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JOHNNY VOLPE

Animali da palcoscenicoLuoghi, persone e attivita ludiche

che si sviluppano a marginedell’attivita di un’orchestra

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Introduzione

Il mondo artistico e sicuramente tra quelli piu ricchi difermento per l’imprevedibilita di un lavoro sottoposto a con-tinue e ingestibili variabili. Negli anni in cui ho spaziato all’e-stero per varie istituzioni artistiche e musicali mi sono capi-tate situazioni veramente divertenti, al limite dell’assurdo cheho deciso di raccontare dividendole per categorie: dall’archi-vio alla direzione generale, dalla direzione artistica, ... al va-riegato mondo delle maschere...; un universo esistenzialemolto ricco, che testimonia quanto le passioni possano esal-tare la personalita di coloro che vivono di musica.

Quando si va ad ascoltare un concerto, in effetti, si co-glie solo la conclusione di un lavoro che necessita di unapreparazione minuziosa ed accurata, quasi fosse il puzzle diun quadro impressionista, il quale trova una sua precaria rea-lizzazione su un tavolo in bilico su un precipizio. Tantotempo per capire dove inserire le tessere mancanti, selezio-nando con attenzione non solo le sagome, ma anche le diffe-renti sfumature dei colori, senza possibilita di sbagliare e di-sponendo di un tempo limitato, prima che il tavolo precipitinel vuoto. Il concerto, in effetti, e un momento magico,breve e irripetibile nella sua unicita. Non duplicabile, anchequalora debbano sopraggiungere delle telecamere e dei mi-crofoni, che vogliano tentare di trasmettere ai posteri la me-moria visiva e uditiva dell’evento. All’evento musicale biso-gna partecipare perche possa comunicare le sensazioni piuprofonde. Forse, l’immagine del mandala tibetano e un po’forte, ma puo dare l’idea del lavoro, minuzioso e precario, fi-

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nalizzato alla realizzazione di un concerto. Lavoro, che scom-pare tra i venti come i disegni dei monaci tibetani, non ap-pena abbiamo ascoltato l’ultima nota proveniente dal palco-scenico. Tutto svanisce ogni sera e si rinnova peraltro ilgiorno seguente, nonostante nella tua vita possano attraver-sarti le maggiori sventure possibili come il bucare unagomma, oppure perdere la schedina vincente del totocalcio.

Un momento magico, breve e irripetibile che ti ripagadelle mille attese preparate con cura per ogni concerto. Pre-parazioni dense di ansia che richiamano alla memoria leprime frustranti attese per i cosiddetti saggi di fine anno, cheogni musicista conserva – volente o nolente – nei vaghi ri-cordi dell’infanzia. Quale musicista non possiede la memoriadei saggi di fine anno nella propria scuola di musica trabambini piangenti, insegnanti intransigenti, mamme ansiosee papa insofferenti?

Il mio incubo inizio, quando mi assegnarono una piani-sta molto piu giudiziosa di me per suonare la Barcarola diArmando Curci al saggio finale del primo corso. I violinisti –si sa – hanno qualche problema d’intonazione, specialmentequando iniziano a studiare, e quella fanciulla con i boccoliera dotata davvero di tanta pazienza per riuscire a soppor-tare le mie imprecisioni, sottoponendomi ad estenuanti provepomeridiane, inframmezzate da un’unica, brevissima, pausaper la merenda. Un momento conviviale parco e austero, co-stituito da due gallette e un bicchiere d’acqua del rubinetto,come si diceva allora. Nemmeno la gazzosa mi offriva la miaprima partner musicale, della quale ricordo soprattutto lavoce acida e i grandi occhialoni, che nascondevano un viso –per la verita – non particolarmente grazioso.

