Lunghini - Cause Delle Crisi

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  • Lezioni Lincee di Economia

    Milano 2 marzo 2015

    Giorgio Lunghini

    Le cause delle crisi economiche

    Una volta uno studente chiese a N. Kaldor (un grande economista di Cambridge, ma di origine ungherese) se pensava che il capitalismo fosse in crisi. Kaldor rispose: Certo che lo , il fatto che il capitalismo sempre stato in crisi. Ne prova che negli ultimi centocinquantanni ci sono state tre grandi crisi, prolungatesi nella forma di depressione (e di deflazione).

    La crisi economica del 1873-1895, la prima ad essere chiamata Grande depressione, ebbe inizio dopo oltre trentanni di incessante crescita economica. Il mondo conobbe una crisi agraria, cui si aggiunse una parallela crisi industriale.

    La Grande depressione, o crisi del 1929, sconvolse leconomia mondiale alla fine degli anni venti, con gravi ripercussioni durante i primi anni del decennio successivo. Linizio di questa grande depressione associato con la crisi del New York Stock Exchange (la borsa di Wall Street) avvenuta il 24 ottobre del 1929 (gioved nero), cui fece seguito il definitivo crollo della borsa valori del 29 ottobre (marted nero), dopo anni di boom azionario. La depressione ebbe effetti devastanti sia nei paesi industrializzati, sia in quelli esportatori di materie prime. Il commercio internazionale diminu considerevolmente, cos come i prezzi, i redditi dei lavoratori e i profitti.

    La terza grande crisi, quella ora in atto, ha avuto inizio nei primi mesi del 2008 in tutto il mondo, in seguito a una crisi di natura finanziaria scoppiata nellestate del 2007 (originatasi negli Stati Uniti con la crisi dei subprime). Tra i principali fattori della crisi figurano gli alti prezzi delle materie prime, una crisi alimentare mondiale, unelevata inflazione globale, la minaccia di una recessione in tutto il mondo, cos come una crisi creditizia e una conseguente crisi di fiducia dei mercati borsistici.

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    Alla crisi finanziaria scoppiata nellagosto del 2007 sono seguite una recessione, iniziata nel secondo trimestre del 2008, e una grave crisi industriale (seguita al fallimento di Lehman Brothers il 15 settembre) scoppiata nellautunno dello stesso anno, con una forte contrazione della produzione e degli ordinativi. Lanno 2009 ha poi visto una crisi economica generalizzata, pesanti recessioni e vertiginosi crolli del Pil in numerosi paesi del mondo e in special modo nel mondo occidentale. Terminata la recessione nel terzo trimestre 2009, tra la fine dello stesso anno e il 2010 si verificata una parziale ripresa economica. Il 2011 ha conosciuto lallargamento della crisi ai debiti sovrani e alle finanze pubbliche di molti paesi, soprattutto delleurozona, in molti casi salvate in extremis (Portogallo, Irlanda, Grecia) dal rischio di insolvenza.

    Oggi, nei paesi occidentali pi sviluppati (Italia compresa), la produzione effettiva molto al di sotto della produzione potenziale; in Italia il tasso di disoccupazione intorno al 13%; un quarto della popolazione - con punte molto maggiori nel Mezzogiorno - si trova in condizioni di povert o di rischio di povert. La manifestazione pi appariscente di questa crisi (e di quella del 29), il sintomo cui i giornali danno maggior rilievo, di ordine finanziario: ha a che fare con la situazione delle banche, della borsa, del bilancio dello Stato; tuttavia da ci non si pu trarre che le cause della crisi siano soltanto di ordine finanziario.

    *** Anche in natura i fenomeni sono variabili, ma i

    cambiamenti sono suscitati da cause esogene, per lappunto naturali: bel tempo, pioggia, grandine, siccit, terremoti. In una economia primitiva, prevalentemente agricola, le cause principali delle crisi sono di ordine naturale. In una economia moderna in una economia capitalistica - le cause sono invece endogene, hanno origine dallinterno del sistema; e difficile distinguere tra cause reali e cause monetarie e finanziarie. Un sistema economico capitalistico, un sistema che produce merci, impensabile senza moneta, senza banche e senza finanza,

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    dunque nella struttura del sistema gli elementi reali e gli elementi monetari sono strettamente interconnessi.

    Un sistema economico capitalistico potrebbe anche riprodursi senza crisi (lha dimostrato Marx); ma soltanto se la distribuzione del prodotto sociale fosse tale da non generare crisi di realizzazione, di sovrapproduzione (di sovrapproduzione relativa: rispetto alla capacit dacquisto, non rispetto ai bisogni); e se moneta, banca e finanza fossero soltanto funzionali al processo di produzione e riproduzione del sistema, e non dessero invece luogo a sovraspeculazione e a crisi di tesaurizzazione.

    La funzione del denaro come capitale monetario fa s che nella produzione capitalistica la norma sia la crisi, non lequilibrio; poich lequilibrio, dato il carattere primitivo di questa produzione, ein Zufall ist. Del tutto analoga la tesi di Keynes: non si darebbero crisi soltanto se la domanda effettiva, per consumi e per investimenti, e la domanda di moneta per il motivo speculativo fossero sempre tali by accident or design da assicurare un equilibrio di piena occupazione.

