MAITTARDIARDI oste Italiane S.p.A. – Spedizione in...

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Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in A.P. – D.L. 353/2003 - (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 2 – DCB – Siena MAI MAI T T ARDI ARDI PERIODICO DELL PERIODICO DELL ’ISTITUTO STORICO DELLA ’ISTITUTO STORICO DELLA RESISTENZA SENESE - ANNO RESISTENZA SENESE - ANNO 4, 4, n . . 1/2007 1/2007 impaginato 1/2007 23-01-2007 15:10 Pagina 1

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Il 26 gennaio si inaugurano a Siena le Stanze dellaMemoria. A distanza di un anno dalla consegna incomodato d’uso da parte della Banca Monte dei Paschiall’Istituto Storico della Resistenza Senese dei localidella ex Casermetta, il progetto delle Stanze è stato ela-borato, finanziato, e rapidamente realizzato. Si tratta pernoi di una scommessa importante e di uno sforzo note-vole di energie. Ma siamo anche consapevoli che, conla data dell’inaugurazione, tutto deve ora cominciare. Cipresentiamo a questo appuntamento con la consapevo-lezza di aver messo in piedi un’opera ambiziosa: la rap-presentazione di un pezzo della storia del nostro territo-

rio, che ancora mancava alla città, e speriamo che lacittà vorrà rispondere visitando le Stanze, frequentando-le, facendole sue. L’Istituto Storico lavorerà da oggi perorganizzare e favorire le visite – in particolar modo dellescuole e a partire da quelle del territorio – proseguendoin un lavoro che del resto continua da anni e che si cor-rela solidamente all’altro polo già esistente, Casa Giubi-leo sul Montemaggio, e a quello di imminente apertura,Pietraporciana, presso Chianciano. Questo numero di Mai Tardi è interamente dedicato alleStanze della Memoria.

La redazione

Per una rappresentazione del Novecento senese, Vittorio Meoni 3

Inaugurazione delle “Stanze della Memoria”, Claudio Martini 4

Il bisogno della memoria, Fabio Masotti 5

Confessioni di visista, Paolo De Simonis 7

Rappresentare la memoria: gli spostamenti dello sguardo, Silvia Folchi 11

Stanza per stanza 13

L’occhio e la memoria, Andrea Rauch 26

Le Stanze della memoria e il pubblico scolastico,Gianfranco Molteni 27

Ricordo di Bruna Talluri, Anna Giorgetti 28

“Voglio farlo patire un po’ di più”. Violenze alla Casermetta 29

SCAFFALE 31

Redazione:Silvia Folchi (direttore responsabile)Fabio Masotti, Laura Mattei, Francesca Vannozzi

Hanno collaborato:Paolo De Simonis, Anna Giorgetti, Claudio Martini, Vittorio Meoni, Gianfranco Molteni, Andrea Rauch

In copertina: Vetrate della Casermetta, Fabio De Poli

Istituto Storico della Resistenza SeneseVia di Città, 81 53100 Siena tel. 0577 [email protected] – www.siena900.it

nuova immagine editrice, SienaRegistrazione Tribunale di Siena n° 756 del 17/9/04stampa: Arti Grafiche Nencini, Poggibonsi (Si)

Anno 4, n. 1 - Gennaio 2007

Il periodico MAITARDI viene spedito in omaggio ai soci dell’Istituto Storico della Resi-stenza Senese. Per diventare soci è sufficiente versare la quota di euro 15,00 direttamen-te presso la sede dell’Istituto, in via di Città 81 a Siena (orario di apertura dal lunedì alvenerdì 10-12) oppure con un versamento sul conto corrente postale n° 57151433.

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Un luogo – la “Casermetta” – annessa a quella VillaCiacci che negli anni ’30 era stata donata dagli ammi-nistratori del Monte dei Paschi al Partito Fascista alposto della Casa del Popolo incendiata e usurpatadagli squadristi agli inizi degli anni ’20.L’allestimento di queste “Stanze” ha richiesto unanno di intenso impegno di lavoro da parte dell’Isti-tuto Storico della Resistenza Senese. Di questo impe-gno ritengo doveroso dalle pagine di questo giornaleringraziare i collaboratori più diretti: da un lato ilvice-presidente dell’Istituto Gianfranco Molteni, ildirettore Fabio Masotti, Aldo Di Piazza e AlfredoMerlo; dall’altro gli elaboratori del progetto di allesti-mento: Paolo De Simonis, Andrea Rauch, Silvia Fol-chi e Michele Ciarri. La realizzazione di questo pro-getto ha richiesto anche un notevole impegno finan-ziario, a cui hanno fortemente contribuito la Fonda-zione MPS, il CESVOT, tante Associazioni politiche,sindacali e di categoria, nonché singoli cittadini; unapartecipazione vasta, per la quale il ringraziamento èugualmente doveroso. Come va pure ricordata laBanca MPS per aver concesso la disponibilità dell’edi-ficio sede delle “Stanze”. Infine, un impegno del nostro Istituto per la futuragestione di questo luogo così simbolico per Siena: nevogliamo fare prima di tutto un laboratorio didatticoper gli studenti senesi, attraverso il quale conoscereuno dei pezzi di storia senese tra i più intensi e dram-matici, ma allo stesso tempo di eccezionale slanciopopolare e umano verso traguardi di emancipazionesociale e di libertà.

Per una rappresentazione del Novecento seneseVittorio Meoni

Siena ha finalmente le sue “Stanze della Memoria”.Un luogo che è molto più di un normale percorsomuseale che raccoglie immagini e documenti di untempo lontano, di un secolo qualsiasi.Siena, con il suo intero territorio, è stata fortementecoinvolta nelle vicende di quel Novecento che, nellasua prima metà, ha visto e vissuto sommovimentisociali e politici e conflitti bellici senza precedentinella storia.Le “Stanze della Memoria” vogliono essere – in parti-colare per le nuove generazioni – una finestra che siaffaccia su un panorama storico da cui trarre motiviquotidiani di riflessione per un impegno civile sem-pre rinnovato che ampli quegli spazi di libertà e digiustizia sociale aperti e conquistati dagli uomini edalle donne migliori che sono stati protagonisti diquelle tormentate vicende, che hanno visto tanti soc-combere ma anche tanti risorgere.Le immagini e i documenti che richiamano allamemoria i senesi protagonisti di quelle vicendeacquistano maggiore forza e suggestione perché col-locati e visibili in quella “Casermetta” che fu la sededei fascisti della Repubblica Sociale, dove si interro-gavano e torturavano gli antifascisti arrestati e dadove partivano i reparti della cosiddetta GuardiaNazionale Repubblicana per i rastrellamenti e le con-seguenti fucilazioni dei partigiani. Anche Siena, comeFirenze, aveva la sua “Villa Triste”. A Firenze la BandaCarità, a Siena la Banda Rinaldi-Chiurco.

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Inaugurazione delle “Stanze della Memoria”Claudio Martini, Presidente Regione Toscana

A Siena si avvia un’iniziativa ricca di significato, cheripropone ai visitatori la fisionomia di Palazzo Ciac-ci, che fu la sede principale del fascismo senese edospitò, durante il periodo della Repubblica Sociale,la tristemente nota “Casermetta”, luogo di detenzio-ne e di tortura di oppositori alla dittatura, ebrei epartigiani senesi.Viene recuperata la lettura di questo edifico nella suafunzione di testimonianza preziosa, che diventa oggila sede delle “Stanze della Memoria”, un centro didocumentazione sulla storia civile e politica del Nove-cento senese. Non possiamo che esprimere il nostroapprezzamento per chi ha portato a compimento que-sto progetto, una tessera ulteriore dentro un grandemosaico in perenne composizione.Il nostro tempo è attraversato dal tema della “memo-ria” attraverso celebrazioni e ricorrenze che induconouna riflessione generale sul significato di questoricordare. Ci piacerebbe suggerire ai giovani, ma nonsolo, di concentrarsi sui motivi per cui si dimentica eper cui si ricorda. E’ la strada per passare in via diret-ta dalla teoria alla pratica, e far comprendere alleragazze ed ai ragazzi che non stiamo celebrando edando lustro a qualche nobile “monumento”, mastiamo parlando della loro vita, del loro futuro e diquella grandissima opportunità e responsabilità checi coinvolge tutti per il fatto di vivere in regime dilibertà. Se pensiamo che, fisiologicamente, siamo costretti adimenticare parti del nostro passato di individui, cirendiamo anche conto che non c’è alcun automatismonella costruzione della “memoria pubblica” e che que-sto processo è stato definito un “campo di battaglia”dove si lotta per la conquista di un bene che, anche seimmateriale, risulta decisivo.Dunque questa “memoria collettiva” è una strutturache si compone portando molte pietre e assemblan-dole l’una sull’altra, con molta fatica ed altrettantapazienza. Il lavorìo necessario è però giustificato dal-l’importanza del manufatto finale che è la nostraidentità come comunità, come persone, come societàche si riconosce in alcuni valori fondamentali, inalcune speranze, in alcuni traguardi comuni. Per sape-re in definitiva chi siamo.Ecco perché riportare sotto la luce luoghi come questorestituisce il senso di un percorso che è stato tragico,difficile e doloroso, un cammino in salita e pagato acaro prezzo per piegare la dittatura fascista e restaurarela libertà e la democrazia nel nostro Paese. Ai molti protagonisti di quella stagione deve andare

Il primo episodio della vetrata ricorda la Casa del Popolo di Siena.Opera di Fabio De Poli

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sempre il nostro pensiero riconoscente per il contribu-to di tante giovani vite spezzate.Il percorso attraverso la memoria del nostro Nove-cento è un terreno privilegiato per stimolare tutte etutti a considerare come sia stato possibile che nelcentro dell’Europa civile e colta, orgogliosa delleproprie conquiste e dei propri progressi, si sia pro-dotto, secondo le parole di Primo Levi, “[…]un uomo

scarno, dalla fronte china e dalle spalle curve, sul cuivolto e nei cui occhi non si [legge] traccia di pensiero”.La difesa e lo sviluppo delle conquiste civili e politichedel nostro Paese deve alimentarsi di questa dimensio-ne non monumentale della memoria, che può rappre-sentare un formidabile strumento di innovazione poli-tica e di crescita democratica.

Il bisogno della memoriaFabio Masotti

A partire da alcuni temi su cui la discussione tra gli sto-rici è aperta, come ad esempio quelli relativi al rappor-to tra storia e memoria e al dibattito su fascismo e anti-fascismo, peraltro carico di motivazioni che trascendo-no il puro ambito scientifico, intendo proporre unariflessione che aiuti a capire i motivi che hanno spintol’ISRS alla realizzazione delle “Stanze della Memoria” ea porre certi problemi propri di un lavoro che ha volu-to ripercorrere, ma anche sottolineare, i passaggi salien-ti del ventennio fascista a Siena e provincia. Mi muovo da una tesi: si sta oggi consumando unaprogressiva scollatura tra i fatti e il loro senso storico,in quanto sono venute meno le grandi filosofie dellastoria che per lungo tempo hanno dato un sensocompiuto ed un quadro di riferimento generale aglieventi degli uomini. Quando dico “filosofie della storia” intendo quelle cor-nici di relazione entro le quali fino a ieri trovavano spie-gazione i grandi fatti della storia e quella linea del tempoche collegava passato e presente, e dava un senso al futu-ro. Oggi, invece, come afferma Remo Bodei in una suarelazione presentata al convegno “Senz@ Memoria”organizzato dall’Istituto Storico della Resistenza e del-l’Età Contemporanea in Ravenna e Provincia, “esistonotante filosofie della storia camuffate, miniaturizzate emimetizzate con il senso comune”; insomma una sortadi caselle entro cui collocare ciò che ci serve per i finiimmediati, una storia usa e getta che non richiede di tro-vare un nesso con la memoria del passato. Viviamo, insostanza, una dimensione di incertezza in cui il filo dellagrande storia sembra essersi spezzato, lasciando allamolteplicità dei fatti un loro autonomo percorso spiega-bile solo con la categorie del presente. In questo senso è senza dubbio vero che l’accelerazio-ne del tempo storico induce la società a ragionare evivere nella “dimensione dell’ora”. Ma questa “bulimiadel presente” tende a ricacciare indietro l’insegnamen-to che proviene dalla conoscenza del passato, riducen-done la sua portata educativa; vivere hic et nunc signifi-ca percepire l’esperienza come pura immediatezza che

non ha bisogno di trovare rapporti col tempo passato. In tutto ciò i giovani, certamente i più capaci ad interpre-tare questa “linea del tempo”, ci dicono con forza che glieventi del passato sempre meno assomigliano a un pre-sente proiettato verso il futuro che non vuole girarsiindietro. Sembra di percepire che “non è tempo dimemorie” e queste sono avvertite come ostacoli per unrapido sviluppo della società. Anzi, si può addiritturaaffermare che tornare sulla memoria del passato sia unprocesso che ritarda e offusca lo sguardo sul domani; daqui una volontà, non espressa esplicitamente ma soste-nuta da interessati settori della società, di “liberarci dellamemoria” e darci la sensazione di vivere in un insistitosentimento del quotidiano in cui l’uomo, in bilico nelpresente, vive la realtà di ogni giorno come una sorpresa,un’attesa della novità, una conferma che l’esistenza èsenza orma di passato, avida solo del domani. Ovviamente queste sono solo considerazioni appenaabbozzate, ma riflettono, credo, una palpabile perce-zione di difficoltà per chi è stato abituato a ragionarein base a canoni che nella lettura ed interpretazionedegli eventi si orientavano grazie a precise linee didirezione della storia. Mi sembra di assistere, ed in questo leggo una respon-sabilità dei mass media, ad una dottrina della moder-nità, o meglio del modernismo, che si alimenta di un’i-dea esasperata di giovanilismo in cui la tradizione siindebolisce, la figura del “vecchio” perde importanzamentre quello che conta risultano essere solo l’azione el’agire slegato da un senso di riflessione. Capisco chesto continuando a proporre un ragionamento che pro-cede per segmenti, ma che credo importante proprioper un Istituto come il nostro che si impegna a faredidattica partendo da una rilettura puntuale degli even-ti e dalla proposta di una loro memoria condivisa. E se tutto questo ragionare sul progressivo venir menodella centralità della memoria ha un senso, se non ècosì raro incontrare giovani con evidenti difficoltà a leg-gere eventi lontani solo 15-20 anni – penso ad esempioalla caduta del muro di Berlino – allora siamo chiamatia ripensare alle nostre strategie operative per non doverassistere, passivamente, ad una “morte della memoria”.Da qui la necessità di “ricostruire memoria” attraverso