Forse, la troppa invidia nei suoi confronti, perche suo-nava uno strumento (e cosı pongo delle ottime premesse per-che possa iniziare fin dalle prime pagine di questo libro unabella polemica tra pianisti e violinisti) che consideravo piufacile, avendo i suoni gia determinati nella loro altezza; forse,

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la maggiore organizzazione nello studio, tipica delle bimbenei primi anni delle scuole elementari; o forse, la determina-zione di quella fanciulla (che a volte mi prendeva le dita eme le spostava sulla tastiera, ‘‘per intonare a forza il passo’’,diventando nel mio immaginario di bambino la ‘‘Storcidita’’,uno strano essere dei cartoni animati), me la fecero appariremeno avvenente di quanto in realta fosse, ovvero una vera epropria racchia, saputella e troppo costante nello studio.

In effetti, con lei fu solo una stretta collaborazione arti-stica, nulla di piu, soprattutto perche fin da bambini vi sonoritmi di prove veramente estenuanti, che ti fanno dimenticarela poesia dell’incontro tra un maschietto e una femminuccia.

Il giorno del saggio, poi, e quello piu frenetico. Tutti de-vono salire sul palcoscenico per cui le prove iniziano findalle prime ore del pomeriggio per protrarsi fino a qualcheminuto prima che entri il pubblico in sala. Un tour de forceestenuante – governato non solo dagli insegnanti che cercanodi far salire per primi i loro allievi, in modo tale che possanotornare a casa e riposarsi piu degli altri – ma nel quale si as-siste alle prime scaramucce tra genitori per gli spazi e la visi-bilita sul palcoscenico dei loro figli. Quella volta erano trebambini a misurarsi con un trio. Flauto, pianoforte e violon-cello, ma il flautista era un po’ sfiatato per la stanchezza, ilpianista ‘‘pestava’’ troppo per il nervosismo e il violoncellistastonava perche (purtroppo) non era figlio di Rostropovich.Cosı, visto che tutti gli insegnanti si erano temporaneamenteeclissati per una lunga pausa al bar dell’angolo, intervennerodirettamente i genitori dei giovani musicisti, che impiegaronopochi minuti per rovinare completamente il clima gia teso.La mamma del flautista accuso la mamma del pianista difarlo suonare troppo forte. La mamma del pianista si offeseperche non tollerava che il figlio venisse scambiato per unpianista accompagnatore (suo figlio era un pianista, un piani-sta punto e basta; un pianista senza aggettivi, al massimo sisarebbe potuto aggiungere che studiava per diventare un so-

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Il bello che studiava economia e composizione

Per diversi mesi la situazione rimase stazionaria. Nessunovenne assunto per sostituire il ‘‘buffo personaggio’’, cosı miarrangiai da solo. Iniziai con l’introdurre le famose richiestescritte per la distribuzione delle fotocopie e il sistema fun-ziono, oltre a farmi fare quattro risate con le diverse ortogra-fie che venivano impiegate per autori come Brahms, chespesso diventava Brams, Mendelssohn, che si trasformava inMendelshonn (con l’acca che poteva spostarsi a seconda deigiorni), Dvorak che frequentemente diventava Vorak e cosıvia. Il rapporto era comunque ottimo perche i colleghi ap-prezzavano l’impegno e la dedizione. Ci furono periodi eroiciperche durante una settimana densa di appuntamenti artisticila societa dei telefoni ci taglio i fili non certo per ragioni dicarattere tecnico, ma per la piu classica delle situazioni: nonavevamo pagato le bollette! Cosı, dovetti effettuare tutte letelefonate di lavoro dal mio vecchio telefono cellulare, sco-prendo che alcuni direttori d’orchestra non sempre hanno leidee chiare sui brani, che dovranno dirigere. Uno di questimi chiamo perche non sapeva che esistessero diverse versionidi uno stesso brano sinfonico. Io spiegai al mio cellulare, conla mia personale scheda telefonica, le caratteristiche delle va-rie versioni, facendo una lunga dissertazione musicologica almaestro che avrebbe dovuto dirigere il brano. Una specie di‘‘pronto soccorso musicologico’’ anche perche pochi giornidopo il maestro avrebbe iniziato le prove con l’orchestra edoveva ancora scegliere la versione della partitura cheavrebbe voluto adottare. Feci notare poi al maestro che la

