L'Ultimo Rinnegato

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Infine anche Farlan, maestro di Roigon, è costretto a cercare l’aiuto della misteriosa Confraternita Arcana pur di sfuggire al sempre più stringente giogo dell’Ordine. Per continuare a poter praticare liberamente la magia Roigon dovrà trovare la Confraternita, e dovrà farlo in fretta! Ma l’ombra dell’Ordine Arcano incombe sempre più cupa anche sui maghi della congrega, e il sospetto di un terribile tradimento serpeggia nell’aria.

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L’Ultimo Rinnegato

Federico Aleotti 1

L’Ultimo Rinnegato di

Federico Aleotti

L’Ultimo Rinnegato

Federico Aleotti 2

Indice

O 3

I 5

II 10

III 15

IV 19

V 25

VI 31

VII 35

VIII 39

IX 43

X 49

XI 53

XII 58

XIII 62

XIV 67

XV 71

XVI 76

XVII 80

XVIII 85

XIX 91

XX 96

XXI 101

XXII 107

XXIII 112

XXIV 118

XXV 123

XXVI 128

XXVII 135

XXVIII 139

XXIX 144

XXX 149

XXXI 155

XXXII 161

XXXIII 164

Ringraziamenti 169

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O La ragazza distolse lo sguardo alzando gli occhi al soffitto e si voltò verso le amiche facendo ondeggiare i capelli corvini. Le piaccio, gongolò Roigon. «La vuoi smettere di importunare quella poveretta e deciderti ad ascoltarmi?» sbottò Farlan colpendo il tavolo con un pugno. Addirittura. Il buon vecchio Farlan, sempre così tranquillo e pacato, che usciva dai gangheri. «Ho capito, non c’è bisogno che guardi la tua brutta faccia per sentirti». Si voltò a osservare la barba grigia che ancora ondeggiava oltre il bordo del tavolo. «Vuoi che mi faccia un viaggetto fino a Folksvarg e scopra se le voci sono fondate, è così? E non vuoi che prenda la minima iniziativa, limitandomi a osservare e ascoltare. Affare fatto: guarderò, ascolterò, e agirò come riterrò opportuno» concluse sbrigativamente alzandosi per andarsi ad accostare all’avvenente damigella. «Buonasera signorina» Damigella… sarà tutt’al più la figlia di un bottegaio che può permettersi qualche abito decente, ma le sue forme sono del tutto signorili. «Buonasera a voi. Come vedete sono piuttosto occupata ad intrattenermi con le mie amiche» rispose freddamente l’interpellata. Arguta e pungente, proprio come piacciono a me. «Sono sicuro che un uomo abbia da offrirvi un intrattenimento migliore, specie se si tratta di un uomo affascinante come il sottoscritto» ammiccò, approfittando dello sgomento imbarazzato della sua interlocutrice per accostarglisi all’orecchio. «Ajra» Le pupille della ragazza si dilatarono leggermente nelle iridi castane e la smorfia di disappunto si contorse in un sorriso a stento trattenuto. «Siete un giovane impertinente!» lo rimproverò. «Alina, credo che per stasera sia meglio che andassimo. Mio padre potrebbe arrabbiarsi non vedendomi rincasare» intervenne una delle amiche, la bionda che aveva preso di mira prima di accorgersi di quel bocconcino molto più prelibato. «Allora perché non andate mentre io resto a far compagnia alla vostra amica?» L’occhiata che gli rivolse la giovane fu sufficiente a fargli capire che non avrebbe mollato. Che seccatura. «Njarta ranma vers» ordinò intrecciando le dita in un gesto complicato. La bionda e le altre due amiche si accasciarono lentamente sul tavolo. «Che cosa le avete fatto?» domandò Alina senza nascondere l’apprensione. Roigon assunse un’aria innocente. «Ho pensato che sareste stata combattuta e divisa tra il desiderio di accompagnarvi a me e quello di non abbandonare le vostre amiche, così ho fatto in modo di evitarvi il problema» spiegò lasciando trapelare un sorriso, immediatamente ricambiato. «Siete stato molto gentile» «È così. E ora vorreste accompagnarmi di sopra?» La luce dell’alba riscosse Roigon dal tiepido sonno in cui era scivolato dopo le fatiche della notte. Alina se n’era andata, probabilmente non appena il suo incantesimo di fascino era svanito. Sciocca sgualdrinella, avrebbe potuto divertirsi un po’ anche stamattina, prima che io prenda congedo da questo posto. Si tirò a sedere stirandosi i muscoli e infilando per prima cosa gli stivali.