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percorsi che recuperino la capacità di tornare indietro, lapossibilità di riannodare legami spezzati e di suscitarecuriosità. Non credo sia più sufficiente solo “restituirememoria”, magari attraverso la presenza del testimone,figura che nel recente passato ha incontrato tanti entu-siasmi negli operatori scolastici; né ritengo sia più ilmomento di soffermarci a riaffermare, stancamente, che“la storia è maestra di vita” e che “senza memoria delpassato non c’è presente”. Trovare altre strade è semprepiù necessario, a meno di non doverci tutti convertirealla filosofia della “dimensione dell’ora”.Altra questione: memoria e contenuti delle “Stanzedella Memoria”.Nel nostro caso “ricostruire memoria” significa riper-correre il ventennio fascista, un periodo sottoposto direcente ai riflettori abbaglianti dei media e letto spessoalla luce di ricerche pseudo-storiche che si prestano,volutamente, ad uno smaccato uso pubblico.

Per di più, non dimentichiamolo, il ventennio fascistae le tragedie che questo provocò furono letti, subitodopo la fine della seconda guerra mondiale, in un’ot-tica che riaffermava sì il carattere dittatoriale del fasci-smo, ma anche una distanza del regime dai sentimen-ti del popolo italiano il quale avrebbe subito quelladittatura, salvo poi rigettarla non appena se ne pre-sentò l’occasione. “In questo senso – come scriveGianni Oliva nel suo Si ammazza troppo poco – “italianibrava gente” è un tassello centrale nella ricostruzionedel passato nazionale, quale va definendosi negli annicompresi tra caduta del fascismo e promulgazionedella Costituzione repubblicana”. Da qui la dissocia-zione delle responsabilità del popolo italiano da quel-le di Mussolini; da qui il fascismo come una “parente-si” nella storia nazionale, subito colmata dalla riaffer-mazione democratica della lotta di liberazione.Orbene, questa impostazione, a suo tempo dettata da esi-

22 febbraio 1913. Festa dei bambini alla Casa del Popolo (Biblioteca Comunale degli Intronati di Siena, Fondo Massarelli)

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Confessioni di visita Paolo De Simonis

L’acido del tempoVia dei Malavolti 9. Nel 1944 le sue stanze vedono lesevizie fasciste. Nel 1964, in facciata, ne sancisce ilricordo una lapide. All’interno, nel 2007, l’eco di quel-le angosce riaffiora nelle Stanze della memoria che rivi-sitano il ‘900 politico senese fino alla Liberazione. E infacciata si affiancano ora alle parole della lapide icolori delle immagini di Fabio De Poli che risignifica-no le vetrate della loggia. La lapide fu posta venti anni dopo i fatti. Le Stanze dellamemoria si aprono quarantatre anni dopo la lapide. Lavolontà di memoria si fa più forte perché più forte sem-bra il rischio dell’oblio. O perché il sovrapporsi deisegni, soprattutto nelle città, produce paesaggi di letturacomplessa. Baudelaire, dalla sua finestra parigina, vede-va confondersi nell’orizzonte urbano i campanili dellechiese e le ciminiere delle fabbriche. Nelle targhe strada-li tende a svanire il senso originario delle dediche. Siappiattiscono e confondono, nella genericità della fun-zione toponomastica, i cognomi di eroi e filologi, mar-

tiri e inventori. I Martiri si semplificano burocratica-mente fino al grado zero del significato in una M punta-ta, nella via di un comune senese che intendeva com-memorare il loro sacrificio a favore della libertà.L’oblio però non è necessariamente progressivo. Quasiuna necessità fisiologica: pena Ireneo Funes, drammati-co memorioso. O una consunzione materica: provocatadall’aggressione acida del tempo. Dimenticare e ricorda-re sono anche, o soprattutto, processi attivi e selettivi.Costruzioni progettate e mirate. Via dei Malavolti, senzal’appassionata erudizione paliesca, non continuerebbe avenir associata nei siti web della Contrada del Drago alluogo dove, secondo tradizione, si sarebbe accampatoEnrico VI nell’assedio di Siena del 1186.La dipendenza dal passato si dimostra un tratto caratte-ristico, se non un’ invenzione, della modernità. Il cultodella memoria è stato fondato e viene praticato dagliStati e dalle Istituzioni formatesi nell’evo moderno.Con proprie liturgie e simboli e riti: date del calenda-rio, bandiere, cortei, eroi, miti, monumenti, lapidi,corone di fiori. Significativamente peculiare è il casodella Resistenza italiana, la cui memoria prese a model-larsi poco dopo il 25 aprile 1945, quando ancora si

genze di politica internazionale e da precisi interessi deipartiti antifascisti miranti a dimostrare la distanza dellemasse dal fascismo, non ha di certo favorito una letturacorretta di quel periodo, tanto meno dei suoi aspetti piùdrammatici, come la promulgazione delle “Leggi per ladifesa della razza”, le imprese coloniali, l’entrata italianain guerra, l’occupazione della penisola balcanica.Ma se questa è la lettura ufficiale, a distanza di cosìtanto tempo dalla caduta del fascismo può essereanche lecito porsi alcune domande: se gli italiani sonostati succubi di una dittatura che non hanno voluto,qual è la necessità di riproporre oggi la lettura di que-sto periodo? E ancora: perché intestardirsi a voler ria-prire i conti con le responsabilità del fascismo quandole vecchie categorie di fascismo, antifascismo, comuni-smo sembrano sgonfiate su se stesse ed il presente nonconosce più le definite ideologie del Novecento?Come si vede, i temi in discussione sono molteplici epongono tante domande, soprattutto a chi, come l’Isti-tuto Storico della Resistenza Senese, si impegna daanni in un lavoro di recupero e allestimento di luoghidella memoria (ieri Casa Giubileo, oggi la ex-Caser-metta, domani Pietraporciana) e promuove attivitàdidattiche che si fondano sulla convinzione che unapuntuale lettura del presente possa realizzarsi meglioin presenza del recupero, dello studio, del collegamen-to con le esperienze e i vissuti del passato. In questi ultimi anni ci siamo resi conto delle diffi-

coltà crescenti di questo nostro percorso e della cre-scente distanza tra quotidianità degli studenti e inse-gnamenti del passato anche in relazione al fatto nuovodella presenza nelle scuole di studenti non italianiportatori di altre storie e altre memorie. Nell’allestire le “Stanze della Memoria” ci siamo postitutte queste questioni, consapevoli che la realizzazionedi un museo ingessato nelle sue rappresentazioni nonsarebbe stata utile per i nostri scopi. Così questo luogodella memoria – l’ex Casermetta – dovrà essere, più cheun “museo” un luogo vivo in cui la storia del passatoriesca ad incuriosire il giovane e indurlo a porredomande alla nostra quotidianità. Insomma un luogodi “ricostruzione della memoria”, uno spazio laborato-riale in cui si possa studiare e fare ricerca indagandonella vita dei nostri padri e dei nostri nonni, proprioperché ci troviamo in presenza di quella diffusa “buli-mia di presente” e perché sembra riproporsi, o megliopersistere, quella vulgata rappresentazione di un “fasci-smo all’italiana” che pur nella spietata critica dellaguerra di un recente film di Monicelli, Le rose deldeserto, sembra ancora manifestarsi e sopravvivere. Le “Stanze della Memoria” sono state allestite propriopartendo da queste considerazioni e si pongono l’o-biettivo di suscitare interesse nei giovani per una corret-ta conoscenza del passato e di educarli ad una nuovaconvivenza con culture diverse accanto a persone chehanno alle spalle storie ed esperienze lontane.

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combatteva nel Pacifico: con mostre, allestite tra giu-gno e settembre a Milano, Torino, Genova, Roma, chericostruivano con immagini, testi e numeri quella lottaclandestina appena conclusa e che gli stessi protagoni-sti conoscevano ancora solo per frammenti.La memoria comune è da tempo una pratica socialedoverosa: dunque anche largamente trasgredita, comeogni dovere. La modernità, si dice e facilmente si rile-va, è memoricida quanto ossessionata dalla memoria.Il tempo vettoriale che non ritorna desta inquietudine.Ma la completezza ingestibile delle migliaia di testi-

monianze accumulate nella Survivors of the ShoahVisual History Foundation è risposta inquietante alledomande dell’operaio brechtiano. Nell’era del testi-mone crescono i muri con incisi i nomi di tutti i mura-tori che li hanno costruiti.

Voi siete qui Orientamento nella non facile lettura dei segni storiciinscritti nel paesaggio senese pensano di poter fornirele Stanze della memoria. Nel video che ne precede lavisita compare un netto “Voi siete qui” riferito alla ex-

I partigiani del senese nella rilettura grafica di Andrea RauchI partigiani del senese nella rilettura grafica di Andrea Rauch

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Casermetta di via dei Malavolti 9: informazione eresponsabilizzazione spaziotemporale. Analogamente, in questa premessa alla descrizionedelle Stanze, credo opportuna una precisa localizzazio-ne di identità e di intenti: un’autoriflessione a favoredella trasparenza sulle condizioni e sui modi di pro-duzione di un ulteriore “luogo della memoria”.Le Stanze, anzitutto, rappresentano il risultato di unafiliera di operazioni avviata dall’Istituto Storico dellaResistenza senese che ha ritenuto non più sostenibilesoltanto da una lapide la memoria di un evento stret-tamente connesso alle principali vicende della politicalocale della prima metà del ‘900. L’esigenza, sostenutaeconomicamente dal Monte dei Paschi, si è tradotta inassegnazione di incarico a vari professionisti per larealizzazione di un allestimento che di quelle vicenderendesse memoria. L’esito, forse non è scontato preci-sarlo, non significa che le Stanze contengono ora ilcalco degli eventi “richiesti” dalla committenza: la loroombra, disegnata dalla completezza documentaria.Nell’ambito delle scienze umane prospera consolidatacoscienza circa la “costruzione discorsiva della memo-ria”: espressa essenzialmente tramite pagine di saggi. Ecostrutto discorsivo non può che essere anche un alle-stimento dedicato alla memoria: manifestato dall’in-crocio di vari codici di comunicazione e non ignaro dirimandare a funzioni di divulgazione ed evocazione.Come proprio di un medium fruito dal deambularguardando, e ascoltando, in uno spazio circoscritto.Indubbio che tali caratteristiche limitino i livelli diapprofondimento e di fedeltà documentaria. Lamemoria possibile con un allestimento è forse piùvicina, con Neisser, a quella “repisodica”: che fondeeventi reali in sequenze anche costruite. Organizzandoun percorso di visita, in fondo, si tratta principalmentedi “provocare” in accezione etimologica: ‘chiamarefuori’, ‘far sorgere’.

