MA A CASA MIA»...La Famiglio Santoni: Franco (da sinistra), la moglie Francesca e la figlia...
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VANITY ARBITRIO
La Famiglio Santoni: Franco (da sinistra), la moglie Francesca e la figlia Sibilla. Che, in qualità di avvocato, ha ottenuto da un giudice tutelare il diritto, per il padre, di evitare l'accanimento terapeutica in caso di incoscienza. A far eseguire le volontà del marito ci penserà Francesca.
TESTAMENTO BIOLOGICO
NON FATECI FINIRE COME ELUANA
A due anni dal caso Englaro, la ragazza moria dopo un lunghissimo stato vegetativo e una lunga battaglia, un disegno di legge limita la possibilità di decidere come essere curati se diventiamo incoscienti. Ecco le storie di chi vuole scegliere. E l'ha già fatto DI VERONICA BIANCHINI FOTO COCIANI SANG5I
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«Amo troppo la vita per morire senza dignità». Claudia ha settantanni, è vitale e determinata. È stata la prima, a Modena, a consegnare all'anagrafe il proprio testamento biologico. Su un foglio ha scritto le cure alle quali vorrà essere sottoposta e quelle che rifiuterà nel caso dovesse trovarsi in uno stalo di incoscienza. Intanto, in Parlamento è in discussione un disegno di legge sul fine vita che porta la firma del senatore Pdl Raffaele Calabro. L*iter è partito nel 2009, durante gli ultimi giorni di Eluana Englaro, la ragazza mantenuta in slato vegetativo per 17 anni. Tra i punti più criticali del disegno, quello che riconosce l'inviolabilità della vita e la sua indisponibilità (non puoi farne quello che vuoi). Ma anche il punto che definisce l'alimentazione e l'idratazione forzate come forme di un sostegno vitale che non si può rifiutare. E, soprattutto, quello che considera le dichiarazioni anticipate di trattamento non obbligatorie né vincolanti per il medico. Circostanza che ha spinto l'oncologo Umberto Veronesi a dire: «Meglio nessuna legge che una legge sbagliata». Ecco alcune storie di chi si è già battuto per poter difendere la propria libertà di scelta.
FRANCO: NIENTE ACCANIMENTI «Al testamento biologico pensavo fin dal 2006. Un notaio fiorentino, al prezzo simbolico di un euro, registrava le vo-
«AMO TROPPO LA VITA PER PENSARE DI MORIRE
SENZA DIGNITÀ) _, CLAUDIA
Claudia Tedeschi (sinistra), la prima a Modena a depositare il proprio testamento biologico all'anagrafe, con l'avvocato Maria Grazia Scacchetti.
lontà di fine vita. Appena l'ho saputo mi sono rivolto a lui. Del resto, un'assicurazione sulla vita si fa quando si sta bene, non quando si sta male e nello stesso modo è meglio pensare a come si vuole morire quando si è in buona salute». Franco ha 70 anni, laureato in Farmacia, ha sempre lavorato a contatto con ospedali e malati. «Ho passato anni in corsia e ho visto situazioni molto compromesse in cui la dignità della persona non veniva affatto rispettata. Per questo ho deciso di dire prima e in modo chiaro che cosa avrei voluto mi fosse fatto e che cosa no, nel caso mi fossi trovato nell'impossibilità di esprimere la mia volontà. Non voglio alimenta
zione e idratazione artificiali, non voglio essere messo in dialisi. Non voglio essere tenuto in vita in modo forzato, preferisco morire in modo naturale, senza alcun accanimento». Per far rispettare le proprie volontà, Franco ha scelto la moglie Francesca, da più di quarantanni al suo fianco. Mentre suo padre si preoccupava di disporre le sue volontà nel caso non fosse stato più in grado di deciderlo autonomamente, la figlia Sibilla, avvocato, seguiva a sua insaputa un percorso parallelo. «A un certo punto ho detto a casa che mi stavo occupando del testamento biologico. Volevo veder riconosciuto il diritto di scegliere e per farlo avevo de-
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ciso di avvalermi di una figura appena introdotta nel diritto: quella dell'amministratore di sostegno. Quando ho scoperto che mio padre si era già mosso autonomamente, abbiamo deciso di portare avanti la nostra battaglia insieme. Nel 2010 abbiamo fatto ricorso al giudice tutelare per veder riconosciuto e sancito il suo diritto a decidere». Il giudice ha dato ragione a Sibilla e a suo padre riconoscendo la possibilità di scegliere: «Ovviamente la disposizione del giudice ha un valore più forte rispetto alla semplice dichiarazione notarile, conferisce all'amministratore di sostegno, che in questo caso è mia madre, il diritto di decidere qualora mio padre non fosse cosciente, facendo rispettare le volontà che lui ha espresso precedentemente», spiega l'avvocato. «Ho chiesto anche di far ricorso alla terapia del dolore», aggiunge Franco, «pure se questo dovesse accorciare decisamente la durata della mia vita». «Molti mi hanno domandato, compreso il giudice che prima di decidere ha voluto sentirmi, se mi rendevo conto della responsabilità che mi ero assunta», dice Francesca, ben consapevole del peso della propria scelta. «Sono certa che qualsiasi decisione dovessi prendere non sarei sola. Siamo una famiglia, abbiamo sempre condiviso lutto e continueremo a farlo. So che il dolore, se perdessi mio marito, sarebbe enorme, ma l'amore e il rispetto che ho per lui mi darebbero la forza di fare quello che ha chiesto. Del resto, ricordo ancora quando il medico che aveva in cura mia madre, allora in fin di vita, si rifiutava di somministrarle la morfina dicendo che avrebbe potuto darle dipendenza. Non voglio mai più sentirmi così impotente».
