Magazine Branch - Gennaio 2016 -

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Magazine Branch pubblicata dal Collegio Nazionale Istruttori bonsai e del suiseki

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“Il vostro tempo èlImItato, quIndI non

sprecatelo vIvendo la vIta dI qualcun altro.

Siate affamati, Siate folli,

perché solocoloro che sono

abbastanza follI da pensare dI poter

cambIare Il mondo lo cambIano davvero”

steve jobs

p h o t o g r a p h e r

S a r a z a m b e l l i

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S o m m a r i o248

122230485460677280

Presentazionea cura di: MARCO COSENZA

Lettera dal Presidente IBSa cura di: LUCA BRAGAZZI

Il Santoa cura di: ULISSE MACCAFERRI - GIORGIO SERRI

Monografia Taxus Baccataa cura di: EMILIO CAPOZZA

Comunicazione Arte Esteticaa cura di: STEFANO FRISONI

Akadama, Kanuma, Kiryuzunaa cura di: SIMONE BARANI

Olmo Campestre Italianoa cura di: DANILO DI BENEDETTO

Olmo Campestre: Seme, Campo, Vasoa cura di: ALFREDO SALACCIONE

Olivastro Lenticchiaa cura di: ANDREA ZAMBELLI

Il Nostro Primo Anno di Corso Avanzatoa cura di: GRUPPO AGNADELLO CREMONA

Lavorare Bonsai in Giapponea cura di: FRANCESCO FORNO

The Key in the Handa cura di: MARCO COSENZA

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Buona

Lettura!

In questo primo numero abbiamo cercato di diversificare gli argomenti per offrire ai lettori una vista a 360° sul mondo bonsai e suiseki.

Apriamo con la lettera del presidente IBS che ci spiega di cosa tratta questa rivista, a chi è rivolta e ci lascia i suoi auguri per il nuovo anno.

Continuiamo tuffandoci nel mondo del suiseki con un breve ricordo di Angelo Attinà, due pagine dedicate a lui e alle sue pietre.

Abbiamo introdotto la sezione sui tassi con una monografia curata dall’istruttore Emilio Capozza per proseguire poi con un articolo sul tasso di Frisoni che trovate anche in copertina.

Segue un articolo di approfondimento curato dal Geologo Simone Barani sulla meccanica dei terrici abitualmente usati nei bonsai, adatto agli amanti della biochimica e a chi vuole avanzare la sua conoscenza nella coltivazione.

Verso la fine troverete una testimonianza portata da Francesco Forno della sua esperienza in Giappone; peculiarità, curiosità e differenze tra il nostro modo di fare bonsai e quello del Paese del Sol Levante.

Infine un approccio culturale sull’arte contemporanea giapponese.

Marco Cosenza

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Michele AdolfoVia Mazzini,1120040 – Cambiago (MI)Tel.: 02953435022Cell.: [email protected]

Massimo BanderaVia Moncenisio, 14510050 –Sant’ Antoninodi Susa (TO)Tel.: 0119275035Cell.: [email protected]

Carmelo BonannoVia Matteotti,2618012 – Vallebona (IM)Cell.: [email protected]

[email protected]

Bonini AdrianoVia Mestre, 7/b33100 – Udine (UD)Tel.: [email protected]

Bragazzi LucaVia Bruno Buozzi, 45/c70123 – Bari (BA)Cell.: [email protected]

Caldiero MatteoVIA XXIV MAGGIO,3304023 – FORMIA (LT)Cell.: [email protected]

Emilio CapozzaVia Godo Vecchia 3248026 RussiCell.: [email protected]

Castagneri GiorgioVia Torino, 3810076 – Nole (TO)Cell.: [email protected]

Cetorelli AldoVia D.Rupe, 1606046 – Campi diNocia (PG)Tel.: [email protected]

Ciovacco EzioStrada Colledi Mezzo 5865125 – Pescara (PE)Cell.: [email protected]

Cipollini CarloVia Verdina, 2555041 – Camaiore (LU)Tel.: [email protected]

Francesco Fornovia Bricherasio 610128 TorinoCell.: 348 52 69 [email protected]

Frisoni StefanoVia Della Pace, 342010 – Arceto (RE)Cell.: [email protected]

Pavone MarioBRISSAGOVALTRAVAGLIA (VA)Cell.: [email protected]

Rossi GianfrancoVia Cervese,n.421547521 – Cesena (FC)Cell.: [email protected]

Salaccione AlfredoViale Suzzani, 220162 – Milano (MI)Cell.: [email protected]

Santini FrancescoVia G. Falcone, 250050 – Cerreto Guidi(FI)Cell.: [email protected]

Saporiti IvoVia Galli, 8721049 – Tradate (VA)Tel.: [email protected]

Settembrini GaetanoVia Portici, 3221047 – Saronno (VA)Tel.: 029603124Cell.: [email protected]

Mirco TedeschiVia Togliatti 542023 CadelboscoSopra (Reggio Emilia)Cell.:[email protected]

Nogherot Robertovia piave 1433170 PordenoneCell.: [email protected]

I s t r u t t o r I B o n s a I

i s t r u t t o r i s u i s e k iPiovanelli EzioV. Garibaldi, 220051 – Limbiate (MI)Tel.: [email protected]

Luciana QuerioloVia Ghiarettolo 9519038 – Sarzana – (SP)Tel.: [email protected]

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Il Collegio Nazionale degli Istruttori del Bonsai e del Suiseki vi da il benvenuto alla lettura di questa nuova realtà didattica. Pensato per tutti i Soci Istruttori e per tutti i neo Soci Sostenitori, questo nuovo organo di diffusione di tutto ciò che riguarda il mondo IBS, vuole essere un importante mezzo di diffusione didattica, dei metodi e delle iniziative dei Soci Istruttori.

L’IBS ha voltato pagina, sta affrontando cambiamenti profondi, attraversando un momento di riammodernamento indicato dalle nuove esigenze e dai nuovi modi di intendere il bonsai e nuovi equilibri interni ed esterni stanno definendo quelle che sono le nuove direttive da seguire per rendere il Collegio Nazionale degli Istruttori sempre più competitivo ed elitario... ma sempre conservando quella che da ormai vent’anni ci contraddistingue, ovvero la serietà e la professionalità nell’insegnamento dell’arte Bonsai e del Suiseki.

Le scelte che ci hanno portato ad attivare questo Magazine sono molteplici, una fra tutte quella di creare una libreria virtuale che arricchirà il bagaglio culturale e tecnico dei nostri soci e, non meno importante, creare una “rivista” moderna al passo con i tempi capace di stupire per il livello tecnico dei contenuti. Il Magazine IBS sarà disponibile ogni 3 mesi, in quattro uscite annue comodamente consultabili tramite pc e sarà spedito via mail a tutti i Soci Istruttori IBS e Soci Sostenitori ai quali verrà anche dedicata loro una sezione contenente loro articoli.

Novità è anche il suo nome “BRANCH”, dall’inglese “ramo”, appunto un ramo dell’IBS che si aggiunge ai già presenti organi di diffusione delle informazioni quali pagina Facebook e sito Internet. Il lavoro che quotidianamente viene svolto per migliorare il ruolo e la figura dell’IBS nel mondo bonsaisitico Nazionale e Internazionale, passa anche da queste iniziative e la convinzione che tutto ciò renda sempre più solido il Collegio IBS si sta radicando profondamente in chi conduce questa importante realtà italiana.

Iniziamo quindi a scoprire Branch con l’augurio che il 2016 sia un anno sereno e più ricco di belle piante. Il mio personale augurio va al Collegio IBS che rappresento e che non sempre mi pone scelte facili, ma convinto dell’importante ruolo che essa ha assunto in vent’anni di attività, che possa raggiungere traguardi sempre più alti e importanti.

Auguri a tutti e buon 2016.

Il Presidente IBS

Luca Bragazzi

lettera dalpresIdente iBS SuiSeki

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SuiSekiSuiSeki

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Un ricordo di Angelo

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Un ricordo di Angelo

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il santoS U I S e K I a r t I S t

giOrgiO Serri

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Primavera, estate, meglio in inverno quando la vegetazione è scarsa.

È in questo periodo che si diffonde il virus della ricerca di pietre adatte ad ottenere suiseki. Anche io come i miei compagni sono soggetto alla malattia. Bisogna partire.

Rotta obbligatoria appennino tosco-ligure-emiliano. Come per tutti i suisekisti il posto è segreto, anche se credo che tutti i soci dell’A.I.A.S. (Associazione Italiana Amatori suiseki) ci siano passati.

Qui scatta l’abilità e l’esperienza di 20 anni di ricerca; conoscenze geologiche, amore per la natura e tanta fortuna.

I tre moschettieri armati di tutto punto hanno il proprio sito. Un’oretta dalla macchina e cominciano piccole stratificazioni di palombino che emergono qua e là. I posti migliori sono i ruscelli secchi o le rive dei fiumi.

È questa pineta il luogo di nascita a nuova vita de “il santo”.

Stavamo razzolando da ore in un bel torrente secco, che in passato ci aveva dato delle soddisfazioni, quando Giorgio con noncuranza, fra tante pietre paesaggio -le sue preferite per guglie e cime- solleva un ammasso di argilla terra e foglie.

“Cosa ne pensi?”

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Domanda di rito tra di noi. Osservando la sagoma subito i miei occhi brillano. Una probabile pietra oggetto di forma antropomorfa si intravedeva nello sporco. Il computer della mia fantasia già correva.

Una sommaria pulizia con spazzola sempre presente nello zaino ed ecco che è nato “il santo”. A casa dopo accurata pulizia le aspettative erano più rosee.

Fondo piatto e siluette divina. Chicca finale, un piccolo animaletto ai piedi.

Facile la base: bisogna sempre stare sul semplice e mai distogliere lo sguardo dalla pietra con una base vistosa.

Comincia in primavera 2015 l’esposizione della pietra con la prima uscita a Gonzaga, Mondo Bonsai, poi Giareda, Coordinamento Emilia Romagna e San Marino, per concludere con la mostra A.I.A.S. ad Aversa.

Successo, pluripremiata. Ora torna nel suo kiribako fino alle prossime esposizioni.

Tutti possono provare a fare suiseki: è facile e fa bene stare sui monti immersi nella natura.

Ulisse Maccaferri – Giorgio Serri

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M o n o g r a f i at a x U S B a C C a t a

B o n S a I a r t I S t

e m i l i Oc a p O z z a

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Vorrei trattare questo argomento, per i più già noto, in modo un po informale, affrontando curiosità correlate a questa pianta e ad una personalissima esperienza nel gestire l’essenza a cui mi sento molto legato.Il tasso è una conifera facente parte della famiglia delle Taxaceae. La sua denominazione latina è Tassus baccata. È endemico dell’Asia sud-occidentale e dell’Africa settentrionale, in particolare di tutte quelle aree caratterizzate da substrato calcareo.Il tasso in natura è un albero sempreverde di seconda grandezza (tra i 10 e i 20 metri d’altezza), con una crescita molto lenta, per questo motivo spesso si presenta sotto forma di piccolo albero o arbusto, tuttavia in condizioni ottimali può raggiungere i 15 – 20 metri di altezza; la chioma ha forma globosa

irregolare. La colorazione del fogliame è di un bel verde scuro, questa contrasta meravigliosamente con il colore della corteccia bruno rossastro e delle pari morte appositamente trattate e sbiancate da liquido jin.Le foglie sono lineari, lunghe al massimo fino a 3 cm, di colore verde molto scuro nella pagina superiore, più chiare inferiormente; sono inserite sui rami in due file opposte.La pianta, non produce frutti, quelli che sembrano i frutti in realtà sono degli arilli, ovvero delle escrescenze carnose che ricoprono il seme. Inizialmente verdi, rossi a maturità, contengono un solo seme, duro e molto velenoso; la polpa invece è innocua e commestibile.Gli uccelli favoriscono la diffusione della pianta: mangiano gli arilli e ne digeriscono la polpa, mentre

Nota: Il tasso è quindi una pianta zoofila (o a riproduzione ornitogama), che si serve degli animali per riprodursi: senza gli animali gli arilli cadrebbero al suolo e non crescerebbero per la mancanza di luce e la concorrenza con la pianta madre per i sali minerali del terreno.