Folle, idee, pale Piazze e strade: gli stessi luoghi noti occupati in tempidiversi e per diversi ideali da masse di persone durantecomizi, sfilate, feste. Ma anche gruppi di compagni dilavoro e di scuola. Di lotta clandestina. Nella formadella gigantografia garantiscono il fondale evocativoche già individua un piano di lettura e sfonda lo spazioreale, molto limitato, della ex-Casermetta. Dal fondaleaggettano voci e volti, rumori e musiche. Di illustrazio-ne, commento, testimonianza. Assieme a documentistorici videoproiettati, qualche oggetto, manifesti: imuri si fanno esterni, accolgono le comunicazioni delpotere e delle opposizioni. Sono voci anche i testi,molto brevi, stampati sulla tela delle tende che oscura-no le finestre. Non finale ma trasversale il linguaggio

dell’arte: la provocazione illustrativa pop di Fabio DePoli sulle vetrate della loggia. Le riletture di senso cro-matico che Andrea Rauch ha impastato con gli alonurid’argento di vecchie foto nella sala dedicata a “Viro”.L’incubo metallico dell’ Arpia di Gianni Fanello nellastanza della tortura. La costruzione interrogante diClaudio Maccari nella stanza dell’8 settembre. Confesso di aver narrato, in altri termini. Assieme adaltri e con materiali diversi che non sono (se mai ve nesiano) dati neutri ma testi già frutto di scelte ed elabora-zioni. In fondo lo facciamo sempre: anche quando rite-niamo di essere autori, di avere scelto personalmente leparole per il nostro testo. Quelle parole ci appartengonodavvero solo in parte: contengono risonanze altrui,anche quando le riteniamo nostre, appunto perché cir-colano, “hanno valore”, all’interno di una comunità.Tanto più questo si verifica quando, come per le Stanze,ci si avvale di parole, immagini e suoni nati altrove e peraltri fini. Certo: è vero che si scrive per esser letti e si foto-grafa per esser visti. Ma, come nei musei, siamo comun-que davanti a processi di delocalizzazione, di sottrazioniai contesti originari con inserimenti in altre sintassi.Come nei musei d’arte avviene per le pale d’altare e inquelli etnografici per le pale dei campi, così si verificaper foto scattate in specifiche occasioni e conservate confinalità difformi, per lettere indirizzate ad altri destinata-ri, per diari inconsapevoli dei loro futuri lettori, perparole dette oggi e relative ad avvenimenti lontani.

L’anello che non tieneMi assumo peraltro la responsabilità di avere scelto,coordinato e delegato fra tante possibili suggestioni. Edi aver privilegiato alcune finalità. Primaria quella dicontribuire all’erosione fecondamente critica dellegrandi scale interpretative. Un sabotaggio positivo deimacrocontesti e dei luoghi pericolosamente troppocomuni. Tra questi la valutazione del fascismo senesequale modulazione bonaria della dittatura in quantoessenzialmente attenta al nazionalismo cittadino, allasalvaguardia e al restauro di una memoria illustre tra-sversale alle contingenze politiche.Da qui la messa a fuoco delle realtà di violenza preci-sate nei luoghi e nelle persone. Dell’importanza dellanarrazione autobiografica: preziosa per le visioni com-plessive appunto perché le pone in crisi con la ricchez-za delle variabili. Proprio durante il fascismo Montaleha tessuto l’elogio dell’

anello che non tieneil filo da disbrogliare che finalmente ci mettanel mezzo di una verità.

In questa stessa direzione si spiega l’uso marcato, nelle

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voci e in qualche testo, degli usi linguistici locali, dia-lettali: come antidoto alla tendenziale arroganza dellostandard ma anche per valorizzare la frequente straor-dinaria capacità di comunicazione di queste testimo-nianze “sporche”: molte riescono ad aprire larghisquarci di conoscenza in quanto traversate da tensioniemozionali e valori estetici intensi. Ma anche perchésono voci che riducono le distanze: invitano ad avvici-narsi per favorire l’ascolto reciproco. La finalità principale delle Stanze della memoria noncoincide comunque con la realizzazione di questo alle-stimento. Le gigantografie ci obbligano a dialogare congli sguardi di tanti, quasi tutti sconosciuti Eppure ognisguardo lascia intuire una storia. L’allestimento ha infondo costruito una grande macchina narrativa che

può e deve continuare a produrre. Sono consapevole eresponsabile di aver narrato selezionando e orientan-do: costruendo un percorso sicuramente parziale e cri-ticabile perché schierato. Per la vita delle Stanze saràquindi importante la loro capacità di apertura, di rin-novamento: ad altri voci, problemi e, più in particolare,tempi. Con allestimenti temporanei, nuove ricerche,organizzazione di incontri. Le voci tagliate sono anchequelle degli avversari. E le ragioni e follie della primametà del ‘900 non cessano di riproporsi: oggi e altrove.La memoria impone aggiornamenti. “Io a volte alla mi’ figliola gli dico: vedi? Tutte le coseche si vede alla televisione, della Palestina, dell’Afgha-nistan, d’i’ Kossovo, dell’Irak, noi si so’ passate tutte,quelle lì”.

Assemblea dei lavoratori alla Casa del Popolo (Biblioteca Comunale degli Intronati di Siena, Fondo Massarelli)

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Rappresentare la memoria: gli spostamentidello sguardo.Silvia Folchi

Nella progettazione dell’apparato documentale daaffiancare all’impianto scenografico delle Stanze cisiamo trovati a ripensare un genere, quello del docu-mentario, che nella sua declinazione museale non èin fondo ancora pienamente consolidato. Fuori dalleesperienze di lavoro consuete (la realizzazione dimoduli visivi generalmente di carattere antropologi-co) il tema centrale delle Stanze, la storia con la suaingombrante maiuscola, ha richiesto un pressantecambiamento di sguardo – i passi indietro e di latotipici di quando, volendo scattare una fotografia, sisceglie l’inquadratura, si considera la composizionemigliore, si decide per un tele o per un grandangolo. La nostra scelta si è orientata sul togliere qualchemaiuscola di troppo, ed inserire le minuscole cuisiamo abituati per mestiere, e che ci sono più conge-niali come scelta di campo perché meglio descrivono,alla fine, quali segni il passaggio della storia ha lascia-to in un territorio, nei suoi abitanti e nella memoria -cioè nella consapevolezza – dei suoi abitanti. Da qui l’uso delle fonti orali, accanto e alla pari con lefonti “ufficiali”, le citazioni sonore delle musiche “diallora” (mai ovviamente per esaltazione di questo o diquello, ma sempre come documento: la parzialità, chenaturalmente non può non esserci, viene fuori lungotutto il percorso, ma attraversa altre chiavi di lettura).Il genere documentario classico è stato accantonato,salvo che nel primo filmato, propedeutico alla visita, incui è ricostruita la vicenda della distruzione della Casadel Popolo da parte fascista, dell’intreccio torbido chelega quel fatto alla costituzione della Casermetta, e checi porta fin qui, alla realizzazione delle Stanze dellamemoria. Con brevi interviste girate per strada si chiedeconto ad alcuni passanti della conoscenza di questieventi, in fondo non così remoti e legati a luoghimolto centrali, collocati anzi al cuore della città. E’ quiche inizia il percorso di memoria, e che scattano altrestrategie scenografiche.

Le Stanze, infatti, sono di per sé di un certo impatto,con le grandi foto che escono dalle pareti a prenderetutto lo spazio. Sono spesso ritratti di gruppo, imme-diatamente leggibili e riconoscibili, così come sonoben riconoscibili i luoghi che fanno da sfondo airitratti. Quel che si è voluto evocare ha molto a chefare con la normalità della vita quotidiana di luoghi –la nostra città, i nostri paesi – che hanno fatto da sfon-do ad eventi lungamente eccezionali: il ventenniofascista, l’inculturazione delle masse, la guerra, i con-

trasti, la violenza, la ribellione. Questa esibizione è unpo’ in fondo anche la denuncia di una grave – per noi– dimenticanza, o rimozione, o normalizzazione pre-coce della memoria collettiva.

A fornire le coordinate degli eventi è una sequenzasonora, che si avvia all’ingresso del visitatore nella stan-za. Inizia generalmente con la citazione di una canzonedel tempo, e la voce-guida fornisce le informazioniindispensabili alla comprensione dell’argomento rap-presentato nella stanza. Alla voce dello speaker si alter-nano frammenti di fonti orali, ricostruiti con citazioniattoriali o di prima mano, quando avevamo a disposi-zione le registrazioni originali. La musica è trattata inalcuni casi come documento in sé, in altri come tappe-to sonoro di sostegno e di commento ai testi. Con que-sti ingredienti le sequenze sonore sono a tutti gli effettiun elemento della composizione espositiva, della sce-nografia. Il loro ascolto è previsto in accompagnamen-to alla visione delle grandi foto, alla lettura delle frasichiave stampate sulle tende, e sono un elemento“caldo”, non essendo appiattite sulla sola funzione di“didascalia che qualcuno legge a voce alta”.

Nella stanza dedicata alla tortura, la sequenza sonoragioca un ruolo centralissimo accanto agli scabri elemen-ti scenografici: una luce che nella penombra illuminauna sedia. Non ci sono foto né citazioni oggettuali, senon l’evocazione del male lanciata dall’Arpia metallicadi Fanello. Le voci riportano pochi frammenti di rac-conto sulle sevizie che gli interrogati dovevano soppor-tare, sulla violenza patita in questo stesso luogo in cuinoi, ora, ci troviamo.

Altra sorte è toccata ai filmati, che sono invece privi diaudio (anche per evitare ovvi problemi di sovrapposizio-ne acustica) e declassati, per così dire, al ruolo di bancadati la cui fruizione non è randomizzabile (non ci si puòinsomma navigare all’interno: al massimo si può ferma-re il filmato o andare avanti o indietro). La convinzioneè che la comprensione di un discorso complesso habisogno di un percorso preciso, che certe informazioniservono per comprendere gli sviluppi di una storia, che ipercorsi debbano essere organizzati sulla base dellaconoscenza delle fonti e non possano essere improvvisa-ti o affidati all’esplorazione per salti. I filmati sono quin-di niente più che dei riassunti ragionati di eventi, la cuidecifrazione è affidata a didascalie, alla citazione didocumenti, discorsi ufficiali, e ancora di fonti orali, afotografie, manifesti, telegrammi, giornali. Una linea deltempo animata sottolinea e ricorda la cronologia deifatti salienti. Ovviamente ci sono stanze in cui il tematrattato attraversa una dimensione temporale profonda

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(per esempio la sala dedicata al radicamento dellacomunità ebraica nella città di Siena, in cui si parte damolti secoli lontano), e altre in cui gli avvenimenti siconsumano nel volgere di pochi mesi (l’8 settembre e lanascita della Repubblica Sociale o la Resistenza). Nel caso invece del “cinema” le immagini sono deltutto diverse. Qui sono proiettati alcuni cinegiornaliLuce degli anni ’30, che hanno per soggetto avveni-menti senesi (la visita di Starace, l’inaugurazione dellanuova stazione ferroviaria e così via). Nella parete allenostre spalle un gruppo di uomini in camicia nera,seduti in sala, assiste con noi alla proiezione. I cine-giornali sono qui sia una citazione che una fontedocumentaria.

Torna ad essere “caldo” il filmato anche nel caso dellamemoria della Resistenza. In questa stanza, tutta dedi-cata a questo tema, sei schermi propongono unasequenza di racconti in cui altrettanti protagonistidella lotta partigiana narrano ciascuno un suo pezzet-to di storia, un’interpretazione, un fatto. Qui la neces-sità di brevità imposta dai tempi della visita ha sicura-mente sacrificato, come altrove del resto, la ricchezzadelle storie che avremmo potuto proporre, ciascunacon le sue varianti soggettive: dalle sfaccettature lessi-cali, alle diverse capacità di coinvolgere lo spettatore,alla varietà dei fatti che ogni personaggio, nelle lungheinterviste depositate presso l’Istituto Storico della Resi-stenza, ha raccontato. Chiude il breve ciclo il raccontodel tragico fatto di Montemaggio, affidato a VittorioMeoni, la cui descrizione asciutta (ma certo mai

distaccata) rende se possibile ancora più drammaticala percezione dell’evento. Il racconto è intercalato dabrevissime sequenze che evocano lo svolgersi degliavvenimenti: l’accerchiamento e lo scontro a fuoco, laresa dei partigiani, l’eccidio.

C’è da notare, infine, che alla quantità di documentidisponibili, sia fotografici che filmici, del ventennio, ein particolare degli anni Trenta – anni in cui il regimesi metteva in posa, e creava anzi apposta le più diverseoccasioni per esibirsi e ritrarsi – corrisponde unaopposta assenza di documentazione della vita e del-l’attività della Resistenza. Questo è ovviamente dovutoin primo luogo alla necessità dell’agire nell’ombra inperiodo di clandestinità, perciò abbiamo citato questaimpossibilità di visibilità con la sagoma trasparente sucui sono proiettati i nomi degli antifascisti senesi con-dannati dal Tribunale Speciale. Il loro lungo elenco,che scorre a ciclo continuo, è una sorta di risarcimentodell’anonimato cui furono, insieme alla pena del car-cere, destinati. Alla bulimia della rappresentazione diregime, insomma, corrisponde la scarsità della docu-mentazione antifascista e partigiana. Per questo abbia-mo preferito, nel filmato dedicato ai documenti sullaResistenza, ed è questo l’unico caso, “illustrare” gli epi-sodi descritti dalle didascalie non tramite una lorodocumentazione visiva (che del resto non esiste), maattraverso la loro evocazione, con sequenze tratte dalfilm di Giuseppe Ferrara Brigata partigiana, del 1962, asua volta una ricostruzione dei fatti della Resistenzasenese.

La Casa del Popolo dopo l’incendio (archivio privato)

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Stanza per stanza

IngressoChe qualcosa in Via Malavolti è cambiato lo si avvertealzando appena lo sguardo. Dalla loggetta del palazzosi affacciano sei colorati frammenti di una storia dadecifrare. Con queste immagini di Fabio De Poli laCasermetta si presenta e richiama i passanti.Chi vuole visitare le Stanze della memoria deve salire lastessa stretta scala che accoglieva i frequentatori dellaCasermetta: “Un piccolo portoncino, una rampa di scaleed ecco ti colpiva, come un pugno in piena faccia, l’effigead altezza naturale di Mussolini, che, braccia conserte,petto in fuori, ti accoglieva con faccia feroce, quasi adammonirti che là non si scherzava” (L. Carfora, da Infa-mia e gloria in terra di Siena, 1945). L’effige di Mussolininon c’è più. A richiamare il clima che doveva respirarsiin quel luogo, e in generale per evocare, da subito, iltema e il senso dell’allestimento, c’è al suo posto ilmanifesto con cui nel febbraio 1944 è decretata la penadi morte per i renitenti alla leva.

