controllare? ----- R. Il quesito trova una sua soluzione chiarendo che le figure del «committente » e del «datore di lavoro committente » (o anche «imprenditore committente»), afferiscono a due procedure differenti, normate però in modo analogo dal Dlgs 81/2008. Questo fa sì che nel caso posto in esame (appalto pubblico), spetti alla stazione appaltante, e solo a essa, la verifica dell’idoneità tecnico professionale delle imprese coinvolte, intendendo con queste ultime anche quelle autorizzate per le procedure di sub-appalto. Il primo riferimento, infatti, è rintracciabile nell’articolo 90, comma 9, lettera a), in cui al committente (o al responsabile dei lavori), è posto in carico l’obbligo di effettuare una specifica verifica della sussistenza delle condizioni di idoneità tecnico professionali delle imprese coinvolte nelle procedure di appalto, in relazione proprio agli incarichi e alle funzioni che gli verranno attribuite. Questo obbligo permane in ogni caso, anche quando nell’appalto fosse coinvolta una ed una sola impresa. Che l’onere della verifica spetti alla stazione appaltante, anche e soprattutto per quel che riguarda le imprese sub-appaltatrici, lo dimostra la dettagliata definizione presente nel comma 9, lettera a), di quelli che sono i soggetti da verificare: impresa affidataria, imprese esecutrici, lavoratori autonomi. È evidente che se il legislatore si spinge sino al livello di dettaglio del singolo lavoratore autonomo per la procedura di verifica dell’idoneità, ben difficilmente si potrà supporre che questa non debba essere realizzata anche sulle imprese chiamate dall’impresa affidataria a operare nello specifico cantiere (subappalto). Se è chiara l’impostazione generale della legge, e quindi dell’obbligo inderogabile per la stazione appaltante di effettuare la verifica anche delle imprese subappaltatrici (e quindi dei lavoratori autonomi), il dubbio prende origine da quanto specificato nel comma 3 dell’Allegato XVII del decreto legge. In quest’ultimo, infatti, oltre a elencare in dettaglio quali debbano essere i documenti da prendere in considerazione nel momento della verifica dell’idoneità, pone un’indicazione particolare relativamente alle procedure di sub-appalto, in apparente contraddittorietà con quanto sino a ora esposto. Nello specifico, infatti, in caso di sub-appalto, viene richiesto che sia il «datore di lavoro committente » a effettuare la verifica per le imprese chiamate a operare nello specifico cantiere. L’elemento fuorviante, ovviamente, è il termine giuridico «datore di lavoro committente », ovvero sia a indicare che debba essere l’impresa appaltatrice a verificare l’idoneità e non, invece, la stazione appaltante come precedentemente indicato. Il nodo è presto sciolto se si prende in considerazione in quale parte del Dlgs 81/2008 viene citato il «datore di lavoro committente», ovvero all’articolo 26, comma 3, relativamente agli obblighi connessi ai contratti d’appalto o d’opera o di somministrazione. In questo caso il riferimento del legislatore è verso un datore di lavoro, proprietario di un’azienda, che affidi in appalto ad altre imprese lavori da eseguire all’interno della sua proprietà. In questo caso il legislatore si riferisce specificatamente a un «datore di lavoro », a un «datore di lavoro committente » e, infine, a un «imprenditore committente». Sebbene utilizzi terminologie diverse, è chiaro il riferimento a soggetti aziendali che operano in funzione di committenza verso altre imprese in ragione di specifici lavori che dovranno realizzarsi all’interno della propria struttura. Anche in questo caso, il legislatore pone l’obbligo della verifica dell’idoneità tecnico-professionale per tutte le imprese e i lavoratori autonomi che andrà a chiamare nella propria struttura, con ulteriori obblighi per quel che riguarda il documento unico di valutazione dei rischi da interferenza (Duvri) e di coordinamento tra le imprese. È quindi in riferimento a procedure di appalto e sub-appalto tra imprese che si fa riferimento, in caso l’impresa proprietaria della struttura produttiva svolga la funzione della committenza. In conclusione è possibile affermare, qualunque sia la procedura di riferimento (appalto pubblico o privato), in ogni caso spetta alla committenza, e solo a essa, la verifica puntuale dell’idoneità tecnico professionale dei soggetti coinvolti nei lavori. (Daniele Verdesca, Edilizia e Territorio, Il Sole 24Ore, 9 - 14 marzo 2009, n. 9, p. 10)