Un seme di tasso può impiegare fino a due anni dalla messa a dimora per germinare, pertanto i propagatori utilizzano principalmente le talee, che comunque richiedono alte concentrazioni di ormone radicale per sviluppare le prime radici.

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i semi veri e propri riescono ad attraversare intatti il processo digestivo e, espulsi, si insediano nel terreno dando origine ad un nuovo esemplare.Il principio attivo responsabile della tossicità di rami, foglie e semi, dove è presente in percentuale variabile fra lo 0,5 e il 2%, è un alcaloide, la tassina. Ha effetto narcotico e paralizzante sull’uomo e su molti animali domestici. Gli organi che ne contengono di più sono le foglie vecchie.Molte di queste sostanze tossiche, alle dosi presenti nella pianta, possono essere usate come principi attivi di prodotti chemioterapici per la lotta ad alcune forme di cancro, in particolar modo la tassina è utilizzata in alcune forme neoplastiche a livello ovarico.

EtimologiaIl nome comune deriva dal greco taxon che significa “freccia”, e l’appellativo di albero della morte nasce proprio dal suo impiego nella fabbricazione di dardi velenosi e dalla sua caratteristica tossicità, oltre al fatto che veniva utilizzato nelle alberature dei cimiteri.

Propagazione e coltivazioneCome abbiamo detto e sappiamo tutti molto bene, cresce molto lentamente e,in ambito flora-vivaistico si propaga per talea. Molto longevo, è spesso difficile stabilirne l’età perché gli anelli di crescita del legno non sono sempre visibili a causa di particolari strutture (chiamate cordoni di risalita) che ne impediscono la corretta datazione, inoltre spesso il centro del tronco diventa cavo con il passare del tempo. Ne esistono esemplari di 1500 – 2000 anni di età.

UtilizzoStoricamente il tasso è il legno per eccellenza nella costruzione di archi.La fama acquisita dal legno di questa pianta è dovuta soprattutto alla larghissima diffusione che ebbe durante il Medioevo nella costruzione di archi da guerra, soprattutto in Inghilterra (il famoso arco lungo era di tasso). Le caratteristiche che lo rendono così adatto alla fabbricazione di archi sono l’enorme resistenza, sia alla compressione che alla trazione, e l’incredibile elasticità.Questa qualità è permette di filare completamente e agevolmente i rami.

EsposizioneQuesta conifera vive bene sia in pieno sole sia all’ombra. Anzi, tollera piuttosto bene la mancanza di luce: può sopravvivere fino a 10 anni (la vita massima di un suo ago) in condizioni di luce davvero penalizzanti, limitandosi ad arrestare la propria crescita. Per avere però un albero in piena forma bisogna garantire per lo meno una mezz’ombra luminosa, io personalmente mantengo le piante in una zona ben soleggiata avendo cura di evitare, nei

Nota: Farmacognosia

Il tasso è una tra le piante più tossiche presenti sul territorio italiano. I principi attivi in esso contenuti sono:

• Tassina -> miscela di alcaloidi cardioattivi, potente azione cardiotossica

• Olio di tasso -> sostanza fortemente irritante

• Altri principi attivi, tra cui: efedrina

Tutte le parti della pianta sono tossiche ad eccezione dell’arillo; il loro grado di tossicità varia a seconda della stagione, del sesso della pianta e dalla sua età. Anche processi denaturanti, quali essiccazione e disidratazione non diminuiscono il suo potere tossico.

Colpisce tutte le specie, compreso l’uomo ma episodi più frequenti riguardano il cavallo, la specie più sensibile.

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periodi di estremo calore, eccessive disidratazioni.Terrenonon necessita di particolari accorgimenti per quanto riguarda il terreno in cui essere posta a dimora, ma preferisce i terreni ben drenati. Da qualche anno tendo a inserire una quantità relativamente alta di pomice in particolare considerazione dell’ambiente umido della provincia in qui abito.

Parassiti e malattieQuesta pianta è molto rustica e ciò ne rende un’essenza particolarmente adatta alla coltivazione come bonsai.

Potatura del tassoLa potatura può essere fatta quando i nuovi germogli giungono a maturazione ovvero assumono la consistenza e la colorazione delle foglie dell’anno precedente, a questo punto si procede accorciandoli fino a ridefinire la forma del palco e nel contempo si elimina la vegetazione cresciuta in posizioni indesiderata.Si alleggeriscono tutte le masse vegetative asportando le foglie degli anni precedenti, permettendo così ai raggi del sole di penetrare in

profondità. Questo consentirà alla pianta di portare a maturazione nuove gemme arretrate indispensabili per mantenere un giusto equilibrio vegetativo del bonsai. Altro metodo da può essere quello di contenere direttamente il vigore dei nuovi germogli alla ripresa vegetativa, questo permette di mantenere una buona quantità di vegetazione ma allunga notevolmente i tempi per l’ispessimento dei rami primari e secondari.

Resezione, costruzione e definizione delle vene linfaticheUna delle peculiarità di questa essenza è quella di ispessire e tubolarizzare le vene linfatiche abbastanza facilmente.Ovviamente la parte più importante è il tempo, quindi non bisogna correre troppo e rispettare i cicli vegetativi del bonsai, in modo da mantenere costante ed elevato il vigore della pianta.Con un po di impegno, anche da esemplari apparentemente molto poveri, è possibile ottenere con il tempo ed i giusti interventi del materiale pregevole, per esempio questo tasso, entrato a far parte della mia collezione in condizioni molto modeste credo, abbia raggiunto un buon livello

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qualitativo.In origine la pianta, probabilmente da poco espiantata in natura, presentava appena 3 rami poco vegetati ed una vena spalmata sul tronco che, nella sua porzione più stretta era poco più di 4 millimetri di dimensione.

Nel 2004 la vena si presentava in questo modo, appena visibile e molto schiacciata sul troncogià nel 2010 si nota un certo ispessimentodopo anni di attente cure e cicli di concimazione specifici ed attenti la vena linfatica assumeva una perfetta tubolarizzazione e raggiungeva una circonferenza di circa 2 centimetri

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ora la pianta si presenta in questo stato

la vena invece si presenta di queste dimensioni e, su essa, ancora oggi vengono fatti interventi al fine di renderla più interessante

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Per ottenere dettagli interessanti su porzioni piatte di vena, pratico delle incisioni, generalmente con lame molto affilate, in punti otticamente rilevanti, facendo attenzione a non interrompere completamente il percorso linfatico. Per esperienza ho notato che, se la pianta si presenta in ottime condizioni di vigore, non vi è un periodo in cui questa operazione non po’ essere fatta, sicuramente nei momenti di massima spinta la reazione di cicatrizzazione risulta più rapida ed evidente.

Altri due esempiqui notiamo un piccola porzione asportata

come si può notare le forme e le dimensioni possono essere le più disparate purché, sempre, si tenga in considerazione il percorso dei vasi linfatici che portano nutrimento ai rami.

in questa zona l’esemplare presentava una vasta porzione di vena molto piatta che contrastava con il resto del bonsai.

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Secco, realizzazione e conservazioneLe porzioni di legna secca sono un capitale da preservare

questo esemplare, proveniente dalla Spagna, presentava una meravigliosa quantità di legna secca molto molto vecchia, quindi delicata e ricca di dettagli incantevoli.Lo scopo principale è stato, da subito, preservare questi preziose dettagli impossibili da riprodurre artificialmente.Per fare ciò provvedo ad effettuare almeno una pulizia annua con una pistola ad acqua ad alta pressione questo straordinario strumento permette di asportare in profondità tutte le impurità che si sono inserite dopo mesi di annaffiature e concimazioni, nelle screpolature del legno, senza danneggiarlo poi tratto con liquido jin e, da qualche tempo ho iniziato a impregnare il legno con un prodotto specifico sintetico, della ditta Veleca, che, sembra per ora, non produca alcun danno alla pianta ed aiuta a prevenire il precoce deterioramento del legno.

L’effetto finito è il seguente

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quando poi il secco non esiste e deve essere prodotto artificialmente, le cose si complicano molto, anche in questo caso il tempo aiuta

tanti anni di interventi più o meno invasivi ed ecco il risultato.

Emilio Capozza

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ComuniCazione arte estetiCa

B o n S a I a r t I S t

S t e f a n O f r i S O n i

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In questo articolo vi parlerò di alcuni argomenti interessanti ma di solito poco approfonditi dalla maggior parte dei bonsaisti: la comunicazione, l’arte e l’estetica. Accennerò in modo semplice e vi farò riflettere su questi argomenti che suscitano grande interesse e molte domande da parte degli studenti che seguo durante i corsi annuali e ai vari work Shop. Tre grandi argomenti che richiedono anni di approfondimento e di pratica e per i quali non basterebbe scrivere un libro intero.

Vi siete mai chiesti perché alcuni lavori vengono considerati belli ed evocativi ed altri brutti e noiosi?

Perché un brano musicale può trasmettere gioia o dolore?

Com’è che tutti trovano bellezza e significato in un’opera d’arte?

Perché l’arte ha tutto questo potere sulla nostra mente?

La risposta è negli elementi che usiamo e come li mettiamo insieme, uno con l’altro in sintonia tra di loro in grado poi di riuscire a comunicare con chi osserva. Nel bonsai abbiamo molti elementi per comunicare con l’utilizzo di linee, forme, colore, spazio, struttura, bilanciamento, armonia, precarietà, tensione. Questo è il vocabolario del linguaggio dell’arte bonsai.

Spesso percepiamo in questi elementi la bellezza o altri significati come il dramma, il dolore, l’enfasi, l’attività o l’inerzia che l’artista vuole esprimere e noi rispondiamo con il tipo di emozione che egli ci suscita.

In poche parole l’artista ci parla e noi rispondiamo

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con interesse ed emozione. Se però l’artista non usa questo tipo di linguaggio o non è in grado di comunicare troveremo il lavoro non interessante e privo di artisticità. La comunicazione richiede comprensione sia da parte dichi parla che di chi ascolta.

Per certi aspetti l’arte dei bonsai non è differente dalla pittura o dall’architettura o dalla musica. L’arte dei bonsai usa i suoi mezzi di comunicazione come il tronco, i rami e le foglie dell’albero. Il vaso, le modalità

di esposizione, gli elementi della superficie del suolo e alcuni elementi di compagnia nell’esposizione, il tutto per raccontare una storia. Nell’arte bonsai, come in ogni altra arte, possono essere utilizzati certi particolari utili per trasmettere una sensazione. Molte composizioni di questi elementi fisici dei bonsai possono comunicare bellezza, o turbamento mentre altre non sono assolutamente capaci di trasmettere nulla. Se saremo in grado di riconoscere queste utili convenzioni di stile e composizione, e di imparare quanto queste possono essere usate per trasmettere

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un significato, faremo crescere le nostre possibilità di creare dei bonsai che abbiano un senso artistico.

Dopo questo breve accenno d’ arte e comunicazione passiamo all’estetica, parte integrante di questi due ultimi argomenti.

Definirei l’estetica come uno dei pochi sensi che un essere umano può avere veramente, l’estetica deriva dal percepire con la capacità di riconoscere la bellezza, in qualsiasi cosa vi si celi, naturale o artificiale che sia, porta inevitabilmente ad esserne affascinati e perciò attratti ed infine condizionati. Il bonsai detentore di bellezza in questo modo acquista valore ed importanza, divenendo così anche degno di rispetto e ammirazione.

Vorrei sottolineare che questi sensi sono esclusivamente per noi umani, quindi noi creiamo un qualcosa che ci porta sensazioni riconoscendo il bello dell’insieme di molti particolari “ artificiosi e non” che sfruttiamo come può essere la rifinitura gli spazi etc.. Un altro albero non potrà mai sapere se è più bello dell’altro perché non ha questi sensi quindi per chi facciamo bonsai? Sicuramente per noi stessi e per farlo ammirare ad altri. La manipolazione dell’uomo sul bonsai non è innaturale fatto sotto certi criteri perché l’uomo è parte integrante della natura, la esalta, la rende bella o la distrugge e la rende orribile. Parole forti queste che vi permetteranno di riflettere…

Abbiamo quindi parlato di estetica in generale, ora andiamo sullo specifico cosa a me molto cara.