Aula didattica “Viro Avanzati”È la sala più grande, dedicata a Fortunato Avanzati,“Viro”, comandante della Brigata Garibaldi “SpartacoLavagnini”. Le immagini presenti, opere grafiche diAndrea Rauch, riassumono idealmente il percorso stori-co che verrà sviluppato nelle Stanze: la Casa del popoloincendiata, gli antifascisti senesi che parteciparono allaguerra di Spagna, un gruppo di partigiani, Viro, che almicrofono tiene un discorso all’indomani della Libera-zione. La sala è utilizzabile per incontri, presentazioni dilibri e altre iniziative, ed è lo spazio in cui inizia e si con-clude la visita. I visitatori sono invitati a sedersi e a segui-re la proiezione di un breve filmato che spiega il nessoche lega la Casa del Popolo alla Casermetta, dandoconto dei gradi diversi di consapevolezza/dimenticanzadelle vicende legate a due luoghi centrali della città. Il fil-mato inizia con la mappa della città e l’indicazione “voisiete qui”, cioè all’inizio di un percorso di memoria.

Ogni stanza è dedicata a un singolo macro-argomento,definito da codici scenografici e informativi molteplici:alcuni grandi pannelli fotografici di forte impatto visivo;un commento sonoro che, attivandosi all’ingresso delvisitatore, fornisce le principali coordinate di riferimentoattraverso le didascalie classiche della voce fuori campo,alternata a schegge di fonti orali e a musica, sia originalesia di sottofondo e di commento; i manifesti del tempo,che dai muri della stanza evocano quelli della città, inte-si come spazio pubblico e luogo di comunicazione e discontro. Sulle tende sono riportate alcune frasi simboli-camente rilevanti, tratte alternativamente da fonti ufficia-

li o da memorie orali. Vi sono poi gli schermi su cui sipossono consultare, come piccoli scrigni di dati, brevi fil-mati con date, notizie, documenti, fotografie. Gli stessifilmati (così come i documenti sonori) possono poiessere visionati, più comodamente e in versione legger-mente più lunga e quindi più ricca di informazioni, nelmultimediale consultabile nella sala “Viro Avanzati” altermine del percorso di visita.

La Casa del Popolo di Siena e la Casermetta

Le città sono i luoghi fondamentali della memoria. Le città custodisconoanagrafe e archivi, e danno alle strade nomi tratti dalla storia comune.Costruiscono la loro identità ricordando il passato e interpretandolo allaluce del presente. Siena ha assunto un’immagine che la lega prevalentemente al suo pas-sato medievale e alla fierezza della sua autonomia comunale, ma nonvanno dimenticate le tracce della storia recente – il fascismo, le persecu-zioni, la resistenza – sulla quale si fondano l’idea attuale di cittadinanza ei valori della convivenza civile. La memoria della città è fatta anche di luoghi, e due di questi luoghi, alungo negati alla memoria pubblica, sono il palazzo del Consorzio Agra-rio, in Via Pianigiani, e Palazzo Ciacci, in Via Malavolti. Quello che oggi è il Consorzio Agrario fu inaugurato nel 1905 come sededella Camera del Lavoro: vi erano un caffè, un teatro, una biblioteca,spazi per la vita politica e associativa dei lavoratori senesi. Tra il 1920 e il 1922, nel periodo in cui il fascismo operava in tutta Italia leazioni più violente, la Casa del Popolo subì numerosi assalti – nel primodei quali, il 7 marzo 1920, morì il giovane ferroviere Enrico Lachi – fino adessere incendiata e semidistrutta. Una volta al potere, i fascisti si appropriarono della Casa del Popolo, tra-sformandola in Casa del Fascio e trasferendovi tutte le loro organizza-zioni. Poiché, dopo le devastazioni, l’edificio necessitava di lavori diristrutturazione, la Casa del Fascio contrasse un mutuo con il Monte deiPaschi, ma il debito non sarebbe mai stato onorato. Per recuperare ildanno, la Banca acquisì gli immobili gravati da ipoteca, e contempora-neamente acquistò Palazzo Ciacci, in Via Malavolti, che nel 1936 fudonato alla Federazione fascista. Quella che era stata la Casa del Popolovenne quindi venduta al Consorzio Agrario a un prezzo irrisorio. Il Partito fascista mantenne la propria sede a Palazzo Ciacci fino allafine; fu qui la famigerata Casermetta in cui, nel periodo della Repubbli-ca Sociale, centinaia di oppositori al regime, ebrei e partigiani senesifurono imprigionati, interrogati e torturati dalla milizia. La Casa del Popolo non fu mai restituita ai lavoratori senesi, e ancora oggiè sede del Consorzio Agrario. A distanza di tanti anni, il Monte dei Paschi ha voluto rispondere all’ap-pello rivolto dall’Istituto Storico della Resistenza Senese, concedendogliin comodato d’uso una parte del palazzo – proprio quello che fu sededella Casermetta – allo scopo di destinarlo a luogo pubblico in cui lamemoria dell’opposizione al fascismo possa finalmente essere coltivatae tramandata.

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Società e lavoro a Siena tra ‘800 e ‘900Tema della prima stanza è il quadro socioeconomico di Sienae provincia tra ‘800 e ‘900, con la nascita delle organizzazio-ni politiche e sindacali.

Isolata e statica appare Siena agli inizi del 900, assiemeal suo territorio, tagliato fuori dalle grandi vie di comu-nicazione, stradali e ferroviarie. Siena conta 28.000 abi-tanti nel 1841 e ancora 28.000 nel 1901.

Nell’economia è assolutamente prevalente l’agricoltura,che, da secoli, mantiene in vita il contratto di mezza-dria. Anche l’industria appare ferma, oltre che minorita-ria. Presenze industriali di qualche rilievo si riscontranosolo in Val d’ Elsa e sul Monte Amiata. A Colle Val d’El-sa sono attive ferriere, cartiere e vetrerie: alcune in decli-no già negli anni ‘80 dell’800. Anche la precoce crescitadel terziario, legato al Monte dei Paschi, è funzionalealla conservazione di un assetto complessivo estraneoall’investimento produttivo.

L’economia di Siena era caratterizzata dal piccolo com-mercio e da limitate attività manifatturiere, quasi artigia-nali, tra cui quelle dolciarie, tipografiche, del ferro battu-to, del cuoio. Eppure Siena si era dotata di una primaimportante base industriale fin dal 1849: quando venneaperta una Officina ferroviaria, tra le maggiori dell’Italiacentrale, che impiegava alcune centinaia di operai.Furono questi ferrovieri a formare l’avanguardia del sin-dacalismo e del socialismo senese fra ‘ 800 e ‘900.

Nel 1861 quasi metà dei senesi è analfabeta. Nelle ele-zioni politiche del 28 gennaio, su 1141 iscritti nelle listeelettorali solo 576 esercitarono il diritto di voto.In questo quadro economico-sociale le radici della futu-

ra attività politica esindacale sono daricercare nellediverse forme diassociazionismoriscontrabili lungotutto l’800: Societàdi Mutuo Soccorso eSocietà Operaie.La politica in sensoproprio presentanel senese matricirepubblicane, anar-chiche, socialiste.

1870: primo scio-pero senese, in viadel Vapore, nello

stabilimento fondato nel 1865 da Alessandro Mucci,pioniere della locale industria tipografica.1872: a Rimini, il Fascio operaio di Siena partecipa allaConferenza delle sezioni italiane dell’Internazionaleanarchica.1873: si pubblica in Siena “Il Risveglio”, foglio anarchi-co che divulga il pensiero di Bakunin.1884: come organo del Fascio della democrazia per laToscana meridionale, formato da repubblicani, radicalie socialisti, nasce a Colle il settimanale La Martinella.1893: viene fondata a Empoli la sezione toscana delPartito Socialista: sono presenti associazioni di Siena,Colle Val d’Elsa, San Gimignano.1897: i socialisti conquistano alle elezioni il Comune diColle Val d’Elsa, prima amministrazione “rossa” nell’Ita-lia centro-meridionale, terza in Italia dopo Milano eReggio Emilia.1902: per la prima volta in Toscana scioperano i mezza-dri di Chianciano. Li seguono quelli di Chiusi, Sartea-no, Monteriggioni, Pienza.1905: si inaugura a Siena la Camera del Lavoro, neilocali della Casa del Popolo costruita per iniziativa diferrovieri e tipografi.1911: le donne di Colle Val d’Elsa organizzano unamanifestazione di protesta al passaggio di un treno digiovani militari diretti al fronte, nella guerra di Libia1915 – 1918: i caduti senesi della prima guerra mondia-le sono soprattutto contadini. Da Leopoldau, dov’è prigioniero, qualcuno scrive aGalena, in Chianti: “Mi scrivono dall’Italia: Se Cristofosse qui, troverebbe un rimedio, che risposta devofare? Io non credo niente, altro che è semplicementeun grande macello e che questi assassini non voglionfinirla. Io so che essi non cercano altro che il modo difarci morire tutti quanti – quegli assassini di signori !”

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Il fascismo verso il potereSconfitto alle urne e vincente grazie alle violenze e al soste-gno garantitogli da larghi comparti delle istituzioni e dei cetiegemoni, il fascismo conquista rapidamente il potere.

“Giovani e anziani, reduci dalla guerra e nuove reclutedella implacabile passione patriottica con la Fondazio-ne dei Fasci di combattimento, nucleo della nuova Italiaguidata da Benito Mussolini, si schierarono in unnuovo fronte di battaglia per vincere la pace, senza diche la guerra gloriosamente vinta sarebbe stata irrime-diabilmente perduta”. G. A. Chiurco, Rino Daus, 1934

La guerra aveva ampliato gli orizzonti dei contadini.Fu un “drastico strumento di integrazione sociale enazionale delle plebi rurali, rimaste fino ad allora aimargini della vita della nazione, il fattore che diedeloro una coscienza nuova di sé e delle situazioni nellequali vivevano”. M. Toscano, Lotte mezzadrili in Toscananel primo dopoguerra, 1978

23 marzo 1919: Mussolini fonda i Fasci di Combatti-mento a Milano, in piazza San Sepolcro, nel salone delCircolo degli interessi industriali e commerciali.

2 ottobre 1919: nasce il Fascio senese, ad opera diAdolfo Pieri, bolognese, ex-combattente, commesso delMonte dei Paschi. Primo segretario è Manlio Ciliberti,studente di giurisprudenza.

Ottobre 1920: nelle elezioni comunali i socialisti con-quistano 30 dei 36 comuni della provincia.

La risposta alla vittoria elettorale socialista è l’inasprirsidella violenza. Dopo l’inverno del 1920 le spedizionipunitive dei fascisti, sostenute e finanziate dagli agrari,persero il loro carattere occasionale e si trasformaronoin una aggressione organizzata.

Le due prime vittime caddero a Sarteano, nel dicembre1919, durante un comizio di protesta.“Fu un momento tragico. La piazza si vuotò in un atti-mo, ma al suolo giacevano due operai morti sul colpoed una quindicina di feriti, alcuni dei quali gravemente.Cinque carabinieri rimasero feriti di coltello e di armada fuoco.” Il Popolo d’Italia, 18 dicembre 1919

Morti e feriti si ebbero attorno a scioperi e comizi,durante spedizioni punitive mirate, in contesti di ven-detta. Ma anche a seguito di provocazioni occasionali,nelle strade e nelle piazze dei paesi: per non essersi toltoil garofano rosso all’occhiello, per aver gridato un“abbasso” o un “evviva”.

21 gennaio 1921: nasce a Livorno il Partito ComunistaItaliano, dalla scissione della corrente di sinistra del Par-tito Socialista Italiano.

7 novembre 1921: i Fasci Italiani di Combattimento sitrasformano in Partito Nazionale Fascista. Organo uffi-ciale del partito è Il Popolo d’Italia, quotidiano fondatoda Mussolini nel 1915.

Elezioni politiche 15 maggio 1921: il Partito socialistain provincia raggiunge quasi il 53%. La violenza fascista, rovesciando il responso delle urne,espugna progressivamente le organizzazioni e le ammi-nistrazioni socialiste, costringendole alle dimissioni.

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28 ottobre 1922: “Ordine da eseguirsi pena la morte –Le squadre dei Fasci devono concentrarsi entro il piùbreve tempo possibile sulla linea Siena-Chiusi, munitedi viveri di riserva, coperte, armi e munizioni. D’ordinedel Comitato segreto. Chiurco”.

Verso le una di notte i fascisti partono in treno perRoma da dove, due giorni dopo, arriva un telegramma:“Vittoriosamente giunti tra i primi con mitragliatrici intesta. Tutti benissimo. Chiurco”.