CLAUDIA: UNA FINE DIGNITOSA «Ho avuto una vita bellissima piena, ricca e felice e ho goduto sempre di una salute di ferro. Per questo non riesco nemmeno a concepire una fine poco dignitosa. Adesso ho quasi seliant'an-ni, ma è da quando ne ho quaranta che so quello che voglio: nel momento in cui non fossi più in grado di avere una vita degna di questo nome, preferirei non vivere». Claudia è nata in Francia, ma da moltissimo tempo vive a Modena, dove ha sposato un antiquario (che ora non
«SONO CATTOLICA VOGLIO TUTTE LE CURE,
MA A CASA MIA» _*»•* Il giudice di Varese ha disposto che la signora Anna (nome di fantasia! acceda a tutti
i trattamenti, come lei ha richiesto, ricorrendo a una struttura solo nel momento estremo.
c'è più) dal quale ha avuto due figlie. «Quando ho fatto testamento biologico ho pensato soprattutto a loro. Non voglio assolutamente che si debbano trovare nella situazione di decidere al posto mio. Dire con chiarezza che cosa vorrei, credo le sollevi da un grandissimo peso: quello di dover scegliere per me. di non sapersi districare tra la paura di perdermi e il vedermi soffrire. Da quando sono giovane ho sempre avuto il terrore di ammalarmi e di non poter più disporre di me slessa, per questo ho fatto il testamento biologico e ho chiesto la nomina di un amministratore di sostegno».
«Quella sull'amministratore di sostegno è una legge rivoluzionaria, del 2004», spiega l'avvocato Maria Grazia Scac-chetti. di Modena, che per prima, in Italia, è riuscita a farla applicare nell'ambito del testamento biologico. «La norma prevede la possibilità di disporre le proprie volontà, adesso per allora. E di stabilire chi garantisce il rispetto di tali disposizioni. Il decreto del giudice tutelare ha un valore enorme perché, qualora un medico rifiutasse di seguire le indicazioni dell'amministratore, incorrerebbe in un reato penale».
Nel caso di Claudia, però, il giudice ha respinto la nomina di un amministratore di sostegno. La scelta, infatti, di applicare o meno la norma nel caso del testamento biologico è molto legala alla sensibilità del giudice e al suo atteggiamento rispetto alla materia. E le sentenze non sono sempre scontate. «Non mi sono scoraggiata», racconta Claudia, «e non appena Modena ha istituito la possibilità di registrare all'anagrafe il testamento biologico, mi sono rivolta li. Sono stata la prima a depositare il proprio. Ho indicato tutto: non voglio idratazione e alimentazione artificiali, né respirazione forzata, non desi
dero nessun tipo di accanimento terapeutico e non mi interessa essere informata sulla gravità della malattia della quale soffro. Per far rispettare le mie volontà ho scelto mia figlia Celine, la meno emotiva. Alex, la seconda, è troppo sensibile e preferisco non sia coinvolta se non è strettamente necessario». Claudia è convinta che il suo sia soprattutto un gesto d'amore verso di sé e verso i suoi cari. «Credo sia terribile vedere la persona che ami andarsene piano piano tra le sofferenze. Mia madre mori una notte nel sonno, all'improvviso. Ho sempre pensato che mi avesse fatto un regalo straordinario. E del resto, se Dio mi ha donato la vita, penso sia un mio diritto disporne come credo».