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Edilizia e urbanistica

PREVALE LA NORMA DELLA REGIONE AUTONOMA D. Ho la proprietà di un edificio gravemente lesionato non abitabile (dei primi del Novecento, con modestissimi elementi decorativi) con vincolo di "conservazione delle facciate", superabile solo con spese elevatissime. Stante l'inesistenza dei vincoli statali di interesse artistico o ambientale ho chiesto al Comune di Porto Torres (Regione Sardegna) di poter ricostruire l'edificio con uguali caratteristiche, invocando la legge 443/01 e la circolare del ministro Lunardi del 7 agosto 2003. Il Comune ha risposto negativamente in quanto la Regione è autonoma e nella fattispecie prevale sullo Stato. È vero? ----- R. In materia di edilizia e urbanistica il Comune si deve attenere alle previsioni della normativa regionale, in particolar modo per quanto riguarda le Regioni a statuto autonomo come la Sardegna, la cui potestà normativa in materia non può essere limitata da quella statale, come anche ribadito dalla Corte costituzionale con sentenza 10 febbraio 2006 n. 51. Conseguentemente, l’edificio dovrà essere risanato secondo le indicazioni della normativa regionale e di quella derivante dalla pianificazione comunale, nel rispetto dei vincoli architettonici ivi previsti. (Massimo Sanguini, L'Esperto Risponde, Il Sole 24 Ore, 2 marzo 2009, n. 17)

EDILIZIA CONVENZIONATA: LIMITI AI PREZZI DI VENDITA D. Ho acquistato nel 2006 un alloggio costruito su area Peep ceduta con diritto di proprietà a fronte di convenzione edilizia stipulata nel 2003 fra Comune e costruttore ai sensi dell'articolo 35 legge 865/71. Tale convenzione riporta all'articolo 11 i limiti al prezzo (rivalutazione del prezzo iniziale sulla base della variazione dell'indice Istat) per la vendita successiva alla prima assegnazione. Tuttavia mi risulta che tali limiti siano stati abrogati dalla legge 172/92 e che la stessa giurisprudenza abbia stabilito che non è possibile limitare i diritti derivanti dal possesso della proprietà di un bene. Anche il più recente Dpr 6 giugno 2001, n. 380 all'articolo 18, riporta limiti al prezzo di cessione per il beneficiario del permesso di costruire, ma non fa riferimento alle cessioni successive alla prima. Vorrei quindi sapere se, nella necessità di vendere l'immobile per ampliamento del nucleo familiare, posso farlo al prezzo di mercato o se devo attenermi ai limiti imposti dalla convenzione. ----- R. Le disposizioni normative che sancivano vincoli relativi alla vendita di alloggi di edilizia residenziale pubblica e, specificatamente i commi da 15 a 19 dell’articolo 35, legge 22 ottobre 1971 n. 865, sono effettivamente state abrogate dall’articolo 23, della legge 17 febbraio 1992, n. 179, rimanendo, allo stato, il solo vincolo di cui all’articolo 20 della legge n. 179/1992 che fissa in cinque anni il termine scaduto il quale gli alloggi possono essere alienati o locati. Per quanto riguarda invece il prezzo di mercato vanno rispettate le condizioni riportate dalla convenzione, fino a quando la stessa conserverà la propria validità ed efficacia. (Massimo Sanguini, L'Esperto Risponde, Il Sole 24 Ore, 2 marzo 2009, n. 17)

PERMESSO DI COSTRUIRE CON IL SÌ DEI COMPROPRIETARI D. Nella situazione urbanistica di un terreno classificato B5 zona di completamento, in caso di comproprietà al 50% il Comune pretende che il (progetto debba essere sulla occupazione totale dell'area, progetto completo su tutta la superficie). Se uno solo dei proprietari presentasse la richiesta del permesso a costruire sulla sua quota del 50%, il Comune rifiuterebbe la concessione. È giusta l'interpretazione del Comune? ----- R. La posizione di comproprietario o di titolare di usufrutto su una quota indivisa dell'immobile non rappresenta titolo sufficiente per ottenere il permesso di costruire, in quanto come già osservato dalla giurisprudenza (si veda Consiglio di Stato, sezione V, n. 965/1993), l'attività edilizia che determina una consistente trasformazione dell'area interessata comporta un'incidenza significativa sul diritto di ciascuno dei comproprietari, per cui la facoltà del comproprietario di ottenere il titolo edilizio va riconosciuta nei soli casi in cui risulti documentato il consenso degli altri (Tar Veneto,

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sezione II, n. 2154/2005, sezione III, n. 3549/2008; Consiglio di Stato, sezione V, n. 5445/2003).Ciò in quanto, nel caso di comproprietà dell'immobile il comproprietario non ha, nei confronti dell'atto concessorio, la posizione di terzo, ma quella di contitolare di un diritto che, per la parte idealmente spettante, non può essere modificata o compressa dall'Amministrazione (Consiglio di Stato V, sezione n. 4972/2001; Tar Emilia Romagna – Parma n. 183/2002 e Tar Toscana III, sezione n. 1651/2001). (Massimo Ghiloni, Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde, 2 marzo 2009, n. 17)

