I COPTI E I CODICI MINIATI PRIMA DELL’ANNO...

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1 I COPTI E I CODICI MINIATI PRIMA DELLANNO MILLE. DI GIUSEPPA Z. ZANICHELLI Il passaggio della produzione libraria dalle botteghe artigianali del mondo ellenistico agli scriptoria delle neofondate comunità religiose è un problema particolarmente difficile da indagare per quanto concerne l’Egitto, ove, dato il particolare prestigio e la elevata posizione sociale goduti dagli scribi nell’età faraonica e tolemaica 1 , l’attività della scrittura continuò a lungo ad essere tramandata da padre in figlio e praticata all’interno di ateliers diffusi in tutti i centri abitati del territorio 2 ; certamente Alessandria rimase per molti secoli un grande centro librario e tale ruolo continuò anche quando, accanto alla trascrizione dei testi classici collegata alla Biblioteca e al Museo, si affiancò una diversa produzione che fece capo dapprima alla comunità giudaica e poi a quella cristiana, ambedue grecofone 3 . Alla fine del II secolo d.C. la scuola catechetica di Panteno, ove insegnarono anche Clemente, Origene e Dionigi, e la sede episcopale erano divenuti gli interlocutori privilegiati delle altre comunità cristiane del Mediterraneo e la produzione libraria che si deve collegare con queste attività, e che vede un lento passaggio dall’uso del rotolo in papiro alla nuova forma del codice in pergamena, è prevalentemente realizzata nelle antiche strutture artigianali 4 ; a partire dal IV secolo, dopo l’editto di Costantino, libri per la liturgia e per la meditazione cominciano ad essere prodotti anche per gli anacoreti e i monaci che, seguendo l’esempio di Paolo di Tebe (morto nel 347) e Antonio (251- 356), sono documentati nei deserti egiziani, dal Mar Rosso alla foce del Nilo, ma anche dalle nuove comunità gnostiche sulle quali i fortunati rinvenimenti dei 13 codici di Nag Hammadi nel 1945 hanno gettato una nuova luce 5 ; in questa fase si trascrivono nei vari dialetti copti prevalentemente traduzioni di testi greci, ebraici e persiani. Si tratta, 1 BAINES 1988, pp. 192-214. 2 CASSON 2001, pp. 129-130. Utilissimi dati si possono ricavare da LANTSCHOOT 1979. 3 Il problema è stato analizzato da WEITZMANN 1964, pp. 401-415; Cfr. ZANICHELLI 2002, pp. 40-46. 4 HUSSEIN 1970. 5 DORESSE 1958. oltre che dei testi rivelati o ritenuti tali, soprattutto di opere di contenuto moraleggiante, di racconti agiografici o di omelie celebrative, dato che la speculazione teologica è estranea alla vita monastica 6 . Attorno al 323 con la regola redatta da san Pacomio sorgono le prime comunità monastiche (koinonia) più rigorosamente strutturate 7 e la situazione che si crea alla fine del IV secolo, quando l’Editto di Teofilo (385-412) impone la chiusura dei templi cristiani e il rifiuto delle immagini, ben si riflette nei due straordinari manoscritti che a questo tempo sono assegnati: la Cronaca Alessandrina 8 e il Glazier 67 9 , il primo prodotto ad Alessandria con un complesso sistema illustrativo, secondo la tradizione sviluppatasi in questa città e applicata alla produzione delle Bibbie e della Topografia di Cosma Indicopleuste 10 , il secondo in un centro scrittorio del medio Nilo in dialetto di Ossirinco, forse per un committente privato. Il primo codice, in papiro e con numerosissimi disegni colorati marginali, contiene il calendario, la rappresentazione delle terre camite, dei profeti, delle genealogie reali antiche e gli Annali di Alessandria dal 382 al 392, culminanti con l’immagine del patriarca Teofilo in piedi sulle rovine del Serapeum, 6 ORLANDI 1997, pp. 39-120. 7 DUNN 2000, pp. 1-34; cfr. KAMIL 2000; KAMIL 2002. 8 STRZYGOWSKI 1901; sebbene sia stata messa in discussione (SÖRRIES 1993, pp. 81-86; BOUDHORS 2000b, p. 42) l’opinione dello studioso che riteneva i frammenti superstiti assegnabili alla prima redazione della cronaca, è universalmente accettato che dovette esistere una versione illustrata dell’opera contemporanea alla sua redazione, cioè all’inizio del V secolo, per la quale venne messo a punto il sistema illustrativo che compare nei frammenti della copia seriore, conservati al Museo Puschkin di Mosca (Inv. I, 16310). 9 BOBER (1967), pp. 30-49; KESSLER 1979, pp. 494-495. Per problemi testuali e codicologici si veda SCHENKE 1991; DEPUYDT 1993, pp. 480-483 # 278. Non si hanno assolutamente notizie della storia del codice, prima della sua apparizione nel 1962 presso l’antiquario H. P. Kraus di New York; attualmente il ms. Glazier 67 appartiene alla Pierpont Morgan Library di New York, dopo aver fatto parte della Collezione Glazier. 10 KURZ 1972, pp. 237-258.

