L’universo festivo della...

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La festa, una fresca e vivace pen-nellata di vernice distesa sul fl uire mo-notono del tempo; uno specchio su cui si rifl ette una sofferta, quanto la-tente, tensione esistenziale; un cuneo che spezza la routine della quotidiani-tà e che al tempo stesso, proprio per questo, la conferma e la rinsalda; un faro che illumina lo squarcio che cia-scuna civiltà cerca, secondo modalità proprie, di aprire all’orizzonte, si inse-risce prepotentemente nel calendario delle comunità lucane, scandendone i ritmi e i tempi.

L’universo festivo della Basilica-ta, costellato da una miriade di piccoli e grandi eventi che si susseguono lun-go l’anno in tutto il territorio regiona-le, nei piccoli centri rurali, collinari e di montagna, come negli agglomerati ur-bani più consistenti, sfugge al momen-to attuale ad una trattazione comple-

L’universo festivodella Basilicata

Enzo V. Alliegro

ta e si confi gura quale oggetto polie-drico e polisemico di rifl essione, di stu-dio e di analisi.

La disamina del patrimonio festi-vo lucano si presenta problematica per l’elevato e differenziato genere di ma-nifestazioni presenti e per le diffi coltà insite in una defi nizione univoca alla luce dei processi di trasformazione e di modernizzazione che lo investono; per le attribuzioni di senso e di signi-fi cato che lo coinvolgono e per i mec-canismi di defi nizione e di ridefi nizione dell’identità culturale che vi attengono; per le chiavi di lettura “arcaicizzanti”, “folklorizzanti” e “mitizzanti” alle qua-li è sottoposto e per le ambigue attivi-tà di “spettacolarizzazione”.

In balia dei tempi, unicamente an-corate ai suoi fl ussi, le feste nascono, si trasformano e convogliano le proprie cariche vitali in nuove funzioni che si

Enzo Alliegro, teacher of Anthropology at “Federico II” University in Naples, suggests to use ‘Feasts’ as keys for cultural, folkloristic and regional studies. When we attend a feast we get acquainted with religious attitudes and behaviours, with rooted rites and symbols of our culture. According to Alliegro, the analysis of our popular feasts (which are duly classifi ed and explained) helps to grasp the modernism of Basilicata and our popular culture is fully aware of such a new identity.

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intrecciano o si sostituiscono a quel-le originali. La festa, una sorta di or-ganismo malleabile strettamente cor-relata ai diversi contesti storico-cultu-rali in cui si radica e di cui è espressio-ne, vive nella e della storia, subendone i contraccolpi.

Non ci si deve stupire, quindi, che una serie di feste legate al calendario agro-pastorale, al suo regime esisten-ziale e al suo orizzonte culturale, viva-no o sopravvivano oggi, in un contesto

socio-culturale ormai mutato, assol-vendo a funzioni che non sono più, o non sono soltanto, quelle originali del-la propiziazione, dell’espiazione, della purifi cazione, della commemorazione, della protezione, della socializzazione, dell’integrazione, etc.

Per non tradire, pertanto, la com-plessità fenomenologica che conno-ta l’insieme dei festeggiamenti luca-ni, nonché lo spessore storico, le con-notazioni socio-culturali, le componen-ti simboliche, gli aspetti etnici e demo-logici, può risultare importante proce-dere attraverso una classifi cazione ca-pace di ricondurre un numero eleva-tissimo di feste ad una griglia tipologica piuttosto ristretta.

Da una analisi di questo genere le feste lucane, tutte quelle che migliaia di emigrati ricordano per avervi parteci-pato prima della partenza, oppure per

averne ascoltato la narrazione da fami-liari e compaesani, feste in parte “tra-piantate” all’estero dalle comunità luca-ne, risultano suddivise come segue:

1) Festeggiamenti legati a Santua-ri ubicati al di fuori dei centri abitati (come, ad esempio, le festività connes-se alla festa della Madonna del Carmi-ne, ad Avigliano; della Madonna di Vig-giano, a Viggiano; della Madonna del Pollino a S. Severino Lucano; della Ma-

donna d’Anglona, a Tursi; della Madon-na del Sirino, a Lagonegro, etc.);