ONERI DI URBANIZZAZIONE SE MUTA LA DESTINAZIONE D'USO D. Ho modificato nel dicembre 2008 la destinazione d'uso a ufficio di un appartamento di mq 100 senza opere dandone comunicazione al Comune ai sensi della Lr Lombardia n. 12/05, articolo 52. Il Comune chiede il pagamento degli oneri di urbanizzazione e la dimostrazione dell'accessibilità alle persone disabili. È legittima tale richiesta? ----- R. Ai sensi dell’articolo 44, comma 12, della Lr Lombardia n. 12/2005 il contributo per oneri di urbanizzazione primaria e secondaria è dovuto anche in caso di mutamento di destinazione d’uso, commisurato alla eventuale maggior somma determinata in relazione alla nuova destinazione (in tal senso di veda anche Tar Lombardia, Brescia, sezione I, 28 maggio 2007 n. 463). Quanto all’accessibilità alle persone disabili, ai sensi dell’articolo 21 della Lr Lombardia n. 6/1989, la medesima è richiesta nei casi di mutamento della destinazione d’uso di immobili finalizzata a uso collettivo, sia pubblici che privati. (Massimo Sanguini, Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde, 2 marzo 2009, n. 17)

NELLA RICOSTRUZIONE LIMITI ALL'AUMENTO DI SUPERFICIE D. Vorrei demolire e ricostruire fedelmente un edificio destinato ad attività artigianale. L’immobile è stato legittimamente realizzato in quanto ricadeva in zona artigianale e quindi conforme ai parametri urbanistici vigenti all'epoca; la ricostruzione rispetta sagoma, volume, area sedime. Nel Prg vigente da circa 15 anni l’area è classificata zona R (rispetto infrastrutturale), dove è vietata la realizzazione di nuove costruzioni, ma sono consentite la manutenzione ordinaria, straordinaria e la ristrutturazione senza aumento di volume degli edifici esistenti. La ricostruzione del volume esistente ne muterebbe la destinazione di uso in quanto vorrei realizzare abitazioni con aumento del carico urbanistico. Ai sensi del Dpr n. 380/2001 e della circolare Lunardi (n. 4174 del 3 agosto 2003) si può fare questo in considerazione dei parametri urbanistici attualmente vigenti (zona R) ? È possibile con la “ricostruzione fedele” (rispetto di sagoma eccetera) aumentare la superficie creando nuovi solai intermedi? ----- R. Il piano ammette l'intervento di ristrutturazione nel cui ambito vanno ascritte le demolizioni o ricostruzioni senza aumento di volume. Relativamente alla destinazione d'uso dell'immobile oggetto di demolizione e ricostruzione, la stessa può essere sicuramente mutata ma nel pieno rispetto di quelle ammesse dal piano per la zona dove ricade la costruzione, come per tutti gli altri immobili ricompresi in quel determinato ambito urbanistico. Quanto al possibile aumento di superficie utile, la circolare del ministero Infrastrutture n. 4174/2003 afferma che la demolizione e ricostruzione può comportare aumento della superficie utile nei limiti consentiti o non preclusi in genere per la ristrutturazione edilizia, anche per favorire un rinnovo tecnico-qualitativo del patrimonio edilizio esistente. Non sono invece vincolanti gli attuali indici di edificabilità e le prescrizioni relative ad altezza e distanze se la ricostruzione avviene nella stessa area di sedime in quanto vigono quelli originari. (Massimo Ghiloni, Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde, 2 marzo 2009, n. 17)

DIA PER LA MANUTENZIONE STRAORDINARIA D. Vorrei eseguire lavori di manutenzione straordinaria nella zona giardino della mia attuale abitazione. I lavori da eseguire sarebbero il rifacimento delle opere di scarico acque bianche, l'impianto di irrigazione e la sistemazione del prato al termine dei lavori. Chiedo se per detti lavori debba essere richiesta la Dia. -----

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R. I lavori che si intende eseguire sembrano nel loro complesso ricadere nella categoria della manutenzione straordinaria ai sensi dell'articolo 3, comma 1, lettera b), del Testo unico edilizia (Tue), Dpr n. 380/2001 che richiama la sostituzione di parte dell'edificio nonché l'integrazione di servizi tecnologici. Ai sensi dell'articolo 22 del Tue questa tipologia di opere è soggetta a Dia (Denuncia di inizio attività), non essendo riconducibile all'attività edilizia libera (Massimo Ghiloni, Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde, 2 marzo 2009, n. 17)

