MADRETERRA NUMERO 22 - OTTOBRE 2011

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www.madreterranews.it MadreTerra Palmi & Dintorni www.madreterranews.it Anno II - Nr. 22 - Ottobre 2011 PERIODICO DI CULTURA ED INFORMAZIONE FREE PRESS - FREE PRESS FREE PRESS - F PRESS - FREE PRESS FREE PRESS - FREE Paolo Ventrice EDITORIALE “La Bellezza è l’unica cosa con- tro cui la forza del tempo sia vana. Le filosofie si disgregano come la sabbia, le credenze si succedono l’una sull’altra, ma ciò che è bello è una gioia per tutte le stagioni, ed un possesso per tutta l’eternità”. Oscar Wilde S embra quasi surreale la bellezza mediterranea di Stefania. Ci distrae, per fortuna, dai meccanismi che animano la vita terrena di noi poveri mortali; ci accompagna, per qualche tem- po in un mondo di fantasia, dove non vi sono i Berlusconi e i Di Pietro, i Bossi e i Bersani o, peg- gio, i “sempreverdi” corrotti e gli immortali delinquenti. Ci porta su, nell’Olimpo del- le “miss”, ci ammalia e ci incan- ta, ci avvolge in uno spensierato torpore... Ebbene si, ci siamo distratti, ma ci vuole poco per farci ritor- nare nella nostra valle di lacri- me, a sentir parlare di Stati che stanno fallendo, di continenti che, disperati, cercano di sal- vare il salvabile, di politici che ancora non si svegliano (se mai è sonno quello che li accompa- gna), di giustizia che troppo fret- tolosamente (a volte) condanna ed altrettanto frettolosamente (a volte) assolve (PER NON AVER COMMESSO IL FATTO!!!), di pa- lazzi che cadono sulle teste del- le persone (manco fossimo sotto i bombardamenti di Teheran) e chi più ne ha, più ne metta. Un pensiero fisso che, atroce, si è impossessato di me, ripe- te all’infinito, “com’è possibile condannare per omicidio e poi assolvere con formula piena”? “Dopo quattro anni!”? In un romanzo ambientato nel 1500, si sarebbe gridato “AL ROGO” (sta a vedere, però, chi ci doveva finire sulle fiamme!) e Papa Innocenzo VIII qualche “eretico” lo avrebbe bruciato. Cara Stefania, come vedi, in questo momento sei una “stel- la” in un cielo buio; è il tuo mo- mento, lo è per la tua giovane età, lo è per la tua bellezza, lo è per la fascia che porti. Non ti curar d’altro, segui la tua via, insegui i tuoi sogni e fat- ti guidare da chi ti è sempre sta- to vicino fino ad oggi. Il nostro augurio è che, chi ti accompagnerà lungo il tuo tra- gitto, sappia aiutarti e consi- gliarti come fosse tuo padre. “In bocca al lupo” Stefania. UNA MISS TUTTA “NOSTRA”! Foto - Mimmo Zoccali

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Anno II - Nr. 22 - Ottobre 2011

PERIODICO DI CULTURA ED INFORMAZIONE

FREE PRESS - FREE PRESSFREE PRESS - F PRESS - FREE PRESSFREE PRESS - FREE

Paolo Ventrice

EDITORIALE

“La Bellezza è l’unica cosa con-tro cui la forza del tempo sia vana. Le filosofie si disgregano come la sabbia, le credenze si succedono l’una sull’altra, ma ciò che è bello è una gioia per tutte le stagioni, ed un possesso per tutta l’eternità”.

Oscar Wilde

Sembra quasi surreale la bellezza mediterranea di

Stefania.Ci distrae, per fortuna, dai

meccanismi che animano la vita terrena di noi poveri mortali; ci accompagna, per qualche tem-po in un mondo di fantasia, dove non vi sono i Berlusconi e i Di Pietro, i Bossi e i Bersani o, peg-gio, i “sempreverdi” corrotti e gli immortali delinquenti.

Ci porta su, nell’Olimpo del-le “miss”, ci ammalia e ci incan-ta, ci avvolge in uno spensierato torpore...

Ebbene si, ci siamo distratti, ma ci vuole poco per farci ritor-nare nella nostra valle di lacri-me, a sentir parlare di Stati che stanno fallendo, di continenti che, disperati, cercano di sal-vare il salvabile, di politici che ancora non si svegliano (se mai è sonno quello che li accompa-gna), di giustizia che troppo fret-tolosamente (a volte) condanna ed altrettanto frettolosamente (a volte) assolve (PER NON AVER COMMESSO IL FATTO!!!), di pa-lazzi che cadono sulle teste del-le persone (manco fossimo sotto i bombardamenti di Teheran) e chi più ne ha, più ne metta.

Un pensiero fisso che, atroce, si è impossessato di me, ripe-te all’infinito, “com’è possibile condannare per omicidio e poi assolvere con formula piena”? “Dopo quattro anni!”?

In un romanzo ambientato nel 1500, si sarebbe gridato “AL ROGO” (sta a vedere, però, chi ci doveva finire sulle fiamme!) e Papa Innocenzo VIII qualche “eretico” lo avrebbe bruciato.

Cara Stefania, come vedi, in questo momento sei una “stel-la” in un cielo buio; è il tuo mo-mento, lo è per la tua giovane età, lo è per la tua bellezza, lo è per la fascia che porti.

Non ti curar d’altro, segui la tua via, insegui i tuoi sogni e fat-ti guidare da chi ti è sempre sta-to vicino fino ad oggi.

Il nostro augurio è che, chi ti accompagnerà lungo il tuo tra-gitto, sappia aiutarti e consi-gliarti come fosse tuo padre.

“In bocca al lupo” Stefania.

UNA MISS TUTTA “NOSTRA”!

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REGISTRAZIONE AL TRIB. DI PALMI Nr. 1 / 2010

Anno II - Numero 22 - Ottobre 2011 Direttore respons.: Francesco MassaraCoordinatore: Paolo Ventrice

Collaboratori di REDAZIONE di questo numero.

Saverio Petitto Walter CricrìCettina Angì Salvatore De FranciaNella Cannata Giuseppe Cricrì

Hanno collaborato per questo numero anche: Bruno Vadalà, Mimmo Zoccali.

Editore: Associazione Culturale MadreterrraSede Palmi - Via ss.18 km 485.30P.I. 02604200804Cod. Fisc. 91016680802Mobile - Paolo Ventrice 335 6996255e-mail: [email protected]

Progetto Grafico: Saverio Petitto - Walter Cricrì - Paolo VentriceImpaginazione grafica: Paolo Ventrice Progetto e cura sito web:S. De Francia - D. Galletta Stampa: AGM Calabria - Via Timpone Schifariello Zona P.I.P. II Traversa - 87012 Castrovillari (Cs)

Distribuzione gratuita fuori commercio

ASSOCIAZIONE CULTURALE MADRETERRA

La direzione non risponde del contenuto degli articoli firmati e declina ogni responsabilità per le opinioni dei singoli articolisti, degli intervistati e per le informazioni trasmesse da terzi.Il giornale si riserva di rifiutare qualsiasi inserzione.Foto e manoscritti, anche se non pubblicati, non si restituiscono.I diritti di proprietà artistica e letterariasono riservati. Non è consentita la riproduzione, anche se parziale, di testi, documenti e fotografie senza autorizzazione.L’associazione si riserva il diritto di non pubblicare le inserzioni e le comunicazioni pubblicitarie degli inserzionisti che:1. Siano contrarie agli interessi della asso.2. Violino le disposizioni vigenti in materia di diritto d’autore3. Contengano informazioni fuorvianti e scorrette4. Non rispondano ai requisiti minimi di impaginazione professionale5. Non siano pervenute nei termini concordati6. Siano state fornite in modo incompletoIn tutti i casi l’associazione non è responsabile per il contenuto di dette inserzioni e comunicazioni.

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GRAZIE STEVENon credo ci sia un uomo che possa esprimere indifferenza di fron-

te alla scomparsa di Steve Jobs. Ritengo, anzi, che anche chi non ha mai avuto a che fare con gli oggettini che ci ha “donato”, si senta debitore del suo genio.

Le accelerazioni di modernità, nell’ultimo secolo, si sono susseguite con ritmi vertiginosi, ma ciò che è accaduto negli ultimi 30 anni sa di futuro, un futuro sempre presente e chiarissimo nel “visionario” per an-tonomasia.

Un uomo che è stato capace di delineare un percorso netto e deciso, dietro la spinta dei suoi sogni, partendo da un piccolo garage della Ca-lifornia e giungendo ai nostri giorni continuando a meravigliare il mon-do intero, non è da considerare solo per quello che ha fatto e che ha lasciato. Le cose materiali invecchiano, lui ci ha insegnato che passano velocissimamente, una velocità che sembra crescere esponenzialmen-te giorno dopo giorno; il modo di fare, i punti focali dell’essere, i sogni e, semmai, anche i deliri, sono cose che non si cancellano, che restano impresse e si tramandano.

Ha cambiato il mondo! Si, lo ha fatto, anche se non da solo.Lo ha fatto assieme ad altri geni, Bill Gates (Microsoft), Mark Zucker-

berg (Facebook), Larry e Sergey (Google) Harley e Chen (You Tube) - giu-sto per restare in tema di computer ed affini -, ci ha creduto e lo ha fatto.

Propulsore infaticabile è stato il suo essere visionario, la spinta giusta per uscire fuori da un tunnel. Avere visioni non vuol dire essere, neces-sariamente, matti; avere visioni vuol dire cominciare a progettare cose “assurde” e da quelle assurdità, spesso, nascono nuove idee, si materia-lizzano nuovi orizzonti, si aprono porte sconosciute.

Tutto lo spirito di Steve Jobs è raccolto in un video che gira su You Tube e che consiglio vivamente a tutti di vedere. In questi giorni alcuni spezzoni del filmato sono proposti e riproposti dai vari Tg, ma, credete-mi, tutto intero è un’altra cosa.

Si tratta del discorso tenuto all’Università di Stanford in occasione del-la consegna dei diplomi celebratasi il 12 giugno del 2005.

E’ un discorso semplice in tutta la sua grandezza e da una spinta per andare avanti, anzi, per saltare l’ostacolo, per andare oltre.

Ci ha lasciato anche questo, Steve, (http://www.youtube.com/watch?v=-MFS0SfO5FY) ce lo ha regalato, utilizziamolo. E’ un messaggio soprattutto per i giovani, ma è, anche, un messaggio per tutti gli uomini.

Tutto si può migliorare, tutto può crescere, ma solo se c’è il sogno!!!Non sarebbe male poter sognare anche dalle nostre parti, magari non

tecnologie, forse qualcosa più legato ai nostri posti...Magari un futuro che possa sfruttare il territorio e produrre turismo, la-

voro, benessere, che possa trattenere i nostri ragazzi qui, un futuro che possa darci quello che non siamo stati in grado di prenderci fino ad oggi. Forse l’unica strada che potrebbe risollevarci.

Grazie Steve, ne terremo conto.

di Paolo Ventrice

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AttUAlItA’ Palmi

Lo spunto nasce da un arti-colo, scritto giorni fa, da

Mimmo Gangemi, ed apparso su la Stampa di Torino, in occasione della vittoria, al concorso di Miss Italia, a Montecatini Terme, di Stefania Bivone, di Sinopoli, una ragazza dotata di carattere oltre che di grazia e naturale bellez-za. Nell’articolo, nel quale, tra le tante cose scritte dall’ autore si fa anche riferimento a questo paesino in provincia di Reggio Calabria, considerato anticamen-te, come buona parte dei paesi del profondo sud, il paese degli omini, dove un’ antica mentali-tà, radicata e retrograda, ostile ad ogni forma di progresso e di modernità, considerava la nasci-ta di una figlia femmina, una di-sgrazia dolorosa di cui quasi ver-gognarsene o, comunque, da non andarne certamente fieri, sotto-lineando così l’ atavica avversio-ne degli uomini, nei confronti del sesso femminile. Quegli uomini che hanno sempre gestito il pote-re politico, religioso, il potere in casa, liberi sempre di scegliere il proprio destino. Lo stesso paese che proprio in questi giorni, at-traverso il successo della sua con-cittadina, ritrova in un certo sen-so, anch’ esso, successo, orgoglio e riscatto, come si legge nell’ articolo. Come considerare tutto ciò? Un segno dei tempi che cam-biano? Di modernità e progresso? Il cambiamento di una mentalità? Il passaggio da un mondo antico verso uno più moderno? Comun-que lo si voglia vedere e conside-rare, certamente, è la storia dell’ evoluzione del costume italiano, dove la bellezza rappresenta l’immagine di un paese che va

DONNE: PROTAGONISTE DEL CAMBIAMENTOavanti, di un cambiamento non soltanto nel modo di vestire e di pettinarsi ma, nella mentalità, di cui proprio un concorso come Miss Italia diventa lo strumento, il mezzo che ancora oggi, molte ragazze della porta accanto, da nord a sud, utilizzano per realiz-zare i loro sogni, le loro aspira-zioni, e cosa più importante di tutte, di decidere e scegliere la loro vita, le vie da percorrere in modo libero, senza condiziona-menti, anche sbagliando; insom-ma, il piccolo mondo della pro-vincia, che per una volta diventa protagonista. I settantanni del concorso, non raccontano, solo, il mutare della bellezza femminile, che nel corso degli anni ha subìto un vero e proprio sconvolgimen-to, perché è proprio l’idea della bellezza che muta con i tempi, si è passati infatti, dalle miss del dopoguerra, dalla bellezza medi-terranea e dalle forme generose, che ha incontrato i favori fino a tutti gli anni ‘ 60; a quelle alte, magre, filiformi, dove l’ atten-zione per il peso e la magrezza diventa una vera e propria osses-sione, influenzando molte donne, spingendole a diventare più ma-gre, perché la magrezza, inse-guita nel nostro secolo, diventa segno di prestigio. Ma questi anni testimoniano anche altri muta-menti più sostanziali delle donne sulla società e della società sulle donne. Le donne che, cento anni fa, erano costrette a condizio-ni di vita spaventose, schiave di preconcetti, di regole stabilite da altri, venivano considerate per-sone deboli e sottomesse, molto spesso escluse dalla società e da tutte le decisioni importanti; po-che erano le donne che poteva-no studiare e il loro destino era quello di diventare mogli e ma-

dri, prendersi cura di figli, mariti e casa; questo ruolo prefissato, assieme a molte disparità subite, ha impedito loro di potersi espri-mere liberamente, di tentare al-tre strade, essere se stesse, co-stringendole per anni al silenzio e all’invisibilità in un mondo gover-nato da uomini, regolato da leggi patriarcali, anche nell’ Italia de-gli anni cinquanta. Ed è proprio in quegli anni di chiusura, che vie-ne eletta la prima delle cinque miss calabresi, Brunella Tocci nel 1955; mentre, nel 1968, tocca alla nostra concittadina, Graziel-la Chiappalone; per poi prosegui-re, trentanni dopo, nel 1997 con Claudia Trieste di Cirò Marina ed, infine, nel 2009, con Maria Perru-si, di Fiumefreddo Bruzio. La Ca-labria, quindi, terra baciata dalla buona sorte, grazie alle donne e alla loro riconosciuta bellezza, intelligenza e fascino, capaci di evocare emozioni positive forti e cambiamenti radicali, le quali, hanno anche il dovere di provare a cambiare i preconcetti, a mu-tarli, nel rispetto soprattutto di chi ci ha preceduto, che pur non avendo avuto diritti e privilegi, ha lottato per ottenerli - si pensi alla conquista di un nuovo diritto di famiglia, la legge sull’ aborto, il divorzio, la contraccezione, ap-provati negli anni settanta, grazie alla straordinaria mobilitazione delle donne - e di chi verrà dopo, che qualcosa ha ottenuto, senza l’ impegno delle lotte sociali. Ed è proprio grazie alla lotta non violenta, in favore delle donne e del loro diritto a partecipare al processo di pace, che si deve la recente assegnazione del Pre-mio Nobel per la Pace a tre don-ne: la presidente liberiana Ellen Johnsonn Sirleaf, la connaziona-le Leymah Gbwee e la yemenita