ANNA: SEGUITA NEL SUO LETTO «Sono qui perché sono sola. Ho avuto un ictus tempo fa e ho paura possa succedere di nuovo, diventando incapace di intendere e di volere. Allora, ho voluto designare qualcuno di mia fiducia che, se questo accadesse, possa decidere al posto mio. Nel caso in cui fossi incapace, vorrei rimanere viva finché è possibile, perché sono cattolica. Ma vorrei anche essere curala a casa mia finché questo sarà fattibile. Non vorrei essere in balia di nessuno». Anna (nome di fantasia) ha settantacinque anni e quando va dal giudice di Varese a spiegare perché ha chiesto un amministratore di sostegno è in buona salule, ma vuole essere sicura: se dovesse trovarsi in una situazione di incapacità, la sua volontà deve essere chiara e rispettata. «Quando è venuta da me», racconta l'avvocato Annamaria Brusa che si è occupata del caso e ha ottenuto dal giudice una sentenza favorevole, «la signora mi ha spiegalo la sua paura. Lei temeva che qualcuno decidesse al posto suo non rispettando la sua volontà». Anna
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ha preferito tenere la sua famiglia al di fuori e ha scello come amministratore una persona di fiducia con la quale non ha nessun legame di parentela. «E perfettamente consapevole», spiega l'avvocato, «che una persona anziana può diventare un grande peso per la quotidianità di una famiglia e ha voluto evitare che questo accadesse ai suoi cari». In caso di emergenza, la sua paura è di doversi fidare di qualcun altro e vuole essere tutelata a 360 gradi. «Abbiamo chiesto e ottenuto dal giudice», spiega il legale, «che in caso di incapacità la signora sia curala nella sua abitazione, con tutti gli strumenti idonei e l'assistenza infermieristica del caso. Solo dopo che un medico avrà certificato l'impossibilità di continuare le cure a casa e che il giudice tutelare avrà dato il suo benestare, Anna potrà essere trasferita in una struttura di cura adeguala». I giornali hanno definito il suo caso un testamento di vita, perché la signora non rifiuta nessun tipo di cura: «Quello che ho chiesto è che sia garantita la mia dignità nella malattia. La dignità di poter essere assistita seriamente in un momento di massima difficoltà e anche la certezza che la persona da me incaricata abbia tutti gli strumenti legali e materiali per farlo». Anche in questo caso il giudice, prima di decidere favorevolmente, ha voluto sentire la signora e verificare se fosse consapevole della portata delle sue decisioni: «Credo in Dio», ha ribadito Anna, «ho un assoluto rispetto della vita e non voglio lasciarla prima del tempo, ma voglio essere curata alle mie condizioni».
PAOLO: DIRITTO DI SCEGLIERE Paolo è in un letto di una casa di cura vicino a Treviso. Da dodici anni (oggi ne ha 50) soffre di Sia (sclerosi laterale amiolrofica), una malattia degenerativa che lo ha paralizzato completamente fino a lasciargli solo un filo di voce e l'uso degli occhi con i quali, attraverso uno strumento sensibile al suo battito di ciglia, riesce a scrivere al computer. Prima di ammalarsi faceva l'operaio, ha una moglie e due figli: Manuel e Isabel. Si balte da anni per il testamento biologico e ha anche girato un video nel quale ha espresso chiaramente le sue volontà di fine vita. «Nel caso in cui le mie condizioni si aggravassero e non fossi
T
«QUANDO NON POTRÒ PIÙ NUTRIRMI DA SOLO,
LASCIATEMI ANDARE» -PAO,O
Paolo Ravasin soffre da 12 anni di una malattia degenerativa, è ricoverato in una casa di cura in provincia di Treviso e si botte attivamente per il testamento biologico.
più in grado di nutrirmi naturalmente», spiega con un filo di voce, «non voglio nessuna forma di idratazione e alimentazione artificiali. Sono molto spaventato dalle notizie sulla legge in discussione in Parlamento, in base alla quale la mia volontà diventerebbe un semplice parere del quale il medico potrebbe tener conto o meno, a propria discrezione». Paolo ha le idee mollo chiare e si batte attivamente perché la sua dignità di malato non venga calpestata. «Dal momento in cui avessi bisogno di essere alimentato e idratato artificialmente, non voglio nessuna terapia medica per la mia malattia o per eventuali complicazioni che dovessero insorgere, a esclusione dei farmaci per alleviare il dolore. E non voglio nemmeno essere trasferito in una struttura ospedaliera». La considera una battaglia di civiltà non solo per lui ma per tutte quelle persone nelle sue condizioni: «Nessuna legge», insiste, «può sostituire la libertà dell'individuo. È un mio diritto, com'è un di
ritto di tutti gli altri malati scegliere il modo in cui vivere e morire, lo mi batto per la mia dignità di uomo, anche nella fase terminale della mia vita, che certe leggi vorrebbero offendere». Paolo crede in Dio e si arrabbia quando sente parlare di eutanasia, nelle sue condizioni, sia lottando per continuare a vivere, ma non a tutti i costi. «Dio ci ha dato la libertà di coscienza», dice con fatica, perché cinque anni fa ha subilo una tracheotomia e l'umidità della giornata gli fa morire le parole in gola. «La libertà di scegliere di noi. non di far scegliere ad altri per noi. Non voglio restare qui come un tronco, circondato dai miei cari che mi vegliano». Dal suo letto, tramite Interne! e la Tv, segue i dibattiti e le evoluzioni della legge, e non pensa di arrendersi. «Se dovesse essere approvata», dice, «mi batterò fino alla fine con le mie poche forze perché la mia dignità non venga calpestata». QJ
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