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“La tua nudità confonderà soltanto il tuo nemico, mentre senza stivali non potrai muoverti efficacemente per contrastarlo”, diceva sempre Farlan. Buon vecchio Farlan, che se la fosse presa per la sera prima? Talvolta il mago era un po’ suscettibile. Indossò i pantaloni di pelle nera e la tunica grigio fumo coi bottoni d’argento, ma non prese il mantello. Una passata tra i capelli castani e ricci fu sufficiente per sistemarli mentre prendeva le scale, scendendo nella sala. Farlan lo aspettava con un cipiglio più accentuato del solito. «Appena avrò fatto colazione sarò pronto a partire» garantì sedendosi di fronte al maestro. «Quante volte ti ho spiegato che la magia non è un gioco? Non puoi andare in giro ad intessere incantesimi su tutti quelli che incontri!» sbottò il mago piegando gli angoli delle labbra sottili nella sua peggior smorfia di disapprovazione. «Perché? Ho fatto solo qualche semplice incantesimo alla portata di qualsiasi fattucchiere, non desterò certo i sospetti dell’Ordine» ribatté a voce bassissima. Farlan sbuffò. «Perché quello che hai fatto è profondamente immorale, ecco perché! Hai usato la magia per sedurre quella ragazza che altrimenti non ti avrebbe neanche degnato di un’occhiata». «Ti sbagli, vecchio. Sai meglio di me che un incantesimo di fascino deve appigliarsi a un’impressione esistente, e comunque non l’ho costretta a fare quello che ha fatto. Ho solo fatto in modo di essere io lo stronzo ad averle rubato la verginità, ma l’avrebbe comunque concessa al primo bel ragazzo che l’avesse guardata abbastanza a lungo, altrimenti mi avrebbe ignorato nonostante la magia. E chissà quali malattie avrebbe potuto prendersi, o che trattamento avrebbe potuto ricevere» fece notare lanciando al maestro uno sguardo di rimprovero. Farlan masticò le sue parole per un lungo momento. «I tuoi ragionamenti sono inoppugnabili come sempre, Roigon, ma stai attento». «Sì maestro» concluse come sempre addentando finalmente il pane che aveva spalmato di burro. Tra poco sarebbe stato di nuovo solo e non avrebbe più dovuto subire quell’arringa mattutina adatta forse al ragazzo che era stato, ma non certo all’uomo che era. «Cosa farai mentre io andrò a cercare le prove dell’esistenza della Confraternita?» Da quando aveva scoperto che avrebbe viaggiato da solo Roigon si era chiesto cosa dovesse fare di tanto importante il suo maestro. Farlan abbassò la voce al limite dell’udibile. «Temo che l’Ordine si stia avvicinando pericolosamente a scoprire il nostro rifugio» ammise. «Ecco perché abbiamo bisogno della Confraternita…» «Sì, l’Ordine ci ha ridotto così male che un mago non può più praticare la magia in autonomia» ringhiò Farlan con un odio che Roigon non si sarebbe aspettato. Si rese conto di conoscere troppo poco della vita del mago che era stato ed era tutt’ora il suo maestro. «Quindi distruggerai tutto quello che abbiamo raccolto in questi diciannove anni?» «A meno che tu non mi preceda, non ho scelta». Roigon annuì. Avrebbe dovuto fare in fretta. «Meglio che mi muova, allora».

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I La cittadina di Folksvarg era un insieme chiassoso di ogni tipo di persona Roigon avesse visto nell’Egrion: tra le bancarelle si muovevano contadini, boscaioli, mercenari, ladri di strada, rifiuti della società dalle orecchie appuntite ereditate dei loro altezzosi genitori e perfino un paio di individui coi volti coperti che avrebbe giurato fossero elfi. Un orco gli passò a fianco e Roigon balzò di lato per evitare il contatto con la pelle verdina probabilmente sudicia, quasi scontrandosi con il balconcino di una contadina non particolarmente attraente ma piuttosto dotata. Neanche l’avessi… Il pensiero svanì dalla sua mente appena lo vide: camminava flessuoso sui sostegni di legno della copertura che un pittore di strada aveva montato sulla sua bancarella visto il cielo coperto. Si muoveva pigramente, una zampa per volta, osservando la folla con quegli occhi verde intenso che parevano assorbire ogni cosa. Mi sto lasciando suggestionare… cercò di convincersi osservando il moto giocoso della coda nera priva degli screzi rossicci presenti sul resto del corpo. Qualcuno lo urtò violentemente, facendolo barcollare prima che riuscisse a puntare un piede ed evitare di imbrattarsi i vestiti con la terra battuta della piazza, ma Roigon non distolse nemmeno per un istante lo sguardo dal gatto. «Scusate… allora l’avete visto anche voi!» La voce femminile e le parole che aveva pronunciato fecero sì che il suo sguardo dardeggiasse sulla figura della donna che l’aveva colpito. «Andiamocene, presto!» lo esortò prendendolo per un braccio e Roigon si lasciò trascinare via con un sorriso, tenendo gli occhi puntati sul felino finché il muro di legno di un edificio lo nascose alla sua vista. «Qui dovremmo essere abbastanza lontani» ansimò la donna. La tunica nera piuttosto aderente che portava lasciava immaginare delle forme perfette che completavano il quadro incominciato con lunghi, setosi capelli color cenere attorno a un visto dai tratti delicati. «Una donna bella oltre che sveglia è una vera rarità» commentò con un sorriso tendendole la mano. «Il mio nome è Roigon». «Nerea» rispose senza nemmeno degnare un’occhiata al suo palmo teso. «Avreste potuto avvertire la folla, Nerea, invece che limitarvi ad andarvene. Potreste averli condannati tutti». «E rischiare di farmi notare?» ribatté la donna come se fosse pazzo. «Una donna come voi si fa notare semplicemente camminando per strada». «Siete sfrontato oltre che stupido, a quanto pare» concluse inoltrandosi nel vicolo in cui l’aveva trascinato. «L’ultimo uomo che ha cercato di seguirmi ha cessato di poter stare con una donna qualsiasi» lo avvertì prima ancora che muovesse un passo. Ho un lavoro da fare, e in fretta, si ricordò cercando di metter da parte il rimpianto per quell’occasione sprecata. E che occasione… Il fracasso che lo accolse non appena mise piede nella locanda del Cinghiale Infuriato lo fece ben sperare. Accogliente e frequentata, il posto perfetto per cominciare a indagare sulla confraternita, valutò adocchiando i muri di tronchi di betulla dalle piccole finestre e la selva di avventori assiepata attorno ai tavoli.