Tawakkul Karmann, attivamen-te impegnate nel rinnovamento democratico nei rispettivi paesi; che rappresenta al contempo, un riconoscimento al ruolo svolto, in questi anni, nel mondo, da tutte le donne, vere protagoniste di un cambiamento, senza le quali, non è possibile avere.

di Cettina Angì

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27 gennaio 1924. La “Rivista” -periodico di cultura– dedica

ad Antonio De Salvo un numero monografico, in occasione della sua scomparsa “… Sopravviverà De Salvo al flusso della vita che passa come ebbra baccante sui resti delle speranze e delle fedi umane? Per noi si, e per chi par-lerà della storia della storiografia calabrese: sopravviverà perché Egli stesso prima di morire, ai po-chi amici che ne circondavano di affetto la recente vita, disse mol-to di caduco aver egli scritto; è per questa confessione, se anche non fosse per altro, che l’Uomo sopravviveva in tutta la sua uma-nità!...”

Il 17 settembre 2011. Inaugura-zione del Parco Archeologico dei Tauriani “Antonio De Salvo”. Un omaggio allo studioso colto, lu-cido e appassionato delle “cose palmesi”, lontano dalla boria del fanatismo campanilistico e teso a spingere lo sguardo ben al di là dei limiti delle appartenenze. Perciò Egli ha lasciato chiare trac-ce e testimonianze fondamentali che a distanza di quasi un secolo hanno guidato l’intelligenza e la mano di quegli archeologi che, in-sieme a molti altri, hanno voluto verificare la veridicità dell’eredi-tà storico-letteraria di De Salvo. Quest’ultimi ci hanno creduto e così è venuto fuori il vero tesoro, quello nascosto sotto tre palmi di terra, per restituirlo a Palmi ed al resto della intera umanità. Non il tesoro di Donna Canfora,

quello della gallina d’oro con i sette pulcini pure essi fatti di oro massiccio e neppure caddareddri pieni di monete d’oro di cui for-se, ancora oggi, qualche vecchio contadino racconta, ma qualcosa di ben più sostanzioso ed impor-tante. Da sotto tre palmi di ter-ra, sono venuti alla luce i resti delle città romana e di quella italica insieme ai villaggi dell’età del bronzo e con essi i manufatti ceramici e metallici, le monete, le iscrizioni, i mosaici e le scul-ture. Un insieme inscindibile che comincia a raccontare una storia lunga secoli, una storia, signifi-cativa e singolare, che abbraccia anche parte dei territori circo-stanti all’interno dei quali esso si pone certamente come uno dei poli principali.

L’inaugurazione del parco ar-cheologico, alla presenza dei funzionari e dei responsabili degli enti che a vario titolo hanno de-terminato e contribuito nel tem-po alla sua realizzazione (la Dire-zione Regionale per i Beni Cultu-rali (Arch. Francesco Prosperetti) e la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria (Dott.ssa Simonetta Bonomi e Rossel-la Agostino); il Comune di Palmi (Dott.ssa Maria Rosa Garipoli), La Provincia (Dott. Giuseppe Raffa ed Edoardo Lamberti Castronuo-vo e la Regione), ha posto fine ad un lungo sonno, così, però, si è riaperta la via verso nuovi oriz-zonti. Si riparte da questa nuova “città antica”, che, grazie alla

sua ubicazione strategica, con-trollava l’area che dallo Stretto arriva fino a Capo Vaticano, così come il vasto territorio attraver-sato dal fiume Petrace (l’antico Métauros) con il percorso che conduce verso l’Aspromonte. Le indagini archeologiche hanno portato alla luce le diverse par-ti degli insediamenti che si sono succeduti nel tempo: il villaggio dell’Età del bronzo (II millennio a.C.), la città italica dei Tauriani (dal IV al I secolo a.C.), la Tau-riana romana (I secolo a.C.-IV se-colo d.C.) il complesso sacro me-dievale (IV-XIV secolo) dedicato al culto di San Fantino. Le capanne di 4.000 anni fa, gli impianti ur-bani della città prima brettia e poi romana (2400/2000 anni fa); le architetture pubbliche, sacre e private come la casa del mo-saico, il santuario urbano (da tut-ti conosciuto come il palazzo di donna Canfora) e l’ultimo impor-tante ritrovamento dell’edificio per spettacoli testimoniano, in-sieme al complesso medievale di San Fantino, alla torre Aragonese (1500) e al fortino a mare il ruolo centrale di quest’area rispetto al più vasto comprensorio del golfo che si estende tra il Mesima ed il Petrace fino alle creste aspro-montane.

Il giorno dell’inaugurazione ab-biamo scelto però di non presen-tare il sito attraverso le sue sole pregevoli testimonianze archeo-logiche. Abbiamo voluto dare un piccolo cenno, far intravedere

le grandi potenzialità che il sito contiene e che potrebbe espri-mere quale particolare volano di rinnovati processi di sviluppo sociale ed economico, in primis, per la intera comunità Palmese, oltre ovviamente a rivestire il ruolo di scrigno principale di una identità storica troppe volte rapi-ta dalle infinite storie di partenze senza ritorno che purtroppo ve-dono ancora protagonisti diversi giovani. Tutto questo è stato pos-sibile anche grazie a quanto già sperimentato in cinque anni di progetto (dal 2003 al 2007) con la scuola elementare di Taureana (Circolo Didattico San Francesco diretto allora dal Prof. Giuseppe Surace), grazie all’impegno delle insegnanti coordinate dalla infa-ticabile responsabile del plesso Carmela Angì, alla collaborazio-ne con l’Istituto d’Arte di Palmi, rappresentato dagli insegnanti Carmelo Cambareri, Albino Can-nizzaro e Arturo Caristi e dai loro ragazzi, all’impegno di altri in-segnanti esterni come Donatella Pititto, Teresa Barrara e Antonio Gelardi, ma soprattutto grazie alla passione ed all’impegno dei genitori e delle famiglie dei bam-bini che con vero sentimento di partecipazione hanno aderito e contribuito alla realizzazione di un laboratorio permanente sul territorio, laboratorio di “arche-ologia” durante il quale sono sta-te sperimentate le diverse attivi-tà relative alla ricerca e allo stu-dio del mondo antico per mezzo

Una giornata speciale al parco… dei Tauriani di M. Maddalena Sica - Responsabile per le associazioni della gestione del parco -

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di percorsi formativi diversificati dove lo studio o meglio l’acquisi-zione passiva si è trasformata in partecipazione attiva nella quale musica, danza, mimo e recitazio-ne hanno consentito ai bambini, e attraverso loro alle famiglie, di “vivere” l’archaiologìa. Per tut-to questo, abbiamo pensato che era più giusto e significativo ac-cogliere i partecipanti, nel giorno dell’inaugurazione, con le parole dello stesso De Salvo - e non solo – evocate dalle voci di Giuseppe Cricrì, di Vladimiro Maisano e di Lilli Sgrò, insieme alla lettura di alcuni brani di sintesi di storia lo-cale.

E, con la complicità testarda e visionaria dell’assessore Lamber-ti Castronuovo, abbiamo potuto anche assistere ad una metamor-fosi del luogo molto speciale e piuttosto unica, grazie alla splen-dida voce del soprano Serenella Fraschini che dall’alto del podio del santuario ha cantato la ce-leberrima aria “Casta Diva”: gli ulivi che con le loro chiome av-volgono il santuario, per un lun-go attimo trasformatisi in piante sacre, hanno fatto da corona alla preghiera-invocazione che la sa-cerdotessa Norma, protagonista nell’omonima opera di Vincenzo Bellini, rivolge alla luna.

Nel giorno dell’inaugurazione, si è cercato di restituire questo luogo, già naturalmente attraente di suo, al fantastico e alla mera-viglia, condizioni e stati d’animo che si possono generare solo in

luoghi così speciali. Perché que-sto, si, è un luogo molto speciale. E non lo è solo per noi archeologi che cerchiamo disperatamente, non sempre con successo, di far parlare le pietre. Ma lo è per tut-ti coloro che vogliono e vorranno che questo sito continui ad esse-re un luogo veramente speciale, un luogo unico per ognuno di noi, dove la conoscenza della storia possa trasformarsi in cultura del rispetto per la bellezza.

Noi che abbiamo già lavorato e che continuiamo a ricercare, a studiare, a scrivere, a combat-tere, a spenderci pensiamo che Antonio De Salvo o meglio il suo pensiero delicato e discreto sia, per fortuna, sopravvissuto e vor-remmo che tutti quelli che fino ad oggi ci hanno dato una mano possano e vogliano continuare a darcela insieme a quanti vorran-no essere “gli amici del parco”. A tal proposito, approfittando dello spazio concesso dalla redazione di questo giornale, che ringrazio per aver ospitato queste rifles-sioni così poco archeologiche, per annunciare che a partire dal giorno dell’inaugurazione abbia-mo pensato di mettere e tenere insieme coloro i quali si sentono e vogliono essere parte di questo progetto per il futuro e che sono quindi “gli amici del parco”. Ed è qui che a pieno titolo sono già in-seriti tutti coloro che, nella fase di preparazione e dell’evento inaugurazione, hanno dato il loro notevole contributo: dagli ami-

ci di Grafia che ci hanno fatto il possibile e l’impossibile, da Gino Mattiani per aver messo a disposi-zione la strumentazione per il so-noro, al fioraio Zirino che ha dato colore agli spazi che abbiamo utilizzato, agli amici di Scinà 015 Ristopub che hanno gestito magi-stralmente, con grande professio-nalità e partecipazione, il buffet offerto da loro stessi e da tutti gli altri amici che hanno volu-to essere partecipi consentendo così la riuscita di una bellissima festa popolare: Alimentari di Te-desco Maurizio, Cont’è di Sabrina Mattiani, Euromarket di Fedele e Pirrottina, Bar Araba Fenice, 10 HP, Iannelli, Sollevante, S. Rita, Bar Rosticceria Francesco Bran-do, Camping San Fantino, Centro Commerciale Le Palme, Dentalab di Barbagallo e Cricrì, Farmacia Barone, Gelateria Crema & Cioc-colato, Hollywood Bar, Hotel Ar-cobaleno, Hotel Katia, Oscar Bar, Resort Capo Sperone, Angolo Ver-de, Aulinas, Casa Nostra, Giosuè, I Canali del Gusto, La Collina, La Conchiglia, La Lampara, La Rupe, L’Ancora D’oro, Miami, Sant’Elia.

Oggi le notevoli testimonianze archeologiche custodite dal pia-noro e inserite in una cornice di straordinaria bellezza paesaggi-stico-ambientale sono visibili e fruibili da tutti grazie alla realiz-zazione del parco con un finan-ziamento ad hoc APQ Ministero Beni Culturali e Regione Cala-bria, del Ministero dell’Economia e delle Finanze e della Provincia

di Reggio Calabria. A questo bi-sogna aggiungere l’importante contributo dato alle campagne di scavi condotte dalla Soprin-tendenza in collaborazione con le Università della Basilicata e di Roma Tor Vergata dall’ammi-nistrazione comunale guidata da Nino Parisi, tra il 2003 e il 2006, proseguito dalla successiva am-ministrazione Gaudio per gli anni 2007-2008.

Attualmente le associazioni Ita-lia Nostra, sezione di Reggio Cala-bria (associazione nazionale per la tutela del Patrimonio Storico Artistico e Naturale della Nazio-ne) e il Movimento Culturale San Fantino di Palmi (associazione per la conoscenza e la valorizza-zione dei Beni Etnoarcheologici e Storico-artistici), grazie ad una convenzione con il Ministero per i Beni Culturali per la custodia, la manutenzione e la promozio-ne del sito, sono impegnate dal mese di agosto, nella gestione del parco che fino alla fine di ot-tobre sarà aperto il sabato dalle 15 al tramonto; la domenica e i festivi dalle 10 al tramonto. Da novembre a marzo il parco aprirà la domenica e i giorni festivi dal-le 10 al tramonto.

Per ulteriori informazioni e per richieste su prenotazione (min. 15 persone) tel. 340 7564492.

È in corso di allestimento il sito web sul quale comunicheremo gli aggiornamenti e le attività pro-grammate a partire dalla pros-sima primavera.

Una giornata speciale al parco… dei Tauriani

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VIMINALE

...Il Viminale, ribattezzato il Tita-nic italiano, fu costruito dalla Loyd Triestino nel 1925; ha una portata di 8657 tonnellate, è lungo 140 metri e largo 20 metri circa. Al suo interno ci sono sale lettura, sale studio, sale per i fumatori, cabine di I e II calasse finemente arredate...

Una nave passeggeri costrUita nelgli anni venti, Utilizzata poi per trasporto trUppe dUrante la gUerra, giace di fronte alle coste palmesi in tUtta la sUa affascinante bellezza.

LA FELICITA’

Caro Meceneo, sappi che la conoscenza della felicità non richiede un’età precisa, perché a qualsiasi età è

piacevole prendersi cura del benessere della propria vita. Conoscere la felicità riguarda sia il giovane sia l’anziano. Il secondo per trarre benessere dal caro ricordo che ha rea-lizzato, il primo per trarne forza e nutrimento e prepararsi a non temere il futuro”.