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Gli orchestrali

Gli orchestrali sono il primo motore di un’orchestra, l’a-nima pulsante di un’istituzione artistica, e con la loro vogliadi prodursi, di esprimersi e di lasciare spazio alla loro creati-vita contaminano l’ambiente nel quale si trovano. L’imma-gine che preferisco dell’orchestra e quella di una creaturastraordinaria, con tante teste e tante braccia, che si muovonoe si agitano ognuna con la propria energia. L’energia, laforza, e la sensazione che avverto tutte le volte che entro inun ambiente musicale, per quel fluire di vibrazioni che ti in-vade. Non hai difese perche la musica ti attraversa semprecon la sua energia pervasiva. Inizialmente ascolti i suoni, poirimani attirato dalle movenze dell’artista che si produce inun balletto continuo, utilizzando ogni muscolo del suo corpoper farti partecipe del suo messaggio sonoro. Anche la mi-mica del volto cambia, lo sguardo si concentra, ma lascia co-munque trapelare il fluire delle emozioni attraverso lo scintil-lio degli occhi, che ruotano sulla partitura per cercare laprossima difficolta e per esorcizzarla. Tu sai che quel‘‘passo’’ non sempre e perfetto, che quel la acuto non sempree intonato, bello nel suono e le note che seguono quel laacuto sono veloci, sfuggenti, ma non sempre riesci a suonarlecome vorresti, con i respiri adeguati, con gli appoggi piu in-dicati. Tu sai di aver passato tanto tempo su quel ‘‘passo’’,ma a chi ti ascolta questo non interessa perche la tua musicadeve fluire comunque, indipendentemente dalle ‘‘difficoltaoggettive’’, perche altrimenti si interrompe l’atmosfera cheeri riuscito a creare. Dall’altra parte, il pubblico, in specie se

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e musicista, o amico, o parente di chi sta suonando, non emai spettatore passivo, ma freme anch’egli sulla seggiola e –dopo il sopraggiungere del ‘‘passo complicato’’ – si rilassa,attendendo le prossime difficolta. Tutto magari sfugge agliocchi di spettatori inesperti, ma lo scorrere di tutta questaenergia li attraversa comunque e trasforma la loro percezionedella realta. Alla fine di un concerto le emozioni tendonosempre a risuonare per tutta una serata, non solo per l’ogget-tiva forza comunicativa della bella musica, ma anche per l’e-nergia degli esecutori: insomma l’adrenalina che scaturisce daun concerto non contagia solo gli addetti ai lavori, ma invadetutti senza distinzioni di sesso, razza o spessore culturale.

Il momento in cui le energie degli orchestrali raggiun-gono uno dei vertici massimi e quando sono in attesa di suo-nare. Girovagano per le zone del retropalco in modo in-quieto, creando un ‘‘magma sonoro’’ di grande suggestione.C’e quello scrupoloso, che prova e riprova i ‘‘passi male-detti’’; quello che sciorina a tutti la sua bravura sulla cadenzadi un concerto, che non avra mai occasione di suonare difronte a tutti, ma – chissa perche – in quel contesto gli riescebenissimo; quello che – per scacciare l’ansia da prestazione –ti propone le musichette della pubblicita; e quelli che – l’im-mancabile coppia di musicisti – si producono in un’esecu-zione estemporanea di qualche celebre duetto di Rolla, diPleyel o di Mozart.