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Si accostò al bancone strizzando l’occhio all’oste e gettando una moneta d’acciaio sul piano di legno fessurato dal tempo. Il metallo produsse un tonfo secco evidenziando l’assenza dello strato di unto che ricopriva ogni superficie delle locande di minore qualità e Roigon si arrischiò a posare il gomito. «Birra» disse semplicemente osservando l’uomo tarchiato intascare la moneta. «O siete ricco sfondato, o siete pazzo, oppure volete qualcos’altro» grugnì il locandiere sbattendo sul banco un boccale di peltro da cui schizzarono gocce di schiuma. «Mael» dichiarò Roigon muovendo la mano da sinistra a destra e facendo cadere in una fessura del bancone la schiuma in eccesso. «Ora è perfetta». Il cipiglio del locandiere era tale che per un attimo pensò l’avrebbe aggredito. «Sono solo un semplice fattucchiere in cerca di qualcuno che mi insegni qualche altro trucchetto» spiegò stringendosi nelle spalle e bevendo un sorso della birra scura e corposa. Maledizione, devo ricordarmi di questo posto: la birra è ottima e il prezzo abbordabile anche per chi non sappia creare il vetro dalla roccia. «Non so cosa facciate a Folksvarg, allora. Qui non ci sono maledetti maghi, e neanche maledetti fattucchieri, e nemmeno li vogliamo». Roigon assunse un’espressione stupita. «Devo essere stato informato male, allora! Mi avevano detto che avrei potuto trovare una specie di Confraternita dedita alla ricerca di giovani dotati di talento magico» ribatté ad alta voce. Se ci fosse stato un paio di orecchie giuste in quella sala sperava che avesse colto il suo riferimento e avrebbe deciso di indagare. Sempre che non ritengano più prudente eliminarmi prima. «Chiunque vi abbia raccontato una simile frottola doveva essere ubriaco, e voi dovevate esserlo più di lui per averci creduto. Se volete studiare la magia andate a ovest fino alle rive maledette del lago Mystral, in mezzo ai vostri simili» concluse sparendo nella porta che doveva portare alla cucina. Alla Cittadella di Vetro, come no. Un giorno, forse… ma non sarà per imparare. Sarà per uccidere. Gettò una rapida occhiata intorno ma nessuno pareva fissarlo, così si addentrò nella selva di tavoli in cerca di un posto. «Siete qui per farvi evirare?» lo sferzò la voce tagliente che non avrebbe potuto non riconoscere. «Siete stata voi a seguire me, quindi potrei essere io a punire voi, non vi pare equo, Nerea?» ribatté voltandosi con un sorriso e uno svolazzo del manto nero. La donna sedeva a un piccolo tavolo in compagnia di un individuo dalle vesti rosse che fece gelare il sangue nelle vene di Roigon. Un mago dell’Ordine Arcano! «Quest’uomo vi ha disturbata, mia cara?» domandò il mago voltandosi. Roigon sospirò di sollievo: non corrispondeva a nessuna descrizione di cacciatore di Rinnegati che avesse mai udito, e il volto che lo fissava con aria annoiata era troppo giovane perché quel mago costituisse una minaccia. «Niente affatto, volevo solo godermi l’espressione di questo arrogante idiota di fronte alla vostra galanteria, e ne è valsa la pena» liquidò la questione con uno svolazzo della mano. La mia reazione… sbuffò e si allontanò dal tavolo senza degnarla di una seconda occhiata. Le farò vedere io… non appena quel mago si sarà allontanato quanto basta cadrà ai miei piedi e mi pregherà di violare il suo corpo con la mia arroganza! Avrebbe