Un esercizio utile di estetica che incoraggio a fare spesso ai corsisti, è quello di leggere i vuoti prima dl leggere i pieni. Se qualcuno guardando il vostro bonsai vi dirà che gli sembra di vedere un buco, probabilmente tale spazio vuoto c’è veramente ed è eccessivo per l’armonia della pianta, anche se voi lo avete lasciato apposta. Con ogni probabilità io spazio è sproporzionato perché altrimenti nessuno vi dirà che gli sembra di vedere uno spazio vuoto.

Noi, guardando una pianta dal punto dl vista estetico, troviamo armonia e piacevolezza anche negli spazi vuoti, però questi devono essere giustamente proporzionati e giustamente collocati in punti dove il nostro sguardo possa ballare, sia fluido e spezzi la monotonia del disegno proprio come uno spazio pieno.

Tutto quello che è simmetrico diventa monotono. Gli intervalli uguali e regolari non ci stimolano, non stimolano la nostra fantasia, non ci fanno vedere i vuoti ed i pieni. Costituiscono un ritmo monotono e basta. Nel gioco asimmetrico invece, abbiamo la possibilità di leggere più significato in una immagine, possiamo vedere molte più cose.

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Tutto quello che è asimmetrico ci dà la possibilità di maggiori movimenti e di ritmi diversi.

Tutto questo riguarda anche il pieno e qui entra in gioco la rifinitura. Un bonsai ben rifinito ci da un senso di pulito, elegante, armonioso, portandoci verso l’estetica ovvero il bello che è anche ordine, rispetto, equilibrio e civiltà. Si parte da una buona struttura del ramo fino ad arrivare alla cornice della vegetazione.

Un bonsai può avere successo o fallire sulla base del suo contenuto artistico. I bonsai interessanti sono quelli che ci parlano, quelli che sono capaci di comunicare il messaggio dell’artista, quelli che riescono a toccare qualcosa nel nostro profondo. Se impareremo ad essere più artisti nel nostro lavoro con i bonsai, impareremo a creare dei bonsai più belli e meno noiosi.

Stefano Frisoni

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DI GIANFRANCO ROSSISPAZIOBONSAI

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Akadama, kanuma, kiryuzuna- Svelati i misteri composizionali e radiometrici -

Introduzione.

Il recente tsunami che ha colpito il Giappone (11 marzo 2011), ed in particolar modo la città di Fukuschima con il suo reattore nucleare, ha creato molta preoccupazione su tutto il panorama mondiale relativamente alle importazioni di prodotti dal Paese del Sol Levante.

Un occhio di riguardo è sempre stato rivolto ai terricci ed ai substrati utilizzati nel campo bonsaistico come akadama, kanuma e kiryuzuna che, essendo argille e provenendo dalla provincia di Ibaraki a nord di Tokio e a sud di Fukuschima stessa, possono immagazzinare molto velocemente le radiazioni.

A ciò si aggiunge la totale incertezza relativamente alla composizione delle menzionate argille, che da sempre sono commercializzate in Italia senza che

nessun operatore del settore si sia mai preoccupato di eseguire le analisi chimico-fisiche opportune.

Con questo articolo la Geosism & Nature si è proposta di svelare i misteri composizionali che avvolgono queste tre tipologie di argille scongiurando, inoltre, tutti i dubbi dei consumatori sulla pericolosità radiometrica che esse possono possedere.

Prima di iniziare la trattazione è doverosa una ulteriore piccola premesse scientifica che da geologo non posso omettere: l’analisi volta alla determinazione composizionale delle argille che è stata eseguita è una spettroscopia EDX; si parla quindi una analisi che coinvolge la totalità del campione e che ha lo scopo di determinare quantitativamente gli elementi presenti (va specificato che la determinazione dell’ossigeno (O) viene fatta per differenza rispetto a tutti gli altri). L’analisi è stata eseguita dal Prof.

www.geoSISm.com

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Gianluca Calestani del dipartimento di Chimica dell’Università degli Studi di Parma che ringraziamo vivamente per la disponibilità accordataci.

Esiste la possibilità di eseguire anche una diffrattometria XRD mediante la quale vengono invece determinati le tipologie di minerali argillosi che sono presenti all’interno del campione.

Per quanto riguarda invece il test radiometrico, durante l’ultima importazione di Ottobre 2014, la Geosism & Nature ha commissionato l’esecuzione di una spettrometria di massa sull’intero container alla DP Servizi S.r.l. al momento dello scarico al porto di Genova.

Teniamo a precisare che tutte le informazioni contenute nel presente articolo sono fornite a

scopo informativo dalla Geosism & Nature a tutti i suoi clienti; la ditta vieta la diffusione e l’utilizzo

di questi dati a qualsiasi altra società previo concordato accordo da stipulare direttamente con il titolare. Geosism & Nature si riserva il diritto di agire legalmente nei confronti di chiunque non

rispetti le condizioni descritte pocanzi.

Cos’è la spettrometria di massa

La spettrometria di massa è una tecnica analitica applicata sia all’identificazione di sostanze sconosciute, sia all’analisi in tracce di sostanze. Viene comunemente usata in combinazione con tecniche separative, quali la gascromatografia e la cromatografia in fase liquida (HPLC) o, più recentemente, con tecniche quali il plasma a induzione.

Il principio su cui si basa la spettrometria di massa è la possibilità di separare una miscela di ioni in funzione del loro rapporto massa/carica generalmente tramite campi magnetici statici o oscillanti. Tale miscela è ottenuta ionizzando le molecole del campione, principalmente facendo loro attraversare un fascio di elettroni ad energia nota. Le molecole così ionizzate sono instabili e si frammentano in ioni più leggeri secondo schemi tipici in funzione della loro struttura chimica.

Il diagramma che riporta l’abbondanza di ogni ione in funzione del rapporto massa/carica è il cosiddetto spettro di massa, tipico di ogni composto in quanto direttamente correlato alla sua struttura chimica ed alle condizioni di ionizzazione cui è stato sottoposto.

Cenni sulla radioattività, per eliminare ogni paura infondata…

La radioattività, o decadimento radioattivo, è un insieme di processi fisico-nucleari attraverso i quali alcuni nuclei atomici instabili o radioattivi (radionuclidi) decadono (trasmutano), in un certo lasso di tempo (tempo di decadimento), in nuclei di energia inferiore raggiungendo uno stato di maggiore stabilità con emissione di radiazioni ionizzanti in accordo ai principi di conservazione della massa/energia e della quantità di moto. Il processo continua più o meno velocemente nel tempo fintantoché gli elementi via via prodotti, eventualmente a loro volta radioattivi, non raggiungono una condizione di stabilità attraverso la cosiddetta catena di decadimento.

Spesso associamo la radioattività alle bombe atomiche e alle centrali nucleari, ma sbagliamo. In media, l’80% delle radiazioni che assorbiamo sono di origine naturale (fondo di radioattività naturale1). 1 Per fondo di radioattività naturale si intende la quantità di radiazioni ionizzanti dovute a cause naturali, osservabili e rilevabili ovunque sulla Terra. Il fondo di radioattività naturale è di origine sia terrestre (dovuto a isotopi radioattivi di elementi naturali contenuti nella crosta terrestre), sia

Figura 1 – Fotografia di uno spettrometro di massa portatile che sta eseguendo analisi su terreni in situ.

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In questo conteggio, naturalmente, non sono contemplate le cure mediche (come la radioterapia, che immette nell’organismo dosi molto forti a scopo curativo), mentre è conteggiata la diagnostica medica per immagini (PET, TAC, radiografie): questa rappresenta la quasi totalità (oltre il 95%) della radiazione di origine artificiale che assorbiamo (da: http://www.scientificast.it/2013/11/19/radioattivo-una-banana/).

Le sorgenti di radiazioni in natura sono diverse. Oltre alla radiazione cosmica e a quella terrestre, anche i materiali da costruzione (specialmente cementi pozzolanici, tufi, graniti, basalti, porfidi) con cui sono fabbricate le nostre abitazioni contengono atomi radioattivi, come pure gli alimenti con cui ci nutriamo. Un importante contributo alla radioattività a cui siamo giornalmente esposti viene però dato dal radon, un gas naturale che proviene dal terreno e che si accumula nei piani bassi degli edifici (cfr. Figura 2). Di qui il Radon sale trascinato dalle correnti d’aria contaminando anche i piani superiori dove finisce per essere respirato insieme all’aria.

La quantità di Radon esalata dal sottosuolo varia moltissimo da una zona all’altra e da un edificio all’altro, spesso anche se distanti solo poche decine di metri. Tuttavia, da uno studio condotto negli USA, è stato stimato che il contributo più rilevante alla radioattività assorbita da un individuo adulto, in un anno, è da imputare prevalentemente all’inalazione del gas Radon (40-80% del totale).

Per eliminare dubbi e paure dei più scettici, è stato ormai dimostrato che Roma è più radioattiva di Tokyo.

Rilevazioni effettuate dal team di esperti coordinato dal Dipartimento della Protezione Civile in missione a Tokyo per valutare la situazione. Effettuando delle rilevazioni sul tetto dell’Ambasciata italiana a Tokyo, i tecnici della Protezione Civile italiana hanno infatti individuato un valore di radioattività di fondo pari a 0,04 microsievert/ora, decisamente inferiore rispetto a quello rilevato a Roma (0,25 microsievert/ora) (da: http://www.ilgiornaledellaprotezionecivile.it/?pg=1&idart=3013&idcat=1).

La spiegazione di quanto esposto è proprio nei paragrafi precedenti: la città di Roma sorge su di un substrato costituito da rocce di origine vulcanica. Milioni di anni fa, al posto della città era presente il così detto Vulcano Laziale (Latium Volcano). Esso costituisce oggi la struttura geologica dei Colli Albani, l’attuale paesaggio del territorio dei Castelli Romani. Questo grande vulcano cominciò a formarsi accumulando i prodotti delle sue prime attività su un basamento più antico di sedimenti marini di rocce carbonatiche che formavano un’ampia pianura tra la costa ed i Monti Appennini, è 305 m s.l.m.

Figura 2 – Sorgenti di radiazione in natura suddivise in percentuale sulla totalità assorbita da ogni essere vivente nell’arco di un anno (da: http://www.scienti-ficast.it/2013/11/19/radioattivo-una-banana/).

extraterrestre (i raggi cosmici). La media mondiale della dose equivalente di radioattività assorbita da un essere umano e dovuta al fondo naturale è di 2,4 millisievert (mSv) per anno. Questo valore deve costituire il riferimento per stimare eventuali valutazioni di rischio radioprotezionistico. Tuttavia il livello naturale del fondo naturale di radioattività varia significativamente da luogo a luogo. In Italia ad esempio la dose equivalente media valutata per la popolazione è di 3,3 mSv/anno, ma varia notevolmente da regione a regione. Ci sono aree geografiche dove il fondo naturale è significativamente più alto della media mondiale. Fra queste aree si citano Ramsar in Iran, Guarapari in Brasile, Kerala in India, e Yangjiang in Cina. Ad esempio a Ramsar vi sono sorgenti termali dove la radioattività dell’acqua è di 260 mSv/anno ovvero 0,03 mSv/ora.

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Risultati del controllo radiometrico effettuato con lo spettrometro di massa.

Il controllo radiometrico è stato eseguito su tutto il container; in un primo momento solo esternamente ed in un secondo momento aprendo il contenitore e verificando le diverse tipologie di materiali una ad una.

Con questa strumentazione è possibile riconoscere la radiazione non solo sui substrati (akadama, kanuma, kiryuzuna) o sui concimi organici (biogold, hanagokoro, green king), ma anche sugli oggetti, in particolare sugli oggetti metallici (filo allumino-ramato, attrezzi in acciaio) che essendo metalli hanno una elevata possibilità di assorbire radiazioni.