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I COPTI E I CODICI MINIATI PRIMA DELL’ANNO MILLE.

DI GIUSEPPA Z. ZANICHELLI

Il passaggio della produzione libraria dalle botteghe artigianali del mondo ellenistico agli scriptoria delle neofondate comunità religiose è un problema particolarmente difficile da indagare per quanto concerne l’Egitto, ove, dato il particolare prestigio e la elevata posizione sociale goduti dagli scribi nell’età faraonica e tolemaica1, l’attività della scrittura continuò a lungo ad essere tramandata da padre in figlio e praticata all’interno di ateliers diffusi in tutti i centri abitati del territorio2; certamente Alessandria rimase per molti secoli un grande centro librario e tale ruolo continuò anche quando, accanto alla trascrizione dei testi classici collegata alla Biblioteca e al Museo, si affiancò una diversa produzione che fece capo dapprima alla comunità giudaica e poi a quella cristiana, ambedue grecofone3. Alla fine del II secolo d.C. la scuola catechetica di Panteno, ove insegnarono anche Clemente, Origene e Dionigi, e la sede episcopale erano divenuti gli interlocutori privilegiati delle altre comunità cristiane del Mediterraneo e la produzione libraria che si deve collegare con queste attività, e che vede un lento passaggio dall’uso del rotolo in papiro alla nuova forma del codice in pergamena, è prevalentemente realizzata nelle antiche strutture artigianali4; a partire dal IV secolo, dopo l’editto di Costantino, libri per la liturgia e per la meditazione cominciano ad essere prodotti anche per gli anacoreti e i monaci che, seguendo l’esempio di Paolo di Tebe (morto nel 347) e Antonio (251-356), sono documentati nei deserti egiziani, dal Mar Rosso alla foce del Nilo, ma anche dalle nuove comunità gnostiche sulle quali i fortunati rinvenimenti dei 13 codici di Nag Hammadi nel 1945 hanno gettato una nuova luce5; in questa fase si trascrivono nei vari dialetti copti prevalentemente traduzioni di testi greci, ebraici e persiani. Si tratta,

1 BAINES 1988, pp. 192-214. 2 CASSON 2001, pp. 129-130. Utilissimi dati si possono ricavare da LANTSCHOOT 1979. 3 Il problema è stato analizzato da WEITZMANN 1964, pp. 401-415; Cfr. ZANICHELLI 2002, pp. 40-46. 4 HUSSEIN 1970. 5 DORESSE 1958.

oltre che dei testi rivelati o ritenuti tali, soprattutto di opere di contenuto moraleggiante, di racconti agiografici o di omelie celebrative, dato che la speculazione teologica è estranea alla vita monastica6. Attorno al 323 con la regola redatta da san Pacomio sorgono le prime comunità monastiche (koinonia) più rigorosamente strutturate7 e la situazione che si crea alla fine del IV secolo, quando l’Editto di Teofilo (385-412) impone la chiusura dei templi cristiani e il rifiuto delle immagini, ben si riflette nei due straordinari manoscritti che a questo tempo sono assegnati: la Cronaca Alessandrina8 e il Glazier 679, il primo prodotto ad Alessandria con un complesso sistema illustrativo, secondo la tradizione sviluppatasi in questa città e applicata alla produzione delle Bibbie e della Topografia di Cosma Indicopleuste10, il secondo in un centro scrittorio del medio Nilo in dialetto di Ossirinco, forse per un committente privato. Il primo codice, in papiro e con numerosissimi disegni colorati marginali, contiene il calendario, la rappresentazione delle terre camite, dei profeti, delle genealogie reali antiche e gli Annali di Alessandria dal 382 al 392, culminanti con l’immagine del patriarca Teofilo in piedi sulle rovine del Serapeum,