Così scriveva Epicuro nella sua epistola all’amico Meceneo introducendo il tema dell’esistenza di ogni uomo, il fine di ogni vita: la felicità. Tutti aspirano ad essa, tutti ne parla-no, tutti la cercano, tutti credono di averla afferrata anche un istante della loro vita. Il termine felicità ha come base un radicale indoeuropeo: FE da cui deriva ferax. I latini utilizzavano questa parola in merito a ciò che è produttivo (la terra). Per tale motivo felicitas indicava la capacità di accrescimento, di sviluppo, di potenziamento dell’essere. La caratteristica forse più evidente e insieme più nascosta della felicità è la sua assenza di motivazione. Se la cercas-simo probabilmente non la troveremmo mai. D’improvviso essa ci prende, ci agita, ci scuote, ma come burattini esal-tati e in preda al fuoco della gioia ne ignoriamo il perché. Crediamo di toccare il cielo con un dito, ci sentiamo i pa-droni del mondo, come se ogni cosa, ogni evento ruotasse intorno al nostro ego; come se con un solo cenno del nostro capo tutto il dolore del cosmo potesse sparire, come se tut-ta la natura gioisse insieme a noi. Quale piacevole inganno! Con la stessa facilità con cui questo stato di spaventosa euforia ci prende, altrettanto velocemente ci abbandona con un forte senso d’amaro in bocca. Si potrebbe, dunque, concludere che se la felicità fosse questa, in fondo essa non ci apparterrebbe mai, ma sarebbe un’illusione che ci delude e ci allontana dal senso stesso della realtà. Niente di più sbagliato! La felicità non risiede nelle grandi imprese e nelle gloriose opere, non alberga negli stati di megalomania e negli slanci estatici, ma nelle mansioni che quotidiana-mente impegnano le nostre giornate, essa abita in noi fin da sempre. Per Aristotele la felicitas è uno stato della per-sona, l’equilibrio tra anima e corpo, è la realizzazione delle potenzialità individuali. Il socratico “Conoscere se stessi” è una delle vie che conduce direttamente alla felicità, ad una sua forma forse meno esaltante ma più durevole, la sola in grado di accompagnare l’uomo per tutto il corso della sua esistenza: la serenità. Essa è il cielo senza nubi nere, è armonia tra noi e il mondo.

di Chiara Ortuso

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Anno II - Nr. 22 - Ottobre 2011

AttUAlItA’ Palmi

I fondali del mare nascondono tesori che per decenni rimangono non visibili, sconosciuti, e solo l’amore per il mare e la caparbietà di chi vive le emozioni che esso regala, fa sì che da anonimi, quei tesori diventino conosciuti. È successo con il Viminale, l’enorme mo-

tonave, vanto della cantieristica navale italiana degli anni Venti, affondata a largo di Palmi a 108 metri di profondità, il 25 luglio del 1925, durante il suo tragitto da Siracusa a Napoli, in seguito ad un bombardamento delle unità americane alleate. Da quel il Viminale giorno riposa indisturbato sul fondo del mare, mantenendo ancora quasi intatta la straordinaria ricchezza del suo carico. Il Viminale, ribattezzato il Titanic italiano, fu costruito dalla Loyd Triestino nel 1925; ha una portata di 8657 tonnellate, è lungo 140 metri e largo 20 metri circa. Al suo interno ci sono sale lettura, sale studio, sale per i fumatori, cabine di I e II calasse finemente arredate, nonché ampie stive per la merce. Sul ponte sono presenti due imbarcazioni di salvataggio ed altri due mezzi utilizzati per i servizi in porto. Nata come nave passeg-geri, il Viminale ha fatto il giro del mondo, toccando anche il Giappone e in un secondo momento, durante la II Guerra Mondiale, è stata convertita in nave per il trasporto delle truppe. Perciò il Viminale è anche nota come l’ultima nave di Mussolini.

I racconti dei pescatori della Tonnara, che ricordavano di una nave affondata a largo di Palmi, hanno spinto i sommozzatori del Centro Immersioni “Costa Viola” di Palmi, a cercarla; nel 2000, una spedizione guidata da Rocco Tedesco e Giuseppe Dato, dopo diversi giorni di perlustrazione del fondale, ha ritrovato l’enorme relitto che giace lì, e che da quel giorno è divenuto l’attrazione di diversi subacquei tecnici, che giungono ogni anno da ogni parte del mondo per visitarla.

Tra il 25 ed il 30 settembre scorso, un gruppo di 13 sommozzatori francesi, tedeschi, polacchi e belgi, attratti dalla straordinaria storia del Titanic italiano, ha visitato la motonave, guidato da Aldo Ferrucci.

Per l’occasione, Linea Blu, il popolare programma Rai che racconta i segreti del mare, ha inviato le proprie telecamere ad effettuare delle riprese che saranno trasmesse in una delle puntate prossime.

VIMINALEdi Viviana Minasi Fo

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Una nave passeggeri costrUita nelgli anni venti, Utilizzata poi per trasporto trUppe dUrante la gUerra, giace di fronte alle coste palmesi in tUtta la sUa affascinante bellezza.

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PUntI DI vIstA

Il tran-tran dei rapporti abi-tudinari della famiglia ha

soppiantato gli affetti: è questo il risultato avvilente della no-stra società polverizzata. La fa-miglia, oggi, è sempre meno un luogo dove si sviluppano forme di amore e sempre più una re-altà di civile coabitazione, dove prevalgono gli interessi pratici e la buona gestione. A tal pun-to onnipervadente è diventato il malcostume sociale veicolato dai mass-media, che le realtà della vita familiare ne vengono pro-fondamente influenzate. Ciò che conta è che l’azienda-casa fun-zioni e che permetta a tutti i suoi componenti sufficienti soddisfa-zioni. Ciascuno, pertanto, seppur nella convivenza, si costruisce la

lE nOttI BRAvE DEllA GIOvEntU’ DI OGGILE NOTTI BRAVE DELLA GIOVENTU’ DI OGGIsua vita e farà di tutto affinchè gli intralci siano ridotti al mini-mo, in modo tale da abbassare la soglia dell’intensità affettiva che serve a diminuire le tensioni e i problemi quotidiani. Così stando le cose, un clima di crescente freddezza grava sempre più spes-so sui rapporti familiari. Come potrebbe spiegarsi, per esempio, che certi genitori ignorino se il loro figlio si droga e si portino addosso l’angoscia di questo dub-bio? Una sorta di estraneità con-divisa si stabilisce, così, all’inter-no del nucleo familiare e genera situazioni che sempre più spesso esplodono di fronte al compor-tamento dei figli. Sono di moda, per esempio, le uscite dopo cena fino alle ore piccole, per poi leg-gere sui giornali il ricorrente fe-nomeno di giovani vite spezzate

in incidenti stradali soprattutto del sabato notte. Considerato che la fragilità dei giovani di oggi si misura soprattutto attraverso forme di ribellione fine a se stes-se, i genitori non possono rego-lare meglio queste uscite? Certo la soluzione del problema non sta nella reclusione. E addirittura gli esperti di questa fenomenologia giovanile concordano nel ritenere che i pericoli più gravi si corrono in casa, perché sono più nocive le distorsioni degli affetti fami-liari che le “cattive compagnie” frequentate fuori casa. Al tempo stesso resta il fatto che è troppo rischioso questo restar fuori in auto, storditi dall’alcol, dalla mu-sica e dalle droghe fino all’alba. Non si può far nulla per impedir-lo? Stando così le cose, sembra una pia illusione, soprattutto per-

di Mario Idà ché questo concetto di “libertà” - intesa come mero accumulo di esperienze, come conquista ma-teriale di oggetti e comodità, e quindi libertà che si misura con la quantità dei beni materiali - si rivela – alla prova dei fatti - del tutto nociva e illusoria. Sicchè è compito fondamentale dei geni-tori educare la prole a sani co-stumi di vita. Un altro problema è la difficoltà crescente a dire di “no” ai figli, imponendo limiti categorici alle loro richieste. Se invece la famiglia fosse il luogo di protezione affettiva dal quale si possono criticare i modelli sociali e le mode estemporanee e in cui è possibile, dialogando, elabora-re insieme un sentimento auten-tico di vita, alternativo all’ansia dell’accumulo, allora anche un divieto diventerebbe credibile.

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Anno II - Nr. 22 - Ottobre 2011

PUntI DI vIstA

di Carmela Gentile

Devo dire che in un primo momento mi è venuto da ride-re perché il tale esimio rappresentante della nostra classe politica (sia pur di parte) elargiva le sue affermazioni col l’aria che probabilmente aveva Garibaldi quando arringava i suoi; ma successivamente sono stata colta da una tristez-za infinita e, chissà perché, mi è sembrato di essere stata catapultata nel Medio Evo. Secoli e secoli di civiltà non ci hanno insegnato proprio nulla! Quei poveri diavoli fuggono da guerre, miseria e povertà e noi siamo convinti che ci vogliano invadere. Con cosa? Con le buste di plastica in cui conservano i loro stracci?, con le pietre che si porta-no nelle tasche dalla loro Terra? Certo che noi occidentali vantiamo tanto la nostra civiltà e disprezziamo i derelitti, come fossero figli di un dio minore. Non dimentichiamo che la profonda ferita inferta dalla seconda guerra mondiale all’umanità è ancora aperta e sanguina. I milioni di Ebrei sterminati per proteggere la razza Ariana, ancora gridano vendetta. E noi, non abbiamo imparato nulla dalla storia! L’uomo fa presto a trasformarsi da vittima in carnefice, in una specie di circolo vizioso maligno, che un giorno ci vede vincitori e il giorno dopo vinti. Così il popolo ebreo che, dopo la seconda guerra mondiale venne incoraggiato a for-mare uno stato omogeneo, Israele, in cui potersi ritrovare. Israele è la Terra dei Padri, il luogo dove si incontrano le grandi religioni monoteiste del mondo. Ad Israele il popolo ebreo si è trasformato da vittima in carnefice, cacciando via senza pietà i Palestinesi che occupavano quelle terre da quasi duemila anni, cioè dopo la diaspora.

Ho conosciuto un collega, un medico arabo – palestinese, una persona meravigliosa che risiede in Italia ed ha spo-sato un’Italiana. La sua vita è tutta un romanzo, sempre in fuga dalla guerra. Da bambino venne cacciato dalla sua città (in Cisgiordania) dagli israeliani dopo la guerra dei sei giorni. Fuggì con i suoi familiari e si rifugiò in Kuwait, dove un fratello maggiore si prese cura di lui e lo fece studiare. Lo mandò in Italia, a Roma, dove imparò la lingua, si lau-reò in Medicina e Chirurgia e si specializzò in Anestesia e Rianimazione. Conobbe sua moglie, anch’essa medico e, dopo un matrimonio estremamente “politically correct” cioè celebrato sia col rito cattolico, che col rito islamico, tornò in Kuwait, per esercitare la sua professione come medico in un ospedale militare. Quando Saddam Hussein invase il Kuwait, fu costretto a fuggire nuovamente con la moglie incinta ed un bimbo piccolo. Dopo un viaggio avventuroso tornò in Italia, dove si sistemò e acquistò, grazie al matrimonio, la cittadinanza italiana. Ottenne il passaporto italiano e, solo così poté ritornare a visitare la sua città natale in Cisgiordania. Tutta la sua famiglia adesso vive in Giordania e lui ha cresciuto i suoi figli nel massimo rispetto del pluralismo, vero è che pur essendo egli di religione musulmana, la moglie ed i figli sono di religione Cattolica e sono praticanti.

Da quando ho conosciuto quest’uomo mi sono resa conto di quante balle ci propinano i capi di Stato per convincerci che questo è il buono e quello è il cattivo. La verità è che siamo tutti uomini e, in epoca di globalizzazione riuscia-mo ancora a mettere barriere su barriere per difendere il nostro piccolo orticello e non riusciamo a vedere che la posta in gioco è molto più alta: è il destino di tutta l’umanità!

Qualche giorno fa, saltellando da un canale all’altro con il telecomando, mi è capitato di intercettare

un’intervista ad un deputato leghista, il quale afferma-va con la massima sicurezza di avere le prove che esiste in atto una cospirazione, ad opera dei Paesi islamici, per colonizzare e convertire l’Occidente all’Islam. In poche parole sosteneva che, dietro le orde di disperati che ven-dono tutti i loro averi per acquistare un biglietto senza ritorno su una di quelle carrette del mare dirette verso l’Occidente, vi sia una regia occulta che miri a conquista-re l’Occidente ed in particolare la padania che è la perla dell’Occidente!

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CUltURA E FOlKlORE

di Francesco Collura

QUELLA CHIESETTA SUL PIANORO ANTICO

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Anno II - Nr. 22 - Ottobre 2011

CUltURA E FOlKlORE

Ero bambino e mia madre per mano mi conduceva con i miei fra-telli la domenica a messa in quella chiesa adagiata sul pianoro

di Taureana: la chiesa della Madonna dell’Altomare, per la gente del luogo di san Fantino, nome anche della contrada, dove noi avevamo casa e si trascorreva l’estate.

Piccola e disadorna, raccoglieva i pochi fedeli, contadini sparsi nel-le vicine campagne e, spesso, anche sparuti pescatori. Solo una volta l’anno, l’ultima domenica di luglio (prima giugno), il giorno della festa della Madonna si riempiva fino allo spazio davanti.

D’estate, all’imbrunire, non più di dieci persone erano presenti alla benedizione impartita dal parroco ed io, fanciullo già, ero tra quel-le. Si tornava dal mare dopo un bagno nella sottostante e stupenda scogliera di Pietrapiana, ora scomparsa ed occupata dal porto, e si partecipava al rito.

Il silenzio riempiva la chiesa e l’odore d’incenso e di chiuso sovra-stava quello della campagna intorno. L’animo mio per poco era preso da un certo timore, fino al momento della preghiera e del solenne canto del Tantum ergo…poi, il segno della croce e fuori.

Intanto il sole presso l’orizzonte incendiava il mare e la sera, chia-mata dal suono della campana del vespro, s’avvicinava lenta e mi portava un po’ di malinconia. Lungo la stradina del ritorno a casa, mio padre, mio zio e gli altri, spesso sostando, parlavano, raccon-tavano fatti che non conoscevo. Io preferivo osservare le lucertole sui muri a secco, gli ulivi lontani, i filari di vite… e la chiesa che si allontanava piano.

A casa, intorno al tavolo, la cena era schiarita dalla luce fioca dei lumini d’argilla, tanti ad olio, posti da mia madre nelle stanze che proiettavano come un gioco curioso ombre tremolanti nelle pareti. La paura dei fantasmi, allora, ritardava il sonno di noi ragazzi e vinceva la stanchezza dei giochi.

Passava così un altro giorno. Il mattino dopo, dai balconi spalancati la luce inondava la casa ed il lungo ed atteso tintinnio della campana, mischiato al canto degli uccelli ed alle note voci rade e lontane della gente, invitava al lavoro ed ai nostri interminabili svaghi insieme con gli altri della stessa età. Poi, il canto stridente delle cicale e l’odore dei campi m’inebriavano ed il sole cocente della stagione mi riempiva di vita.