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insegnato un po’ di umiltà a quell’altezzosa irriverente, e forse qualche altro uomo ne sarebbe stato felice dopo di lui. Il mago costituiva un intralcio imprevisto ma avrebbe rimosso dalla mente di Nerea il ricordo di averlo visto usare la magia. È comunque troppo intelligente per lasciare che vada in giro a raccontarlo, anche se non stesse con quel mago. Gettò un’occhiata verso il tavolo e vide la donna reclinarsi sullo sgabello man mano che il mago dell’Ordine tentava pateticamente di sporgersi verso di lei. Come pensavo. Si concesse di ridere alle spalle di quell’imbecille per quasi cinque dita di candela, finché Nerea prese congedo, imboccando la porta che conduceva alle camere. Per sicurezza attese che il mago fosse uscito prima di seguire la donna, imboccando con sicurezza il corridoio. L’edificio si estende su un solo piano, ricordò, valutando la distanza fra le porte man mano che proseguiva. Questa. Era sicuro che la donna avrebbe alloggiato solo nella stanza migliore della locanda, che doveva necessariamente essere anche la più grande. Bussò tre volte sul battente di legno, con decisione ma senza troppa forza. «Sì?» gli rispose la voce sorpresa di Nerea. «Mael». Un sorriso compiaciuto gli increspò le labbra mentre apriva la porta bloccata dall’interno e la richiudeva alle sue spalle. «Finalmente vi siete decisa a sbarazzarvi di quello scocciatore». Negli occhi della donna lampeggiò una scintilla pericolosa e Roigon pensò potesse avere un coltello. Meglio non rischiare. «Ajra, Nerea» ordinò accompagnando la parola con un gesto elaborato delle dita. Le sopracciglia della donna si inarcarono in un’espressione stupita. «È un piacere averti finalmente qui» confessò in tono seducente. «Ne ero sicuro». Roigon si concesse un sorriso mentre lasciava vagare lo sguardo sul corpo della donna senza più preoccuparsi di non farsi vedere. Mosse qualche passo verso le sue braccia tese e sbatté contro una barriera invisibile, strappandone uno scintillio. Che cosa? Un rivolo di sudore gelido gli colò lungo la schiena quando si rese conto che Nerea doveva essere una maga, e anche più potente di lui. Quando? È impossibile, non ha pronunciato neanche una parola! «E adesso, imbecille arrogante di un Rinnegato che non sei altro, avrai quello che meriti per aver cercato di incantarmi» sorrise Nerea, con un sorriso così crudele che un brivido scosse Roigon. È una Rinnegata o lavora per l’Ordine? «Faresti meglio a scappare prima che i cacciatori dell’Ordine piombino qui. Dovrebbero mancare pochi istanti» la avvertì con finta spavalderia. Per un solo attimo un lampo di stupore alterò i lineamenti della maga, ma a Roigon fu sufficiente per capire. «Menti» affermò Nerea con assoluta certezza. «Ho visto la tua espressione davanti a quello stupido mago dell’Ordine». La mia reazione… ma certo! «Vi chiedo perdono per la mia stupidità, Nerea» si inchinò. «Mi rimetto al vostro verdetto e sono pronto ad accettare qualsiasi punizione riteniate opportuna per fare

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ammenda dell’offesa che vi ho arrecato, ma vi assicuro che non aveva idea che foste una maga». «Vuoi farmi credere di essere tanto stupido da non aver capito le mie parole di prima, nella sala?» «È così. Temo che la vostra avvenenza abbia annebbiato le mie capacità di ragionamento». «È un miracolo che l’Ordine non vi abbia ancora preso, allora» constatò caustica. «Sarà meglio che vi tolga di mezzo prima che possiate spifferare qualcosa su di me al primo paio di tette che vi si accosterà». Lo scintillio quasi impercettibile che delineava il muro di forza magica e che Roigon stava fissando con attenzione da quando ne aveva scoperto l’esistenza venne meno e il Rinnegato si lanciò di lato, evitando di stretta misura il raggio verdino scaturito dalla mano di Nerea. «Melitha anharra vorh» scandì più velocemente che poté, estraendo una piccola balestra con la mano che non era impegnata a intessere l’incantesimo e puntandola contro la Rinnegata. Nerea si irrigidì improvvisamente, i lineamenti ancora contratti in un’espressione di stupore, e Roigon la fissò con intensità tenendo la balestra puntata verso la sua gola e riducendo le distanze. «Avrei potuto uccidervi e penso che a questo punto ve ne siate resa conto. Sono sopravvissuto fino ad ora per la mia capacità di togliermi dai pasticci e di manipolare le persone, anche senza l’aiuto della magia, come ad esempio portandovi a sottovalutarmi. Se così non fosse non sarei riuscito a convincere Farlan a prendermi come suo apprendista». Al nome di Farlan gli occhi di Nerea si dilatarono appena, segno che il nome le diceva qualcosa come Roigon aveva sperato e l’espressione della maga si distese lentamente, segno che aveva vinto il suo incantesimo. La maga parlò lentamente tenendo i denti stretti, cosa che le avrebbe impedito di pronunciare abbastanza chiaramente le parole necessarie a formulare un incantesimo. «Cosa volete?» Roigon si concesse un breve sorriso. «A parte voi, sono qui per cercare di contattare la Confraternita Arcana. Siamo rimasti in pochi per poter sopravvivere all’Ordine, abbiamo bisogno di riunirci perché sia ancora possibile opporci alla sottomissione». «E così anche Farlan alla fine ha ceduto…» mormorò la maga. «Sapete come posso contattare qualcuno dei membri?» Nerea annuì. «Ora che ci siamo chiariti, vorresti smetterla di puntarmi addosso per lo meno la balestra?» Roigon abbassò l’arma con un sorriso. «Viila, sverj!» Un dolore intenso e improvviso scoppiò in tutte le ossa di Roigon, offuscandogli la vista. Si puntellò con le braccia doloranti e indolenzite per cercare di sollevarsi dal legno scuro del pavimento su cui non si era reso conto di essere caduto. «Questo era per aver cercato di incantarmi. Potete considerare la vostra offesa perdonata» civettò Nerea andando a sedersi su una poltrona di velluto un po’ stinta. Questa donna è formidabile… voglio che sia mia, si promise alzandosi lentamente e asciugandosi il sangue che colava dal labbro spaccatosi probabilmente quando aveva colpito il pavimento. «Riguardo la Confraternita?»