L’Ing. G.B. Carbone di DP Servizi S.r.l., ha ufficializzato la NON pericolosità della merce producendo un report dal quale si cita testualmente:

“La spettrometria in campo ha mostrato uno spettro compatibile con la sola presenza di

radionuclidi naturali. Non è risultata evidenza di radionuclidi artificiali. Rilevata presenza

all’interno del contenitore di merce varia, in parte a base di materiali (pietra “akadama – kanuma – kiryuzuna”) contenente radionuclidi naturali, non soggetta alle disposizioni del decreto legislativo

100/2011. Il contenitore, nelle condizioni in cui si trova, presenta rischio irrilevante per i lavoratori,

la popolazione e l’ambiente. Le dosi efficaci pregresse risultano irrilevanti per i lavoratori e la

popolazione. Il contenitore può essere movimentato senza rischi da radiazioni al di sopra della non rilevanza radiologica. Il materiale suddetto (da

cui deriva l’anomalia radiometrica), come sopra riferito, non risulta soggetto alle disposizioni del

decreto legislativo 100/2011. Pertanto si esprime parere favorevole alla accettabilità della merce, in riferimento a detto decreto. Il sito è da considerare

senza vincoli radioprotezionistici.”

Per i non esperti del settore, i radionuclidi naturali sono le naturali forme di decadimento radioattivo degli atomi a seguito delle naturali reazioni nucleari (sul Sole avvengono continuamente e le esplosioni sono visibili con i telescopi fin dalla Terra). Tali radionuclidi, subiscono un processo di decadimento radioattivo naturale all’interno del nucleo e dal mantello terrestre e, dopo un determinato periodo di tempo, le radiazioni, fortemente attenuata dallo spessore di roccia della crosta terrestre, arrivano fino sulla superficie del Pianeta grazie a processi di trasferimento del calore mediante conduzione

e convezione. Tali radionuclidi sono contenuti dunque nella totalità delle terre e rocce del globo. Al contrario i radionuclidi artificiali sono creati dall’uomo grazie a processi di fusione nucleare come quelli che avvengono all’interno delle centrali nucleari.

Con il termine anomalia radiometrica, si intende sottolineare la capacità dello strumento di identificare il fondo di radioattività naturale delle rocce e dei terreni. Esso è basso a tal punto da non creare alcun danno per le persone o per le cose. Per intenderci, se l’analisi fosse stata condotta sul container a fianco che conteneva oggetti (quindi nulla che avesse a che vedere con un suolo o con una roccia), la totale assenza di radionuclidi naturali, non avrebbe dato alcun segno e quindi non si sarebbe identificata nessuna anomalia radiometrica.

Data l’unicità dell’analisi, che è stata espressamente eseguita sotto nostra commissione sui materiali importati, la Geosism & Nature può certificare ogni suo prodotto. L’azienda, per evitare plagi che possano compromettere la sicurezza dei consumatori, non è responsabile della falsa

attribuzione di questi certificati a merci da essa non commercializzate. Per chiunque volesse prenderne

direttamente visione, è possibile concordare un appuntamento presso la nostra sede; non è

consentito l’invio di tali documenti tramite posta elettronica.

Cosa sono la spettroscopia EDX e la diffrattometria XRD?

Con il termine spettroscopia EDX (Energy Dispersive X-ray Spectroscopy) si indica una metodica analitica strumentale (lo strumento in questione è il microscopio denominato SEM) che sfrutta l’emissione caratteristica di raggi X generati da un fascio elettronico accelerato di elettroni incidente sul campione (cristallino o anche biologico). La metodica di analisi EDX, non distruttiva e veloce, permette di analizzare campioni solidi stabili a bassa pressione e sotto l’azione del bombardamento elettronico, ed elettricamente conduttivo (eventualmente con strato uniforme di carbonio sulla sua superficie).

Il fascio di elettroni è generato da un filamento di tungsteno; successivamente essi vengono indirizzati sul campione attraverso una serie di elettromagneti, lo colpiscono e interagendo con gli atomi che lo compongono possono fornire segnali con

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caratteristiche diverse che vengono raccolti da dei rivelatori specifici per ogni tipo di segnale.

Fondamentalmente questa tecnica consente di analizzare e riconoscere gli elementi chimici che costituiscono il campione. Quando ci si avvale dell’ausilio del SEM, è possibile abbinare le due tecniche e correlare la caratterizzazione morfologica con quella composizionale:

• analizzando la distribuzione delle fasi chimiche;

• tracciando profili di concentrazione;

• eseguendo analisi chimiche quantitative.

Con il termine diffrattometria XRD (Energy Dispersive X-ray Diffraction) si indica una metodica analitica strumentale che sfrutta l’emissione caratteristica di raggi X generati da un metallo come ad esempio il rame (gli elettroni orientati in un tubo convergono e colpiscono un anticatodo che genera raggi X). I raggi X colpiscono il campione emettendo vari coni di diffrazione con un angolo 2ø caratteristico. I coni di diffrazione vengono suddivisi per tipologie e plottati per ottenere un diffrattogramma dove si possono riconoscere picchi tipici di diffrazione (relativi all’angolo 2ø) che corrispondono a ben precise specie mineralogiche.

Figura 3 – Schema semplificativo del principio di funzionamento di una spettroscopia EDX (da: http://www.mineraldata.org/mineral/generalita/metodi).

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I costi di entrambe le tecniche, inutile dirlo, sono decisamente elevati, ma per lo scopo che la Geosism & Nature si è prefissata è stato fondamentale eseguire una spettroscopia EDX al fine di risalire ad una composizione chimica percentuale degli elementi presenti all’interno dei substrati denominati akadama, kanuma e kiryuzuna.

Scelta dei campioni

La sperimentazione parte innanzi tutto dalla selezione di campioni che abbiano una buona validità statistica; si deve sempre dubitare di analisi effettuate su un solo campione prelevato in mezzo ad una popolazione1 molto numerosa.

Si è quindi provveduto ad aprire 10 sacchi di ciascuna argilla (akadama, kanuma, kiryuzuna) prelevando 50 gr di prodotto per sacco (10 pre-campioni). I 10 pre-campioni sono stati uniti e mescolati per formare i 3 campioni definitivi da 500 gr ciascuno che sono elencati di seguito.

Una piccola nota: siccome la kiryuzuna, in prima approssimazione visiva, è sembrata composta da 2 macrofamiglie di clasti argillosi (chiari e scuri tra cui

1 Per popolazione si intende l’insieme degli elementi che sono oggetto di studio, ovvero l’insieme delle unità (dette unità statistiche) sulle quali viene effettuata la rilevazione delle modalità con le quali il fenomeno studiato si presenta.

si nota una netta abbondanza dei chiari rispetto agli scuri), è stata suddivisa in due campioni diversi in modo tale da poter eseguire 2 diverse analisi EDX sia sui granuli chiari che su quelli scuri.

I 4 campioni così composti sono stati schematizzati e nominati come segue:

• Argilla 1 2 – Akadama con granulometria 2/5 mm, importata dalla Geosism & Nature (cfr. Figura 5 e Figura 6);

Figura 4 – Schema semplificativo del principio di funzionamento di una diffrattometria XRD (da: http://www.mineraldata.org/mineral/generalita/metodi).

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• Argilla 2 2 (granuli scuri) e Argilla 2 3 (granuli chiari) – Kiryuzuna con granulometria 2/5 mm, importata direttamente dalla Geosism & Nature (cfr. Figura 7 e Figura 8);

• Argilla 3 1 – Kanuma con granulometria 2/5 mm, importata dalla Geosism & Nature (cfr. Figura 9 e Figura 10).

Come leggere una analisi allo spettroscopio EDX.

I risultati delle analisi sono elencati nelle pagine sottostanti. Ogni foglio è relativo ad una tipologia di substrato (argilla) e presenta una tabella riassuntiva degli elementi misurati con le percentuali ed il relativo grafico che mostra sulle ordinate (asse delle Y) l’intensità della radiazione emessa (quando il campione di argilla è colpito dai raggi X vengono emessi tipici picchi caratteristici degli elementi contenuti dall’argilla stessa) mentre sulle ascisse (asse delle X) l’energia misurata in chilo elettronvolt (keV). Di fatto, l’intensità equivale a dire quale sia la percentuale di quel dato elemento nell’intero campione. Ogni elemento può avere anche più di un picco, questo dipende dal fatto che lo stesso elemento può avere diverse energie di emissione (es: Kα, Kβ, ecc…). Nel grafico al di sopra di ogni picco viene riportata la sigla dell’elemento corrispondente.

Nella tabella si possono ritrovare varie colonne che possono essere così descritte e semplificate:

• prima colonna (Element) a sinistra riporta l’elemento (in inglese);

• seconda colonna (Series) riporta la linea di emissione dei raggi X (in questo caso la K-series);

• terza colonna (unn. C) riporta la percentuale in peso dell’elemento (importante notare che la somma delle percentuali non risulta mai essere uguale al 100%, questo perché ogni misura è soggetta ad un errore intrinseco come in tutti i metodi scientifici con valenza statistica);

• quarta colonna (norm. C) riporta la percentuale normalizzata dell’elemento (in questo caso il totale fa sempre 100% perché normalizzare significa prendere tutte le misure e riportarle proporzionalmente in funzione del loro peso nell’analisi al totale del 100%);

• quinta colonna (Atom. C) riporta la percentuale di atomi (che serve per determinare una pseudoformula del campione);

• sesta colonna (3 Sigma) è la deviazione standard sul peso, ossia l’errore che grava sull’analisi del singolo elemento (es: nel grafico argilla 1 2, il primo elemento, il ferro (Fe) (Iron) è stato rilevato in una

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percentuale pari al 7,98% ± 0,73% che è il relativo errore; ciò significa che il ferro varia da una percentuale compresa tra il 7,25% e l’8,71%). È interessante notare come l’errore sull’ossigeno sia sempre rilevante, questo non perché il metodo non sia preciso, ma perché l’ossigeno è molto abbondante e come specificato in precedenza viene rilevato per differenza rispetto agli altri.

Risultati delle analisi allo spettroscopio EDX.

Prima di iniziare con il commento dei risultati delle analisi allo spettroscopio EDX, sono doverose alcune precisazioni di natura geologica. Le argille sono rocce sedimentarie che si formano dalla disgregazione di altre rocce che possono essere di qualsiasi tipologia genetica1 e possono avere le più svariate composizioni chimiche. L’akadama, la kanuma e la kiryuzuna sono argille che si sono formate dalla disgregazione di rocce di origine vulcanica in quanto la quasi totalità dello territorio giapponese è costituito da rocce che hanno avuto tale genesi. È quindi importante sottolineare che, con il termine argilla, non si sta fornendo una descrizione chimica o composizionale della roccia, ma solo una descrizione granulometrica: le argille (o argilliti) sono rocce litificate2 costituite da sedimenti con una dimensione dei granuli inferiore agli 0,039 mm (cfr. Figura 11) (allo stesso modo le sabbie litificate formano le arenarie e le ghiaie litificate formano le

1 Per tipologia genetica si intende il processo geologico responsabile della formazione di una roccia.2 Per litificazione si intende quel processo geologico che porta un sedimento sciolto a diventare una roccia sedimentaria (dura).

ruditi (cfr. Figura 12)).Il processo che porta alla disgregazione di una roccia si chiama alterazione; essa porta alla formazione di un sedimento privo di sostanza organica (quindi tendenzialmente inospitale per la vita dei vegetali). Una roccia che subisce un processo di alterazione

Figura 11 – Scala granulometrica: descrizione granu-lometrica dei sedimenti sciolti.

Figura 12 – Scala granulometrica: descrizione granu-lometrica dei sedimenti sciolti (ghiaia, sabbia, fan-go) e delle rocce (litificate) da essi generate (rudi-te, arenite, lutite (suddivisibile in siltite e argillite)) (da: http://www.vialattea.net/esperti/php/risposta.php?num=9829).

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combinato ad un processo di pedogenesi1 diventa un suolo.Questa premessa, per motivare il primo aspetto che è subito balzato all’occhio guardando l’analisi EDX, ossia la grande presenta di Titanio (Ti), addirittura in quantitativi superiori al Manganese (Mn)! Questo aspetto è assolutamente strano ed insolito per un’argilla in quanto i minerali argillosi che si formano per alterazione chimica di una roccia sono generalmente ossidi ed idrossidi di alluminio (Al) e di ferro (Fe); solo più raramente si formano ossidi di titanio (Ti) e manganese (Mn) (quest’ultimo sotto forma di pellicole nerastre nei macropori). I minerali argillosi sono sostanzialmente dei silicati idrati di ferro (Fe), alluminio (Al) o magnesio (Mg), organizzati con varie combinazioni reticolari a strati. Questi strati (detti anche foglietti) possono essere costituiti da tetraedri aventi 4 atomi di ossigeno (O) ai vertici e al centro un atomo di silicio (Si) oppure da ottaedri, costituiti da un atomo di Al, Mg o Fe circondato da 6 atomi di O o da 6 gruppi OH.

