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VANITY ARBITRIO La Famiglio Santoni: Franco (da sinistra), la moglie Francesca e la figlia Sibilla. Che, in qualità di avvocato, ha ottenuto da un giudice tutelare il diritto, per il padre, di evitare l'accanimento terapeutica in caso di incoscienza. A far eseguire le volontà del marito ci penserà Francesca. TESTAMENTO BIOLOGICO NON FATECI FINIRE COME ELUANA A due anni dal caso Englaro, la ragazza moria dopo un lunghissimo stato vegetativo e una lunga battaglia, un disegno di legge limita la possibilità di decidere come essere curati se diventiamo incoscienti. Ecco le storie di chi vuole scegliere. E l'ha già fatto DI VERONICA BIANCHINI FOTO COCIANI SANG5I 20.04.2011 | VANITY FAI»

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VANITY ARBITRIO

La Famiglio Santoni: Franco (da sinistra), la moglie Francesca e la figlia Sibilla. Che, in qualità di avvocato, ha ottenuto da un giudice tutelare il diritto, per il padre, di evitare l'accanimento terapeutica in caso di incoscienza. A far eseguire le volontà del marito ci penserà Francesca.

TESTAMENTO BIOLOGICO

NON FATECI FINIRE COME ELUANA

A due anni dal caso Englaro, la ragazza moria dopo un lunghissimo stato vegetativo e una lunga battaglia, un disegno di legge limita la possibilità di decidere come essere curati se diventiamo incoscienti. Ecco le storie di chi vuole scegliere. E l'ha già fatto DI VERONICA BIANCHINI FOTO COCIANI SANG5I

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«Amo troppo la vita per morire senza dignità». Claudia ha settantanni, è vi­tale e determinata. È stata la prima, a Modena, a consegnare all'anagrafe il proprio testamento biologico. Su un fo­glio ha scritto le cure alle quali vorrà es­sere sottoposta e quelle che rifiuterà nel caso dovesse trovarsi in uno stalo di incoscienza. Intanto, in Parlamento è in discussione un disegno di legge sul fine vita che por­ta la firma del senatore Pdl Raffaele Ca­labro. L*iter è partito nel 2009, durante gli ultimi giorni di Eluana Englaro, la ra­gazza mantenuta in slato vegetativo per 17 anni. Tra i punti più criticali del di­segno, quello che riconosce l'inviolabili­tà della vita e la sua indisponibilità (non puoi farne quello che vuoi). Ma anche il punto che definisce l'alimentazione e l'idratazione forzate come forme di un sostegno vitale che non si può rifiutare. E, soprattutto, quello che considera le dichiarazioni anticipate di trattamento non obbligatorie né vincolanti per il me­dico. Circostanza che ha spinto l'onco­logo Umberto Veronesi a dire: «Meglio nessuna legge che una legge sbagliata». Ecco alcune storie di chi si è già battu­to per poter difendere la propria liber­tà di scelta.

FRANCO: NIENTE ACCANIMENTI «Al testamento biologico pensavo fin dal 2006. Un notaio fiorentino, al prez­zo simbolico di un euro, registrava le vo-

«AMO TROPPO LA VITA PER PENSARE DI MORIRE

SENZA DIGNITÀ) _, CLAUDIA

Claudia Tedeschi (sinistra), la prima a Modena a depositare il proprio testamento biologico all'anagrafe, con l'avvocato Maria Grazia Scacchetti.

lontà di fine vita. Appena l'ho saputo mi sono rivolto a lui. Del resto, un'assi­curazione sulla vita si fa quando si sta bene, non quando si sta male e nello stesso modo è meglio pensare a come si vuole morire quando si è in buona salu­te». Franco ha 70 anni, laureato in Far­macia, ha sempre lavorato a contatto con ospedali e malati. «Ho passato an­ni in corsia e ho visto situazioni molto compromesse in cui la dignità della per­sona non veniva affatto rispettata. Per questo ho deciso di dire prima e in mo­do chiaro che cosa avrei voluto mi fos­se fatto e che cosa no, nel caso mi fos­si trovato nell'impossibilità di esprime­re la mia volontà. Non voglio alimenta­