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«Dato che Farlan è piuttosto famoso gli saranno richieste solo due condizioni per unirsi alla confraternita: condividere tutte le sue conoscenze a chi di noi gliele richieda, anche mettendo a disposizioni i propri libri, e accorrere alla chiamata di qualunque di noi avesse bisogno di aiuto». Tutto qui? Non c’era nessun vincolo, nessuna condizione andava oltre il ragionevole e Roigon non capiva perché il suo maestro avesse rifiutato per tutti quegli anni. «Tu invece dovrai farti vincolare a uno di questi da un mago anziano della Confraternita» spiegò estraendo dalla veste un braccialetto nero coperto di rune. «Contiene un’elaborata maledizione che si attiverà non appena si concretizzerà dentro di te l’intenzione di rivelare una qualsiasi informazione su un Rinnegato a chiunque non faccia parte della Confraternita, uccidendoti all’istante». Come se avessi molta scelta… non credo che mi lascerebbe comunque andare ora che conosco la sua identità. «Accetto». «Dammi il braccio» ordinò Nerea sconvolgendolo con un’occhiata maliziosa. Mago Anziano della Confraternita? «Chiama il tuo maestro e quando sarete qui ti condurrò al nostro rifugio e potremo discutere del trasferimento dei vostri effetti: le vostre conoscenze devono rimanere alla nostra portata anche in caso di incidente e non è prudente seminare alcun indizio» ordinò sigillandogli il bracciale sul polso destro. Roigon annuì, cominciando a sospettare di essersi invischiato in qualcosa che stava sfuggendo al suo controllo. Farlan non sarà troppo felice di sapere che ho preso l’iniziativa… Con un ultimo, ammiccante sorriso prese congedo da Nerea. «Ah, Roigon! Il mago anziano a cui è legato il tuo bracciale, ossia io, può attivarne il potere in qualsiasi momento».

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II «Che cosa?» rimbombò la voce di Farlan nella sua mente. «Ti avevo detto di limitarti a raccogliere informazioni, e tu stringi accordi con la Confraternita in mio nome?». «Non hanno chiesto nulla più che condivisione delle conoscenze e disponibilità ad aiutarli nel caso in cui l’Ordine trovasse qualcuno di loro. Non ci sarebbe stato niente da contrattare!» L’ira di Farlan lo colpì come un maglio facendogli esplodere un dolore sordo nella testa. «Niente da contrattare? Hai gettato al vento le mie ricerche di una vita, hai promesso tutte le mie conoscenze a quegli avvoltoi della Confraternita! L’unico vantaggio che avevamo nella trattativa era riposto nelle mie conoscenze, libri che ho rischiato anni a scrivere o per impossessarmi dei quali ho rischiato la vita e che tu hai gettato via come fossero privi di valore!» «Ma se le terrete per voi quando morirete si perderanno per sempre!» «Prima di morire le affiderei a un apprendista che si sia dimostrato degno, cosa che tu non hai fatto!» Non potete decidere quando morire, e proprio questo comportamento di oscurantismo ha fatto precipitare nell’oblio molte conoscenze del passato, pensò solamente, senza ben rendersi conto che Farlan avrebbe udito anche quello. «La tua impertinenza finisce qui, ragazzo! Io ho impiegato anni di fatiche per accumulare le conoscenze che tu hai regalato alla Confraternita, conoscenze per le quali non hanno versato nemmeno una goccia di sudore!» Farlan troncò bruscamente la conversazione e Roigon riprese la piena coscienza della stanza. Impiegò qualche istante a regolarizzare il battito cardiaco: non aveva mai sentito il suo maestro così infuriato. Quel vecchio idiota! Se tutti smettessero di condividere questo atteggiamento e mettessero le proprie conoscenze in comune non avremmo tutte queste lacune! Sarebbe possibile imparare in poche settimane quello per cui sono necessari anni di ricerche e da lì proseguire! Invece dobbiamo passare la maggior parte della nostra vita a riscoprire quello che altri già sanno ma rifiutano di condividere. L’ira di Farlan lo aveva scosso più di quanto desiderasse ammettere e gli parve che i muri della stanzetta che aveva affittato si chiudessero su di lui. Spalancò le imposte con un calcio e scavalcò il davanzale senza preoccuparsi di richiuderle alle sue spalle, atterrando pesantemente nell’erba sottostante. Il sole era appena scomparso dietro l’orizzonte, lasciandosi alle spalle un chiarore diffuso che ancora illuminava le vie deserte di Folksvarg. Farlan impiegherà un paio di settimane ad arrivare… cominciò a calcolare ma il pensiero gli riportò in mente la conversazione appena conclusa e si costrinse a scacciarlo. La risata argentina di una bambina risuonò poco distante, irritandolo. Nemmeno un attimo di pace e tranquillità! Cercò con lo sguardo la fonte di quel rumore molesto cui facevano eco gridolini indispettiti e i suoi occhi si puntarono sulla sagoma flessuosa ricoperta da una folta pelliccia scura irta di striature rossicce. Ma è pazza! Fissò impietrito la piccola dai capelli biondi protendersi per afferrare la coda del gatto, che la scostò con uno scatto fulmineo e le tirò le frange del vestito candido ormai sporco di terra cercando di portarsele via. Roigon si aspettava che da un momento all’altro il vestito e bambina si lacerassero.

