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La gestione per obiettivi è stata introdotta nella Pubblica Ammini-strazione dalla Legge 142/90 sull’”Ordinamento delle Autonomie Locali”.Tale legge prevedeva, infatti, forme di controllo non più meramente fi-nanziario della gestione dirette a costituire la base per valutazioni di ef-ficacia e di efficienza .

Il successivo Decreto Legislativo 29/93 è ancora più preciso poichéall’art. 20 stabilisce che “I dirigenti generali ed i dirigenti sono responsa-bili del risultato dell’attività svolta dagli uffici ai quali sono preposti, dellarealizzazione dei programmi e dei progetti loro affidati in relazione agliobiettivi di rendimento e dei risultati della gestione finanziaria tecnica eamministrativa, incluse le decisioni organizzative e di gestione del per-sonale”.

Sempre all’art. 20 leggiamo: “Nelle amministrazioni pubbliche, ovegià non esistano, sono istituiti servizi di controllo interno, o nuclei di va-lutazione, con il compito di semplificare, mediante valutazioni compara-tive dei costi e dei rendimenti, la realizzazione degli obiettivi, la correttaed economica gestione delle risorse pubbliche, l’imparzialità e il buonandamento dell’azione pubblica”.

In altri termini, viene individuata una precisa responsabilità dei diri-genti in ordine alla gestione per obiettivi e, data la novità della materia

che richiede competenze specifiche, viene prevista l’istituzione di servizidi controllo interno.

D i fronte a questo rilevante cambiamento nelle logiche di gestione “imposto” dalla legge le Università sono rimaste, in un primo tempo, as-solutamente indifferenti, spesso sostenendo che dovevano essere appli-cate le sole leggi esplicitamente emanate con riferimento alle Università.

E’ ben vero che tali normative di carattere speciale dovevano trovarepuntuale applicazione, ma è altrettanto vero che una norma speciale in-tegra una norma di carattere generale, non la sostituisce.

E’ giusto peraltro ricordare che, all’epoca, le Università erano condi-zionate in gran parte dei loro processi decisionali dal Ministero: strutturadella pianta organica del personale tecnico-amministrativo e carriere deidocenti erano scadenziate da decisioni ministeriali.

Alle Università era riservata la funzione propositiva, troppo spessodisattesa a livello centrale con conseguenti disfunzioni organizzative deisingoli Atenei.

Qualsiasi nuova iniziativa didattica doveva sottostare all’autoriz-zazione ministeriale e i dinieghi erano tutt’altro che infrequenti. Anche la

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ricerca era condizionata poiché i finanziamenti giungevano, per la mag-gior parte, dal Ministero e agli Atenei restava il compito della ripartizione

per la quota riservata alle ricerche fatte dal solo personale interno.La dipendenza finanziaria, organizzativa e strategica era tale da sco-

raggiare una gestione per obiettivi, poiché questi ultimi risultavano tal-mente condizionati da configurare l’attività molto più caratterizzata da

“adempimenti” piuttosto che da ideazione di soluzioni innovative ispirateall’efficacia e all’efficienza.

La prospettiva cambia profondamente a partire dal 1994 conl’attribuzione dell’autonomia alle Università. Si tratta però, ancora unavolta, di un’autonomia condizionata, poiché la dipendenza dai finanzia-menti del Ministero è forte: non riesce, infatti, la tanto auspicata raccol-ta di finanziamenti dal mondo economico e anche sul fronte delle entratederivanti dalle tasse studentesche i margini di manovra sono limitati.

Le Università possono gestire autonomamente l’assetto dell’organico,ma devono fare i conti con la limitatezza delle risorse finanziarie e con icondizionamenti legislativi ad iniziare dalle varie “finanziarie”.

Anche sul fronte delle tasse studentesche si aprono margini di ma-novra, recentemente ristretti dall’obbligo di non superare, attraverso talientrate, il 20% del contributo statale.

Alla fine degli anni 90 la riforma dei concorsi universitari assegna

un’ulteriore leva agli Atenei i quali, potendo bandire concorsi interni, di-ventano autonomi nella definizione dell’organico del corpo docente. LeUniversità possono quindi decidere: di spostare risorse dalla ricerca alleassunzioni e alle carriere di tutto il personale, di puntare su un poten-ziamento delle attrezzature o di espandere la spesa corrente, ecc.