2) Festeggiamenti connessi a pro-cessioni che si svolgono nei centri abitati (come, ad esempio, la festa del-la Madonna della Bruna, a Matera; la Festa di San Gerardo, a Potenza; di San Rocco, a Tolve; di S. Maurizio, a Mon-talbano etc.);

3) Festeggiamenti legati alle Sa-cre Rappresentazioni realizzate in occasione della Settimana Santa (come quelli dell’area del Vulture, a Barile, a Venosa, a Maschito, a Rio-nero, etc.);

4) Festeggiamenti connessi a fe-ste patronali in cui vi sono elemen-ti intrecciati ai culti arborei (come la festa di S. Antonio, a Rotonda; la festa

di S. Giuliano, ad Accettura; la Madon-na del Carmine, a Viggianello etc.);

5) Festeggiamenti legati alla ricor-renza del carnevale (come ad esempio quello di Tricarico, etc.).

Che cosa, se pure in termini sinteti-ci, queste feste sono in grado di attesta-re della Basilicata sul piano strettamente storico-antropologico? Che cosa esse ci dicono, e con quale linguaggio, secon-

do quale particolarità, dell’identità che costituiva una parte così rilevante del-la cultura dei migranti lucani?

La festa della Madonna nera di Vig-giano, con l’attuale bacino extra-regio-nale da cui provengono i numerosi pel-legrini, narra della venuta in Basilicata dei monaci Basiliani e dei suoi antichi insediamenti del Mercurion (Calabria settentrionale), del Latinianon (Basilica-ta nord ovest-Campania sud ovest) del Monte Bulgheria (Cilento) se non del-la dominazione spagnola e le connesse infl uenze.

Le Sacre Rappresentazioni a Barile ed in altri comuni del Vulture attestano, attraverso alcuni personaggi non liturgi-ci, come la zingara ricoperta di oro e i mori impegnati nel gioco, delle migra-zioni, in terra lucana, di colonie albanesi. Aspetto che acquisisce ulteriore signifi -catività nelle feste patronali 8

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a San Costantino e San Paolo Albane-se. Lo stretto lega-me del popolo lu-cano con la foresta, con i boschi, vie-ne molto chiara-mente sottolinea-to dal taglio, dall’in-nesto e dall’innalza-mento degli albe-ri in occasione del-le feste denomina-te “del Maggio” di Accettura, Roton-da, Castelsarace-no e Viggianello le quali documentano importanti proces-

si di sincretismo. I festeggiamenti del-la Madonna della Bruna o della Ma-

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PA donna al Santuario di Picciano ci sve-lano, invece, ciascuno a suo modo, im-portanti legami con il mondo pasto-rale, in particolare con le transuman-ze che investivano il territorio lucano, mentre la festa in onore di santi tau-maturgi come San Rocco a Tolve, San Donato a Ripacandida, concorrono a svelare dure vicende di epidemie e di carestie, di indemoniati e di appestati in epoca medioevale.

Modalità di lotta simbolica intra-presa per assoggettare la natura alla cultura nel tentativo di esorcizza-re l’inverno e d’invocare la primave-ra sono attestati nelle manifestazioni carnevalesche di Tricarico e di Satria-no, mentre la festa della Madonna del Carmine, a Pedali, nel comune di Vig-gianello, in cui è dato osservare resi-dui della danza cerimoniale del falcet-

LA FESTADI SAN GERARDOA POTENZA IN UNADESCRIZIONE DEL 1893DI RAFFAELE RIVIELLO

“Nella vigilia, in su l’ora del vespero, si portavano in città, a suono di pifferi, di tamburi o di bande, le iaccare, cioè grandi falò, fatti di cannucce affacciati attorno ad una trave sottile e lunghissima, per divozione di qualche bracciale possidente, di proprietario vanitoso, o per incarico dei procuratori delle feste. Il trasporto di una iaccara formava una vera scena di brio e di festa per plebe e per monelli. Molte coppie di contadini giovani e robusti la portano sulla spalla. Sopra vi sta uno vestito a foggia di buffo e di pagliaccio, che tenendosi diritto ad un reticolato, o disegno di cannucce, su cui è posta tra foglie e fi ori la fura, o immagine di S. Gerardo, grida, declama, gesticola e dice a sproposito, eccitando la gente a guardare e ridere, per accresce l’allegrezza della festa.Come si giunge al luogo, ove è il fusso per situare la iaccara, la scena muta per folla di curiosi, rozzo apparato di meccanica e timore