L'IMPIANTO FOTOVOLTAICO VA RICHIESTO DAI COMUNI D. Un'impresa di costruzioni sta realizzando un fabbricato di civile abitazione con permesso di costruire rilasciato nel 2007 in un Comune dove non é stato recepito l'obbligo per l'installazione dell'impianto fotovoltaico (Finanziaria 2007, comma 350) è comunque obbligata a realizzarlo? E qualora non lo facesse, può essere soggetta a richiesta di indennizzo o deprezzamento da parte dei clienti che hanno acquistato in corso di costruzione? ----- R. Occorre prendere le mosse dal disposto contenuto nell’articolo 4, comma 1 bis, Dpr 380/2001 (Testo unico dell’edilizia), in base al quale: "a decorrere dal 1° gennaio 2009, nel regolamento di cui al comma 1, ai fini del rilascio del permesso di costruire, deve essere prevista, per gli edifici di nuova costruzione, l’installazione di impianti per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, in modo tale da garantire una produzione energetica non inferiore a 1 kW per ciascuna unità abitativa, compatibilmente con la realizzabilità tecnica dell’intervento. Per i fabbricati industriali, di estensione superficiale non inferiore a 100 metri quadrati, la produzione energetica minima è di 5 kW." Tale previsione è stata introdotta dall’articolo 1, comma 350, della legge 296/2006 (Finanziaria 2007) e poi così modificata dal comma 289 della legge 244/2007 (Finanziaria 2008) .Dal tenore letterale della norma è evidente che la stessa è rivolta non ai privati, quanto piuttosto alle amministrazioni comunali, le quali, nell’ambito dei rispettivi regolamenti edilizi, sono tenute a prevedere per gli edifici di nuova costruzione l’installazione degli impianti da fonti rinnovabili. Ne deriva che l’obbligo per i privati di realizzare tali impianti negli edifici di nuova costruzione diventerà operativo solo dopo che i rispettivi regolamenti avranno recepito la previsione contenuta nell’articolo 4 Dpr 380/2001. (Massimo Ghiloni, Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde, 2 marzo 2009, n. 17)

RISTRUTTURAZIONE SENZA AUMENTI DI VOLUME D. È possibile con un intervento di ristrutturazione edilizia di cui al testo unico prevedere la demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma, operando una compensazione di volume? Tale compensazione si rende necessaria per armonizzare l'intervento stesso al contesto edilizio esistente, come prescritto dal compendio delle norme urbanistico-edilizie della zona b2 in cui ci troviamo. ----- R. La definizione di ristrutturazione edilizia è data dall’articolo 3, comma 1, lettera d) del Dpr 380/2001 e prevede, per tale tipologia di intervento edilizio, la conservazione di sagoma e volume preesistenti, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica. Anche la normativa regionale solitamente non prevede alcuna compensazione o adeguamento volumetrico in caso di ristrutturazione edilizia, mentre alcuni regolamenti edilizi locali proprio al fine di rispettare le tipologie edilizie nella zona di intervento, prevedono piccole percentuali di adeguamento volumetrico. Se per compensazione di volume si intende un aumento anche modesto, sarà necessario esaminare i regolamenti locali o le norme tecniche di attuazione del piano regolatore comunale o di governo del territorio per verificare la suddetta possibilità che, diversamente e vista la normativa statale di cui sopra, deve essere esclusa. (Massimo Ghiloni, Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde, 2 marzo 2009, n. 17)

VINCOLI AI VILLINI POSTI IN ZONA AGRICOLA D. Io e mio marito abbiamo acquistato nel novembre 2007 un villino in un borgo agricolo formato da 22 villini. Il terreno non è di proprietà, ma ognuno ha in uso perpetuo una porzione di esso. Sapevamo che avremmo dovuto coltivare tale terreno per uso proprio (orto e frutteto). Oggi la nostra casa, insieme alle altre, è sequestrata perché non siamo impresa agricola. Il Prg parlava di

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addetto all'agricoltura. È giusto questo sequestro (le case sono state costruite su licenza precedente al 2001; il sequestro è del dicembre 2008)? ----- R. La legge 38/99 della Regione Lazio, relativa all'edificazione in zona agricola, prescrive il divieto di ogni attività comportante trasformazioni del suolo per finalità diverse da quelle legate alla produzione agricola o ad attività connesse, nonché ogni lottizzazione a scopo edilizio. Eventuali edificazioni da destinare ad uso esclusivamente residenziale a bassa densità edilizia sono ammesse in zone individuate dal piano come espansione, ma con i limiti fissati dall'articolo 56 della legge 38/99.Ciò premesso, la Regione Lazio, dipartimento territorio, con la circolare 29 giugno 2007 n. 15553 ha fornito una puntuale configurazione di imprenditore agricolo, ossia colui che esercita l'attività in modo stabile e continuativo anche se non esclusivo. Da ciò si fa discendere che la qualità di imprenditore agricolo non coincide con la categoria di imprenditore agricolo a titolo principale, potendo l'attività di imprenditore agricolo non confluire necessariamente nell'attività principale. Ne consegue che, pur avendo la Regione Lazio ricompreso nella figura dell’imprenditore agricolo colui che non svolge tale attività in misura esclusiva, è comunque necessario ai fini di tale qualifica svolgere l’attività agricola in maniera stabile e continuativa. In caso contrario si incorre in violazione delle prescrizioni contenute nel piano, con le relative conseguenze, ivi compreso il sequestro, giustificato tra l’altro anche dalla pluralità di costruzioni realizzate in un ristretto ambito agricolo. (Massimo Ghiloni, Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde, 2 marzo 2009, n. 17)