I n epoca recente anche la raccolta di fondi all’esterno presso Entipubblici, Fondazioni, istituti ed imprese ha iniziato a svilupparsi con ri-sultati assai diversi in funzione della capacità propositiva dei singoli Ate-nei e della loro localizzazione.

La possibilità di espandere le proprie entrate, la necessità di struttu-rare in modo economicamente conveniente le proprie spese hanno con-dotto necessariamente alla gestione per obiettivi.

Tuttavia si riscontra che ciò avviene più naturalmente per quanto ri-guarda i compiti che rientrano nella responsabilità del personale tecnico-amministrativo piuttosto che abbracciare l’intera struttura interessandoadeguatamente il corpo docente.

Il concetto di obiettivo è assai preciso: si tratta di un risultato pre-stabilito, di una meta da raggiungere in certi tempi, con determinate ri-sorse e secondo un piano definito.

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All’obiettivo si associa un responsabile che ha il compito di perseguir-

lo e, nell’approccio organizzativo ottimale, di definirlo preventivamente,godendo di una certa autonomia decisionale che ne valorizzi le compe-tenze e ne accentui la motivazione alla realizzazione del successodell’organizzazione alla quale appartiene.

La gestione per obiettivi si colloca quindi nell’ambito del controllo digestione e richiede un supporto informativo adeguato, la definizione del-la mappa delle responsabilità e lo sviluppo del processo che orienti i de-cisori verso i suddetti obiettivi.

Sul fronte della costruzione delle informazioni è necessario sottoline-are che il disporre della sola contabilità finanziaria pone dei seri limiti aldispiegarsi del controllo di gestione. Si tratta infatti di uno strumentoche viene concepito come autorizzazione all’impiego delle risorse, unavolta definita la loro allocazione mediante lo strumento del bilancio diprevisione, mentre avremmo bisogno di un autentico strumento conosci-tivo orientato all’osservazione e rappresentazione dei risultati di gestio-ne, alla misurazione del risultato economico, derivante dal raffronto tracosti e ricavi e cioè della contabilità economica.

L’adozione del concetto di competenza finanziaria implica la solaconsiderazione dei movimenti di natura finanziaria e trascura completa-mente gli aspetti economici della gestione. Non consente la valutazionedel rapporto tra risorse impiegate e risultati conseguiti e cioè le valuta-

zioni di efficienza, né la valutazione dei risultati, cioè le valutazioni di ef-ficacia.

E’ necessario mantenere la contabilità finanziaria nell’attuale conte-sto normativo anche in relazione al tipo di controlli esterni ai quali le U-niversità sono sottoposte. Si deve affiancare alla finanziaria la contabilitàeconomico-patrimoniale e quella analitica.

S ono in corso studi e progettazioni ad opera di Enti e società diffe-renti per dare risposta adeguata a tale esigenza, tuttavia non esiste, almomento, un software completo che sia in grado di gestire insieme, cioè

in modo integrato, tutte e tre le contabilità.In attesa di implementare un sistema contabile integrato, si deve

procedere ad una rielaborazione dei dati finanziari più spinta rispetto alpassato ed è necessario individuare degli indicatori. E’ inoltre necessariocostruire dati economici mediante procedimenti indiretti ed extra conta-bili col correlato rischio di mancata corrispondenza tra i sistemi.

C’è ancora un po’ di strada da fare in questa direzione, perché le re-sistenze ci sono e sono prevalentemente di carattere culturale.

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Troppa parte del personale docente e non, è maturata professional-mente nell’epoca antecedente all’autonomia ed ha quindi assimilato as-

sai più la cultura giuridica dell’”adempimento” che quella managerialediretta allo sviluppo dei necessari strumenti gestionali.

Tuttavia la riforma dell’ordinamento universitario ha impressoun’accelerazione al cambiamento gestionale, poiché l’ampliarsi dell’auto-nomia nel proporre iniziative didattiche ha reso indispensabili analisi difattibilità e pianificazione strategica.

Gli Atenei si stanno oggi differenziando non solo per la quantità equalità dei corsi universitari che offrono, ma anche per come stanno e-stendendo tali scelte strategiche, tanto che c’è chi, come il Politecnico diTorino, si è dotato di un apposito Ufficio Pianificazione per effettuare a-nalisi e proiezioni pluriennali che verifichino la sussistenza delle condi-zioni di sviluppo.

