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1 MARIA CONCETTA NICOLAI ESOTERISMO ED ESOTERISMI DA UBERTINO DA CASALE AD ATHANASIUS KIRCHER ma in effetti cominceremo da molto prima e parlando ci perderemo per strada perché .... Nel suo profondo vidi che s’interna legato con amore in un volume, ciò che per l’universo si squaderna Dante Alighieri, Paradiso, canto XXXIII, vv. 85 - 87

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Maria ConCetta niColai

EsotErismo Ed EsotErismida UbErtino da CasalE ad athanasiUs KirChEr

ma in effetti cominceremo da molto prima e parlando ci perderemo per strada perché ....

nel suo profondo vidi che s’interna legato con amore in un volume,

ciò che per l’universo si squadernadante alighieri, Paradiso, canto XXXiii, vv. 85 - 87

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Prima di tUtto intEndiamoCi sUl si-gnifiCato di EsotErismo

innanzi tutto occorre intendersi sul termine, nella sua accezione moderna,1 di esoterismo che, semanticamente, può essere reso con “dottrina interna”, sia nel senso che è praticata entro una cerchia ristretta di discepoli, sia, per quanto riguarda i contenuti che ineriscono ad argomen-ti segreti, o se si vuole, interiori e difficilmente penetrabili.2Posto che le scuole, alla quali la dottrina esote-rica è naturalmente congeniale, sono congrega-zioni elitarie, a cui si accede mediante un rito di iniziazione, va chiarito anche che il loro fine consiste nel tutelare il segreto di tale dottrina e non di penetrarlo. in altre parole i suoi adepti, a pieno titolo iniziati, in quanto tali sono sotto-posti all’obbligo di custodirne e tramandarne il segreto, anche nel caso non pervengano a posse-dere, sia pure parzialmente, la dottrina esoterica. del resto le scuola iniziatiche forniscono un me-todo e gli strumenti per approcciare tale scienza, ma non i materiali esoterici che sono, per loro

1l’aggettivo ézoterique (sic!) che compare nel 1752 nel Supplément du Dictionaire universelle françois et latin de trévoux, redatto sotto la direzione dei gesuiti: “ce qui est obscur, caché et peu commun”, sarà ripreso ed ampliato (secondo l’accezione datagli da Clemente alessandrino nei Stromata, 208 d. C. circa) di insegnamento segre-to rivolto ad alcuni discepoli eletti, nella Encyclopédie raisonnée di Diderot con il significato di un aspetto della filosofia ellenistica. Cfr. Jean-Paul Corsetti, Storia dell’esoterismo e delle scienze occulte, gremese Editore, roma 2003.

2 la parola deriva dall’aggettivo greco esoterikòs (in-terno), usato per indicare un insegnamento superiore riservato a una cerchia ristretta di discepoli ad esempio a quelli che avevano raggiunto i gradi superiori del Pitagorismo, in contrapposizione a exoterikòs (esterno), che si riferiva ad insegnamenti indirizzati a tutti.

natura, ineffabili.3tanto detto e considerato che quelle che general-mente definiamo scuole iniziatiche (Pitagorismo, Orfismo, Religioni misteriche e rivelate, Gnosti-cismo, divinazione, magia, alchimia, Qabbalah etc.)4 si inquadrano nella classificazione dei fenomeni culturali ben definibili nel tempo (il che non vuol dire che siano necessariamente storicizzabili) e nello spazio (il che non vuol dire che abbiano necessariamente origini autoctone e legate ad un determinato territorio), ne con-segue che l’esoterismo è una Traditio universalis che appartiene all’Umanità intera ed attiene alla sfera del sacro, tanto è vero che in tutte le reli-gioni, anche in quelle rivelate che non sono nella strittura esoteriche, si trova qualche forma di esoterismo.5su questa linea interpretativa si pongono rené guénon, e qui la citazione è d’obbligo, che indi-vidua nell’esoterismo la “Tradizione primordiale” che trasmette ed agisce la sua natura metafisica mediante il linguaggio simbolico,6 e William Walker atkinson il quale, anche se spostato su un’ottica orientaleggiante, considera “Le varie manifestazioni della vita che noi vediamo in ogni par-te dell’universo sono soltanto forme dell’Unica Vita

3 Cfr. antoine faivre, L’esoterismo. Metodi, temi, immagi-ni, morcelliana, brescia 2012.

4 al riguardo si fa notare che né l’esegesi dei testi sacri delle cosiddette religioni del libro, né l’occultismo rientrano nella scienza esoterica, in quanto configurano un segreto conoscibile attraverso tecniche appropriate e rivelabile anche ai profani.

5 ”I sapienti e i profeti delle età più diverse sono venuti a con-clusioni identiche nella sostanza, seppure dissimili nella forma, sulle verità fondamentali e finali, seguendo tutti lo stesso sistema dell’iniziazione interiore e della meditazione”. Édouard schuré, I grandi iniziati, laterza, bari 1973.

6 Cfr. rené guénon, La Tradizione e le tradizioni Edizioni mediterranee, roma 2003.

a modo di introdUzionE

”I sapienti e i profeti delle età più diverse sono venuti a conclusioni identiche nella sostanza, seppure dissimili nella forma, sulle verità fondamentali e finali,

seguendo tutti lo stesso sistema dell’iniziazione interiore e della meditazione”.(Édouard schuré, I grandi iniziati, laterza, bari 1973)

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universale che è manifestazione dell’Assoluto”.7Per antoine faivre, docente di storia delle correnti esoteriche nell’Europa moderna e con-temporanea all’École pratique des hautes études di Parigi, è esoterica qualsiasi dottrina o filosofia che si basi su: - una corrispondenza analogica tra macrocosmo e microcosmo;- l’idea di una natura viva ed animata;- la nozione di stadi intermedi tra la natura e lo spiri-to puro;- il principio della trasmutazione interiore;- la pratica della confluenza delle fonti dottrinali.Per faivre, quindi, l’esoterista è il pensatore che pone l’accento su tre punti: analogia, teosofìa e Chiesa interiore. se per analogia può valere il principio ermetico di “Quello che è in Alto è in basso, o se vi vuole la relazione analogica tra macrocosmo e microco-smo, per teosofia egli intende, differenziandosi e di molto dalla Società teosofica di Helena Petro-vna blavatsky8, il pensiero che, tenendo conto di una cosmogonia, di una cosmologia, di una escatologia, si chiede non “Quis est Deus”, ma piuttosto “an sit Deus” e trova la risposta che va da dio verso la natura concreta.Per Chiesa interiore, infine, intende l’anima uma-na, centro dove dio risiede e a cui l’uomo può avvicinarsi con l’illuminazione della gnosis. Quindi per l’accademico francese il concetto di Esoterismo è applicabile ad una vasta area, che comprende anche e le confessioni religiose, e che è esplorabile con gli strumenti e i metodi propri delle scienze umane.9

***Entro questa definizione, per così dire disciplina-re, se ne possono collocare molte altre, ad esem-pio di carattere mistico o filosofico. Per Elémire zolla è “una intuizione immaginante” che mette da parte le immagini esterne per attingere all’ar-chetipo, o, in altre parole, è la ricerca di una verità eterna che non cambia con il cambiare del tempo, se non per aspetti esteriori trascurabili, e conduce all’intelligenza dei “fatti fondanti e non dei fatti variamente fondati”,10 ma è anche “tutto

7 William Walker atkinson, Il Kybalion, Venexia Edizio-ni, roma 2000.

8 Per la celebre Società teosofica, fondata a New York nel 1875, si veda: Paola giovetti, helena Petrovna Blavatsky e la Società Teosofica, Edizioni Mediterranee, roma 1991.

9 Cfr. antoine faivre, L’esoterismo. Metodi, temi, immagi-ni, op. cit.

10 Elémire zolla, I mistici dell’Occidente, adelphi, milano

quello che conosciamo ignorandolo”. un pensiero che regge l’uomo e per analogia il mondo, ov-vero l’energia dionisiaca della zoé, eternamente ritornante e non racchiudibile nei limiti bìoi.11 Per Carl gustav Jung è la capacità individuale ed eroica di “vivere il mito” superando le limita-zioni del tempo e dello spazio che, d’altronde sono un concetto relativo e non assoluto. l’esoterismo, in questo senso, risolve effica-cemente la coniuctio oppositorum che perviene alla contemplazione del fanciullo divino. Per il liberi muratori sarebbe l’occultum lapidem, ma Jung non si fece mai intrappolare dalle parcelliz-zazioni semantiche.12Per Umberto galiberti l’esoterismo, che è il su-peramento della logica come strumento di com-prensione (Organon aristotelico), significa utiliz-zare “un regime discorsivo regolato dal simbolo che connette i significati (sum-ballein), a differenza dei concetti che li separano e li disgiungono (dia-ballein), e che permette inoltrarsi lungo un sentiero che porta in un orizzonte, silente ma potente, che sta al di qua della parola e delle sue possibili interpretazioni”.13

1992.

11 Elémire zolla, Archetipi, Aure, Verità segrete, Dioniso errante. Tutto ciò che conosciamo ignorandolo, (a cura di grazia marchianò) marsilio editore, Venezia 2016.

12 Cfr. Carl gustav Jung, Liber novus (o il Libro Rosso), bollati boringhieri, torino 2010.

13 Umberto galiberti, È morto Elémire Zolla. L’ultimo degli esoteristi, in la repubblica, 4 gennaio 2010.

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l’accenno ad antoine faivre, che individua l’esoterismo cristiano nella teosofia dei primi secoli, ad esempio nelle Omelie spirituali dello Pseudo macario, il quale afferma che il corpo, l’anima e lo spirito costituiscono un unico orga-nismo disgregato dal peccato, permette di intro-durre l’argomento che ci siamo posti, con una breve panoramica sulle origini e sulla natura della questione.1nonostante le chiese cristiane, e principalmente quella cattolica, tendano a liquidare i movimenti esoterici dei primi secoli, come deviazioni ere-ticali, tuttavia è innegabile che il Didaskaleion di alessandria, punto di incontro della cultura egiziana, ebraica e greca, e figlia del Platonismo della accademia di atene, abbia costituito la base della Patristica orientale che pone nella Gnosis lo strumento della redenzione spirituale e della salvezza. Protagonisti di questa filosofia teologica sono, solo per restare ai nomi di sicura ortodossia,2 Clemente alessandrino (150 - 215) e origene adamanzio (185 – 254) che interpretano sincreticamente il Verbum cristiano attraverso il Logós platonico, seguiti dionigi l’aeropagita, pseudonimo sotto cui si cela un monaco siriano vissuto tra il V e il Vi secolo, il cui Corpus Areo-pagiticum, attraverso la traduzione di giovanni Scoto Eriugena, influenzerà i movimenti spiri-tualistici medievali.3

1 Per lo Pseudo macario si veda: Spirito e fuoco. Omelie spirituali di Pseudo Macario, Qiqajon Edizioni, monastero di bose 1999.

2 Per restare nei limiti imposti omettiamo marcione (85 -160 d. C.), Valentino (prima metà del ii secolo), basilide (prima metà del ii secolo), giamblico (245 - 325), flavio Claudio giuliano detto l’apostata (331 -363), Proclo (412 - 485) con la sua Teologia platonica.

3 il Corpus pervenutoci si compone di quattro trattati (De coelesti hierarchia, De ecclesiastica hierarchia, De divinis nominibus, De mystica theologia) e dieci lettere in cui si fa accenno ad altre opere perdute. nel De divisione naturae,

***Un inCiso: Pistis soPhiaPistis sophia è probabilmente il testo più com-pleto che possediamo tra gli scritti gnostici ante-riori al iV secolo, poiché è scampato alla distru-zione sistematica delle opere giudicate eretiche dopo il Concilio di nicea (312 d. C.). il mano-scritto papiraceo in lingua copta, scoperto non si sa bene dove e quando e giunto nelle mani di Anthony Askew, medico e bibliofilo londinese, nel 1772, è attualmente conservato nel British Museum con la designazione ad 5114.oggetto di numerosi studi, in specie dopo il ritrovamento di altre varianti tra Codici di Nag Hammâdi nel 1945, si ritiene sia stato composto nella regione nilota nel iii secolo, riunendo parti di opere più antiche. la struttura cosmogonica e lo stile letterario lo riconducono, infatti, alla comunità gnostica degli Ofiti (da òphis = serpente) detti anche Naasse-ni (dalla voce ebraica anâhâsh che ha lo stesso significato) secondo i quali, prendendo spunto dal libro dei numeri4, il Padre di tutti emanò il figlio (il Logòs) a cui si aggiunse Agape (spirito santo) che generò gesù Cristo (o Adam Kadmon) e sua sorella Sophia. Questa generò il demiurgo (Ialdabaoth o Yahweh), identificato nel Dio vetero-testamentario, che creò il mondo materiale e adamo ed Eva rinchiudendoli nell’Eden. sophia, che all’insaputa del demiurgo aveva instillato loro una scintilla divina, mandò il serpente a

scoto Eriugena, accogliendo il concetto delle emanazio-ni plotiniane, arriverà a delineare la reciproca interpene-trazione tra uomo e natura e la conseguente deificazione del primo.

4 “Mosè pregò per il popolo. Il Signore disse a Mosè: - Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta; chiunque, dopo essere stato morso, lo guarderà resterà in vita-. Mosè allora fece un serpente di rame e lo mise sopra l’asta; quando un serpente aveva morso qualcuno, se questi guardava il serpente di rame, restava in vita”. (numeri, 21)

Capitolo priMo

l’EsotErismo Cristiano

Sed loquimur Dei sapientiam in mysterio, quae abscondita est, quam praedestinavit Deus ante saecula in gloriam nostram,

quam nemo principum huius saeculi cognovit.( Paolo di tarso, Prima lettera ai Corinzi, 2,7-8)

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indurli a mangiare il frutto proibito in modo da risvegliare la loro conoscenza. Gesù, infine, a volte identificato col serpente, discese dal cielo per liberare gli uomini dalla tirannia di Ialdaba-oth.5su questa linea Pistis Sophia è la rappresentazio-ne della vicenda umana che va dalla creazione alla salvezza, passando attraverso la caduta, dai cui effetti nefasti la libera la resurrezione e l’in-segnamento di gesù Cristo, il che, nell’ambito di una visione filosofica, il Cristianesimo avrebbe potuto anche accettare, se non fosse stato che tale visione annulla ogni potere sacerdotale, riducendone la gerarchia a semplice corollario esteriore. non secondario, inoltre, è il ruolo che vi hanno le donne (maria, madre di gesù, sa-lomè, marta e maria di magdala) nell’ambito dell’azione apostolica, in contrasto con il dettato paolino che le esclude da ogni attività ecclesia-stica, tutti elementi questi, che insieme ad altri, più di carattere politico che teologico, portarono all’inappellabile condanna dello gnosticismo nelle sue varie accezioni.6

***l’alChimia in oCCidEntEnon meno importante è l’apporto che la scuola alessandrina ha dato allo sviluppo di una al-chimia occidentale, ed in quanto tale cristiana, poiché intesa come correlazione dell’uomo con la natura mediante la redenzione. in questo senso il Corpus Hermeticum, attribuito ad Ermete trismegisto, diverrà la sperimentazione per un processo che tende alla unione della materia allo spirito, attraverso la preghiera, e che permette, secondo l’indicazione paolina, la rigenerazione nell’uomo e nella natura, della dignità perduta.7

5 Cfr. luigi moraldi, Testi Gnostici, Utet, torino 2008.

6 “Mulieres in ecclesiis taceant, non enim permittitur eis loqui; sed subditae sint, sicut et Lex dicit. Si quid autem volunt discere, domi viros suos interrogent; turpe est enim mulieri loqui in ecclesia”. Paolo, Prima lettera ai Corinzi, XiV, 34.35.

7 “19 Nam exspectatio creaturae revelationem filiorum Dei exspectat; 20 vanitati enim creatura subiecta est, non volens sed propter eum, qui subiecit, in spem, 21 quia et ipsa crea-tura liberabitur a servitute corruptionis in libertatem gloriae filiorum Dei. 22 Scimus enim quod omnis creatura conge-miscit et comparturit usque adhuc; 23 non solum autem, sed et nos ipsi primitias Spiritus habentes, et ipsi intra nos gemimus adoptionem filiorum exspectantes, redemptionem corporis nostri”. (La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; essa infatti è stata sottomessa alla caducità - non per suo volere, ma per volere di colui che l’ha sottomessa - e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà

l’anello di congiunzione tra la visione orientale e quella occidentale sembra essere stato zosimo di Panopoli (fine III secolo - inizio IV) filosofo egizio di nascita, greco di lingua e cultura, ma non estraneo al Cristianesimo e allo gnosticismo neo-platonico, il quale accanto ad un interesse tecnico per la chimica, introduce nel processo per la trasformazione dei metalli, il valore esote-rico di un percorso di purificazione iniziatica.8maturata nella corte di bisanzio, questa corrente sarà sviluppata da Jabir ibn hayyan (721 - 762 circa) meglio conosciuto con il nome latinizzato di geber, il cui pensiero, con il fondamenta-le apporto della cabala ebraica, troverà la sua massima diffusione nelle scuole di Cordoba e di toledo che faranno del cosiddetto Corpus ger-beriano, in realtà una serie di scritti eterogenei, molti dei quali apocrifi, assemblati nel X secolo, il manuale alchemico-esoterico più diffuso in occidente, in specie dopo la traduzione in latino di Paolo da taranto, di cui si dirà in seguito. attraverso una vasta letteratura, che va dalla ricerca iniziatica del Santo Graal, esemplata dal Perceval (circa 1180) di Chrétien de troyes al Perzival (verso il 1203) di Wolfram von Eschen-bach9, all’avvento della Chiesa dello spirito regnante sulla terra di gioacchino da fiore (1135 -1202) alla teosofia di Arnaldo da Villanova (1240 - 1312) fino, per concludere per il momen-to le citazioni, al Roman de la Rose,10 si diffonde in vari campi l’idea di una rinascita spirituale, venata di alchimia, che segnerà la religiosità occidentale.

***

della gloria dei figli di Dio. Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo). Paolo, Lettera ai Romani, Viii, 19 - 23.

8 Cfr. Zosimo di Panopoli. Visioni e risvegli (a cura di an-gelo tonelli), rizzoli, milano 2004.

9 riguardo le origini del ciclo cavalleresco della cer-ca del graal ci sia permesso rinviare al nostro: maria Concetta nicolai, Alle origini della Leggenda. Suggestioni e attualità della ricerca del Graal, Ed. d’abruzzo libri-mena-bò, Pescara 2011.

10 il poema allegorico della conquista della rosa amata, iniziato nel 1237 da guillaume de lorris, che ne scrisse 4.058 versi, fu ripreso e completato con più di 18.000 versi, da Jean de meun tra il 1275 e il 1280. Cfr. guillau-me de lorris - Jean de meun, Romanzo della Rosa (testo francese antico a fronte, ed. a cura di mariantonia libo-rio), Einaudi, torino 2014.

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Capitolo seCondo

Una lUnga, anzi labirintiCa PrEmEssa di inCisi, riflEssioni E diVagazioni

Quello che rende il labirinto di Cnosso pericoloso è che al centro vi sta il Minotauro. Eliminato il Minotauro, se ne esce benissimo.

Umberto Eco, Labirinti e minotauri, in la bustina di minerva, l’Espresso, 4 settembre 2015

Prima riflEssionE a modo di EXCUsatiol’argomento della nostra discussione è “L’esote-rismo da Ubertino da Casale ad Athanasius Kircher”, ovvero la constestualizzazione di un fenomeno in un segmento temporale circoscritto, che però non può essere affrontato convenientemente senza delinearne, almeno per sommi capi, le cause e l’origine più prossime. tanto premesso a modo di excusatio, si abuserà della pazienza del lettore ancora per poche pagine.Prima dell’anno mille, quando l’ordine cassi-nese era all’auge della sua potenza, cominciò a serpeggiare, dapprima tra il clero, poi anche tra i laici, il malcontento di quanti auspicavano il ritorno al monachesimo primitivo e alla povertà, spesso più immaginata che reale di benedetto. inoltre l’umanità viveva un periodo di incertez-za: la visione unitaria carolingia si andava sfal-dando nella realtà degli stati nazionali, la funzio-ne dell’imperatore acquistava ruoli non sempre subordinati al potere della Chiesa che, dal suo canto, era agitata dalle eresie e dalla corruzione. Carestie, pestilenze, guerre sembrano preludere la fine del mondo che la quarternità apocalittica, elaborata dai millenaristi, annunciava imminen-te. a darci un vivido quadro della situazione che va dal 900 al 1044, sarà rodolfo il glabro nella sua Historiarum libri quinque, scritta nel monaste-ro di Cluny.1

il MOVIMENTO RIfORMATORE DI CluNYUno dei primi movimenti riformatori partì infat-ti proprio da Cluny, dove bernone di borgogna (850 circa – 927), fondava l’abbazia dei santi apostoli Pietro e Paolo, stabilendo che i “monaci poveri di Cristo” vi vivessero secondo la regola, nell’umiltà, nella preghiera, provvedendo con il lavoro al proprio sostentamento e praticando la

1 Cfr. rodolfo il glabro, Cronache dell’anno Mille. Storie, fondazione Valla, Edizioni mondadori, milano 1999.

carità verso i poveri. in poco tempo i Cluniacensi si diffusero in tutta l’Europa arrivando a contare, oltre mille e duecento monasteri e a dare alla chie-sa papi riformatori come gregorio Vii (1073-1085), Urbano ii (1088-1099), Pasquale ii (1099-1118) e Urbano V (1362-1370) .2mentre il modello di Cluny, con le sue pitture bizantineggianti che interpretano la proiezione della gerusalemme celeste, con gli splendidi codici miniati nei suoi scriptoria costruivano l’immaginario fantastico medievale, roberto di molesme (1028 -1111), abate di saint-michel a tonnerre, dopo aver vissuto qualche tempo come eremita, nel 1075, fonda il monastero di mo-lesme sul modello ascetico dei Padri del deserto.3 la riproposta delle laure orientali, attrasse perso-naggi di rango come bruno di Colonia che qualche anno dopo riuscirà a coniugare nella Certosa la vita eremitica con quella del cenobio,4 ma il nome di

2 raymond oursel, Il segreto di Cluny, Jaca book, milano 2001.

3 secondo la tradizione fu alberico a scegliere per la nuova comunità il saio bianco, o meglio di panno grez-zo non tinto, indossato sotto la cocolla nera. Cfr. marina righetti tosti-Croce, Cistercensi, in Enciclopedia dell’ar-te medievale, op. cit.

4 della famiglia e della infanzia bruno (1030 – 1101), si sa molto poco, se non che iniziò gli studi nella cattedrale di Colonia e li proseguì brillantemente a reims, dove divenne professore e li studi fino a quando non fu un brillante allievo e responsabile della cancelleria del duo-mo. Entrato in contrasto con il vescovo, nel 1080 lasciò ogni incarico e, presi i contatti con roberto di malesme, si ritirò in eremitaggio a seche fontaine: in seguito con alcuni compagni fondò a grenoble un monastero benedettino riformato a cui dette la regola certosina, ma Urbano ii, che era stato suo allievo a reims, lo chiamò a Roma per affidargli la cancelleria pontificia. Approfit-tando del clima turbolento che in quegli anni agitava il papato, si rifugiò in un bosco della Calabria , dove nel 1090 ripeté l’esperienza cenobitica nell’eremo di santa maria e nella certosa di santo stefano nella località oggi chiamata serra san bruno. Cfr. tonino Ceravolo, Vita di

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roberto di molesme, insieme a quello di alberico di Cîteaux e di stefano harding che gli succe-dettero come abati, è legato all’EsPEriEnza CistErCEnsE iniziata il 21 marzo 1098 in una località acquitrinosa, sparsa di cespugli di rose selvatiche.5la nuova fondazione, continuando il programma iniziato a molesme, privilegiava il lavoro agrico-lo, ma i veri organizzatori dell’assetto giuridico dell’ordine furono stefano harding e bernardo di fontaines.il primo, grande conoscitore dei testi sacri e dei Padri della chiesa, promosse lo studio della Vul-gata di san girolamo, accompagnandola a tradu-zioni di testi ebraici, migliorò la pratica del canto e accolse nello scriptorium i migliori miniaturisti di francia. Grazie ad i suoi buoni uffici nel 1100 Pasquale ii concedeva il Privilegium romanum che rendeva la congregazione cistercense libera dalle ingerenze vescovili e laicali.

bErnardo di fontainEsbernardo di fontaines vi giunse nella primavera del 1112, insieme ad alcuni suo familiari e com-pagni con i quali si era ritirato un anno prima in una sua proprietà, per condurvi vita eremitica. su di lui sono state scritte migliaia di pagine che ne tracciano la vicenda umana, l’azione politica e reli-giosa, ma uno dei più belli e profondi ritratti delle qualità mistiche di bernardo è quello tracciato da rené guénon ed ad esso, per brevità, riportandolo integralmente in appendice, si rimanda per i parti-colari.6 Qui basterà dire che dopo l’intensa attività per il risanamento morale della Chiesa romana in preda allo scisma, bernardo assurse a “Lumem gloriae”7 della teologia rivelata e Citeaux a modello esteti-co di un’arte religiosa ascetica, spoglia da ogni ornamento, ma non per questo sine pulcritudine.8

San Bruno di Colonia, Edizioni Certosa, 2001,

5 incerta è l’etimologia di Citeaux: secondo alcuni deriverebbe da cisterna con riferimento al carattere pa-ludoso del luogo. secondo altri era la corruzione della indicazione geografica “cis tertium lapidem miliarium” derivante dalla presenza di un cippo miliare sulla antica strada romana tra langres e Chalon-sur-saóne. Cfr. ma-rina righetti tosti-Croce, Cistercensi, in Enciclopedia dell’arte medievale, op. cit.