6 ORLANDI 1997, pp. 39-120. 7 DUNN 2000, pp. 1-34; cfr. KAMIL 2000; KAMIL 2002. 8 STRZYGOWSKI 1901; sebbene sia stata messa in discussione (SÖRRIES 1993, pp. 81-86; BOUD’HORS 2000b, p. 42) l’opinione dello studioso che riteneva i frammenti superstiti assegnabili alla prima redazione della cronaca, è universalmente accettato che dovette esistere una versione illustrata dell’opera contemporanea alla sua redazione, cioè all’inizio del V secolo, per la quale venne messo a punto il sistema illustrativo che compare nei frammenti della copia seriore, conservati al Museo Puschkin di Mosca (Inv. I, 16310). 9 BOBER (1967), pp. 30-49; KESSLER 1979, pp. 494-495. Per problemi testuali e codicologici si veda SCHENKE 1991; DEPUYDT 1993, pp. 480-483 # 278. Non si hanno assolutamente notizie della storia del codice, prima della sua apparizione nel 1962 presso l’antiquario H. P. Kraus di New York; attualmente il ms. Glazier 67 appartiene alla Pierpont Morgan Library di New York, dopo aver fatto parte della Collezione Glazier. 10 KURZ 1972, pp. 237-258.

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Fig. 1 - Mosca, Museo Puschkin, Cronaca alessandrina, f. 6v, Patriarca Teofilo sulle rovine del Serapeum. Alessandria, copia VII secolo dell’originale V in.

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Fig. 2 - New York, Pierpont Morgan Library, ms. Glazier 67, f. 109r; Medio Nilo, 400 ca.

ad indicare il trionfo del cristianesimo sulla religione pagana (fig. 1). A questo codice di lusso si contrappone il piccolo codice (fig. 2) contenente la prima parte degli Atti degli Apostoli, fino a 15, 2 cioè ad esclusione delle vicende paoline1, e terminante con una rappresentazione della croce-ankh tra due pavoni e fronde, con due uccellini alla sommità dei bracci orizzontali e uno, con un ramoscello nel becco, entro il cappio superiore; la posizione della miniatura si collega alla tradizione explicitaria dei rotoli e anche la forma particolare della croce appare desunta dalla tradizione egiziana antica e sottolinea il significato di purificazione e di trionfo salvifico della composizione2.

1 Poiché il codice appare completo, è stata ipotizzata l’esistenza di un secondo volume, contenente la restante parte del testo, anche se analoghe anomalie testuali non mancano nei codici copti ad uso privato. A questo codice si avvicina, per il sistema illustrativo, il ms. Bruce 96 della Bodleian Library di Oxford, f. 6r, testo gnostico: cfr. BAYNES 1933. Non è possibile, a causa del cattivo stato di conservazione, il confronto col ms. 910 della Pierpont Morgan Library, contenente una versione degli Atti databile al V-VI secolo. 2 Sulla complessa polisemia del signum crucis e il significato salvifico dell’ankh si veda CASARTELLI

Se in questo oggetto destinato all’uso privato si riflette solo parzialmente la controversia sulle immagini del tempo di Teofilo, di questo divieto dovettero risentire più decisamente i codici destinati ai religiosi, che appaiono in questa fase solo caratterizzati da un limitato impiego di segni illustrativi, funzionalizzati unicamente ad evidenziare le divisioni del testo3. Del diversificato modo in cui l’imposizione iconoclasta di Teofilo venne accolta nelle comunità monastiche dell’Egitto ci dà conto Cassiano, che nella decima delle Collationes, relativa alla preghiera4, riferisce della diffusione della Anthromorphitarum heresis: di fronte alle argomentazioni del diacono Photinus che

NOVELLI 2003, pp. 96-129. Contrappone invece unicamente la valenza trionfale a quella devozionale RASSART DEBERGH 1994, pp. 45-69. Inoltre per l’ankh, si veda il suo abbinamento con la rappresentazione della Pace nella omonima cappella di Bagawit: ZIBAWI 2003, pp. 31-34. 3 BOUD’HORS 2000a, pp. 52-57. Si veda, ad esempio, il ms. Copte 157 della Bibliothèque nationale de France, contenente i Profeti e proveniente da Akhmîm. 4 Johannes Cassianus, Collationes, X, 3 (PL XLIX, coll. 823-824). Su questo episodio si veda anche CARRUTHERS 1998, pp. 70-72.