Aprile 1924: socialisti e popolari decidono di non parte-cipare alle elezioni politiche e lasciano via libera ad unalista fascista-liberale-combattentistica. La campagna elet-torale e le stesse operazioni di voto sono in tutta Italiasegnate da molteplici illegalità, denunciate in Parlamentodal deputato socialista Giacomo Matteotti che, per que-sto, viene rapito e ucciso.

L’educazione fascistaOrmai al potere, il fascismo organizza una articolata operadi inculturazione, ritagliando ruoli precisi per i bambini, igiovani, le donne.

«Il bambino, prima di dare il primo vagito, alzandofascisticamente l´esile braccino ha mandato il suo salu-to a Voi, Duce». Così, negli anni ’30, scriveva a Mussoli-ni un genitore. Il regime controllava tutta la società, tutta la vita: sinasceva, si cresceva e si diventava fascisti. Nel 1925 fu fondata l’Opera Nazionale per la Maternitàe l’Infanzia. Si organizzavano dappertutto colonie esti-ve. Per creare “l’italiano nuovo” la scuola fascista propo-neva testi scolastici, quaderni, diari e pagelle a esaltazio-ne costante del regime.

D. A che cosa mirava l’azione bolscevica?R. L’azione bolscevica mirava a rinnegare il valore e il sangue

con cui la vittoria della guerra mondiale era stata ottenu-ta, ad alimentare l’odio di classe e a trasportare in Italiala barbarie rossa.”

D. Quando avvenne la conquista fascista del potere?R. La conquista fascista del potere avvenne con la Marcia su

Roma, effettuata agli ordini del Duce, da un esercito diCamicie Nere.

D. Che cosa era stato demolito?R. Era stato demolito il vecchio regime liberale e democratico

schiavo dei partiti e del parlamento.(da Il primo libro del fascista)

“A integrare la missione educativa della scuola fascista ilRegime ha creato una grande istituzione che ha il com-pito specifico di preparare i fascisti di domani”. Era l’O-pera Nazionale Balilla istituita nel 1926. Centinaia di

migliaia di ragazzini e adolescenti vennero inquadrati eaddestrati alle armi. Come soldati. Camicia nera, fazzo-letto azzurro, pantaloni grigioverde, fascia nera, in testail fez: il copricapo degli Arditi della prima guerra mon-diale. Compagno fedele delle esercitazioni, il moschet-to: in versione giocattolo per i Figli della lupa: bambinifra sei e otto anni. Si era Balilla fra otto e quattordici.Avanguardisti fra quattordici e diciotto. La meta finale, aventun anni, sarebbe stata la tessera del Fascio.

Funzionava anche, parallela a quella dei maschi, unastruttura femminile: Piccole Italiane, dagli otto ai quat-

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tordici anni, Giovani Italiane dai quattordici ai diciot-to. Per loro il regime non prevedeva l’addestramentobellico ma una preparazione adatta “alle funzioni chedovranno esercitare nella società fascista e dunquecorsi di taglio e cucito, ricami, igiene, pronto soccor-so, puericultura, economia domestica, ginnastica rit-mica, gite”.

“Ho bisogno di nascite, di molte nascite”, aveva procla-mato Mussolini. E anche: “La donna deve obbedire. Nelnostro Stato essa non deve contare”. “Donne fasciste:voi dovete essere le custodi dei focolari.” “La guerra staall’uomo come la maternità sta alla donna”.

Nel 1923 la legge istitutiva del Liceo femminile vietavaalle donne di ricoprire la carica di preside.Nel 1926 le donne sono escluse dall’insegnamento diLettere, Storia e Filosofia nei Licei e, nel 1932, dallaScuola Normale Superiore di Pisa.

L’esibizione del regimeLe grandi manifestazioni pubbliche del regime: comizi eparate, interventi urbanistici e bonifiche. L’antifascismo èrappresentato da una sagoma trasparente, su cui scorrono inomi di tutti coloro che subirono processi e condanne.

10 giugno 1924: il deputato socialista Giacomo Mat-teotti viene rapito da alcuni fascisti. Per protesta i partitidi opposizione abbandonano il Parlamento. Il 16 ago-sto viene rinvenuto il corpo di Matteotti. L’indignazionegenerale sembra mettere in crisi il fascismo.

3 gennaio 1925, discorso di Mussolini alla Camera: “Si dice: il fascismo è un’orda di barbari accampati nellanazione; è un movimento di banditi e di predoni. Ebbe-ne, dichiaro qui, al cospetto di questa Assemblea e alcospetto di tutto il popolo italiano, che io assumo, iosolo, la responsabilità politica, morale, storica di tuttoquanto è avvenuto. L’Italia, o signori, vuole la pace, vuolela tranquillità, vuole la calma laboriosa. Noi, questa tran-quillità, questa calma laboriosa gliela daremo con amore,se è possibile, e con la forza, se sarà necessario”.

5 novembre 1925: vengono presentate le “leggi fasci-stissime”: una “rivoluzione legale” che segna la finedello stato democratico. Il Tribunale Speciale punisceogni attività politica contraria al regime. Dal 1926 al1943:1800 i senesi iscritti al Casellario Politico Centra-le, 173 i deferiti al Tribunale Speciale, 57 i processi e 75i condannati, complessivamente, a 308 anni e 4 mesi dicarcere. 129 subiscono 380 anni di confino. 210 gliammoniti e i diffidatiQuattro quinti degli antifascisti senesi sono concentrati

in tre zone e due comuni: Val d’Elsa, Val di Chiana, Valdi Merse, Siena e Abbadia S. Salvatore.

24 marzo 1929: in un plebiscito si vota SI o No al fasci-smo. Manca la segretezza del voto: tricolore è la schedaper il SI, bianca quella per il NO. In Italia i SI sono10.045.477, i NO 15.201. In provincia di Siena 62.313votano SI’ e 937 NO.

Nel corso del 1928 i salari, nelle diverse categorie,segnalano riduzioni dal 5 al 20%. Crescono i prezzi e ladomanda di case. L’industria senese, a differenza diquanto avviene in altre aree toscane, vede ridursi le suegià limitate dimensioni.

1929: legge sulla “bonifica integrale”.“La legge agraria è maestosa. Ferreamente logica fasci-

sticamente virile. Essa compendia tutta la volontà dipotenza della stirpe: accrescimento demografico, lottacontro l’urbanesimo, aumento della produzione fru-mentaria”. G. Ratiglia, Vita sindacale senese, 1929

La bonifica viene estesa anche alle crete senesi: ripropo-nendo il contratto di mezzadria sui nuovi campi conqui-stati alla coltivazione. Per dissodare il terreno si proponel’uso degli esplosivi ereditati dalla guerra mondiale.

Continuità esprime a Siena il fascismo negli interventiurbanistici: pochi e quasi tutti già impostati dalle ammi-nistrazioni precedenti. Anni ’30: “risanamento” dei quar-tieri di Salicotto e Ovile, costruzione fuori le mura deiquartieri di Ravacciano e Valli. 1935: inaugurazione dellanuova stazione ferroviaria. 1938: inaugurazione delloStadio, dedicato al martire fascista Rino Daus.

Base del consenso è per il regime la grande frequenza ecapillarità delle manifestazioni pubbliche: comizi, para-te, scritte, manifesti, simboli. L’Opera Nazionale Dopo-lavoro promuove un vasto rilancio delle tradizioni edelle feste popolari, soprattutto di ambito rurale. Nasco-no in questo clima le “Feste dell’uva”.

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Il Palio mantiene nei primi anni una relativa autonomiache progressivamente si riduce. I simboli del regimeappaiono nelle allegorie del drappellone: “Siena fascistadeve trovarsi esattamente riflessa nei palii di questotempo memorabile in cui si rinnova la stirpe e si foggial’avvenire del popolo italiano”.

3 ottobre 1935: senza dichiarazione di guerra, le truppeitaliane invadono l’Etiopia. L’11 ottobre la Società delleNazioni condanna l’invasione e impone all’Italia san-zioni economiche.9 maggio 1936: Mussolini annuncia la fondazione del-l’Impero

1936 – 1939: guerra civile in Spagna. Vi partecipanosenesi fascisti, dalla parte del futuro dittatore Franco. Esenesi antifascisti, che nelle Brigate Internazionali difen-dono la Repubblica democratica.

Siena nei cinegiornali LuceI cinegiornali danno bene il senso dell’apparato propa-gandistico con cui il regime metteva in scena, nel corsodegli anni Trenta, momenti di particolare rilievo per lavita cittadina.

- Il fascismo senese adunato a rapporto dal Segretario delPartito invoca la visita del Duce, 1933

- Inaugurazione della mostra dei vini tipici italiani, 1935- La nuova stazione ferroviaria di Siena inaugurata dal

ministro delle comunicazioni on. Benni, 1935- I sistemi di controllo sul bestiame, 1935- Il maresciallo Badoglio in visita alla città, 1936- Celebrazione del V centenario della morte di Jacopo della

Quercia, 1938- Mostra dei lavori degli alunni della scuola industriale,

1938- Palio, 1939

La comunità ebraica seneseLa stanza rappresenta la “normalità” della presenza ebraicaa Siena, con una finestra sull’eccezionale esperienza dellacolonia agricola di Ricavo, presso Castellina in Chianti.

1229: prima notizia certa, in un documento della Bic-cherna, della presenza in Siena di ebrei: probabilmentearrivati attorno alla metà del secolo precedente pergestire i primi banchi di prestito.

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1348: anche a Siena, come in varie località d’Europa, gliebrei sono oggetto di persecuzioni e uccisioni. Li siaccusa di aver provocato la peste nera avvelenandopozzi e sorgenti.

1428: la Repubblica riconosce ai “giudei” la facoltà diosservare le feste del loro culto astenendosi però dallavoro nei giorni festivi cristiani.

1439: obbligo per tutti gli ebrei di portare il “segno”:cappello giallo per gli uomini, manica gialla del bracciodestro per le donne.

19 dicembre 1571: editto di reclusione per gli ebreisenesi e conseguente creazione del ghetto, detto anche“serraglio degli ebrei”. I suoi cancelli si trovavano all’ini-zio di via del Luparello e in via di Salicotto.

28 giugno 1799: in piazza del Campo “tredici cittadiniebrei furono arsi dai fanatici del “Viva Maria” che aveva-no devastato l’antico ghetto”. Così, nella Sinagoga, unalapide ricorda le “vittime della reazione antigiacobina edell´odio antiebraico”.

1848: l’emancipazione degli ebrei è sancita dal Grandu-ca Leopoldo II con lo Statuto, che viene però abrogatonel 1852.

1859: l’abolizione del ghetto segna l’ottenimento dell’e-mancipazione. Dopo l’Unità, il nuovo Stato liberale sidichiara laico.

L’integrazione degli ebrei si realizza anche attraverso laloro intensa partecipazione alle vicende politiche edeconomiche della città: Carlo Alberto Luzzatti è tra iprimi presidenti della Camera di Commercio di Siena.

Piena integrazione significa che anche nella comunitàebraica senese convivevano, dopo la prima guerra mon-diale, tendenze e schieramenti politici molto diversi.

18 aprile 1934: la tenuta di Ricavo, a Castellina inChianti, diviene una haksharot: centro agricolo dovegiovani ebrei, provenienti da varie nazioni d’Europa,vengono educati alla vita nei kibbutz prima della par-tenza per la Palestina. Le colline del Chianti, aride esassose, adatte alla coltivazione di viti e olivi, vengo-no scelte perché ritenute simili alla pedologia e alleculture praticabili in Palestina. In 4 anni, dal 1934 al1938, più di 200 giovani soggiornano a Ricavo. Lavo-rano e studiano. Finito il periodo di apprendistato igiovani chaluzim lasciano Ricavo e a Trieste s’imbarca-no per raggiungere la Palestina.

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1938: con le leggi razziali arriva l’ordine di espulsioneper gli ebrei stranieri e la chiusura della haksharot chian-tigiana.

Leggi razzialiLe leggi razziali del 1938 sanciscono la progressiva esclusionedegli ebrei dalla scuola, dagli impieghi pubblici, dalla pro-prietà.

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“Già dal ’37 si incominciava a respirare un’aria am-morbata sia da parte dei docenti, sia da parte deicompagni di scuola, dagli stessi amici che erano giàpresi dall’euforia del nazionalsocialismo tedesco”.Giulio Misan.

1938: si pubblica “Il Manifesto degli scienziati razzisti”in cui tra l’altro si afferma:Le razze umane esistono;Esistono grandi razze e piccole razze; La popolazione dell’Italia attuale è di origine ariana e la suaciviltà è ariana; È tempo che gli italiani si proclamino francamente razzisti;Gli ebrei non appartengono alla razza italiana.

22 agosto 1938: vengono censiti gli ebrei senesi: su basirazziali, non religiose. Su questi dati si fonderanno iprovvedimenti di espulsione dalla scuola, dal lavoro,dalle proprietà.

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5 settembre 1938: espulsione di tutti gli alunni edocenti ebrei dalle scuole di ogni ordine e grado e dalleUniversità; espulsione di tutti gli ebrei da accademie eistituti di cultura.