Il tutto accade in un’atmosfera trepidante in cui si chiac-chiera, si ride, ma ci si annoia anche, perche non sempre itempi vengono rispettati al secondo e si vorrebbe salire sulpalcoscenico per poi finire l’esibizione e tornarsene a casaper vedere magari lo scampolo di partita di calcio, che si epersa a causa del concerto. Capita, in effetti, che in prossi-mita del palcoscenico vi siano dei televisori e che, fino all’ul-timo, si abbia la possibilita di vedere la finale di championsleague, discettando con i colleghi sulla bravura del tal attac-cante e le nefandezze del tal allenatore. Addirittura, in qual-

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che concerto di minor rilievo, la stessa televisione rimane ac-cesa per tutto lo spettacolo, in modo tale che gli artisti neicambi di organico tra un brano e l’altro rimangano aggior-nati sullo svolgimento. Ricordo che un orchestrale si portassela radiolina durante le prove e la accendeva, ovviamente conl’auricolare, nei momenti di stasi, per poi divulgare le infor-mazioni essenziali al resto dei colleghi, che manifestavanocon evidenti cambiamenti della mimica facciale le emozionidi una partita vissuta quasi ‘‘dal vivo’’.

Poi, finalmente, salgono tutti sul palcoscenico, ma primache arrivino il solista e il direttore passa ancora del tempo.Certo sto parlando di pochi minuti, pochi lunghissimi mi-nuti, che peraltro non trascorrono mai. In questi momenti lesituazioni possono evolvere comunque sempre al peggio. Hogia parlato della mancanza della parte della seconda celestanel Mandarino Meraviglioso di Bartok e delle ‘‘occhiatacce’’,che mi mandava proprio in questi momenti la strumentista,orbata del suo spartito. Le ‘‘occhiatacce’’ (ma anche qualco-s’altro) arrivavano direttamente a me, perche la signora eravicina alla mia entrata; in altri casi, invece, le informazioniprovenivano dalla parte opposta del palcoscenico, filtrate ealterate da uno scambio ‘‘non verbale’’, che puo diventaredivertentissimo. Vi chiederete perche dovesse essere ‘‘nonverbale’’, visto che la moderna tecnologia (e nemmeno tantoavanzata) prevede l’utilizzo di comodi citofoni interni. Neiposti dove ho lavorato il citofono quasi mai veniva impie-gato, un po’ per le classiche difficolta tecniche, cioe era pe-rennemente in riparazione, un po’ perche era collocato lon-tano dall’entrata e quindi ti portava a procedere continua-mente avanti e indietro dall’ingresso del palcoscenico in untour de force che stordiva, ma soprattutto perche – e locredo fermamente – non c’e nulla di piu stimolante, che ten-tare di comunicare a gesti di fronte a tante persone (il pub-blico del teatro) ignare dei fatti, che si stanno svolgendosotto i loro occhi, ma dei quali non vedranno mai nulla. Cio

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che rende tutto piu elettrizzante e, inoltre, la frenesia, che siproduce in questi delicati momenti perche il concerto sta periniziare e bisogna evitare che il pubblico si accorga delle in-certezze incorse all’ultimo momento.

La situazione piu classica che si potesse verificare eral’improvviso sfondamento di una seggiola. L’orchestrale si se-deva e scopriva che la sua postura era incerta, allora – nelcaso non fosse ancora entrato il collega e il pubblico fossepoco e distratto – tentava con feline mosse di cambiare ilsuo scranno con uno limitrofo. Certo, non sceglieva la seg-giola del compagno di leggio perche la cosa poteva risultaresmaccatamente inelegante, piuttosto prendeva quella del leg-gio che lo precedeva come esternazione di una piccola invi-dia per il posto piu ragguardevole del collega. Ovviamente, aqualcuno doveva pur rimanere la seggiola sfondata, cosı allafine entrava il tecnico di palcoscenico e la cambiava conbuona pace di tutti. In alcuni periodi di particolari ristret-tezze economiche, pero, la mancanza di sedie era cosı cro-nica da far rispondere laconicamente i tecnici di palcoscenicoalle assillanti richieste dei musicisti, che erano terminate. Inquel caso per l’orchestrale si preannunciava un concerto vis-suto in modo decisamente precario con una natica piu altadell’altra, temendo sempre di sprofondare a terra, ammac-cando il nobile deretano.