6 scritto nel 1927 per la Librairie de France, è stato ripub-blicato da Paul Chacornac in La vie simple de René Gué-non, Editions traditionnelles, Parigi,1982 e in italiano nel volume L’esoterismo cristiano di René Guénon, (a cura di Calogero Cammarata) ed. arktos, Carmagnola 1997.

7 Paradiso canti XXXii e XXXiii.

8 Per il rapporto di bernardo con l’arte si veda: louis bouyer, La spiritualità cisterciense, Jaca book, milano

in italia la riforma monastica annovera la Certosa camaldolese di romualdo (951 circa – 1027),9 l’esperienza anacoretica e politica di Pier da-miano (1007 - 1072), 10 ma soprattutto l’opera di gioacchino da fiore (1130 circa – 1202) che tanto peso ebbe sullo spiritualismo medievale.11

gioaCChino da fiorEVisionario, profeta e mistico si era formato nella Cancelleria regia di guglielmo i di sicilia, che abbandonò per abbracciare il modello monastico greco e dedicarsi alla composizione di opere il cui pensiero dottrinale si basa sulla narrazione della storia come attuazione delle profezie rive-late nella sacra scrittura e come compimento del disegno divino; una interpretazione escatologica delineata nel De prophetia ignota, e messa a punto nella Genealogia sanctorum antiquorum patrum, breve trattato composto nel 1176, in cui dagli ul-timi rami dell’antico testamento, rappresentato simbolicamente da un albero di fico, germoglia una vite, ovvero Cristo come rinnovamento dei tempi.12apertamente esoterica è la visione esposta nel Liber figurarum, corollario iconografico di un metodo storico delle generazioni in cui si collo-cano l’azione teologica della trinità, la riforma monastica rappresentata dalla considerazione iniziatica di una “dispositio novi ordinis”.13Come l’epoca dell’antico testamento era sta-ta quella del Padre, che per bocca dei profeti annunziava la venuta del figlio, così l’attuale compiutasi con l’avvento di gesù Cristo, prece-

1994.

9 Cfr. aa.Vv., San Romualdo. Storia, agiografia e spiritua-lità (atti del 23º Convegno del Centro studi avellaniti, fonte avellana, 23-26 agosto 2000), gabrielli Editori, negarine di san Pietro in Cariano (Verona) 2002.

10 Cfr. nicolangelo d’acunto, Introduzione a Pier Damia-ni. Lettere, la Città nuova, roma 2000.

11 le notizie su gioacchino da fiore ci vengono dalla Vita, scritta nel 1202 da luca, arcivescovo di Cosenza che era stato il suo scriba durante il soggiorno a Ca-samari (1183-85). Ad essa si aggiunge una biografia anonima scritta intorno al 1209. Cfr. fabio troncarelli, Gioacchino da Fiore. La vita, il pensiero, le opere, la Città nuova, roma 2002..

12 Per la Genealogia sanctorum antiquorum patrum si veda: gian luca Potestà (a cura di), Ioachim abbas Florensis Flo-rensis. Scripta breviora. fonti per la storia d’italia, istituto storico italiano per il medioevo, roma 2014.

13 Cfr. marco rainini, Disegni dei tempi. Il Liber Figura-rum e la teologia figurativa di Gioacchino da Fiore, Edizioni Viella, roma 2006.

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de quella dello spirito santo in cui si attuerà la plenitudo historiae e l’intelligentia spiritualis per mezzo della quale la comprensione delle scrittu-re supererà l’esegesi tradizionale.14 su questa tripartizione si muore la triade letteraria di gioacchino da fiore, costituita dalla Concordia Novi ac Veteris Testamenti, l’Expositio in Apocalyp-sim, e lo Psalterium decem chordarum. ritenuta la sua opera maggiore, il Liber de Concordia, esercitò un notevole influsso su tutto il pensiero medie-vale fino alle istanze rinnovatrici Rinascimento. Per heinrich W. Pfeiffer ad esso si sarebbe ispira-to michelangelo buonarroti per le composizioni iconiche della Cappella sistina.15le età del mondo, suddivise, secondo la visione millenaristica giudaica, in sette periodi, vivono dopo la resurrezione, una epoca sabatica e si avviano ad un periodo di pace terrena in cui re-gneranno Cristo e il popolo dei santi. in tal modo gioacchino ridisegna l’escatologia cristiana, ma in senso ancor più fondamentale per gli esiti profetici che dalla sua pagina scaturiranno, tra-sforma l’anticristo, dal falso messia destinato a manifestarsi a gerusalemme, in un eretico che si insedierà ai vertici della Chiesa.16lo Psalterium decem chordarum introduce l’età del-lo spirito santo e di quella Ecclesia spiritualis, pro-pria, secondo la classificazione di Antoine faivre, del pensiero esoterico, in cui all’ordine dei vesco-vi succederanno nuove forme di vita religiosa che aboliranno le gerarchie ecclesiastiche in una pro-gressiva e totalitaria adesione alla perfettibilità dei “tempi nuovissimi”.17incompiuto è restato il Tractatus super quatuor Evangelia, opera fortemente polemica, compren-dente tre sermones composti tra il 1191 e il 1202, e inseriti nel commento ai quattro Evangeli consi-derati come una unità concordante e riguardante i popoli del mediterraneo (Ebrei, greci e latini) di cui gioacchino auspica la riunione sotto una comune chiesa affidata all’ordine monastico che

14 al riguardo si fa notare come questo concetto si coniughi perfettamente con quello di teosofia, propu-gnato da antoine faivre come una delle basi portanti dell’esoterismo. antoine faivre, L’esoterismo. Metodi, temi, immagini, op. cit.

15 Cfr. heinrich W. Pfeiffer, La Sistina svelata. Iconografia di un capolavoro, Editrice libreria Vaticana -Jaka book, milano 2007.

16 Cfr. Kurt-Victor selge, Sull’Apocalisse, (trad. italiana a cura di andrea tagliapietra), feltrinelli, milano 1994.

17 Kurt-Victor selge (a cura di), Gioacchino da Fiore. Psal-terium decem cordarum, istituto storico per il medio Evo. fonti per la storia d’italia, roma 2009.

potrà condurla alla nuova “Pentecoste dello Spiri-to.18la morte non segnò la fine del pensiero gioachi-mita, in parte condannato dal Concilio lateranen-se del 1215, ma nel contempo rilanciato da ge-rardo di borgo san donnino, da Pier di giovanni olivi e da Ubertino da Casale che diedero vita al movimento spirituale francescano considerato eretico. In questo ambito furono attribuiti all’abate flo-rense molti commenti esegetici, profezie e vati-cini, come il Tractatus super Hyeremiam, composto verso il 1230 probabilmente proprio in ambiente francescano. 19

***nonostante la chiesa cattolica non perdesse oc-casione per ribadire la propria distanza dall’eso-terismo, questo si spandeva al suo interno in mille rivoli; accanto ai movimenti che auspicava-no l’avvento di un’età dello spirito che abolisse ogni gerarchia e potere temporale, altri ricerca-vano nello studio di antiche dottrine la rivela-zione divina, altri ancora affidavano al rigore scientifico la soluzione dei misteri dell’universo, inteso come espressione compiuta della Crea-zione, non ponendo alcun limite dogmatico alla ricerca. Esemplare in questo senso è la storia di gerberto di aurillac (940 – 1003), divenuto papa con il nome di silvestro ii, che impone un’altra doverosa (e in tema) parentesi.

***Un’atra, Ma doverosa parentesi: gErbErto di aUrillaCnato da una famiglia umile in aquitania, ma di precoce e vivida intelligenza fu allevato come oblato nel cenobio di saint-géraud d’aurillac, dove, quando era poco più che un bambino, fu notato da borrel, conte di Catalogna che lo inviò a studiare dapprima presso attone, vescovo di Vich, poi a Cordoba, il più importante centro

18 Cfr. gioacchino da fiore, Tractatus super quatuor Evangelia, (a cura di francesco santi) istituto storico ita-liano per il medioevo - fonti per la storia d’italia, roma 2002. sempre edito dall’istituto storico italiano per il medioevo si vedano anche i Sermones a cura di Valeria de fraja 2006.

19 Cfr. gian luca Potestà, I frati minori e lo studio della Bibbia. Da Francesco d’Assisi a Nicolò di Lyre, in la bibbia nel medio Evo, (a cura di giuseppe Cremascoli e Clau-dio leonardi), Ed. dehoniane, bologna 1996. sull’in-flusso di Gioacchino da fiore sulla filosofia e la politica medievale si veda anche: Valeria de fraia, Oltre Cîteaux. Gioacchino da Fiore e l’ordine florense, istituto storico ita-liano per il medioevo - fonti per la storia d’italia, roma 2006.

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culturale dell’occidente, dove si formò una enciclopedica cultura in tutte le scienze, tanto che nel 970 giovanni Xiii lo chiamò a roma alla cancelleria papale. Con l’appoggio del giovanissimo imperatore ottone ii raggiunse reims per studiare, nel chiostro della cattedrale, la scolastica, divenen-done, in pochi anni così padrone della materia da essere elevato al grado di magister. la sua fama si era sparsa in tutta l’Europa, anche perché l’imperatore lo chiamava al suo seguito nei numerosi viaggi che compiva. a ravenna, nel 980, alla presenza di Enrico ii e di tutta la corte imperiale gerberto, appena ventenne, si misura, in una disputa (quodlibetalis), restata celebre, con otrico di magdeburgo, sulle catego-rie del sapere e sul ruolo della filosofia contrap-posto a quello della fede, superandolo di molto, come narrano le cronache dell’epoca, l’anziano scholasticus.20lo stesso anno è nominato abate di san Colom-bano a bobbio, ricchissima abbazia imperiale celebre per il suo scriptorium e per la sua biblio-teca in cui amplia le sue conoscenze nella dialet-tica, nella retorica, nella sofistica, approfondisce lo studio dei classici latini e greci e della logica aristotelica (di questo periodo è il suo interesse per l’Isagoge di Porfirio che Bobbio possedeva nella traduzione di severino boezio). l’educazione ricevuta nella spagna catalana e musulmana gli suggerisce studi sui numeri, sul-le proprietà geometriche delle figure piane e dei volumi, il perfezionamento dell’uso dell’abaco, tanto da essere considerato, a meno di 35 anni, una celebrità in tutto l’occidente cristiano.dopo la morte di ottone ii, gerberto “abbas et scholasticus” torna a reims dove impianta una scuola frequentata da grandi nomi e dove, ac-canto alle discipline del trivio e del Quadrivio, affianca le ricerche di matematica, d’astronomia, di fisica sperimentale in una officina provvista di abaci, astrolabi, squadri ad ombra e geometrici, organi ad aria, orologi ad acqua, una semisfera su montatura equatoriale per l’osservazione astronomica e il cosiddetto “tubo per guardare” riprodotto in tanti testi di scienze medievali.21

20 richero di reims, che è presente alla quaestio quo-libetalis, registra tutta la discussione e la riporta nella Historia Francorum (iii, 55-65). Cfr. laura Paladino, La biografia di Gerberto nella Historia Francorum di Richero di Reims, (con commento e traduzione criticamente rivedu-ta) in archivum bobiense, nn. 27-28, Ed. Vita e pensiero, milano 2005-06.

21 Per questi aspetti si rinvia a Gerbertus, International

la situazione politica francese, estremamente complessa dal punto di vista dinastico, lo porta ad occuparsi di questioni politiche anche quan-do nel 991 è nominato arcivescovo di reims, aprendo un contrasto violento con Arnolfo, fi-glio illegittimo di lotario, pretendente alla stessa carica. il 21 maggio 996 ottone iii è incoronato impera-tore da suo cugino, gregorio V, al secolo bruno di Carinzia. si apre un periodo in cui i giovani intellettuali governano il mondo: il pontefice ha ventiquattro anni ed è deciso ad appoggiare la riforma cluniacense, l’imperatore ne ha sedici e tiene in pugno, con una serie di alleanze matri-moniali, la situazione francese e quella germa-nica. gerberto ne diventa segretario, rinuncia alla carica episcopale e nel 998 lo segue in italia dove, in qualità di arcivescovo di ravenna, coa-diuvato da romualdo, abate di santa apollinare in Classe, svolge, non senza incontrare la netta opposizione del clero, un significativo ruolo politico e religioso, appoggiando l’autonomia imperiale contro il potere di roma, combattendo la simonia dell’acquisto delle cariche episcopali e promuovendo il ripristino intellettuale e morale dei chierici.agli inizi del 999 muore all’improvviso grego-rio V, si dice avvelenato da Crescenzio, patrizio romano e console del senato: con l’appoggio di ottone iii, gerberto, a sessant’anni, dopo un bre-vissimo conclave, è eletto papa. Come il primo silvestro aveva, secondo la tradizione, collabo-rato con Costantino per il rinnovamento dell’im-pero sotto l’egida cristiana, così egli, assumendo lo stesso nome, intendeva stabilire una continu-ità armonica tra gli affari di Chiesa e l’impero. Roma, grazie a questo pontefice che si era for-mato sugli scritti di severino boezio, ritrova un rinnovamento culturale: i canoni si arricchiscono di liturgie cantate, diffonde gli studi sull’abaco e sulla geometria, riempie le stanze apostoliche di libri e strumenti scientifici fino ad allora scono-sciuti, che però più che la curiosità suscitano il sospetto. Da raffinato giurista quale era, mette in luce la falsità della cosiddetta “Donazione di Costantino”, instaura una politica che ha l’obiettivo di restitu-ire al papato l’autorità offuscata dai tanti intrighi e dalle ingerenze del patriziato romano che però, dopo l’improvvisa morte del giovane imperatore

Academic Publication on History of Medieval Science, diret-to da flavio g. nuvolone (Universite’ de fribourg-Ch).la pubblicazione a cadenxa annuale è on-line: www.icra.it/gerbertus

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(24 gennaio 1002) rialza la testa. i Crescenzi e i conti di tuscolo organizzano som-mosse antimperiali; il papa, sempre più isolato, l’anno dopo muore nel palazzo lateranense, aprendo un agitato periodo di brevi pontificati e antipontificati su cui aleggiava l’ombra degli omicidi. la morte e la disparità culturale con i suoi contemporanei consegnarono gerberto all’ingeneroso mito di pontefice negromante e diabolico, diffuso dai Gesta Romanae Ecclesiae contra Hildebrandum, scritti da bennone di osna-brück (Xi secolo), cardinale scismatico al soldo dell’antipapa Clemente iii. Gerberto d’Aurillac ha lasciato opere scientifiche come il Libellus de numerorum divisione; il De geome-tria; l’Epistola ad Adelbodum; De sphaerae construc-tione; Libellus de rationali et ratione uti, la Regula de abaco computi; il De commensuralitate fistularum et monocordi cur non conveniant, o di diritto canonico come gli Acta Concilii Remensis ad Sanctum Baso-lum, il sermo de informatione episcoporum, i Decreta, i Diplomata, ma nell’immaginario popolare la semi-sfera astronomica, su cui studiava le orbite dei pianeti, diviene una magica testa d’oro parlante, la cassetta dell’abaco uno scrigno in cui il papa avrebbe custodito l’immenso tesoro di augusto, ritrovato con l’aiuto di un misterioso genio dalle fattezze moresche, e i suoi libri, probabilmente scritti in arabo o in ebraico, lingue che conosceva perfettamente, i diabolici manuali di negroman-zia.22Per tutto il medioevo, ed anche oltre, risuonò la condanna con cui un santo monaco lo avrebbe ammonito in punto di morte: “Non abacus, non te mathesis, Gerberte, iuvabunt”; e a rafforzare la

22 Per gli scritti di gerberto d’aurillac si vedano, oltre ai Silvestri Acta nel volume 137 della Patrologia latina, flavio nuvolone (a cura di) Gerberto d’Aurillac da abate di Bobbio a papa dell’anno Mille, in archivum bobiense, studia iV, ed. Vita e Pensiero, milano 2001 e sempre a cura di nuvolone, Gerberto d’Aurillac - Silvestro II, linee per una sintesi (atti del Convegno internazionale, bobbio, auditorium di s. Chiara, 11 settembre 2004) ed. Vita e Pensiero, milano 2005.

visione esoterica del personaggio contribuirono una postilla, posta da un ignoto chierico del XV secolo a margine della pagina che lo riguarda nel Liber pontificalis: “Si chiamava Gerberto, fu monaco nella diocesi di Aurillac; ma, abbandonato il mona-stero, rese omaggio al diavolo affinché ogni cosa gli riuscisse proprio come desiderava, e il diavolo promise ...” e lo straordinario fenomeno a cui assittettero in molti quando nel 1648 innocenzo X ne ordinò la ricognizione del cadavere: “Quando si scavò sotto il portico, il corpo di Silvestro II fu trovato intatto, sdraiato in un sepolcro di marmo a una pro-fondità di dodici palmi. Era rivestito degli ornamenti pontificali, le braccia incrociate sul petto, la testa coperta dalla sacra tiara; la croce pastorale pendeva ancora dal suo collo e l’anulare della mano destra por-tava l’anello papale. Ma in un momento quel corpo si dissolse nell’aria, che ancora restò impregnata dei soavi profumi posti nell’urna; nient’altro rimase che la croce d’argento e l’anello pastorale”. 23gerberdo d’aurillac non fu un mago, né un negromante, forse fu un esoterista alla ricerca della Verità mediante l’illuminazione divina della gnosis, ma certamente “Egli è un perfetto precopernicano: prima di Ruggero Bacone, Alberto Magno, Dante Alighieri, Giovanni Pico, che proietta l’ombra delle sue sfere armillari e della sua scienza sui secoli dal Mille in avanti. Un individuo la cui ars e mathesis costituiscono un binomio qualitativo per la stessa storia del papato. Troppo rilevante questa sua personalità perché non nascesse dall’XI secolo una leggenda che attraversa l’intera cultura europea fino ad oggi e, certo, oltre ancora”.24

***

23 dal verbale redatto da Cesare rasponi, camonico in san giovanni in laterano, citato in: massimo oldoni, Gerberto e il suo fantasma. Tecniche della fantasia nel Medio-evo, liguori, napoli 2008.

24 ibidem . Per le leggende che riguardano il papa mago si veda anche: arturo graf, Miti, leggende e superstizioni del Medio Evo, loescher, torino 1893 (rist. bruno mon-dadori, milano 2006).

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Capitolo terzo

lo sCEnario in CUi si EsPandE il franCEsCanEsimo

“Haec omnia sunt tua cum palatio militumque tuorum”.tommaso da Celano, Vita prima

i MoviMenti paUperistiCi ed eretiCali

dall’ambito monastico e clericale, il pensiero di un ritorno al Cristianesimo delle origini si era rapidamente diffuso tra i laici, dando vita a movimenti religiosi spontanei che non sempre le autorità ecclesiastiche riuscivano a contenere e disciplinare. si trattava quasi sempre di fermenti popolari che opponevano ad un clero e ad una chiesa, non più in grado di rappresentare un modello morale, nuove interpretazioni dei testi sacri, diffuse da improvvisati predicatori itine-ranti, a volte analfabeti o di scarsa istruzione, che proponevano una visione pauperistica della religione, al di fuori delle gerarchie e dei canoni istituiti.1la Chiesa cercò di arginare il fenomeno nei suoi singoli episodi piuttosto che nella sua globalità, riducendolo a casi di possessione diabolica o di follia che, per la mentalità del tempo, erano la stessa cosa. Esemplare al riguardo è il giudizio espresso chiaramente da rodolfo il glabro nel narrare tre storie, accadute intorno all’anno mil-le, in posti distanti tra loro, ma con modalità ed effetti simili.2la prima è quella di un certo leUtardo, conta-dino analfabeta di un villaggio della diocesi di Châlons-sur-marne che, in preda ad una com-pulsiva agitazione, decide di vivere ascetica-mente, scaccia la moglie, distrugge le immagini religiose, ma soprattutto prende a predicare che “che era del tutto inutile e ozioso pagare le decime; che i profeti avevano detto cose in parte giuste, in par-te da non credersi” suscitando la reazione del ve-scovo che lo attacca così duramente, tanto che il poveretto si toglie la vita gettandosi in un pozzo. il secondo folle, questa volta ammaliato da “certi diavoli che presero l’aspetto dei poeti Virgilio, Orazio

1 Cfr. ottavio Capitani (a cura di), L’eresia medievale, il mulino, bologna 1974.

2 rodolfo il glabro, Storie dell’Anno Mille, op. cit.

e Giovenale” è vilgardo, un dotto letterato di ra-venna che “cominciò a insuperbire per la conoscenza che aveva della sua arte” e si diede a insegnare false dottrine che subordinavano ogni verità alle “parole dei poeti”, fino all’inevitabile condanna per eresia. il terzo episodio prende avvio da una certa donna italiana (per dannatio memoriae non se ne riporta il nome) che giunta ad orleans “posseduta com’era dal demonio, seduceva tutti quelli che poteva, non solo gli inesperti o gli ingenui, ma anche moltissimi di condizione clericale, in apparenza assai istruiti”, tra cui Eriberto e lisoio, canonici della cattedrale che presero a “negare l’unità e trinità di Dio, ad affermare che il cielo e la terra non erano stati mai creati; e parlando delle opere di pietà e giustizia che per i cristiani costituiscono il prezzo per meritare l’eterno premio, le definiscono, senza vergo-gna, tutte fatiche inutili”. il loro proselitismo dovette assumere dimensioni tali da preoccupare anche il Conte d’orleans ed il re che ovviamente condannò tutti al rogo “col plauso dell’intera popolazione”.repressioni, condanne e roghi però non risolve-vano il problema di un popolo di credenti delusi che, contestando il potere politico dei vescovi, la ricchezza e la corruzione del clero, la Chie-sa che aveva dimenticato gli ideali apostolici, desidera vivere un cristianesimo rinnovato sui Vangeli. tutto l’occidente era un vasto scenario di fermenti eversivi in cui confluivano tanto le eresie colte di arnaldo da brescia (1090 - 1155), che rifiutando il potere temporale del papa, acquistavano una accezione politica, tanto quelle pauperistiche diffuse tra i ceti marginali che vi aderivano in massa provocando disordini di ordine pubblico.3 in questa categoria rientrano

3 Così lo descrive Giovanni di Salisbury, filosofo e car-dinale suo contemporaneo: “Criticava ormai apertamente i cardinali, dicendo che il loro consesso, per superbia e avarizia, per ipocrisia e molte nefandezze, non era la chiesa di Dio, ma un mercato e una spelonca di ladri: tra il popolo cristiano essi

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i movimenti condannati dalla costituzione Ad abolendam diversarum haeresium pravitatem, pro-mulgata il 4 novembre 10184, da lucio iii nella cattedrale di san zeno a Verona, ovvero, solo per citare i maggiori quello dei Patari cominciato a milano nel 1045 e da qui diffusosi in tutto il settentrione, gli Umiliati della abbazia Viboldo-ne, il bogomilismo balcano, gli albigesi, i Catari, e Poveri di lione di Pietro Valdo su cui converrà soffermarsi brevemente per le sue anologie con la fraternità francescana.4diversi per dottrina, per struttura e forse anche per funzione, le cosiddette eresia dell’anno mil-le sono tutte attraversate da una vena esoterismo d’antica origine che identifica la salvezza nella lettura dei testi sacri e in una prisca theologia che attinge, sia pure inconsapevolmente, alla gnosis e si esprime più per simboli che per parole.5

***pietro valdo da lione (1130 – 1206 circa)”A Lione, prima metropoli, viveva un uomo molto ricco e famoso che distribuì ai poveri tutte le cose che aveva, non riservandosi alcunché. Costui divenne così povero che di porta in porta, in modo pubblico come gli altri poveri, nella città in cui aveva brillato per gloria e onore di ricchezze, mendicava il sostentamen-to, suscitando la riprovazione dei suoi concittadini. Quando veniva incontrato da coloro che chiedevano la causa di un cambiamento tanto inopinato e repentino, stupefacente e ammirevole, si dice che tale fosse la sua risposta: Se vi fosse dato di vedere e credere i tormenti futuri che ho visto e in cui credo, forse anche voi vi comportereste in modo simile”. 6Così, in poche righe, il Liber visionum et miraculo-rum, un manoscritto proveniente dall’abbazia di Clairvaux e databile tra il 1174 - 1179, traccia la figura e l’attività di Pietro Valdo, ricco mercante di tessuti preziosi e notabile di lione, che pro-prio in quegli anni, abbandonata la vita coniu-

esercitavano le veci di scribi e farisei. Nemmeno il papa era ciò che si professava, uomo apostolico e pastore di anime, ma uomo sanguinario, che fondava la sua autorità su incendi e omicidi, torturatore delle chiese, persecutore dell’innocenza, il quale non faceva altro al mondo che vessare la gente, riem-piendo le proprie casse e svuotando quelle degli altri”. Citato in arsenio frugoni, Arnaldo da Brescia nelle fonti del secolo XII, Einaudi, torino 1989

4 Cfr. giacomo todeschini, Visibilmente crudeli. Malvi-venti, persone sospette e gente qualunque dal Medioevo all’età moderna, il mulino, bologna 2007.