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Fig. 3 - Firenze, Museo Archeologico, PSI 920, Cristo sulla navicella; Ossirinco, V-VI secolo.

spiegava ai religiosi egiziani “in eremo Scythi commorantes” che la espressione del Genesi “Facimus hominem ad imaginem et similitudinem nostram” era da intendersi in senso non letterale ma spirituale, Serapione, monaco vecchio e santo, ma semplice d’animo e illetterato, desolato “quod illam Anthromorphitarum imaginem Deitatis, quam proponere sibi in oratione consueverat, aboleri de suo corde sentiret”, scoppiò a piangere, esclamando:”Heu me miserum! tulerunt a me Deum meum, et quem nunc teneam non habeo, vel quem adorem aut interpellem jam nescio.”. Sebbene Cassiano concluda la narrazione con una generale accettazione del divieto della rappresentazione dell’immagine divina da parte dei religiosi, la funzione cognitiva dell’immagine e la sua funzionalità nella preghiera ne favorirono la sopravvivenza in ambito monastico nelle icone, nelle pitture murali e nei codici. Da questo momento inoltre iniziano ad essere composte opere direttamente in copto, a partire dagli scritti di Schenoute, che per trenta’anni fu abate del Monastero Bianco e strenuo difensore della necessità dell’esistenza della reale immagine umana di Cristo in opposizione alla interpretazione neoplatonica e allegorica di Origene1.

In assenza di puntuali fonti scritte, dobbiamo basarci per la ricostruzione di questa produzione su quelle archeologiche, che iniziano, per quanto concerne icone e pitture, a partire da VI secolo: sebbene non siano finora riapparsi manoscritti con

1 JOUNG 1993, I, p. 160.

apparato illustrativo di questa data, sono i due precedenti media a fornire ampia documentazione dell’esistenza di manoscritti preziosi, dato che spesso il codice compare come attributo delle figure divine e umane ivi rappresentate. Nell’icona di San Marco del Fayum2, ad esempio, il santo tiene in mano un volume lussuosamente rilegato, con coperta anteriore ornata da quattro pietre e contornata da perle, mentre un fermaglio a croce tiene chiuso il volume; ancora più lussuosa la legatura, con gemme e perle disposte a quinquonce, del volume sorretto da Cristo nella icona che lo raffigura insieme all’abate Mena3, proveniente da Bāwīt e ora al Louvre. Quest’ultima appare particolarmente interessante, perché mostra nelle mani dell’abate Mena un rotolo, contrapponendo nettamente la lussuosa legatura dei Vangeli, destinati ad essere esposti sull’altare, al semplice cartiglio, forse contenente una donazione o un privilegio concesso al monastero, tenuto dal monaco. Gli stessi libri con preziose legature gemmate, che rievocano con la disposizione a quinquonce il tema dell’armonia dei Vangeli4, sono nelle mani di Cristo, degli apostoli e dei santi che

2 Paris, Bibliothèque Nationale de France, Cabinet des Medailles, Fr. 1129 a. La stessa tipologia di legatura compare nelle mani dei santi Apollo, Fib e Anub nella pittura absidale di Bāwīt, ora conservata al Museo Copto del Cairo: cfr. ZIBAWI 2003, fig. 93. 3 Paris, Musée du Louvre, Département des Antiquités Égyptiennes, E 11565. RUTSCHOWASCAYA 1998. 4 ZANICHELLI 2002, pp. 427-439.