Molte Università si stanno dotando di uffici che si occupano di con-trollo di gestione e i dirigenti sono valutati (anche se non sempre in mo-do tecnicamente corretto) in base ai risultati.

L’introduzione del manager didattico costituisce un’ulteriore tappadell’evoluzione organizzativa con la creazione di figure che hanno ilcompito di governare l’innovazione didattica con logiche di efficacia edefficienza e con una particolare sensibilità verso gli aspetti qualitativi.

Si riconosce così la strategicità della didattica e la complessità daquesta assunta con l’applicazione della riforma universitaria, assegnandoad una figura specialistica, il “manager didattico”, il compito di gestire icorsi di laurea. Si tratta di una figura organizzativa trasversale che devegestire il processo di sviluppo di uno o più corsi di laurea intervenendocon competenza specifica in ogni fase e fungendo da integratore di tuttele figure e funzioni coinvolte nella realizzazione del prodotto didattico.

Lo strumento gestionale più adatto, perché basato sui processi e suiteam, coinvolgendo più competenze, è il project management . Ci in-

tratterremo quindi su tale argomento esponendo vantaggi e caratteristi-che del suo utilizzo.

Iniziamo col porci la domanda: cos’è il project management? In mol-te aziende, che hanno progetti attivi e che sostengono di fare projectmanagement, la definizione più appropriata dello stesso è la seguente:

“Project Management è l’arte di crearsi l’illusione che ogni risul-tato ottenuto sia frutto di una serie di azioni predeterminate edeliberate quando, nei fatti, si tratta di pura e semplice fortuna!”

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Questa è ovviamente una provocazione, ma non è lontana dal senti-re comune. In sintesi, invece , il Project Management è un insieme di

Modelli• Metodi• Tecniche Gestionali• Strumenti Software

per affrontare e governare la complessità, l’innovazione el’indeterminatezza insite in uno o più progetti.

Non si può mai dire, nemmeno dopo dieci anni che un corso di laureaè partito, che si tratta di un’attività di routine. Cambiano le impostazionidottrinali, cambiano le metodologie didattiche, si modifica il mercato dellavoro e anche i “clienti”, poiché le generazioni che si susseguono si ca-ratterizzano diversamente. Se non ci si adegua, organizzandosi diver-samente, un prodotto didattico che andava benissimo può diventare as-sai poco attraente addirittura obsoleto. L’obiettivo del ProjectManagement è quello di definire chiaramente le attività e la loro sequen-za allo scopo di raggiungere gli obiettivi in termini di tempo, costo equalità del progetto, accrescendone quindi il “valore”.

La variabile tempo è determinante, anzi fondamentale, ma impor-tante è anche il costo e più ancora la qualità del progetto. Il risultato delprogetto deve avere un valore assai superiore alla somma delle risorseimpiegate.

L’approccio per processi può dare origine a diverse strutture organiz-zative, riconducibili ad un modello a matrice in cui l’operatività ed il suc-cesso si giocano, come già detto, nel bilanciamento tra le responsabilitàfunzionali (verticali) e quelle di processo/progetto (orizzontali).

Bisogna quindi uscire dalla logica funzionale, che ha caratterizzato fi-nora l’organizzazione universitaria, per passare ad un approccio per pro-cessi.

PIANIFICAZIONE+

CONTROLLO+

GESTIONE=

PROJECT MANAGEMENT

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Nei progetti ripetitivi : i cicli di produzione sono standard (ben noti);gli organismi responsabili e le risorse sono quasi sempre gli stessi, la

stima dei tempi e dei costi si basa su ritmi produttivi consolidati; laqualità richiesta è sempre la stessa e ben specificata; la durata com-plessiva dell’iter realizzativo è breve.

Nei progetti ricorrenti : il processo produttivo è noto, ma varia il con-tenuto delle singole attività operative; la struttura organizzativa va-ria in funzione del “peso” attribuito al progetto; la stima dei tempi edei costi viene effettuata per “analogia”; la qualità richiesta è gene-ralmente ben specificata; la durata complessiva dell’iter realizzativoè contenuta.