Capito invece che il cigolare di una seggiola interrom-pesse la prova con un famoso direttore. Si stava suonando laSinfonia Fantastica, brano in cui ai contrabbassi sono richie-ste doti di agilita tecnica particolari per la presenza di alcunipassi sicuramente non facili, e il ‘‘direttore riccioluto’’ sistava concentrando su alcune battute, che non emergevanoin modo limpido. Aveva gli occhi puntati verso gli strumentigravi dell’orchestra e continuava a richiedere maggiore preci-sione esecutiva. A volte era l’intonazione, a volte erano le di-namiche, a volte il timbro e a volte anche le arcate, che veni-vano continuamente modificate. ‘‘Mettete il do in giu e il si

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in su, cosı poi tutto scorrera meglio. Anzi mettete il do in sue il si in giu, cosı poi il timbro apparira suadente e leggero’’.Insomma, la situazione stava precipitando perche il perso-naggio – di fronte a delle esecuzioni non perfette – stavaperdendo la calma e diventava sempre piu insofferente. A uncerto punto, sul limitare di un pianissimo, cosı ben eseguitodall’orchestra, si avvertı uno strano suono proveniente sem-pre dalle regioni gravi. Ma come, adesso che la situazione siera risolta e il passo veniva alla perfezione, si udivano stranisuoni?

Che cos’era: la maledizione della Sinfonia Fantastica, unvero triller-psicoanalitico che narra l’impossibile storia d’a-more tra il giovanissimo Berlioz, allora dodicenne, e l’attriceinglese Henriette Smithson, molto piu grande di lui, dellaquale il compositore si era follemente innamorato, ma senzaesserne mai corrisposto. E nel brano, dopo i momenti idil-liaci dei primi tre movimenti (Sogni e passioni; Un ballo;Scene dai campi), l’autore ingurgita dell’oppio per dimenti-care le sue fantasie che non si sono avverate e sogna, anzi silascia trasportare in un incubo nel quale uccide l’amata eviene condannato a morte (Marcia al supplizio; Sogno dellanotte di Sabba con le streghe e il Dies irae finale, intonatodalle campane).

Ritornando all’esecuzione di quella volta, gli orchestralisi guardarono tra di loro per capire da dove provenissequella strana vibrazione, ma nessuno riuscı a scoprirlo. Sisuono per la seconda volta quel ‘‘passo maledetto’’ e dinuovo si udı uno strano cigolio. Il direttore fermo la prova efece chiamare l’ispettore d’orchestra. Questi, come a voltecapitava, era uscito per bere un caffe al bar e cosı il direttoreinizio ad inveire contro lo staff per la scarsa professionalita.Ben presto qualcuno corse al bar, dove l’ispettore fu brusca-mente prelevato senza avere nemmeno il tempo di terminareil suo caffe ristretto. Portato di fronte al direttore, fu apo-strofato in malo modo per la sua assenza e per aver inter-

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Indice

Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1

L’archivista musicale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23

L’era del ‘‘buffo personaggio’’, il crescendo rossiniano di un

tipo originale, ma intelligente e sensibile . . . . . . . . . . . . . . 29

Il bello che studiava economia e composizione . . . . . . . . . . . . . 61

Il magretto sveglio che amava il futurismo, il vino e le donne . . 71

Il direttore d’orchestra . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 79

Il mega direttore generale. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93

L’assistente del direttore, detto ‘‘il subdolo’’ . . . . . . . . . . . . . . 97

Il direttore artistico e il direttore di produzione . . . . . . . . . . . . 109

Gli orchestrali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 123

Il coro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 163

La guardiola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 171

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