CONTRIBUTO DI COSTRUZIONE E PARTI INTERRATE D. Nel conteggio del pagamento degli oneri di urbanizzazione, dovuti al Comune per ottenere il titolo abilitativo alla nuova costruzione, l'entità del volume da moltiplicare per i valori euro/mc, già fissati dal Comune, è quella corrispondente al volume urbanistico oppure quella corrispondente al volume vuoto per pieno realmente realizzato anche sotto terra (escluse ovviamente le autorimesse)? ----- R. A livello di legislazione statale non vengono definiti i parametri quantitativi cui deve essere rapportato il contributo per opere di urbanizzazione. Relativamente alla quota del costo di costruzione, si opera una differenziazione tra superfici utili abitabili e superfici per servizi e accessori. Occorre dunque verificare se esiste una norma regionale di coordinamento delle disposizioni comunali ovvero cosa disponga in merito autonomamente l'ente locale. Analogo problema riguarda la parte dell'edificio cui rapportare l'indice di edificabilità previsto dal piano, per cui dovrebbero trovare applicazione gli stessi criteri di calcolo. La discriminante, comunque, dovrebbe rinvenirsi nella circostanza o meno che le parti interessate abbiano un'utilizzazione autonoma, e come tale suscettibile di generare un carico urbanistico che giustifica l'applicazione degli oneri di urbanizzazione (Tar Lombardia, Sezione Brescia n. 405/2007; Tar Puglia Bari Sezione III n. 176/2007). (Massimo Ghiloni, Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde, 2 marzo 2009, n. 17)

Energia

PRESTAZIONI ENERGETICHE DEL FABBRICATO D. In che modo un impianto di ventilazione meccanica controllata può aumentare in maniera significativa le prestazioni energetiche di un fabbricato? ----- R. Per ventilazione meccanica controllata si intende un insieme di condotte, bocchette di estrazione e immissione, ed eventualmente opportuni scambiatori di calore, che possono o meno cooperare con il sistema di condizionamento: in sintesi, l’aria «usata» deve essere estratta, con ritmi e parametri stabiliti dalle En 15251 e Uni En 13790, in ragione degli utilizzi e delle presenze «inquinanti », incluse ovviamente quelle umane. Il ricambio d’aria è tanto più energivoro quanto più alta è la differenza di temperatura (e di umidità) tra l’ambiente interno e quello esterno. D’altra parte, è evidente che estrarre inutilmente aria «calda» (nello scenario invernale) quando i locali sono vuoti procura un danno notevole. Per questo motivo, sono disponibili bocchette di estrazione

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sensibili alla CO2 che riducono la portata d’aria estratta in ragione della frequentazione dei locali. La norma En 13829 (Blower Door Test) simula le peggiori condizioni, sia nello scenario invernale, in cui l’aria tende a uscire (aria calda e quindi pressione maggiore all’interno), sia nello scenario estivo, in cui l’aria tende a entrare (aria «fresca» e quindi depressione all’interno). Questa norma consente di verificare in maniera precisa la tenuta di infissi e tamponature. Questa tecnologia diventa ancora più efficiente se, con un opportuno livello di centralizzazione, uno scambiatore («condominiale») consente di recuperare il calore dell’aria «usata» per preriscaldare l’aria esterna immessa. In questo modo le perdite inevitabili, dovute alla necessità di riportare l’aria immessa alla temperatura di progetto, sono ridotte al minimo. (Giovanna Landi e DarioBellatreccia, Dossier Energie Rinnovabili, Edilizia e Territorio, Il Sole 24 Ore, 2 marzo 2009, n. 8)