Gli anni e le estati passavano e diventavo adulto, tutto preso da altri impegni ed altre prove. Più in là, una nuova chiesa, intanto, era stata costruita e la mia, quella dell’infanzia felice, abbandonata e rimpianta da chi ancora in vita l’aveva frequentata come me.

I muri scalcinati, aggrediti dai rovi e dalle erbacce, mi ricordavano, ogni qualvolta passavo accanto, che la mia prima età era finita e tutto di essa mutato e quasi perduto. Il parroco aveva cambiato sede, la campana ormai più lontana aveva per me un altro suono, le cicale non stridevano più e tanti volti cari mi avevano lasciato per sempre.

Il mio mondo innocente era svanito e la mia fantasia e la mia gioia. Col passar degli anni, la vecchia chiesetta, per un segreto volere del destino, è stata recuperata, a poco a poco sottratta alla voracità del tempo, ma messa a nuovo, trasformata in un luogo di raccolta di cose antiche: pietre, mattoni e fuori accanto esumati tratti di muro, rifat-ta per essere adibita ad un freddo museo o chissà altro.

Mesi addietro, trovando la porta aperta, la curiosità ed un miste-rioso richiamo mi hanno spinto ad entrare. Non più i fedeli ed i loro inni, ma buche nel pavimento, recinzioni, pietre antiche forse e vari reperti di poco valore sparsi qua e là. Quanto strazio! Triste ho scru-tato le pareti dal colore ormai sbiadito, ho osservato il tetto, lo spo-glio e desolato altare, un tempo adorno con fiori di campo, verso cui pregavo a mani giunte. Tutto era spento e muto.

Ho cercato invano di sentire l’odore d’incenso e di muffa d’una volta, scacciato da altri, a me strani. Niente. Ad un tratto, il ricordo sopraggiunto meraviglioso come la luce dell’estate e lieve come le ali delle farfalle, che inseguivo sulle siepi, ha vinto l’amarezza. Sono ritornato fanciullo e con me piano piano ha ripreso a vivere la mia chiesetta. Dolce come una culla mi ha accolto tra le sue pareti dopo avermi aspettato tanto. Ho udito il canto del sacerdote, il suono del campanello ed il coro sommesso dei fedeli invocanti il Signore, le voci dei miei e di quelli che tanti anni addietro mi accarezzavano. Ho visto chiari i loro volti. Erano tutti lì per dirmi che mi volevano ancora bene.

Ho compreso, allora, che quella chiesa (ed ogni altra) ha un’ani-ma, qualcosa di divino e di umano che parla al cuore ed accompagna l’uomo nella sua dimora terrena, per cui gli appartiene. Solo in essa si possono cantare le lodi del Signore e soprattutto mai potrà essere trasformata in un museo, perché non è il luogo dell’antico, ma dell’e-terno, infatti conserva come in uno scrigno divino le implorazioni, le lacrime, le attese, la fede e le storie di ogni credente. Custodisce i momenti più belli dell’esistenza di ognuno, dal battesimo al congedo da questa terra in grazia di Dio e li ridona, specie nello sconforto, consolatori.

Una chiesa per un cristiano è una seconda casa, non può essere altro. La casa della comunità devota, della carità, della pace e princi-palmente della speranza, perciò in essa spesso si compiono per dono celeste certi miracoli. Sulla porta, come d’incanto, un’eco gradita e lieve ho sentito venire da lontano, quella della mia infanzia e della mia fanciullezza e chiamarmi come una volta la voce soave di mio padre e di mia madre.

QUELLA CHIESETTA SUL PIANORO ANTICO

Foto grande - La Chiesetta di San FantinoFoto piccole - La Cripta - Il pozzo di San Fantino

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CUltURA E FOlKlORE

di Rocco Liberti

Nell’ultima domenica di agosto del 1736, come vigeva ormai per antica consuetudine, a Palmi si era in viva agitazione per

l’imminente solenne svolgimento del rito in omaggio alla Madonna della Lettera. Anzi, ci si trovava proprio al momento in cui «si stava preparando per uscire la processione col trionfo della bara». Tut-to procedeva certamente in ordine e si stava pronti ad affrontare il tradizionale percorso, quando una «pubblica rissa» è intervenuta al-quanto a sconvolgere le cose. Quant›era successo nelle more veniamo ad appurarlo dalle dichiarazioni che il susseguente 8 febbraio 1737 rilasceranno ad un pubblico notaio il mastrogiurato mag. Bruno Ficalli ed il capitano di campagna Francesco Chirico.

Il mag. Francesco Lo Monaco, che doveva essere una specie di guap-po ed un inveterato donnaiolo, avendo adocchiato tra la folla una «fe-mina di Bagnara, l’andava violentando, ed istigando», ma aveva fatto male i conti perché un parente, che seco lei doveva accompagnarsi, ha reagito vivacemente «a segno che vi furono molte bastonate, an-che con effusione di sangue». Non appena edotto del fattaccio, si è fatto avanti subito il mastrogiurato con la sua «giura», ch’è stato co-stretto a misurarsi animosamente pure con gli altri «bagnaroti» fattisi frattanto presso minacciosi. È stato perciò per la pronta opposizione di quegli che il Lo Monaco è riuscito a guadagnare il «rifuggio» dentro la chiesa ed a scampare provvisoriamente all›arresto minacciatogli dal capitano, il quale, al primo strepito, si era fatto anch›egli sotto alla testa dei suoi soldati.

Il frangente si qualificava dei più delicati ed era prevedibile che a breve potesse scoppiare qualche altro incidente, per cui, onde «non disturbarsi detta processione, e fiera», il mastrogiurato, stimando che la persona che si era rivoltata alle prepotenze del Lo Monaco non intendesse rientrarsene con le buone al proprio paese, ha pensato bene di farla scortare fino alla marina col proposito di avviarla verso Bagnara. Intanto il capitano, al quale non era riuscito subito di averne ragione, ha provveduto nei giorni successivi a mettere in gattabuia chi era stato causa di tanto disturbo. Naturalmente, di tutto venne ragguagliato l›agente dei feudatari Spinelli, che all›epoca era d. Mel-chiorre de Leone, il quale si è detto ben contento di tale carcerazio-ne, in quanto quegli doveva rispondere di ben altre «incombenze del Padrone segrete».

Quali si figuravano siffatte incombenze lo accertiamo per mezzo di altra dichiarazione rilasciata lo stesso giorno al medesimo tabellione da due fratelli, il rev. cappellano d. Francesco e Giovanni Frosina. La moglie di quest’ultimo, Francesca Bonazza, ch’era stata dal Lo Monaco invitata «a condescendere alle di lui voglie», ai primi di quel famoso agosto aveva corso davvero per causa sua un grave pericolo. Una notte quel malnato ha appoggiato una «scaletta » ad una finestra posteriore della casa della donna col chiaro intento di «violentarla», però mal glien’è venuto perché la poveretta si è data subitaneamente a gridare, per cui non gli è rimasto restò svignarsela in tutta fretta, onde non incappare in seri guai con la giustizia. La scaletta abbando-nata al suo destino è stata portata allora quale pegno testimoniale al governatore d. Bernardo Rositano, ma costui, malgrado il mastrogiu-rato avesse steso in proposito la sua brava relazione, non se n’è dato per inteso ed ha evitato di muovere alcun dito. Ai risentiti parenti della Bonazza è toccato perciò il compito di officiare il tutto a «S. E. Padrone», tramite logicamente l›agente generale, il de Leone. A que-sti, però, la parte offesa ha rivolto viva preghiera di voler attendere l›occasione propizia prima di agire, dato che si trattava di «materie gelose di stima, reputazione, ed onore» e non era, quindi, il caso di spiattellare ogni cosa sulla pubblica piazza. Quale perciò migliore evenienza che quella in cui era «sortito un certo fatto occorso in tem-po della festa... in dove vi furo mazzate tra una parte, e l›altra con effusione di sangue?». Contro l’inerzia o addirittura la connivenza del Rositano si sono costituiti dal notaio, sempre nel medesimo giorno 8 febbraio, i sindaci di Palmi, Antonino Poeta e Giacchino Sciglitano, il mastrogiurato Ficalli, il capitano Chirico, m.ro Francesco La Raggione e Domenico Oliveto, i quali si erano già portati in delegazione dal de Leone, cui si erano frattanto uniti d. Rosario Falvetti ed il mag. Anto-nino Cavallo di Seminara.

Dai vecchi atti si ricavano almeno due deduzioni di una certa im-portanza. Nel 1736 la festività in onore della Madonna della Sacra Lettera era già parecchio in auge avendola forse rinvigorita i recenti decreti del 23 agosto 1732 e 23 settembre 1733 relativi alla concessio-ne della recita dell’Ufficio in uso a Messina, città dalla quale il culto negli antichi tempi era trasmigrato a Palmi. Di conseguenza, il tempio appariva particolarmente accorsato e la processione molto seguìta. A farne fede sono i tanti “bagnaroti”, la cui presenza sulla scena avalla in pieno l’affermazione del Fiore, laddove dice che alla sua epoca la festa era ricercata da «maraviglioso concorso di Popoli».

Tafferuglio per motivi di onore nella festività della Madonna della Lettera nel 1736

Dipinto della “Madonna della Lettera”del messinese Antonio Filo-camo (1669-1743) - Il testo in basso riporterebbe la lettera inviata

ai messinesi.

“Maria Virgo, Joachim et Annae Filia, Humilis Ancilla Domini, Mater Jesu Christi, qui est ex Tribu Juda, et de Stirpe David, Messanensibus omnibus sa-lutem, et a Deo Patre Onnipotente Benedictionem. Per publicum documen-tum constat, Vos misisse ad Nos Nuncios, fide magna: Vos scilicet credere, Fi-lium Nostrum a Deo genitum esse Deum, et hominem, et post Resurrectionem suam ad Coelum ascendesse; Vosque mediante Paulo Apostolo electo viam ve-ritatis agnovisse. Propterea vos, vestramque Civitatem benedicimus, et pro-tegimus eam in specula saeculorum”.Data fuit haec Aepistola die quinta in Urbe Hierusalem a Maria Virgine cuius nomen supra, Anno XXXXII a Filio eius, speculo primo, Die 3 Juni, Luna XXVII”

La Madonna della Lettera custodita nella Chiesa Matrice di Palmi

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CUltURA E FOlKlORE

A qualche centinaio di metri dalla Stazione delle FF.S.

di Palmi e a ridosso delle abita-zioni del rione Impiombato, la cui località è nota come Macello-Pignarelle, esiste un grandioso insediamento rupestre di chiara impronta monastica Bizantina. Le grotte erano ben note in passato a tanti Palmesi in quanto aveva-no trovato rifugio dai bombar-damenti aereonavali dell’ultimo conflitto mondiale, senza però, che nessuno abbia mai capito l’o-rigine e l’importanza della loro presenza. Nonostante fin dalla scoperta ci siamo preoccupati at-traverso i media e in un convegno tenutosi a Melicuccà di evidenzia-re la grande rilevanza storica ed architettonica che il complesso riveste, fino ad oggi si è riscon-trato solo l’appagamento della curiosità di alcuni politici locali e la visita di qualche “addetto ai lavori” che, evidentemente, non era animato da nessun interesse. Purtroppo, non si vuole anco-ra capire che il sito deve essere salvaguardato, recuperato e reso accessibile sia perché l’impone un dovere civico, sia perchè può rivelarsi un altro motivo di in-teresse per turisti e studiosi in aggiunta ai luoghi paesaggistici, ai musei e gli importanti appun-tamenti culturali, tradizionali ed artistici della nostra Città.

Il luogo è chiamato dai Palme-si “Tarditi” forse per ricordare il nome del tecnico governativo che ricostruì alcuni quartieri del-la parte bassa della città dopo il terremoto del 1908. L’individua-zione delle grotte non è facile per chi si avventura da solo e per la prima volta, soprattutto per-chè sono collocate in un ripido costone e celate alla vista da una fitta vegetazione naturale che essendosi conservata nei secoli, merita uno studio da parte degli esperti. Sul posto si arriva attra-versando precari sentieri trac-ciati sopra quei terrazzamenti che i contadini costruirono con le opere titaniche delle armacie, ormai ovunque franate, per ot-tenere terreno coltivabile anche dagli impervi pendii. Dal costone la visuale dell’immenso bacino di mare che si estende dallo Stretto di Messina fino a Capo Vaticano è assolutamente libera, tanto da poter avvistare tutte le navi che transitano. Il complesso rupestre è composto da una serie di grotte scavate dai monaci nell’arenaria su diversi livelli e tutte con l’in-gresso orientato a Nord. L’im-pronta Bizantina del sito di “Tar-diti” si evidenzia già dalla prima grotta per la presenza all’esterno di una croce scolpita nella roccia con le quattro punte a forma di freccia. La cavità è formata da un solo vano e con un’ampia apertu-ra dalla quale si dipartono alcuni

cunicoli che penetrano per diver-si metri all’interno. La seconda grotta è profonda circa 17 metri e termina in un’Abside. E’ contras-segnata anch’essa da una piccola croce scolpita sull’arco della roc-cia della volta che guarda l’ester-no e, quasi certamente, era la dimora del capo della comunità religiosa: l’Egumeno. La più inte-ressante di tutto l’insediamento rupestre, sia per estensione che per la sua forma architettonica, è rappresentata da una grande cavità situata al centro di tutto il complesso rupestre che per le sue particolari caratteristiche è denominata scientificamente Basilica. Si presenta a tre navate con quella centrale alta circa sei metri e larga almeno tre, mentre le due navate laterali misurano circa due metri di larghezza ri-dotte ormai ad un’altezza di circa 150 cm per l’accumulo di mate-riale terroso trasportato dall’e-sterno dalle piogge.

A circa 50 metri dall’ingres-so della grotta i corridoi laterali vanno a confluire in quello cen-trale formando un incrocio che assume l’aspetto di una vera e propria croce alla greca. La pare-te terminale della navata centra-le presenta un’Abside dalla forma ellittica dove i monaci appende-vano Crocefissi e Icone. In quasi tutte le pareti dell’imponente grotta e sul suolo sono ben evi-denti ed in gran numero gradini, nicchie, portalampade e giacigli, che fanno presupporre che la Ba-silica abbia ospitato una comu-nità molto numerosa di monaci dal momento che era utilizzata come chiesa e abitazione. Un’al-tra grandissima grotta situata nello stesso gradone ed esplorata più volte, ha rivelato un collega-mento con la Basilica mediante un angusto e ben celato cunicolo. L’ingresso si presenta molto am-pio ed è ostruito da grossi massi caduti dalla zona sovrastante e da arbusti che impediscono l’en-trata. Esistono ancora tante altre grotte che non si sono esplorate perché le frane hanno chiuso gli ingressi, mentre in qualcuna si può individuare ancora un antico utilizzo come stalla o cantina di una casa colonica. Nel costone di fronte all’insediamento che è separato da un canalone invalica-bile dove un tempo scorreva un ruscello d’acqua e oggi utilizzato come scarico fognario, si trova ben mimetizzata una piccola ca-vità, forse l’unica naturale, che presenta anch’essa all’ingresso due minuscole croci scolpite nel-la roccia. L’esistenza di una pic-cola feritoia costruita con calce e pietre sul lato destro che guarda verso l’alto, lascia pensare che serviva ai monaci per allertare i fratelli situati nella parte oppo-sta quando arrivava qualche pe-ricolo da terra.