5 Cfr. grado giovanni Merlo Eretici ed eresie medievali, il mulino, bologna 1989.

6 Citato in grado giovanni merlo, Eretici ed eresie medie-vali, op. cit.

gale per vivere in castità, comincia la sua predi-cazione itinerante sulle sacre scritture che aveva fatto tradurre in volgare. sembra che a indurlo a tale radicale cambiamento fosse stato l’ascolto de la Légende de Saint Alexis, un ritmo giullaresco in langue d’oil che narra una vicenda analoga.7radunata una schiera di seguaci, di cui le crona-che ecclesiastiche di lione sottolineano l’asso-luta ineguatezza culturale, li invia a predicare il Vangelo nelle piazze, suscitando la censura del terzo Concilio lateranense (1179) che resterà im-mutata nonostante la cosiddetta “professione di fede” in cui Valdo l’anno successivo riaffermava la sua ortodossia e sottomissione alla chiesa cat-tolica nel sinodo presieduto dal legato pontificio nella cattedrale di Saint-Jean-et-Saint-Étienne a lione. la condanna definitiva non tarderà ad ar-rivare quando nelle piazze cominciano a predi-care anche le donne, e i valdesi, costituitisi come chiesa secolare che ubbidiva innanzi tutto a dio, e poi eventualmente agli uomini, categoria in cui rientrava anche il papa, nel 1183 passarono “dal-la presunzione e dall’usurpazione dell’ufficio apostoli-co e caddero nella disubbidienza, poi nella contumacia e poi nella sentenza di scomunica”.8 dopo quella data di Valdo si perdono le tracce. Probabilmente morì a lione tra il 1206 e il 1207, ma sua chiesa che adotta il sacedozio universale sottoposto solo al voto di povertà e dedito alla predicazione dei testi sacri, continuò, nonostante le persecuzioni, ad ingrossare le proprie fila.

***

franCEsCo o Parsifal?la visione esoterica del Cavaliere errante

agli inizi del Xiii secolo, sulla scena di questo contesto culturale si affaccia il giovane francesco di Pietro di bernardone. (1184 - 1226). assisi, come molti altri comuni vive un periodo di fermenti sociali e politici. il ceto dei mercatores, a cui egli appartiene, costituisce la base di una identità civica, già proiettata ad assumere il ruo-lo di cives possessores di beni iscritti all’estimo e si pone alla guida del malcontento che denuncia la corruzione del clero, lo strapotere della nobil-

7 Composta, verso il 1040, da tibaud de Vernon, cano-nico di rouen sul genere del romanzo brettone e del ciclo arturiano della tavola rotonda ebbe una ampia diffusione ed un uso paraliturgico che, attraverso la po-esia popolare, arriva fino ai nostri giorni. Cfr. Alessan-dro d’ancona, La poesia popolare italiana, giusti, livorno 1906.

8 grado giovanni merlo, Valdo. L’eretico di Lione, Clau-diana, torino 2010.

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tà rurale decisa a mantenere i propri privilegi anche nell’assetto urbano.9 nel 1198 una sommossa popolare abbatte le torri delle famiglie guelfe fedeli a Corrado di lützen, costringendole a riparare a Perugia. francesco studia un poco di latino curiale presso la chiesa di san giorgio, ma soprattutto si ap-passiona ai romanzi cavallereschi e alla poesia cortese provenzale che canta, in liete brigate, in langue d’oil appresa dalla madre. Pietro di bernardone, che probabilmente già si è reso conto di quanto il ragazzo fosse poco adatto alla mercatura, immagina per lui una carriera politica o militare, la qual cosa segnerebbe un salto di qualità nel prestigio familiare, e per questo nel 1202 lo arma affinché partecipi con gli homines populi assisiati alla battaglia di Collestra-da contro i fuorusciti.gli esiti sono disastrosi, francesco è fatto prigio-niero e può tornare a casa solo dopo un anno, ma sempre con il sogno di farsi cavaliere. anzi è proprio un sogno a deciderlo. gli era appar-so, infatti, un re che, chiamandolo per nome, lo aveva condotto nella sala di un meraviglioso palazzo, pieno di armi d’ogni genere e di scu-di crociati risplendenti, promettendogli “Haec omnia sunt tua cum palatio militumque tuorum”. Più lieto del solito, e sicuro di diventare un gran principe, “disposuit ad comitem Gentilem, praepara-tis sibi pannis pretiosis, ut potuit, quatenus ab eodem comite miles fieret, (...) assumpto scutifero ascendens equum, versus Apuliam equitabat”.10 ma proprio come l’ingenuo Parsifal del ciclo arturiano, francesco non immagina le avven-ture di cui sarà protagonista. giunto a spoleto, un’altra visione lo induce a tornare indietro. a foligno vende il cavallo, le armi, i ricchi abiti,

9 Cfr. guido martinotti (a cura di), Città e analisi sociolo-gica, marsilio, Padova 1968.

10 De inceptione vel fundamento Ordinis et actibus illorum fratrum Minorum qui fuerunt primi in religione et socii B. Francisci., caput i, 5-6

di cui il padre lo aveva provvisto, e si ripresen-ta ad assisi a piedi e vestito di poveri panni, poiché ha deciso di farsi mendicante. all’inizio il movimento a cui aderirono subito i compagni delle giovanili brigate, non è diverso dalle tante istanze laicali pauperistiche sparse nell’italia settentrionale, e non preoccupa eccessivamente il papa, rassicurato dal vescovo di gubbio sulla assoluta ortodossia di francesco all’autorità del-la Chiesa, che decide di non intervenire pesan-temente, anche in considerazione della precaria situazione politica della città. l’unico problema resta la predicazione dei laici, condannata dal terzo Concilio lateranense, ma è facilmente risolvibile attribuendo gli ordini minori a fran-cesco ed ai suoi compagni, ai quali, peraltro, si sono aggiunti anche alcuni chierici.il resto è tanto noto da non dover essere neppure accennato, ma quello che qui preme sottolineare è che francesco resta sempre un cavaliere in cer-ca di avventure. Privo di qualsiasi preparazione religiosa, e ancor meno di ogni apprendimento della teologia scolastica, modula il suo mistici-smo sul canone esoterico dell’amor cortese “et novus Christi Miles”, come lo chiama tommaso da Celano,11 stringe un sacro commercio “cum domina Paupertate, si paragona all’araldo del gran Re, considera i suoi dodici frati come i cavalieri della tavola rotonda e nella lingua dei trovieri chiede l’elemosina a roma dove si è recato pelle-grino sulla tomba del Principe degli apostoli.12

11 Vita prima, Caput iV -9,1.

12 Per il “Sacrum commercium Sancti Francisci cum domina Paupertate”, poemetto allegorico, attribuito a giovanni Parenti che lo avrebbe composto su spunti biografici riportati da tommaso da Celano e bonaventura da ba-gnoregio, si rimanda all’edizione curata da E. menestò, s. brufani et alii, Porziuncola, assisi 1999.

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Capitolo qUarto

franCEsCani EsotEriCi E alChimisti

“Credo ut intelligam et intelligo ut credam”anselmo d’aosta, Proslogion

Considerate la formazione culturale e la spiri-tualità del fondatore, che stabilisce un profondo contatto con la natura, non parrà strano che una vena di esoterismo attraversi tutto l’Ordine fin dalle origini, a cominciare da Elia da Cortona (1180 circa – 1253) che fu il successore di france-sco. la temperie culturale in cui l’ordine nasce e si sviluppa, la tradizione orientale con cui fu sempre a contatto, lo spirito laico con cui inter-preta l’agostiniano “credo ut intelligam et intelligo ut credam” filtrato attraverso il Proslogion di an-selmo d’aosta, conferiscono al francescanesimo, uno sguardo capace di indagare oltre la prova ontologica dell’esistenza di dio e giungere alla metafisica dell’esicamo e della filocalia di cui si nutre l’esoterismo.1

***di Elia da Cortona, al secolo buonbarone, di cui nonostante l’ampia letteratura che lo ri-guarda, si hanno scarse notizie sugli anni antece-denti il suo incontro con francesco.2 tommaso da Celano (Vita prima) allude ad una amicizia tra i due fin dall’infanzia, ma la prima data certa è il 1217 quando francesco lo nomina ministro provinciale in siria, la qual cosa fa sup-porre che facesse parte del primo drappello. nel 1221, tornato ad assisi, in qualità di vicario, si occupa delle questioni organizzative dell’or-

1 a buon diritto, antoine faivre ritiene che la tradizione cristiana d’oriente, non contaminata dalla interpretazio-ne teologica della scolastica e dai rigorismi della Con-troriforma tridentina, ha mantenuto nella sua struttura ufficiale una metafisica e una tradizione esoterica in cui si collocano l’esicamo monastico, l’amore mistico per la bellezza (filocalia) di gregorio Palmas, ma anche il neo-platonismo e l’alchimia. Cfr. antoine faivre, Esoterismo e tradizione, Ed. Elleci, torino 1999.

2 Per salimbene da Parma (Cronica - Liber de prelato) che dedica ampio spazio alla sua discussa vicenda nell’or-dine minorita, Elia sarebbe stato un notaio o un uomo di legge, nato da genitori bolognesi ad assisi.

dine, che si è esteso fino in Inghilterra, predispo-nendo missioni, regolando i rapporti con il clero, e svolgendo le funzioni di portavoce di france-sco, ormai gravemente malato, che in punto di morte gli riserva una speciale benedizione in cui compare il Tau che diverrà uno dei simboli dei minoriti.3a lui si deve l’ideazione, sul modello del santo sepolcro di gerusalemme, della basilica minore di assisi che il 25 maggio 1230 accoglieva le spoglie del santo in un clima che già mostrava le prime avvisaglie delle scissioni che divideranno i francescani in varie famiglie, e non tutte accet-tate nell’ortodossia cattolica. in contrasto con giovanni Parenti, eletto mi-nistro generale, si ritira a Cortona, per poi su-bentrargli, quando questi è sciolto dalla carica, dal 1232 al 1239, anni in cui svolge una intensa attività in occidente ed in oriente, accrescendo il numero dei frati, sia laici che religiosi, ad oltre ventimila unità. aprì studi di teologia nei con-venti principali, riorganizzò la struttura delle

3“Et ego sic volo”, ait. “Te”, inquit, “fili, in omnibus et per omnia benedico, et sicut in manibus tuis fratres meos et filios augmentavit Altissimus, ita et super te et in te omnibus benedico. In caelo et in terra benedicat te rex omnium Deus. Benedico te sicut possum et plus quam possum, et quod non possum ego, possit in te qui omnia potest. Recordetur Deus operis et laboris tui, et in retributione iustorum sors tua ser-vetur. Omnem benedictionem, quam cupis, invenias, et quod digne postulas impleatur”. (tommaso da Celano, Vita prima, libro secondo, cap. 7) lo stesso tommaso attesta che francesco era solito scrivere benedizioni accompa-gnandole da una formula finale di carattere apotropai-co e vidimandole con il segno del Tau. Un tale scritto autografo è vergato sulla prima carta di un codice membranaceo contenente un evangelario e un breviario che il Santo usava per la recita dell’ufficio e attualmente conservato nel monastero delle Clarisse di assisi. Cfr. raul manselli, L’ultima decisione di San Francesco. Bernar-do di Quintavalle e la benedizione di San Francesco morente, in bullettino dell’istituto storico italiano per il medio Evo e archivio muratoriano, lXXViii, roma 1967.

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province, istituendovi la figura del Visitatore, ma nonostante i successi ottenuti non si conqui-stò la benevolenza dei confratelli che lo ripaga-rono diffondendo sul suo conto varie accuse fino ad ottenerne la scomunica comminatagli da gre-gorio iX nel 1240, dopo la quale riparò alla corte di federico ii a cui lo legava una antica amicizia. nella corte federiciana, per la quale compì im-portanti missioni diplomatiche in oriente, ebbe modo di ampliare il suo interesse per l’alchimia, coltivata già ad assisi dove aveva riunito i culto-ri di questa scienza, accedendo ai lavori specula-tivi di michele scoto (1175 – 1232 circa) terziario francescano che forse aveva avuto modo di conoscere durante i suoi numerosi viaggi, come fanno supporre le citazioni nell’Ars alchemiae.4secondo le testimonianze del tempo, tra cui Ubertino da Casale e bonaventura da bagnore-gio5, vi compose il Lumen luminum, opera in sei libri sulla trasmutazione e i suoi principi teorici, in cui con sottigliezza filosofica considera che ”l’alchimia è arte, ma nello stesso tempo è scienza, religione, filosofia: è l’aurea dottrina che porta alla co-noscenza di se stessi. Oggetto quindi dell’arte alche-mica è l’uomo inteso nel suo triplice aspetto, corpo, anima e spirito”.6il Lumen Luminis, insieme ad altri scritti minori, tra cui una raccolta di sonetti esoterici, riprodot-ti in un considerevole numero di codici, segnò profondamente lo sviluppo degli studi alche-mici e filosofici e, nonostante l’Ordine ne avesse preso le distanze, a cominciare dalla fine del XIII secolo, condannando apertamente le pratiche al-chemiche in vari Capitoli, fu sempre considerato una espressione della spiritualità minorita che, del resto come si dirà, offre numerosi esempi di questo genere.7

4 michele scoto vi cita tre procedimenti messi in opera da Elia d’Assisi che definisce “praticante dell’alchimia”. Cfr. P. morpurgo, le traduzioni di Michele Scoto e la circolazione dei manoscritti scientifici in Italia Meridionale: la dipendenza della Scuola Salernitana dalla Scuola Parigina di Petit Pont, in la diffusione delle scienze islamiche nel medio Evo europeo. (atti del Convegno internazionale, roma 2-4 ottobre 1984, a cura di b. scarcia amoretti), accademia nazionale dei lincei, roma 1987.

5 Per Ubertino da Casale si fa riferimento all’Arbor Crucis, di cui si dirà in seguito, e per bonaventura alla Legenda major Sancti Francisci.

6 salvatore attal, Frate Elia compagno di San Francesco (con uno studio su frate Elia e l’alchimia di anna ma-ria Partini), Edizioni mediterranee roma, 2016-

7 a titolo di esempio, e solo per restare nell’ambito italiano, si citano i codici contenenti opere di frate Elia da Cortona: Commentum in Lumen luminum (firenze, bi-

***miChElE sCotoa considerare michele scotto come colui “che ve-ramente de le magiche frode seppe ’l gioco” si rischia di credere che dante ignorasse che solo grazie a lui aveva potuto leggere “Averroìs che ‘l gran commento feo” e di sottacere la complessità di un personaggio, il cui pensiero influenzò la filosofia e la scienza del Xiii secolo.8 nato in scozia verso il 1190 presso Kirkcaldy probabilmente si era formato in una delle scuole monastiche fondate dai “Céli Dé” i cosiddetti vas-salli di Dio che avevano coniugato la spiritualità celtica con il cristianesimo e da cui era uscito, tra i tanti, san Colombano.9si era avvicinato al francescanesimo, giunto in inghilterra con la missione guidata da frate Elia, e quel che è certo è che nel 1210, già in possesso di una solida cultura classica, dopo aver attra-versato tutta l’Europa, era a toledo in stretto contatto con gli ambienti arabi, leviti e cristiani, ed aveva acquisto tanta padronanza nelle lin-gue ebraica ed araba, da tradurre in latino i testi scientifici di Abuteo, il commento di averroé al De coelo et mundo di Aristotele, il De motibus caelo-rum di alpetragio. si conquistò anche la stima di onorio iii che nel 1224 gli aveva offerto l’arcivescovato di Cashel, in irlanda e quella di rodrigo, arcivescovo di toledo che accompagnò a roma per partecipare ai lavori del iV concilio lateranense.10nel 1220 è allo studium di bologna dove si occu-pa di medicina con rolando da Cremona (1178 – 1259) teologo e scienziato domenicano che lo presenta a federico ii, nella cui corte troverà i fermenti più adatti ai suoi interessi. nomina-

blioteca riccardiana, ricc.119) databile tra il 1391-1410; De elexir ad album et rubeum (Poppi, biblioteca comunale rilliana, manoscritti, 90) databili tra il 1451e il 1500; De elixir ad album et rubeum (bologna, biblioteca universi-taria, bologna, manoscritti, ms.104) databile tra il 1476 e il 1484; De secretis naturae (bologna, biblioteca univer-sitaria, manoscritti, ms.104), databile tra il 1476-1484; Libellus de lapide philosophorum, (bologna, biblioteca uni-versitaria, manoscritti, ms.457, XiX,3) datato 1501; Opus fratris Helie philosophi (roma, biblioteca Casanatense, manoscritti, ms. 1477), datato 1401.

8 Per averroé: dante alighieri, inferno, canto iV, v. 144; Per michele scoto, inferno canto XX, v. 116-117.

9 Cfr. marcel Pacaut, Monaci e religiosi nel medioevo, Ed. il mulino, bologna 2007

10 Cfr. Carmela Baffioni, Trasmissione e ricezione dei testi filosofici nel mondo arabo e latino, in lo spazio letterario del medioevo (a cura di b. scarcia amoretti) salerno Editrice, roma 2003.

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to filosofo ed astrologo imperiale, ha modo di conoscervi, solo per citarne alcuni, roffredo di benevento giudice della Curia; riccardo di san germano cronista formatosi a montecassi-no, giorgio da gallipoli, giovanni da otranto, giovanni grasso, poeti della elegante scuola italo-bizantina del monastero di san nicola ad otranto, il medico guglielmo di saliceto, autore del celebre trattato De Cyrurgia, leonardo fi-bonacci che gli dedicò la seconda redazione del Liber Abaci e con il quale intrattenne una lunga corrispondenza.11Nella corte, dove rimase fino al 1235, divenne ben presto, animatore di dibattiti e confronti tra studiosi di diversa formazione e delle varie discipline, inducendo l’imperatore ad “inquirere diversos doctores et magistros propter diversas scien-tias eo quod diversi diversa sentiunt scientiarum” in modo da avere a disposizione lo scibile umano, ed introducendo un metodo di indagine dialetti-ca, ripreso anche in altre corti, come ad esempio in quella di Ezzelino iii da romano.12sempre per federico ii tradusse l’Abbreviatio Avi-cenne de animalibus, l’Ethica Nicomachea, scrisse l’Ars Alchemica, tracciando un quadro documen-tato sulla pratica di questa disciplina nel medi-terraneo, ma soprattutto compose il Liber intro-ductorius che resta la sua opera principale. dopo un Proemio in cui secondo l’enciclopedismo del tempo affronta quesiti sulle cause dell’agire divino, la disposizione del Cielo e della terra, il ruolo degli animali e dell’uomo, l’attività degli angeli e l’esaltazione dell’astrologia, seguono il liber quattuor distinctionum, il Liber Particularis, e il Liber Phisionomiae, in ciascuno dei quali esa-mina rispettivamente le proprietà dei pianeti e il loro influsso sull’agire dell’uomo; l’armonia musicale; i problemi connessi all’utilizzazione dell’astrologia, la natura e le qualità dell’anima umana.

***l’Universo, entro cui si muovono tutte le cre-ature in virtù della Prima Causa, è racchiuso entro nove sfere ed è circondato dalle acque sovracelesti; la terra, situata nell’ultima sfera è composta da elementata, o elementi secondi, rispetto a quelli più puri delle sfere più alte. gli angeli costituiscono il raccordo tra microcosmo e macrocosmo, tra l’uomo e dio ed hanno il

11 Cfr. raul manselli, La corte di Federico II e Michele Sco-to, in scritti sul medioevo, bulzoni, roma 1994.

12 Cfr. Pietro morpurgo, Il Sermo suasionis in bono di Michele Scoto a Federico II, in rendiconti della accademia dei lincei, n. 38, roma 1983.

compito di combattere i demoni, evocabili con la negromanzia (per invocacionem mulierum supersti-ciosarum) che causano carestie, pestilenze, guerre e distruzioni.13di particolare interesse è nel Liber Phisionomiae, il capitolo De informacione medicorum in cui svilup-pa una scienza medica che considera il malato una unità psicofisica a cui giovano medicamenti spirituali, farmaci, la cui posologia deve tener conto dell’influsso dei pianeti e la presenza di incantatrices per alleviare il dolore. non esclu-de, infine anche l’uso di talismani ed il ricorso a pratiche magiche, quando il medico si sia reso conto di non essere più in grado di “rationaliter subveniri per viam physice”.14

***nel 1235 michele scoto, probabilmente, accom-pagnò Pier delle Vigne in inghilterra per trattare il matrimonio tra la quindicenne Isabella, figlia di giovanni senzaterra e sorella di Enrico iii, con federico ii, poiché da quella data non si hanno più sue notizie nella corte imperiale. È certo però che per almeno nei successivi dieci anni fu in corrispondenza con l’astrologo ebreo Judah ben salomon ha-Cohen. gli storici ipo-tizzano che sia tornato in scozia dove dal 1227 stefano langton, arcivescovo di Canterbury, su richiesta di onorio iii, gli aveva assegnato alcuni benefici.15

***la pluralità degli interessi esposti nelle sue opere lo confermano un filosofo cristiano che utilizza tutte le possibilità offerte dalle nuove scienze della natura sviluppatesi nel Xii secolo. in grado di mettere a confronto le varie tradizio-ni esoteriche, dai Libri sibillini di latina memoria, all’ebraico Testamento di Salomone, fino all’arabo Libro delle figure, considera l’insieme di queste dottrine “scientiam secretorum que exaltat hominem inter magnates et facit eum quantum ad corpus quasi habere principium Paradisi”.16

13 Cfr. Pietro morpurgo, Il concetto di natura in Michele Scoto, in Clio, rivista trimestrale di studi storici n., 22, Edizioni scientifiche italiane, Napoli 1986.

14 Cfr. Pietro morpurgo, Il capitolo De informacione medicorum del Liber Introductorius di michele scoto, in Clio, rivista trimestrale di studi storici, n. 20, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1984.

15 Cfr. Cesare Vasoli, Michele Scoto, in Enciclopedia dantesca, vol. iii, istituto della Enciclopedia italiana, treccani, roma 1984.