Tutte e 4 le argille analizzate presentano un importante quantitativo di titanio, oltre la media, in modo particolare l’akadama (Argilla 1 2 nell’analisi EDX): 0,62% (anche se tale percentuale può sembrare relativamente ininfluente, è importante rilevarne la presenza per la rarità dell’evento). Sempre questa argilla presenta un grande quantitativo di alluminio (13,91%) oltre che di silicio (15,40%) e di ferro (7,68%); essi possono permettere di classificarla come un allumosilicato di ferro (con discreta presenza di potassio e magnesio) (cfr. Figura 13).

Altra peculiarità è la presenta del tallio (Tl) solo nelle due analisi della kiryuzuna (kiryuzuna scura: Argilla 2 2 e kiryuzuna chiara: Argilla 2 3 nell’analisi EDX) e della kanuma (Argilla 3 1 nell’analisi EDX).

La kiryuzuna scura (Argilla 2 2 nell’analisi EDX) presenta un buon quantitativo di alluminio (7,18%) oltre che di silicio (24,70%) ed in minor quantità di ferro (2,25%): essi possono comunque permettere di classificarla come un allumosilicato di ferro (cfr. Figura 14).

1 Per pedogenesi si intende quell’insieme di processi fisici (gelo-disgelo, alterazione salina) chimici (ossidazione/riduzione degli elementi, solubilizzazione grazie all’acqua, idratazione/disidratazione di molecole, idrolisi, chelazione causata da alcuni tipi di composti organici) e biologici (azione delle radici delle piante, azione dei micro e macrorganismi) che portano alla formazione di un suolo con sostanza organica.

Al contrario la kiryuzuna chiara (Argilla 2 3 nell’analisi EDX) presenta un buon quantitativo di alluminio (14,52% - paragonabile all’akadama) oltre che di silicio (16,84%), di calcio (Ca) (8,47%) e sodio (Na) (1,52), il ferro è quasi assente (0,83%) così come il manganese (0,01%): essi possono permettere di classificarla come un allumosilicato di calcio e sodio (cfr. Figura 15).

Venendo infine alla kanuma (Argilla 3 1 nell’analisi EDX) esattamente come la kiryuzuna scura presenta un buon quantitativo di alluminio (16,14%) oltre che di silicio (14,74%) ed in minor quantità di ferro (2,03%): essi possono comunque permettere di classificarla come un allumosilicato di ferro (cfr. Figura 16).

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39Figura 13 – Analisi EDX dell’ Argilla 1 2 – Akadama con granulometria 2/5 mm, importata dalla Geosism & Nature (cfr. Figura 5 e Figura 6).

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40Figura 14 – Analisi EDX dell’Argilla 2 2 (granuli scuri – nettamente subordinati rispetto ai chiari dell’analisi successiva) – Kiryuzuna con granulometria 2/5 mm, importata direttamente dalla Geosism & Nature (cfr. Figura 7 e Figura 8).

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41Figura 15 – Analisi EDX dell’Argilla 2 3 (granuli chiari – nettamente preponderanti rispetto agli scuri dell’a-nalisi precedente) – Kiryuzuna con granulometria 2/5 mm, importata direttamente dalla Geosism & Nature (cfr. Figura 7 e Figura 8).

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Figura 16 – Analisi EDX dell’Argilla 3 1 – Kanuma con granulometria 2/5 mm, importata dalla Geosism & Nature (cfr. Figura 9 e Figura 10).

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I grafici che seguono sono la sovrapposizione di quelli precedenti e servono per poter comparare le argille analizzate agli EDX. Per una migliore lettura dei grafici stessi si è scelto di sovrapporre solo i campioni di Argilla 1 2 (akadama), Argilla 2 2 (kiryuzuna scura) e Argilla 3 1 (kanuma) che sono quelli maggiormente assimilabili dal punto di vista degli elementi ritrovati.

Il primo dei due grafici (cfr. Figura 17) enfatizza la presenza degli elementi grazie alla compressione dell’asse delle ascisse (Y) al fine di mettere in evidenza anche gli elementi in traccia, mentre il secondo grazie all’ampliamento dell’asse delle scisse enfatizza i picchi dei singoli elementi al fine di mettere in evidenza quali di essi siano maggiormente presenti.

Figura 17 – Sovrapposizione delle analisi dell’Argilla 1 2 (akadama), dell’Argilla 2 2 (kiryuzuna scusa) e dell’Argilla 3 1 (kanuma) con asse delle ascisse compresso: enfatizzazione della varietà degli elementi rilevati.

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Figura 18 – Sovrapposizione delle analisi dell’Argilla 1 2 (akadama), dell’Argilla 2 2 (kiryuzuna scusa) e dell’Ar-gilla 3 1 (kanuma) con asse delle ascisse ampliato: enfatizzazione della presenza degli elementi maggior-mente presenti.

Il pH nei suoli

La reazione del terreno è determinata dal rapporto quantitativo fra ioni idrogeno e ioni ossidrile nella soluzione circolante, che a sua volta è il risultato di una dinamica complessa in cui concorrono i composti chimici disciolti nell’acqua che arriva al terreno, i materiali che vengono incorporati nel terreno, l’attività biologica delle piante e dei microrganismi e, infine, i fenomeni fisico-chimici che si sviluppano nell’interfaccia di separazione tra frazione solida e soluzione circolante. A causa di questa complessa dinamica la determinazione del pH del terreno può dare risultati estremamente diversi secondo la procedura adottata.

La reazione del terreno condiziona in modo particolare la solubilità e, quindi, la disponibilità degli elementi nutritivi in forma direttamente assimilabile per le piante. Valori anomali del pH provocano infatti fenomeni di precipitazione chimica che si riflettono sulla nutrizione minerale con fenomeni di carenza. Il pH inoltre influenza l’attività biologica di alcuni gruppi funzionali di microrganismi che intervengono direttamente nei cicli biogeochimici di alcuni elementi (in particolare azoto e zolfo). Infine, il pH ha riflessi più o meno rilevanti sulla struttura del terreno, influenzando i fattori che determinano lo stato di flocculazione dei colloidi.

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Le piante manifestano differenti adattamenti alla reazione del terreno e in condizioni naturali si sviluppano associazioni vegetali spontanee che sono indice di una reazione più o meno anomala. Le piante d’interesse agrario trovano le migliori condizioni pedologiche nei terreni neutri e in quelli moderatamente tendenti verso l’acidità o verso l’alcalinità. Diverse colture si adattano comunque a pH decisamente anomali.

L’acidità del terreno è dovuta ad una carenza di basi (sodio, potassio, calcio, magnesio) che si traduce in un eccesso di ioni H+ nella soluzione circolante e nel complesso di scambio. L’acidità si traduce soprattutto in una limitata dotazione di alcuni elementi nutritivi (in particolare le basi di scambio) e in una ridotta disponibilità di altri nella forma assimilabile a causa di fenomeni di precipitazione chimica.

L’alcalinità moderata, detta anche alcalinità costituzionale è dovuta ad una marcata presenza di carbonati di calcio e magnesio. I terreni che manifestano questa alcalinità sono detti comunemente calcarei. L’alcalinità costituzionale si traduce principalmente nella ridotta disponibilità di vari elementi nutritivi, in particolare i microelementi, a causa di fenomeni di precipitazione.

L’alcalinità elevata, detta anche alcalinità di assorbimento si verifica a pH>8,5 ed è dovuta alla cospicua presenza di carbonato di sodio (Na2CO3) e bicarbonato di sodio (NaHCO3) nella soluzione circolante e ad un elevato tenore in sodio adsorbito dai colloidi. L’alcalinità di assorbimento ha molteplici riflessi sia sulle proprietà chimiche sia sulle proprietà fisiche del terreno e di portata tale da pregiudicarne, in genere, l’utilizzo per scopi agricoli.

Conclusioni

La kiryuzuna che propone la Geosism & Nature, che ricordo essere l’unione dell’analisi dell’Argilla 2 2 e dell’Argilla 2 3, è quindi composta dal mix di due tipologie di argille diverse (allumosilicato di ferro ed allumosilicato di calcio e sodio) che conferiscono a questo substrato la peculiarità di possedere ferro (che acidifica il pH), calcio e sodio oltre che tutti gli altri microelementi. La presenza di piccoli quantitativi di ferro (dovuti al fatto che il ferro è contenuto solo nei granuli scuri della kiryuzuna (Argilla 2 2) che sono nettamente subordinati rispetto a quelli chiari (Argilla 2 3) e di calcio e sodio (che basificano il pH) fa si che il pH residuo dell’argilla sia basico.

La kanuma che propone la Geosism & Nature (allumosilicato di ferro), essendo povera di sodio, potassio e calcio, ma ricca di ferro assume un pH acido.

L’akadama che propone la Geosism & Nature (allumosilicato di ferro (con discreta presenza di potassio e magnesio)), risulta essere una via di mezzo tra la kanuma (acida) e la kiryuzuna (basica) pertanto assume un pH leggermente acido.

Tutte le argille descritte (akadama, kanuma e kiryuzuna), essendo degli allumosilicati ed essendo rocce giapponesi di origine vulcanica possono con buona probabilità essere derivate da un processo di andosolizzazione (dal giapponese an do che significa suolo scuro). Si tratta un processo che può essere considerato molto simile alla podzolizzazione1 e interessa substrati vulcanici in ambienti tendenzialmente caldi e abbastanza umidi. L’idrolisi dei materiali vetrosi vulcanici provoca la liberazione nel terreno di alluminio amorfo sotto forma di ossido (Al2O3), che con le sue numerose cariche positive libere blocca molto saldamente tutti i composti con gruppi negativi liberi (composti umici, fosfati), con l’effetto di stabilizzarli non appena si producono. Questi composti sono insolubili in acqua, ragione per cui nei suoli vulcanici non si hanno migrazioni interne ma solo modifiche in posto.

I suoli che si formano in aree vulcaniche sono molto fertili, in tutto il mondo l’uomo li ha sempre ricercati per impiantare coltivazioni delle più svariate specie arboree. Il vetro vulcanico che contiene alluminio (soprattutto in coordinazione tetraedrica) tende a passare in coordinazione ottaedrica che è la coordinazione ottimale per l’alluminio. L’alluminio che si libera va a bloccare tutti quei complessi che hanno una carica negativa; anche i complessi che provengono dalla sostanza organica. Per cui legandosi a tutti i radicali organici, bloccano la decomposizione di tale sostanza organica intimamente legata alla fase minerale che rimane

1 Per podzolizzazione si intende un composito processo pedogenetico caratteristico delle foreste di conifere: la spessa lettiera di aghi genera abbondanti composti organici debolmente acidi, che attaccano, alterandoli rapidamente, i minerali primari, che vengono complessati a formare dei composti organo-metallici amorfi. Questi, per mezzo dell’acqua circolante nel profilo, migrano verso zone più profonde (originando un orizzonte eluviale decolorato) dove precipitano, depositandosi in un orizzonte illuviale.

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Figura 19 – Dimostrazione della capacità drenante di substrato granulare (come akadama, kanuma e kiryu-zuna).

disponibile per le piante; questo è il motivo per il quale i suoli di origine vulcanica sono molto fertili.

Questa lunga trattazione ha dunque spiegato il motivo per cui l’akadama, la kanuma e la kiryuzuna risultano essere i migliori substrati per la coltivazione di bonsai. I bonsai sono “piante in miniatura” che dimorano in vasi molto piccoli rispetto alle condizioni naturali in cui vive la pianta e rispetto alle reali esigenze che essa avrebbe in natura. Questa tecnica di coltivazione necessita quindi di substrati che riescano ad accumulare il più possibile sostanza organica, la base della vita vegetale (senza che essa venga decomposta), prontamente disponibile per le piante.