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compaiono nelle cappelle dello stesso monastero e in quelle coeve di Saqqara5, ma anche nel Monastero Rosso e nel Monastero Bianco, fondati presso Akhmîm da san Pjol nel IV secolo e dedicati ai loro primi abati, rispettivamente Schenouda e Bishai; nell’abside della sala 6 di Bāwīt ritorna ancora la contrapposizione tra il rotolo tenuto nelle mani del Divino Bambino e i codici dalle preziose legature sorretti dagli apostoli, a indicare la complessa correlazione tra l’antica e la nuova legge. Di questi lussuosi Vangeli ben poco resta, ma altre tracce ci permettono di ipotizzare l’esistenza degli estesi programmi illustrativi: il papiro di Ossirinco con il Cristo sulla navicella6 (fig. 3) potrebbe appartenere ad un tale codice, mentre una ricca serie di tessuti copti figurati del V secolo7 documentano la diffusione di cicli vetero e neo-testamentari, la cui struttura figurale complessa impone di supporre una origine libraria, con le immagini a diretto contatto col testo8. Altre immagini più concretamente relate a codici ci restano, a testimoniare l’esistenza, anche in questa area, di lussuosi codici liturgici: in primo luogo va considerata la straordinaria legatura lignea del VII secolo proveniente dal Monastero Bianco, conservata nella Freer Collection di Washington9, con le rappresentazioni dei quattro evangelisti stanti. Questa tipologia della legatura figurata, confermata anche dal frammento del Museo Copto del Cairo10, risulta documentata anche in ulteriori testimoni di area siriaco-palestinese11 e italiana12; ma in Egitto pare avere una lunga durata, dato che ricorre nei secoli successivi, come documentano la rappresentazione, nel monastero di Sant’Antonio, di San Severo reggente in mano un codice con il Cristo in clipeo sulla coperta anteriore, databile al 1232-

5 ZIBAWI 2003, pp. 73-91. 6 Firenze, Museo Archeologico, PSI 920, databile V-VI secolo: cfr. SÖRRIES 1993, pp. 152-153. 7 KÖTZSCHE 1979, pp. 433-436; SCHRENK 1998, pp. 339-379. Per la produzione di questi tessuti era celebre Akmîm, presso cui sorgevano i due celebri monasteri, il «Convento Bianco» e «Rosso». 8 Sulla complessa struttura di queste narrazioni, che presuppone una progettazione da parte di religiosi, si veda KESSLER 2000, pp. 46-47. 9 Inv. n. 06,297 e 06,298: cfr. MOREY 1914; MUNIER 1916; WIETZMANN 1943, p. 126 n. 133; LEROY 1974, pp. 87-89. 10 LEROY 1974, pp. 89-91, Inv. n. 3852. 11 ENGLISH FRAZER 1979, pp. 618-620. 12 Vercelli, Tesoro della Cattedrale, Legatura dei Vangeli di Sant’Eusebio.

3313, e lo scrigno del 1255 del Museo Copto, con la rappresentazione della Vergine14.

Nella cultura copta, come nel resto del Mediterraneo cristiano, è affidato alla coperta del volume la prima narrazione per immagini allusive al contenuto del libro, dato che il primo impatto del codice durante il rituale è quello che si verifica al momento dell’introito, quando il sacerdote e il clero minore avanzano verso l’altare portando i sacri testi; in ambito copto però la immagine esterna appare privilegiare il ritratto, cioè l’icona, contrariamente a quanto avviene nel vicino oriente o in occidente, ove le lamine di avorio delle legature contengono le historiae. Come aveva sostenuto il monaco Serapione, l’icona costituisce uno strumento necessario per la preghiera, la rappresentazione della sembianza umana del Divino è tramite necessario per arrivare alla conoscenza del Divino stesso: il vedere spirituale, la visione, si raggiunge attraverso l’immagine materiale, la rappresentazione15; per questo motivo il rapporto tra immagine esterna e testo interno deve essere stretto e questo rapporto è confermato dalle custodie per i Vangeli conservate al Museo Copto del Cairo, e variamente datate fra XIV e XVII secolo, che proiettano addirittura all’esterno i versetti iniziali dei vangeli, riportandoli nelle cornici che inquadrano il decoro centrale16.

