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Avventure nel mondo 2 | 2019 - 35 RACCONTI DI VIAGGIO | India Testo e foto di Livio Rolle Coordinatore viaggio Tigri, Templi, Tribù I Deva avevano perso la loro forza a causa della maledizione del saggio Durväsä Muni e, volen- do riottenerla, chiesero aiuto a Brahma e Shiva. Questi li rimandarono a Vishnu, che disse loro di frullare gli oceani per ottenere l’amrita, l’acqua della vita eterna. Per riuscirci serviva uno sforzo comune con gli acerrimi nemici, gli asura, con cui si sarebbero condivisi i benefici. Gli asura accettarono. Però, quando l’urna contenente l’amrita apparve, scoppiò una lotta che durò per dodici giorni e dodici notti, equivalenti a dodici anni umani. Durante la battaglia Vishnu volò via con l’urna di amrita perdendone alcune gocce che caddero in quattro luoghi della terra: Allaha- bad (Prayag), Haridwar, Ujjain e Nashik. Diven- tati sacri, ospitano a turno ogni tre anni uno dei quattro Khumb mela. Dopo esser stato a Rajim, ho pensato che forse a Vishnu era sfuggita qualche goccia in più. Rajim, cittadina alla confluenza di 3 fiumi, Maha- nadi, Pairi e Sondur, quindi già per questo luogo sacro, si trova a 45 Km dalla più grande Raipur. È sede da secoli di un grande pellegrinaggio annuale, un Kumbh mela, analogo a quelli più famosi di Haridwar e Allahabad. Come in questi, oltre ai fedeli partecipano i sadhu, da qualche anno migliaia. Al contrario di questi la presenza di turisti stranieri è insignificante (noi e pochi altri) e questo consente privilegi rilevanti: ad esempio entrare nell’area della piscina in cui i sadhu si gettano per il bagno rituale prima di loro (mentre ad Allahabad l’accesso non è con- sentito), poter camminare in testa alla marcia marziale per far foto da angolazioni e posizioni favorevoli. Da qualche anno migliaia perché, qui come al- trove, è difficile separare la religione dalla po- litica. avventu.re/3165 MAHA SHIVARATRI A RAJIM La marcia marziale dei Naga Sadhu, nudi

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RACCONTI DI VIAGGIO | Iran RACCONTI DI VIAGGIO | India

Testo e foto di Livio RolleCoordinatore viaggio Tigri, Templi, TribùI Deva avevano perso la loro forza a causa della

maledizione del saggio Durväsä Muni e, volen-do riottenerla, chiesero aiuto a Brahma e Shiva. Questi li rimandarono a Vishnu, che disse loro di frullare gli oceani per ottenere l’amrita, l’acqua della vita eterna. Per riuscirci serviva uno sforzo comune con gli acerrimi nemici, gli asura, con cui si sarebbero condivisi i benefici. Gli asura accettarono. Però, quando l’urna contenente l’amrita apparve, scoppiò una lotta che durò per dodici giorni e dodici notti, equivalenti a dodici anni umani. Durante la battaglia Vishnu volò via con l’urna di amrita perdendone alcune gocce che caddero in quattro luoghi della terra: Allaha-bad (Prayag), Haridwar, Ujjain e Nashik. Diven-tati sacri, ospitano a turno ogni tre anni uno dei quattro Khumb mela. Dopo esser stato a Rajim, ho pensato che forse a Vishnu era sfuggita qualche goccia in più.Rajim, cittadina alla confluenza di 3 fiumi, Maha-nadi, Pairi e Sondur, quindi già per questo luogo sacro, si trova a 45 Km dalla più grande Raipur. È sede da secoli di un grande pellegrinaggio annuale, un Kumbh mela, analogo a quelli più famosi di Haridwar e Allahabad. Come in questi, oltre ai fedeli partecipano i sadhu, da qualche anno migliaia. Al contrario di questi la presenza di turisti stranieri è insignificante (noi e pochi altri) e questo consente privilegi rilevanti: ad esempio entrare nell’area della piscina in cui i sadhu si gettano per il bagno rituale prima di loro (mentre ad Allahabad l’accesso non è con-sentito), poter camminare in testa alla marcia marziale per far foto da angolazioni e posizioni favorevoli. Da qualche anno migliaia perché, qui come al-trove, è difficile separare la religione dalla po-litica.