Infine, la granulometria calibrata (2/5 o 5/10 mm) fa si che il terreno non compatti nei primi 2 anni a seguito del trapianto. Questo aspetto, permette una ottima circolazione dell’acqua all’interno del “pane radicale” evitando qualsiasi forma di ristagno che potrebbe causare marciumi.

L’acqua adsorbita2 che può essere presente nel substrato è di vitale importanza per essenze che, non avendo sufficiente suolo a disposizione per accumularla, devono per forza ricevere quotidiane annaffiature.

Gli spazi vuoti con la conseguente areazione del terreno permettono all’apparato radicale delle piante di svilupparsi liberamente ed impediscono ristagni pericolosi che potrebbero causare marciume radicale.

2 Per adsorbimento si intende un fenomeno chimico-fisico che consiste nell’accumulo di una o più sostanze fluide (liquide o gassose) sulla superficie di solido o liquido. Nel fenomeno dell’adsorbimento le specie chimiche (molecole, atomi o ioni) instaurano tra loro un’interazione di tipo chimico-fisico (attraverso forze di Van der Waals o legami chimici intramolecolari) sulla superficie di separazione tra due diverse fasi (tale superficie è detta “interfase”).

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Sitografia.

https://it.wikipedia.org/wiki/Pagina_principale

http://www.ilgiornaledellaprotezionecivile.it/?pg=1&idart=3013&idcat=1

http://www.mineraldata.org/mineral/generalita/metodi

http://www.scientificast.it/2013/11/19/radioattivo-una-banana/

http://www.vialattea.net/esperti/php/risposta.php?num=9829

Dott. Geol. Simone Barani

www.geoSISm.com

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o l m oc a m p e s t r eI ta l I a n o

B o n S a I a r t I S t

DanilO Di beneDettO

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Entro in possesso di questo bellissimo esemplare di Olmo Campestre

nella primavera del 2012.

La prima volta che lo vidi ne rimasi subito folgorato.

La sua particolarità: il tronco scavato dagli anni(e dai roditori) che parte da una unica base, per poi separarsi in due ,ed infine rifondersi in un unico elemento, fanno di questa pianta un’esemplare unico.

Dopo aver convinto il mio amico ed istruttore Stefano Frisoni a cedermelo, dopo più di una insistenza, riesco finalmente ad averlo in collezione.

L’olmo in questione proviene da una coltivazione da campo, per poi, dopo diversi anni essere spostato in vaso.

Nella foto 1 eccolo nel 1996.

Nel 2010 all’arrivo in laboratorio(foto 2) la pianta viene sottoposta ad un accurata pulizia. Dapprima con l’utilizzo di un microsaldatore si a va passare la

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fiamma velocemente sul muschio presente alla base del colletto della pianta, così evitando un inutile sfregamento di attrezzi metallici sulla corteccia, con l’ausilio di una semplice pinzetta andremo a prelevarne il muschio stesso.(foto 3 e 4)

Successivamente con l’aiuto di un semplice pennello e di aceto di vino si procede ad andare a rimuovere il tipico verde che colora gran parte della corteccia. Una volta cosparsa la corteccia di aceto seguito da un’abbondante risciacquo, il risultato è garantito.(foto 5)

Le operazioni successive saranno la potatura ed il rinvaso, fase in cui si da alla pianta una nuova inclinazione in vaso, e viene applicato un tirante per abbassare il primo ramo.(foto 6)

Nel 2013 in previsione del nuovo rinvaso decido di commissionare al noto vasaio John Pitt un vaso su misura su mie indicazioni, per conferire alla pianta maggior armonia ed eleganza d’insieme. Il colore chiaro accentua le morbidezze e le curve della pianta.(foto 7)

Sempre nel 2013 l’Olmo viene presentato al congresso UBI tenutosi a Vieste entrando a far parte del catalogo Migliori Bonsai e Suiseki.

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Nello stesso anno si classifica al terzo posto alla Shooman Bonsai-Ten, al secondo posto alla mostra del Coordinamento Emilia Romagna -San Marino ed infine si classifica al primo posto nella versione invernale senza foglie, alla Bonsai Competition 4.

Foto 8 e 9 nelle versioni primaverile ed invernale.

Per quanto riguarda la coltivazione solitamente in primavera utilizzo concimi organici con una più alta titolazione di azoto, rispetto a quelle di fosforo e potassio, per garantire alla pianta una buona crescita ed un buon sviluppo, inoltre integro con fitostimolante ed acidi umici con regolarità. Mentre il fitostimolante serve da antistress per la pianta, più importante è l ‘azione degli acidi umici, che oltre a migliorare la struttura del terreno e migliorarne le capacità idriche, favorisce lo sviluppo dell’apparato radicale e dei germogli.

In giugno e in autunno invece utilizzo concimi con più alto titolo di fosforo e potassio per favorire la lignificazione in giugno, e per immagazzinare energie fresche per superare l’inverno in autunno.

Avendo la pianta sempre risposto con estremo vigore ho applicato ad anni alterni la tecnica della defogliazione per ottenere sempre più ramificazioni secondarie e fini e mantenere e stimolare le gemme più arretrate. Questa operazione viene svolta generalmente verso la fine di maggio, occasione in cui si provvederà anche alla potatura delle nuove crescite e la regolazione dei profili

Il lavoro da fare è ancora tanto per arrivare alla maturità tipica di questa essenza, migliorarne gli spessori e la ramificazione sono i primi obbiettivi che mi pongo oltre alla salute, e spero di godere della sua compagnia ancora per tanto tempo, finchè non lo potrò ammirare nel suo massimo splendore.

Nel 2015 sempre in occasione del rinvaso viene sostituito il vaso, sempre con un John Pitt, questa volta di forma ovale e leggermente più piccolo.

A quattro anni dal suo arrivo in collezione mi sento totalmente innamorato del mio Olmo a tal punto che mai me ne potrei privare, ormai la gioia e la soddisfazione nel potermene prendere cura ha prevalso su tutto il resto.

Ad ogni modo sono contento dell’evoluzione di questi anni e dei risultati raggiunti, sperando di raggiungerne tanti altri....nella buona e nella cattiva sorte.

Foto 10 Novembre 2015

Danilo Di Benedetto

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oLMo CaMpEStrEseme campo vaso

B o n S a I a r t I S t

a l f r e D OS a l a c c i O n e

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Come molti ho iniziato ad avvicinarmi al bonsai da autodidatta. Avevo 13 anni quando il giardino della casa dei miei genitori cominciò a riempirsi di vasi e ciotole piene di piantine ed alberelli recuperati in giro.

Nel giardino c’era un grande albero dalla corteccia scura e che a primavera si riempiva di semi prima di germogliare. La chiamavano “la pianta matta”, perché era nata lì da sola molti anni prima e nessuno sapeva che albero fosse. Grazie ad una veloce ricerca su un manuale, scoprii che si trattava di un olmo campestre. Essenza tipica della Lombardia, regione in cui vivo. Iniziai quindi a raccogliere manciate di semi che subito piantai, la germinabilità dei semi di Olmo è molto elevata e quindi mi ritrovai con decine di piantine.

Passarono gli anni e alcune di quelle piante divennero graziosi piccoli bonsai, ma nel frattempo la mia esperienza era aumentata e così il mio desiderio di migliorare e sperimentare. A tal proposito piantai

nell’orto di mio padre alcuni “astoni” di olmo al fine di ingrossarne il tronco e produrre movimento con potature drastiche annuali.

Nella zona in cui vivo le potature più aggressive di grosse branche vanno fatte a Febbraio, poco prima del risveglio vegetativo. Se invece si pota troppo tardi i tagli non risulteranno netti e puliti, e i tessuti tenderanno ad essere “gelatinosi” con copiosa perdita di linfa e probabile ingresso di patogeni. La potatura drastica in pieno inverno è sconsigliabile, in quanto il callo inizierà a formarsi solo la primavera seguente. Non proteggo i grossi tagli con mastice, ma li spennello con polisolfuro di calcio. La piccola potatura di riordino su esemplari in vaso va invece effettuata in autunno, prima che cada l’ultima foglia.

Dopo alcuni anni di coltivazione in terra, il tronco dei futuri bonsai raggiunge i diametri e i movimenti idonei. Effettuo l’espianto degli olmi nel mese di Febbraio. Questi vengono poi collocati in vasi di coltivazione con una miscela di pomice ed akadama

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di media dimensione.

Normalmente le piante reagiscono incredibilmente bene all’espianto, e vengono concimate durante tutta la primavera. Se il vigore è abbastanza elevato, nel Giugno successivo procedo ad una defogliazione totale, alla selezione dei rami primari e ad una prima impostazione povera.

Preferisco filare gli olmi e le altre latifoglie del mio giardino a Giugno, periodo nel quale i rami sono molto flessibili e rispondono bene alla defogliazione. Questa tecnica è come risaputo utile alla riduzione della dimensione delle foglie, ma se affiancata ad una potatura degli apici vegetativi induce anche la produzione di numerosi germogli laterali. Naturalmente le piante vanno preparate con abbondanti concimazioni e la tecnica non è applicabile a piante deboli o stressate.

Gli anni passano e dopo la prima impostazione la piante vengono defogliate ad anni alterni, l’uso del filo viene ridotto a favore di potature attente e tiranti.

È ora di pensare alle radici, nella fase di costruzione il rinvaso viene effettuato ogni tre anni. Una volta estratta la pianta dal vaso di coltivazione, le radici vengono completamente ripulite dal terriccio originario. Si procede poi a districarle e a distenderle. Vanno eliminate tutte le radici non radiali e quelle

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fittonanti. La pianta viene quindi collocata in cassetta di coltivazione più bassa per promuovere lo sviluppo di una buona base.

La costruzione di un ramo di una latifoglia deve essere fatta per gradi, adottando la tecnica del “lascia crescere e taglia” ed utilizzando rami di sacrificio. Questo al fine di ottenere rami conici e con cambi di direzione. Fino al terzo ordine di ramificazione tendo a costruire una struttura piana del ramo, ma dal quarto ordine inizio ad integrare nella struttura anche i rami ascendenti al fine di dare volume all’impalco.

L’olmo è un essenza robusta e rustica, ma talvolta viene attaccato da diversi patogeni animali e fungini.

L’afide galligeno si riproduce sull’olmo, pungendo e depositando le sue uova nelle foglie quando stanno germogliando. La puntura determina la formazione di una galla sul margine superiore della foglia, che a maturazione diventa rossa e delle dimensioni di un fagiolo. Insetticidi sistemici all’apertura delle gemme e l’asportazione manuale delle foglie colpite risolvono il problema.

La galerucella è un piccolo coleottero defogliatore di colore giallo e corpo allungato di circa 7 mm di lunghezza. Sia l’adulto che la larva sono in grado di scheletrizzare le foglie dell’olmo, indebolendolo

e ed esponendolo all’attacco di parassiti secondari come gli scolitidi. La lotta deve essere effettuata con l’utilizzo di insetticidi attivi contro i coleotteri.

Gli scolitidi sono piccoli coleotteri di colore bruno, in genere vengo attirati da sostanze emesse da piante malate. Gli adulti e larve producono un danno diretto alle piante nutrendosi dei tessuti vascolari e producendo il disseccamento delle branche colpite. A questo danno primario ne segue uno secondario, ovvero la proliferazione nelle cavità prodotte dallo scolitide del fungo Ophiostoma che determina la nota grafiosi dell’olmo. La grafiosi non è curabile è quindi meglio prevenirla evitando potature fuori stagione e mantenendo ad un vigore elevato i nostri bonsai.

Personalmente sono innamorato di questa essenza rustica e generosa. Materiali yamadori, da campo o da seme danno risultati apprezzabili relativamente in poco tempo. La maturazione del bonsai, così come del bonsaista, richiede invece molti anni.

alfredo Salaccione

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olivastrolenticchia

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olivastrolenticchia B o n S a I a r t I S t

a n D r e a z a m b e l l i

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Quando mi si presentò l’occasione di entrare in wpossesso di quest’olivastro, la prima cosa che mi colpì fu la legna secca del tutto naturale.

Le foglie di questo tipo di olivastro sono veramente piccole, di un verde intenso -da qui il nome “lenticchia”- e nei periodi freddi la vegetazione e i rami che non sono lignificati si colorano di un viola affascinante.