All’interno di queste lussuose legature testimoniate dalle pitture del VI secolo, i codici potevano contenere a loro volta imponenti elementi illustrativi: lo documentano il ms. I. B.18 della Biblioteca Nazionale di Napoli, contenente una parte dell’antico Testamento, da Giobbe 40, 8 a Proverbi 3, 19: alla fine del primo libro compare il disegno di Giobbe in abiti regali, secondo una variante locale della narrazione, con le tre figlie17 (fig. 4); in questo caso anche nella illustrazione legata al testo sembra prevalere la rappresentazione dei personaggi, più che delle azioni, che pure doveva esserci, come documentano tessuti e cicli pittorici, ma anche i testimoni seriori, come il Tetravangelo ms. Copte 13 di Parigi del XII secolo,

13 BOLMAN 2002, pp. 37-76, fig. 7.14. 14 EL-SHAHEED 2000, p. 70. 15 BELTING 1993, pp. 110-112 ha invece privilegiato nell’analisi delle icone copte il rapporto con la cultura antica e la certezza della necessità di preservare nell’al di là l’immagine fisica del defunto. 16 ATALLA 2000, pp. 99-100, 187-192. 17 LEROY 1974, pp. 181-184; BRECKENRIDGE 1979, pp. 25-36; SÖRRIES 1993, pp. 150-151. Sulla rarità della rappresentazione di Giobbe nell’arte copta si veda LOON 1999, pp. 158-163.

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Fig. 4 - Napoli, Biblioteca Nazionale, ms. I. B.18, f. 4v, Giobbe e Proverbi; Egitto, VII secolo.

che rivela la desunzione da fonti più antiche18. Una veste preziosa potevano assumere anche i codici di contenuto esegetico, dottrinale o agiografico, come documenta il ritratto dell’abate Mosè (fig. 5) del VII secolo, che costituiva il frontespizio di un codice contenente le sue opere, appartenuto al Monastero Bianco19; sebbene stante e rappresentata a corpo intero, l’immagine dell’abate benedicente e con il bastone crucigero appare strutturarsi come icona per rispondere alle esigenze di supporto alla meditazione, piuttosto che avvicinarsi al pattern classico della figura dell’autore.

La conquista araba del 641 non pose fine alla produzione che, a partire da IX secolo, sopravvive con un rilevante numero di codici: la maggior parte proviene dal Fayum, in particolare dal monastero di San Michele presso al-Hāmūlī e, secondo i colophon, furono prodotti nei monasteri e nei centri

18 CRAMER 1964, p. 93; LEROY 1974, pp. 101-107; BOUD’HORS 2000c, pp. 78-81; ZIBAWI 2003, pp. 118-121. 19 Leiden, Rijksmuseum, Cod. inv. AES 719: LEROY1974, pp. 91-92; SÖRRIES 1993., pp. 155-156, che propone una conologia attorno al 600.

abitati dell’oasi, soprattutto a Touton20; le date attestate oscillano tra 861 e 914. Con la conquista fatimida del 914 il monastero di San Michele decadde, ma a Touton si continuarono a produrre codici, che vennero acquisiti dalla biblioteca del Monastero Bianco di Sohag, che, situato più a sud lungo le vie carovaniere, continuò, insieme al Monastero Rosso, ad avere una straordinaria importanza economica, che ne determinò la sopravvivenza per molti secoli e sotto le successive dominazioni. Analogamente continuò a prosperare il monastore di San Macario a Wadi Natroun, di cui restano un cospicuo numero di codici alla Biblioteca Vaticana21. Tra i codici di San Michele 32 risultano miniati, ma li studiosi finora si sono limitati a fornire dell’apparato illustrativo dei manoscritti solo delle descrizioni tipologiche, separando gli 11 codici con frontespizi con figure dai restanti che presentano nel primo foglio una croce22: tra le prime figure particolare attenzione ha ottenuto, per la sua desunzione diretta dalla tradizione iconografica di Iside, la Galactotrophusa o Virgo Lactans23, mentre la croce è stata variamente seriata con altre soluzioni apparentemente analoghe, riscontrabili in codici di area siriaco-palestinese, armena, irlandese etc.24. Anche il più recente saggio di Lucia Langener25, che nell’indagare l’origine dell’iconografia di Maria Lactans, ha ripercorso le fonti scritte alessandrine, ha sottolineato la estraneità dell’immagine in esame a molti dei testi che compaiono nei codici che recano tale immagine nel frontespizio. Vergine lactans e croci, presenti anche nella pittura murale, prevalentemente nelle absidi, appaiono temi devozionali staccati da qualunque specifica realtà liturgica o contesto teologico.