16 Cfr, Pietro morpurgo, Fonti di Michele Scoto, in rendi-conti dell’accademia nazionale dei lincei, n 38, roma 1983.

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nonostante l’ampio spazio concesso all’astrolo-gia, mediante la quale del resto, si percepiscono “multa secreta Dei”, il Liber Introductorius è fonda-mentalmente basato sulla teologia agostiniana, riletta attraverso la filosofia di Severino Boezio, l’enciclopedismo di isidoro di siviglia e di beda il Venerabile, il misticismo di Ugo di san Vittore e la libera speculazione di Pietro abelardo.17Eppure, nonostante la sua opera rientri nei ca-noni scientifici dell’epoca, rispetto a cui propone soluzioni innovative, e il suo pensiero resti com-plessivamente in linea con l’ortodossia cattolica, l’immagine che ne diffusero i contemporanei è quella dell’astrologo e mago profetico in grado di prevedere la sorte degli uomini e la fine del mondo, in definitiva un eretico per metà ebreo, accusa che come si è detto era stata rivolta anche a giuacchino da fiore, e per metà arabo.18Un secolo dopo, a firenze andrea di bonaiuto nel cosiddetto Cappellone degli Spagnoli a santa maria novella, lo raffigura accanto ad Ario ed Averroé, nelle sembianze di un filosofo ebreo che straccia le scritture dinanzi a san domenico di guzman che reprime l’eresia, e Jacopo della lana (1290 – 1365) dotto commentatore della Commedia dantesca, si attarda a credere che “qual fu indivino dell’imperador Frederico; e ave per mano la arte magica, sí la parte della coniurazione como eziandeo quella delle ymagini: delle quale si rasona che stando a Bologna e uxando cum genti homini e cari, e manzando cum s’usa tra loro im bri-gada a casa l’uno de l’altro, che quando venía la volta a lui d’aparchiare mai non facea fare alcuna cosa de cusina in soa casa, ma avea spirti a lo comandamento, che ‘l facea tôrre lo lesso della cusina del re de França, el rosto de quella del re d’Ingelterra, le tramesse de quel de Cecilia, lo pane d’un logo, el vino d’un altro; confeti e frute donde li piaxea”.19

***se, per le Cronache e gli annali francescani, quando si volgano senza acrimonia a citarli

17 ibidem.

18 al riguardo si tenga presenta tutta la novellistica quattrocentesca da giovanni boccaccio (decamerone Viii,9) a francesco sacchetti (il libro delle rime). Una ottima analisi delle tradizioni sulla magia di michele scoto resta ancora: arturo graf, La leggenda di un filosofo. Michele Scotto, in miti, leggende e superstizioni del medio Evo, loescher, torino 1893 (ristampa, bruno mondadori, milano 1984).

19 mirko Volpi e arianna terzi (a cura di) Jacopo della Lana, Commento alla Divina Commedia di Dante Alighieri (Edizione nazionale dei commen-ti danteschi) salerno editore, roma 2009.

come appartenti all’ordine, michele scoto è Magister ed Elia da Cortona Philosophus, bona-VEntUra d’isEo è Medicus. di lui si ignorano la data, il luogo e il casato di nascita, ma salimbene de adam, ricordando che nel 1249 accompagnò giovanni da Parma, ministro generale dell’ordine, in una missione diplomatica papale a nicea, presso l’imperatore giovanni iii Vatatzes, lo dice “anziano”, così che è ipotizzabile che all’epoca avesse circa cinquan-ta anni. aggiunge anche che, benché si dicesse fosse figlio di un oste, aveva fatto una importan-te carriera ecclesiastica con l’aiuto di Ezelino da romano (verumtamen ultra modum baroniçabat, cum filius fuerit cuiusdam tabernarie, ut dicebatur) ma che in ogni caso era uomo “sapiens et indu-strius et sagacissimus, honeste et sancte vite”, che scrisse “magnum volumen sermonum de festivitati-bus et de tempore” e che fece una morte edificante, certamente dopo il 1273, poiché in quell’anno era a bologna come mediatore in una questione che aveva coinvolto bolognesi e Veneziani.20 bonaventura fu provinciale di Provenza, di genova, di bologna, di treviso, vicario dell’or-dine a lione, ma oltre i sermoni per le festività, conservati peraltro in un codice della biblioteca antoniana a Padova,21 il suo nome è legato ad un celebre trattato di alchimia, composto dopo il 1256 a Venezia “in conventu fratrum S. Mariae et in conventu loci Vineae”, come indica l’incipit del codice membranaceo n. 119 della biblioteca riccardiana di firenze.22si tratta del Liber Compostella multorum experi-mentorum veritatis fratris Bonaventurae de Ysiode Ordine fratrum minorum, in cui l’autore afferma di essere amico di alberto magno e di tomma-so d’aquino, di aver discusso di alchimia con i patriarchi di gerusalemme, di aquileia e con altri prelati. diviso in tre libri, nel primo tratta della natura di diverse acque, di alcuni olii e sali; nel secondo della generazione e trasmutazione dei metalli, insieme ad una breve trattazione sui sali di uso alchemico, nel terzo, infine, raccoglie le esperien-

20 Cfr. ludovico Vittorio savioli, Annali bolognesi, iii, 2, bassano 1795. Citato in Cesare Vasoli, Bonaventura d’Iseo, Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 11, istituto della Enciclopedia italiana, treccani, roma 1969.

21 Cfr. antonio maria iosa, I Codici manoscritti della Bi-blioteca Antoniana di Padova descritti ed illustrati, Padova 1886 (ristampa ed. antoniane 2010).

22 Cfr. Cesare Vasoli, Bonaventura d’Iseo, dizionario Biografico degli Italiani, op. cit.

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ze di vari autori, soprattutto geber, razis, flori-dus, bacone e alberto magno.23

***arnaldo da VillanoVa (1240 – 1312 CirCa) su arnaldo da Villanova, detto il Catalano, non ci sono dubbi: fu medico, mago ed alchimista, fermamente convinto della utilità di questa scienza.Era nato vicino Valencia, aveva studiato dap-prima le arti del trivio e del quadrivio a aix-en-Provence, poi medicina a montpellier, nella rinomata scuola dei Cavalieri del tempio, dove farmacopea araba ed occidentale procedevano in stretto connunbio, infine filosofia a Parigi, probabilmente con alberto magno con il quale sviluppò gli interessi alchemici.laico, aderente all’ala spirituale e pauperistica dei terziari francescani, spirito libero sempre in viaggio, perfezionò i propri studi a firenze, Perugia, roma e bologna, dove probabilmente venne a contatto col grande alchimista fiorenti-no taddeo alderotti (1210 circa - 1295), che era stato il primo a sviluppare la distillazione frazio-nata.24 È di questo periodo, infatti, il suo Tractatus de vinis”, in cui esalta le proprietà corroboranti dei vini aromatici e della “acqua vitae” distillato a cui dedica un’ampia argomentazione nel De conser-vanda iuventute ed retardanda senectute.25soggiornò anche a napoli e salerno, dove scrisse un commento del Regimen Sanitatis Salernitanum, e infine si stabilì a Parigi per esercitarvi l’arte della medicina. Qui strinse amicizia con raimon-do lullo (1232 -1316), ma nel 1286 era in spagna per apprendere l’arabo e l’ebraico dal domenica-no raimondo martì ed insegnare allo studio di barcellona.

23 Cfr. manola Carli, Un’enciclopedia alchemica duecen-tesca: il Liber Compostille di Bonaventura da Iseo, in atti dell’Viii Convegno nazionale di storia e fondamenti della Chimica, arezzo, 28-30 ottobre 1999, accademia dei lincei, roma 1999. sullo stesso argomento e nel medesimo volume si veda anche: michela Pereira, Nota su Bonaventura d’Iseo e le acque medicinali.

24 Cfr. gerardina Cesarano albani monti, Lezioni di Alchimia. Ai confini della scienza, ed. io sono, Città di Castello 2012ne

25 Per il Tractatus de vinis si veda: manlio della serra (a cura di) Il trattato dei vini di Arnaldo da Villanova, ar-millaria Edizioni, Ciampino 2015; per il De conservanda iuventute ed retardanda senectute: Chiara Crisciani et allii (a cura di) Vita longa. Vecchiaia e durata della vita nella tradizione medica aristotelica, antica e medievale, sismel, Edizioni del galluzzo, firenze 2009.

divenuto medico e consigliere di giacomo ii d’aragona, compì parecchie missioni diplomati-che, compreso quella nel 1301, presso filippo iV di francia che non riuscì a portare a termine poi-ché, appena giunto a Parigi, i teologi scolastici di quel celebre studio, ne pretesero l’arresto, accu-sandolo di aver diffuso idee eretiche e compiuto pratiche magiche. appellatosi a filippo iV e a bonifacio Viii, riuscì ad ottenere la libertà e raggiungere roma, che però, nonostante la protezione del papa che aveva guarito dai calcoli renali e dinanzi al quale aveva compiuto uno spettacolare esperimento di trasformazione del piombo in oro, dovette abbandonare di tutta fretta, sempre inseguito dall’accusa di eresia. a roma, infatti, secondo alcuni documenti dell’Archivio segreto vaticano, arnaldo da Villano-va, vaticinando il prossimo scontro tra bonifacio Viii e filippo il bello, avrebbe costruito un po-tente rebis, in grado di infliggere al re lancinanti dolori ed impedigli di muovere contro la Chiesa; poi avrebbe nascosto l’arcano in uno splendido monile, consegnandolo a maddalena Caetani, nipote del papa, affinché lo faccesse giungere a Parigi, ma il piano fallisce, l’arcano resta a roma e coinvolge in una sorte terribile quanti si trove-ranno sulla sua strada.26dopo gli eventi luttuosi che presto l’opinione pubblica attribuì alle sue arti magiche, si rifugiò in sicilia presso la corte di federico ii d’aragona svolgendovi compiti diplomatici e politici che gli permisero di compiere altri viaggi a Parigi, a roma, a montepellier, ad avignone e di diffon-dere ovunque i suoi studi sulla medicina, anche se nel 1305 l’inquisizione catalana ne aveva proibito la lettura.secondo una tradizione, sarebbe morto durante un naufragio nel mare di genova, verso il 1312, ma nella seconda metà del XX secolo, durante alcuni lavori, è stata ritrovata la sua tomba nella chiesa del castello di montalbano Elicona (messi-na) dove era solito soggiornare per ricercare nei dintorni erbe medicinali e veleni. la città gli ha dedicato, nel 2015 un Convegno internazionale a cui hanno partecipato illustri studiosi provenien-ti da tutto il mondo.

***nonostante nel 1316 l’inquisizione avesse ordi-nato la distruzione delle sue opere, queste con-tinuarono a circolare, più o meno segretamente, in un numero considerevole di manoscritti in

26 Cfr. barbara frale, Respice Arcanum, edizioni Penne & Papiri, tuscania 2014.

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tutta l’Europa, fino a quando non furono stam-pate per la prima volta a lione nel 1502, a cui seguirono, nel giro di pochi anni, le edizioni di Parigi, Venezia e basilea, rafforzando non solo la sua fama di alchimista e di mago, ma soprattutto quella di medico.27benché sia noto per il Flos florum o Libro del perfet-to magistero e per altri trattati di pratica alchemi-ca, arnaldo da Villanova spaziò in molti campi del sapere e se le opere di carattere teologico rientrano, senza molta originalità, nel filone del millenarismo francescano28, altro discorso è per i suoi scritti di medicina, per molti aspetti inno-vativi rispetto alle conoscenze dell’epoca. nel Breviarium practicae, che ebbe una prima edizione a stampa a Venezia nel 1483 e che fu a lungo utilizzato nelle facoltà di medicina, analizza i sintomi fisici cercando di individuarne le cause che differenzia eziologicamente in contingenti, antecedenti e congiunte, e sconfinando in altre discipline, compreso la preghiera, teneva pre-senti le condizioni psichiche del paziente, racco-mandando, inoltre, di accompagnare un regime igienico e dietetico adeguati, all’uso terapeutico dei semplici, che aveva studiato analiticamente nella Pratica Aurea Medicinalis.29 allo stesso modo nel Libellus de improbatione maleficiorum, anche se non nega la realtà degli incantesimi, tuttavia invita a considerare che alla base di molti fenomeni stanno contingenti e rilevabili cause morbose che nulla hanno a che

27 oltre le classiche raccolte latine, come la Bibliotheca Chemica Curiosa di Jean-Jacques manget - 1702, o il the-atrum Chemicum - 1602, e la recente edizione di antoine Calvet, (Les oeuvres alchimiques attribuées à Arnaud De Villeneuve, ed. archè, milano - Parigi 2011), l’opera om-nia di arnaldo da Villanova è consultabile su gallica, sezione digitale della bibliothèque nationale de france al sito http://gallica.bnf.fr/maistre arnoult de Ville-noue. Pubblicazioni parziali in italiano si trovano presso gli Editori sear (Il libro del perfetto magistero e la Lettera al Re di Napoli ) e mimesis, nelle raccolte curate da sabina e rosario Piccolini. (Il libro di alchimia. itinerario alchemico attraverso i testi dei veri sapienti scelti e tradotti, mimesis, sesto san giovanni (milano) 1987 e anni seguenti).

28 arnaldo da Villanova, seguendo le dottrine esca-tologiche di gioacchino da fiore e Pietro di giovanni olivi, scrisse una Expositio Apocalypsis e un De adventu Antichristi, prevedendone la venuta nel 1367. Presentò, infine, a Benedetto XI un progetto per la riforma della Chiesa, invocante povertà, purezza, umiltà e carità.

29 Per un’analisi complessiva degli scritti medici di arnaldo da Villanova si rimanda a simona mammola, la ragione e l’incertezza. Filosofia e medicina nella prima età moderna, franco angeli Editore, milano 2012.

fare con la stregoneria. 30anche la sua arte alchemica, del resto, attinge a tutto l’universo umanistico del suo tempo e, stando a quanto scrive nella Lettera sull’alchimia, indirizzata al re di napoli, sembra privilegia-re, più che la tecnica, una visione allegorica del mondo esposta attraverso il simbolismo dei quattro elementi.31sottolineando più volte che il “nostro oro” altro non è se non la natura cosciente e attiva, rivendi-ca la condizione elittaria dell’alchimia ed espone l’iter iniziatico, chiarendo che gli insegnamenti sull’arte vanno ricercati tra le righe, poiché hanno bisogno di poche parole: “Sappi, o Re, che i sapienti misero nelle loro opere molte cose e molti modi di procedere, come ad esempio il dissolvere, il coagulare e molti vasi e pesi; ciò fecero, per accecare gli ignoranti e per dichiarare solo agli intelligenti la loro opera. È noto, o Re, che i sapienti hanno rivela-ta l’Opera con poche parole, sebbene ve ne abbiano aggiunte molte altre, affinché non fossero compresi se non dai soli sapienti”.

***avviandoci a concludere questa lunga premessa dedicheremo solo pochi accenni, anche se ognu-no meriterebbe una lunga riflessione che riman-diamo ad altra occasione, a Paolo da taranto, raymond gaufredi (... – 1310) e giovanni da rupescissa (1310 - 1365).

Paolo da tarantodi lui gli annali francescani, forse per una comprensibile damnatio memoriae, non offrono nessuna notizia e tutto quello che sappiamo ci viene dal colophon apposto all’opera alchemica Theorica et practica, contenuta nel manoscritto Manchester University Library, Rylands 65: “Expli-cit totus liber tam theorice quam practice veritatis in arte alkimica. Explicit secundus liber practice et per consequens totus liber tam theorice quam practice veritatis, compilatus a fratre Paulo de. Tarento, qui fuit lector fratrum minorum in Assisio, preter quem aut vix aut numquam pervenit operator ad huius

30 Per una visione generale sugli scritti alchemici si veda: michela Pereira e Chiara Crisciani, Arnaldo da Villanova e l’alchimia. Una indagine preliminare, in actes de i* trobada internacional d’estudis sobra arnau de Vilanova, istitut d’estudis catalans, barcellona 1995. Per una lettura analitica: antoine Calvet, Les oeuvres alchi-miques attribuées à Arnaud De Villeneuve, edizioni archè, milano - Parigi 2011.

31 Cfr. arnaldo da Villanova, Lettera sull’alchimia al Re di Napoli, edizioni sear, Casalgrande1986.

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artis arcana”. 32il nome e l’appartenenza all’ordine sono confer-mati in una lista di testi d’alchimia presente in manoscritto, databile alla prima metà del secolo XiV, conservato attualmente nella biblioteca comunale di Palermo.33tuttavia, nonostante il silenzio delle fonti, del misterioso Paolo da taranto si è sempre parlato come il traduttore latino del Corpus Gerberianum, opera fondamentale nello sviluppo dell’alchimia occidentale, fino a quando nel 1986 William R. Newman, lo ha confermato, con assoluta sicu-rezza, autore di almeno tre opere originali: la Theorica et practica, la Summa perfectionis magiste-rii e il Liber de investigatione, tramandatici da una serie di manoscritti che ne attestano una ampia diffusione.34da questi scritti si ricava che Paolo, che fa spesso riferimenti alla città di taranto (patria nostra, ci-vitate Tarenti) e all’italia meridionale, aveva una solida cultura scolastica e teologica, conosceva, oltre alla tradizione arabo-ebraica, gli studi di alberto magno, ruggero bacone e arnaldo da Villanova di cui sembra essere contemporaneo.

RAYMOND GAufREDIdi raimondo gaufridi, ministro generale dell’or-dine francescano dal 1289 al 1295, sappiamo molto, meno però della sua attività di alchimista e di capo eretico degli spirituali di Provenza, regione in cui era nato, probabilmente intorno al 1350. durante il suo generalato si adoperò per la liberazione di ruggero bacone dal carcere, protesse raimondo lullo ed angelo Clareno, inviando quest’ultimo in missione nel regno ar-meno di Cilicia, nominò Pietro di giovanni olivi magister nell’università di monpellier, ma pro-prio per queste sue iniziative bonifacio Viii lo costrinse alle dimissioni e ad una vita errabonda,

32 Cfr. michela Pereira, Paolo di Taranto al crocevia dell’alchimia medievale, in i francescani e le scienze (atti del XXXiX Convegno internazionale, assisi, 6-8 otto-bre 2011), Centro italiano di studi sull’alto medioevo, spoleto 2012.

33 si tratta del manoscritto Speciale VI (4 Qq A 10) redat-to da “frater Dominicus monacus monasterii sancti Proculi de Bononia” che riporta il nome e l’attribuzione di alcune opere al nostro, in questi termini; “Item liber fratris Pauli ordinis minorum qui incipit Iam siquidem in prima parte huius nostri operis”. Cfr. michela Pereira, Paolo di Taranto al crocevia dell’alchimia medievale, op. cit.

34 William R.Newman, The Summa perfectionis and Late Medieval Alchemy: A Study of Chemical Tradition, Techni-ques, and Theories in Thirteenth Century Italy, 4 voll., Phd diss. harvard University, Cambridge (mass) 1986.

a cui tentò di porre fine Arnaldo da Villanova intercedendo per lui presso e Clemente V che nel 1310 lo convocò ad avignone per tentare un’intermediazione tra gundisalvo di Valleboa, nuovo generale dell’ordine e gli spirituali, rap-presentati guy de mirepoix, bartolomeo sicardi e Ubertino da Casale. Quando sembrava che un accordo potesse essere raggiunto, la sua improvvisa morte e quelle altrettanto misteriose di guy de mirepoix e bar-tolomeo sicardi, gettarono sulla vicenda l’ombra del veleno. nel Verbum abbreviatum de leone viridi, considerata la sua opera principale, trasmessaci da una tradizione manoscritta e a stampa, ri-prende dal De Anima di avicenna, il processo di trasmutazione dei metalli, mediante i minerali (zolfo, mercurio e arsenico) e coaudiuvanti vege-tali ed animali, portandolo però ad una sistema-zione tecnica a cui si adeguarono gli studiosi dei secoli successivi35

gioVanni da rUPEsCissa (1310 circa - 1365). l’esoterismo di giovanni di rupescissa oscilla tra le rivelazioni visionarie con le quali interpre-ta i testi profetici e i trattati alchemici dedicati al papa che avrebbe dovuto utilizzarli per rica-vare l’oro necessario a sollevare l’umanità dalla miseria e dalla ingiustizia sociale. sembra che fosse nato nella regione francese dell’alvenia, vicino ad Aurillac, ma è certo che studiò filosofia a tolosa prima di entrare nel 1332, in seguito ad una visione, nell’ordine francescano. nel 1240 è nel convento di aurilac, dove sempre in seguito di una visione, interpreta l’apocalisse di giovanni, con uno spirito che dovette preoc-cupare molto i suoi superiori, forse per l’esalta-zione del movimento pauperistico a cui sembra avesse aderito, tanto che da quel momento passerà il resto della vita in carcere, prima in vari conventi dove era frequentemente trasferito, per evitare che instaurasse rapporti con gli altri religiosi della comunità, e dal 1349 alla morte, in quello papale di avignone.36 infatti durante uno dei tanti spostamenti era riuscito a raggiungere, in modo alquanto rocam-bolesco, Clemente Vi che gli permette di esporre le sue tesi dinanzi al Concistoro, e pur tratte-nendolo in prigione, in un regime certamente

35 Cfr. salvatore Califano, Storia dell’Alchimia. Misticismo ed esoterismo all’origine della chimica moderna, University Press, firenze 2016.

36 Cfr. Chiara Crisciani, Giovanni di Rupescissa: sapere, al- chimia e profezia, in i francescani e le scienze, op. cit.

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meno duro di quello francescano, tuttavia non lo riconsegna al suo ordine. le visioni profetiche del magister phantasticus, come da tempo lo si chiamava non senza dilegio, dovettero suscitare qualche interesse se l’influente Guillaume de Court novel, monaco cistercense, cardinale e legato pontificio, gli ordina di raccoglierle in un libro, concedendogli per questo di accedere alla ben fornita biblioteca apostolica in poco più di un anno compone il liber se-cretorum Eventuum, in cui dimostra, più che l’esuberanza di un visionario millenaristico, una erudizione vasta e ad una aggiornata informa-zione ecclesiologica, la padronanza dottrinale di testi profetici, oracolari ed apocalittici che cita puntualmente, ordinandoli in un preciso disegno escatologico, adattato alla attualità dei suoi tempi, dei quale, peraltro non gli sfugge la complessità. i suoi autori di riferimento sono oltre a gioacchi-no da fiore, arnaldo da Villanova, bonaventura da bagnoregio, Pietro di giovanni olivi e in n pochi anni colleziona una mole impressionante di scritti che gli danno una vasta notorietà. rice-ve visite di ecclesiastici, di politici che lo consul-tano, tanto da far ipotizzare che la restrizione della sua libertà personale, fosse poco più che una volontaria clausura religiosa che oltre tutto gli permette di uscire indenne dalla grande peste che decima l’Europa.all’escatologia visionaria esposta nel monumen-tale Liber ostensor quod adesse festinant tempora seguono il Vade mecum in tribulatione, che ebbe un immediato successo in volgarizzazioni persi-no in ebraico ed in arabo anche per la concisione espositiva con la quale di rupescissa annuncia la venuta di due anticristi (uno per l’occidente

e l’altro per l’Oriente) e la conseguente fine del mondo, una serie di manuali alchemici, tra cui si distinguono il Liber lucis, meglio noto con il titolo De confectione veri lapidis philosophorum che affronta la tecnica di trasformazione dei metali e il De quinta essentia, in cui l’auore si mostra più incline a considerare la distillazione in campo farmacologico che alchemico.37

***

37 nella vasta letteratura critica che riguarda giovanni di rupescissa, anche a riprova dell’attuale interesse per questo autore, si citano: Christine morerod-fattebert e Clémence thévenaz modestin, (a cura di) Le Liber ostensor quod adesse festinant tempora, École française de rome, 2005; Elena tealdi (a cura di) Vade mecum in tri-bulatione (edizione critica con saggi di robert E. lerner e gian luca Potestà) ed. Vita e Pensiero, milano 2015; an-drea aromatico e marcella Peruzzi (a cura di) giovanni di rupescissa. il libro della luce, marsilio, Venezia 1998; stefano andreani (a cura di) giovanni de rupescissa. trattato sulla quintessenza, Edizioni mediterranee, roma 1981

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Capitolo qUinto

finalmEntE UbErtino da CasalE (1259 - 1331 circa)

ma non fia da Casal né d’Acquasparta, là onde vegnon tali a la scrittura, ch’uno la fugge e altro la coarta.

(dante alighieri, Paradiso, Xii, 121-126),

dopo questa lunghissima premessa giungiamo infine ad ubertino da Casale per dire subito che si tenne sempre lontano dall’alchimia e che anzi avversò, con l’acrimonia che gli era consueta, i francescani e i religiosi in genere che prati-cavano questa arte. sembrerebbero, dunque, inutili divagazioni quelle finora esposte, se non fosse che fin dall’inizio abbiamo considerato la trasmutazione dei metalli e la ricerca del Lapis philosophorum entro il più vasto ambito dell’Esoterismo, e se non giudicassimo il suo Arbor vitae crucifixae Jesu un’opera squisita-mente rientrante nel tema che ci siamo posti ad indagare, anche se il suo autore non lo ha mai considerata esoterica, ma piuttosto liricamente spirituale (che però, Ubertino lo creda o meno, è la stessa cosa).