17 novembre 1938: divieto- per gli ebrei di sposare non ebrei- di possedere aziende di rilievo per la difesa nazionale- di possedere aziende con più di 100 dipendenti- di possedere terreni o fabbricati oltre determinate

dimensioni- di avere domestici non ebrei- di prestare servizio nelle amministrazioni pubbliche

civili e militari

Gennaio 1939: si apre a Siena la “sezione speciale peralunni di razza ebraica”. In tre anni sarà frequentata dacirca 30 bambini. L’insegnamento è affidato ad unamaestra ebrea sospesa dal servizio.

9 febbraio 1939: i beni espropriati agli ebrei sono trasfe-riti all’Ente di Gestione e Liquidazione Immobiliare.Viene stilato uno “speciale elenco descrittivo dei beniimmobili appartenenti ai cittadini italiani di razza ebrai-ca”. Il Monte dei Paschi di Siena è uno dei 19 crediti fon-diari cui viene delegato il compito di “provvedere all’ac-quisto, alla gestione e alla vendita dei beni immobilieccedenti”.

27 febbraio 1939: Mario Cabibbe, impiegato del Montedei Paschi, è tra i primi ebrei “dispensati dall’impiego”.Il ritiro delle licenze commerciali provoca la rovina eco-nomica di molte famiglie.

La guerra dal cieloI bombardamenti sono evocati dai rumori delle sirene diallarme e degli “apparecchi” che portano la guerra nelle città.

Domenica, 23 gennaio 1944, 25 fortezze volanti sgan-ciano su Siena 300 bombe: i morti sono 24, viene colpi-ta la Stazione, distrutta la basilica dell’Osservanza.Giovedì 29 gennaio: 104 bombe da 500 libbre cadonosu Poggibonsi da 2400 metri: 72 i morti, distrutta la sta-zione e il quartiere dei Fossi.

Le sirene avvertono dell’arrivo degli aerei. Bisogna nonesser visti dall’alto: le lampadine si tingono di azzurroe le finestre non devono far passare la luce. Si corre aripararsi dentro ai rifugi: cantine ma anche grotte sca-vate nel tufo.

La guerra nel 1940 sembrava una passeggiata: tre –quattro anni dopo si dimostra una tragedia. Sui varifronti, dall’Africa alla Russia, le truppe italiane vengo-no sconfitte. A casa è angoscia e fame: “Il mio pòerobabbo, me lo ricordo sempre, fece venti chilometri,

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una volta, per riportare a casa una zucca, di quellerosse, grandi”.

Il 25 luglio 1943 il re fa arrestare il Duce: sembra la finedel fascismo.

L’8 settembreLa nascita della Repubblica Sociale, la deportazione degliebrei senesi, l’inizio della Resistenza. Al centro della sala, una sorta di crocevia ligneo, opera diClaudio Maccari, sembra indicare i differenti percorsi che aquesto punto la storia propone – o impone – ai suoi protago-nisti: per alcuni la scelta di opprimere o resistere, per altri lavia verso i forni crematori.

8 settembre 1943: manifestazioni spontanee di anti-fascismo a Colle Val d’Elsa, S. Gimignano, AbbadiaS. Salvatore.

9 - 10 settembre 1943: a Siena il Comando del II Corpod’Armata decide di “non opporre resistenza ai tedeschi”che occupano la città. Le armi abbandonate vengonoraccolte da squadre di giovani del Partito Comunista edel Partito d’Azione. Anche da un parroco, don LuigiRosadini, che le nasconde nel cimitero di Vignano.

11 – 12 settembre: ritorna al suo paese, Abbadia S. Sal-vatore, Fortunato Avanzati, comunista, ex confinato aPonza, militare di leva all’8 settembre, che inizia a orga-nizzare azioni di sabotaggio.

23 settembre 1943: nasce a Salò la Repubblica SocialeItaliana. Benito Mussolini diviene Presidente dellaRepubblica, Presidente del Consiglio e Ministro degliesteri.

22 ottobre 1943: Giorgio Alberto Chiurco è nominatoCapo della Provincia e ricostruisce il partito fascistasenese che aveva contribuito a fondare nel 1919.

5 - 6 novembre 1943: rastrellamento degli ebrei senesi.“Il segretario del vescovo, pochi giorni prima aveva fattoil giro: c’erano i Cabibbe, i Castelnuovo… Aveva avverti-to chi poteva di andarsene perché diceva che “si prepa-rano giorni brutti’”. Lucia Sadun

15 nostri concittadini, che non avevano potuto fuggireo che non avevano creduto alle voci che parlavano diulteriori restrizioni delle libertà per gli ebrei, vengonoprelevati dalle proprie abitazioni e incarcerati nellacaserma “Lamarmora” di Siena.

9 novembre 1943: dopo un primo trasferimento aFirenze ed un successivo a Bologna, vengono deportatinel lager di Auschwitz-Birkenau dove troveranno lamorte. Unica superstite Alba Valech, che sarà liberata il1° maggio 1945.

Novembre 1943: sul monte Quoio si forma il primonucleo partigiano. “Le condizioni di vita erano spaven-tose. Il cibo cattivo e scarso. Principale alimento lapolenta di farina dolce. Gli uomini mancavano di pron-ta iniziativa”. Fortunato Avanzati, “Viro”.

Dicembre 1943: sei reclute disertano dall’esercito repub-blicano e raggiungono i partigiani di Monte Quoio, doveconfluiscono dirigenti comunisti della Val di Merse e diAbbadia e una decina di operai di Certaldo.

23 dicembre 1943: a Sarteano vengono arrestati i fami-liari dei renitenti alla leva ma “quattro donne armate di

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bastoni e scure, si sono presentate alla stazione dei cara-binieri pretendendo il rilascio dei congiunti fermati”.Mattinale della Questura del 25 dicembre

4 gennaio 1944: i capi delle Province devono “imme-diatamente” procedere alla confisca di tutti i beni ebrai-ci di qualsiasi natura.

Resistenza: la memoriaLa memoria della Resistenza nelle testimonianze di alcuniprotagonisti. La stanza presenta unicamente una serie dischermi, dai quali, a turno, sei personaggi raccontanobrevi frammenti di storie partigiane. La sequenza si chiu-de con il racconto dell’eccidio di Montemaggio, affidato aVittorio Meoni. Un tributo, oltre che una testimonianza.

Resistenza: la lotta partigianaLe azioni e la vita dei partigiani nei brevi, densi mesi dellaResistenza nel territorio senese.

13 gennaio 1944: passano per Iesa due squadre dellaLavagnini: è la prima volta che i partigiani senesi sifanno vedere in pieno giorno in un centro abitato.15 gennaio 1944: lo scontro di Rigosecco (2 partigianiuccisi e 3 catturati) è indice di una esperienza di guerri-glia ancora in formazione. 22 gennaio 1944: sbarco angloamericano ad Anzio.10 febbraio 1944: “Viro”, Fortunato Avanzati, divienecomandante militare della Lavagnini. Si organizzanoservizi di guardia, di addestramento, di discussionepolitica. Si curano i rapporti con i contadini.

18 febbraio 1944: un bando del ministro Rodolfo Gra-ziani decreta la pena di morte per i renitenti alla leva e idisertori.7 - 8 marzo 1944: due partigiani, catturati durante unrastrellamento tedesco sull’Amiata, vengono fucilati. APiancastagnaio i loro corpi sono appesi ad un albero etenuti esposti per tutto l’ 8 marzo.11 marzo 1944: un reparto della GNR sorprende suMonte Quoio l’accampamento della Lavagnini. 2 parti-giani muoiono combattendo: altri 10 sono fucilati inlocalità Scalvaia.

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13 marzo: a Siena, nella caserma “Lamarmora”, vengo-no fucilati, dopo processo sommario, 4 partigiani cattu-rati due giorni prima a Monte Quoio.28 marzo: a Casa Giubileo 2 partigiani restano uccisi inuno scontro con la Guardia Nazionale Repubblicana.Altri 17, dopo essersi arresi, sono fucilati in località Por-careccia. 6 aprile: a Monticchiello la Guardia Nazionale Repub-blicana rastrella il paese e si scontra con i partigiani delRaggruppamento Amiata: i repubblichini, sconfitti,devono fuggire. Aprile-maggio 1944: le formazioni partigiane, distribui-te ormai su tutto il territorio, svolgono importanti azio-ni di sabotaggio che favoriscono l’avanzata degli Alleati.10 maggio 1944: il generale Kesserling si impegna a“coprire chiunque fra i comandanti dovesse superare lamisura moderata finora usata nella scelta e nella durez-za del mezzo nella lotta alle bande”. 31 maggio 1944: termine ultimo, decretato dal coman-do della Lavagnini, entro cui i militi della GuardiaNazionale Repubblicana possono disertare o arrendersi. 9 – 10 giugno 1944: un Distaccamento della Lavagninilibera tutti gli antifascisti detenuti nel carcere di S. Gimi-gnano.Seconda metà di giugno: le formazioni partigiane entra-no nei paesi a sud di Siena precedendo le forze alleate

TorturaE la stanza più “teatrale” del museo, diversa dalle altre peril voluto forte impatto scenografico di scabra nudità: unaluce che illumina una sedia nell’oscurità dell’ambiente, ele voci di coloro che raccontano, per brevi schegge realisti-che, il loro passaggio sotto gli inquisitori della Casermetta.La citazione sonora si chiude con la lettera che AdornoBorgianni, condannato a morte, scrisse dalla CasermaLamarmora prima dell’esecuzione. Ad evocare il male, l’Arpia di Gianni Fanello.

LiberazioneLa liberazione di Siena, la rinascita della vita politica e sin-dacale. Sul pavimento sono proiettate le immagini dellagente in festa all’arrivo dei francesi liberatori, il 3 luglio.Alcuni flashback confondono e rievocano gli stessi luoghidella città percorsi da altri cortei, da altre divise, dagli stessicittadini acclamanti le coorti fasciste e i loro simboli.

21 giugno 1944: “Preparare con tutta urgenza un pianoper l’occupazione della città”.Comando della Brigata Spartaco Lavagnini

3 luglio 1944: Siena è liberata dal Corpo di Spedizionefrancese. Contrasti interni al Comitato di LiberazioneNazionale, e un’ ultima reazione tedesca, impedisconoalla Lavagnini di entrare in città prima degli Alleati.

13 – 14 luglio 1944: vengono liberati i confini nord-ovest della provincia, S. Gimignano e Poggibonsi.

14 luglio 1944: sfilano in piazza del Campo, in occa-sione della festa nazionale francese, i comandanti e letruppe delle forze alleate.

Autunno 1944 – aprile 1945: il territorio senese è libe-rato ma la guerra e la Resistenza continuano: volontari,

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soprattutto partigiani, si arruolano nei “Gruppi di Com-battimento” che affiancano gli Alleati.

24 aprile 1945: il Comitato di Liberazione NazionaleAlta Italia ordina l’insurrezione per il giorno dopo: “Atutti i comandi zona. Comunicasi il seguente telegram-ma: Nemico in crisi finale Stop Applicate piano E 27Stop Capi nemici et dirigenti fascisti in fuga Stop Ferma-te tutte macchine et controllate rigorosamente passegge-ri trattenendo persone sospette”.

22 aprile 1946: decreto legislativo luogotenenziale n.185, art. 1: “A celebrazione della totale liberazione delterritorio italiano, il 25 aprile 1946 è dichiarato festanazionale”.

20 gennaio 1948: si celebra il processo contro i fascistiresponsabili della strage di casa Giubileo.

Democrazia significa anche ripresa delle lotte mezzadri-li: “Il contrasto tra proprietari e mezzadria va progressi-vamente accentuandosi, assumendo in qualche circo-

stanza carattere di movimento di massa”. Relazionemensile del Prefetto, 2. 12. 1945

Sugli stolli dei pagliai, durante la battitura, sventolanoin segno di protesta le bandiere della pace, cucite dalledonne unendo pezzi diversi di stoffa colorata.

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Istituto Storico della Resistenza SeneseVittorio Meoni, presidenteGianfranco Molteni, vice presidenteFabio Dei, vice presidenteFabio Masotti, direttoreAldo Di Piazza, addetto alla segreteria

Paolo De Simonis progetto di allestimentoAndrea Rauch progetto graficoSilvia Folchi realizzazione audiovisiviMichele Ciarri progettazione e direzione lavori edili

Opere diFabio De PoliGianni FanelloClaudio Maccari

Le ditteCasa del parato CEIS - Consorzio elettricisti e installatori senesiCooperativa Edile Montemaggio (Ditta edile Buttacavoli Mario)Elicona Servizi CulturaliFarmobili srlGiglio Ascensori Rauch DesignStudio 72 Videodocumentazioni snc

Hanno collaborato:Archivio Grassi – Foto LensiniArchivio di Stato di SienaArchivio Storico del Comune di Siena

Archivio Udi SienaAsmos – Archivio Storico Movimento Operaio e Democratico SeneseGiulietto BettiBetti EditriceBiblioteca Comunale degli IntronatiClaudio BiscariniFabio CastelnuovoAnna Di CastroVittorio LuzzattiAnna Meoni Giorgetti Parco Museo Minerario di Abbadia S. SalvatoreUniversità per Stranieri di Siena

Per gli audiovisiviWalter Bonino, voceCarlo Borgogni, voceFrancesco Oliveto, musica originale

Si ringrazianoBanca Monte dei Paschi di SienaFondazione Monte dei Paschi di SienaCesvot

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L’Occhio e la MemoriaAndrea Rauch

Tra i tanti simboli possibili per le nostre Stanze dellaMemoria è stato scelto lo sguardo. Non uno sguardo qua-lunque. Quello di un deportato di Auschwitz che si trovadietro un filo spinato ed era stato immagine per il mani-festo del primo “Museo del Deportato politico e razzia-le”, inaugurato a Carpi nel 1973 e progettato, allora, daLodovico di Belgioioso. La grafica di quel manifesto,molto famoso, si doveva a Albe Steiner che, allora, fir-mava anche la concezione grafica di quel Museo.