avventu.re/3165

MAHA SHIVARATRI A RAJIM

La marcia marziale dei Naga Sadhu, nudi

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L’organizzazione dell’evento è curata infatti dal go-verno statale del Chhattisgarh e questo festival re-ligioso ha avuto un grande slancio con la conquista dell’amministrazione da parte del partito Bharatiya Janata Party (BJP) filo hindu 15 anni fa, che voleva dimostrare di promuovere la fede hindu. Ma anche il cambio al vertice, con la vittoria del Congresso nel 2019, non ha comportato, finora, conseguenze sull’estensione e l’importanza del festival. Quest’an-no c’erano più di mille sadhu, e molti di questi erano naga sadhu (i sadhu vestiti solo di cenere). C’è chi dice che siano pagati per esserci (o che almeno la loro presenza sia finanziata). E c’è chi ricorda che un gruppo di naga sadhu all’inizio degli anni ’90, si era alleato all’allora nascente BJP, ed era stato attivo nella demolizione violenta della moschea di Ayodhya, di cui si lamentava l’essere costruita su un precedente tempio hindu che commemorava il luogo di nascita del dio Rama. Con queste premesse, anche politiche, sembrerebbe poco interessante assistere ad una cerimonia, sì con radici antiche, ma apparentemente nuova. Magari anche a rischio di noiosi discorsi delle autorità. In-credible !ndia: abbiamo scoperto invece una fanta-smagoria di colori e situazioni, di calore umano, di tradizioni vive così intense che lo starci un giorno e mezzo vale il viaggio! E il giorno clou, con una spet-tacolare marcia marziale e la partecipazione di una folla di indiani così numerosa da rendere difficile il camminare.Avevo già tentato di assistere ad una festa analoga

nella ben più famosa Allahabad: purtroppo l’anno dopo quello del Maha kumbh mela. Milioni di per-sone (ma non decine di milioni) al bagno rituale. Colorato, ma ripetitivo. Pochi sadhu, tutti vestiti, que-stuanti tra i pellegrini. E che chiedevano soldi per le foto, che poi si spartivano.Cerco di inserire una festa in ogni mio viaggio in India, sono sempre interessanti. Hanno radici profon-de nella religiosità hindu, ancora molto radicata nella popolazione ed intatta anche nei rituali. Nell’a-rea dell’Orissa e del Chhattisgarh in cui si svolge questo viaggio c’erano 2-3 possibilità. Difficile scegliere sulla base delle poche informazioni disponibili in lingue diverse dall’Hindi. Anche le foto reperibili non sono particolarmen-te informative, né stimolanti. Ma almeno qualche naga sadhu vi compariva. In gruppo, non singoli individui. Scoprirò poi sul posto quanto sia difficile riuscire a scat-tare foto significative, e certo non per mancanza d’interesse dei sog-getti! Alla fine la scelta si è dimo-strata vincente. E fortunatamente le date della festa coincidono anche con il periodo giusto per vedere le tigri nei parchi nazionali di Kha-na e Bandhavghar.Le modifiche al viaggio necessarie per assistere alla giornata clou del Maha Shivaratri (che è l’ultima) sono minime: anticipare una mezza giornata di viag-gio per avvicinarsi a Raipur da Jagdalpur, in modo da poter arrivare in tarda mattinata il giorno prima, con una partenza mattiniera. Che per noi è stata nella nebbia, con una leggera pioggerella. Interrompiamo la tirata ad una fabbrica di bidhu (i sigaretti di foglie indiani), dove sgranchia-mo le gambe e facciamo qualche foto interessante. Siamo allo Shiva Ratri poco dopo le 11. Poco dopo spunta uno splendido sole. Poiché l’attrazione prin-cipale dovrebbe essere la marcia marziale dei naga sadhu, la Shobha Yatra, prevista per domani, cerchia-mo informazioni dai sadhu e dalla polizia su percorso e orari. Le risposte sono diverse e sembra che, ap-parentemente, nessuno abbia ancora deciso. Nell’in-certezza, decidiamo di tornare domattina alle 6:30. Così saremo presenti dall’inizio e, nel peggiore dei casi, ci godremo l’atmosfera che appare da subito assolutamente straordinaria per colori e personaggi, a volte nudi e coperti di ceneri, che fanno acrobazie, chiedono soldi per foto e benedizioni, si vestono con velluti stampati a pelle di tigre, vanno in moto con gli occhiali da sole, indossano abiti arancio o rosa. Giriamo tempietti e passeggiamo tra i grandi tendoni dell’accoglienza, per i sadhu, tradizionalmente orga-nizzati in gruppi (gli Akhadas), caratterizzati da tila-ka (il segno sulla fronte) diversi e distintivi. Ciascun akhada si organizza in un tendone. Che sono anche a disposizione degli altri “santi” che partecipano alle cerimonie, illuminati e baba, con i loro adepti. I baba tengono discorsi e cerimonie, e benedicono fedeli e passanti, purché dimostrino rispetto. I naga sadhu