Non è la “fetta” che abitualmente si vede sui vari banchetti, ma è una pianta con una partenza notevole ed il corpo che si sviluppa in due tronchi collegati alla partenza e nella zona superiore. la corteccia a placche accentua la vecchiaia e la parte apicale presenta un grosso taglio. La vegetazione si presenta giovane e i rami si trovano in posizione buona per essere usati nel disegno che mi ero prefissato; inoltre il vaso è abbastanza capiente da permettergli una buona crescita.

I primi mesi sono serviti a studiare un eventuale

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fronte e ad organizzare un calendario degli interventi, in modo da riuscire a raggiungere il mio obbiettivo in una tempistica adeguata.

Come primo passo ho lavorato la legna secca apicale snellendola e uniformandola con quella sottostante. Una volta scelti, i rami vengono legati e portati in posizione.

I due tronchi uniti alla base erano molto distanziati tra loro e formavano un ponte che mi sembrava antiestetico, oltre che problematico per il trapianto in un vaso di dimensioni adeguate.

po un attento studio ho deciso di avvicinare i due tronchi andando a tagliare la base che li univa e togliendone una parte. Per facilitare l’operazione e non rischiare di spaccare le vene secche quando si va a stringere il tutto, ho pensato di effettuare un taglio nella parte apicale che faceva da perno, lasciando però intatta la vena viva.

Arrivati in primavera, ho quindi praticato il primo taglio nella parte superiore, ho tolto la pianta dal vaso e verificato l’apparato radicale che si presentava sano e abbondante. Ho poi deciso quale zona eliminare e, con una sega, ho cominciato a tagliare.

Successivamente, ho avvicinato le due parti con un morsetto, ho fissato il tutto con un paio di viti autofilettanti e ho messo la pianta dentro un vaso che non si discostava troppo dalle misure finali.

Dopo poche settimane l’olivastro ha ricominciato a vegetare senza problemi, sintomo che il lavoro è stato svolto con cura e precisione.

Nelle stagioni a seguire ho lavorato molto sulla crescita dei rami che ho lasciato crescere liberamente per fare in modo che i diametri arrivino ad essere

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Il profilo risulta ancora molto rigido, ma con le nuove cacciate si andrà ad ammorbidire diventando più adatto ad una latifoglia.

Il vaso finale in cui andrò a trapiantare questo olivastro è di Sylvie Regal con una forma semplice che non distoglie lo sguardo dalla pianta, ma asseconda la sua forma.

Sono convinto che questa pianta potrà regalarmi tante soddisfazioni, consapevole del fatto che vivendo in pianura padana, zona non proprio ideale per questa essenza (in inverno ho l’accortezza di posizionarla in serra fredda), sono riuscito ad arrivare in tempi non troppo lunghi ad un buon risultato.

andrea Zambelli

proporzionati alla pianta.

Per conicizzare la ramificazione ho potato ciascun ramo in libera crescita in prossimità di un ramo secondario che cambia direzione e diametro, avendo l’accortezza di lasciare crescere liberamente quest’ultimo (il cosiddetto “ramo di sacrificio”) che andrà a sua volta potato per far si che il tiraggio rimanga alto.

Ho quindi resettato la vena e, sul fronte, ho lavorato il rigonfiamento antiestetico vicino alla base bucandolo per dare leggerezza, facendolo così diventare un punto d’interesse.

Ad oggi, la vegetazione non è ancora matura, mancano ancora un paio di anni al raggiungimento dell’obbiettivo, nel frattempo continuo ad impostare la ramificazione col filo.

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CON IL PATROCINIO DI

XV° TROFEO ARCOBONSAI

orario: 09.00 - 12.30 / 14.00 - 19.30

OrganizzazioneArcobonsai Club Garda Trentino

Info | arcobonsai.com

Centro CongressiCasinò Municipale

arco tn

Confronto tra istruttori UBIConfronto tra i Bonsai Club Italiani

Le Scuole Ubi si presentano

XVIII MOSTRA MERCATO

VILLAGGI DEL GUSTO E DEI SAPORI TRENTINI

6-7-8MAGGIO

2016

B.C.

9 N

ebbi

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dine

MERCATO DI BONSAI YAMADORI, ATTREZZATURE, EDITORIACON OLTRE 50 ESPOSITORI

PROVINCIA AUTONOMADI TRENTO31°

CONVEGNO MOSTRA

MERCATO DI BONSAI

COMUNE DI ARCO CONSOLATO GENERALEDEL GIAPPONE A MILANO

COMUNITàALTO GARDA E LEDRO

XX° CONGRESSONAZIONALE UBI

dIMOStratOrI:david benavente lÓPeZ

ROCK JUniORSeOK KiM JU

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IL NOSTRO PRIMO ANNO DI CORSO AVANZATO

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Siamo un gruppo di amici, legati dalla passione per il bonsai, cha ha deciso di approfondire le conoscenze riguardo all’arte di queste “piccole piante”.

Partendo da diversi livelli di preparazione ci siamo affidati alla competenza del nostro istruttore I.B.S. Stefano Frisoni.

Questo corso si è sviluppato in cinque lezioni, ognuna delle quali ha aumentato il nostro entusiasmo nell’apprendere nuove tecniche e nozioni sull’arte bonsaistica.

Ogni lezione è suddivisa in due sezioni ben distinte: la teoria e la pratica, tra le quali vi è un momento non meno importante di condivisione culinaria ed esperienziale. Durante questi intermezzi abbiamo constatato che “il maschio ALPHA è una specie in via di estinzione, come l’abete delle madonie o nebrodensis.

Per condividere con altri questa nostra esperienza abbiamo deciso di scrivere questo breve articolo, raccontandovi i nostri incontri con un po’ di ironia e molta passione.

Durante le ore di teoria abbiamo approfondito i temi principali che riguardano questo affascinante mondo: la fitopatologia, la botanica delle piante e la tecnica bonsaistica (rinvaso, potatura, filatura).

Tra stili bonsai ed approfondimenti su micorrize e trichoderma, Stefano ci ha “affinato” con la sua dialettica. Per alcuni di noi è stato un approfondimento di argomenti già conosciuti, per altri è stato una sicura base di conoscenze della quale far tesoro. Alla fine tutti noi possiamo vantare un uguale bagaglio teorico con il quale coltivare questa meravigliosa arte.

Al termine della sessione tecnica cominciava una parte non inerente ai bonsai, ma di certo non meno interessante: quella della preparazione tavolata mangereccia! Tra kebab, paella e un “finto pesce”, la discussione sulla passione comune continuava; molte esperienze a confronto, e il maestro che ci stimolava a metterci in gioco e ci coinvolgeva nelle sue attività (mostre, convegni, work shop). A seguito cominciava per noi la parte più difficile, applicare la teoria alle nostre piante. Primo difficile compito, scegliere i futuri bonsai che ci avrebbero accompagnato durante tutto il triennio. Tra un

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taxus, un juniperus, un tiglio, un acero piuttosto che un larice, la nostra conoscenza si accresceva.

Dai primi timori a toccare queste fragili essenze, (avrò tagliato il ramo giusto? Sopravvivrà alla lavorazione che gli ho imposto?) all’esame finale in cui tutti noi abbiamo dato prova di aver fatto enormi passi, sia nella tecnica bonsai che nella fiducia in noi stessi.

Sotto l’occhio vigile del maestro, in autonomia abbiamo lavorato cinque ginepri cespugliosi che a fine giornata si sono trasformati in cinque bonsai da “competizione” (dei veri talenti!!!!!).

Superato brillantemente l’esame di teoria, il maestro Stefano ha valutato positivamente anche i risultati raggiunti nella pratica; tutti e cinque promossi al II anno... ma il maestro non sa cosa lo aspetta!

I nostri incontri sono stati caratterizzati, non soltanto dall’approfondimento dei temi principali, ma soprattutto da un clima goliardico e spensierato, che ha consolidato il gruppo ed ha catturato anche la stima del maestro, che pian piano si è sciolto diventando come uno di noi.

Grazie illustrissimo maestro (Stefano Frisoni N.D.R.)

Gruppo agnadello Cremona

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travelS

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travelSviaggi

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laVorare BonSaI In gIappone

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Racconto di un’esperienza e spunti di riflessione tentando di capire le differenze

Dopo diversi anni di attività bonsaistica a diversi livelli, ho sentito l’esigenza di andare ad attingere qualche goccia di “sapere” direttamente dalla fonte della conoscenza di quest’arte: il Giappone.

L’esperienza che ho affrontato è stata sicuramente stimolante e ricca di insegnamenti, poiché ho avuto l’opportunità di lavorare insieme a un giovane maestro di sicure e ampie prospettive e soprattutto la possibilità di “mettere le mani” ,sotto la sua sapiente guida, su esemplari di alto livello arrivando a preparare in autonomia quasi totale piante di suoi clienti.

Ho usato apposta,nel primo paragrafo, la parola arte non per dare un tono aulico all’argomento o per cercare di dare un valore superiore al bonsai, ma per cercare di trasmettere, a chi non ha avuto la fortuna o la possibilità di intraprendere quest’esperienza, ciò che, attorno al nostra professione o al nostro hobby, si può cercare di comprendere nel paese del “sol levante”.

Definire il bonsai un’arte è cosa assolutamente diversa dal definirsi artisti: anche la pittura è un’arte, ma non tutti coloro che prendono in mano un pennello possono essere chiamati artisti e tale titolo è spesso attribuito dopo anni di lavoro e non può mai, a mio avviso, essere autoreferenziale.

Fatta tale premessa, penso di poter affermare che in Giappone vi siano diversi maestri che a ragione possono essere chiamati artisti del bonsai e che tale qualifica derivi non solo dal padroneggiare la tecnica in modo sopraffino, ma soprattutto dalla sensibilità che essi dimostrano nell’interpretazione e nella cura dei materiali che devono lavorare.

Durante il periodo di soggiorno-lavoro presso il giardino del maestro Minoru Akiyama nel 2013, mi è capitato spesso di avvicinare e di intuire, a volte, purtroppo, in modo sfuggente e di riflesso, quello che rende i loro lavori così elevati e degni di nota: una prima differenza che ho potuto cogliere è forse un atteggiamento più paziente nei confronti del loro lavoro. I ritmi di lavoro sono impressionanti a livello di quantità, ma nello stesso tempo appare evidente una grandissima attenzione alla qualità: quasi sempre il soffermarsi sul dettaglio fa la differenza.

Vi è infatti, una continua ricerca delle linee e delle

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proporzioni nell’interpretare un’esemplare e c’è sempre una motivazione per qualsiasi scelta.

Spesso, per esempio, ho sentito discutere all’interno delle nostre mostre sul tema della maturità e della densità del verde nello stile bunjin: tante volte si sente dire “non è ancora maturo” oppure “è troppo pieno” parlando della piante in questo stile. Sicuramente esso rappresenta il livello di raffinatezza più elevato e forse di più difficile realizzazione anche nel bonsaismo giapponese. Confrontando la densità del palco di un bunjin alla Sakufu-ten con quella di un moyogi ho potuto apprezzarne la sottile differenza: il numero di gemme presenti (come densità) è sicuramente assai simile: la differenza sta nel numero di aghi lasciati accanto a ogni gemma.

Un altro aspetto che mi è apparso evidente è rappresentato dalla cura continua che viene data agli esemplari presenti nel giardino: a volte in Italia (chiaramente non voglio fare di tutta l’erba un fascio,infatti sottolineo “a volte”) si tende a considerare il bonsai nel suo aspetto immediato, ovvero nella differenza che si riesce a fare con una lavorazione di una giornata: tanto è maggiore il valore aggiunto “secco” tanto ci si considera o si viene considerati bravi; in Giappone, d’altra parte, si tende a giudicare un lavoro nell’ampio respiro di diverse stagioni e quindi l’attenzione, anche in una prima impostazione è posta non tanto su quello che la pianta dovrà esprimere alla fine della giornata, ma su quello che dovrà dare tra due, tre o quattro anni. Quando raccontai al maestro Akiyama che in Italia i bonsaisti fanno concorsi basati su una sola lavorazione di un giorno (concorsi che tuttavia continuo a considerare utili se visti nella giusta prospettiva del confronto e, perché no, divertenti) fece un’espressione assai stupita e disse solo “why?”, per poi affermare che ciò che può apparire ben fatto oggi a volte si può trasformare in pessimo nel lungo periodo. Per loro, mi disse, il lavoro va confrontato quando è finito e quindi perché- why farlo nella prima fase.