***dunque Ubertino lo dovremmo conoscere tutti per la condanna che dante fa pronunciare a bonaventura da bagnoregio, ma è più probabile che alla mente ci torni l’immagine che ne offre Umberto Eco ne Il nome della rosa e, più ancora che nelle molte pagine che gli sono dedicate nel romanzo, nella versione cinematografica in cui Jean-Jacques annaud lo presenta mentre par-te su un carro, fuggendo all’ordine di cattura emesso da giovanni XXii.1 E allora partiamo proprio da quel “I’ mi son quel ch’i’ soglio”, con il quale l’alighieri riassume l’Itinerarium mentis in Deum del Doctor Seraphi-cus, per addentrarci nell’esoterismo eversivo del nostro “vagabundus per mundum ”.2

1 Ben dico, chi cercasse a foglio a foglio / nostro volume, an-cor troveria carta/ u’ leggerebbe “I’ mi son quel ch’i’ soglio”; / ma non fia da Casal né d’Acquasparta, / là onde vegnon tali a la scrittura, / ch’uno la fugge e altro la coarta. (dante, Paradiso, Xii, 121-126),

2 Così lo definisce Giovanni XXII nella lettera bollata (Cum Ubertinus, 16 settembre 1325) con cui ne ordina l’arresto. Citato in gian luca Potestà, Ubertino da Casale

bonaventura, al secolo giovanni fidanza da bagnoregio (1217 circa - 1274) ministro generale dell’ordine francescano, era morto, si dice di veleno a lione, proprio l’anno in cui Ubertino, nato a Casale monferrato, entrava giovanissimo nel convento minorita della sua città, ma i fer-menti pauperistici che accomuneranno la morte di entrambi, seppure schierati su fronti opposti, agitavano da tempo i figli di San francesco.dunque, per inquadrare il personaggio, con-sideriamo che Ubertino aveva proseguito gli studi a Vercelli e quindi in Umbria, dove aveva cominciato ad avvicinarsi agli spirituali con giovanni da Parma (1208 – 1289), dimissionario ministro generale, ritiratosi a greccio dopo il contrasto proprio con bonaventura da bagno-regio. né meno determinanti per il radicalismo, che in seguito lo farà dichiarare eretico, furono gli incontri con la mistica e visionaria terziaria angela da foligno (1248 – 1309) e poi a firenze, nel convento di santa Croce, con il frate con-verso Pietro da Campi (1180 circa – 1289) detto il Pettinaio3, anch’egli mistico e visionario, con Cecilia da firenze, ma soprattutto con Pietro di giovanni olivi (1248 circa – 1298), che vi era lettore di teologia e che considerò suo maestro per tutta la vita, aderendo non solo al suo idea-

e la altissima paupertas, tra Giovanni XXII e Ludovico il Ba-varo, in oliviana. mouvements et dissidences spirituels Xiiie-XiVe siècles, groupe d’anthropologie scolastique (Centre de recherches historiques-EhEss- Cnrs) n. 4, 2012 - Url: http://oliviana.revues.org/471Per l’Itinerarium mentis in Deum, come visione esoteri-ca di “ciò che per l’universo si squaderna”: si veda gioia Paradisi, Icone nella parola: il volume legato con amore, in Critica del testo, rivista quadrimestrale del dipartimen-to di studi Europei, americani e interculturali, “sa-pienza” Università di roma, (ed. Viella) n. 2, anno XiV, roma 2011.

3 detto così perché era venditore di pettini per la tessi-tura.

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le francescano più rigoroso, ma anche a tutta la concezione escatologica della storia della Chie-sa, prospettata nella Lectura super Apocalipsim.4Questa presa di posizione, avversata da bo-nifacio Viii, gli costò un forzato eremitaggio alla Verna, dove nel 1305 compose l’Arbor vitae crucifixae Jesu, destinato a diventare il testo di riferimento del movimento ereticale dei frati-celli. Proprio per questo, e probabilmente per libe-rarsi di un capo facinoroso, i suoi superiori nel 1306 lo avevano esentato dalla disciplina dell’Ordine, affidandolo al cardinale Napole-one Orsini, allora legato pontificio in Toscana, al seguito del quale, tre anni dopo Ubertino raggiunse avignone con una delegazione di spirituali che, dinanzi a una commissione cardinalizia, polemizzarono con gli esponenti della dirigenza minoritica, denunciando le tra-sgressioni della regola perpetrate nell’ordine e difendendo la memoria e le dottrine dell’olivi, morto nel 1298 a montpellier, si dice anche lui avvelenato. Ubertino rimase nella curia papale insieme ad angelo Clareno (1247 - 1337), a sua volta nel-la familia del cardinale giacomo Colonna, per ottenere da papa Clemente V il pieno riconosci-mento canonico degli spirituali come congrega-zione religiosa autonoma, ma con l’elezione di giovanni XXii (1316 -1334) la situazione cambiò radicalmente: ai dissidenti ormai organizzati in autonomia, fu imposto di ritornare sotto la di-sciplina dell’ordine, molti spirituali provenzali che si erano rifiutati, furono arrestati, processati e messi al rogo a marsiglia. angelo Clareno, che intanto aveva aderito al movimento di Pietro angeleri da morrone, si ritirò nell’abbazia di subiaco, ma Ubertino, for-malmente incardinato nell’abbazia benedettina di san Pietro di gembloux, un vero e proprio

4 “... vir Deo plenus Petrus de Senis Pectenarius et devo-tissima virgo Cecilia de Florentia sic me introduxerunt ad archana Iesu quod stupendum esset si scriberetur perspicaci-tas spiritus eorundem (...) septem mensium tempore duravit huius libri tractatus, et fuit quattuor vicibus impedimentis notabilibus longo dierum spacio interruptus ...”.(Arbor vitae crucifixae Iesu, Prologus i-3)sembra che seguendo le lezioni dell’olivi, dante alighieri vi avesse conosciuto Ubertino, la qual cosa giustifica la citazione nella terza Cantica, ma soprattut-to l’impostazione escatologica dell’intero poema che in più parte rimanda all’olivi. Per la teologia di Pie-tro di giovanni olivi si veda: raoul manselli, Lectura super Apocalypsim di Pietro di Giovanni Olivi. ricerche sull’escatologismo medioevale, istituto storico italiano per il medio evo, roma 1955.

fortilizio inespugnabile, di fatto restò in curia, protetto dal cardinale orsini.5 ad avignone diventa il maggiore esponente della grande disputa sulla povertà di Cristo e degli apostoli (1322-1323) scrivendo il Tractatus de altissima paupertate Christi et apostolorum eius et virorum apostolicorum.6 la dottrina della povertà volontaria come base della vita francescana che intendeva adeguarsi, per quanto più possibile, a quella di gesù Cri-sto e degli apostoli, aveva diviso l’ordine già quando francesco d’assisi era in vita, ed era continuata fino a raggiungere la virulenza dei rigoristi, ma la questione avignonese era nata, almeno all’apparenza, dalla volontà papale di chiarire la fondatezza dell’affermazione di un beghino di narbonne, che nel 1321 aveva rilan-ciato la tesi secondo cui gesù e gli apostoli non ebbero nulla né in proprio né in comune. dopo una lunga consultazione, in cui si erano espressi, su fronti opposti, cardinali, vescovi, prelati e fraticelli, i cui interventi furono subi-to raccolti in un codice (oggi il Vaticano Latino 3740), vidimato pagina per pagina dallo stesso papa, il 23 novembre 1323 giovanni XXii con-dannava definitivamente come eretica la tesi della assoluta povertà di Cristo e degli aposto-li.7dopo la stesura del Tractatus, che evidentemen-te il papa aveva giudicato conciliante, Ubertino resta ad avignone, ma gli eventi immediata-mente successi hanno fatto ipotizzare che sia stato il segreto deux ex machina del cosiddetto Appello di Sachsenhausen, emesso il 22 maggio 1324 dall’imperatore ludovico il bavaro con-tro giovanni XXii, in risposta alla scomunica che lo aveva colpito un mese prima. l’appello contiene una sezione riguardante la altissima paupertas, esaltata come autentico stato di vita di Cristo e degli apostoli. si è sempre pensato che i materiali per con-fezionare l’attacco al papa su questo campo, fossero di chiara impostazione minorita, che fossero giunti alla corte imperiale da avignone

5 Nella versione cinematografica, l’episodio che lo riguarda, fa proprio riferimento alla sua permanenza nell’immaginario monastero visitato da guglielmo da baskerville e da cui sta fuggendo per l’arrivo dell’inqui-sitore domenicano bernardo gui.

6 Per il tractatus si rimanda all’edizione critica curata da gian luigi Podestà, Vita e Pensiero, milano 2013.

7 lettera bollata Cum inter nonnullos. Cfr. Angelo Clareno francescano (atti del XXXiV Convegno internazionale, assisi, 5-7 ottobre 2006), Cisam, spoleto, 2007.

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e che l’unico che avrebbe potuto farlo agevol-mente fosse proprio Ubertino da Casale. do-vette pensarlo anche il papa perché, improvvi-samente nell’estate del 1325, Ubertino si dette alla fuga, inseguito da una lettera bullata di giovanni XXii che ne ordinava la cattura. Probabilmente riparò presso l’imperatore che si era accampato a Pisa ed aveva accolto anche altri transfughi minoriti, tra cui michele da Cesena, guglielmo da ockham e bonagrazia da bergamo. Certamente nel 1328 fu presente alla incorona-zione di ludovico, avvenuta in san Pietro per mano del capitano del popolo romano giacomo Colonna, detto sciarra, e alla elezione di Pietro ranalducci, francescano spirituale, ad antipapa con il nome di niccolò V. secondo alcune testimonianze, girovagò qual-che anno predicando a capo dei fraticelli nel Comasco, dove lo avrebbe raggiunto la vendet-ta di giovanni Xii che verso il 1331 lo avrebbe fatto assassinare da un sicario.

***Una brEVissima, ma sEmPrE nECEssaria diVagazionE sUl traCtatUsUbertino svolge il suo intervento in un prolo-go e quattro sezioni, in cui dopo aver chiarito di scrivere per corrispondere ad una precisa richiesta del papa (Sanctissime vestre voluntati obtemperans), riporta le tesi, che già erano state dibattute all’interno dell’ordine, nel capitolo generale di Perugia (maggio-giugno 1322) da bonagrazia da bergamo con il suo Tractatus de Christi et apostolorum paupertate in cui si distin-gue tra dominium et usus, ovvero tra rinuncia alla proprietà con i relativi diritti, ma non all’uso dei beni. Ubertino, però aggiunge che ci sono beni, come gli alimenti per i quali non è possibile soste-nere la separabilità dell’uso dal dominio, in quanto consumabili in un atto unico e imme-diato, riprendendo il concetto già espresso da bonaventura da bagnoregio, e sosteneva che il vantaggio che i frati minori traevano dall’utiliz-zo dei beni consumabili, i quali peraltro rientra-vano giuridicamente nel dominio del papa, era paragonabile al profitto di un figlio messo nella condizione di consumare i beni paterni.8 aggiungeva inoltre che la povertà degli apo-stoli si era adeguata alla perfezione edenica,

8 Cfr. bonaventura, Apologia pauperum, Xi, 7, in Sancti Bonaventurae Opera Omnia, vol. Viii, ed. Quaracchi 1898, anche online /dionysiana.wordpress.com

quando, prima del peccato originale, non esiste-va il concetto di proprietà privata perché tutto era comune, tenendo presente però che l’uomo, nella sua essenza, disponeva del dominio e dell’uso di tutta la natura. il concetto già esposto da Piero di giovanni olivi nella Questio octava de perfectione evange-lica, risolveva la questione ponendo al centro del dibattito lo stato di innocenza, insito nella assoluta comunanza di beni. 9

***UbErtino EsotEriCo inConsaPEVolE

ma PEr istintoma non è, per quanto coinvolgente come un ro-manzo, la vita di Ubertino ad interessarci, ma il suo Arbor vitae crucifixae Iesu, trasudante esote-rismo, forse inconsapevole, nel senso ideologico del termine, dalla prima all’ultima riga.10Composto, come si è detto, nel ritiro alla Verna l’Arbor sviluppa in cinque libri il tema cristolo-gico, tratto dal Lignum vitae di bonaventura da bagnoregio; ma a differenza del Doctor Seraphi-cus che, commentando il Liber sententiarum di Pietro lombardo, innalza il tema a dimensioni mistiche, Ubertino lo cala nel contesto storico in cui vive e da questa contestualizzazione trae l’invettiva: “adiscant prelati ecclesie pompam fu-gere. O prelati impii, vere non prelati, sed pylati ... more mulierum magis ornati, immo more ydolorum magis culti quam vestiti et more peccatorum diver-sis ferculis ventre repleti”.11

9 Cfr. giacomo todeschini, Carità e profitto nella dottrina economica francescana da Bonaventura all’Olivi, in franci-scan studies, n. 60, assisi 2002.

10 Per l’Arbor vitae crucifixae Iesu, oltre alla sconfinata letteratura in argomento tra cui si cita: raul manselli, Pietro di Giovanni Olivi ed Ubertino da Casale (a proposito della Lectura super Apocalipsim e dell’ Arbor vitae crucifixae Jesu), in da gioacchino da fiore a Cristoforo Colombo, istituto storico italiano per il medio Evo, roma1997, si veda la stampa anastatica della edizione veneziana del 1485, a cura di Charles t. davis, realizzata dalla bottega di Erasmo, torino 1961; o l’ormai introvabile volume delle edizioni Carabba, lanciano 1937. Una sintesi. nella ottima traduzione di feliciano olgiati, è scaricabile in pdf da www.monasterovirtuale.it/servizi/download/classici/628-ubertino-da-casale-l-albero-della-vita-croci-fissa-2/file.html

11 Arbor vitae crucifixae Iesu, liber i*, 11. il tema si ripete presso in tutti i cinque libri. Per esempio, così nel V*, 143: “Ve illis impiis sacerdotibus qui, a charitate distincti et cupiditati sacrilege proditoris inde coniuncti, de sacro domi-nici corporis tanto illo proditore negotiantur scelestius quanto sepe pro minori precio, sicut pro tribus denariis, negotiantur impie de Christo regnante in celis!”

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a dire il vero il nostro autore non è originale né nella forma, né nei contenuti e forse il suc-cesso che l’Arbor Vitae ebbe immediatamente tra il movimento ereticale dei Poveri fraticelli di Cristo ed in seguito in tutte le frange dissi-denti dal cattolicesimo, è spiegabile più per la semplicità e l’immediatezza sentimentale con cui l’argomento è posto, che non con un suo oggettivo spessore dottrinale. Ubertino ripete una “immagine dell’invisibile” molto diffusa e particolarmente cara all’ordine francescano, esercitandosi su un argomento ampiamente trattato ed attingendo a piene mani da quanti lo avevano preceduto. di alberi simbolici infatti era piena tutta le letteratura pa-tristica e non; tutta l’arte bizantina e medievale l’avevano rappresentato nelle sue molteplici accezioni e non c’era salterio o libro delle ore che non lo riproducesse preziosamente miniato. lo stesso Ubertino, quando non avesse voluto leggere le opere dei suoi predecessori (ma le aveva lette) ne avrebbe potuto ammirare un esempio colossale nel convento delle monache clarisse a monticelli a firenze. anzi una certa critica sostiene che l’opera fu commissionata dalle religiose che avevano ascoltato le sue prediche.12dopo aver meditato sulla vita, passione e morte di Cristo, nel quinto libro, sottolinea esplici-tamente la condanna della chiesa carnale (im-personata da bonifacio Viii e benedetto Xi) ed auspica che dal ramo di francesco d’assisi fiorisca il papa angelico che introdurà l’età del-lo spirito.Il filtro ermeneutico è la Lectura super Apoca-lipsim di Pietro di giovanni olivi, ma la figura dell’albero che affonda le radici nelle origini del mondo ed ramifica con l’incarnazione di Cristo, viene da più lontano, si lascia alle spalle anche l’interpretazione trinitaria di gioachino da fio-re per attingere direttamente a quell’immagina-rio esoterico che agisce attraverso il linguaggio universale del simbolo.

***Una storia ChE sVEla E riVEla Con il manto

dElla lEggEnda la PrisCa thEologia

ma che cosa è l’Albero della vita o, nella declina-zione cristiana l’Arbor Crucis?

12 si tratta de L’Albero della Vita di Pacino di buona-guida. databile al 1305-1310 circa. la tempera e oro su tavola, di grandi dimensioni, è attualmente conservata nella galleria dell’accademia a firenze.

tutto comincia con la profezia di isaia: “In quel giorno la radice di Iesse si leverà a vessillo per i po-poli, le genti la cercheranno con ansia, la sua dimora sarà gloriosa”.13il popolo d’israele ci lesse l’annunzio del mes-sia, la cabala ne allargò all’infinito la lettura esoterica con l’albero delle Sefiroth, e la Torah ne rammenta tuttora la promessa con la festa agraria di sukot o dei tabernacoli.14

***l’apparato tradizionale della ricorrenza si rifà alla Leggenda di Adamo ed Eva o dell’Albero della vita, secondo la quale adamo in punto di morte avrebbe chiesto al figlio Seth di recarsi nell’Eden e di riportargli un misterioso albero che un angelo gli avrebbe consegnato. l’arcan-gelo che stava sulla porta, infatti, gli consegnò tre semi che seth piantò sulla tomba del padre e da cui spuntarono un cedro, un olivo e un cipresso, che poi mosé portò nella terra pro-messa e ripiantò nella Valle d’hebron. Qui li avrebbe trovati davide che intendeva utilizzare quel legno per la costruzione del tempio di gerusalemme, impresa, come è noto portata a termine dal figlio Salomone, il quale però non riuscendo ad utilizzare tra quei tronchi quello d’olivo lo pose come passerella sul fiume Kedron. A questo punto la storia, si intreccia con quella della regina di saba che profetizza che quel legno causerà la distruzione del regno d’israele. salomone allora lo getta lontano, ma dopo mille anni il legno riappare nella piscina probatica, nelle cui acque, agitate

13 isaia 11,10

14 secondo il calendario ebraico la festa cade il quindi-cesimo giorno del mese di Tishri (tra settembre e otto-bre), dura otto giorni e ricorda i quaranta anni in cui gli Ebrei, in marcia verso la terra promessa, avevano pere-grinato nel deserto. l’ultimo giorno di Sukkôt si chiude con la Simhat Torah (la gioia della torah) che sugella la incondizionata accettazione della legge da parte del popolo di israele (Quindi Mosé prese il libro dell’alleanza e lo lesse alla presenza del popolo. Dissero: “Quanto il Signore ha ordinato, noi lo faremo e lo eseguiremo!”. Esodo, 24,7). ancora oggi è celebrata costruendo, all’aperto, capanne ricoperte di rami di cedro, di palma, di salice e di mirto, entro le quali la famiglia dorme e consuma i pasti. in tutte le sinagoghe, in questi giorni, i rotoli del Penta-teuco restano aperti e a disposizione di chiunque voglia leggerli, mentre a gerusalemme vige la tradizione di recarsi a pregare dinanzi al muro occidentale recando nella mano destra il lulab, un fascetto di palma, mirto e salice, e nella sinistra un ramo o un frutto di cedro (ethrog) a memoria delle processioni eseguite intorno al distrutto tempio di Salomone. Cfr. Yeshayahu lei-bowitz, Le feste ebraiche, Jaca book, milano 2010.

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dalle ali dell’arcangelo michele, venivano lava-te le vittime prima del sacrificio.15

***ritornando alla profezia di isaia e all’albero di Jesse, i primi cristiani, che erano ebrei, a comin-ciare da matteo che apre il suo vangelo con la genealogia completa, ci lessero l’annuncio della nascita di Cristo, identificarono l’albero con il legno della Croce e modificaro la leggenda in questi termini: seth avrebbe sepolto adamo sulla collina del golgota e qui avrebbe piantato i tre semi. da quell’olivo, spuntato dalle ceneri del primo uomo, i giudei avrebbero ricavato la traversa orizzontale della croce su cui fu inchio-dato gesù Cristo.16 da allora le due letture camminano parallele e spesso nel corso dei secoli si sono incontrate; i Vangeli, che considerano la venuta di Cristo l’adempimento della promessa messianica, citano in più passi i salmi del grande Hallel; per l’esegesi sono quelli che gesù Cristo cantava avviandosi verso l’orto degli ulivi, e la letizia che dimora nei “tabernacoli eterni” (aionioi skenai) di cui si parlano luca e l’apocalisse è la stessa che immagina Pietro quando propone di costruire le capanne sul monte della Trasfigura-zione.17

15 Cfr. Paolo sacchi, Introduzione agli apocrifi dell’Antico Testamento, morcelliana, brescia 2011.

16 Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abra-mo. Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli, Giuda generò Fares e Zara da Tamar, Fares generò Esròm, Esròm generò Aram, Aram generò Aminadàb, Aminadàb generò Naassòn, Naassòn generò Salmòn, Salmòn generò Booz da Racab, Booz generò Obed da Rut, Obed generò Iesse, Iesse generò il re Davide. Davide generò Salomone da quella che era stata la moglie di Urìa, Salomone generò Roboamo, Roboamo generò Abìa, Abìa generò Asàf, Asàf generò Giòsafat, Giòsafat generò Ioram, Ioram generò Ozia, Ozia generò Ioatam, Ioatam generò Acaz, Acaz generò Ezechia, Ezechia generò Manasse, Manasse generò Amos, Amos generò Giosia, Giosia generò Ieconia e i suoi fratelli, al tempo della deportazione in Babilonia. Dopo la deportazione in Babilonia, Ieconia generò Salatiel, Salatiel generò Zorobabèle, Zorobabèle generò Abiùd, Abiùd generò Elìacim, Elìacim generò Azor, Azor generò Sadoc, Sadoc ge-nerò Achim, Achim generò Eliùd, Eliùd generò Eleàzar, Eleà-zar generò Mattan, Mattan generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù chia-mato Cristo. La somma di tutte le generazioni, da Abramo a Davide, è così di quattordici; da Davide fino alla deportazione in Babilonia è ancora di quattordici; dalla deportazione in Babilonia a Cristo è, infine, di quattordici. (matteo 1, 1-16)

17 tra i riferimenti ai salmi cantati nella festa delle Capanne basti citare “La pietra scartata dai costruttori/ è divenuta testata d’angolo; /ecco l’opera del Signore” (sal-mo 117, 21-23 nei Vangeli di matteo XXi,23 e di marco

il collegamento tra la festa dei tabernacoli e la morte e resurrezione di Cristo è colto imme-diatamente da metodio di olimpo (250-311), formatosi nell’ebraismo greco dell’asia minore: “Essendomi messo in cammino anch’io ed essendo uscito dall’Egitto di questa vita, giungo dapprima alla risurrezione, alla vera festa dei Tabernacoli. Là, avendo costruito il mio tabernacolo il primo giorno della festa, quello del giudizio, io celebro la festa con il Cristo durante il millenario del riposo, chiamato i sette giorni, il vero sabbat. Poi, mi metto in cammi-no verso la terra promessa, i cieli”.18 allo stesso modo girolamo, commentando zaccaria,19 interpreta la festa dei tabernaco-li con “l’immagine delle cose che accadranno nel regno millenario” e con la visione escatologica della vita dei santi.20 Come per gli ebrei osservanti i giorni di Sukkôt sono l’attesa del nuovo re di israele che verrà a giudicare il mondo, così per quelli che, dopo il battesimo ricevuto da giovanni, avevano segui-to la predicazione del messia, erano l’annuncio del compimento delle scritture e la profezia di un nuovo genesi che aveva rifondato il mondo con la salvezza. strumento della redenzione è la Croce che permetteva di leggere sotto un’altra

Xii,10-11); “Benedetto colui che viene nel nome del Signore. Osanna” (salmo 118,26 nei Vangeli di matteo 21,42 - 44; marco 12, 10; luca 20,17-18; giovanni 12,12). l’inno a cui allude marco: “Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi” (14,26) è, secondo gli esegeti il salmo 117. di seguito si riporta il passo di luca che ha un chia-ro rimando alla vita eterna “Ebbene, io vi dico: Procuratevi amici con la disonesta ricchezza, perché, quand’essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne” ( XVi, 9). Per l’apocalisse di giovanni si veda il passo XXi,3: “Ecco la dimora di Dio con gli uomini!/ Egli dimorerà tra di loro/ ed essi saranno suo popolo/ed egli sarà il “Dio-con-loro”. Per la Trasfigurazione vi veda Matteo: “Pietro prese allora la parola e disse a Gesù: Signore, è bello per noi restare qui; se vuoi, farò qui tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia”(17,4) ma anche marco (9,2-8) e luca (9, 28-36).