Albe Steiner è un nome famoso nel mondo della grafi-ca internazionale ma è un nome famoso anche all’in-terno della società ‘civile’ italiana. Nipote di GiacomoMatteotti, un fratello morto a Mauthausen, Albe fuantifascista attivo, comandante partigiano nella Vald’Ossola e per tutta la vita mantenne viva, anche pro-fessionalmente, memoria di quell’esperienza. Nelsecondo dopoguerra progettò molti manifesti e imma-gini per l’Aned, ad esempio, fu legato professionalmen-te al Partito Comunista Italiano e alle case editriciEinaudi e Feltrinelli. Uno dei suoi ultimi manifesti,

prima della morte avvenuta nel 1974, lo dedicò a Sal-vador Allende. Un manifesto ‘povero’ in serigrafia,dipinto a mano, copia su copia, dai suoi studenti dellaStatale di Milano. Un uomo generoso, Albe Steiner, chedella persistenza della memoria aveva fatto ragione divita e che ci è sembrato giusto ricordare in questa nota.

L’‘occhio di Albe Steiner’ lo avevamo già usato grafica-mente, a Siena, per presentare, qualche anno, fa unamostra di manifesti che chiamammo Epoca e che racco-glieva, anch’essa, la memoria italiana grafico-storica dal1945 al 2000. Non stupisca che si riusi una stessaimmagine per due iniziative diverse, pur se lontane neltempo. Anche se ciò sembra contrastare con la deonto-logia professionale, che pretende che ogni referenteabbia una propria immagine ‘singolare’, noi crediamoche certe figurazioni, per la loro forza evocatrice e sug-gestiva, siano invece ‘plurali’, non esauriscano la propriaefficacia e rinnovino continuamente la forza vitale delproprio messaggio. D’altronde l’occhio è simbolo fortedella ‘testimonianza’, della ‘persistenza della memoria’.Finché la testimonianza sarà viva e se ne terrà memoria,la revisione storica, nella sua vulgata becera e trasanda-ta, non avrà, né potrà avere, corso. Io c’ero, dice quellosguardo, ho visto e non posso dimenticare.Le Stanze della Memoria sono comunque tutte incen-trate sul doppio binario della puntuale ricognizionestorica e della sua resa suggestiva. Come ha detto in

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questi giorni di allestimento Paolo De Simonis, lestanze di un Museo non sono un saggio storico equindi c’è bisogno di un quid diverso, uno scatto dilinguaggio, che dia loro una specificità e un carattere.

La ‘Casermetta’ senese, luogo tristemente e ferocemen-te evocativo, ripercorre, nell’ipotesi allestitiva, unsecolo di storia del movimento operaio e contadino edella società senese. Dal mondo del lavoro tardo otto-centesco alle lotte operaie, alla costruzione e distru-zione della ‘Casa del popolo’, diventata ‘Casa delfascio’, dal consenso al fascismo negli anni Trenta,alle leggi razziali, alla lotta di liberazione partigiana.Un secolo che si legge nei documenti e si intuiscenelle gigantografie e nei manifesti storici del percorsomuseale, che si approfondisce nei materiali audiovisi-vi messi a disposizione dei visitatori. Un mondo com-plesso che si offre, tra l’altro, a riflessioni su dueaspetti che val la pena di sottolineare. La ‘quotidia-nità’ e l’‘eccezionalità’ degli eventi. Vengono presenta-ti elementi di vita ‘quotidiana’, un secolo di unacomunità ‘normale’ che la storia piega verso avveni-

menti dalla portata ‘eccezionale’: così vediamo cheanche il fatto più straordinario conserva una suamatrice di tranquilla quotidianità. Se ci si permette un solo riferimento questo passaggiodi scala lo osserviamo nella famosa foto-ricordo dellaformazione partigiana dove il gruppo dei giovani inposa davanti all’obbiettivo del fotografo potrebbeessere quello di un qualsiasi momento di vita gioiosa-mente associata. Ma quei ragazzi sorridenti hanno inmano un fucile, ci si appoggiano scherzosi e molti diloro di lì a poco sarebbero andati a morire. Eppure inquella immagine si sente la normalità della vita. Daqualche parte potrebbe spuntare pane e pecorino, unfiasco di vino e la foto non sarebbe dissimile da quel-la di una festosa riunione di amici, in campagna, inun giorno bello di primavera.

La storia è complessa, sembra dirci quell’immagine e lamemoria serve alla riflessione e alla comprensione. Eravita quella, vita eccezionale di gente normale, vita cheadesso è storia e che l’‘occhio di Albe Steiner’ ci aiutaoggi a ricordare. Soprattutto a non dimenticarla mai.

Le Stanze della memoria e il pubblico scolasticoGianfranco Molteni

Le Stanze della memoria sono innanzitutto un luogo ditestimonianza. Una testimonianza diretta, le voci deiprotagonisti, le immagini degli avvenimenti inseriteall’interno di una trama storica tessuta dai fili dell’analisistorica. Fonti ed analisi storica in un intreccio continuoche forma un grande collage impreziosito dalle varietàdelle forme comunicative: immagini statiche delle foto-grafie, suoni, immagine dinamiche dei filmati, oggetti.Un microcosmo in cui proprio la varietà delle formedovrebbe incuriosire e stimolare il pubblico e facilitarela ricerca di percorsi individuali.D’altronde solo incuriosendo il visitatore si può spin-gerlo ad un atteggiamento attivo che lo porti a costrui-re all’interno dell’allestimento un proprio percorso.Se questo è il risultato, o almeno quello che abbiamocercato di ottenere per il pubblico adulto, costruendoquesto tipo di allestimento, più complesso appare ildiscorso per il pubblico scolastico.I musei sono considerati dai ragazzi per lo più comeuna noia, sopportabile in alternativa ad un’interroga-zione, a un compito o a una lezione cattedratica, comeemerge in numerose inchieste o in alcune analisi spe-cifiche come quelle svolte in particolare in un recenteconvegno di Modena.La visita al museo si salva e solo in parte perché repu-tata come il meno peggio, rispetto al confronto con leore scolastiche considerate ancora più noiose.

Il primo compito delle Stanze della memoria è quello divincere questo preconcetto e, agendo proprio sullavarietà delle forme di comunicazione, cercare di spin-gere i ragazzi a scegliersi dei propri percorsi, in questofacilitato dalla presenza di apparati multimediali, alcu-ni dei quali interattivi.La presenza del docente e dell’ operatore museale deveessere perciò attiva ma discreta; attiva nell’impostareinizialmente il percorso, discreta nel permettere chequesto si sviluppi poi in una relativa autonomia.Impostazione guidata e visita libera troveranno poi aseconda delle classi d’età uno specifico equilibrio cheporterà ad una presenza maggiore degli “esperti”(docente e/o operatore museale) nel caso di una scuo-la elementare, e minore per gli studenti dell’ultimoanno di scuola superiore.La visita, in particolare la visita guidata per le scuole,ha un suo specifico andamento che inizia nella primaSala dedicata a Fortunato Avanzati, detto “Viro”: unuomo tenace, oppositore al fascismo prima, capo par-tigiano durante la Resistenza poi.Spazio e memoria si intrecciano così subito ricordan-do che quei luoghi sono ricchi di storia e di storie cheoccorre ricordare ed è per questo che sono stati appun-to chiamati “spazi della memoria”.Su un grande schermo viene proiettata la storia della“Casermetta”, che si intreccia con le vicende politichee sociali di Siena dall’assalto fascista alla Casa delPopolo nel 1923, mai più restituita agli antichi pro-prietari, alle tragiche vicende della Casermetta negli

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anni della repubblica di Salò, utilizzata dai fascistianche come luogo di torture per cercare con dolorifisici ed umiliazioni morali di atterrire la popolazio-ne per mantenere il loro potere.A questo filmato introduttivo segue la possibilità perla classe di vedere i multimediali che poi verrannoproposti nelle specifiche sezioni espositive e poterneavere una visione generale e di conseguenza scegliereper l’intera classe o per gruppi di alunni i temi specifi-ci della vista didattica.Nella vista certamente i ragazzi sono continuamente sti-molati a riflettere sulla memoria, sull’importanza di nondimenticare, ma la memoria è uno strumento che servese permette poi di leggere anche il presente, se serve acomprendere più a fondo quei valori e controvalori chehanno segnato parte della storia del Novecento, di cui la

storia senese può essere assunta come simbolo generale.La stanza della tortura può diventare così lo spazio diun palazzo ungherese del1956, una caserma algerina,un villaggio del Mekong, una casa tibetana o unamoschea. Allo stesso modo però lo spazio finale, dedicato allaLiberazione, deve diventare per i ragazzi uno spazio disperanza, perché a partire dalla testimonianza storicadella Liberazione del 25 aprile 1945, occorre soprat-tutto significare per le nuove generazioni la speranzache ci si possa sempre liberare dall’oppressione. È proprio per sottolineare che la Liberazione nonchiude la memoria, che l’allestimento presenta nell’ul-tima parte uno spazio per mostre temporanee, unospazio cioè dove è possibile attualizzare i temi propo-sti precedentemente.

Ricordo di Bruna TalluriAnna Giorgetti

Il 2006 si è chiuso con un lutto per tutti i democraticisenesi: la scomparsa di Bruna Talluri, avvenuta il 21novembre scorso. Non è retorico dire che con la suamorte si amplia quel vuoto già così profondo lasciato daimolti altri che, come lei, avevano arricchito con la loropresenza la vita della città: Mario Delle Piane, AlcesteAngelini, Luciano Tanganelli, Delfo Orlandini, per parlaresoltanto di alcuni che le furono amici; uomini con i qualicondivise esperienze fondanti: l’impegno nella Resisten-za prima e nelle istituzioni politiche e civili poi, la passio-ne culturale sempre finalizzata alla missione educativa,la dimensione etica della politica. Bruna aderì giovanissi-ma (era nata nel 1923) agli ideali dell’antifascismo, peruna scelta di libertà determinata in lei, prima ancora cheda motivazioni ideologiche, dal suo temperamento ribel-le e dal suo rigore intellettuale; il suo giudizio su uominie cose rimase per tutta la vita ancorato alla condannadella violenza cialtrona che del fascismo era stata carat-tere dominante. La sua scelta di campo fu dunque chia-ra e decisa: aderendo a Giustizia e Libertà, partecipò allalotta partigiana che portò anche lei nelle famigeratestanze della “Casermetta”. Per l’attività partigiana ebbe lacroce al merito di guerra. I valori della libertà e della giu-stizia sociale sui quali si sarebbe dovuta fondare lanuova Italia la portarono a militare nel partito d’Azioneprima e in quello Socialista poi. Nel 1944 fu tra le fon-datrici dell’UDI. Ma la sua intransigenza, il rifiuto di ognicompromesso, a cui anche la miglior politica deve sotto-stare, portarono ben presto Bruna “a far parte per sestessa”. Ciò non significò comunque isolamento: gli idea-

li della Resistenza erano in lei talmente vivi che la porta-rono nel 1968 ad accettare la candidatura al Consigliocomunale di Siena come indipendente nella lista delP.C.I., l’unico partito che riteneva ancora fedele a quegliideali. Svolse il compito di assessore all’istruzione e aiservizi sociali con generosa sollecitudine. Questi impegniniente tolsero in tempo ed energie a quello che peroltre quarant’anni fu il suo lavoro amatissimo, l’insegna-mento. Come docente di storia e filosofia ha parlato agenerazioni di senesi trasmettendo loro, attraverso leparole dei grandi del passato, un messaggio di amoreper la libertà e la democrazia: la funzione magistralecome formazione della coscienza del cittadino, questo ilsuo obiettivo e il suo vanto. Bruna fu inoltre fra i fonda-tori, e prima direttrice, dell’Istituto Storico della Resisten-za Senese.Pur non essendo questa la sede più idonea, vogliamoricordare i suoi studi sul giornalismo senese, raccolti in 4volumi dall’editrice La Pietra nel1995. Questo pazientelavoro di analisi di tutte le testate cittadine dalla metàdell’800 alla prima guerra mondiale può sembrare aprima vista frutto di curiosità erudita; in realtà si svolgecoerentemente con una concezione della cultura e dellastoria, anche locale, finalizzata alla costruzione dellacoscienza critica di una comunità. Poche note queste,ma sufficienti a farci sottolineare con rammarico che conBruna Talluri scompare una delle ultime figure di unagenerazione forgiatasi nella durezza della lotta contro ilfascismo, in nome di quei valori di libertà e democraziache ancora oggi hanno bisogno di essere testimoniati.