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Maledizione! Come faccio ad aiutare quella stupida? Una parte di lui avrebbe voluto semplicemente andarsene e lasciare che la stupidità dei genitori della bambina portasse alle ovvie conseguenze, ma la piccola non aveva colpa. Quasi senza rendersene conto mosse qualche passo verso di lei e il gatto alzò la testa di scatto, puntando i suoi enormi occhi verdi nella sua direzione. Roigon si immobilizzò vagliando rapidamente gli incantesimi a cui avrebbe potuto fare ricorso in cerca di una soluzione, ma il felino balzò sullo steccato e da qui sul tetto di una casa, scomparendo nella luce calante. «Mirjan!» La donna si avvicinò di corsa alla bambina, raccogliendola e stringendosela al petto. «Vi ringrazio, straniero, per averlo mandato via. Siete folle o intrepido ma avete tutta la mia gratitudine. Qualsiasi cosa vogliate, chiedete e sarà vostra». Roigon squadrò il corpo della donna e si chiese se intendesse davvero qualunque cosa, ma la conversazione con Farlan e quell’incontro non l’avevano messo dell’umore adatto. «La prossima volta fate più attenzione!» sbottò bruscamente girando i tacchi e allontanandosi verso la piazza. Camminava immerso nel suoi cupi pensieri, assaporando l’aria fresca della sera, quando un edificio particolarmente imponente colpì la sua attenzione. Si estendeva su unico piano per una superficie grande tre volte il Cinghiale Infuriato, che pure era uno degli edifici più grandi della città. E l’architettura è altrettanto curiosa, con tutti quei tetti a piramide invece che a spioventi… Avvicinandosi, si sorprese di trovare un targa vicino al portone su cui era inciso in caratteri elaborati “Biblioteca” Una biblioteca nell’Egrion? A Folksvarg? Che razza di libri potranno mai esserci? «Ah, non pensavo che uno zotico del vostro pari potesse interessarsi alla storia… devo quindi dedurre che abbiate intenzione di commettere un furto?» Roigon si girò a fronteggiare il mago dalle vesti rosse, avvampando d‘irritazione nel vedere il sorriso beffardo che ne alterava i lineamenti. «Se fossi davvero un cialtrone come dite cosa me ne farei di qualche libro?» «Libro?» gli fece eco il mago, confuso. «Allora forse non sono io l’imbecille. Chiunque avesse un minimo di cultura potrebbe leggere la dicitura sulla targa» ribatté superando il finto affascinante mago dell’Ordine. «Non so per quale strana associazione possiate pensare di trovare dei libri nella residenza dei conti Volsfarg, ma sarei curioso di saperlo». Roigon si fermò. Residenza dei conti Volsfarg? La targa era chiaramente leggibile anche nella poca luce rimasta. Elaborò velocemente una scusa mentre si voltava lentamente con aria seccata. «È evidente che in una catapecchia come questa appartenente a una famiglia di nobili decaduti non possa essere rimasto che qualche libro ammuffito e nemmeno un granello d’acciaio o di vetro. E scommetterei che perfino l’oro scarseggi» concluse allontanandosi a grandi passi. Perché non ha letto la targa? E cos’è questa storia dei conti? Ripescò nelle sue memorie le poche lezioni di storia che Farlan era riuscito a propinargli. Un tempo l’Antico Regno si estendeva anche su queste terre, ma le tracce sono quasi del tutto scomparse. Folksvarg è piuttosto vicina al confine attuale, quindi è