Pubblica Amminisrazione

COMPATIBILITÀ ASSESSORE ESTERNO D. Un Segretario comunale ha posto il seguente quesito: «È compatibile la carica di assessore comunale esterno con quella di Consigliere in altro Comune?». ----- R. La questione è estremamente interessante. Nell’ambito della propria attività di consulenza il Ministero dell’Interno ha più volte espresso il proprio parere in merito a quesiti formulati da amministratori locali concernenti questioni di incompatibilità tra la carica di consigliere comunale e quella di assessore comunale presso enti diversi. Le disposizioni concernenti le incompatibilità degli amministratori locali sono contenute nel decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 agli articoli 63 e seguenti, ove, in particolare all’articolo 64, è prevista intanto l’incompatibilità tra la carica di Consigliere comunale e quella di assessore nella rispettiva Giunta, nei Comuni con popolazione superiore ai 15mila abitanti. Oltre a tale ipotesi esiste l’ipotesi di cumulo delle due cariche, che non è specificatamente prevista dal decreto legislativo 267/2000. Il ministero dell’Interno, proprio recentemente, tenuto conto che in sede applicativa si sono registrate incertezze in ordine alla sussistenza dell’incompatibilità nel caso in cui l’assessore venga individuato dal sindaco al di fuori dei componenti del Consiglio (assessore esterno) ha voluto approfondire la questione con la richiesta di un parere al Consiglio di Stato. La carica assessorile infatti secondo l’articolo 47 commi 3 e 4 richiede il possesso dei requisiti di candidabilità, eleggibilità e compatibilità richiesti per la carica di Consigliere. A tal riguardo il combinato disposto dagli articoli 47, commi 3 e 4, e 64 Tuel non si presta a una certa, univoca soluzione in merito alla sussistenza dell’incompatibilità nelle due diverse ipotesi di cumulo delle cariche di Consigliere comunale e assessore interno o esterno. Peraltro l’indirizzo della giurisprudenza costituzionale, ordinaria e amministrativa, non ammette l’interpretazione estensiva di norme limitative dell’elettorato passivo, per il loro carattere derogatorio al principio della libera accessibilità alle cariche amministrative. In tale incertezza il Supremo Consesso, nell’adunanza del 22 ottobre 2008, ha espresso il parere che le ipotesi previste dagli articoli 64 e 65 del Tuel in tema di incompatibilità si applicano solo nei casi ivi testualmente menzionati. L’organo di giustizia amministrativa rilevando però una incongruenza sostanziale, ha auspicato, l’adozione di una iniziativa legislativa per colmare le evidenziate lacune della normativa sull’argomento in questione. Sul punto il parere del Consiglio di Stato (n. 5862 del 22 ottobre 2008) osserva quanto segue: «La Sezione rileva che il tipo di conflitto di interessi su cui si basa la ratio delle due espresse fattispecie è diverso. Per quanto riguarda la incompatibilità infracomunale (art. 64 cit.), il riferimento è all’evidenza quello della complessiva forma di governo comunale delineata dall’ordinamento degli enti locali, per cui la separazione dei poteri compensa la forte attribuzione di competenze in capo al sindaco: non può perciò un medesimo individuo far parte al contempo dell’organo di indirizzo e di controllo politico-amministrativo e dell’organo esecutivo. A diversa ragione risponde l’ipotesi di incompatibilità intracomunale (art. 65, comma 2, cit.), dove il conflitto di interessi si profila non tra organi dello stesso ente territoriale, ma tra enti territoriali siti all’interno della medesima Regioni: in questo caso, la legge “con l’incompatibilità” intende prevenire un’eventuale ed episodica sovrapposizione di ruoli e di competenze riguardo ad affari che possono essere di comune interesse tra i due enti. Tale ratio della incompatibilità intracomunale vale, evidentemente a fortiori, per il caso per cui è quesito. È evidente infatti che lo stesso timore

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si potrebbe prospettare per un assessore in modo ben più intenso che per un semplice consigliere comunale. Il riferimento alla eadem ratio condurrebbe pertanto a rinvenire, seppur inespressa, l’esistenza nell’ordinamento della medesima disposizione: cioè in pratica ad estendere analogicamente l’incompatibilità alla fattispecie di assessore in un comune e consigliere in un altro. Questo senza alcuna giustificabile distinzione tra il caso in cui la carica precedente nel tempo sia quella di consigliere e quella in cui sia quella di assessore. Nondimeno, si oppone a questa soluzione il principio interpretativo generale - applicativo del principio di legalità - per cui i privilegi odiosi (cioè: le norme che restringono eccezionalmente diritti di status) sono di stretta interpretazione: principio che, come è noto, è codificato dall’art. 14 delle Disposizioni sulla legge in generale (c.d. preleggi), in forza del quale le leggi che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi da esse considerati. La risposta al quesito deve dunque essere negativa: gli artt. 64 e 65 citati si applicano solo per i casi ivi testualmente menzionati. Nondimeno, la Sezione, nel rendere così la risposta al quesito, esprime l’auspicio che sia adottata una iniziativa legislativa per colmare la lacuna nel medesimo senso dell’art. 65, comma 2, Dlgs n. 267 del 2000, in modo che le uguali conseguenze regolino situazioni caratterizzate dallo stesso profilo sostanziale». (G.V.L. , Guida agli Enti Locali, Il Sole 24Ore, 7 marzo 2009, n. 10)