    In breve: leconomia in cui viviamo uneconomia nella quale improbabile che si diano le condizioni necessarie e sufficienti per il raggiungimento spontaneo di un equilibrio ottimale, di un equilibrio stabile di piena occupazione. La ragione molto semplice: il mercato, che tanti descrivono come una macchina perfetta, non cos efficiente da assicurare che il sistema sia capace di autoregolarsi. Di qui lemergenza delle crisi e di qui la necessit di un disegno sistematico di politica economica.

    In tutto ci ha un ruolo essenziale il saggio dei profitti, saggio dei profitti che tende a cadere. Quando il saggio dei profitti tale da generare crisi di realizzazione, poich vi si associano bassi salari e disoccupazione, e a un tempo tale da generare crisi di tesaurizzazione e di sovraspeculazione, il sistema capitalistico va incontro a crisi che si possono chiamare sistemiche. Cos stato nella crisi del 29 (le cui radici risalgono per alla fine dellOttocento), cos oggi. In tutti e due i casi la

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    crisi si manifestata dopo un tentativo fallimentare di contrastare la caduta del saggio dei profitti con un processo di globalizzazione, di riduzione del mondo a mercato. Aggiungo soltanto che la risposta europea alla crisi del 29 fu il nazifascismo.

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    La libera circolazione dei capitali, che un portato della liberalizzazione sconsiderata dei movimenti di capitale, a sua volta un effetto dello smantellamento del sistema di Bretton Woods negli anni 70, tra le cause della crisi attuale e pericolosa per la democrazia economica, dunque per la democrazia in generale. questa la tesi del senato virtuale (una tesi su cui molto insiste N. Chomsky). Questo senato virtuale costituito da prestatori di fondi e da investitori internazionali che continuamente sottopongono a giudizio le politiche dei governi nazionali; e che se giudicano irrazionali tali politiche perch contrarie ai loro interessi votano contro di esse con fughe di capitali, attacchi speculativi o altre misure a danno di quei paesi (e in particolare delle varie forme di stato sociale). I governi democratici hanno dunque un doppio elettorato: i loro cittadini e il senato virtuale, che normalmente prevale.

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    In questo quadro, come via duscita dalla crisi molti invocano giustamente, a mio avviso il modello europeo di stato sociale; tuttavia io temo che il modello europeo di stato sociale non sia pi un modello nemmeno per gli europei. Lo stato sociale una delle pi grandi invenzioni politiche e istituzionali del secolo passato, la sua distruzione una delle pi gravi responsabilit dei governi europei degli ultimi trentanni. La responsabilit tanto pi grave, in quanto ha natura culturale ancor prima che politica.

    Anche in Europa ha avuto un peso il senato virtuale, ma soprattutto ha pesato una adesione acritica, antistorica e non necessitata dalle circostanze, al liberismo imperiale: che nulla

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    ha a che fare con la tradizione liberale, ancor prima che socialdemocratica, dellEuropa. In verit non mai esistito un vero e proprio modello europeo di stato sociale, le varianti nazionali avevano storie e articolazioni differenti. Ci che ancora oggi costituisce un modello intellettuale, un disegno da prendere ad esempio, la Filosofia sociale cui avrebbe potuto condurre la Teoria generale delloccupazione, dellinteresse e della moneta di J. M. Keynes.

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    Oggi come allora i difetti pi evidenti della societ economica in cui viviamo sono lincapacit ad assicurare la piena occupazione e una distribuzione arbitraria e iniqua della ricchezza e del reddito (che sono tra le cause principali della crisi attuale). Per rimediare a questi difetti, Keynes proponeva tre linee di intervento: una redistribuzione del reddito per via fiscale (imposte sul reddito progressive ed elevate imposte di successione), leutanasia del rentier, e un certo, non piccolo, intervento dello Stato nelleconomia.

    La redistribuzione del reddito comporterebbe un aumento della propensione marginale media al consumo e dunque della domanda effettiva. Leutanasia del rentier, dunque del potere oppressivo e cumulativo del capitalista di sfruttare il valore di scarsit del capitale, renderebbe convenienti anche investimenti a redditivit differita e bassa agli occhi del contabile, quali normalmente sono gli investimenti a alta redditivit sociale. Per quanto riguarda lintervento dello Stato, esso si riferisce non a quelle attivit che gli individui privati svolgono gi, ma a quelle funzioni che cadono al di fuori del raggio dazione degli individui, a quelle decisioni che nessuno prende se non vengono prese dallo Stato. La cosa importante per il governo non fare ci che gli individui fanno gi, e farlo un po meglio o un po peggio, ma fare ci che altrimenti non si fa del tutto.

    Se i difetti denunciati da Keynes fossero stati emendati con le misure da lui indicate, questa crisi non ci sarebbe stata; daltra parte temo sia improbabile che questa filosofia sociale

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    sia messa in pratica oggi nel mondo occidentale. Infatti prevalgono le politiche dellofferta, che fanno parte proprio di quel paradigma teorico che ha portato alla crisi attuale. Fino a quando loccupazione, i salari e i consumi delle famiglie non saranno risaliti almeno ai livelli di dieci o ventanni fa, la crisi non sar finita.

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    Chiudo con un cenno alla questione del debito pubblico come onere che graver sulle generazioni future: se quel debito fosse stato contratto per assicurare istruzione, sanit e assistenza ai cittadini, le future generazioni non dovrebbero sopportare nessun onere, poich a fronte di quel debito avrebbero oggi e domani quelle strutture e quei servizi. Il prezzo che pagheranno la mancanza di quelle strutture e di quei servizi, a causa di un debito pubblico che stato contratto a favore di quei privati che hanno determinato la crisi attuale.