La presenza in Calabria dei monaci bizantini è attestata fin dai tempi di Cassiodoro (VI sec.)

e risulta molto consistente nel-l’VIII secolo in conseguenza delle persecuzioni Iconoclaste, (contro le Sacre Immagini), proclama-te da Leone III Isaurico. Succes-sivamente, per trovare rifugio dall’occupazione della Sicilia da parte dei Saraceni, affluirono in questo estremo lembo di Cala-bria una moltitudine di religiosi che fondando numerosi Mona-steri e Laure lo fecero diventare come una novella Tebaide.

Le Laure e i Monasteri erano in-fatti anche centri di cultura dove si raccoglievano i testi antichi che i monaci letterati trascrive-vano con abile arte calligrafica, realizzando splendide miniature nel rispetto delle tradizioni di Bisanzio come è testimoniato dal Codice Purpureo di Rossano.

I monaci orientali dell’ordine di San Basilio della Siria e della Cappadocia trovarono prima in Sicilia e poi in Calabria, quel-le stesse condizioni religiose ed ambientali che avevano lascia-to nella loro Patria. Arrivarono nella nostra Regione anche dalla Palestina, Egitto ed Asia Minore e furono chiamati Greci sia per-chè provenienti dall’impero gre-co o bizantino e, quindi, col rito liturgico di Costantinopoli, sia per distinguerli dai latini d’occi-dente. La loro vita cenobitica era ispirata alle regole dettate da San Basilio fondate sulla pover-tà, l’obbedienza all’Egumeno, la preghiera in comune e il lavoro manuale. Le regole variavano da una comunità all’altra secondo le prescrizioni impartite e fatte os-servare dall’Egumeno, che aveva anche il potere di scegliere il suo successore tra i monaci più degni della comunità.

Tra gli oltre 40 monasteri sorti nella Piana, uno dei più celebri fu senza dubbio quello Imperiale di Sant’Elia Profeta che il Santo En-nese costruì sull’omonimo mon-te che sovrasta Palmi (del quale riteniamo di conoscere l’ubica-zione), e quello molto più antico del Mercurion di Tauriana con la cripta paleocristiana, dedicato poi a San Fantino Abate dopo sua la morte avvenuta nel 975 a Tes-salonica, oggi Salonicco.

Il complesso monastico rupe-stre di “Tarditi”, quasi completa-mente conservato nella sua strut-tura architettonica originaria malgrado i numerosi crolli cau-sati soprattutto alle infiltrazio-ni di una fogna che scorre nelle vicinanze, dagli eventi calamitosi e dall’incuria umana, è senza al-cun dubbio unico nel suo genere esistente nel Meridione e forse in Italia.

Se le Autorità preposte doves-sero continuare ancora a per-severare nel loro disinteresse, sarà inesorabilmente destinato a scomparire nel tempo una delle più genuine e rare testimonian-ze del periodo bizantino che in Calabria si è protratto per circa cinque secoli.

di Francesco Lovecchio

LE GROTTEDI TARDITI

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CUltURA E FOlKlORE

LE GROTTEDI TARDITI

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CItOlEnA (URDIPIlI) di Saverio Petitto

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ItInERARI

di Gianfranco Lucente

Il mio oltre …e’ la storia dei miti greci, dello Stromboli e della sua antica civiltà eolica ed ….è la Fata Morgana.

Il passato seme per il nostro fu-turo.

Realizzare il progetto turistico delle Terre della Fata Morgana è, pensiero costante ed ossessi-vo che mi pervade e che spero si possa realizzare.

Intimamente convinto che il nostro territorio si possa offrire ad un certo turismo di nicchia, di cultori del bello e sicuro che questo moderno viaggiatore pos-sa rimanere affascinato dal clima mite dei nostri litorali e dall’aria rigeneratrice delle alture, dalle grandi distese di ulivi secolari e dalle armacie per la coltivazione dello zibibbo, dalla pesca anti-ca del pescespada, dal ritmo, dall’allegria, dalla musica e dai siti archeologici, dalla profonda religiosità e dalla passionalità innata della gente e soprattutto dall’ospitalità e dall’amicizia, che una volta provati, non possono essere più dimenticati, invito al-tri a riflettere.

La nostra vera ricchezza è a portata di mano, basta coglierla e osservare quanto ci circonda, con le aspettative e le prospetti-ve dei nuovi giovani, che si accor-geranno presto della fattibilità di questo progetto.

“IL VERO VIAGGIO DI SCOPER-TA NON CONSISTE NEL CERCARE NUOVE TERRE MA NELL’AVERE NUOVI OCCHI” (Marcel Proust)

In questo periodo va di moda un turismo ospitale; il turista viene ricevuto quasi a casa ed edotto sulle virtù ancestrali del posto, sulla buona cucina di una volta, sui prodotti genuini e sulle peculiarità alimentari, sulla sto-ria e cultura, sul patrimonio pa-esaggistico ed architettonico ed sul modo di vivere, di trascorrere la giornata.

Dobbiamo informare questo moderno viaggiatore sulla Magna Grecia e sugli antichi greci nostri progenitori ed inventori della ci-viltà occidentale, sulla vita sem-plice e valoriale, sul modo puro

e profondo di confrontarsi con la bellezza della natura.

La mitologia per i Greci era Vangelo e Corano e dai vari epi-sodi dei miti si estrapolano storie di vita ed insegnamenti.

Fillide, donna della Grecia aspettava trepidante sulla ter-razza della Reggia il suo Acamon-te, eroe che ritornava dalla guer-ra di Troia.

Vede la nave del suo sposo in prossimità del porto,ma una tempesta in mare sconquassa la nave, che sembra inabissarsi.

Affranta dal dolore Fillide muo-re e la Dea Era la trasforma in mandorlo.

Acamonte si è intanto salvato dalla burrasca e salito di corsa sulla terrazza, vede Fillide tra-sformarsi in mandorlo e per far-la ritornare in vita graffia con le dita l’albero; dalla sua corteccia lacerata spuntano fiori bianchi, bellissimi.

Il mandorlo e’ l’unico albero che produce i fiori prima delle foglie.

Da questo illustre passato na-sce l’ultima nostra speranza di cambiare il futuro.

Nulla può essere imposto ed organizzato dall’alto, ma deve essere fiore bianco bellissimo della corteccia del mandorlo, regalo offerto agli altri dal no-stro dolore,da una terra che ha sempre sofferto ed ha avvertito il senso profondo della vita e del vivere.

La Magna Grecia ci ha trasmes-so il sacro principio dell’ospitali-tà, la sua filosofia, l’importanza dell’ agorà, intesa come parte-cipazione di tutti ai programmi della polis,il sentire come aspi-razione al sacro, la realizzazione del bello.

Solo percorrendo questi splen-didi territori e percependo un’e-stasi estetica nel camminare e nel ricercare sensazioni,sentimenti e desideri, si può comprendere di aver percorso una magnifica ed insperata avventura interiore.

Non priviamo il moderno viag-giatore di questa gioia e lottiamo insieme affinchè la natura non subisca l’assalto forsennato del-le regole consumistiche e delle mode, che di quelle regole sono il veicolo più efficace.

Manteniamo quindi,un giusto equilibrio fra l’uomo e la natu-ra, preservando il più possibile questo nostro patrimonio; tutti quanti dobbiamo contribuire ad impedire una cementificazione sfrenata, uno sconvolgimento ambientale, che una carta od un veleno, una nostra cattiva educa-zione ecologica e civica, possano allontanare il nostro sogno.

Rendiamoci promotori di un Parco del Tracciolino da Taureana ai piani della Corona ed impedia-mo che altri possano modificare quanto predisposto dalla bellezza del nostro ambiente.

Procuriamoci tutti un totem condiviso, un riferimento che ci inviti a partecipare ed a render-ci protagonisti per evitare che il nostro sogno cada nel silenzio e nell’oblio.

Tutti noi dobbiamo diventare protagonisti e nuovi prometei.

Nella mitologia Prometeo e’ un titano, amico degli uomini e desi-deroso di favorirli, ruba il fuoco agli Dei dentro ad una canna e Zeus lo punisce incatenandolo ad una roccia ed a lui un’aquila di-vora il fegato che continuamente ricresce ma è colui che per primo infonde nei mortali la consapevo-lezza della loro grandezza e delle loro capacità.

In Platone è per la prima volta manifestata, in questo mito, la concezione del fuoco rubato da Prometeo come energia spiritua-le che anima gli uomini consen-tendo loro di vivere e di gettare

strombolile basi della futura società civile.

Nell’Accademia di Atene dove bruciava la fiamma sacra, prendeva inizio la corsa delle fiaccole,nella quale gli efebi ate-niesi, accese le loro fiaccole,le portavano, gareggiando, nella corsa scambiandosele vicende-volmente, rituale propiziatorio del continuo rinnovarsi della cit-tà.

Il prossimo anno nella corsa d’Agosto portiamo le nostre fiac-cole in piccole maratone fino al lungomare di Reggio Calabria e nell’anfiteatro diamo corpo ed azione ai nostri intenti, discussi e condivisi nell’agorà di Palmi, nel-la casa Repaci o nell’anfiteatro di Taureana.

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ItInERARI

il mandorlo di fillide...e lo stromboli

Devo queste poesie ad un totemed ho raccolto in questo monte sacroqualche cosa di anticole civilta’ delle Lipari ed il nostro passatoLo Stromboli e’ di colore roseo al mattinoed e’ gioia e terra ed e’ eternoE’ la speranza di un mondo sempre uguale puro ed umanoLo Stromboli e’ verde e vita ed e’ il trascorrere della giornataLo Stromboli richiama barche e retiE’ gente che lavora e che crede in una pesca miracolataLo Stromboli e’ veder passare navi container di mondi lontaniLo Stromboli e’ una piccola barca giallache pulisce la nostra spiaggiaLo Stromboli e’ una serie di piccole stradine che si inerpicano verso una piazzettaLo Stromboli sono piccole case con tozzetti di ceramicae reti appese alle finestreLa cittadina Ginostra di Stromboli e’ costellata di pigne verdiai margini delle terrazze,babbaluchi della vita sempliceLo Stromboli e’ terra nera che ti sporcama tu rinasci nel colore blu del mareLo Stromboli e’ un piccolo bar dove si assapora il passitonella dolce attesa di un pomeriggio fatto di nienteLo Stromboli e’ terrazze colorate con colonne bianche colonialiE profumo di zagara In giardini ospitaliLo Stromboli e’ la donna del Sudcon i suoi scialli neriche come rondini portano lontano i pensieriLo Stromboli e’ come la ginestrache erompe della lavaed e’ simile all’ibiscus ed al boucanvilledel giardino della mia casaLo Stromboli accoglie navi di turistima si svela solo in una piccola stradina verdeLo Stromboli sono trabiccoli Ape coloratiNelle spiagge nere e disabitateAcamonte,foglio di Teseo,dilania le mie carniperche’ possa vivere fiore bianco bellissimoNella mia terrazza di farfalle biancheintorno al una sedia a sdraio vuota,simbolo della solitudineseduto sopra il cottoho scoperto il doloreTu mandorlo grazie alle mie preghiere sei diventato Strombolie Stromboli ha i colori della vitaAmigdala mia adorataSei ritornata a vivereprima degli altri a marzoed io ho grattato la corteccia malgrado EraAcamonte,figlio di Teseotu hai creato un fioreio dopo tante stagioni ho conservato un amoreLo Stromboli e’ la sciaratempesta di lapilli e lavain uno sfolgorio di fuochi d’artificio per la festaLo Stromboli sono le colonne di Hiramcon i sacri ritiIl triangolo di Stromboli ha insegnato a Pitagorache la matematica e’ nella naturaLo Stromboli e’ ricercae’ il Dio buono tanto cercatoLo Stromboli si tinge di verde per quelli che ritornanoLo Stromboli e’ trottola o nave onerariae’ come lo vedi nella Serra di VancuraLo Stromboli nelle sere d’Agostosi colora d’arancione per una vita che si reincarnera’Santino come posso cambiareil titolo di parole e poesieHo nelle carni le mani di Acamonteche ha dilaniato la mia corteccia nel dolore e sono apparsi piccoli fiori bianchi nell’albero senza foglieed io sono il mandorloNella fragilita’ del viverearriva un giornoche tutto e’ in frantumi e tu lo sentiNelle notti chiare non lo vedi ma gli parlio meglio faccio parlare il silenzioIl mio obiettivo e’ sempre lo stesso riproporre

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Il PERsOnAGGIO

Ciò che mi colpisce ogni qual-volta mi reco a trovare Car-

done nella sua casa di via Cesa-re Battisti è il silenzio. Lo scatto metallico dell’apriportone diventa il segnale magico per l’accesso ad un mondo ovattato, vellutato, fat-to solo di odor di pulito, di buoni pensieri e di fantastica atonìa. Sa-liti i pochi gradini che portano al primo piano, viene ad accogliermi personalmente in veste da came-

ra, come fa spesso con me, come si usa con amici a cui non si debba-no i soliti, antipatici obblighi del-la formalità. Anche la personcina minuta, la gentile stretta di mano, quella sua pacatezza nel dare il benvenuto, non fanno che raffor-zare l’iniziale impressione di silen-zio. Per non dire che essendo la casa una costruzione non recente, una volta dentro spariscono dia-bolicamente i rumori esterni e si riesce a percepirlo il silenzio, ad ascoltarlo quasi anche nel respira-

re quieto, nell’attesa di cominciare i l dialogo, e quasi dispiace anche parlare, sembra di fare peccato.