Sicurezza

MODELLO DI ORGANIZZAZIONE E GESTIONE D. Vorrei gentilmente sapere se l'attuazione del Modello di organizzazione e Gestione ex D.Lgs 231/2001 è un obbligo o una facoltà e se è subordinato ad un Sistema di Gestione Aziendale della Sicurezza anche se non certificato. ----- R. L'adozione di un modello di Organizzazione e gestione ex D.lgs. n. 231/2001 è una facoltà, e non già un obbligo, a disposizione delle imprese al fine di non dover rispondere dei reati commessi nel proprio interesse o a proprio vantaggio da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell'ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso, ovvero da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno di tali soggetti, salvo che tali persone abbiano agito nell'interesse esclusivo proprio o di terzi (art. 5 D.lgs. n. 231/2001). In particolare gli enti forniti di personalità giuridica e le società e associazioni anche prive di personalità giuridica (soggetti interessati dalla normativa in questione, fatta eccezione della p.a.) potranno sottrarsi a tale responsabilità qualora si riesca a dare prova che: a) l'organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi; b) il compito di vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli di curare il loro aggiornamento è stato affidato a un organismo dell'ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo; c) le persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione; d) non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell'organismo di cui alla lettera b) (art. 6, c. 1, D.lgs. citato). I Modelli in questione dovranno, inoltre, quanto meno rispondere alle esigenze di: a) individuare le attività nel cui ambito possono essere commessi reati; b) prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l'attuazione delle decisioni dell'ente in relazione ai reati da prevenire; c) individuare modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione dei reati; d) prevedere obblighi di informazione nei confronti dell'organismo deputato a vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli; e) introdurre un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello. Va da sé che pur trattandosi di normativa volontaria l'efficacia scriminante rispetto alle ampie responsabilità penali previste dal decreto (tra cui anche l'omicidio colposo o le lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, ex art. 25 septies, D.lgs. n. 231/2001) induce senz'altro all'adozione di tale Modello da parte degli enti concretamente esposti alle ipotesi di reato ivi previste. Non vi è, infine, subordinazione di tali modelli rispetto ad un sistema di gestione della sicurezza sul lavoro, rilevando, piuttosto, una presunzione di conformità a tali modelli dei sistemi di

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gestione sicurezza definiti conformemente alle Linee guida UNI-INAIL per un sistema di gestione della salute e sicurezza sul lavoro (SGSL) del 28 settembre 2001 o al British Standard OHSAS 18001:2007 (art. 30 c. 5, D.lgs. n. 81/2008). (Avv. Marco Fabrizio, “Codice di Ambiente e Sicurezza Risponde”, www.codiceambientesicurezza.ilsole24ore.com)

APPLICAZIONE DEL D.LGS 81/08 AL SETTORE SCUOLA D. In riferimento al D.Lgs 81/08 - Titolo I, Capo I, art 3, comma 2 e comma 3, per il comparto Scuola di cui al comma 2, fino alla emanazione del decreto attuativo inizialmente previsto entro dodici mesi dalla entrata in vigore del D.Lgs 81/08 e recentemente prorogato a 24 mesi, si applica il D.Lgs 62/94 come previsto al comma 3 o il D.Lgs 81/08? ----- R. Il quesito ha risposta positiva. Lo stesso art. 3 c. 3, D.lgs. n. 81/2008, prevede come, nelle more dell'emanazione della nuova normativa tecnica in materia sarà applicabile la disciplina pregressa di cui al D.lgs. n. 626/1994 e non solo. Decorso il termine di dodici mesi per l'emanazione del nuovo regolamento (termine in scadenza al 15 maggio 2009) la medesima disposizione prevede espressamente l'applicabilità anche a tale comparto (come agli altri citati al comma 1 del medesimo art. 3) della nuova disciplina di cui al D.lgs. n. 81/2008. (Avv. Marco Fabrizio, “Codice di Ambiente e Sicurezza Risponde”, www.codiceambientesicurezza.ilsole24ore.com)

CORSI SULLA SICUREZZA D. Per formare ed attestare la formazione di dipendenti - preposti - datori di lavoro - RSPP - RLS ai sensi del nuovo testo unico, bisogna avere requisiti particolari o può tranquillamente farlo un tecnico ambientale come me che mi occupo di pratiche sulla sicurezza - HACCP ed ambiente in generale? ----- R. L'articolo 37 comma 5, del D.lgs. n. 81/2008, afferma come l'addestramento debba essere condotto da "persona esperta e sul luogo di lavoro". Inoltre il medesimo articolo al comma 2 demanda alla Conferenza Stato/regioni la definizione dei contenuti minimi e della modalità della formazione da erogare ai sensi del precedente comma 1. Tale nuova normativa dovrà essere emanata entro il 15 maggio 2009 (12 mesi dall'entrata in vigore del D.lgs. n. 81/2008). Nelle more deve ritenersi applicabile la precedente normativa tecnica emanata dalla stessa Conferenza Stato/regioni sul punto, ovvero l'Accordo intercorso tra il Governo e le Regioni e Province autonome, attuativo dell'articolo 2, commi 2, 3, 4 e 5, del Decreto Legislativo 23 giugno 2003, n. 195, che integra il Decreto Legislativo 19 settembre 1994, n. 626, in materia di prevenzione e protezione dei lavoratori sui luoghi di lavoro (Atto n. 2407). Tale fonte normativa definisce in dettaglio sia i contenuti dei corsi di formazione, sia le procedure di validazione, sia i requisiti dei formatori etc., dando attuazione in tal senso alla normativa pregressa di cui all'art. 8 bis, Capacità e requisiti professionali degli addetti e dei responsabili dei servizi di prevenzione e protezione interni o esterni, D.lgs. n. 626/1994 e successive modifiche quanto, tra l'altro, all'organizzazione dei corsi di formazione per responsabili e addetti ai servizi di prevenzione e protezione (interni o esterni) da parte delle regioni e province autonome, delle università, dell'ISPESL, dell'INAIL, dell'Istituto italiano di medicina sociale, del Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, dell'amministrazione della Difesa, della Scuola superiore della pubblica amministrazione, delle associazioni sindacali dei datori di lavoro o dei lavoratori o dagli organismi paritetici (con possibilità della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di individuare altri soggetti formatori in tal senso). (Avv. Marco Fabrizio, “Codice di Ambiente e Sicurezza Risponde”, www.codiceambientesicurezza.ilsole24ore.com)