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“Voglio farlo patire un po’ di più”. Violenze alla Casermetta

Molti furono gli antifascisti che, arrestati e condotti allaCasermetta per essere interrogati, subirono torture e sevizieda parte della milizia repubblichina. La breve sequenza ditestimonianze, tratte da fonti diverse, che riportiamo diseguito, contribuisce a dar conto della ferocia con cui l’ap-parato repressivo della Repubblica Sociale, anche a Siena,svolgeva il suo compito. Come per la Villa Triste di Firen-ze, in cui operava il reparto Servizi speciali comandato daMario Carità, e comunemente conosciuto come “la bandaCarità”, la Casermetta di Siena sembra tutt’altro che svin-colata dagli organi di governo repubblichini: era dallaCasermetta che partivano le spedizioni punitive, i rastrella-menti, le cacce all’uomo; nei sotterranei e nelle stanzedella Casermetta gli antifascisti venivano rinchiusi senzamandato di arresto, trattenuti con un semplice “fermo dipolizia”, e detenuti per giorni e giorni prima di essereinviati al carcere di Santo Spirito o ad altra destinazione.E’ difficile pensare che il governo della città non fosse alcorrente, o che semplicemente “tollerasse”, considerandolicome necessari benché spiacevoli, i metodi inquisitori deiRinaldi e dei Chelles. E di conseguenza è difficile concepi-re una spaccatura netta tra un certo modo “morbido” digovernare la città, come pure a lungo si è cercato di farpassare, e il mondo sotterraneo e bestiale agito da sgherrifanatici e fuori controllo. La violenza operata alla Caser-metta è stata, più semplicemente, violenza di stato.

Ferrero Giovanni Poggiani Particolarmente violento fu l’interrogatorio di EmilioRoncacci al quale assistetti dalla stanza attigua, guar-dando dai fori di proiettile nel muro fatto di mattoniforati. Emilio tenne testa agli inquisitori imprecandoglicontro e ricordando loro come si stesse avvicinando laresa dei conti e come avrebbero pagato care tutte lemalefatte. Più i fascisti infierivano con la violenza, piùquesti rispondeva insultandoli. Quando lo portarononella mia stanza, dov’era il gabinetto, aveva il visopieno di sangue. Gli ficcarono la testa nella tazza perlavarlo con l’acqua dello sciacquone. Le torture nonerano finite. Gli gettarono in faccia la segatura che eraintorno al water e per togliergliela gli strofinarono sulviso lo scopino di saggina. Emilio non demordeva, legambe non lo sorreggevano più. Due fascisti lo teneva-no sotto braccio, con forza. Continuava ad offenderli. Eloro continuavano con le torture; gli spensero sulla fac-cia una sigaretta accesa, ma non ottennero alcunainformazione, come non l’avevano avuta dagli altri.(Da Ferrero Giovanni Poggiani, Memoria di un partigia-no, Firenze, Ed. Polistampa, 2002)

Primo Mugnaini Finalmente si giunse davanti al grande inquisitore, eboia della compagnia, il sig. Chelles Rolando. Egizia-no, figlio di italiani colà residenti, è il vero campionecrudele della tirannide fascista, tanto che al costituirsidel Tribunale Speciale fu scelto quale Cancelliereistruttore, sia per la sua cultura e pratica, sia per la suaben nota crudeltà che lo indicava a ciò particolarmen-te adatto. (…) Da un milite fece applicare l’altoparlan-te a un grammofono funzionante a dischi per copriregli eventuali urli della tortura, ma io non gli diedi nep-pure questa soddisfazione. (…) Così andammo nelsotterraneo dove mi fu dato un badile, e con quellodovetti nel tufo scavarmi la fossa. Fu una piccola buca,sufficiente sì e no a coprirmi, poiché ad un certopunto mi ordinarono di smettere: “per un partigiano èanche troppo”. Mi fu ordinato di camminare fino infondo, mentre imbracciavano ed armavano i fucili, poimi ordinarono di rivoltarmi: “Ai badogliani facciamol’onore di fucilarli nel petto”, e puntarono le armi.Veramente quella volta credetti fosse finita per me,quando un braccio armato di pistola si sollevò ed unavoce gridò l’alt, soggiungendo: “Soffre troppo pococosì, prima voglio farlo patire un po’ di più”. Questomagnanimo signore era quella perfetta carogna delChelles. Ritornammo così nel suo ufficio, e qui comin-ciò il martirio. (…) Giunto il fuoco, prese dal cassettoun lungo timbro metallico ed un tagliacarte a punta,pure di metallo, e li mise ad arroventare nel fuoco.Poi, fattami la solita domanda ed ottenuto sempre lastessa risposta, fui agguantato da quegli sbirri assaibrutalmente e buttato sul banco; poi il Chelles prese iltagliacarte rovente e con forza lo immerse nel piede,sotto la nocca, dove maggiore era il gonfiore prodottodalle precedenti battiture. Io sudai freddo, inebetitodal dolore atrocissimo, mentre per giunta sentii un’al-tra bruciatura sullo stinco e poi non vidi più nulla.Dovette essere certo il timbro rovente che mi impressesulle carni e che mi ha lasciata la sua impronta. (…)Mi trascinarono poi a braccia al tavolo del Chelles ed aforza, mentre uno mi torturava il braccio sinistro conla cinghia dei pantaloni, un altro mi mise la penna frale dita della mano destra che, stretta e guidata da lui,tracciò quattro firme che non sono le mie. (Da Infamia e Gloria in terra di Siena durante il nazi-fascismo, Siena, 1945)

Luigi Carfora Un piccolo portoncino, una rampa di scale ed ecco ticolpiva, come un pugno in piena faccia, l’effige adaltezza naturale di Mussolini, che, braccia conserte,petto in fuori, ti accoglieva con faccia feroce, quasi adammonirti che là non si scherzava. (…) Ma è durante

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la notte che tutto si rianima; il pavimento della nostrastanza ha continui sobbalzi, i colpi di pistola o dimitra si susseguono, negli uffici del comando è uncontinuo andirivieni; gli ordini, le bestemmie deglisgherri e gli urli e i lamenti degli interrogati arrivanofino a noi. (…) La squadra è partita sull’imbrunire;l’abbiamo vista attraverso la robusta sbarra della fine-stra che dà sul cortiletto, gli ordini misti a imprecazio-ni, si sono susseguiti rapidi. Partono per un rastrella-mento. Eccoli! Ormai li conosciamo tutti: il burbanzo-so e mellifluo Rinaldi, i feroci fratelli Fanciulli, l’altez-zoso Almi, i torturatori per eccellenza Kelles (sic) eChini, i rastrellatori accaniti Ticci, Pagliacci, e Giaco-mini, e tutti gli altri degni compari che si preparano, siarmano, anzi si superarmano, perché al solito equi-paggiamento aggiungono i mitra, i mortai, altrebombe a mano, e i petti si ornano di nastri di caricato-ri. (…) Spessissimo il loro ritorno è annunciato concanti a squarciagola da avvinazzati. Sì!Perché, non avendo trovato nessun“ribelle”, è stato logico riposare lestanche membra presso qualche fatto-ria per alleggerirla di prosciutti, didiversi fiaschi di vino e poi fare riforni-mento di olio per la mensa. (Da Infamia e Gloria in terra di Sienadurante il nazi-fascismo, Siena, 1945)

Don Alfredo Braccagni Avevo sentito parlare della Casermetta,luogo di tortura dei patrioti, nido difanatici militi della GNR donde parti-vano per quei cosiddetti rastrellamentiche significavano assassini, rapine eviolenze di ogni sorta. Vi stavano defe-riti, per varie ragioni, uomini e donne,e non tutti uscivano incolumi di lì.Durante il colloquio con Chelles sentiispesso urla, grida e pianti. Era un’atmo-sfera agghiacciante, che faceva pensarealla molta facilità d’entrarvi e alla pocapossibilità di uscirne incolumi(Da A. Braccagni, Tempo d’odio, rispostad’amore, Cantagalli, Siena, 1987)

Vittorio Petroni Io fui arrestato e fui messo in questostanzone, che era uno stanzone grandecon una decina di brande militari.Loro ci tenevano lì per cercare di sco-prire gli agganci che ciascuno di noi,degli arrestati, avevano. Interrogando

ciascun arrestato, perché chi era arrestato qui, chi eraarrestato là: non s’era mica tutti stati presi nello stessoposto. Io ci trovai l’allora maggiore Carfora, LuigiCarfora, fratello di Otello, che era alla battaglia diMonticchiello (…). Un certo Rossi del Vivo lo picchia-vano tutte le settimane. Lo chiamavan su e il Chelles, acazzotti nello stomaco… Ci fece vedere la pancia:aveva una pancia livida, violacea, dai cazzotti cheaveva avuto. Evitavano di far uscire il sangue. (…) C’era un odio profondo contro il fatto che i guffiniavevano aderito, in epoca per loro inaccettabile, allapreparazione: erano stati base – inconscia forse – dipreparazione del Gran Consiglio del fascismo. Ciodiavano in maniera più feroce di quanto non odias-sero i comunisti e i partigiani trovati armati. Noi era-vamo la vera matrice della caduta del fascismo. (Trascrizione da un’intervista del 13/12/2006)

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Claudio Biscarini, Palazzaccio 4 luglio 1944. La memoriascomoda, Siena, Nuova Immagine, 1997, pp. 119, euro 6,00.

Claudio Biscarini, Tra Umbria e Toscana. Alleati e par-tigiani nella parte orientale della provincia senese(giugno-luglio 1944), Siena, Nuova Immagine, 2000,pp. 119, euro 10,00.

Claudio Biscarini, Messaggio speciale: le sigarette sonoarrivate. Partigiani, badogliani e sabotatori nella provinciadi Siena, Pisa, FM Edizioni, 2002, pp. 189, euro 12,00.

Alfredo Merlo, Adriana Chiodi, Avevo diciotto anni e mezzalira di speranza, Siena, Ed. Il Leccio, 2003, pp. 182, euro 7,00.

Vittorio Meoni, La Casa del Popolo di Siena e il “donodella vergogna”, Siena, Nuova Immagine, 2003, pp. 60,euro 7,00.

Sergio Staino, Montemaggio. Una storia partigiana, sup-plemento a “l’Unità”, 2004, pp. 95, euro 3,50.

Piero Calamandrei, 25 aprile 1955. Discorso celebrativodel primo Decennale della Resistenza, Montepulciano,Le Balze, 2004. CD audio + libretto, pp. 22, euro 10,00.

Fabio Dei (a cura di), Riti e simboli del 25 aprile. Immagi-ni della festa della Liberazione a Siena, Roma, Meltemi,2004, pp. 142, euro 15,00.

Francesco Oliveto, Canto della memoria, Orchestra“Prima res audita”, direttore F. Oliveto, soprano FrancescaCappelli, 2004. CD audio, euro 10,00.

Guido Lisi, Le torri, il bosco, il fiume. Storia tra diario ericordi del partigiano G. Lisi, Anpi San Gimignano,2002, pp. 264.

Fabio Masotti (a cura di), Le guerre del XX secolo e le vio-lenze contro i civili, Roma, Aracne 2004, pp. 101, euro 6,00.

Vittorio Meoni, Memoria su Montemaggio, Siena, ANPI,1975, pp. 59, euro 8,00.

Vittorio Meoni, Una vittoria partigiana (Monticchiello 6aprile ’44), Siena, Nuova Immagine, pp. 108, euro 8,00.

Mauro Gianni (a cura di), Storia di un partigiano. Autobio-grafia del comandante partigiano Velio Menchini, nome dibattaglia “Pelo”, Siena, Nuova Immagine, pp. 58, euro 6,00.

Claudio Biscarini, 1944: i francesi e la liberazione diSiena. Storia e immagini delle operazioni militari, Siena,Nuova Immagine, 1991, pp. 157, euro 12,00.

Vittorio Meoni, Messaggi di pietra. Immagini della Resi-stenza senese, fotografie di Marcello Stefanini, Siena,Nuova Immagine, 1992, pp. 108, euro 15,00.

Siena 1944. Guerra e Liberazione, Mostra fotograficaSiena, 3 luglio-16 agosto 1994, Siena, Nuova Immagine,pp. 189, esaurito.

Paolo Paoletti, Claudio Biscarini, Vittorio Meoni, 1943-1944:vicende belliche e Resistenza in terra di Siena, Siena,Nuova Immagine, 1994, pp. 222, euro 12,00.

Alba Valech Capozzi, A. 24029, ristampa anastatica, Siena,Nuova Immagine, 1995, pp. 127, euro 10,00.

Silvia Folchi, Annamaria Frau, La memoria e l’ascolto.Racconti di donne senesi su fascismo, Resistenza eLiberazione, Siena, Nuova Immagine, 1996, pp. 158,euro 12,00.

Claudio Biscarini, Gino Civitelli, Guerra in Val d’Arbia, ArtiGrafiche Ticci, 2004, pp. 142, euro 10,00.

Fabio Masotti (a cura di), Dal fazzoletto rosso alle stel-lette. 1944-1945 l’esperienza dei volontari senesi neiGruppi di Combattimento, Siena, Nuova Immagine,2004, pp. 248, euro 15,00.

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Stanze della Memoria

Istituto Storico della Resistenza Senese

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SienaLa Casermetta di Via Malavolti

26 Gennaio 2007

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