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possibile che una discendenza nobiliare si sopravvissuta attraverso i secoli, ma perché nessun Rinnegato l’ha rasa al suolo? Se non quando i Paladini erano in auge almeno negli ultimi ottant’anni! E, soprattutto, perché la targa riportava la dicitura “Biblioteca”? L’edificio era esattamente come se lo ricordava dalla sera precedente: un’ampia magione in legno, come la maggior parte degli edifici dell’Egrion, caratterizzata però da numerose travi a vista marroni, verticali e orizzontali, che spiccavano sul bianco del legno di betulla tipico di quelle zone. I numerosi tetti a piramide che coprivano le vare ali conferivano un tocco antico ed esotico alla residenza. O Biblioteca. Salì i quattro gradini di pietra e afferrò il batacchio, meditando sulla prudenza delle sue intenzioni. Ci sono solo due spiegazioni possibili al fatto che questo posto sia sfuggito alle ritorsioni dei maghi perseguitati e, in seguito, dei rinnegati: o questo posto era sorvegliato come una fortezza, o era la residenza di un mago. Nel primo caso avrebbe voluto scoprire il perché, nel secondo sperava di trovare qualche accenno a conoscenze magari perdute da secoli. «Non vi aprirà nessuno! L’antico è così decrepito che fatica perfino a stare in piedi, sempre se non è già morto. L’ultima volta che l’abbiamo visto era due anni fa» commentò un uomo dalla strada fermandosi a prendere fiato: la grossa carriola che spingeva conteneva diversi segmenti di tronco. «Grazie, me l’hanno detto! Ero curioso di sbirciare l’interno, ma non c’è un singolo varco e gli scuri sono tutti sbarrati!» gli sorrise, propinandogli la scusa che si era preparato. «Si dice che l’antico abbia gli occhi così delicati che il più sottile raggio di luce può renderlo cieco. È innaturale vivere tanto a lungo, dico io. Dovrebbe decidersi a morire!» sbottò sputando per terra e incrociando le dita in uno scongiuro. «Se volete un consiglio, state lontano da quel posto» concluse riprendendo a spingere la carriola. Sono troppo in vista. Compì mezzo giro della magione senza trovare traccia di un lato che non si affacciasse su una via trafficata e stava cominciando a disperare quando notò una porticina laterale incassata vicino a un angolo dell’edificio, difficilmente visibile da qualsiasi angolazione a meno di cercarla espressamente. Il battente si chiuse delle ultime dita davanti a suoi occhi. È entrato qualcuno? Maledizione! Se solo fosse arrivato qualche secondo prima avrebbe visto tutto. «Cercate qualcosa?» lo fece voltare di scatto una voce morbida. Roigon sbatté palpebre per la seconda volta in pochi secondi ma anche quella visione pareva autentica e reale. «Esattamente, signorina: cercavo una piacevole compagnia ma pare che il fato mi abbia arriso più di quanto avessi osato sperare» rispose sfoggiando il più ammaliante dei suoi sorrisi mentre ripercorreva con lo sguardo la florida figura. La donna si scostò una ciocca dei capelli ricci color del fuoco e Roigon gelò: sul polso sinistro portava un bracciale identico al suo. Dovevo immaginarlo, questo posto pullula di maghi della Confraternita. «E ora che l’avete trovata cosa avete intenzione di fare?» lo incalzò la graziosa maga fissandolo intensamente con i grandi occhi color del cielo.

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Un’immagine di Nerea aleggiò ai margini della sua mente ma soffiò sull’apparizione nebbiosa e la dissolse senza sforzo. «Approfittare dell’occasione, naturalmente!» esclamò ammiccando e accostandosi alla donna in un modo che sarebbe stato indecente se lei non gli avesse preso il braccio. «Per aver inventato questa storia in tutta fretta ci sapete fare, devo ammetterlo» ammise la maga. «Mi chiamo Arelia» si presentò con un sorriso. «Roigon, per servirvi». La risata di Arelia era calda e morbida come la maga stessa, e gli scaldò il cuore, dissipando il malumore che l’aveva attanagliato dalla sera precedente. «Avete impegni per il pranzo?» Arelia scoppiò a ridere e si premette contro di lui. «Le vostre parole sono dolci come il miele e altrettanto appiccicose: più mi agito per uscirne più mi sembra di rimanerne invischiata!». Roigon sorrise e lasciò che la donna lo trascinasse con entusiasmo per la via. «Questa è bottega di Gnark il fabbro. È un nano strano e taciturno, diverso da qualsiasi nano chiunque abbia mai visto, ma nel suo lavoro non ha pari. Vent’anni fa, quando Gnark era appena giunto a Folksvarg, ci fu una strana serie di omicidi cruenti oltre ogni dire. Ovviamente mi è stato raccontato, quindi non posso essere sicura di quanto i particolari siano accurati, ma tutti i testimoni hanno parlato di una stanza interamente coperta di sangue: pavimento, pareti, mobilia… perfino il soffitto! Del cadavere di Elina, la moglie del precedente fabbro di Folksvarg, restava solo un cadavere orribilmente mutilato. Dato che Gnark aveva avuto un diverbio con il fabbro solo due giorni prima, le guardie cittadine pretesero una perquisizione e rinvennero dei vestiti intrisi di sangue e diverse altre tracce, oltre a un numero impressionante di coltelli delle forme più svariate che il nano giustificò come i risultati del suo lavoro di armaiolo. Tutti erano propensi a giudicare Gnark colpevole dell’omicidio ma non c’era nessuna testimonianza diretta, così il sindaco optò per un insolito compromesso: fece sbarrare le porte e le finestre della sua bottega con l’eccezione di quel varco da cui Gnark può consegnare le armi e ricevere i pagamenti, e da cui i garzoni che ha assoldato gli passano viveri e materie prime». «E vive da vent’anni rinchiuso nella bottega?» domandò Roigon, sconcertato. «Sì, e nessuno l’ha più visto, tanto che sul suo aspetto girano le storie più improbabili» ridacchiò Arelia. «In ogni caso, da quel giorno il fabbro di Folksvarg, e il suo successore quando si ritirò dall’attività, non hanno mai più forgiato una singola arma. Chiunque ne abbia bisogno si rivolge a Gnark o cambia città, ma nessuno nell’Egrion può eguagliare la bravura del nano». La tranquillità con cui la maga gli aveva raccontato quella storia macabra, esattamente negli stessi toni che aveva usato con tutti gli altri aneddoti sulla cittadina, costituiva un aspetto del suo carattere che Roigon non si aspettava. «Guardate dove camminate, lurido zotico!» Roigon cadde dai suoi pensieri e ripiombò nella realtà solo per trovarsi faccia a faccia con i lineamenti ormai familiari del mago dell’Ordine. «Voi!» tuonò il mago sistemandosi i corti capelli neri. «Voi! Dovevo immaginarlo!» gli fece eco Roigon, pronto a rispondere a tono agli insulti.