di disgrazia. Si attaccano funi, si preparano scale e altri putelli; ed al comando, chi si affatica di braccia e di schiena, chi adatta scale e grossi pali per leva e sostegno, e chi da fi nestra e balcono tira o tien ferme le funi.E ad ogni comando si raddoppiano gli sforzi, si fa sosta e silenzio, secondo che nell’alzarsi lentamente la iaccara, il lavoro procede con accordo di forza o presenta diffi coltà o pericolo.Appena si veda alzata, propone un grido di gioia; tamburi e bande suonano a frastuono, e la gente con viva compiacenza guarda di quanto la iaccara supera in altezza le case vicine. Le iaccare si innalzavano nei luoghi più alti; in piazza, innanzi alla Chiesa di S. Gerardo, avanti a lu palazzi di lu marchese, (oggi Liceo), a Portasalza, di fronte a lu castiedd (ospedale S. Carlo). Per accenderle, la vigilia a sera, bisognava arrampicarsi sino alla cima, e non senza fatica. Queste grandi fi accole erano i fari fi ammeggianti delle feste per farli vedere da lontano. Ardevano tutta la notte, e illuminavano a giorno tutto il vicinato, la cui gente godeva e si divertiva a quelle vita. Anzi nella vigilia a sera, appena cominciava a farsi scuro, in ogni cutana, o vico, in ogni larghetto, e lungo tutta la Pretoria si accendevano centinaia e

centinaia di fanoi (falò), cioè ammassi di sarmenti, di cannucce, scroppi e ginestre secche e verdi, in guisa che tutta la città pareva andasse in fumo e in fi amme, costituendo ciò la caratteristica e tradizione illuminazione di quella festa. Per la strada in quella sera, tra il fumo denso ed amaro e tanti fuochi crepitanti, bisognava procedere a salti e a tendoni, e sentivasi venir meno. La sfi lata dei turchi era, ed è la parte più originale, brillante e fantastica della festa popolare; quantunque abbia subito parecchie ritoccature di novità e di progresso. Ogni turco cercava, a modo suo, di imitare nella foggia e negli ornamenti il tipo tradizionale, e credeva di raggiungere l’intento, mettendosi addosso quanto avesse avuto di meglio in vesti, oro, nocche e fettucce; e cavalcando per lo più un mulo, parato di gualdrappa, fi occhi e campanelli. Quindi gonne bianche, mutande per calzoni, fascitelle rosse, scarpe colorate ai fi anchi, turbanti o cimieri di cartone dorato con svolazzi di piume e gala di nastri pendenti, nocche sulle braccia, grosse orecchini alla turca, sul petto una mezza bacheca di orefi ce, cioè: collane, stelle, spingole (spille) ed altri oggetto di oro”.

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to, è testimone del dramma delle so-cietà avviate alla cerearicoltura.

Già in queste descrizioni, inevita-bilmente sommarie, sono ravvisabi-li molte suggestioni che possono de-rivare da una lettura in termini stori-co-antropologici delle feste tradiziona-li lucane, lettura che consente di pren-dere coscienza di una serie di stratifi -cazioni e delle rispettive interrelazioni che si sono avute in ambito regiona-le e soprattutto di collocare tali even-ti festivi in ambiti tematici di portata e di spessore ben più generale.

La festa, una sorta di scatola cinese in cui sono collocati in diverse combi-nazioni aspetti cerimoniali, rituali, epici, drammatici, penitenziali, simbolici, de-vozionali che vanno ben al di là della mera dimensione ludico-gioiosa, è un ipertesto in cui sono presenti aspet-

ti tematici che si strutturano secondo linguaggi differenziati.