18 Cfr. Emanuela Prinzivalli, L’esegesi biblica di Metodio di Olimpo, institum Patristicum augustinianum, roma 1985.

19 “In quel giorno i suoi piedi (del Signore n. d.a.) si poseran-no sopra il monte degli Ulivi che sta di fronte a Gerusalemme verso oriente, e il monte degli Ulivi si fenderà in due, da oriente a occidente, formando una valle molto profonda; (...) ]In quel giorno acque vive sgorgheranno da Gerusalemme e scenderanno parte verso il mare orientale, parte verso il Mar Mediterraneo, sempre, estate e inverno. Il Signore sarà re di tutta la terra e ci sarà il Signore soltanto, e soltanto il suo nome”. zaccaria, XiV, 1 -11, passim.

20 girolamo, Commento a Zaccaria e Malachia, la Città nuova, roma 2009 (iii, 14)

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prospettiva il discorso che gesù aveva tenuto con nicodemo il fariseo e la citazione evangeli-ca del libro dei numeri.21 la Croce, come simbolo dell’albero della vita eterna diviene il tema centrale della celebrazio-ne pasquale, dall’anonimo scritto, attribuito ad ippolito di roma (metà del secondo secolo)22 all’omelia quartodecimana “Perì Páscha” di melitone di sardi, scritta intorno al 170, in cui accanto alla cosmologia di “Colui che tiene l’uni-verso sostenuto dal legno”, ritorna la liberazione messianica celebrata nella festa dei tabernacoli: “Egli scese dai cieli sulla terra per l’umanità sof-ferente; si rivestì della nostra umanità nel grembo della Vergine e nacque come uomo. Prese su di sé le sofferenze dell’uomo sofferente attraverso il corpo soggetto alla sofferenza, e distrusse le passioni della carne. Con lo Spirito immortale distrusse la morte omicida”.23Per ireneo di lione (130 – 202) la Croce si pone di fronte all’Albero della vita, nella contrappo-sizione Adamo - disubbidienza - morte e Cristo - obbedienza - vita, e in polemica con gli gnostici valentiniani, secondo i quali il patibulum stabili-va il confine tra l’umano ed il divino, ne ribadi-sce il valore salvifico universale che si estende in tutte e quattro le dimensioni spaziali.24su questo orizzonte, in cui la Pasqua cristiana, accentuando la Parusia che l’evento prelude, aveva già oltrepassato i confini giudaici della festa dei tabernacoli, l’Invenzione della Croce in età costantiniana e tutta l’epopea imperiale di Elena e di macario, vescovo di gerusalemme,

21 “In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna”. (giovanni 3,13-17)

22 “Quest’albero dalle dimensioni celesti si è innalzato dalla terra al cielo, pianta immortale fissatasi a metà strada tra la terra e il cielo; fondamento di tutte le cose, sostegno dell’uni-verso, supporto del mondo intero, legame cosmico che tiene unita la volubile natura umana, assicurandola coi chiodi invisibili dello spirito, affinché, unita al divino, non possa più distaccarsene. Toccando il cielo con l’estremità superiore, con i piedi raffermando la terra, tenendo stretto da ogni parte, con le braccia sconfinate lo spirito numeroso diffuso nell’aria, egli fu tutt’intero in tutte le cose e dovunque”. raniero Canta-lamessa, I più antichi testi pasquali della Chiesa, Edizioni liturgiche, roma 1972

23 ibidem. a margine si aggiunge che l’omelia di melitone introduce il concetto di deicidio, di cui furono accusati gli ebrei fino ai nostri giorni.

24 Demonstratio apostolicae praedicationis, in ireneo di lio-ne, Contro le eresie e altri scritti, Jaca book, milano 2003.

offrì l’occasione per trasformare la letizia, pro-pria dell’ottavo giorno di Sukkôt, in Esaltazione (hë hýpsosis) termine che, tuttavia, non traduce alla lettera l’ebraico Simhat. la datazione al 14 settembre ne mantenne il carattere agrario di festa di ringraziamento per il raccolto che la Chiesa normalizza con le tempora di autunno, ricadenti il mercoledì, il venerdì e il sabato dopo la terza domenica di settembre e che più delle altre mantiene tuttora la formula originaria.25

***accade così che l’Arbor Crucis si carichi di si-gnificati esoterici, o per dirla con faivre “interni e riservati ad una cerchia ristretta” i mistici e gli spirituali per l’appunto, e che diventi la cifra di un pensiero che postula “la Chiesa interiore e dello spirito”. E come la Cabala, nell’esegesi del testo biblico, tenta di dissolvere la super-ficie del significato evidente del racconto, per scoprire una molteplicità di significati nasco-sti e profondi, costruendo intorno all’albero sefirotico la rappresentazione delle emanazioni di dio, 26 allo stesso modo la mistica cristiana elabora intorno all’arbor crucis una propria cosmogonia mistica che ne fa l’asse portante di un mondo riscattato dal sacrificio di Cristo.27al suo fascino non si sottrae nemmeno Jacopo da Varagine, immaginifico e ortodosso vescovo domenicano, che nella sua Legenda aurea attinge a piene mani nei vangeli apocrifi l’immagine dell’albero della vita. da quello dello Pseudo nicodemo trae la visione di seth che, invita-to dall’arcangelo michele a guardare verso il Paradiso, vi vede un albero i cui rami toccano il cielo e le radici sprofondano nell’inferno; e da quello di bartolomoeo la discesa agli inferi di Cristo per salvare adamo ed Eva, aggrappati al Lignum Crucis.28nel clima vibrante di suggestioni esoteriche

25 Cfr. adrien nocent, Le Quattro Tempora e le Rogazioni, in anàmnesis. introduzione storico teologica alla litur-gia, vol. 6: l’anno liturgico, marietti, genova 1988.

26 Cfr Zohar. Il libro dello splendore (a cura di giulio busi) Einaudi, torino 2008. Per un approccio olistico alla cabala si vedano anche: Giulio Busi e Elena loewenthal (a cura di) Mistica ebraica. Testi della tradizione segreta del giudaismo dal III al XVIII secolo, Einaudi, torino 1995; giulio busi, Qabbalah visiva, torino, Einaudi, 2005.

27 Cfr. riccardo Parmeggiani, Ubertino e lo spiritus libertatis, in atti del Xli Convegno internazionale (as-sisi, 18-20 ottobre 2013), spoleto 201

28 Jacopo da Varagine, Legenda aurea, Einaudi, torino 1996.

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e alchemiche nel quale Ubertino da Casale si era formato, la letteratura e l’arte francescana fanno dell’albero della vita l’asse portante di una visione escatologica che recupera linguaggi antichi e ne sperimenta l’ermeneutica simbolica sul piano di una insolita spiritualità, come nel caso di una rara tematica dell’Arbor Crucis di cui marina montesano, un attento ed appassio-nato studio, rintraccia le origini bizantine. si tratta di una cuspide per una pala d’altare. raffigurante “il Sogno della Vergine”, dipinta da simone di filippo benvenuti, detto simone dei Crocifissi (1330 circa – 1399) per il convento francescano del Corpus domini a ferrara, ed

esposto nella locale Pinacoteca civica. Vi si rappresenta “un albero-croce che sorge dal ventre di Maria addormentata. Il nome attribuito al soggetto lascia intendere che si tratti di una visione, mentre rimane misteriosa l’ambientazione: un letto circondato da un paesaggio urbano che fa da cornice in alto sulle colline, e una figura in secondo piano intenta nella lettura”.29

29 marina montesano, Il sogno della Vergine tra iconogra-fia e cultura folklorica, in micrologus. natura, scienze e società medievali. (rivista della società internazionale per lo studio del medioevo), n. 17, Edizioni del galluz-zo, firenze 2009.

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Capitolo sesto

athanasiUs KirChEr (1602 - 1680)

“Dimitte voces, accipe sensus”giamblico, Theurgia

tra la morte di Ubertino da Casale e la nascita di athanasius Kircher passano esattamente 271 anni, un tempo enorme in cui il mondo compie una vera e propria rivoluzione, e non solo quella di Copernico. in mezzo a questi due personag-gi scorrono eventi storici di portata universale, come l’Accademia neoplatonica fiorentina, il rinascimento, la scoperta delle americhe, lo scisma di martin lutero e il concilio di trento, leibniz e Cartesio. ubertino era figlio del Millenarismo medie-vale in angosciata attesa della fine dei tempi e dell’arrivo dell’anticristo, athanasius è il testi-mone partecipe di un mondo in evoluzione che si affida alla scienza. Il loro pensiero sarebbe cosi diverso, fino a poterlo considerare antitetico, se non fosse che li collega il filo rosso di quella Pri-sca theologia o Tradizione universale che attraversa tutta l’umanità. tanto è agitata la vita di Ubertino tutta brucia-ta alla fiamma dello spiritualismo francescano, altrettanto è quieta quella di athanasius, rego-lata sulla concretezza mistica (sembrerebbe un ossimoro, ma non lo è se si leggono gli Esercizi spirituali di ignazio da lojola) della ottimistica visione gesuitica che più che al mondo guarda all’uomo nella sua evoluzione, o per restare ad un gesuita del nostro secolo, al pensiero di Pierre teilhard de Chardin: “L’Evolution, en découvrant un sommet au Monde, rend le Christ possible, tout comme le Christ, en donnant un sens au Monde, rend possible l’Evolution”.1

***athanasiUs KirChEr (1602 - 1680)ma chi era athanasius Kircher “il più contempo-raneo dei nostri antenati e il più inattuale dei nostri

1 Cfr. Pierre teilhard de Chardin, Comment je croi, Paris, ed. seuil, 1969. dello stesso si veda nella traduzione italiana: Il fenomeno umano, Edizioni Queriniana, brescia 1995.

contemporanei”?2nasce il 2 maggio 1602 a geisa in turingia da Johannes Kircher teologo e filosofo al servizio di balthasar nuss, principe-abate del celebre monastero di fulda. ultimo di nove figli, quan-do il padre perde le cariche politiche a seguito dell’espulsione dell’abate, che si era reso prota-gonista di una sanguinosa caccia alle streghe, en-tra nel collegio dai gesuiti, dove impara il greco antico e l’ebraico, approfondisce lo studio delle lingue classiche e delle scienze. Infine si perfe-ziona in filosofia a Münster e Colonia e, qualche anno, dopo è professore di filosofia, matematica e lingue orientali al collegio gesuitico di Würz-burg. Qui nel 1631 pubblica l’Ars Magnesia, studio im-postato sui canoni scientifici esposti da William Gilbert, ma verificati mediante la sperimentazio-ne. Raggiunge una certa notorietà tra i filosofi e gli enciclopedisti dell’epoca, ma i disordini della guerra dei trent’anni lo inducono a spostarsi ad Avignone, dove allestisce un laboratorio di fisica e pubblica un saggio di gnomonica sugli orologi solari, interesse che coltiverà a lungo. sempre attraverso le sperimentazioni in laboratorio intu-isce che la peste è causata da un microrganismo infettivo e propone varie soluzioni igieniche per evitare il contagio.la conoscenza di nicolas Claude fabri de Peire-se (1580 - 1637) che, in quegli anni si stava appli-cando alla traduzione di un manoscritto copto, ritenuto a torto il mitico libro di Enoc, di cui fino ad allora si conoscevano solo alcuni frammenti papiracei, lo induce ad approfondire l’interesse per i geroglifici.3

2 Umberto Eco, prefazione al volume Athanasius Kircher. Il teatro del Mondo, ed. de luca, roma

3 in realtà il testo a cui si interessava lo scienziato francese era un trattato di teologia ebraica. il cosiddetto Libro di Enoc, apocrifo del vecchio testamento, citato dai

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lo stesso de Peirese gli mette a disposizione una stampa riproducente la Mensa isiaca, su cui esercitarsi.4nel 1635 Urbano Viii gli assegna la cattedra di matematica presso l’ormai celebre Collegio ro-mano, incarico che svolge per otto anni, proba-bilmente con poca soddisfazione, fino a quando si dimette per dedicarsi alla ricerca scientifica, allo studio dei geroglifici e delle antichità nel Latius Vetus. durante una indagine sui monti Prenestini, raggiunge, come egli stesso narra nell’Autobiografia, il santuario di sant’Eustachio alla mentorella, costruito, secondo la tradizione, da Costantino il grande: “inter horridam hanc rerum faciem pauco ulterius progressus nescio cuis vestigia tecti inter arbores et rupes oscures se manife-stantis intueor, cui propior factu, Ecclesiam vetustate poene collapsam obviam apertamque reperi”.5Chiedendosi di quale chiesa possa trattarsi in “tam plena terroris solitudine”, scopre tra i rovi una immagine della Vergine tra le varie iscrizioni che “hunc eundem locum esse in quo admiranda Sanctii Eustachij ad Deum conversio accidisset”.6 Devoto, prima ancora che filosofo e scienziato, del santo ausiliatore che aveva imparato a conoscere a fulda7 ed a cui il popolo tedesco si era rivolto durante la sanguinosa guerra dei trenta anni che aveva funestato anche la sua giovinezza, concepì la scoperta come un segno divino che gli prese letteralmente il cuore.8

cabalisti e dagli alchimisti, tornò alla luce e fu decifrato solo agli inizi del secolo XiX. Cfr. Paolo sacchi, Intro-duzione agli Apocrifi dell’Antico Testamento, morcelliana, brescia 2011.

4 il reperto, ritrovato casualmente a roma agli inizi del XVi secolo, è formato da una lastra i bronzo ageminato con incisa una sequenza di geroglifici e figure egizia-neggianti, ma di fattura romana e databile al i secolo a. C. e probabilmente collocata nel serapeo di Campo mar-zio. Kircher ne dà una dettagliata descrizione nell’Oedi-pus Aegyptiacus. attualmente è esposta al museo Egizio di torino. Cfr. Enrica Leospo, La mensa isiaca di Torino, ed. museo Egizio, torino 1978

5 Vita del Reverendo Padre Athanasius Kircher scritta da sé medesimo (a cura di flavia De luca, Ingrid Rowland, Eugenio lo sardo) la lepre Edizioni, roma 2010.

6 ibidem.

7 nella abbazia di fulda, accanto al culto di san boni-facio, era presente ad antiquo anche quello cassinese di Sant’Eustachio. Cfr. Roman Michaéowski, Il culto dei santi fondatori nei monasteri tedeschi dei secoli XI e XII. Proposte di ricerca, Japadre l’aquila, roma 1984.

8 infatti dispose che alla sua morte, il suo cuore fosse deposto in un’urna ai piedi della statua della madonna, dove ancora si trova.

Chiedendo aiuto a tutti i grandi personaggi con i quali era in contatto, compreso rodolfo ii di bo-emia, a cui lo legavano le comuni ricerche alchi-mistiche, promosse il restauro della cappella di sant’Eustachio che collegò al restante complesso mediante una scala, ancora oggi utilizzabile per raggiungere la parte più scoscesa della monta-gna. Vi rinnovò il culto di san benedetto, erigen-do un altare nella grotta in cui il monaco, secondo la leggenda, avrebbe dimorato due anni, vi istituì quello di san michele arcangelo con un’annuale missione del 29 maggio, ed infine, tra tanti libri di filosofia, fisica ed egittologia, compose un vero e proprio inno di fervida preghiera alla Vergine e sant’Eustachio con il suo “Historia Eustachio-Ma-riana” stampato a roma nel 1665. dalle rovine, che riparò con tanto entusiasmo, proviene un prezioso sigillo, databile intorno al XiV secolo, oggi nella collezione sfragistica del-la Biblioteca Vaticana ma un tempo conservato nel Museo Kircheriano del Collegio Romano. oltre le pa-role “Sce Marie Beltuilla” vi è incisa la figura del-la Vergine che sovrasta una fornace, simbolo del martirio di sant’Eustachio e della sua famiglia.9 nel 1651 espone sistematicamente in un museo aperto al pubblico, gli strumenti e gli oggetti che aveva ideato o raccolto per ragioni di studio e per finalità didattiche.si trattava di una serie di straordinarie macchi-ne per il moto perpetuo, “macchinazioni” pneu-matiche, idrauliche, catottriche e magnetiche, lanterne magiche antesignane delle proiezioni cinematografiche, orologi solari e ad acqua, strumenti musicali di sua invenzione, cassette per il calcolo matematico, riproduzioni in scala degli obelischi di roma, reperti archeologi latini, ellenistici, bizantini, libri rari, quadri, ma anche oggetti esotici che si faceva inviare dai confratelli missionari in africa, in Cina e nelle americhe e curiosità come il grande armadillo impagliato che ispirò bernini per il mostro che spunta dalle acque del rio della Plata nella fontana dei fiumi a Piazza navona.10il museo, considerato il più grande “teatro del mondo, non certo per le sue dimensioni, ma per l’eterogeneità del contenuto, che in effetti anda-va dai tempi biblici al XVii secolo e spaziava in tutti i continenti, divenne una delle principali at-

9 Cfr. attilio rossi, Santa Maria in Vulturella, Ricerche di Storia e d’Arte, loecher, roma 1935.

10 al riguardo si vedano: renato nicolini, Il museo e le tinte impure del mondo; e aldo mastroianni, Kircher e l’Oriente nel Museo del Collegio Romano, ambedue in Athanasius Kircher. Il teatro del Mondo, op. cit.

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trazioni di roma, tanto che non c’era personag-gio illustre che, giunto in italia per il Grand Tour, non si recasse a visitarlo, accompagnato dallo stesso Kircher che amava intrattenere gli ospiti con utili spiegazioni e approfondimenti. “Padre Kircher è un mio stimato amico - scriveva nel 1661 Robert Southwell, presidente della Royal Society di londra - e mi reco sovente a trovarlo e visitare la sua galleria, egli inoltre è molto disponobile a parla-re di tutto ciò che conosce con estrema naturalezza, come fosse una sua norma”.11Kircher e il museo divennero il punto di riferi-mento della cultura barocca e l’emblema della Compagnia di gesù che attuava, non senza su-scitare la occhiuta perplessità della Curia e degli stati coloniali, l’evangelizzazione dei popoli per mezzo dello studio e della conoscenza della loro lingua e dei loro costumi; e chi, per un motivo o per un altro, non poteva recarvisi di persona gli scriveva. in quarantacinque anni di permanenza al Colle-gio romano Kircher raccolse quattordici volumi di corrispondenza, quasi 2500 lettere, in tutte le lingue del mondo, con 763 corrispondenti, tra cui i principi, re, imperatori, scienziati, artisti e persino esponenti di altre confessioni religiose, con cui padre athanasius si confrontava, con-vinto, e non a torto, che alla fine, nonostante le diversità apparenti, sarebbero arrivati ad un’in-tesa.12se la mole delle opere edite, oltre cinquanta, costituiscono una elegante risposta editoriale ai nascenti interessi scientifici, coltivati, per lo più da un pubblico colto e agiato, le lettere aprono uno squarcio non indifferente e casuale sulla sua capacità di imporsi, a livello mondiale, come antesignano ed innovatore in molte discipline che, in seguito saranno variamente sviluppate. opere come l’Ars magna lucis et umbrae, il Mun-dus subterraneus, o l’Oedipus Aegyptiacus possono anche essere considerate curiosità antiquarie da servire ai filologi o agli storici delle scienze, ma non l’autobiografia, in cui con amabile serenità, più che narrare una sequenza di fatti, ribadisce le motivazioni che lo hanno mosso e le convin-zioni che lo hanno sostenuto costantemente

11 Paula findlen, Un incontro con Kircher a Roma, in Athanasius Kircher. Il teatro del Mondo, op. cit.

12 tutta la corrispondenza ricevuta da Kircher è conser-vata negli archivi della Pontificia Università Gregoriana di Roma, catalogata per mittente, argomento e lingua, il latino nella maggior parte dei casi, ma anche il tedesco, francese, spagnolo, olandese, arabo, copto, armeno e cinese.

nella costruzione “di una poetica del meraviglioso” pienamente inserita nel variegato contesto del suo tempo. muore a roma nel 1680 all’età di settantotto anni, probabilmente soddisfatto di come era vissuto, come sarebbe stato soddisfatto, se avesse potuto sceglierlo, anche del luogo dove è sepolto. in fondo i sotterranei che collegano la chiesa di sant’ignazio di loyola in Campo mar-zio a quella del gesù sono un percorso aperto a imprevedibili sorprese, per chi voglia affrontarlo con gli occhi e la mente aperti alla fantasia.13

***la vita di athanasius Kircher potrebbe sembrare tutto sommato tranquilla, chiusa, almeno da un punto di vista formale, negli schemi della Com-pagnia di gesù, se non fosse che è stata spesa ad osservare il mondo con evidente voluttà visiva “di surrealista scienziato e cacciatore del meravi-glioso” e a metterlo in scena in uno stupefacente teatro, ridondante e barocco, che parla il prezio-so linguaggio dell’immaginazione.14 Immaginifica, ma non visionaria, la sua però è quella “fantasia cosciente” prescritta negli Esercizi spirituali di ignazio di loyola che teatralizza l’Iti-nerarium mentis in Deum, attraverso una serie di ingegnose trovate, la cui tecné è di supporto alla imitazione emozionale dell’arte divina.15in questo senso le “macchinazioni” che egli va sperimentando sono una simulazione di secondo grado, una copia della natura, che a sua volta, è copia di dio. Considerati da questa angolazio-ne le sue celebri lanterne magiche, gli automi parlanti e semoventi, le calcolatrici meccaniche, sono un gioco retorico e spettacolare che, attra-verso il labirinto delle apparenze, obbligano la ragione a cedere alle emozioni, o se si vuole al sentimento che riconduce a dio.16

13 Cfr. Eugenio lo sardo (a cura di), Athanasius Kircher. Il Museo del mondo, (catalogo della mostra tenutasi a Palazzo Venezia) de luca, roma 2001

14 Cfr. Umberto Eco, Prefazione al volume Athanasius Kircher. Il Museo del mondo, op. cit.

15 “Il primo punto consisterà nel vedere, con la vista dell’im-maginazione le grandi fiamme, e le anime come dentro corpi di fuoco”, ignazio di loyola, Esercizi spirituali, garzanti, Milano 2016. Riguardo il linguaggio immaginifico di ignazio di loyola, si veda: roland barthes, Sade, Fourier, Loyola seguito da Lezione, Einaudi, torino 2011.

16 un esempio di admiranda con finalità devozionale è riportato da Kircher nell’Ars magnesia: “Si intaglino le statue di Cristo e di Pietro dal materiale più leggero possibile [...] ponendo una potente calamita nel petto di Pietro, e con Cristo che tende le braccia o con una qualsiasi parte della sua veste protesa verso Pietro, realizzate con un buon acciaio, si

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l’espediente rientra appieno nella funzione didattica attribuita dai gesuiti, al teatro, alla mu-sica, all’arte in genere, purché desti meraviglia. Enciclopedista, a confine tra il collezionismo di ascendenza classica, la sperimentazione sistema-tica e la cultura dell’eccesso, rimette in discussio-ne l’epistemologia corrente, ponendo a confron-to le varie teorie, senza dare nulla per scontato e senza giudicare nulla inutile, ma filtrandole con un sguardo incline a sedurre ed essere sedotto, in una messa in scena in cui rientrano Platone ed aristotele, lullo e Cartesio, Copernico e gali-leo, seppure timidamente e tenendo presente la condanna del Sant’uffizio, l’alchimia e la magia taumaturgica, fino alle nuove filosofie compreso “il migliore dei mondi possibili” del suo amico lute-rano gottfried Wilhelm von leibniz.17

***a noi in questa sede, più che il Kircher cataloga-tore, sperimentatore e geniale inventore, dovreb-be interessare il Kircher esoterista ed alchimi-sta, ma classificare in compartimenti stagni, il pensiero di un tale personaggio, è impossibile. Chi infatti potrebbe credere che ad avvicinarlo all’esoterismo sia stata la sua passione per i ge-roglifici di cui credeva, a torto, di aver scoperto il segreto? a roma, del resto, la sua curiosità trovava modo di spaziare ampiamente dai collezionisti più in vista che esponevano le loro “rarità” egizie, qualche volta autentiche, ma più spesso banali imitazioni romane eseguite per arredare i tanti luoghi di culto orientali di moda nel i secolo a. C., ai papi che recuperavano obelischi e sculture per arredare le piazze. Egli stesso, nel 1667, col-labora con gian lorenzo bernini per la sistema-zione di quello a piazza della minerva, sugge-rendo di aggiungere l’elefantino e ricostruendo le parti mancanti. autore di ponderose opere come Il messaggero

disporrà del necessario, atto ad illustrare la storia. Con gli arti inferiori ben sostenuti da sugheri, sì da mantenere una certa stabilità sull’acqua, si pongano le statue in un bacile ricolmo fino all’orlo di quello stesso liquido, e le mani in ferro del Cristo sentiranno la forza d’attrazione esercitata dalla calamita collocata nel petto di Pietro. L’effetto sarà sorpren-dente se, al centro, la statua del Cristo sarà snodata, poiché in questo modo si porgerà in avanti con grande stupore e devo-zione degli spettatori”, cit. in michael John gorman e nick Wilding, La cultura barocca delle macchine, in Atkanasius Kircher. Il Museo del mondo, op. cit.