occupano due tendoni contrapposti, aperti verso il centro. La gran parte è sdraiata e sonnecchia, vesti-ti. Alcuni, seduti a gambe incrociate su un tavolino, benedicono con una piuma di pavone i fedeli che lasciano poi una piccola offerta. Un altro si denuda e resta in posa, in piedi su una gamba sola a mo’ di

cicogna, un braccio disteso e l’altro ad angolo a tenere un si-garo grossolano che consuma avidamente. Questi chiedono poi un po’ più insistentemen-te soldi, ma in genere ci sono sorrisi spontanei, e qualcuno si mette anche in posa. Uno su cento chiede un’offerta. Qualche sadhu ci offre del the, o dolcetti. Lo scenario ci consente di fare belle foto, spesso “da fotografi” usando i tendoni, colorati nei colori sacri (bian-co, giallo, arancio, rosso ocra) come sfondi per le persone, spesso senza luce diretta del sole, quindi senza ombre dure, anche nelle ore centrali della giornata. In occasione della festa, che si

svolge in stagione secca, l’area dei fiumi, sponde e letti è attrezzata utilizzando i banchi di sabbia tem-poraneamente emersi. Gli attendamenti sono su di questi. Sono state create strade di terra battuta, una delle quali collega le due sponde, in parallelo al più lontano ponte stradale. L’evento di Rajim è considerato localmente il 5° Khumb, e trova le sue radici storiche nel tradizio-nale Punni mela che si tiene ogni anno al tempio Rajiv Lochan. Questo, dell’8° secolo d.C., è dedicato a Vishnu. Una leggenda racconta che il dio Vishnu chiese all’architetto dell’universo, Vishwakarma, di costruirgli un tempio lontano 10 miglia da terre non contaminate da morti, siti di cremazione, car-casse. Quando questi rispose che non riusciva a tro-varlo, lanciò un fiore di loto sulla terra suggerendo di costruirlo in quel luogo. Un’altra ne fa risalire la fondazione all’apparizione di Vishnu al re Ratnakar, uomo pio che attaccato dai demoni durante le pro-prie preghiere, impetrò l’aiuto del dio. Esternamente ridipinto in bianco, è notevole per i fregi decorativi e le sculture in altorilievo sui pilastri.Oltre alle cerimonie religiose, durante i 15 giorni di durata complessiva dell’evento sono organizzate manifestazioni culturali relativi alle popolazioni, an-che tribali, dello stato, con danze e musiche. Alcuni di noi vengono coinvolti, in qualità di ospiti di pre-stigio, per premiare i migliori danzatori dei Dondona Maria (i cui uomini danzano con acconciature con corna di bufalo). Altri vengono intervistati da una emittente televisiva locale. Altri ancora obbligati a farsi fotografare con politici di peso, uno dei quali (certamente importante perché assistito da un paio di factotum e con scorta) chiede anche i nostri nomi per il suo profilo social… Sembra che la presenza di alcuni stranieri sia dimostrazione della notorietà della festa e quindi conferma della correttezza degli

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sforzi e della spesa per organizzarla… Durante la quale, per tradizione antica, le donne vanno in processione con orci sulla testa a prendere acqua al fiume e la portano al tempio. Nel tardo pomeriggio è con dispiacere che torniamo al bus per rientrare a Raipur, dove ci sono alberghi accettabili che non esistono a Rajim. Ci saranno cerimonie al tempio, con una puja speciale a mez-zanotte, ma la distanza e le strade molto lente (per fare 45 km serve un’ora e mezza la mattina senza traffico…) non ci consentono di fermarci oltre.