Nei progetti innovativi : il processo produttivo deve essere definito divolta in volta; la struttura organizzativa viene individuata “ad hoc”;la stima dei tempi e costi viene effettuata per “analogia”; la qualitàrichiesta non è sufficientemente specificata (necessita di ulteriorispecifiche in corso d’opera; la durata complessiva dell’iter realizzati-vo è quasi sempre lunga.

E’ indispensabile procedere all’individuazione della tipologia dei pro-getti perché il sistema di controllo da adottare viene costruito in funzio-ne di quest’ultima, così come è condizionato dalla loro organizzazione eda come vengono calati nell’organizzazione aziendale.

Per quanto riguarda il modello organizzativo, la struttura organizza-tiva di progetto deve rispondere alle esigenze di gestione dello stesso edeve agevolare i processi informativi e decisionali.

Occorre pertanto definire la struttura organizzativa più adatta al pro-getto o alla tipologia di progetti in gestione. Esistono essenzialmente tremodelli organizzativi:

FUNZIONALE A PROGETTO A MATRICE

Per quanto concerne la struttura funzionale, essa presenta i seguentivantaggi:

flessibilità nell’impiego del personaleelevata produttività del personale specializzatoe i correlati svantaggi:conflittualità tra obiettivi di progetto ed obiettivi di funzioneprocedure di gestione del progetto rallentate dai normali canali fun-zionalilimitata autorità del Project Manager.

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Anche l’organizzazione per progetto è caratterizzata da vantaggiquali:

la piena autorità al Project Manageri partecipanti al progetto rispondono direttamente al Project Managerdecisioni più rapide grazie all’autorità centralizzatasemplicità e chiarezza di strutturae svantaggi come:duplicazione di sforzi su progetti diversi ma similariridotta diversificazione delle specializzazioniproblemi di riallocazione del personale al termine del progetto.

Vediamo ora qual è il ruolo del project manager. Le sue responsabi-lità primarie sono:

• diffondere gli obiettivi del progetto• dirigere il progetto per raggiungere gli obiettivi di tempo, costo e

qualità prestabiliti• conferire responsabilità e deleghe• valutare e riferire sulla performance di progetto ai Presidi, Senato

Accademico, Rettore• sostenere l’impegno e il morale del project team• mantenere i contatti formali col “cliente” (studenti)• di fondamentale importanza nel ruolo del PM è l’analisi degli indi-

catori risultanti dal processo di avanzamento del piano e la rea-lizzazione di azioni correttive per il mantenimento del progetto

sulla sua giusta ‘rotta’.

Per il manager didattico potrebbero ad esempio essere degli indica-tori interessanti i tassi di superamento dei diversi esami da parte dellecoorti corrispondenti di studenti.

E’ importante non solo stabilire la quota dei promossi e respinti, maanche quanti non si sono presentati. In questo modo si possono eviden-ziare tempestivamente le situazioni di crisi e l’azione di tutorship divienemolto più mirata, partendo dall’iniziativa del manager didattico, senzaattendere che siano gli studenti a sollecitare soluzioni, magari con trop-po ritardo rispetto alle possibilità di intervento.

Tutto il processo formativo dovrebbe essere costellato di misurazionidirette a verificare se lo svolgimento avviene secondo quanto program-mato e, in caso contrario, intervenire con le opportune correzioni.

Tuttavia a volte i progetti falliscono. Vediamo alcune possibili cause:

• obiettivi poco chiari• inefficace gestione delle risorse• scarsa comunicazione• basse prestazioni

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• gestione inefficace del progetto• mancanza di leadership.

Ma se noi vogliamo che il progetto abbia successo sono necessari:

• chiari e precisi obiettivi e requisiti di Progetto• un impegno esplicito dei Presidi, Senato Accademico, Rettore• un committente (studenti, famiglie, mondo economico)• un responsabile (Project Manager)• informazioni e buona comunicazione• risorse adeguate e forte motivazione• rispetto delle milestone contrattuali e di verifica interna• aspettative realistiche.