zione e idratazione artificiali, non voglio essere messo in dialisi. Non voglio esse­re tenuto in vita in modo forzato, prefe­risco morire in modo naturale, senza al­cun accanimento». Per far rispettare le proprie volontà, Franco ha scelto la mo­glie Francesca, da più di quarantanni al suo fianco. Mentre suo padre si preoccupava di di­sporre le sue volontà nel caso non fosse stato più in grado di deciderlo autono­mamente, la figlia Sibilla, avvocato, se­guiva a sua insaputa un percorso paral­lelo. «A un certo punto ho detto a casa che mi stavo occupando del testamento biologico. Volevo veder riconosciuto il diritto di scegliere e per farlo avevo de-

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ciso di avvalermi di una figura appena introdotta nel diritto: quella dell'ammi­nistratore di sostegno. Quando ho sco­perto che mio padre si era già mosso au­tonomamente, abbiamo deciso di por­tare avanti la nostra battaglia insieme. Nel 2010 abbiamo fatto ricorso al giudi­ce tutelare per veder riconosciuto e san­cito il suo diritto a decidere». Il giudice ha dato ragione a Sibilla e a suo padre riconoscendo la possibilità di scegliere: «Ovviamente la disposizio­ne del giudice ha un valore più forte ri­spetto alla semplice dichiarazione nota­rile, conferisce all'amministratore di so­stegno, che in questo caso è mia madre, il diritto di decidere qualora mio padre non fosse cosciente, facendo rispetta­re le volontà che lui ha espresso prece­dentemente», spiega l'avvocato. «Ho chiesto anche di far ricorso alla terapia del dolore», aggiunge Franco, «pure se questo dovesse accorciare decisamente la durata della mia vita». «Molti mi hanno domandato, com­preso il giudice che prima di decidere ha voluto sentirmi, se mi rendevo con­to della responsabilità che mi ero as­sunta», dice Francesca, ben consape­vole del peso della propria scelta. «So­no certa che qualsiasi decisione doves­si prendere non sarei sola. Siamo una fa­miglia, abbiamo sempre condiviso lutto e continueremo a farlo. So che il dolore, se perdessi mio marito, sarebbe enor­me, ma l'amore e il rispetto che ho per lui mi darebbero la forza di fare quel­lo che ha chiesto. Del resto, ricordo an­cora quando il medico che aveva in cu­ra mia madre, allora in fin di vita, si ri­fiutava di somministrarle la morfina di­cendo che avrebbe potuto darle dipen­denza. Non voglio mai più sentirmi co­sì impotente».

CLAUDIA: UNA FINE DIGNITOSA «Ho avuto una vita bellissima piena, ricca e felice e ho goduto sempre di una salute di ferro. Per questo non riesco nemmeno a concepire una fine poco dignitosa. Adesso ho quasi seliant'an-ni, ma è da quando ne ho quaranta che so quello che voglio: nel momento in cui non fossi più in grado di avere una vita degna di questo nome, preferirei non vi­vere». Claudia è nata in Francia, ma da moltissimo tempo vive a Modena, dove ha sposato un antiquario (che ora non

«SONO CATTOLICA VOGLIO TUTTE LE CURE,

MA A CASA MIA» _*»•* Il giudice di Varese ha disposto che la signora Anna (nome di fantasia! acceda a tutti

i trattamenti, come lei ha richiesto, ricorrendo a una struttura solo nel momento estremo.

c'è più) dal quale ha avuto due figlie. «Quando ho fatto testamento biologico ho pensato soprattutto a loro. Non vo­glio assolutamente che si debbano tro­vare nella situazione di decidere al po­sto mio. Dire con chiarezza che cosa vorrei, credo le sollevi da un grandissi­mo peso: quello di dover scegliere per me. di non sapersi districare tra la pau­ra di perdermi e il vedermi soffrire. Da quando sono giovane ho sempre avuto il terrore di ammalarmi e di non poter più disporre di me slessa, per questo ho fatto il testamento biologico e ho chie­sto la nomina di un amministratore di sostegno».