Il Maha Shivaratri e i suoi ritualiIl Maha Shivaratri (grande notte di Shiva) è una festa tra le maggiori dell’induismo, con origini molto re-mote. È citata in testi sacri medioevali indiani (Skan-da Purana, Linga Purana and Padma Purana).Nel corso dell’anno ci sono 12 Shivaratri, corrispon-denti al riapparire della luna nuova (il 13°-14° giorno del mese lunare). Ma la più importante è quella che cade in febbraio/marzo (che approssimativamente segna il passaggio tra inverno e primavera, l’equino-zio). In analogia con lo scomparire della luna vecchia ed il sorgere della luna nuova, e l’allungarsi del gior-no rispetto alla notte, la festa segna simbolicamente la vittoria sull’oscurità e l’ignoranza nella vita per-sonale e nel mondo, e la liberazione dalla schiavitù dell’illusione. La Luna, secondo il pensiero hindu, è la divinità che presiede alla mente e che ha con questa un’affinità molto stretta, in quanto entrambe sono soggette a calare e a crescere; il decrescere della Luna è il simbolo del decrescere della mente, dato che la mente va controllata, ridotta ed infine dissolta, uccisa in modo che l’illusione (Maya) venga fatta a pezzi e la Realtà svelata. Tutte le pratiche spirituali sono volte a questo fine.A questa giornata i fedeli si preparano con un bagno mattinale in acqua e semi di sesamo neri. Segue un digiuno dall’alba fino alla mattina succes-siva (o meglio l’astensione da alcuni cibi, quali riso, lenticchie, grano, sale, curcuma, aglio, cipolle). Sono ammessi invece frutta, patate dolci e non, tapioca, miglio, latte, cocco, e il pane non lievitato chiamato puri, di fatto tutto ciò che viene offerto a Shiva (il prasad). Il digiuno è volto a purificare la mente e a disciplinare compiutamente i 5 sensi per raggiunge-re la forma di contemplazione completa. Al dio si fanno offerte di frutti, dolci e foglie di Bilva. Quindi una notte di veglia recitando il mantra Om Na-mah Shivaya, volto ad annullare il sé e a glorificare Shiva, e meditando su onestà, perdono, autocontrol-lo, rispetto per gli altri. Importante per il devoto è il mantenere la schiena eretta tutta la notte, imitando la postura di shiva come Adi Yogi, che consente di percepire il risalire dell’energia interna lunghi i canali attorno alla colonna vertebrale.I rituali includono il segnarsi la fronte con 3 linee orizzontali di cenere sacra ad imitazione di Shiva (che rappresentano rispettivamente: conoscenza spirituale, pulizia e penitenza). È importante l’indos-sare collane di Rudraksha, detti occhi di dio, dalla tradizione che li fa nascere dalle lacrime di Shiva. Questi sono i semi di Elaeocarpus ganitrus, una ti-liacea sempreverde con frutti a bacca tondeggianti e bluastri, simili a un’oliva. I semi, di sfumature diverse

dal beige, al marrone, al nero, hanno una superficie a meandri con un numero variabile di scanalature verticali, e presentano un foro longitudinale naturale. Durante la giornata per i fedeli c’è un susseguirsi di puja, canti, visita di templi, venerazione del lingam (versandogli sopra acqua o latte dopo aver fatto 5 giri attorno ad esso, cui segue l’applicazione di una

pasta vermiglia) e bagno rituale nei fiumi. I bagni rituali avvengono solo in 3 giornate: in oc-casione del Magh Purnima (14 giorni prima del Mahashivaratri), del Janki Jayanti (5 giorni prima) e del Mahashivaratri stesso (l’ultimo giorno del ciclo festivo, che segue l’ultima notte di luna calante). In questa data viene organizzato anche un Shahi Snan (bagno reale) specifico per i sadhu, i baba, le co-munità religiose, ed altri “santi”. A Rajim questa è una piscina rettangolare artificiale, in terra, ricavata nel letto del fiume e recintata. I controlli all’ingresso consentono l’accesso solo ai gruppi religiosi e alle autorità (tra cui ci sono i fotografi locali e i gradi-ti ospiti stranieri, cioè noi). Tradizionalmente i naga sadhu sono i primi ad arrivare e a tuffarsi. I gruppi che seguono si presentano al bagno, in sequenza or-dinata, vestiti in modo omogeneo gruppo per gruppo, in genere di bianco, e con le bandiere della comuni-tà. Alcuni baba sfoggiano tiare bianche.Ma la purificazione è anche associata all’inebriarsi

attraverso il bhang (fatto con fiori e foglie di can-nabis, latte, acqua, spezie, latte di cocco, mandorle, miele e talvolta yogurt).