17 Cfr. Enciclopedismo in Roma barocca. Athanasius Kircher e il Museo del Collegio Romano tra Wunderkammer e museo scientifico (a cura di m. Casciato, m.g. ianniello, m. Vita-le) marsilio, Venezia, 1986.

copto, ovvero egizio (1636), La lingua egizia ricostru-ita (1643) e L’Edipo egizio, in quattro volumi editi dal 1652 al 1654, vi trascrive con puntigliosa acribia tutti i documenti che riusciva a reperire sull’argomento, convincendosi che si trattava di ideogrammi di una scrittura sacra in cui iside ed osiride sono le immagini simboliche dell’imma-nenza divina: “Il divino Dionigi attesta che tutte le cose create altro non sono che specchi in cui si riflettono per noi i raggi della sapienza divina. Da ciò i saggi egiziani crearono l’immagine di Osiride che, affidate tutte le cose a Iside, permeava invisibilmente il mondo intero. Cos’altro può significare ciò se non che la potenza del Dio invisibile penetra intimamente in tutto?”18si convince anche che i sacerdoti scribi, a cui era affidato il segreto di tale scrittura, l’avevano appresa da Ermete trismegisto, traslato greciz-zante di toth; per questo si avvicina al Corpus hermeticum, e in special modo ai quattordici libri del Poimandres, tradotti da marsilio ficino.19si trattava, come è noto, della prima parte dell’Hermetica che si aggiungeva all’Asclepius, già noto nella versione attribuita ad apuleio di madaura.20E come marsilio ficino, restando entro le coor-dinate della patristica alessandrina, interpretava la triade platonica del Timeo come la prefigura-zione della santissima trinità, così athanasius Kircher considera Ermete, contemporaneo a

18 athanasius Kircher, Oedipus Aegyptiacus, roma 1652. Per una edizione moderna si veda anna Paria Partini, Athanasius Kircher e l’Alchimia. Testi scelti e commentati, ed. mediterranee, roma 2010.

19 Si è molto discusso sul significato di Pimander o Poimandres, tradotto, sia pure con evidenti approssima-zioni grammaticali in “Pastore degli uomini”. Una recente interpretazione, confermata dai manoscritti di nag hammadi, ha messo in luce un’etimologia più plausi-bile, dall’egizio Peime-nte-rê, cioè “Conoscenza di ra” il dio solare supremo, la qualcosa rimanda alle origini del Corpus hermeticum, da sempre credute egizie. Cfr. Paolo scarpi, La rivelazione segreta di Ermete Trismegisto (Corpus hermeticum), fondazione Valla - mondadori, milano 2011.

20 a scovarli, in un monastero macedone, era stato nel 1459 leonardo Candia da Pistoia, monaco e traduttore dello studio fiorentino, inviato in Oriente da Cosimo proprio per reperire manoscritti rari di opere greche da inserire nella sua celebre biblioteca a Villa di Carregi. si trattava di un manoscritto dell’Xi secolo, tradotto in greco dal copto, forse direttamente da michele Psello (1018-1096) monaco e filosofo della cancelleria imperiale di Costantinopoli. il codice è conservato presso la Biblio-teca laurenziana di Firenze. Cfr. ilaria ramelli (a cura di) Corpus hermeticum, bompiani, milano 2005.

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mosé, profeta che scrive per ispirazione divina e preannunzia il Cristianesimo.21 Per far quadrare i conti (in fondo è un fantasioso matematico), elabora una ingegnosa genealogia che parte da adamo e dalla scienza del Paradiso terrestre: adamo, a cui dio aveva concesso ogni sapienza, la tramanda al figlio Seth e da questi, patriarca dopo patriarca, arriva a Cham, figlio di noé, che scampato con il padre al diluvio, si reca in Egitto ed ammaestra Ermes, affinché questo come “Mercurius Trismegistus e stirpe Camaan vir philosophus, sagax ingenio peracutus, et divino quo-dam mentis rigore praeditus, plenam perfectamque notitiam nactus, eam posteris consignaret”.22E come se non bastasse, addirittura si spinge ad individuare nella scrittura ideografica cinese una discendenza dai geroglifici egizi che vi sarebbe stata esportata da Cam, figlio di noé, il quale altro non sarebbe che zoroastro, inventore della scrittura e dalla magia.23 se da ficino riprende il concetto di “concordia uni-versalis” e di conferma delle verità vetero-testa-mentarie, lo spirito con cui si avvicina al Poiman-der è però più vicino a quello di giovanni Pico della mirandola che pone al centro dell’interesse il tema della dignità umana attestata dalle scrit-ture.24anche per Kircher lo sguardo con cui l’uomo domina le cose non si esaurisce nella visione di quanto lo circonda, ma trascende ogni principio (vegetale, animale, razionale, intellettuale) sino all’unione mistica con la divinità, che egli ritro-va al centro del suo cosmo interiore. aderendo sostanzialmente al postulato della Oratio de homi-nis dignitate, il gesuita si ritrova, suo malgrado, d’accordo con le teorie teologiche professate dal Cerchio rosacrociano di tubinga che non perde-va occasione di criticare aspramente.25

21 giuliano mori, I geroglifici e la croce. Athanasius Kircher tra Egitto e Roma. Edizioni della scuola normale supe-riore, Pisa 2016.

22 athanasius Kircher, introduzione all’Obeliscus Pham-philius - 1650.

23 Cfr. Umberto Eco e riccardo fedrigia, La Filosofia e le sue storie, (l’età moderna. vol. 3°) giuseppe laterza e figli editori, Bari 2014.

24 Per ficino l’Ascelpius e il Pimander sono opere in cui dio, attraverso Ermete, comunica al mago la sua potestà e la sua sapienza, tanto che, in base a questa religione della mente, diveniva una pratica legittima, e persino di devozione religiosa, “catturare la vita del cielo per mezzo di simpatica magia astrale”. Cfr. Paolo scarpi, La rivelazione segreta di Ermete Trismegisto (Corpus hermeticum), op. cit.

25 riguardo la formulazione del manifesto di Cassel

naturalmente si tratta di una sapienza segreta, inerente la sfera del sacro, riservata ad una cer-chia ristretta di sacerdoti, non traducibile verbum verbo, ma da intelligere simbolicamente nel com-plesso. Per spiegarsi meglio ricorre a giamblico e ai suoi Misteri degli Egizi: “Dimitte voces, accipe sensus” e su questo, con la logica che gli è propria, basa il suo metodo di interpretazione: “avendo se-guito i significati reconditi esposti dagli autori (e cioé Ermetici, Pitagorici e Neo-Platonici) come il filo di Arianna, avvalendoci della scienza analitica o combi-natoria, mediante gli sforzi e le indagini di molti anni, alla fine guidati da Dio, abbiamo penetrato gli arcani ed i misteri dei geroglifici”.26in tali e divini siderei spazi, che sia chiaro, come rimarca più volte, non sono aperti a tutti, sfiora il “quod est supra est sicut quod est infra” della Ta-vola Smeragdina, l’universale assolutezza di dio e la sua immanenza nella natura: “ideae in mente divina exsistentes”, la “pantomorpha natura mundi” che è specchio della virtù divina, la memoria ar-tificiale di raimondo lullo, prima ancora che di giordano bruno, ma grazie al “divino auxilio im-plorato”, o meglio in forza dell’autorità che si era conquistata con le sue opere scientifiche (e anche a quella un po’ più discussa della sua Compa-gnia) riesce a sfuggire alle maglie in cui erano caduti giordano bruno, Copernico e galileo. in una roma che accendeva i suoi roghi, riesce ad imporre il suo eclettismo stupefacente che pote-va paragonare il Poimander al decalogo mosaico e spazzare di un colpo tutti i residui della Patri-stica scolastica, senza incappare nei rigori in cui era restato intrappolato un secolo e mezzo prima giovanni Pico della mirandola, con la sua Oratio de hominis dignitate.27

***

(1614) è appena il caso di far notare che la prima parte del documento, denominata comunemente come la Ri-forma generale non è altro che una traduzione in tedesco del capitolo 77 dei Ragguagli di Parnaso di traiano boc-calini, opera in tre centurie edita a Venezia nel 1613.

26 athanasius Kircher, introduzione all’Obeliscus Pham-philius - 1650.

27 È appena il caso di ricordare che Pico intendeva dibattere le novecento tesi da lui elaborate radunando a roma, a sue spese, studiosi di varie discipline e che Oratio de homini dignitate ne avrebbe dovuto aprire i la-vori il 7 gennaio 1487. l’iniziativa non poté avere luogo per la condanna per eresia, emessa qualche mese prima da Sisto IV. Incarcerato, poi esiliato e infine assolto nel 1492, per intercessione di lorenzo de’ medici presso alessandro Vi, tuttavia non si riprese più dallo stato di ipocondria in cui era caduto e, ritiratosi a mirandola, vi morirà l’anno dopo.

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Parallelamente a questa visione teurgica si pon-gono i suoi interessi per la magia e l’alchimia. ri-guardo la prima, coglie ancora una volta l’eredità pichiana della unione fra ermetismo e cabala che permette una visione speculativa degli aspetti ar-monici e delle corrispondenze numerologiche del Creato, generando una connessione tra il Cielo e la terra.28 fondamentalmente storico, archeologo e scien-ziato, Kircher disapprova gli incantesimi, le evo-cazioni e i legami con le forze occulte, ma nell’Ars magna de lucis et umbrae riconosce l’esistenza di una magia naturale già postulata nella mistica di dionigi l’areopagita, sulle cui sublimi dottrine, avverte che è il caso di mantenere il silenzio e il segreto, consiglio che esplicita con il geroglifico posto dopo l’inno del Pimander.29Il suo concetto della influenza astrale, mutuato più dal Picatrix che dal Corpus hermeticum, sfuma nelle forme di una medicina magica, che attraver-so l’uso dei talismani finalizzati a catturare e tra-smette l’influenza degli astri, si era già affermata da tempo. si tratta però di una posizione sincre-tica, propria del barocco romano, destinata a ma-turare entro la sperimentazione scientifica come sarà in effetti anche l’approccio alchemico a cui il dotto gesuita dedica la sua attenzione.30se è vero che fu assiduo frequentatore dell’Acca-demia alchemica romana fondata a Palazzo riario da Cristina di Svezia, singolare figura di mece-nate, studiosa e cristianissima amica del cardina-le Decio Azzolini, crederlo solo un soffiatore di fornelli alla ricerca dell’oro, sarebbe oltre che in-giusto, non aver compreso la natura, le radici e le finalità del suo ecletismo enciclopedico.31

28 “Nulla est virtus in coelo aut in terra seminaliter et sepa-rata quam et actuare et unire magus non possit”. giovanni Pico della mirandola, Conclusiones nongentae, olschki, firenze 1995. Per Kircher si veda

29 Edita a roma nel 1646 con il lungo titolo Ars Magna Lucis et Umbrae in decem libros digesta quibus admirandae Lucis et Umbrae in mundo, atque adeo universa natura, vir effectusque uti nova, ita varia novorum reconditiorumque spcciminum exhibitione, ad varios mortalium usus, pandun-tur.

30 Per la Picatrix, trattato arabo di esoterismo e magia naturale, scritto a Cordova alla fine del X secolo, di cui poco si sa dell’autore abû- maslama muhammad ibn ibrahim ibn ‘abd al-da’im al-majrîtî se non i riferimenti autobiografici che espone nell’opera, si rimanda all’edi-zione a cura di Paolo aldo rossi, mimesis, milano 1999.

31 regina convertitasi al cattolicesimo, in uno stato fondamentalmente luterano, Cristina di svezia (1626 – 1689), passò, dopo l’abdicazione in favore del nipote Carlo gustavoX, gran parte della sua vita a roma dove

l’accademia annoverava grandi nomi della no-biltà, come il marchese massimiliano Palombara savelli, illustri prelati, ma anche scienziati come il medico esoterista giuseppe francesco borri, di nobile famiglia milanese, l’astronomo giovan-ni Cassini, e francesco maria santinelli conte di mentola alchimista e poeta, personaggi che, più che alla trasmutazione dei metalli si dedicavano a dotte ed eleganti disquisizioni filosofiche. 32Per Kircher infatti è molto improbabile, sebbene non sia possibile escluderlo a priori, che il lavoro di laboratorio possa pervenire alla fabbricazione dell’oro, mentre è assolutamente certo che lo stu-dio, per così dire teologico, del Corpus hermeticum possa condurre alle stesse conclusioni immagina-tive a cui era giunto marsilio ficino nel De vita coelitus comparanda.33 il suo interesse per l’alchimia risiede proprio in questo approccio concentuale, di chiara matri-ce umanistica, e non nell’utilizzo dei fornelli con cui dimostra che la materia è trasformabile fisicamente, alterando e modificando la disposi-zione degli elementi che la compongono, diven-ga o meno oro, la qual cosa, alla fine, è un mero accidente marginale. Per lui più importanti sono l’ermetismo immaginativo e la metafisica della luce che stanno a fondamento dell’alchimia.34

fu la protagonista di una intensa vita culturale, con una particolare propensione per l’esoterismo e l’alchimia. È sepolta nelle grotte vaticane e un sontuoso monumento, opera di Carlo fontana, ne ricorda la memoria nella basilica di san Pietro. Cfr. anna maria Partini, Cristina di Svezia e la sua accademia alchemica, ed. mediterranee, roma 2010.

32 massimiliano Palombara savelli (1614 - 1685) conser-vatore in Campidoglio e devoto gentiluomo di Cristina di svezia è ricordato per la cosiddetta “porta magica” unico elemento giunto fino ai nostri giorni della sua villa sull’Esquilino dove aveva allestito un gabinetto alchemico frequentato dai maggiori esponenti di questa scienza. in realtà fu uomo coltissimo, amante delle lettere e delle arti, autore di poemi alchemici, e attento politico che sperava di riportare la pace religiosa nei vari stati europei attraverso il movimento rosacrocia-no a cui apparteneva. Cfr. gabriele mino, Il giardino di Hermes. Massimiliano Palombara alchimista e rosacroce nella Roma del Seicento, ed. ianua, roma 1986. Per approfon-dire la vicenda biografica dei personaggi citati si veda fabio troncarelli, La città dei segreti. Magia, astrologia e cultura esoterica a Roma (XV-XVIII secolo), franco angeli, milano 1985.

33 Cfr. marsilio ficino, Sulla vita (a cura di a. tarabo-chia Canavero), rusconi, milano 1995,

34 la dottrina ermetica dell’immaginazione e la metafi-sica della luce sono affrontate in modo particolare nella l’Ars magna lucis et umbrae, che è possibile consultare

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le origini e gli aspetti della trasmutazione sono racchiusi nell’undicesimo libro Mundus Subter-raneus, opera di per sé dedicata al fenomeno dei vulcani e del magnetismo terreste, ma anche a quell’immenso laboratorio, nascosto agli occhi degli uomini, dove la natura trasforma la mate-ria. Per penetrarvi naturalmente parte da Ermete trismegisto, si rilegge le fonti copte ed ebraiche, non trascura la tradizione araba, gli insegnamen-ti dello Pseudo lullo, di arnaldo di Villanova, di ruggero bacone, di basilio Valentino, ma allesti-sce un laboratorio, dove tra forni ed alambicchi, si misura con Paracelso più per quella insazia-bile curiosità di verifica empirica, che per reale convinzione, del lapis philosophorum.35l’alchimia, per lui è una scienza della terra, sospesa a metà tra tolomeo e Copernico sotto

nella edizione del 1646 sulla biblioteca gallica http://gallica.bnf.fr/

35 Cfr. Ingrid D. Rowland, Kircher Trismegisto, in atha-nasius Kircher. il museo del mondo, op. cit.

l’occhio vigile di aristotele. il suo Itinerarium ex-taticum, dialogo cosmologico composto nel 1656, più che l’innocente sogno in cui l’avrebbe con-dotto il suo angelo custode, è in realtà la visione di un universo infinito, una specie di baratro vuoto che l’uomo cerca faticosamente di riempi-re con la propria fantasia, da solo e senza alcun legame con le religioni, ma fermamente aggrap-pato al volo del sacro che è tutta un’altra cosa). torna inevitabilmente alla mente la domanda che ci siamo posti all’inizio per definire cosa fosse l’esoterismo: “An sit Deus?” atanasius se lo pone e si risponde allestendo il suo stupefacente Museo del Mondo dove il suo Itinerarium mentis in Deum attraversa, mediante l’esperienza sensibile, tutto quello che la mente umana può concepire.E se athanasius avesse ragione?

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fra le grandi figure del Medioevo ve ne sono poche il cui studio è più appropriato di quello di san bernardo per dissipare certi pregiudizi cari allo spirito moderno. in effetti, cosa c’è di più sconcertante, per quest’ultimo, che il constatare come un contemplativo puro, che ha sempre voluto essere e rimanere tale, fosse chiamato a svolgere un ruolo preponderante nella conduzione degli affari della Chiesa e dello stato, e riuscisse spesso laddove aveva fallito tutta la prudenza dei politici e dei diplomatici di professione? secondo la maniera ordina-ria di giudicare le cose, cosa c’è di più sorprendente e di più paradossale che il vedere un mistico, il quale prova solo disdegno per ciò che egli chiama «le arguzie di Pla-tone e le finezze di Aristotele», trionfare tuttavia senza sforzo sui dialettici più sottili del suo tempo?tutta la vita di san bernardo potrebbe sembrare de-stinata a dimostrare, con l’esempio eclatante, che per risolvere i problemi di ordine intellettuale, ed anche di ordine pratico, esistono dei mezzi del tutto diversi da quelli che, ormai da troppo tempo, si è abituati a considerare come i soli efficaci, senza dubbio perché questi sono i soli alla portata di una saggezza puramen-te umana, che non è neanche l’ombra della vera saggez-za. Questa sua vita appare così, in qualche modo, come un’anticipata confutazione di quegli errori, apparente-mente opposti ed in realtà solidali, che sono: il raziona-lismo ed il pragmatismo; e al tempo stesso, per chi la esamina in modo imparziale, essa supera e capovolge tutte le idee preconcette degli storici «scientisti», i quali, con renan, ritengono che «la negazione del sovranna-turale costituisce l’essenza stessa della critica», cosa che d’altronde noi ammettiamo molto volentieri, in quanto che in tale incompatibilità vediamo tutto il contrario di ciò che vi vedono loro, e cioè la condanna della stessa «critica», non certo quella del sovrannaturale. In verità, nella nostra epoca, quali lezioni potrebbero essere più proficue di queste?***bernardo nacque nel 1090, a fontaines-les-dijon, i suoi genitori appartenevano all’alta nobiltà della borgogna, ed annotiamo questo fatto in quanto che ci sembra che alcuni tratti della sua vita e della sua dottrina, dei quali parleremo in seguito, possano, fino ad un certo punto, essere collegati a questa origine. non vogliamo dire che è solo con questo fatto che è possibile spiegare l’ardore, talvolta bellicoso, del suo zelo o la violenza che egli ap-portò, a più riprese, nelle polemiche in cui fu trascinato,

la quale d’altronde era del tutto superficiale, poiché il suo carattere era basato incontestabilmente sulla bontà e sulla dolcezza; ciò a cui invece intendiamo soprattutto alludere sono i suoi rapporti con l’istruzione e l’ideale cavallereschi, ai quali, del resto, occorre sempre accor-dare una grande importanza se si vogliono comprende-re gli avvenimenti e lo spirito stesso del medioevo.È verso i vent’anni che bernardo decise di ritirarsi dal mondo ed in poco tempo egli riuscì a far condividere le sue vedute a tutti i suoi fratelli, ad alcuni dei suoi pa-renti e ad un certo numero di suoi amici. in questo suo primo apostolato, la sua forza di persuasione, a dispetto della sua giovane età, fu tale che ben presto «egli diven-ne - dice il suo biografo - il terrore delle madri e delle spose; gli amici temevano nel vederlo intrattenere i loro amici». E già in questo vi è qualcosa di straordinario e per spiegare una simile influenza sarebbe sicuramente insufficiente invocare la potenza del «genio», inteso nel senso profano del termine; non è qui il caso di ricono-scere l’azione della grazia divina che, penetrando in qualche modo tutta la persona dell’apostolo ed emanan-do all’esterno per la sua sovrabbondanza, si comunica-va a mezzo suo come per un canale, secondo il para-gone che lui stesso impiegherà più tardi applicandolo alla santa Vergine e che, restringendone più o meno la portata, si può anche applicare a tutti i santi?È, dunque, accompagnato da una trentina di giovani che bernardo, nel 1112, entrò nel monastero di Citeaux, che egli aveva scelto per il rigore con cui si osservava la regola, rigore che contrastava con il rilassamento che s’era introdotto in tutti gli altri rami dell’ordine bene-dettino. tre anni più tardi i suoi superiori non esitavano ad affidargli, nonostante la sua inesperienza e la sua salute vacillante, la guida di dodici religiosi con i quali fondò una nuova abbazia, quella di Chiaravalle, che go-vernerà fino alla morte, rifiutando sempre gli onori e gli alti uffici che gli verranno spesso offerti nel corso della sua carriera. la fama di Chiaravalle non tardò a diffon-dersi fin nei posti più lontani e lo sviluppo che essa ben presto raggiunse fu veramente prodigioso: alla morte del suo fondatore si dice che accogliesse circa settecento monaci ed essa aveva dato vita a più di sessanta nuovi monasteri.***la cura che bernardo mise nell’amministrazione di Chiaravalle, regolando lui stesso perfino i più piccoli particolari della vita di tutti i giorni; il ruolo che assunse

appendiCe

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san bErnardo

da L’Esoterismo cristiano, arktos giovanni oggero Editore – Carmagnola1997

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nella direzione dell’ordine cistercense, come capo di una delle prime abbazie; l’abilità ed il successo dei suoi interventi per appianare le difficoltà che sorgevano di frequente con gli ordini rivali; tutto ciò basta a prova-re che quel che si chiama senso pratico può benissimo accompagnarsi, talvolta, alla più alta spiritualità. Vi era di che assorbire l’intera attività di un uomo ordinario, e tuttavia bernardo vide, ben presto, aprirsi davanti a lui un diverso campo d’azione; molto suo malgrado, d’al-tronde, poiché non paventò mai nulla quanto l’essereobbligato ad uscire fuori dal suo chiostro per mescolarsi agli affari del mondo, da cui aveva creduto di potersi isolare per sempre, per dedicarsi interamente all’ascesi ed alla contemplazione, senza che niente venisse a di-strarlo da quello che ai suoi occhi era, secondo il motto evangelico, «la sola cosa necessaria». In questo s’era sbagliato di molto; ma tutte le «distrazioni», nel senso etimologico, alle quali non poté sottrarsi e di cui giunse a dolersi con un po’ d’amarezza, non gli impediranno affatto di giungere ai vertici della vita mistica. Ciò è par-ticolarmente degno di nota, come il fatto che, malgrado tutta la sua umiltà e tutti gli sforzi che fece per restare nell’ombra, si fece appello alla sua collaborazione in tutte le questioni importanti; e che nonostante egli non fosse niente nei confronti del mondo ordinario, tutti, compresi i più alti dignitari civili ed ecclesiastici, si in-chinarono sempre spontaneamente al cospetto della sua autorità tutta spirituale, e noi non sappiamo se questo fatto vada più in lode del santo o dell’epoca in cui egli visse. Quale contrasto fra questi nostri tempi e quelli, ove un semplice monaco poteva diventare in qualche modo, per il solo fulgore delle sue eminenti virtù, il centro dell’Europa e della Cristianità, l’arbitro incon-testato di tutti i conflitti in cui era in giuoco il pubblico interesse, sia politico che religioso, il giudice dei maestri più famosi della filosofia e della teologia, il restauratore dell’unità della Chiesa, il mediatore fra il Papato e l’im-pero, ed infine, vedere eserciti di parecchie centinaia di migliaia di uomini levarsi alla sua predicazione!***bernardo cominciò ben presto a denunciare il lusso nel quale viveva allora la maggior parte dei membri del clero secolare ed anche i monaci di certe abbazie; le sue rimostranze provocarono delle conversioni clamorose, fra cui quella di sugerio, illustre abate di saint-denis che, senza portare ancora il titolo di primo ministro del re di francia, ne assolveva già le funzioni. fu questa conversione che fece conoscere a corte il nome dell’aba-te di Chiaravalle, ove sembra che venisse considerato con un misto di rispetto e di timore, perché si vedeva in lui l’irriducibile avversario di ogni abuso e di ogni ingiustizia; ed in effetti, lo si vide ben presto intervenire nei conflitti sorti fra luigi il Grosso e diversi vescovi, e protestare con forza contro le usurpazioni dei diritti della Chiesa da parte del potere civile. a dire il vero, si trattava ancora di questioni locali che interessavano solo qualche monastero e qualche diocesi; ma, nel 1130, so-praggiunsero degli avvenimenti di ben altra gravità, che misero in pericolo la Chiesa intera, divisa dallo scisma dell’antipapa anacleto ii; ed è in questa occasione che la fama di bernardo si diffuse in tutta la Cristianità.non è necessario che rivediamo qui la storia di questo scisma in tutti i suoi particolari: i cardinali, divisi in due