Fermo restando l’impossibilità di trarre considerazione generali sulla base della campionatura limitata ad un solo tipo iconografico, seppur minutamente analizzato, le conclusioni della Lagener avrebbero peso solo se l’unico possibile rapporto tra testo e immagine fosse un rapporto strettamente letterale, una specie di έκφρασις rovesciata in cui l’immagine è usata per visualizzare

20 DEPUYDT 1993, pp. xlvi-l. 29 dei codici di San Michele sono conservai alla Pietpont Morgan Library di New York e 3 al Museo Copto del Cairo. 21 Bibliothecae Apostolicae Vaticanae 1937. 22 CRAMER 1964; LEROY 1974; ATALLA 2000. 23 LANGENER 1996. 24 NORDENFALK 1968, pp. 119-140; SCHAPIRO 1973, pp. 494-531; WERNER 1990-1992, pp. 174-223. 25 LANGENER 1996, pp. 245-252.

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Fig. 5 - Leiden, Rijksmuseum, Cod. inv. AES 71, Abate Mosè; Monastero Bianco, 600 ca.

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Fig. 6 - New York, Pietront Morgan Library, ms. 600, f. 1v, Cirillo di Gerusalemme, Omelia sulla croce; Teofilo di Alessandria, Omelia sulla Vergine,

Touton, ante 906.

Fig. 7 - New York, Pierpont Morgan Library, ms. 597, f. 1v,

Demetrio di Antiochia, Omelia sull’Incarnazione, Cirillo di Gerusalemme, Omelia sulla Vergine,

Touton, 913/914.

Fig. 8 - Il Cairo, Museo Copto, ms. 3821,

Libro di Isaia, Touton, IX secolo. letteralmente il significato del testo; ma, come si è evidenziato, l’immagine non viene usata in questo modo nel sistema religioso copto, ove al contrario essa è finalizzata a generare meditazione e preghiera, cioè la sua relazione col testo è già di per sé esegesi, interpretazione e, quindi, stimolo eucologico: credo cioè che si debba applicare al frontespizio quanto gli studiosi sono venuti dimostrando per i dipinti delle celle monastiche, cioè la convergenza nelle immagini copte di temi complementari da cui scaturisce la possibilità di una straordinaria ricchezza interpretativa1.

La straordinaria composizione dei codici di San Michele permette alcune considerazioni, prima fra tutte quella della funzionalità dell’immagine del frontespizio rispetto al testo che viene introdotto; purtroppo solo un codice di questo insieme contiene un testo neotestamentario, il frammentario ms. Morgan 571 che premetteva alle Epistole paoline due ritratti del santo ora illeggibili2. Utili informazioni però si possono trarre anche dai codici omiletica, esegetci e agiografici che costituiscono le

1 Si veda per il dibattito critico relativo l’analisi proposta da IACOBINI 2000, pp. 67-104. 2 DEPUYDT 1993, pp. 50-51 # 35.

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redazioni più lussuose dell’insieme; basterà confrontare ad esempio il ms. Morgan 6003 (fig. 6) contenente le Omelie di Cirillo di Gerusalemme sulla Croce e quella di Teofilo di Alessandria sulla Vergine e il Morgan 5974 che riporta l’Omelia di Demetrio di Antiochia sulla Incarnazione e quella di Cirillo di Gerusalemme sulla Vergine: nel primo caso il frontespizio presenta una croce con l’immagine clipeata di Cristo fra due angeli, mentre sul braccio verticale inferiore è dipinta la Galactotrophusa in trono. Se è vero, come osserva la Langener che l’Omelia di Teofilo non contiene espliciti riferimenti alla Vergine lactans5, risulta però evidente che nella bottega di Touton ove il codice è stato allestito da Pietro e Basilio prima del 29 agosto del 906 si progettò un frontespizio che illustrasse le due Omelie non nel loro rispettivo significato letterale, ma nel nuovo significato che assumono nel loro rapporto reciproco, che ha la funzione di mettere in relazione le due nature di Cristo, quella divina del Cristo clipeato fra gli angeli al centro della croce e quella umana del Cristo nutrito dalla Vergine: il progetto è direttamente legato agli artefici, al punto che il miniatore sceglie proprio lo spazio accanto alla Vergine nell’asta della croce per lasciare memoria di sé: “Ricordami con amore. Sono Pietro di Touton”6. Nel ms. Morgan 597 (fig. 7) invece compare, in sintonia con le due omelie mariane trascritte, l’immagine dell’Annunciazione. Le due scelte iconografiche riflettono esattamente la riflessione proposta sulle omelie, mentre la presenza della Vergine stante nel Pentateuco bohiarico della Biblioteca Vaticana può essere legata solo da un rapporto figurale col testo7; nei codici di contenuto agiografico appare sul frontespizio l’immagine del santo, sempre frontale, come referente della preghiera e della meditazione del fedele che, attraverso la vista, raggiunge la visione.

