Luoghi senza identita - Test e Strumenti Psicodiagnostici · Ogni santo giorno bisogna alzarsi,...

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SCIENZE UMANE

a cura diAlberto Oliverio

Bruce Bégout

Luoghi senza identità

Il motel come metafora del nomadismo e della precarietà delle relazioni umane

Traduzione di Gabriele Noferi

Titolo originale:Lieu commun. Le motel américain© Editions Allia, Paris, 2003

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ISBN 9788809765283

Edizione digitale realizzata da Simplicissimus Book Farm srl

Prima edizione digitale 2010

A Diotima, maestra d’amore

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Premessa

La lezione delle cose ordinarie

È troppo tardi per imparare l’ebraico, è molto più importante capire il gergo del giorno.

[H. D. Thoreau]

Quali che siano i suoi aspetti, il quotidiano ha questacaratteristica essenziale: non si lascia afferrare. Sfugge.Appartiene all’insignificanza, e l’insignificante è senzaverità, senza realtà, senza segreto, ma probabilmente è

anche il luogo di ogni possibile significato.[M. Blanchot]

Giorno dopo giorno, una verità si impone: la vita quoti-diana si impone come una fatalità assoluta. In genere ne se-guiamo le regole invisibili e ubbidiamo ai suoi implacabili de-creti, giacché non possiamo sfuggirle se non vogliamo per-derci. Ha la facoltà comune ma non per questo meno potentedi farci accettare a ogni costo la realtà e il suo principio. Ilquotidiano è il nostro primo mondo, quello che ci è dato pro-vare fin dalle primissime esperienze e che non abbiamo maismesso di percorrere e di conoscere. Nessuno può vivere senon quotidianamente.

Tuttavia questo fatto inconfutabile non smette a volte di es-sere pesante. Ogni santo giorno bisogna alzarsi, lavarsi, vestirsiseguendo certi codici, bisogna nutrirsi rispettando certe re-gole, bisogna andare a lavorare e affrontare gli altri senza sot-trarsi alle norme del vivere civile, bisogna tornare a casa, met-tere in ordine e preparare da mangiare. Queste piccole esi-

1. G. Büchner (1976), La morte di Danton, Edizione gli associati, Roma, p. 49.

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genze momentanee si rivelano più imperiose dei dieci co-mandamenti. In ogni istante, l’imperativo categorico della vitanormale ci intima di fare di ognuno dei nostri gesti l’espres-sione pura di ciò che è sempre stato e sempre sarà, evidenzascontata che fonda certamente la nostra tacita fiducia nella re-altà, ma che, vista da lontano, rivela l’aspetto beffardo di unasilenziosa tirannia. Questa sottomissione che definiamo “le ne-cessità della vita”, in mancanza di un’espressione più appro-priata, è tanto più schiacciante e invincibile in quanto la suaforza di persuasione rimane misteriosa. Non è la morte pros-sima, crudele e pubblica a impaurire il Danton di Büchner, mail dominio, costante perché ignorato, del tempo quotidiano:

È il tempo che perde noi. Che noia, prima la camicia e poi ipantaloni, e la sera andare a letto e la mattina alzarsi, e tirareavanti un piede dopo l’altro – e non ha proprio l’aria di cam-biare.1

Per tutta la vita, dunque, manipoliamo gli stessi oggetti,facciamo gli stessi percorsi, fissiamo gli stessi cartelloni e lestesse persone, adoperiamo le stesse frasi stereotipate, eppureoggetti, percorsi, persone, parole rimangono oscuri, velatidietro la loro banale chiarezza. Per una specie di presenti-mento familiare, crediamo sempre di sapere cosa sono e cosafanno, e tale carattere di evidenza immediata basta a se stesso.La loro insignificanza è il loro camuffamento. Questo è il mo-tivo per cui il quotidiano corrisponde all’insieme dei fatti edelle cose cui non vale la pena di dedicare una pausa di ri-flessione: è sempre lì, già prima che proviamo ad avvicinarlo.È vero che nessun fatto quotidiano ha bisogno di lunghe spie-gazioni. Non suscita neppure un’ombra di dubbio o una do-manda. È così. È dato per certo in partenza. Nella vita quoti-diana, che abbraccia tutto ciò che può essere ripetuto senzafarne ogni volta oggetto di cambiamenti, sappiamo meccani-

2. L’espressione francese richiama l’assonanza pain quotidien/vain quotidien (n.d.t.).

LA LEZIONE DELLE COSE ORDINARIE

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camente quello che si deve dire e fare. Prima di ogni specula-zione, l’ordinario possiede un senso chiaro e adeguato e nonrichiede commenti.