«Quella sull'amministratore di sostegno è una legge rivoluzionaria, del 2004», spiega l'avvocato Maria Grazia Scac-chetti. di Modena, che per prima, in Ita­lia, è riuscita a farla applicare nell'ambi­to del testamento biologico. «La norma prevede la possibilità di disporre le pro­prie volontà, adesso per allora. E di sta­bilire chi garantisce il rispetto di tali di­sposizioni. Il decreto del giudice tutela­re ha un valore enorme perché, qualora un medico rifiutasse di seguire le indica­zioni dell'amministratore, incorrerebbe in un reato penale».

Nel caso di Claudia, però, il giudice ha respinto la nomina di un amministrato­re di sostegno. La scelta, infatti, di ap­plicare o meno la norma nel caso del te­stamento biologico è molto legala alla sensibilità del giudice e al suo atteggia­mento rispetto alla materia. E le senten­ze non sono sempre scontate. «Non mi sono scoraggiata», racconta Claudia, «e non appena Modena ha isti­tuito la possibilità di registrare all'ana­grafe il testamento biologico, mi sono ri­volta li. Sono stata la prima a deposita­re il proprio. Ho indicato tutto: non vo­glio idratazione e alimentazione artifi­ciali, né respirazione forzata, non desi­

dero nessun tipo di accanimento tera­peutico e non mi interessa essere infor­mata sulla gravità della malattia della quale soffro. Per far rispettare le mie vo­lontà ho scelto mia figlia Celine, la me­no emotiva. Alex, la seconda, è troppo sensibile e preferisco non sia coinvol­ta se non è strettamente necessario». Claudia è convinta che il suo sia soprat­tutto un gesto d'amore verso di sé e ver­so i suoi cari. «Credo sia terribile vede­re la persona che ami andarsene piano piano tra le sofferenze. Mia madre mori una notte nel sonno, all'improvviso. Ho sempre pensato che mi avesse fatto un regalo straordinario. E del resto, se Dio mi ha donato la vita, penso sia un mio diritto disporne come credo».

ANNA: SEGUITA NEL SUO LETTO «Sono qui perché sono sola. Ho avuto un ictus tempo fa e ho paura possa suc­cedere di nuovo, diventando incapace di intendere e di volere. Allora, ho voluto designare qualcuno di mia fiducia che, se questo accadesse, possa decidere al posto mio. Nel caso in cui fossi incapa­ce, vorrei rimanere viva finché è possibi­le, perché sono cattolica. Ma vorrei an­che essere curala a casa mia finché que­sto sarà fattibile. Non vorrei essere in balia di nessuno». Anna (nome di fanta­sia) ha settantacinque anni e quando va dal giudice di Varese a spiegare perché ha chiesto un amministratore di soste­gno è in buona salule, ma vuole essere sicura: se dovesse trovarsi in una situa­zione di incapacità, la sua volontà deve essere chiara e rispettata. «Quando è venuta da me», racconta l'avvocato Annamaria Brusa che si è occupata del caso e ha ottenuto dal giu­dice una sentenza favorevole, «la signo­ra mi ha spiegalo la sua paura. Lei teme­va che qualcuno decidesse al posto suo non rispettando la sua volontà». Anna