Lo stesso metodo d’indagine deve essere applicato all’analisi dei 20 codici di San Michele che recano sul verso del primo foglio una croce (fig. 8): questa infatti forma un dittico inseparabile dall’incipit del testo, in relazione al quale dunque acquista di significato di volta in volta differente. Infatti finora la presenza della croce in simile posizione sia nei codici siriaci, che armeni o insulari

3 DEPUYDT 1993, pp. 311-314 # 160. 4 DEPUYDT 1993, pp. 205-207 # 107. 5 LANGENER1996, p. 246. 6 LANTSCHOOT 1979, pp. 28-29 # xv. 7 Biblioteca Apostolica Vaticana, ms. Vat. Copto 1: LEROY 1974, pp. 178-181.

Fig. 9 - New York, Pierpont Morgan Library, ms. 569, Vangeli, Monastero di San Michele 822-914.

Fig. 10 .- Paris, Bibliothèque Nationale, ms. Copte 129, f. 116r, Epistole cattoliche, Alto Egitto X secolo.

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ha indotto gli studiosi a privilegiare il carattere archetipico del segno, la lunga durata del codice iconico e la sua valenza apotropaica8; croci infatti compaiono sia presso le soglie degli edifici sacri, sia lungo i perimetri dei luoghi dedicati al culto con la precisa funzione di segnalare il passaggio dalla dimensione laica a quella religiosa, dallo spazio dell’uomo a quello della divinità9. Le croci compaiono inoltre all’inizio dei codice, così come sulla loro legatura (fig. 9), sempre con la funzione di indicare l’inizio della parola rivelata, sottolineandone la sacralità. Ma proprio nel caso del codice copto la croce fronteggia direttamente il testo, con cui forma visivamente un dittico, e si carica di un ulteriore significato proprio in relazione a questo; lo dimostra il ms. 590 della Pierpont Morgan Library10 che contiene opere in onore di san Mena: a lato della croce il valore salvifico è esplicitato dalla scritta “prega per la salvezza del mondo”. La maggior parte dei codici introdotti dalla croce contengono testi agiografici che narrano le vite dei 13 martiri egiziani, come Mercurio, Teodoro, acquisendo significato in relazione del martirio; diversa connotazione assume invece la croce che precede nel ms. 610 della Pierpont

8 Per il problema della simbolica del sacro e la specifica contestualizzazione cfr. CASARTELLI NOVELLI 2000, pp. 63-72. 9 KITZINGER 1970, pp. 639-647. 10 DEPUYDT 1993, pp. 248-249 # 125.

Morgan Library11 le omelie di Cirillo di Alessandria da recitarsi il mercoledì dopo Pasqua, dato che si collega direttamente con il racconto storico della morte di Cristo. La polisemia del simbolo emerge in tutta la sua ricchezza espressiva, che le iterazione del segno non fa che sottolineare.

L’analisi formalistica dei codici copti ha poi evidenziato un terzo gruppo di “strutture ornamentali”, costituito da elementi fitomorfi e zoomorfi, “die schöne Seiten”12 (fig. 10); si tratta della visualizzazione di elementi mnemotecnici e/o funzionali alla individuazione e al reperimento del testo, cioè coronidi e segni paragrafali: il ricco repertorio, strutturalmente catalogato13, ha un preciso referente, il mondo nilotico che rappresenta la perfezione della realtà terrena, il Paradiso Terrestre14; questi elementi compaiono negli intercolumni o nei margini, cioè formano l’inquadramento, la cornice rispetto al testo. Anche nei tessuti copti la cornice è spesso costituita da elementi naturalistici, che circondano l’emblema, cioè lo spazio della storia; si crea nella struttura comunicativa una zona marginale, la cornice, che diviene l’espressione di u mondo ideale dove rappresentazione e visione infine arrivano a coincidere.

11 DEPUYDT 1993, pp. 129-131 # 64. 12 Lebensfreis der Kopten 1995, pp. 44-49. 13 PETERSEN 1954, pp. 295-330. 14 ZANICHELLI c.s.

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