Il Maha Shivaratri dura da 3 a 15 giorni, anche se il culmine è ovviamente nell’ultimo giorno. Il fulcro è nella notte, ma le manifestazioni pubbliche avvengo-

no il giorno dopo. Il richiamo simbolico della festa e le leggende ad essa associate sono molto varie. Una fa riferimento all’essere la commemorazione del giorno in cui Shiva bevve il veleno Halahala derivante dalla frullatura dell’oceano di latte per purificare il mondo (e lo trattenne nel collo che diventò blu di conseguenza). Il calore delle esalazioni era quasi in-tollerabile anche per lui, quindi, il Gange fu versato ininterrottamente sui suoi riccioli arruffati, da cui il bagnare d’acqua o latte il lingam. Un’altra fa riferimento all’essere la commemorazio-ne della Tandava di Shiva (che avvenne subito dopo), la danza di creazione, conservazione e distruzione. Per questo, in molti templi a lui dedicati, si celebra lo Shivaratri anche attraverso danze.O della vittoria degli dei sui demoni, nella guerra scoppiata dopo la frullatura, che viene ricordata col Kumbh Mela. O della comparsa della colonna di fuoco infinita (il

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primo lingam) con cui Shiva mise fine alla disputa tra Brahma e Vishnu su quale fosse il dio più importante. Si sarebbe dimostrato tale quello che ne avesse rag-giunto i capi e l’avesse misurata. Per farlo, Brahma si trasformò in cigno e volò verso l’alto, Vishnu in cinghiale e scavò verso il basso. Nessuno ci riuscì e riconobbero entrambi la superiorità di Shiva.O ancora da quello del giorno dell’unione con la sposa Parvati, la sua shakti (il principio femminile unito nell’unica figura del dio da cui si separa per venire ricongiunto come sposa mistica). Il matrimo-nio mistico segna simbolicamente il ritrovamento e la ricongiunzione con il vero essere della persona, l’unica fonte di reale beatitudine. Questo in quanto libera dalla sofferenza e dall’ignoranza dentro cui è condannata la vita dell’uomo che non riconosce in se stesso l’essenza divina. Il dio viene molto umaniz-zato quando un’altra tradizione popolare fa risalire l’origine della ricorrenza ad una domanda di Parvati a Shiva su quale fosse il suo giorno preferito: ovvia-mente quello del loro anniversario…Un’altra leggenda racconta di un uomo, devoto di Shiva, a seconda dei testi taglialegna o cacciatore, che al calar della notte nella foresta, non riuscendo a ritrovare la strada, per difendersi dalle fiere di cui udiva i ruggiti si rifugiò tra i rami di un albero di Bil-va. Per restare sveglio (o attirare i cerbiatti), iniziò a staccare foglie e a lasciarle cadere a terra, recitando il nome di Shiva e trascorse così tutta la notte. All’al-ba vide che le foglie avevano coperto (o secondo altre versioni fatto comparire) uno Shiva lingam. Nel caso del cacciatore, Shiva gli compare la mattina e l’uomo diventa vegetariano…Shiva è anche il primo guro, e gli yogi ritengono che in questa notte abbia raggiunto la trascendenza, ol-tre tempo, spazio, e causa/effetto. Celebrazioni importanti si svolgono in tutti maggio-ri templi dedicati a Shiva, ad esempio a Varanasi, Somnath, Mandi, Junagadh, Khajuraho. Nel Bengala occidentale la ricorrenza è particolarmente sentita dalle giovani nubili, che in quest’occasione pregano per trovare un fidanzato, bello come Shiva.