Domenico Antonio Cardone è nato a Palmi (RC) i l 21 gennaio 1902. Laureato in giurisprudenza a ventun’anni, costituì il “Fonda-co dì Cultura” che ebbe anche una sua Rivista, entrambi però di bre-ve durata. Nel 1930 iniziò la col-laborazione alla “Rivista Intema-zionale di Filosofia del Diritto” e nel 1931 fondò con Antonino Lo-vecchio, altro filosofo palmese la

rivista “Ricerche Filosofiche” che diresse fino al 1967. Nel 1948 fon-dò la Società Filosofica Calabrese che, nello stesso anno, parteci-pò alla fondazione della Fédera-tion International des Societès de Philosophie. Nel 1949 venne ac-colto nel Royal Institute of Philo-sophie di Londra e nel 1967 nel-la Internationale Vereinigung fur Rechts-und Sozial phìlosophie di Wiesbaden. Nel 1958 fu tra gli or-ganizzatori a Venezia del XII Con-gresso Internazionale di Filosofia.

domenico antonio cardone poeta

di Natale Pace

forse l’Ultima intervista (1980) concessa dal grande filosofo palmese

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Il PERsOnAGGIO

In tale occasione si fece promo-tore di un’intesa etica trai filoso-fi di tutto il mondo e di tutte le tendenze, volta ad influire sui vari problemi nazionali ed internazio-nali, il che determinò la proposta del suo nome al Nobel per la Pace nel 1963, assegnato poi alla Croce Rossa Intemazionale. Tranne che nella prima giovinezza, non fu mai iscritto ad alcun partito.

Inutile qui soffermarci sulla mi-riade di pubblicazioni del Filoso-fo o che lo riguardano, sarebbe

un lavoro gravoso e certo non ba-stano le pagine della Rivista. Vale per questo rimandare ai due volu-mi di “Bibliografìa Critica di Do-menico Antonio Cardone”, pubbli-cati a cura della Società Filosofica Calabrese.

Poiché con lui parleremo di poe-sia, quasi esclusivamente, voglio ri-cordare le specifiche pubblicazioni in versi, che non sono poi tante.

Diciamo subito che Cardone, contrariamente a quanto si possa pensare, non sì è inventato poeta solo negli ultimi anni. Già al n. 2 della citata Bibliografia Critica fi-gura “Nuvole” una lirica pubblica-ta nel 1922 sulle riviste Ebe e Il Faro ed inserita nello stesso anno nella prima raccolta “Frammen-ti di Giovinezza” (1). “Nuvole” fu allora definita da Leonida Repaci «Un esempio notevolissimo d’im-pressionismo acuto».

Per avere comunque un’idea della poetica matura del Cardo-ne occorre da qui fare un salto dì quasi mezzo secolo. E’ del 1970 la pubblicazione dì “Ritmi del Si-lenzio” (Editrice La Nuova Europa, Firenze) e l’anno successivo “Rit-mi Astrali” (Gesualdi ed., Roma). A queste segue “Canti d’Amor Di-verso” (Ed. Cimento, 1972; colla-na Poeti d’Oggi); nel 1978 un bel volume, “Poesie Scelte” (Gabrieli ed., Roma) e per finire l’anno scor-so “L’assenza e la mancanza” (Ed. MIT, Cosenza). A proposito di que-sta ultima raccolta ebbe a scrive-re con squisita delicatezza Antonio Altomonte: «... Siamo perciò a una poesìa ch’è un continuo flirt con la metafisica, un assiduo riman-do dagli assilli del quotidiano ai grandi interrogativi di sempre, dal particolare privato alla vicenda di un tempo come il nostro in cui la bellezza è un fantasma e l’oriz-zonte sì popola di mostri. La po-esìa che nasce come meditazione esirisolveinurlo» (2).

E veniamo, dunque alla intervi-sta esclusiva che è stata registrata per l’occasione:

avv. cardone, lei ebbe a ri-cordare (3) che “il filosofo sof-fre di non essere artista e cerca, quando può, di esserlo” e anco-ra faceva sua la profezia di Re-nan secondo cui l’arte continui il pensiero nell’istante in cui la pura logica non è più in grado di manifestarlo. Tutto ciò vuo-le forse essere il riconoscimen-to d’una maggiore vastità e di più ampie possibilità di analisi, e quindi di utilizzazione sociale, della poesia rispetto alla dottri-na filosofica?

“Non si tratta di vastità e di piùampia possibilità di analisi ma di un modo diverso di esprimere, con la vivente figurazione dell’ar-te, ciò che si è pensato logicamen-te; non solo ma anche di manife-stare il sentimento con cui lo si è pensato. Naturalmente per questa più immediata, sintetica, direi, espressivamente vivente estrinse-cazione del pensiero, può deter-minarsi quella “utilizzazione so-ciale” della poesia di cui lei dice, sebbene il mondo oggi sembra te-tragono ad ogni tipo di sollecita-zione per un mutamento vitale. Se poi la ricerca linguistica da me fat-

ta — sull’esempio del grande D’An-nunzio — abbia agevolato o meno l’intenzionale “utilizzazione socia-le” è altra questione, ma io pen-so non possa essere escluso che lo stimolo per la apertura di orizzon-te del nostro vocabolario giovi an-che alla migliore, più precisa, co-municazione umana”.

e tuttavia giuseppe logròsci-mo accusa la sua poesia di pe-santezza da “astrazioni filosofi-che, residui farinosi non ancora domati” (4).

“Il Logròscimo è solo o con qual-che altro, mi pare, a ritenere che il mio pensiero filosofico non si sia decantato completamente nella poesia (quando questa nasce da una meditazione filosofica, che gran parte della mia poesia non è un riflesso filosofico). La mag-gior parte dei miei critici, anzi, ha proprio rilevato l’opposto, ascri-vendolo a merito del mio magiste-ro artistico. Comunque io stesso ho avuto occasione di riconosce-re che non sempre sono riuscito a fare del mio pensiero poesia. E ciò è accaduto — si parva licet com-ponere magnis — anche a poeti unanimemente riconosciuti gran-dissimi”.

Uno tra i più assidui studiosi cardoniani, almeno per la sua parte poetica, Franco Trifuoggi fa un preciso richiamo alla po-esia dì Lorenzo Calogero (5): lei oggi, avv. cardone, nel 1980, si barrica in casa, e rifiuta qual-siasi pubblicazióne, limitando-si a registrare su un diario top-secret i frutti del suo pensiero. vuole chiarire se ritiene che or-mai il mondo può fare a meno di cardone, se è cardone che pessimisticamente rinuncia al mondo o se effettivamente Tri-fuoggi è stato buon profeta nel senso che cardone, seguendo l’esempio di calogero, rende la sua poesia e la sua filosofia ir-reperibili?

“II mondo ha sempre fatto a meno di me, anche quando io mi sono illuso di potergli giovare con la mia attività e le mie iniziative (parlo naturalmente del mondo extrafamigliare ed extraprofes-sionale). Ora sono giunto al pun-to morto della scomparsa di ogni illusione. Non rinuncio al mondo, tanto che lascio ancora circolare i miei libri... per forza di inerzia, rispondo a Lei... e registro nel mio Diario ìntimo i pensieri suscita-ti in me dagli eventi, del mondo; ma non ritengo valga la pena es-sere più un produttore di pensieri e canti stampati”.

io ho creduto di rinvenire tra i suoi versi, almeno tre motivi po-etici predominanti: ansia cosmi-ca, visione panica (o come dice Trifuoggi, panpsichica) e ricer-ca formale. Posto che lei concor-di sulla esistenza dei tre motivi, vuole dirci se e come ritiene che essi vadano inseriti nel moderno. in pratica quanto ognuno di essi può scavare nel futuro per una migliore convivenza delle genti?

“Che i tre motivi da lei indica-ti esistano, non c’è dubbio. Se e come sono “inseriti nel moderno” — come lei dice — credo risulti dal-la Prefazione ai miei Ritmi Astra-

li, intitolata “Avanguardia si e no” e sarebbe lungo riportarla adesso. Che, poi, ognuno di essi possa per suo conto “scavare nel futuro per una migliore convivenza delle gen-ti” — come lei dice — è una con-seguenza dì tutta l’impostazione dell’interpretazione dei detti mo-tivi. La coesistenza di tali motivi — per altro — può riscontrarsi in molti poeti ed artisti e mi piace ri-cordare, tra essi, il Pascoli”.

Una curiosità. a quanto mi ri-sulti, lei ha fatto uso di pseu-donimi varie volte, ma sempre trattandosi di suoi scritti di let-teratura. per esempio nel 1926 si firmava Ustor, pubblicando sulla rivista “U chiaccu” una raccolta di poesie che già intitolava “rit-mi del Silenzio”. Poi sulla rivista “nasside” si chiamò lelio biante e si trattava di novelle. per non parlare del donecar autobiogra-fico ed enigmistico delle “Memo-rie di un Ominide ‘900”. E’ forse per separare questa sua attività di letterato da quella di filosofo?

“L’uso di pseudonimi non è sta-to determinato da una volontà di separare la mia attività letteraria da quella filosofica, anche perché, all’epoca degli scritti giovanili da lei ricordati, ancora non ave-vo una spiccata attività filosofica. Forse si è trattato allora di una specie di “timidezza”, non ricor-do bene. Quanto al Donecar del-le Memorie di un Ominide ‘900 le ragioni stanno nella Prefazione al libro dove esalto più che il valore dell’Autore, quello di coloro che, accogliendo il messaggio dei con-tenuti delle sue opere, diventano essi i veri Autori. Qualche volta ho preferito scrivere senza firma per le stesse ragioni”.

l’ultima brevissima. avv. car-done, che futuro vede per la poesia e soprattutto che futuro vede per l’uomo?

“Un futuro per la poesia? Diven-ta sempre più un canto nostalgi-co di miti sognati. Un futuro per l’uomo? L’annientamento cosmi-co o la salvezza in extremis, per l’improvvisa consapevolezza (fi-nalmente!) della solidarietà uni-versale: ma ciò vorrebbe dire una nuova èra di miracoli”.

E qui termina l’incontro con Do-menico Antonio Cardone.

Altre visite, altri incontri certa-mente avrò col Filosofo buono di Palmi, finché la gentilezza e la sa-lute gli permetteranno di veder-mi e lasciarsi torturare dai miei versi d’inventato poeta. Oggi mi preoccupa averlo trovato un po’ più nero del solito, un po’ meno interessato alle cose del mondo, come se ormai sentisse non do-verlo questo più riguardare.

Uscendo per strada, comunque, ho chiuso con delicatezza il por-tone.

domenico antonio cardone poeta

(1) Frammenti di Giovinezza (Signoretta, Palmi, 1922).

(2) Antonio Altomonte, Se it poeta è filo-sofo - “ I l Tempo”, 1.2.1980.

(3) Repaci Controluce, antologia e critica a cura di Giuseppe Ravegnani, Ceschina, Mi-lano, 1963, pag. 472.

(4) Calabria Cultura, rivista trimestrale, anno I n. 1-2 (gennaio-giugno 1974), pag. 110 e segg.

(5) La poesia di Domenico Antonio Cardo-ne, su Luce serafica, n. 4-5-6 1972.

forse l’Ultima intervista (1980) concessa dal grande filosofo palmese

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sAPERI & sAPORI

Il miele è una sostanza zucche-rina prodotta dalle api per ela-

borazione del nettare; il suo colore e caratteristiche variano a seconda dei fiori da cui proviene il nettare. Il nettare e altre sostanze zucche-rine, sono succhiati dalle api ope-raie attraverso l’esofago e giungo-no così nella “borsa melaria”. Qui il nettare e le altre sostanze zuc-cherine sono disidratati e sottopo-ste all’azione di particolari enzimi prodotti dalle api e trasformate poi in vero e proprio miele, che viene rigurgitato nelle celle precedente-mente preparate.

La qualità del miele dipende essenzialmente da due fattori: dall’attività delle api per produrlo e dal procedimento dell’uomo per estrarlo e per “confezionarlo”.

Per la produzione di un chilo-

Una “fattoria” sUl terrazzoGiorni fa le testate giornalistiche straniere e nazionali han-

no ripresa la notizia che «centomila operaie in maglia giallo nera si mischieranno ai broker in doppiopetto e bombetta», in un esperimento di apicoltura urbana al centro della City londinese. Installare alveari su terrazzi e balconi è un modo “casalingo” per fronteggiare il problema della preoccupante diminuzione delle api che è stato rilevata in Europa e Nord America negli ultimi anni. Inoltre, sostengono gli allevatori, nonostante l’inquinamento delle città, i fiori che vi crescono non sono trattati con parassitari per cui parrebbe che questi

operosi insetti vivano meglio qui che nelle campagne.

miele e cUriositàLa tipica espressione “luna di miele” deriva dal fatto che

nell’antichità si usava far bere agli sposi una bevanda a base di acqua, miele e lievito, al fine di propiziare l’arrivo di un fi-

glio maschio; da qui l’espressione “luna di miele”.

grammo di miele le api percorrono un totale di circa 150.000 chilome-tri per andare a raccogliere il pol-line dall’alveare ai fiori; esse sono in grado di arrivare ai fiori che si trovano in un’area distante fino a tre chilometri dall’alveare.

Il miele immagazzinato dalle api nelle celle, viene estratto tramite centrifugazione, lasciato decanta-re per qualche giorno e successi-vamente riposto in vasetti. Questi gli unici procedimenti che fanno sì che il miele mantenga inalterate le sue proprietà e caratteristiche. Tutti i mieli sono in origine allo stato liquido, ma con l’abbassar-si delle temperature molti di essi cristallizzano e diventano solidi, mantenendo così tutte le proprie-tà nutraceutiche attive (vitamine, probiotici, enzimi, ecc.); non è, quindi, sottoposto ad alcun tratta-mento chimico-fisico, ma è previsto

l’obbligo di indicare in etichetta la data di confezionamento e di sca-denza (generalmente non oltre i 24 mesi dall’estrazione). L’industria, per farli tornare allo stato liquido, li sottopone a pastorizzazione, un trattamento termico che ne altera però le caratteristiche nutrizionali e lo depaupera delle componenti più pregiate.

Il nostro territorio esprime le sue potenzialità produttive con mieli di eccezionale abbondanza, e va-riegate tipologie regalate da climi miti che caratterizzano buona par-te dell’anno. Purtroppo in quest’ul-timo periodo qualche problema infligge un duro colpo anche a que-sto settore, la presenza di insetti “importati clandestinamente”, che condizionano negativamente la produzione dei prelibati mieli di castagno ed eucalipto anche nella nostra regione. (vedi riquadro)

il miele è composto principal-mente da acqua, zucchero (frutto-sio e glucosio), acidi, proteine, sali minerali (in prevalenza ferro, cal-cio e fosforo), sostanze ed aromi dei fiori, tra cui i pigmenti (derivati della clorofilla), tannino, fosfati e vitamine. Il miele è formato quasi esclusivamente da zuccheri ed è molto importante, nella sua com-posizione, l’alta concentrazione di fruttosio; infatti, questo zucchero è al 100% un prodotto derivato dal-la natura, senza nessun intervento da parte dell’uomo.

di Walter Cricrì

Per il comprensorio di Palmi segnalarne la presenza presso la sede A.R.S.S.A., in via Man-cuso n° 33; il personale specia-lizzato effettua il monitoraggio ed offre l’opportuna assistenza gratuita.