fazioni rivali, avevano eletto prima innocenzo ii e poi anacleto ii; il primo, costretto a fuggire da roma, non disperò del suo diritto e si appellò alla Chiesa univer-sale. fu la francia a rispondere per prima; al concilio convocato dal re a Etampes, bernardo, come dice il suo biografo, apparve fra i vescovi ed i signori riuniti «come un vero inviato di Dio»; tutti seguirono il suo parere circa la questione in esame e riconobbero la validità dell’elezione di innocenzo ii. Questi si trovava allora sul suolo francese, e fu nell’abbazia di Cluny che sugerio andò a comunicargli la decisione del concilio; attraversò le principali diocesi e fu accolto dappertutto con entu-siasmo, di modo che un tale movimento si avviava a riscuotere l’adesione di quasi tutta la Cristianità. l’abate di Chiaravalle si recò dal re d’inghilterra, e trionfò pron-tamente delle sue esitazioni e, forse, intervenne anche, almeno indirettamente, nel riconoscimento di innocen-zo ii da parte del re lotario e del clero tedesco. si recò poi in Aquitania per combattere l’influenza del vescovo gérard d’angouléme, fautore di anacleto ii; ma è solo nel corso di un secondo viaggio in questa regione, nel 1135, che riuscì a sopprimervi lo scisma, operando la conversione del conte di Poitiers.nel frattempo s’era dovuto recare in italia, chiamatovi da innocenzo ii, che vi era ritornato con l’appoggio di lotario, ma che era stato bloccato da difficoltà impre-viste dovute alle ostilità fra Pisa e genova; bisognava trovare un accordo fra le due città rivali e farglielo ac-cettare; Bernardo fu incaricato di questa difficile missio-ne e riuscì a compierla con grande successo. innocenzo II poté infine rientrare a Roma, ma Anacleto II rimase trincerato in san Pietro, di cui fu impossibile impadro-nirsi; lotario, incoronato imperatore in san giovanni in laterano, si ritirò ben presto col suo esercito e, dopo la sua partenza, l’antipapa riprese l’offensiva, per cui il le-gittimo pontefice dovette nuovamente fuggire da Roma e rifugiarsi a Pisa.l’abate di Chiaravalle, che era rientrato nel suo chio-stro, apprese con costernazione queste novità; poco dopo gli giunse anche voce dell’attività intrapresa da ruggero, re di sicilia, per guadagnare tutta l’italia alla causa di anacleto ii e per assicurarvi la propria supre-mazia. bernardo scrisse subito agli abitanti di Pisa e di genova per incoraggiarli a rimanere fedeli a innocenzo ii; ma questa fedeltà era solo un appoggio assai debole e per riconquistare roma si poteva sperare solo nell’ef-ficace aiuto della Germania. Sfortunatamente l’Impero era sempre in preda alla divisione e lotario non poteva ritornare in italia se non prima di aver assicurato la pace nel suo paese. bernardo partì per la germania e si adoperò per la riconciliazione degli hohenstaufen con l’imperatore, ed anche stavolta i suoi sforzi furono coronati dal successo e ne vide consacrata la riuscita alla dieta di bamberga, che egli lasciò poi per recarsi al concilio convocato a Pisa da innocenzo ii. in questa oc-casione dovette indirizzare delle rimostranze a luigi il grosso, che si era opposto alla partenza dei vescovi del suo regno; il divieto fu tolto ed i principali membri del clero francese poterono rispondere all’appello del capo della Chiesa. bernardo fu l’anima del Concilio; nell’in-tervallo fra le sedute - racconta uno storico del tempo - la sua porta era assediata da coloro che avevano dei grossi problemi da sottoporgli, come se questo umile

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monaco avesse il potere di risolvere, a suo piacimento, tutti i problemi ecclesiastici. inviato poi a milano, per ricondurre questa città dalla parte di innocenzo ii e di lotario, venne acclamato dal clero e dai fedeli che, in una manifestazione spontanea di entusiasmo, vole-vano fare di lui il loro arcivescovo, e dovette faticare parecchio per sottrarsi a tale onore. Egli aspirava solo a ritornare nel suo monastero, e vi rientrerà, in effetti, ma non per lungo tempo.all’inizio del 1136, bernardo dovette abbandonare anco-ra una volta la sua solitudine per raggiungere in italia, secondo il desiderio del papa, l’esercito tedesco, coman-dato dal duca Enrico di baviera, genero dell’imperatore. Era sorta la discordia fra questi e innocenzo ii; Enrico, che poco si curava dei diritti della Chiesa, dimostrava in ogni circostanza di volersi solo occupare degli interessi dello stato. Così, l’abate di Chiaravalle ebbe il suo da fare per ristabilire la concordia fra i due poteri e con-ciliare le loro pretese rivali, in particolare per ciò che riguardava alcuni problemi di investitura, per i quali sembra avere costantemente svolto un ruolo di mode-ratore. tuttavia, lotario, che aveva assunto personal-mente il comando dell’esercito, sottomise tutta l’italia meridionale, ma ebbe il torto di respingere le proposte di pace del re di sicilia, che non tardò a riprendersi la rivincita, mettendo tutto a ferro e fuoco. bernardo non esitò allora a presentarsi al campo di ruggero, il quale accolse abbastanza malamente le sue parole di pace, ed a cui predisse una sconfitta che, in effetti, si verificò; in seguito lo seguì e lo raggiunse a salerno, ove si sforzò di allontanarlo dallo scisma a cui lo aveva indotto la sua ambizione. ruggero acconsentì di ascoltare, in contrad-dittorio, i fautori di innocenzo ii e di anacleto ii, ma mentre sembrava condurre l’inchiesta con imparzialità, in realtà cercava solo di guadagnare tempo e rifiutava di prendere una decisione; nondimeno, questo dibat-tito sortì il felice risultato della conversione di uno dei principali autori dello scisma, il cardinale Pietro di Pisa, che bernardo condusse con sé da innocenzo ii. Questa conversione arrecò un terribile colpo alla causa dell’an-tipapa; Bernardo seppe approfittarne e nella stessa roma, per mezzo della sua ardente e convincente elo-quenza, riuscì in pochi giorni a distogliere dal partito di anacleto ii la maggior parte dei dissidenti. Ciò accade-va nel 1137, all’epoca delle feste di natale; un mese più tardi, anacleto ii moriva improvvisamente. alcuni dei cardinali più impegnati nello scisma elessero un nuovo antipapa, col nome di Vittorio iV, ma la loro resistenza non poteva durare a lungo e, all’ottava di Pentecoste, fecero tutti atto di sottomissione; la settimana successi-va l’abate di Chiaravalle riprese il cammino verso il suo monastero.Questo rapido riassunto, basta a dare un’idea di quella che si potrebbe chiamare l’attività politica di san ber-nardo, la quale d’altronde, non si fermò qui: dal 1140 al 1144 dovette protestare contro l’abusiva ingerenza del re luigi il giovane nelle elezioni episcopali, poi inter-venne in un grave conflitto sorto fra questo stesso re ed il conte thibaut di Champagne; ma sarebbe fastidioso dilungarsi su questi avvenimenti. insomma, si può dire che la condotta di bernardo fu sempre determinata dal-le medesime intenzioni: difendere il diritto, combattere l’ingiustizia e soprattutto mantenere l’unità del mondo

cristiano. È questa costante preoccupazione dell’unità che lo sorresse nella lotta contro lo scisma, ed è sempre questa che gli fece intraprendere, nel 1145, un viaggio in linguadoca per ricondurre alla Chiesa gli eretici neo-manichei che incominciavano a diffondersi in quella regione. sembra aver avuto incessantemente presente queste parole del Vangelo: «affinché siano tutti una cosa sola, come tu sei in me, o Padre, ed io in te».

***l’abate di Chiaravalle, tuttavia, non dovette lottare solamente nel dominio politico ma anche nel dominio intellettuale, ove i suoi trionfi non furono meno vistosi, poiché furono contrassegnati dalla condanna di due eminenti avversari: abelardo e gilberto Porretano. il primo s’era conquistata, per i suoi insegnamenti e per i suoi scritti, la reputazione di uno dei più abili dialetti-ci, e ne abusava anche, poiché invece di considerare la dialettica per ciò che essa è realmente, cioè un semplice mezzo per pervenire alla conoscenza della verità, egli la vedeva quasi come qualcosa di fine a se stessa, tanto da sfociare, naturalmente, in una sorta di verbalismo. sembra anche che in lui fosse presente, sia per il metodo che per le idee di base, una ricerca dell’originalità che lo avvicina un po’ ai filosofi moderni; e in un’epoca in cui l’individualismo era una cosa quasi sconosciuta, questo difetto non correva certo il rischio di passare per una qualità, come accade ai nostri giorni.Così, alcuni furono ben presto infastiditi da questa novità, che non conduceva a niente di più che a crea-re una vera confusione fra il dominio della ragione e quello della fede; per essere esatti, non è che abelardo fosse un razionalista, come si è preteso talvolta, poiché non vi sono stati certo dei razionalisti prima di Cartesio, ma egli non seppe distinguere fra ciò che deriva dalla ragione e ciò che le è superiore, fra la filosofia profana e la saggezza sacra, fra il sapere puramente umano e la conoscenza trascendente, e sta proprio in questo la causa di tutti i suoi errori.Non arrivò a sostenere che i filosofi e i dialettici godono di una ispirazione abituale paragonabile all’ispirazione sovrannaturale dei profeti? si comprende con facilità, quindi, perché san bernardo, non appena venne ri-chiamata la sua attenzione su simili teorie, si sia levato contro di esse con forza ed anche con un certo furore, e si capisce, altresì, come mai abbia rimproverato acer-bamente al loro autore di aver insegnato che la fede non era che una semplice opinione. la controversia fra questi uomini così diversi, iniziata con alcuni colloqui privati, ebbe ben presto un’enorme risonanza nelle scuole e nei monasteri; Abelardo, confidando nella sua abilità a condurre il ragionamento, chiese all’arcive-scovo di sens di riunire un concilio in seno al quale si sarebbe giustificato pubblicamente, pensava di poter manovrare la discussione in modo da indurre facilmen-te in confusione il suo avversario. le cose andarono in tutt’altro modo: l’abate di Chiaravalle, infatti, conside-rava il concilio come un tribunale, davanti al quale il teologo sospetto sarebbe comparso in giudizio; in una seduta preparatoria, egli produsse le opere di abelardo, di cui mostrò le proposizioni più temerarie, provandone l’eterodossia; l’indomani, appena fu introdotto l’autore e dopo aver enunciato le dette proposizioni, gli intimò di ritrattarle o di giustificarle. Abelardo, prevedendo

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già una condanna, non attese il giudizio del concilio e ben presto dichiarò che si appellava alla corte di roma; il processo seguì comunque il suo corso e, non appena venne pronunciata la condanna,bernardo scrisse ad innocenzo ii ed ai cardinali delle lettere di una incalzante eloquenza, di modo che, sei set-timane dopo, la sentenza venne confermata a roma. ad abelardo non restava che sottomettersi; egli si rifugiò a Cluny, da Pietro il Venerabile, che gli procurò un incon-tro con l’abate di Chiaravalle e riuscì a farli riconciliare.il concilio di sens ebbe luogo nel 1140; nel 1147, ber-nardo ottenne, al concilio di reims, anche la condanna degli errori di gilberto Porretano, vescovo di Poitiers; errori che riguardavano il mistero della trinità e deriva-vano dal fatto che l’autore applicava a dio la distinzione reale dell’essenza dall’esistenza, la quale è applicabile solo agli esseri creati. gilberto, d’altronde, ritrattò senza difficoltà e quindi gli fu solamente interdetta la lettura e la trascrizione della sua opera fino a quando non l’aves-se corretta; e, a parte i punti particolari che erano stati oggetto della questione, la sua autorità non venne meno e la sua dottrina mantenne un gran credito nelle scuole, per tutto il medioevo.

***due anni prima di quest’ultimo avvenimento, l’abate di Chiaravalle aveva avuto la gioia di veder ascendere al trono pontificale uno dei suoi vecchi monaci, Bernardo da Pisa, che aveva preso il nome di Eugenio iii e che mantenne sempre, con lui, le più affettuose relazioni; fu questo nuovo papa che, all’inizio del suo pontifica-to, lo incaricò di predicare la seconda crociata. fino a quel momento, la terra santa aveva occupato un posto molto limitato fra le preoccupazioni di san bernardo, almeno in apparenza; tuttavia sarebbe un errore credere che egli sia rimasto del tutto estraneo a ciò che era ad essa relativo, e la prova la si ha da una vicenda sulla quale generalmente si insiste molto meno di quanto ad essa converrebbe.Ci riferiamo alla parte da lui svolta nella costituzione dell’ordine del tempio, il primo ordine militare per data e per importanza e che servì da modello a tutti gli altri. fu nel 1128, circa dieci anni dopo la sua fondazio-ne, che quest’ordine ricevette la sua regola, al concilio di troyes, e fu bernardo, in qualità di segretario del concilio, che venne incaricato di redigerla o, quanto-meno, di fissarne i primi lineamenti, poiché sembra che solo più tardi venne chiamato a completarla, e riuscirà a farlo solo nel 1131. Egli commentò poi questa regola nel trattato de laude novae militiae, ove espose, con una magnifica eloquenza, la missione e l’ideale della cavalle-ria cristiana, che egli chiamava la «milizia di Dio».Questi rapporti fra l’abate di Chiaravalle e l’ordine del tempio, che gli storici considerano solo come un episodio alquanto secondario della sua vita, ebbero si-curamente ben altra importanza agli occhi degli uomini del medioevo, e noi abbiamo indicato altrove che essi costituiscono, senza dubbio, la ragione per cui dante scelse san bernardo come sua guida negli ultimi cerchi del Paradiso.

***fin dal 1145, luigi Vii aveva progettato di andare in aiuto dei principati latini d’oriente, minacciati dall’emi-ro di aleppo, ma l’opposizione dei suoi consiglieri lo

aveva costretto a rimandare, e la decisione definitiva era stata demandata ad un’assemblea plenaria che doveva attenersi a Vèzelay, durante le feste di Pasqua del 1146.Eugenio iii, trattenuto in italia dalla rivolta fomentata a roma da arnaldo da brescia, incaricò l’abate di Chia-ravalle di rappresentarlo in quell’assemblea; bernardo, dopo aver dato lettura della bolla che invitava la fran-cia ad andare alla crociata, pronunciò un discorso che, a giudicare dall’effetto che produsse, fu la più grande azione oratoria della sua vita: tutti i presenti si precipi-tarono a ricevere la croce dalle sue mani. incoraggiato da questo successo, bernardo percorse le città e le campagne predicando ovunque la crociata con uno zelo infaticabile; lì ove non poteva recarsi personalmente, in-viava delle lettere non meno eloquenti dei suoi discorsi.Passò in seguito in germania, ove la sua predicazio-ne ebbe gli stessi risultati che in francia; l’imperatore Corrado, dopo aver tergiversato un po’, dovette cedere alla sua influenza e partecipare alla crociata. Verso la metà dell’anno 1147 gli eserciti francese e tedesco si avviarono per questa grande spedizione e a dispetto della loro apparente imponenza, anda- rono incontro ad un disastro. le cause di questo scacco furono molteplici, e sembra che le più importanti siano state: il tradimento dei greci e la mancanza d’intesa fra i capi della crociata; ma alcuni tentarono, molto ingiustamente, di rigetta-re la responsabilità sull’abate di Chiaravalle; Questi dovette scrivere una vera apologia della sua condotta, che fu, al tempo stesso, una giustificazione dell’azione della Provvidenza; in essa egli mostrava come i mali sopraggiunti fossero da addebitare alle mancanze dei Cristiani e che quindi «1e promesse di dio rimangono intatte, poiché esse non obbligano contro i diritti della sua giustizia»; questa apologia è contenuta nel De Con-siderazione, indirizzata ad Eugenio iii, che è come il testamento di san bernardo e contiene, in particolare, le sue vedute circa i doveri del papato.d’altronde, non tutti si abbandonarono allo sconforto e sugerio preparò ben presto il progetto per una nuo-va crociata, il cui capo avrebbe dovuto essere lo stesso abate di Chiaravalle; ma la morte del grande ministro di luigi Vii ne arrestò l’esecuzione. san bernardo morì poco dopo, nel 1153, e le sue ultime lettere testimonia-no che egli si preoccupò fino alla fine della liberazione della terra santa.se lo scopo immediato della crociata non era stato raggiunto, se ne deve concludere che una tale spedi-zione era del tutto inutile e che gli sforzi di san ber-nardo non erano serviti a niente? noi pensiamo di no, malgrado quello che ne possono pensare gli storici, che si attengono solo alle apparenze, poiché in questi grandi movimenti del medioevo, a carattere politico e contemporaneamente religioso, vi erano delle ragioni più profonde, di cui una, la sola che vogliamo qui far notare, era quella di mantenere in seno alla Cristianità una viva coscienza della sua unità. la Cristianità si identificava con la civiltà occidentale, fondata allora su basi essenzialmente tradizionali, come ogni civiltà normale, ed essa raggiunse il suo apogeo nel Xiii secolo; alla perdita di questo carattere tradizionale doveva necessariamente seguire la rottura dell’unità stessa della Cristianità. Questa rottura, che nel dominio religioso fu portata a termine dalla riforma, nel dominio politico fu

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causata dalla instaurazione delle nazionalità, preceduta dalla distruzione del regime feudale; e a quest’ultimo proposito, si può dire che colui che inferse il primo colpo all’edificio grandioso della Cristianità medioevale fu filippo il bello, lo stesso che, per una coincidenza che sicuramente non è affatto fortuita, distrusse l’ordine del tempio, attaccando così, direttamente, l’opera stessa di san bernardo.

***nel corso di tutti i suoi viaggi, san bernardo sosten-ne costantemente la sua predicazione con numerose guarigioni miracolose, che per la folla erano come dei segni visibili della sua missione; questi fatti sono stati riferiti da testimoni oculari ma lui ne parlava poco vo-lentieri. forse questa riservatezza gli era imposta dalla sua stessa modestia, ma indubbiamente egli attribuiva a questi miracoli una importanza solo secondaria e li considerava solo come una concessione accordata dalla divina misericordia alla debolezza della fede della mag-gior parte degli uomini, conformemente alle parole di Cristo: «Beati coloro che credono senza vedere!». Questa attitudine si accorda con il disprezzo che in genere egli manifestò nei confronti dei mezzi esteriori ed emoziona-li, come la pompa nelle cerimonie e l’abbellimento delle Chiese.Gli si è potuto perfino rimproverare, con qualche par-venza di verità, di non aver avuto che disprezzo per l’arte religiosa, ma coloro che avanzano questa critica dimenticano una distinzione indispensabile, quella che lui stesso stabilì fra ciò che chiamò: architettura episco-pale ed architettura monastica; e solo a quest’ultima deve applicarsi l’austerità da lui auspicata; è solo ai religiosi ed a coloro che seguono il cammino della perfe-zione che egli interdisse il «culto degli idoli», vale a dire delle forme, delle quali invece proclamò l’utilità, in quanto mezzo educativo, per i semplici e gli imperfetti. Se protestò contro l’abuso delle raffigurazioni prive di significato ed aventi solo un valore puramente orna-mentale, con questo non ha inteso prescrivere il simbo-lismo dell’arte architettonica, come è stato falsamente preteso, mentre invece lui stesso ne fece un uso frequen-te nei suoi sermoni.

***la dottrina di san bernardo è essenzialmente mistica; con ciò intendiamo dire che egli considerava le cose di-vine soprattutto sotto l’aspetto dell’amore, che peraltro sarebbe erroneo interpretare qui in un senso semplice-mente affettivo, come fanno i moderni psicologi. Come molti dei grandi mistici, egli fu attratto in modo partico-lare dal cantico dei Cantici, che commentò in numerosi sermoni, i quali compongono una serie proseguita lun-go tutta la sua carriera; questo commentario, che rimase sempre incompiuto, descrive tutti i gradi dell’amore divino, fino alla pace suprema alla quale l’anima perviene nell’estasi. lo stato estatico, così come egli lo intende e come sicuramente lo ha provato, è una sorta di morte alle cose di questo mondo; insieme alle imma-gini sensibili, sparisce ogni sentimento naturale, tutto è puro e spirituale nell’anima stessa come nel suo amore. Questo misticismo doveva naturalmente riflettersi nei suoi trattati dogmatici; il titolo di uno dei principali, de diligendo Deo, mostra infatti a sufficienza quale posto vi occupi l’amore; ma si avrebbe torto nel credere che

questo vada a detrimento della vera intellettualità.se l’abate di Chiaravalle volle sempre rimanere estraneo alle vane sottigliezze delle scuole è perché non aveva alcun bisogno dei laboriosi artifici della dialettica; egli risolveva d’un sol colpo le questioni più ardue, poiché non procedeva attraverso una lunga serie di operazioni discorsive; ciò che i filosofi si sforzano di raggiungere per via indiretta e quasi a tentoni, egli lo otteneva im-mediatamente, per mezzo dell’intuizione intellettuale, senza la quale non è possibile nessuna reale metafisica, ed al di fuori della quale non si può cogliere che un’om-bra della verità.

***un ultimo tratto della fisionomia di San Bernardo, anch’esso importante da segnalare, è il posto eminente che, nella sua vita e nelle sue opere, occupa il culto della Santa Vergine, e che ha dato luogo al fiorire di tutta una serie di leggende, le quali, forse, sono quelle che lo hanno reso popolare nel tempo. Egli amava dare alla Santa Vergine il titolo di «Notre-Dame», l’uso del quale si è diffuso a partire dalla sua epoca e senza dubbio, grazie per lo più, alla sua influenza; il fatto è che egli era, come è stato detto, un vero «cavaliere di Maria», che egli considerava veramente come la sua «dama», nel senso cavalleresco del termine. se si accosta questo fatto al ruolo che giuoca l’amore nella sua dottrina e che giuocava anche, sotto forme più o meno simboliche, nelle concezioni proprie degli ordini cavallereschi, si comprenderà facilmente perché ci siamo preoccupati di parlare delle sue origini famigliari. divenuto monaco egli rimase sempre cavaliere, come lo erano tutti quelli della sua stirpe; e, per lo stesso motivo, si può dire che fosse, in qualche modo, predestinato a svolgere, come fece in tante circostanze, il ruolo di intermediario, di conciliatore e di arbitro fra il potere religioso ed il potere politico, in forza del fatto che portava in sé come una partecipazione della natura dell’uno e dell’altro. monaco e cavaliere, questi che erano i due caratteri dei membri della «milizia di Dio», dell’Ordine del Tempio, furono anche, fin dall’inizio, i caratteri dell’autore della loro regola, del grande santo che è stato definito l’ulti-mo Padre della Chiesa, e nel quale molti hanno inteso vedere, non senza ragione, il prototipo di galaad, il cavaliere ideale e senza macchia, l’eroe vittorioso della «Cerca del Santo Graal».