La Shobha Yatra, marcia marziale dei sadhu guerrieriTutta la giornata successiva, quella finale del ciclo festivo, la passiamo al festival. La giornata inizia con le cerimonie preparatorie della marcia dei sadhu, la benedizione col fuoco e il coprirsi il corpo di cenere. La marcia, la Shobha Yatra, dura oltre 4 ore. In te-sta marciano i naga sadhu, che si fermano più volte in vari luoghi per praticare acrobazie, fare piramidi umane reggendosi su sbarre di ferro attorno a cui il sadhu alla base della piramide avvolge il proprio pene, a dimostrazione sia della propria grande pro-dezza e resistenza fisica, sia della rinuncia ai piaceri della carne. In altre occasioni ci sono invece presen-tazioni di lotta con roteare di spadoni e bastoni. I capi partecipano a cavallo, ed è interessante il contrasto tra il cavallo riccamente bardato ed il naga sadhu vestito di sole ceneri (e magari anche di qualche costoso orologio…), ma con ricca tiara sulla testa. La processione attraversa anche le strette strade cittadine, oltre che le sterrate sul letto del fiume, in un lungo percorso circolare che non torna mai sui

suoi passi. A lato marciano poliziotti e volontari, che tengono lontani spettatori e curiosi grazie a barriere, costituite da due lunghe corde tenute in mano che procedono ai bordi della processione seguendone la testa. La zona controllata, infatti, è solo quella inizia-le, delle prime file dei naga sadhu, che procedono nudi (o quasi), la più spettacolare e impressionante. Conviene infatti restare vicino alla testa della mar-

cia, perché i sadhu vestiti o le sadhivi (le donne che “hanno preso i voti”) si limitano a camminare, men-tre i naga sadhu in testa offrono lo spettacolo, sia visivo sia di azioni, più interessante. Siamo dei privilegiati (e fortunati), poiché le au-torità dicono alla polizia di lasciarci passare oltre le barriere. Vista la quantità di gente in marcia, la folla ammassata ai lati, la colonna quasi sempre in

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continuo anche se lento movimento, è difficile fare foto, trovare l’inquadratura, evitare chi si mette in mezzo (di solito i fotografi locali, ma anche il politi-co o l’organizzatore vestiti all’occidentale, oltre che i compagni di viaggio senza teleobiettivo). Occorre scegliersi i posti, sgomitare, spesso inginocchiarsi, quando la marcia si ferma, per scansare il muro di quelli in piedi. In qualche punto si può salire su un luogo sopraelevato a fianco strada da cui fare foto dall’alto, se lo si scorge in tempo, se non è già oc-cupato dagli spettatori, e sperare che proprio in quel punto gli uomini nudi in macia facciano una sosta ed un’esibizione.

I naga sadhu: storia e tradizioniI naga sadhu (sadhu nudi) sono il gruppo più spet-tacolare tra quanti partecipano al Mahashivaratri di Rajpur. Sono ovviamente seguaci di Shiva. Poiché naga significa, oltre che nudo, anche serpen-te o montagna la denominazione ha varie sfumature di significato. In passato si diceva vivessero normal-

mente sull’Himalaya e che scendessero a valle solo in occasione delle festività. Ora è anche famosa una “palestra”, vista l’importanza da loro attribuita alle performance fisico-psichiche, situata in Gujarat. La tradizione è molto antica. Immagini di naga sadhu si ritrovano su sigilli di Mohenjo-daro (dal 3300 a.C.), anche se figure nude, con grandi spirali di capelli e piume, sedute in posizione yoga a gambe incrocia-te, avrebbero potuto all’epoca avere significato ben diverso. Si fa risalire la loro storia al Treta Yug, fondato da Dattatreya, ma il loro ordinamento attuale risale a Adi Shankaracharya, vissuto circa 2500 anni fa. 1500 anni dopo vari gruppi formalizzarono i loro legami in associazioni chiamate Akhara (traducibile a seconda dei casi come battaglione o gruppo di appartenenza). Il più antico ed il più ampio è il Juna Akhara, che rac-coglie oggi circa 250.000 sadhu. Sono tradizional-mente armati di spade, asce, tridenti e mazze, oggi non affilate e di uso sostanzialmente simbolico. Ma il carattere irruento ed aggressivo resta (anche se noi