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sAPERI & sAPORI

MieleCuriosità, dolcezze, gioie e dolori legati al mondo delle api

come combattere gli intrUsiLa “vespa cinese”, Dryocosmus kuriphilus, un imenottero cinipi-

de “importato”, minaccia il grande patrimonio delle nostre superfici investite a bosco di castagno. La produzione di miele di questa es-senza rischia quindi d’essere ridimensionata. Peraltro anche gli eu-caliptus sono attaccati da un nuovo parassita, Psilla lerp, originario dell’Australia, diventato invasivo nell’ultimo decennio, che provoca il disseccamento delle foglie e il progressivo deperimento delle pian-te. Cosa si può fare? Cosa possono fare gli apicoltori per la difesa di queste importanti e indispensabili risorse botaniche e per conti-nuare a produrre mieli e pollini monoflora secreti dai fiori di questi alberi?• imparare a conoscere questi parassiti.• Segnalarne la presenza alle autorità competenti.• Sollecitare gli enti locali affinché vengano effettuati ade-guati investimenti per tempestivo e adeguato finanziamento e ope-ratività di stazioni di riproduzione dei predatori del Cinipide della Psilla.• Richiedere e collaborare, laddove utile, con le autorità pro-poste per il provvidenziale lancio di coppie di insetti antagonisti; con la consapevolezza che, con il cinipide e la psilla, molto proba-

bilmente bisognerà convivere.

Proprietà curative e benefici del miele

il miele è particolarmente indicato nella dieta dedicata all’infanzia, giacché favorisce la fissazione dei sali minerali nell’organismo umano, cosa che il normale zucchero non è in grado di fare. Molte sono le proprietà terapeutiche del miele, diverse a seconda del nettare dei fiori con cui è stato prodotto. In genera-le il miele è un ottimo antinfiam-matorio per la gola ed ha effet-ti sedativi contro l’eccitazione nervosa e l’insonnia. Il miele di castagno favorisce la circolazio-ne sanguigna ed è disinfettante delle vie urinarie, per questi mo-tivi è consigliato per bambini ed anziani. Interessanti le proprietà del miele di girasole che svolge un’azione contro il colesterolo nell’organismo umano oltre ad avere un’azione calcificante nelle ossa. Il miele di ginepro invece, ci offre un valido aiuto nelle affe-zioni respiratorie e quello di ta-rassaco ha un’azione depurativa, soprattutto sulle reni. Secondo recenti studi il miele fornisce al nostro organismo sostanze essen-ziali come potassio, fruttosio e

sodio che servono a riprendersi dopo una serata di “bagordi”.

Molto rilevante la notizia che arriva da alcuni studi fatti sul miele prodotto nel meridione, specialmente sul miele di zaf-ferano; pare, infatti, che questi tipi di miele contengano un’alta percentuale di “nutraceutici”, che sono molecole ad elevata attività antitumorale. Ed è ap-punto in questi mieli che se ne rilevano quantità significative e nettamente superiori alle medie di altre zone d’Italia.

Miele e formaggio: matrimo-nio perfetto

Uno degli abbinamenti classi-ci del miele è quello con il for-maggio; come tutti sappiamo il formaggio è un alimento assolu-tamente privo di zuccheri, che si contrappone quindi al miele, che è composto, come abbiamo visto, per la maggior parte di zuccheri. E’ per questo motivo che l’abbi-namento di questi due cibi, crea un equilibrio di gusto.

Il criterio che si usa per l’ab-binamento è di unire un miele dolce ad un formaggio piccante, oppure, un miele amaro ad un formaggio poco strutturato.

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MOnDO sCUOlA

Da qualche giorno è inizia-to il nuovo anno scolasti-

co. Lo scenario che si apre sulla realtà della Scuola è piuttosto critico se si pensa alle difficoltà del passato mai sanate e alle finanziarie approvate tra luglio e agosto che non porteranno nul-la di buono a docenti, persona-le ATA e studenti. Praticamente, prosegue il declino della qualità dell’Offerta formativa delle scuo-le statali italiane. Senza voler fare del disfattismo a buon mer-cato, mi sembra che gli eventi degli ultimi giorni parlino da soli: scioperi, insegnanti senza catte-dra, scuole senza presidi, classi “pollaio” strapiene, disabili senza sostegno, genitori con un carico di spesa sempre crescente.. Stia-mo parlando dello sciopero del-la fame dei precari di Ragusa e Palermo, della protesta della Cgil e dei sindacati di base che all’i-nizio di settembre sono scesi in piazza contro la manovra econo-mica. Le scuole con meno di 500 alunni, inoltre, a seguito di una nuova normativa, hanno perso il

Scuola newsdiritto ad avere una propria sede di presidenza, per cui più di 2500 dirigenti scolastici hanno la reg-genza di altri istituti e dovranno fare i pendolari tra i plessi delle scuole interessate. La stessa nor-ma ha ridotto anche la possibilità dei vicari di accedere all’esonero e al semiesonero per gestire la scuola, per cui si ritroveranno in classe. Dal prossimo anno, inol-tre è stato annunciato anche un riordino delle istituzioni scolasti-che in modo che ciascuna di esse raccolga almeno 1000 studenti. Si formeranno, così, gli Istituti Com-prensivi che metteranno insieme nello stesso collegio sezioni di Scuola dell’Infanzia, Primaria e delle Medie Inferiori e i cui diri-genti verranno sempre più rele-gati a veri e propri burocrati, lon-tani dai processi formativi. Quan-to ai docenti, sono stati reclutati in base al punteggio calcolato in relazione all’anzianità di servizio e al numero di corsi di perfezio-namento e master frequentati. Questi ultimi si svolgono, di solito su internet, sborsando centi-naia e anche migliaia di euro. Dal 2003, infatti, si assiste alla nasci-

ta di una infinità di associazioni ed enti che organizzano master e corsi di aggiornamento con l’ac-cordo del ministero dell’Istruzio-ne, rilasciando attestati utili per salire in vetta alle graduatorie. Si tratta di un affare di milioni di euro che vengono spillati agli in-segnanti precari alla spasmodica ricerca di un posto fisso o comun-que di una posizione di vantag-gio. Un vero e proprio mercato di punti che crea discriminazioni tra gli stessi precari poiché consente di scavalcare chi ha conseguito esperienza sul campo e avvan-taggia coloro che hanno mag-giore disponibilità economica. Si continua ad assistere, dunque, allo sfruttamento dei docenti che devono sottostare ad una serie di meccanismi contorti per accapar-rarsi o difendere un posto di lavo-ro. In questa condizione vengono a trovarsi molto spesso anche i lavoratori delle scuole paritarie che, pur di racimolare punteggio, sono costretti ad accettare un incarico senza percepire alcuna retribuzione. Qualche giorno fa l’Istat ha pubblicato i dati sulla “misura dell’occupazione non re-golare nelle stime di contabilità nazionale” e tra le attività eco-nomiche che si avvalgono di lavo-ro nero è presente anche l’istru-zione. Risulta, infatti, che gli oc-

cupati dipendenti irregolari sono in aumento e certamente non lo sono tra i docenti delle scuole sta-tali che sono assunti regolarmen-te. Insomma, i docenti in questo periodo non se la passano troppo bene, occorre trovare alternative interessanti per migliorare la pro-pria posizione professionale. E’ per questo motivo che migliaia di insegnanti di ogni ordine e grado si stanno preparando a superare il concorso che permetterà loro di diventare dirigenti scolastici. I posti disponibili dovrebbero esse-re 2386 in tutto il territorio na-zionale, di cui 108 nella Calabria, ma è molto probabile che una buona parte saranno tagliati via in seguito al ridimensionamento imposto dalla nuova finanziaria e all’accorpamento conseguito con la realizzazione degli istitu-ti comprensivi. La prova prese-lettiva prevede il superamento di un test di 100 domande a ri-sposta multipla, estratte da una batteria di più di 5000 quiz, che i candidati dovranno spulciare in 100 minuti da un megalibro che verrà loro consegnato. Le istanze pervenute sono circa 42 mila, di cui oltre 2000 in Calabria. Il 12 ottobre Catanzaro sarà una città invasa da insegnanti fiduciosi: la speranza è sempre l’ultima a mo-rire!

di Nella Cannata

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Anno II - Nr. 22 - Ottobre 2011

IntORnO AllO sPORt

II bambini e il gioco. Un singo-lare episodio che, ha attirato

la curiosità di chi scrive, si è ve-rificato in un popolato quartiere di Palmi. I bambini, dopo che un escavatore aveva demolito una vecchia casa, per essere suc-cessivamente ricostruita, senza perdere tempo, hanno occupato il suo spazio, tracciando nel mas-setto, con il gesso, un occasiona-le “campetto” da calcetto, sotto il livello della strada, in seguito, purtroppo poco utilizzato, per via della prosecuzione dei lavori. E’ un episodio che la dice lunga sull’esigenza dei bambini di gio-care all’aperto. Si registra che la nostra città, è sempre meno (a parte qualche organizzata ma-nifestazione sportiva) a misura di bambino, il quale, non gioca più all’aperto e sente quindi, la necessità d’ indipendenza mo-toria e “autonomia decisionale”, indispensabile per la sua cresci-ta, fuori dagli sguardi apprensivi e vigili degli adulti. Una volta, i rioni di Palmi pullulavano di ra-gazzini. Le strade, i cortili, le piazze, i marciapiedi, le campa-gne, erano i luoghi d’incontri e di giochi spontanei, senza regole, dove l’avventura e il rischio era-

no all’ordine del giorno. Purtrop-po, oggi, per fare giocare i bam-bini, molti genitori, forse anche egoisticamente, perché si sento-no più tranquilli, iscrivono i loro figli in luoghi specializzati, come palestre, ludoteche, ecc.., spazi protetti, ma pur sempre vigilati dagli adulti. Sembra sia scompar-so il tempo libero e la possibilità di uscire da casa, da soli, per in-contrarsi con gli amici e scegliere con loro il gioco e il luogo. Essi, non vivendo momenti autono-mi, che solo il gioco libero può garantire, non conoscono l’espe-rienza dell’ostacolo, del rischio, del successo. Ecco perché si do-vrebbe dar loro l’opportunità di giocare all’aperto, allontanandoli dalla “prigione” di case piene di gadget e, per evitare anche, che diventino sempre più obesi e in-felici. Bisognerebbe far riscoprire ai bambini i giochi di una volta, quelli che hanno aperto la mente d’intere generazioni, formatisi, facendo la lotta che insegnava il senso del limite, arrampican-dosi, rincorrendosi, giocando al pallone in mezzo alle strade, alla corda, al nascondino, alla “si loca”, alle gare di velocità, o ai salti dal primo piano delle case in costruzione, sulla sabbia fresca scaricata a terra. Chi non ricorda quelle merende fatte di

pane e pomodoro, consumate fuori di casa per non sottrarre tempo al gioco, o quelle epiche partite a calcio che duravano ore e ore. Non importava se ci si sporcava o se si giocava sotto l’acqua. Si era talmente scaltri che, rientrando a casa, si riusciva a eludere anche il controllo dei genitori. Erano tutti giochi scelti e organizzati dagli stessi bam-bini che, non si limitavano solo al gioco, ma allargavano le loro esperienze, auto-costruendo, esplorando materiali di fortuna, come carcasse di auto, baracche diroccate e quant’altro. Oggi i ri-oni di Palmi sono silenziosi, non si sente più il vociare allegro dei bambini (sembra siano scompar-si) ma l’assordante rumore delle macchine che occupano strade e spazi liberi. Oggi i divieti da par-te dei genitori, sono tanti: quello di giocare a pallone perché rovi-nano le scarpe; di fare rumore; di fare merenda nelle scalinate; di saltare; di rotolarsi perché si sporcano i vestiti; di andare in bicicletta perché possono cade-re e farsi male; di strillare per non disturbare le persone adulte. Qualche concessione può essere fatta a patto che “giocate, ma in silenzio”. E’ consequenziale poi, che il bambino, pur di non sentire i continui richiami dei genitori, e

per non far rumore, è costretto a guardare la televisione o gioca-re alla playstation. Palmi, negli anni, ha fatto un passo indietro, “rubando” ai ragazzi molti dei loro spazi, privilegiando scelte che, poco hanno a che fare con le esigenze e i bisogni dei ragazzi. Ricordo che ogni rione aveva una piazzetta o un’ area, alla quale, i bambini erano indissolubilmente legati e dove trascorrevano nel-la spensieratezza, le loro gior-nate. Che tristezza, non vedere giocare più bambini alla “chiesa Matrice”, al campetto del Car-mine, adibito a orto, nelle piaz-ze del centro super affollate di macchine (perché non destinarli a isole pedonali?), nei cortili del-le scuole, ormai inaccessibili, nel piazzale Mauro, Lo Sardo, Piave, Rione Pille, Trodio, Agraria, S. Leonardo, Cittadella, ecc. L’am-ministrazione locale ha la re-sponsabilità e il dovere istituzio-nale di pensare agli spazi desti-nati all’infanzia, per far nascere nei bambini la voglia di giocare autonomamente, a confrontarsi con i coetanei, a misurare le pro-prie forze, a esorcizzare le pro-prie paure. La civiltà di un paese si misura, anche, dalla capacità di accogliere i bambini, poiché sono loro la risorsa e il futuro della nostra città.

L’escavatore demoLisce e... i bambini “s’impossessano” deLLo spazio

di Rocco Cadile

Lo scavo, subito trasformato dai bambini, in campo da calcio. Da qui si percepisce appieno l’esigenza di spazi di gioco!