È la conoscenza di questi linguag-gi, dei rispettivi codici, a consentire di prendere coscienza di elementi di estrema importanza della cultura luca-na che spaziano dal versante ar tigiana-le a quello ar tistico, da quello musica-le a quello canoro, da quello culinario a quello legato ai costumi, etc.

Tutto ciò che la vita ordinaria, mo-derna, tende a nascondere, ad occul-tare, a relegare nel silenzio, le feste provvedono a far riemergere, soprav-vivere, rivitalizzare.

Ma è anche altro che la festa lu-cana tende a far venire allo scoperto: anzitutto le trasformazioni che hanno investito il tessuto sociale e l’orizzon-te culturale di cui sono espressione. Si prenda, tra le tante, una festa qualun-

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que, ad esempio quella che si svolge ogni anno a Potenza in onore di San Gerardo.

Per rendersi conto delle trasfor-mazioni sopraggiunte, è suffi ciente se-guire la descrizione, datata 1893, del sacerdote potentino Raffaele Riviello.

Quella tratteggiata sembra esse-re una festa, un luogo, una realtà, che non appartiene alla storia di questa Regione. Una realtà altra. Invece essa fu proprio quella, esattamente quel-la, che gli emigranti lucani di fi ne Ot-tocento vissero prima della loro par-tenza.

Una festa fatta di fuochi, di fi am-me, di falò scintillanti che i potentini provvidero a trasmettere all’estero, orgogliosi, alle generazioni successive.

Una festa, divenuta poi ricordo, memoria, identità, appartenenza. =

SAN GERARDO FEAST IN POTENZA: AN 1893 DESCRIPTION BY RAFFAELE RIVIELLO

“On the eve, at vespers time, while pipes, drums and bands were playing , the “iaccare” - big bonfi res consisting of canes placed on a very long and thin beam - were carried to town to honour wealthy farmers, boasting local landowners, or on behalf of the promoters of the feast. This parade of the ‘iaccare’ represented a marry and cheerful moment for the masses and children. Many pairs of young and well-built farmers carried these ‘iaccare’ on their shoulders. A man dressed in clown clothes was standing on the top of the ‘iaccara’, holding on a cane grid where, among leaves and fl owers, the image of San Gerardo was placed. He used to scream, declaim, gesture and talk nonsense to excite people and to raise the spirits. Once the parade reached the area where the ‘iaccare’ should have been placed, the scene suddenly changed in that a crowd of curious people collected there and fear of trouble was felt in the air. Ropes were fastened, stairs were decorated; and, when told so, someone worked their fi ngers to the bone, someone turned

stairs and posts into levers and props, someone else pulled or held ropes from windows and balconies. And at each command, either efforts were doubled or a break was taken, depending on whether more strength was needed or diffi culty and danger were felt as the “iaccara” was slowly lifted. As soon as it was put up, a joyful cheer was heard, drums and bands deafened the air, and people proudly realised how the “ iaccara” was far higher than the surrounding houses . The “iaccare” were erected in the highest places : in the square, in front of San Gerardo church; in front of “lu palazzi di lu marchese” (today’s Liceo) ; in Portasalza; in front of “lu castiedd” (San Carlo Hospital). On the evening of the eve it was necessary to climb up the top in order to light them. These big torches were the burning lights of the feast visible far away. They were burning all night long and lit the entire neighbourhood with people enjoying the feast to the full. In the same evening, as dusk was falling, hundreds of “fanoi” (fi res) were lit in each “cutana” ( lane) ; in each small Largo and along via Pretoria. These were made of runners, cans, dry and green brooms; the whole town seemed to be burning , being this the main feature of the feast. Because of the dense smoke and of the several crackling fi res one could hardly walk

along the streets and almost felt like fainting (…). “La sfi lata dei Turchi” was and still is the most brilliant, original and creative aspect of San Gerardo feast. Each Turkish tried to imitate the traditional dresses and ornaments as best as they could, and believed they would reach their goal putting on their best clothes and golden jewels, usually riding a mule decorated with a saddle-cloth, bows and bells. They were also wearing white skirts, long johns, red ribbons, coloured shoes, golden paper turbans with fl apping feathers and fl attering ribbons, showy Turkish earrings, necklaces, stars, brooches and other golden jewels shown off on the breast….”