non ne abbiamo mai avuto dimostrazione).I naga sadhu praticano infatti le arti marziali, e lot-tarono, a volte con successo, contro gli invasori Mo-ghul per salvaguardare templi e tradizioni vediche. Per questo l’appartenenza al gruppo è condizionata a prove e esercitazioni molto dure, pari a quelle di un esercito. Grazie alla durezza delle loro pratiche e allo stato di illuminazione raggiunto, hanno guadagnato il diritto di essere i primi al bagno rituale durante i Khumb mela e sono quindi il gruppo di testa nella marcia (che termina alla piscina per il bagno). Prima del 1800 i monaci dedicati a Shiva e Vishnu avevano grande influenza politica come mercan-ti, banchieri e, soprattutto, guerrieri. Gli abati più potenti speculavano sui terreni e arrivarono, a fine ‘700, a offrirsi alla Compagnia delle Indie come me-diatori per aprire vie commerciali con Tibet e Cina. Il loro trasformarsi in quella che potrebbe essere definita, per analogia, una borghesia locale, deri-vava anche dalla disponibilità di eserciti monastici, sviluppatisi con l’iniziazione sempre più massiccia alla vita monastica anche della 4° casta, quella dei Shudra o servitori, coloro che usano la forza fisica nelle loro occupazioni. Oltre a proteggere templi, vie di pellegrinaggio, interessi commerciali, finirono per essere progressivamente incorporati nelle armate regionali. Lo scontro con le truppe della Compagnia, nel bengala occidentale, durò 40 anni ed è noto come le “ribellione dei fachiri”. Il 21 gennaio 1773 venne emanato dagli inglesi un atto che imponeva ai sadhu di diventare stanziali e di occuparsi solo di affari religiosi, in modo da lasciare il monopolio della forza alla Compagnia.

Il processo per diventare naga sadhu dura più anni, in alcuni casi anche 20 o 30. La fase preliminare è un’analisi dei motivi che portano la persona a vo-ler essere un sadhu. Seguono una serie di livelli da raggiungere, accompagnati dalla trasformazione dell’abbigliamento e dalla rasatura della testa. Gli esercizi per progredire vanno da quelli di resisten-za fisica e mentale come il restare immobili in piedi sotto lo stendardo del gruppo per 24 ore senza cibo, reggendo pesi, a quelli simbolici, come la “battitura” del pene con mantra vedici per annullare la libido.Per essere naga sadhu è necessario, secondo la tra-dizione:• acquisire grande autocontrollo anche sulla sessualità, è una scelta di celibato oltre che di rinuncia ai beni del mondo;• mettersi al servizio del proprio guru, della comunità e del mondo;• praticare per se stessi i tradizionali riti per i defunti, in modo da considerarsi (ed essere considerati) morti sia per la propria famiglia sia per la comunità originaria, dopodiché il guru asse-gna un nuovo nome ed una nuova identità;• rinunciare agli abiti, ma coprirsi il corpo di ceneri sacre (al massimo è ammesso un panno color zafferano che non copra però l’intero corpo);• indossare collane di Rudraksha, o di fiori di margherita, rinunciare ad altri ornamenti, tranne i gioielli in sincrono con i pianeti;• fare un solo pasto al giorno, di cibo mendicato ad un massimo di 7 porte al giorno (se

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non viene offerto nulla dai primi sette, si digiuna);• dormire sulla nuda terra, al massimo stendendovi sopra un panno, ma non un materas-so;• recitare il mantra specifico dato dal pro-prio guru all’iniziazione;• vivere lontano dalla gente comune (per questo si vedono solo ai Khumb mela, dove viene anche formalizzata la loro iniziazione), inchinarsi di fronte ad altri sadhu;• non tagliarsi i capelli;• avere sempre il tilaka (segno che indica l’appartenenza religiosa) sulla fronte. I tilaka sono diversi per ciascun Akhara. Possono indossare o sedersi su pelli di animali, ma solo se morti naturalmente. Oggi che è difficile recu-perarli qualcuno indossa vellutini disegnati a manto di tigre. Consumano marijuana di montagna, particolarmente potente, che dicono li aiuti a mantenere caldi i corpi. La cenere viene usata per ricoprire la pelle (insieme con quella di tronchi di alberi sacri, dopo combustio-ne lenta senza fiamma). Fanno questo sull’esempio di Shiva, il primo asceta. Possono mangiare carne, ma non umana a diffe-renza della setta sadhu degli Aghori, che mangiano quella di cadaveri come rito di iniziazione. Poiché apprezzano l’attenzione degli astanti e dei fedeli, molti si sono definiti un look caratterizzante, o con decine di chili di collane, o con lunghissime trecce avvolte in testa, o con lunghe unghie arriccio-late, o semplicemente con vistosi occhiali da sole, etc. Oppure compiono imprese “sovrumane”, come sollevare 35 Kg col pene o trainarci un’auto; sep-pellire a lungo la testa sotto terra; restare immobile per molto tempo (il record documentato è di oltre 18 ore). Poiché aspetto e gesta dei naga sadhu possono ri-chiamare i fachiri, è utile sottolineare che sadhu (che significa “uomo buono”) è, all’interno della religione hindu, chi rinuncia ai beni materiali per dedicarsi alle pratiche spirituali, solitamente in uno stadio avanza-to della vita, lasciando crescere i capelli e avvolgen-doli a matassa. Un fachiro è invece propriamente un asceta sufi musulmano, che ha fatto voti di povertà per dedicarsi a dio, rinunciando ad ogni relazione e possesso materiale, che spesso vive vicino ad un mausoleo di un sant’uomo. Fini simili, pratiche simi-li, ad esempio nell’acconciatura dei capelli, ma sfera religiosa diversa. Il termine è stato però generaliz-zato anche per figure tipiche della religione hindu, come i sadhu, in epoca Moghul, da qui l’ambiguità che perdura. In tempi recenti anche molte donne diventano naga sadhivi, ma esse non possono girare nude e devono sempre indossare un abito giallo, anche durante i bagni.