I punti che il project manager deve rispettare potremmo definirli deiveri e propri “comandamenti”, tanto sono importanti. Essi sono:

1. definire lo scopo e l’obiettivo del progetto2. definire i punti critici del progetto3. definire i fattori di successo del progetto4. definire il piano degli incontri-chiave5. divulgare le informazioni6. effettuare rigorosamente l’avanzamento7. controllare l’andamento rispetto al budget8. modificare il piano solo se indispensabile9. non nascondere le criticità ma affrontarle

10. ricordare che lo strumento informatico è solo un supporto.

Un elemento molto importante è l’architettura del progetto che èformata dalle seguenti componenti:le fasi del progetto, il ciclo di control-lo, l’iter del progetto, l’ambiente di progetto, le strutture di scomposizio-ne, i calendari, le risorse.

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C ICLO DI C ONTROLLO DEL P ROGETTO

Start up Progetto(definizione generale anali-

si….)

PIANIFICAZIONEstime nuove o rivedute Congelamento

del piano (Base-

line)

AGGIORNAMENTOdati di avanzamento

REPORTISTICA

VARIAZIONI?

AZIONI COR-RETTIVE

FASE DI PIANIFI-CAZIONE

MODIFICHE SO-STANZIALI (TECNI-CHE O CONTRAT-

TUALI)

no

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L’ ITER DI P ROGETTO

Definire l’ambiente (obiettivi)

Identificare le ATTIVITA’

Definire la LOGICA diesecuzione del lavoro

Stimare le DURATE

Stimare i FABBISO-GNI DI RISORSE

Identificare i TARGETTEMPORALI

Effettuare la ANALISI DEITEMPI

Eseguire la OTTI-MIZZAZIONE RI-SORSE

Congelare il pianoBASELINE

Effettuare ilcontrollo di AVANZAMENTO

Simulazioni piano

Raccolta datiper avanza-mento

Modifiche so-stanziali (tec-niche o con-trattuali)

Possibilità diutilizzo deiTEMPLATESe dei dati sto-rici

Emissione dellareportistica

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Un altro elemento rilevante è la pianificazione temporale che è for-mata dalle parti seguenti: diagrammi di Gannt, tecniche reticolari di

programmazione, costruzione del reticolo logico, analisi dei tempi, i pro-grammi di progetto, milestone schedule, master project schedule, detai-led project schedule.

La pianificazione temporale si sviluppa attraverso l’emissione di unaserie di programmi di progetto il cui grado di dettaglio cresce progressi-vamente, in relazione ai diversi momenti gestionali ed alla sempre mag-gior confidenza con le problematiche operative e gestionali.L’elaborazione dei programmi di progetto deve essere eseguita utilizzan-do le tecniche di programmazione più idonee; le più utilizzate sono i dia-grammi di Gannt e le tecniche reticolari di programmazione.

Nel diagramma di Gannt, a fronte di ciascuna attività del progetto, siposizionano, in corrispondenza delle date di inizio e fine delle attività, econ riferimento ad una scala tempi disposta orizzontalmente, dei seg-menti di lunghezza proporzionale alla durata delle attività stesse. I dia-grammi di Gannt, per la natura ed il tipo di rappresentazione grafica,vengono anche detti barchart o diagrammi a barre.

Attività I mese II mese III mese IV mese VI me-se

A

B

C

D

E

I vantaggi di questo diagramma sono costituiti dalla semplicità disviluppo, dalla immediatezza e semplicità di interpretazione, dal bassocosto di sviluppo e dal facoltativo utilizzo di programmi software. Percontro uno svantaggio può derivare dalla difficoltà di interpretazione deilegami di interrelazione fra le attività del progetto, in mancanza di unadocumentazione di supporto che illustri la logica con cui sono stati gene-rati i diagrammi.

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Un reticolo si costruisce invece nel modo seguente:

Le attività di pianificazione e controllo di un progetto risultano effet-tivamente efficaci solo se supportate da un’adeguata struttura di repor-ting. I dati di pianificazione e controllo devono essere tradotti in formatiidonei per informare, in modo pertinente e ad un livello di dettaglio ap-propriato, le diverse figure o le diverse entità coinvolte nel progetto. Ilsistema di reporting deve essere strutturato sui seguenti requisiti fon-damentali:

• tempestività : i vari report devono essere prodotti al momentogiusto

• pertinenza: le informazioni devono poter essere aggregate ai li-velli di dettaglio corrispondenti al ruolo funzionale ed al livello diresponsabilità delle figure che partecipano al progetto.