Nel loro modo di operare la pulizia di un esemplare o la semplice innaffiatura dello stesso riveste lo stesso valore del mettere il filo e impostare il bonsai: non vi sono lavori di serie a e di serie b: anche se manca un solo tassello, il lavoro, alla fine, apparirà non perfetto.

Se si fa un’impostazione eccezionale, ma, per esempio, su un pino, non si compie la giusta operazione di pulizia, considerando le diverse zone di vigore, sul lungo periodo l’esemplare anziché andare avanti sarà destinato a perdere punti e quindi l’attenzione nelle due diverse operazioni deve essere la stessa.

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Incredibile è anche il livello di specializzazione che ho potuto osservare: innanzitutto, pur conoscendo la coltivazione di tutte le varietà, ogni maestro tende a concentrarsi su quelle a lui più consone per inclinazione personale e per clima evitando così una grande dispersione di energie e, inoltre, per quanto ho potuto vedere, il maestro agisce non in tutte le fasi della produzione dell’esemplare. Alcune fasi della lavorazione sono lasciate, con grande umiltà e aggiungerei saggezza, a veri esperti della branca in questione. Nel giardino in cui ho lavorato, per esempio, la scultura del legno e la creazione delle vene nei ginepri (varietà con cui il maestro Akiyama si è aggiudicato ben due edizioni della Sakufu-ten) era appannaggio quasi esclusivo del padre, mentre la coltivazione e la finitura era compito del figlio con risultati, a dir poco, fantastici.

Chiaramente la presenza di esemplari storici e di livello “galattico” è già, di per se stessa, una differenza che rende difficile colmare il gap che divide il nostro bonsaismo da quello nipponico anche se fortunatamente, a mio avviso, la forbice, nell’ultimo decennio ha iniziato a ridursi grazie anche all’intervento di associazioni che fanno della specializzazione in quest’ambito un punto fisso. Forse il punto sul quale occorrerebbe concentrarsi è più culturale che tecnico: ho notato infatti che nella loro cultura è il bonsai che partecipa alla mostra e che viene posto al giudizio della commissione e non come forse accade in Italia e in Europa l’autore dello stesso: troppe volte consideriamo infatti il bonsai come prolungamento del nostro ego e quindi ci sentiamo criticati se a essere criticata è la pianta.

Racconto, per concludere, un aneddoto che mi ha colpito per la sua forza e che mi ha insegnato forse più di mille consigli, che il maestro ha voluto darmi:

una mattina si presentò in laboratorio con un piccolo ulivo (regalo di un bonsaista nostrano)e lo pose sul tavolino che utilizzavo per lavorare, prese una sedia e sedendosi accanto a me disse: ”Francesco, please teach me the right way to work this kind of tree, I don’t kwon this essence…”(per favore insegnami il giusto modo di lavorare questo tipo di albero, io non conosco quest’essenza) . In quel momento ho capito perché in Giappone ci sono i maestri o meglio ancora, i Maestri: la passione viene prima di tutto e quindi ognuno può portare il proprio contributo;Il maestro insegna nel novantanove per cento dei casi, ma non ha nessuna difficoltà a scendere dalla cattedra quando è digiuno di un determinato argomento: il

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bene per il quale si lavora non è l’affermazione del bonsaista, ma la condivisione del proprio lavoro con gli altri appassionati, a prescindere dal grado o dal livello. È chiaro che si tratta, anche nel loro caso, di lavoro; non voglio perciò raccontare la fiaba e presentare come perfetto un mondo che sicuramente ha i suoi difetti, ma ho potuto notare che è sempre comunque la passione, prima del denaro, il motore dell’attività con tutte le buone conseguenze del caso.

È dunque un’esperienza che consiglierei a tutti coloro che amano quest’arte; chiaramente perché porti frutto occorre presentarsi nel giardino di un maestro con un bagaglio tecnico già acquisito in patria. Fortunatamente questa operazione è possibile grazie all’esperienza e la professionalità di molti istruttori che da anni si occupano di trasmettere le loro conoscenze nell’ambito bonsaistico e che sono presenti sul nostro territorio: il Giappone (se vissuto come esperienza di lavoro e non di turismo

ovviamente) può aiutare a curare i dettagli della nostra preparazione e difficilmente, a meno che tale esperienza non duri anni, può servire per comprendere le basi o per compiere un “percorso”: dovrà essere la cosiddetta ciliegina sulla torta nella nostra crescita nel bonsai… la torta è meglio portarsela da casa!

Francesco Forno

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p h o t o g r a p h e r

S a r a z a m b e l l i

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The Key in

The h a n d

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Information

Japan Pavilion at the 56th international art Exhibition

9 May – 22 november, 2015

Artist:

Chiharu shiota

Curator:

Hitoshi nakano

Organizer:

the Japan Foundation

Il Bonsai è arte giapponese e dal Giappone cerchiamo ispirazione, ma oggi in che direzione sta andando l’arte contemporanea giapponese?

La Biennale di Venezia è considerata una delle istituzioni culturali più note e prestigiose al mondo, all’avanguardia nella ricerca e nella promozione delle nuove tendenze artistiche contemporanee.

Alla Biennale d’Arte è stata riconosciuta la primazia mondiale fra le esposizioni d’arte contemporanea; Tale primazia è stata riconosciuta anche alla Biennale d’Architettura.

Nel 2015 il numero dei paesi partecipanti alla Biennale d’Arte è salito a 89; tra questi paesi è presente anche il Giappone che ha voluto affidare il suo padiglione espositivo a Chiharu Shiota, per presentare al mondo ciò che di meglio ha da offrire la sua nazione nell’arte contemporanea, ed a Hitoshi Nakano che ha curato il progetto.

Nata nella prefettura di Osaka nel 1972, Chiharu Shiota vive a Berlino e trae ispirazione da preoccupazioni umane fondamentali come la vita e la morte. L’artista esplora domande come “Che cosa significa essere vivi?” e “Che cosa è l’esistenza?” creando installazioni su larga scala. Come ogni grande artista la sua carriera è ricca di mostre e premi internazionali che non mi dilungherò ad elencare.

Invece farò un breve e doveroso cenno su Hitoshi Nakano, il Curatore del padiglione del Giappone. Nato nella prefettura di Kanagawa nel 1968. Completa il programma di un master in storia dell’arte presso la Graduate School di lettere Keio University. Nella sua vita lavorativa ha organizzato performance di musica, arte, teatro e danza.

Tutto questo ci fa capire l’importanza della Biennale e il dispendio di risorse che il Paese del Sol Levante ha riservato alla creazione dell’installazione che andremo ad analizzare.

“The Key in the Hand” (La Chiave nella Mano) è il titolo dell’opera nel padiglione del Giappone.

L’artista berlinese è solita creare installazioni di grandi dimensioni allungando fili attraverso lo spazio espositivo, e producendo opere con materiali pieni di ricordi e tracce di vita di vissuta come abiti, letti, scarpe e valigie. Ha una sua propensione per le installazioni di grande formato, mantiene il senso della bellezza senza perdere freschezza o potere su ciò che vuole comunicare, suscitando interesse nella mente dell’osservatore. L’opera di Shiota, trascende i contesti linguistici, culturali e storici,

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nonché le circostanze politiche e sociali, e colpisce profondamente gli spettatori di tutto il mondo.

Dopo essersi confrontata con la morte di alcuni familiari e amici intimi negli ultimi anni, Shiota ha convertito queste esperienze in arte pura e sublime: tutti gli esseri umani devono affrontare la “vita” e la “morte”, ma ognuno di noi deve farlo individualmente. A volte, il suo lavoro può trasmettere un senso di “oscurità” e incertezza che sono inevitabilmente contenute nel “mondo sconosciuto” associato alla morte. Ancora oggi, quattro anni dopo il Grande Terremoto e Maremoto del Tōhoku nel 2011, è concepibile che gli spettatori provenienti da vari paesi che visitano una grande mostra internazionale come la Biennale di Venezia saranno sopraffatti dai lati “oscuri” del suo lavoro a causa delle sue associazioni con un paese che ha subito profonde ferite fisiche e spirituali. Nel lavoro di Shiota, tuttavia, vi è un potente velo di speranza e di luminosità spirituale che abita nel profondo buio, una luce che vive nonostante il precario stato di cose in tutto il mondo.

Entrando nella galleria, gli spettatori potranno trovare uno spazio pieno di fili rossi. Attaccata al capo di ogni filo, sospesa dal soffitto, vi sarà una chiave. Nella nostra vita quotidiana, le chiavi proteggono le cose di valore, come le nostre case, i nostri beni e le usiamo mentre le stringiamo nel calore delle nostre mani. Le chiavi rappresentano ricordi preziosi; entrando in contatto ogni giorno con il calore delle persone, le chiavi si accumulano innumerevoli, ricordi multistrato che abitano dentro di noi. Gli esseri umani sono collegati tra loro dai fili rossi in questo mondo.

In questo lavoro, l’artista usa le chiavi come mezzo di trasmissione dei nostri veri sentimenti: i visitatori possono sentirsi come se andassero in giro in un oceano di ricordi. Inoltre, due vecchie barche sul pavimento sotto i filati simboleggiano mani stanche che catturano una pioggia di ricordi (cioè innumerevoli chiavi). Le due barche sembrano essere in movimento, galleggiano tranquillamente andando avanti lungo un mare enorme di memoria umana globale e individuale. L’obiettivo è quello di rappresentare ricordi, opportunità e speranza. Essi sono il mezzo di trasmissione dei nostri veri sentimenti e sono collegati l’uno all’altro come gli esseri umani. Il filo è rosso perché simboleggia il colore del sangue e quindi i rapporti umani; collegati tra loro in questo modo è possibile visualizzare il collegamento della società. La linea rossa è talvolta invisibile agli occhi dell’uomo, ma una volta che siamo in grado di gettare uno sguardo a questo filo, siamo in grado di osservare tutti i rapporti nel suo

complesso.

Fuori dal padiglione vi sono una fotografia di un bambino in possesso di una chiave nel palmo delle sue mani e quattro monitor che mostrano dei video di bambini che parlano dei loro ricordi dopo la loro nascita in un mix di fantasia e realtà mentre guardano le loro poche chiavi piene di opportunità e di speranza.

Abbiamo il diritto ad un mondo di opportunità, di un futuro prospero, e con una chiave abbiamo il mezzo per realizzarlo nelle nostre mani.

Due diverse fasi della memoria in due diversi spazi: scopriamo e analizziamo i ricordi contenuti dentro di noi, alcuni dei quali ci aiutano a formare legami con altre persone.

“In questi ultimi anni il Padiglione del Giappone ha presentato opere basate sul terremoto e sullo tsunami che ne seguì, così ho deciso di trasmettere non solo il

passato, ma anche il presente e il futuro. Dopo aver affrontato la morte di membri

della famiglia, avevo la sensazione di dover mantenere qualcosa che mi ha invaso e

così ho collegato questa sensazione a tutti i possibili significati che una chiave può

avere.”

C’è voluto un anno e mezzo per passare dall’idea alla creazione dell’opera. Costruire lo spazio del Padiglione ha richiesto due mesi e mezzo e di dieci persone che hanno lavorato su di esso. In totale sono state raccolte 180 000 chiavi e 400 km di filo rosso. Le chiavi vengono da ogni parte del mondo. Shiota ha messo scatole per la raccolta nei musei di Stati Uniti, Giappone ed Europa. Alcune persone hanno scritto una lettera che spiega il significato della loro chiave e altri sono andate a portargliele direttamente di persona.

Il tema principale di questa 56 ° Biennale era:» All the World’s Futures» (Tutti i Futuri del Mondo) un invito a declinare il futuro al plurale, come a dire che al futuro ci si arriva da strade diverse.

Quando si ha una chiave, si ha una nuova opportunità e quindi si può scrivere il proprio futuro. Noi siamo i custodi del nostro futuro individuale e globale e ogni essere umano ha un posto e uno scopo nel futuro di questo mondo, sia che si tratti di mantenere ricordi al sicuro che di sperare in un nuovo inizio.

Marco Cosenza

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