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Patrick Makau Musyoki … più 9 (Giuseppe, Emilio, Antonino, Alessandro, Giuseppe, Rocco, Palmerino, Silvestro, Francesco)

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Anno II - Nr. 22 - Ottobre 2011

IntORnO AllO sPORt

Mi sono sempre chiesto il significato del luogo comune “Af-fidabilità tedesca”: dopo il 25 settembre 2011 la posso

testimoniare insieme a altri nove amici con i quali ci siamo ci-mentati nella 38° BERLIN MARATHON, la più partecipata ma-ratona del Vecchio Continente. Seconda solo a quella di New York, pensavamo il “top” partecipando alla 17° della Capitalia d’Italia, nel Marzo scorso, per il “fiume” di appassionati podisti e eravamo solo in 13000; a Berlino circa 45000 solo runners, più skiters e altro. Ma, l’evento meraviglioso è la partecipazione del pubblico e come questa stupenda cittadina si animi di folklore per le strade. Il mare di atleti corre a suon di musica e di ritmica che scandisce il passo con le numerose band di musicisti, i quali con percussioni, fiati, chitarre elettriche, continuano, sparsi per il percorso, ad accompagnare la fatica di chi corre. L’incitamento è indicibile, in ogni angolo; inutile ribadire il senso di fratellan-za che si respira. Cosa dire sull’aspetto organizzativo: semplice-mente perfetta. Punti ristoro ricchissimi di tutto ciò che serve alla gara. Acqua, frutta, sali minerali, maltodestrine in media ogni tre chilometri. Segnalato perfettamente ogni tombino e ogni rotatoria o altro ostacolo; un poliziotto in moto, al seguito, ai bordi della fila ogni 2000 partecipanti. Servizio medico con postazioni fisse ogni 5 km, oltre a massaggiatori e gruppi di me-dici in bici al seguito! Semplicemente meraviglioso: correre con finlandesi, norvegesi in gonnellina, americani, messicani, irlan-desi in kilt e quanto altro la fantasia della nostra mente possa partorire. Ecco perché “tedesco” è sinonimo di “affidabilità”: basti pensare che le loro metropolitane, ne hanno tre, due di su-perficie e una di profondità, non hanno tornelli di accesso e non si incontra un solo controllore; tutti vidimano il biglietto prima di salire su convogli che non hanno il minimo graffito, come i muri della città stessa!

La storia della maratona passa ancora una volta da Berlino. Tre anni fa Haile Gebrselassie aveva corso la 42,195 km tedesca in 2h03’59”, un record che sembrava destinato a durare un secolo. Oggi il keniano Patrick Makau Musyoki è riuscito a fare di me-glio correndo sempre a Berlino in 2h03’38”, miglior prestazione mondiale di sempre. Stroncato Gebrselassie, costretto al ritiro, le azzurre Incerti, Console e Straneo conquistano il pass per le Olimpiadi di Londra 2012.

Nove palmesi con la “gioia di vivere nel cuore e ………nelle scarpe” hanno vissuto un week end teutonico che, stanchi e feli-ci, sicuramente ripeteranno in futuro. Tutti partiti…….tutti arri-vati: infortunati compresi!

Al prossimo appuntamento! Ormai chi li ferma più questi “ra-gazzini” scatenati dell’A.S.D. RUNNING PALMI, realtà consolidata e comprovata di questa giovanissima Società!!!

30594 »Alvaro, Giuseppe (ITA) M35 ASD RUNNING PALMI - - - Finish 04:01:0031129 »Calabro’, Emilio (ITA) M40 ASD RUNNING PALMI - - - Finish 03:50:2031707 »Fameli, Antonino (ITA) M50 ASD RUNNING PALMI - - - Finish 03:22:4235415 »Fazzalari, Alessandro (ITA) M40 ASD RUNNING PALMI - - - Finish 04:07:4632397 »Isola, Giuseppe (ITA) M40 ASD RUNNING PALMI - - - Finish 04:07:2932398 »Isola, Rocco (ITA) M45 ASD RUNNING PALMI - - - Finish 03:45:0234030 »Rigitano, Palmerino Eugenio (ITA) M55 ASD RUNNING PALMI - - - Finish 05:01:4234146 »Runci, Silvestro (ITA) M35 ASD RUNNING PALMI - - - Finish 04:29:0634434 »Solano, Francesco (ITA) M45 ASD RUNNING PALMI - - - Finish 04:30:15

A Cecè …..un “ragazzino” come Noi

di Eugenio Rigitano

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PARlAnDO DI MUsICA

Il Concorso nazionale di Esecuzione Musicale è nato, per iniziativa del Comune di Palmi

che lo ha organizzato fino ad oggi, nel 1976 per onorare il ricordo del suo più importante mu-sicista, Francesco Cilea, e si è contraddistinto fin dall’inizio per la sua struttura inconsueta. La competizione fu infatti riservata a due categorie all’epoca assolutamente trascurate: il flauto e la musica d’insieme. A distanza di trentacinque anni la formula è rimasta vincente collocando sicuramente il “Cilea”, come affettuosamente viene chiamato il concorso, come la più antica e prestigiosa rassegna italiana del settore.

La selettività delle prove, garantita dal susse-guirsi di giurie di alto prestigio, ha poi permesso di esprimere un “albo d’oro” che annovera al-cuni fra gli artisti che ancora oggi rappresenta-no il meglio del concertismo italiano: la sezione flauto ha premiato quasi tutti i maggiori flautisti oggi in attività sia come solisti che come prime parti nelle maggiori orchestre italiane, quella di musica d’insieme ha espresso molti fra i più prestigiosi concertisti italiani, vanto della nostra scuola nel mondo.

Questa del 2011 rappresenta la trentacinque-sima edizione e, ancora una volta, si presenta in linea con le aspettative del mondo musicale italiano.

Alcuni cenni sulla giuria: Presidente è il com-positore Fabrizio De Rossi Re, di Roma, autore di composizioni eseguite dalle più prestigiose or-chestre e complessi italiani e stranieri; compo-nenti, tre flautisti, antonio amenduni, di Bari, già primo flauto (a 23 anni) dell’Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma e ora chiamato come primo flauto nelle maggiori orchestre italiane ed europee nonché solista e didatta celebra-to; massimo mercelli, di Bologna, già vincitore dell’edizione 1979 del Cilea, ora svolge un’inten-sa attività concertistica in tutto il mondo nelle maggiori sale da concerto che alterna con im-pegni in organizzazione di alto profilo, essendo direttore artistico dell’Emilia Romagna Festival; michele mo, di Torino, primo flauto e Presiden-te dell’Orchestra Filarmonica di Torino, autore-vole didatta e concertista di grande livello; ed ancora angelo giovagnoli, romano, cornista e direttore d’orchestra, direttore artistico della Digital Record e della neonata Orchestra Stabile del Molise, nonché vincitore di ben due Oscar e quindici David come coordinatore musicale; Vincenzo Balzani, milanese, esecutore eccel-so in oltre mille concerti, titolare di cattedre di perfezionamento pianistico in Italia e all’estero e direttore artistico di vari concorsi nazionali e internazionali; ed infine, cristiano rossi, fio-rentino, violinista fra i più celebrati, esecutore acclamato nelle più importanti sale da concerto del mondo, ma per noi con una nota particolare in più che oggi ce lo fa salutare con particolare calore: faceva parte della prima giuria del no-stro concorso nel lontano 1976, quando aveva solo ventinove anni.

Il Concorso si è svolto presso la prestigiosa sede della Casa della Cultura “Leonida Repaci” di Palmi, iniziando mercoledì cinque ottobre con le eliminatorie della sezione flauto, proseguen-do poi con quelle per la musica d’insieme, con le semifinali e le finali, per concludersi venerdì otto con la prova con orchestra.

Il concerto finale, presentato al pubblico degli appassionati e degli intenditori i vincitori, si è tenuto sabato nove alle ore 18, sempre presso l’Auditorium della Casa della Cultura. L’occasio-ne è stata anche opportuna, per presentare l’ul-tima opera per orchestra di Domenico Giannet-ta, il compositore palmese che va ormai affer-mandosi come uno delle più qualificate giovani leve italiane.

XXXV edizione del Concorso di esecuzione musicale

FRANCESCO CILEAdi Antonio Gargano

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PARlAnDO DI MUsICA

La luce si dirada all’orizzon-te imbrunendo le sagome

attorno a me. L’automobile scor-re veloce in corsia di sorpasso, quasi avesse fretta di arrivare a destinazione. Il mio amico Osval-do mi aspetta al posto prefissa-to perché anche lui, come me, ha sete di buona musica. Sale in macchina per dirigerci assieme verso Tropea, dove si terrà la quarta serata del Blues Festival che quest’anno vanta la sua set-tima edizione. Giunti sul posto, ci si muove con disinvoltura tra le stradine accoglienti di questa cittadina, baciata dal sole e dal mare, raggiungendo facilmen-te la piazzetta dove si terrà il primo concerto della serata. Ad aprire le danze la band “Walking Trees”. L’atmosfera è quasi sur-reale in quanto, senza palco, ad un tiro di schioppo dagli artisti, in piedi e gomito a gomito con gli altri spettatori, si assapora in toto la bellezza della serata. Il

concerto ha inizio e si passa dal Rock al Blues, con intermezzi di Southern Rock, e con altre va-riazioni sonore che confermano l’ecletticità di questi artisti che menziono in ordine: Teresa Aud-dino (voce), Enzo Tropepe (chi-tarra), Franco Pezzano (basso) e Giancarlo Alessi (batteria). E’ la prima volta che li ascolto dal vivo e posso affermare ad alta voce che danno l’anima nella loro per-formance, malgrado gli inconve-nienti tecnici che non mancano e che fanno di tutto per ostacolare il proseguo della serata. Il loro sound è graffiante, rude, sa di sudore e di stivali impolverati, di fumo di sigaretta ed adrenali-na, di cuoio e moto rombanti. Si tocca con mano il loro desiderio di trasmettere agli altri un mes-saggio musicale che contiene la voglia di evadere da una realtà troppo stretta, ancorata a vecchi stereotipi. Il luogo del concerto quindi diventa un’isola dove, cia-scuno di noi, vive e realizza in quei momenti la propria voglia di libertà. Sulla chitarra le dita del

“Guru” Tropepe (da me così bat-tezzato sia per l’aspetto che per la bravura con la quale maneggia lo strumento) scorrono veloci, quasi sfiorando le corde, tra rif-fs ed assoli trascinanti che coin-volgono alla grande noi, pubblico presente. Difficilmente si riesce a stare fermi ascoltando questo ritmo, tanto da accennare quasi un pogare con il proprio vicino. La voce solista femminile che accompagna i pezzi, particolare nella sua timbrica, porta indietro nel tempo, rivivendo una nuova Woodstock e facendoci capire che, dalla nostra Terra, possono nascere progetti interessanti che vale davvero la pena sostenere. Questo perché i Walking Trees sono calabresi D.O.C. e per noi deve rappresentare un vanto. La batteria, martello e metronomo, ed il basso, con il suono corposo e pieno, scandiscono alla perfe-zione questi ritmi, accompagnan-doci per mano in un piacevole viaggio musicale, contribuendo non poco a rendere gremita l’ac-cogliente piazzetta di Tropea. La

loro musica, che non stanca, è un fiume in piena tra pezzi del passato ed inediti della band. Dei brani proposti durante il con-certo ne menziono uno su tutti, considerata la buona esecuzione: Jim Beam Blues. Alla fine dello show, special guest della serata Mary Birch, madrina del Festival che, a conclusione, improvvisa un brano mettendo una ciliegina su questa gradevole torta. A lei ed ai suoi collaboratori un plau-so per aver organizzato una ker-messe così importante che ogni anno annovera musicisti rinoma-ti. Il concerto finisce e si ritorna alla quotidianità. La musica di qualità ancora una volta ha pre-valso. I Walking Trees, promossi a pieni voti, hanno dimostrato di esistere in questa jungla musi-cale dove, non sempre, chi pro-pone buona musica viene ricom-pensato. Nel mio piccolo credo, anzi ne sono convinto, di aver reso anch’io splendenti questi gioielli nostrani.

di Daniele Gagliardo

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PARlAnDO DI MUsICA

di Giuseppe Cricrì

Sembra quasi una formula magica la parola “Tradi-

zionandu” in realtà si tratta del nome davvero originale dato ad una kermesse che per il quarto anno consecutivo ha visto, an-che in questo 2011, l’operosa Cittanova farsi teatro di un co-rollario di manifestazioni che hanno registrato grande succes-so di pubblico. Gli organizzatori dell’evento fanno parte di una illuminata associazione cultura-le, la “Lato 2” che ha confezio-nato un composito cartellone di appuntamenti di grande qualità. E’ stata la musica a fare da filo

Cittanova – L’Etnofestival della Piana fra musica e tradizione all’insegna di una multicolore eterogeneità.conduttore in una tre giorni che, l’1, 2 e 3 settembre ha visto la biblioteca comunale insieme a piazze e strade, parchi e giardi-ni, diventare palcoscenico di at-tività culturali di variegato inte-resse. Giovani e giovanissimi, al fianco di adulti rinvigoriti dall’al-chemico clima gioioso che la musica sa sempre dare, si sono cimentati in seminari gratuiti, tanto di genuina tarantella cala-brese, quanto di frizzante pizzi-ca salentina e poi nell’approccio all’arte del suono del tamburello e dell’organetto, quanto di quel-lo ancestrale e seducente della lira calabrese e della tecnica per costruirne una in modo ar-

tigianale. La brillante direzione artistica di Gabriele Albanese ha offerto la presenza di musicisti di altissimo livello che si sono avvicendati sul palco di Piazza San Rocco, impreziosito per l’oc-casione, dal lucore fascinoso di un enorme spicchio di luna che rendeva ancor più suggestiva la scenografia. Nelle tre serate ad esibirsi con grande consenso di pubblico prima i Taranproject di Mimmo Cavallaro e Cosimo Pa-pandrea, con la partecipazione del sempreverde Otello Profa-zio, poi è stata la volta dei ba-dolatesi Marasà, portatori sani di calabresità e di Peppe Voltarelli, cantore della nostalgia del popo-

lo migrante, quindi la presenza pugliese dei Malicanti con la piz-zica salentina ed internazionale col gruppo marocchino di Nour Eddine Fatty, accompagnato dal-la sua band, espressione spiritua-le e festosa di una mediterranei-tà viva e pulsante, che sa espri-mere particolari affinità elettive anche con le sonorità nostrane. Il salento ed il marocco han ben duettato, in un clima di festosa comunanza, travalicando bar-riere, dimostrando quanto l’arte del suono sia capace di abbat-tere tutti i muri ideologici della intolleranza e della incomunica-bilità. Tutto ciò ha dato voce ai postulati espressi dal presidente

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I Marasà e Peppe Voltarelli

della “Lato 2” Giuseppe Guerri-si, che auspicando una valoriz-zazione delle tradizioni a partire dalla musica, avrà certamente constatato di aver fatto centro anche quest’anno. A rendere an-cora più attraente la manifesta-zione, un workshop di fotografia curato da Fabio Itri, (da cui è scaturita una mostra permanen-te, inaugurata sabato 8 ottobre) un corso di arrampicata gestito da Med Ambiente e un carnet di escursioni sul nostro appennino, con la consulenza organizzativa della Ass. Gente in Aspromonte. La conclusione della bella mani-festazione è stata allietata dal trionfo della gastronomia inter-nazional-mediterranea, con una degustazione di sapori tipici del-la cucina calabrese, marocchina ed ebraica. Cosa aspettarsi di più? La musica è stata la prota-gonista indiscussa, ha affratella-to, ha indotto emozioni, ha ge-nerato sentimenti di solidarietà e comunione, ha dimostrato che il profondo sud ha le ali giuste per volare alto, fino alla luna. Ad maiora Tradizionandu!!!

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