Inoltre l’attività di reporting deve evolvere, in accordo al ciclo di pro- ject control, secondo due fasi principali: quella di pianificazione e quelladi controllo. In fase di pianificazione l’attività di reporting è essenzial-mente mirata a produrre il Piano Esecutivo di progetto (PEP).

Questo è costituito dall’insieme dei documenti di pianificazione chestabiliscono gli obiettivi di riferimento per la realizzazione del progetto intermini di: tempi, risorse, costi.

LISTA DELLE ATTIVITÀ

LOGICA DELLE ATTIVITÀ

DURATA DELLE ATTIVITÀ

DATE IMPOSTE

ASSOCIAZIONE CON STRUTTUREINFORMATIVE (WBS, OBS,…)

ANALISI DEI TEMPI

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Deve strutturarsi in quattro sezioni:

1. Architettura di Progetto2. Programmi di realizzazione3. Piani di impegno risorse4. Pianificazione costi.

E’ normalmente emesso al termine della fase di pianificazione delprogetto e deve essere aggiornato solo in coincidenza di attività di ripia-nificazione del progetto.

I n fase di controllo l’attività di reporting ha lo scopo di produrrerapporti periodici di avanzamento che qualifichino in modo inequivocabi-le lo stato del progetto. Questi devono essere articolati in modo tale daconsentire alle varie figure coinvolte nella gestione di disporre di infor-mazioni ad un livello di dettaglio pertinente con il proprio ruolonell’ambito dell’organizzazione aziendale. L’insieme dei report di control-lo costituisce il “ PROGRESS REPORT ” di progetto.

Quanto illustrato dovrebbe aver dimostrato che il projectmanagement, essendo orientato alla gestione ottimale di tempi, qualitàe costi, è lo strumento adatto per i manager didattici. La gestione deicorsi di laurea è infatti costituita dal dipanarsi di un processo formato davarie fasi ciascuna delle quali vede diversi attori coinvolti, sia nella strut-tura interna che nell’ambiente esterno.

La variabile tempo è importante perché consente di spezzare il pro-cesso in fasi ciascuna delle quali, monitorata tempestivamente, permet-te di introdurre gli interventi correttivi che riportano in linea il processo.Il tempo costituisce, per il prodotto didattico, un elemento importanteinsieme alla qualità.

Con il project management ogni fase deve essere progettata non so-lo con un orientamento ai tempi, ma anche alla qualità dei risultati in-termedi, in vista dell’ottimizzazione del risultato finale.

Non va inoltre trascurata la focalizzazione dei costi, critica in un pe-riodo caratterizzato dalla scarsità delle risorse come quello attuale.

Il project management si colloca quindi tra gli strumenti di pianifica-zione e controllo tecnicamente più evoluti e organizzativamente più effi-caci.

Tuttavia le organizzazioni talvolta oppongono resistenzeall’introduzione della pianificazione con argomentazioni che in realtà ap-partengono alla categoria delle “scuse” tanto sono prive di autenticocontenuto critico. E’ bene che il manager didattico sia in tal senso prepa-

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rato, così da smontare adeguatamente gli argomenti proposti e a tal fineci sembra opportuno indicare le scuse che più frequentemente vengono

addotte per non pianificare:non ho tempo per queste coseho sempre fatto il lavoro anche senza questa metodologianon ci sono persone da dedicare a questa attivitàil mio lavoro non è pianificabilenel mio progetto esistono troppe variabilii sistemi di Project Mangement sono troppo complicatima tanto, come dice la legge di Murphy ,“ciò che può andaremale, certamente andrà male”.ma…. noi siamo diversi.

Quella che accomuna un po’ tutti è proprio l’ultima, poiché ogni real-tà organizzativa si sente diversa dalle altre e, a maggior ragione, saràopposta in ambiente universitario dove tale mentalità è particolarmenteradicata. Gli strumenti di pianificazione e controllo non sono però natiper gestire problemi ed aziende “standardizzate” che, tra l’altro, non esi-stono. Sono invece pensati per gestire la complessità, l’innovazione e laqualità attraverso strumenti flessibili che valorizzano il contributo offertodalle risorse umane. Sono quindi particolarmente adatti alle Università.

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