Tuttavia il senso dell’ordinario in parte ci sfugge. Simile auno specchio, riflette tutto, tranne il rispecchiamento. Ab-biamo un bell’essere persuasi del valore e dell’interesse di ciòche facciamo e diciamo quotidianamente: basta prendere ap-pena le distanze perché quegli atti e quelle parole perdano laloro trasparenza immediata. La quotidianità delimita un’areadi certezza e di errore, di sicurezza e di agitazione, e questosenza che sia possibile, nell’atteggiamento pratico e nell’ur-genza della vita, dissociare ciò che vogliamo fare da ciò chefacciamo veramente. Così l’uomo quotidiano vive, senza ne-anche rendersene conto, nella non evidenza dell’evidente, inquella pistis (persuasione) rassicurante e piatta di cui parlaPlatone nella Repubblica a proposito dei prigionieri nella ca-verna. Ma se tutto gli appare evidente, di questa evidenza nonfa oggetto di pensiero; ci si tiene stretto con una specie di fi-ducia che sconfina talvolta nella cecità.

Tuttavia i vari elementi della scena quotidiana, qualora fos-sero auscultati con l’attenzione che ci fa difetto nella pretesasicurezza dei gesti quotidiani, assumerebbero forse un aspettodiverso, svelandoci parte di quanto la vita comune ci nascondenel suo stesso eccesso di presenza. Ma in questa prospezionedell’ordinario, quale elemento scegliere? Nella sua mancanzad’interesse, tutto ciò che è comune sembra assumere unostesso valore di nullità. Il nostro vano quotidiano.2 Il più vicinoè insieme il più lontano. Gli utensili, le macchine, le merci, gliedifici così come coloro che li utilizzano sono rivestiti di unapellicola d’indifferenza. Forse il motel potrebbe fare al casonostro. Dopo tutto, cosa c’è di più banale di questo albergolungo la strada, pulito ed economico, dove spesso ci fermiamouna sola notte, costretti sia dal prezzo che dal tempo? Cosa c’èdi più materialmente sobrio e simbolicamente povero di

questo edificio che si esaurisce nella sua funzione? E tuttaviail motel, come ogni elemento ordinario della città, non acqui-sisce senso se non rispetto all’umanità che ospita. Al di là dellasua dozzinale semplicità commerciale ci dice, su di noi e su ciòche ci circonda, più di tanti trattati di urbanistica e di socio-logia metropolitana; la sua verità non consiste in una rico-struzione a posteriori dei vari elementi della nostra esistenza,ma la presenta senza mediazione nella sua reale concretezza.Ciò che ci rivelerà il motel potrebbe toccarci più in profon-dità dei libri ai quali ci rivolgiamo quando vogliamo saperecome stanno le cose.

Ma cosa abbiamo mai a che fare noi con un motel? Non èforse solo un elemento del paesaggio urbano americano chefa da scenario ai film di serie B e ai romanzi gialli? A questotitolo giustificherebbe niente più che una ricerca di genere.Cosa c’è nel motel che meriti un saggio sulla costituzione ge-nerale della nostra quotidianità? Il motel non è soltanto unesempio dell’american way of life (oggi proliferano nelle peri-ferie di quasi tutto il mondo), ma materializza nuove forme divita urbana in cui la mobilità, l’erranza e la povertà hanno unposto preponderante. Possiamo dunque leggervi la metamor-fosi della città che, all’incrocio di economia, architettura e fic-tion, trova nel motel un luogo adeguato. È partendo dagli ele-menti più comuni del mondo profano che possiamo speraredi afferrarne la trama complessa e molteplice. Riunendo i di-versi frammenti fortuiti della vita quotidiana saremo in gradodi vedere nelle parti il tutto che le unisce.