La Shobha Yatra, la marcia marziale, percorre poco più di 10 Km, con molte soste. Cominciata verso le 7 di mattina, termina alla piscina poco dopo le 11. Ci fanno entrare con loro, che si fermano su di un lato del rettangolo. Riusciremmo facilmente a posizionar-ci di fronte, ma servirebbe un tele da safari fotogra-

fico, almeno un 600x, per fare foto ragionevoli. Di lato ab-biamo invece un ottimo punto d’osservazione, e possiamo anche distribuirci in modo da non ostacolarci a vicenda. I naga sadhu attendono di essere arrivati tutti prima di tuffarsi. L’evento avviene mol-to velocemente (non tutti si tuffano subito). Si immergono ripetutamente e ritornano in superficie privi del velo di ce-neri che li ricopriva. Quando riemergono provvedono quin-di, spesso aiutandosi vicende-volmente, a ricoprirsi di cenere sul corpo umido, traendola da fagottini di cenci che hanno portato con se dagli attendamenti.I loro capi, uno dei quali era ricoperto di cenere bianca come il cavallo che montava, più compatta e resistente di quella grigia degli altri, gigiona un po’ nel bagnarsi, e benedice un po’ di fortunati che sono riusciti ad entrare nella barriera recintata. Quando tutti si sono bagnati, lentamente e a grup-petti i naga sadhu se ne vanno. Lo spettacolo alla piscina però continua e dura a lungo. Infatti si susseguono altri gruppi, più piccoli, di grup-pi di fedeli, uomini e donne, al seguito dei loro baba, vestiti quasi in divisa ed abbastanza caratterizzati, pur con abiti quasi sempre bianchi. Per quasi tutti è molto bello il contrasto di colore tra gli abiti bianchi (che tengono durante il bagno) e quello delle ban-

diere, ad esempio arancioni, che caratterizzano il gruppo. Si affol-lano sul bordo, sembra quasi che gli ultimi spingano dentro i primi. Il punto di riferimento sono sem-pre i baba, uno viene accompa-gnato al bagno da due donne (mo-glie e figlia?), che lo sostengono poi nell’uscire. Si bagna anche qualcuno in abiti occidentali, ma con fattezze india-ne. Un politico locale in cerca di benedizione religiosa?Quando ci muoviamo dalla pisci-na, verso le 13,30, l’intenzione sarebbe quella di tornare agli attendamenti, per cercare nuove

situazioni emozionanti e curiose come quelle incon-trate ieri. Le occasioni non mancano, ma riuscirci è difficile. La folla di fedeli e curiosi indiani è immensa. Le sterrate larghe sono strapiene e ci si muove molto lentamente. Quando ci fermiamo per uno spuntino siamo accerchiati da gruppi di indiani che ci osser-vano in silenzio, fino a quando i più coraggiosi chie-dono un selfie. Che diventano decine e decine… ci separiamo, ma davanti a ciascun gruppetto di noi si formano lunghe code di persone in attesa del selfie con lo straniero. Non ci sottraiamo (loro si lasciano fotografare e la cosa ci fa felici, dobbiamo ricambia-re), ma ci condiziona nel fare le nostre ai sadhu. In questo pomeriggio riesco a fare un quarto delle foto fatte in quello precedente. Comunque bello. Giornata molto calda, un po’ faticosa, emozionante.

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