CAMBIO SEDE: SERVE IL DVR MA I TEMPI NON SONO INDICATI D. In caso di trasferimento di sede in un'altra struttura, qual è il tempo massimo entro cui bisogna eseguire la valutazione dei rischi e produrre un nuovo Dvr? Per l'occasione, vorrei adottare una

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nuova struttura di documento, diversa dalla precedente, in modo che risulti più aderente all'attuale normativa. Ci sono controindicazioni al riguardo? Per quanto tempo è necessario conservare le precedenti versioni? ----- R. Il Testo unico della sicurezza sul lavoro (Dlgs 81/2008) non offre indicazioni al riguardo. Per altro verso è ragionevole ipotizzare un congruo lasso di tempo ai fini della elaborazione di un Dvr (documento di valutazione dei rischi) aderente ai profili di rischio insiti e/o correlati allo svolgimento dell'attività lavorativa nella nuova sede. Si può richiamare, quale parametro di medianità orientativa, quanto prevedeva l'articolo 96 bis del Dlgs n. 626/94 («il datore di lavoro che intraprende un'attività lavorativa di cui all'articolo 1 è tenuto a elaborare il documento di cui all'articolo 4, comma 2, del presente decreto entro tre mesi dall'effettivo inizio dell'attività»). Nessuna norma prevede poi un tempo di conservazione minima delle versioni precedenti di Dvr. (Pierguido Soprani, Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde, 23 febbraio 2009, n. 15)

NIENTE DOCUMENTO SENZA LAVORATORI SUBORDINATI D. Rispetto all'obbligatorietà imposta dal Dlgs 81/08 di strutturare un Dvr all'interno di ogni organizzazione che abbia almeno un dipendente, esiste una categoria che si possa sentire esclusa? In una Snc che ha un'officina nella quale lavorano solo i due titolari, quali sono gli obblighi rispetto alla stesso decreto? ----- R. Gli obblighi previsti dal Dlgs n. 81/2008 – tra i quali quello di valutazione dei rischi e di redazione del Dvr - operano alla condizione della presenza di un lavoratore (subordinato od equiparabile), senza alcuna condizione di esclusione dagli obblighi di legge correlata alla tipologia dell'attività di lavoro esercitata. Nel caso di Snc senza dipendenti, non sussiste l'obbligo di redazione del Dvr, sebbene la giurisprudenza ritenga che «in caso d'infortunio subito da un socio di fatto a causa della mancanza di misure di sicurezza...sono penalmente responsabili gli altri soci» (Cassazione penale sezione IV, 14 settembre 1991). (Pierguido Soprani, Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde, 23 febbraio 2009, n. 15)

TESTO UNICO, ADEGUAMENTO PROROGATO SOLO IN UN CASO D. Vorrei sapere se è stato prorogato il termine di scadenza per l'adeguamento al Testo unico 81/208 e la comunicazione annuale del nominativo dello Rls all'Inail. ----- R. Dal 1° gennaio 2009 i documenti di valutazione dei rischi nelle imprese devono risultare conformi ai contenuti previsti dal Testo unico della sicurezza sul lavoro (Dlgs 81/2008). Infatti, l’articolo 32, secondo comma del decreto legge 30 dicembre 2008, n. 207 (cosiddetto “milleproroghe”) ha limitato la proroga alle sole disposizioni «concernenti la valutazione dello stress lavoro-correlato e la data certa», per le quali la nuova scadenza è fissata al 16 maggio 2009. Escluso dalla proroga anche l’obbligo di comunicazione annuale del nominativo del Rls all'Inail, previsto dall’articolo 18, comma 1, lettera aa) del Dlgs 81/2008 (in caso di inosservanza, è prevista la sanzione amministrativa pecuniaria di 500 euro). (Pierguido Soprani, Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde, 23 febbraio 2009, n. 15)

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2 marzo 2009