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ha preferito tenere la sua famiglia al di fuori e ha scello come amministratore una persona di fiducia con la quale non ha nessun legame di parentela. «E per­fettamente consapevole», spiega l'avvo­cato, «che una persona anziana può di­ventare un grande peso per la quotidia­nità di una famiglia e ha voluto evitare che questo accadesse ai suoi cari». In caso di emergenza, la sua paura è di doversi fidare di qualcun altro e vuo­le essere tutelata a 360 gradi. «Abbia­mo chiesto e ottenuto dal giudice», spie­ga il legale, «che in caso di incapacità la signora sia curala nella sua abitazione, con tutti gli strumenti idonei e l'assisten­za infermieristica del caso. Solo dopo che un medico avrà certificato l'impos­sibilità di continuare le cure a casa e che il giudice tutelare avrà dato il suo bene­stare, Anna potrà essere trasferita in una struttura di cura adeguala». I giornali hanno definito il suo caso un testamento di vita, perché la signora non rifiuta nessun tipo di cura: «Quello che ho chiesto è che sia garantita la mia dignità nella malattia. La dignità di po­ter essere assistita seriamente in un mo­mento di massima difficoltà e anche la certezza che la persona da me incarica­ta abbia tutti gli strumenti legali e ma­teriali per farlo». Anche in questo caso il giudice, prima di decidere favorevol­mente, ha voluto sentire la signora e ve­rificare se fosse consapevole della por­tata delle sue decisioni: «Credo in Dio», ha ribadito Anna, «ho un assoluto ri­spetto della vita e non voglio lasciarla prima del tempo, ma voglio essere cura­ta alle mie condizioni».

PAOLO: DIRITTO DI SCEGLIERE Paolo è in un letto di una casa di cura vicino a Treviso. Da dodici anni (oggi ne ha 50) soffre di Sia (sclerosi laterale amiolrofica), una malattia degenerati­va che lo ha paralizzato completamen­te fino a lasciargli solo un filo di voce e l'uso degli occhi con i quali, attraverso uno strumento sensibile al suo battito di ciglia, riesce a scrivere al computer. Prima di ammalarsi faceva l'operaio, ha una moglie e due figli: Manuel e Isabel. Si balte da anni per il testamento biolo­gico e ha anche girato un video nel qua­le ha espresso chiaramente le sue volon­tà di fine vita. «Nel caso in cui le mie condizioni si aggravassero e non fossi

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«QUANDO NON POTRÒ PIÙ NUTRIRMI DA SOLO,

LASCIATEMI ANDARE» -PAO,O

Paolo Ravasin soffre da 12 anni di una malattia degenerativa, è ricoverato in una casa di cura in provincia di Treviso e si botte attivamente per il testamento biologico.

più in grado di nutrirmi naturalmente», spiega con un filo di voce, «non voglio nessuna forma di idratazione e alimen­tazione artificiali. Sono molto spaventa­to dalle notizie sulla legge in discussione in Parlamento, in base alla quale la mia volontà diventerebbe un semplice pa­rere del quale il medico potrebbe tener conto o meno, a propria discrezione». Paolo ha le idee mollo chiare e si bat­te attivamente perché la sua dignità di malato non venga calpestata. «Dal mo­mento in cui avessi bisogno di essere ali­mentato e idratato artificialmente, non voglio nessuna terapia medica per la mia malattia o per eventuali complica­zioni che dovessero insorgere, a esclu­sione dei farmaci per alleviare il dolore. E non voglio nemmeno essere trasferito in una struttura ospedaliera». La considera una battaglia di civiltà non solo per lui ma per tutte quelle persone nelle sue condizioni: «Nessuna legge», insiste, «può sostituire la libertà dell'in­dividuo. È un mio diritto, com'è un di­

ritto di tutti gli altri malati scegliere il modo in cui vivere e morire, lo mi bat­to per la mia dignità di uomo, anche nel­la fase terminale della mia vita, che cer­te leggi vorrebbero offendere». Paolo crede in Dio e si arrabbia quando sen­te parlare di eutanasia, nelle sue condi­zioni, sia lottando per continuare a vive­re, ma non a tutti i costi. «Dio ci ha da­to la libertà di coscienza», dice con fati­ca, perché cinque anni fa ha subilo una tracheotomia e l'umidità della giornata gli fa morire le parole in gola. «La liber­tà di scegliere di noi. non di far scegliere ad altri per noi. Non voglio restare qui come un tronco, circondato dai miei ca­ri che mi vegliano». Dal suo letto, tramite Interne! e la Tv, segue i dibattiti e le evoluzioni della leg­ge, e non pensa di arrendersi. «Se do­vesse essere approvata», dice, «mi bat­terò fino alla fine con le mie poche for­ze perché la mia dignità non venga calpestata». QJ

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