Un’epoca non rivela il proprio senso attraverso una mec-canica interpretativa che incolla concetti al mondo della vita,ma con l’analisi dei fatti, anche i più insignificanti e banali, chesulla sua superficie luccicante, e per ciò stesso accecante, com-pongono figure significative. Perciò ci proponiamo di mo-strare, attraverso l’indagine filosofica della città, che il quoti-diano esige un nuovo genere di sguardo, che non si accontentadella scomposizione analitica delle sue molteplici manifesta-zioni in un’ottica di volta in volta estetica, politica, sociologica,

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PREMESSA

antropologica. Cercheremo invece di comprendere la cittàcome una totalità piena, articolata interiormente, dove in ogniistante interferiscono dialetticamente sia condizioni oggettive(architettura, arte, tecnica, posizione geografica, funzione eco-nomica e sociale), sia prospettive strettamente soggettive epersonali (usi e costumi, simbolizzazione, negazione, ecc.).

Tuttavia l’archeologia dei significati del mondo quotidianoe urbano non può limitarsi a portare alla luce strutture gene-rali che il caos della superficie dissimula e rende inverosimili.Si tratta anche qui di mettere alla prova ciò che, consideratocomune e banale, resiste alla chiarezza della teorizzazione.Ora, tale natura equivoca del quotidiano lo costituisce inquanto tale. Bisogna quindi guardarsi dallo scartarla in nomedell’intelligibilità del reale, con un metodo che vorrebbe tra-durre subito l’avvenimento corrente in un fatto conosciuto.Tale filosofia della vita quotidiana va vista come l’esumazionepaziente del carattere problematico delle cose ordinarie, e noncome la sua pura e semplice abrogazione. Al contrario del-l’inchiesta poliziesca, la riflessione filosofica non ha infatticome finalità la risoluzione dell’enigma e la conclusione del-l’indagine, ma aspira a mettere in evidenza il carattere pro-blematico dei fatti. Se una teoria del quotidiano favorisce unacomprensione più chiarificatrice del mondo della vita, puòfarlo rivelando il processo interno della sua formazione, altempo stesso stabile e instabile, strano e familiare.

La scelta della città americana non dipende solo dalla forzae dalla costanza della sua influenza mondiale, ma dal fatto chela verginità dello spazio del Nuovo Mondo ha permesso di co-struire una realtà urbana ex nihilo, una urbanità quasi diafana,nel senso che il suo significato coincide totalmente con la suaedificazione. Inoltre, come bene hanno visto Emerson e Tho-reau, la cultura americana si è costruita in funzione di un in-teresse essenziale per la quotidianità. Ha fatto della vita di tuttii giorni una grande scommessa per l’umanità, il luogo, banalee intenso al tempo stesso, dove far convergere tutti gli sforzidi trasformazione sociale, l’ha resa materia privilegiata della

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sua futura emancipazione. Così, attenta a ciò che costituiscela condizione elementare di ogni esistenza, ha fatto della vitaquotidiana nuova arena filosofica, dove l’incertezza generaledella vita viene alla luce in maniera inquietante. Ormai ilmodo di guadagnarsi la vita, la disposizione della casa, la sceltadelle letture, l’organizzazione del tempo libero sono diventatiproblemi filosofici altrettanto degni d’interesse quanto il pro-blema degli universali o la questione della supremazia delbene.

La scelta del motel americano deriva dalla sua capacità disvelare le determinazioni comuni della vita urbana contem-poranea: marginalità, povertà, uniformità, mobilità, standar-dizzazione, dissociazione, spersonalizzazione, diffidenza, ano-nimato. Tutti elementi caratteristici che ci serviranno da puntidi riferimento nei suburbia americani. Certo, altri luoghiavrebbero potuto aiutarci altrettanto bene nell’indagine suiconfini della nostra esperienza quotidiana: centri commerciali,stazioni di servizio, autogrill, ecc. Una logica simile di occu-pazione del territorio contrassegna le aree suburbane privedi identità: quella dell’esplosione della centralità a beneficiodi uno spazio transitivo e mobile dominato dalla perdita di le-gami col mondo. Tuttavia, in ragione del posto particolare cheha nella città e soprattutto nell’immaginario letterario, pitto-rico e cinematografico, le nostre riflessioni si sono indirizzatesoprattutto al motel. Hanno cercato di descriverne l’anatomiacompleta, di scomporne il corpo architettonico e sociale intutti gli elementi fondamentali, sia che si riferiscano alla vitaeconomica, al modo di spostarsi nello spazio o alla capacitàumana di dare un senso a ciò che, con ogni probabilità, ne fa-rebbe benissimo a meno.

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