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Questo idiota comincia davvero a scocciarmi… «Oltre che sbadato siete così stupido da non saper fare altro che ripetere le mie parole?» sbraitò il mago dalle vesti rosse. «Vi consiglio di moderare i termini, soprattutto perché fate solo fare a voi stesso la figura dell’idiota intollerante. Come pretendete che sia attento a dove metto i piedi con una sì meravigliosa fanciulla al mio fianco?» I passanti che si erano fermati ad osservare la scena scoppiarono a ridere e il colorito di Arelia si tinse piacevolmente di un lieve rossore. «Scusatemi, forse sono stato troppo duro» incalzò Roigon, «non avendo mai provato la sensazione dev’essere difficile per voi comprendermi» concluse allontanandosi a grandi passi mentre la maga al suo fianco cercava di trattenere le risa. «Sembra che quell’idiota mi perseguiti» sbuffò Roigon dopo aver controllato che il mago non fosse a portata di voce. «Non credo che gli sia rimasta molta voglia di scontrarsi con voi» ridacchiò Arelia. Roigon stava per dissentire, puntualizzando la spiacevole abitudine di quel mago di comparire nei momenti meno opportuni, quando un movimento alla sua sinistra attirò il suo sguardo. «Avete visto?» «Che cosa?» Fissò il tetto ancora per qualche istante e scosse la testa, lasciandosi trascinare nuovamente per le vie di Folksvarg. Tuttavia, non riuscì a scacciare l’impressione accompagnata da un brivido che due occhi verdi lo stessero fissando dal tetto. Roigon scoppiò a ridere e vuotò il boccale d’un fiato. «Sai, devo farti una confessione» esordì con un sorriso. «Ah sì? Mi hai forse importunata senza che me accorgessi?» ridacchiò Arelia protendendosi leggermente verso di lui. No, ma ho tutta l’intenzione di farlo sperando non solo che tu te ne accorga, ma che partecipi anche. «Niente di simile, solo ho apprezzato tanto la tua compagnia quest’oggi e mi dispiacerebbe privarmene proprio adesso». «Ma abuseremmo dell’ospitalità del locandiere fermandoci troppo a lungo» fece notare la maga con ritrosia e un lampo malizioso dello sguardo. «Hai ragione, ma si dà il caso che io abbia una stanza qui al Cinghiale Infuriato…» «Non credi che sia un luogo poco adatto a discorrere?» lo interruppe. «Ma certo, infatti non era mia intenzione discorrere con te stanotte». Il volto di Arelia si aprì in un sorriso a stento trattenuto. «Dunque, vorreste far attendere la vostra dama?»

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III La pelle di Arelia era tiepida e addirittura più morbida di quanto avesse immaginato, e così le sue carezze. Accarezzò i suoi riccioli color del fuoco e si perse ancora una volta nel piacere di quelle labbra morbide e invitanti, e Arelia lo accolse con una passione che non si aspettava dopo quella prima metà della notte. Non sai quanto mi piacerebbe restare fino all’alba, tesoro, ma ho del lavoro da fare. Arelia cedette alle sue carezze come la prima volta e Roigon dovette concentrare tutta la propria volontà per ricordare chiaramente la formula dell’incantesimo mentre la passione si avvolgeva alla magia in un’estasi mai sperimentata prima. «Njarta» esclamò, coprendo i dolci gemiti della maga che cessarono appena qualche attimo dopo. Era l’unico modo per accertarmi che non fosse in grado di resistere. Chissà come avrebbe reagito quando si fosse svegliata, scoprendo che era un mago e che l’aveva addormentata con un incantesimo per andarsene nottetempo. Non sarebbe successo se ti fossi accontentata della prima o della seconda volta e poi ti fossi messa a dormire, la rimproverò mentalmente vestendosi senza peraltro provare il minimo dispiacere per gli eventi di quella notte. Dato che la locanda a quell’ora era chiusa fu costretto a uscire dalla finestra, ma questa volta richiuse accuratamente gli scuri dall’interno con la magia. Istintivamente il suo sguardo fu attirato dall’androne in cui aveva visto la bambina giocare col gatto, temendo di trovare quegli occhi verdi puntati su di lui. La tenebra ricambiò il suo sguardo senza pudore. Mi sto facendo suggestionare. È solo uno stupido gatto, ma anche se non lo fosse non vedo perché debba restare in questa maledetta cittadina, o avercela con me. Il maniero dei conti Volsfarg emerse dall’oscurità davanti a lui, debolmente illuminato dalla luce delle stelle e della sottile falce di luna che faceva capolino dalle rade nubi. Dovette passarci davanti due volte per ritrovare la porticina che aveva visto chiudersi quella mattina, nascosta com’era dalle tenebre. Scrutò il battente con attenzione, domandandosi se potesse esserci qualche incantesimo protettivo. Improbabile: un mago dell’Ordine potrebbe sempre passare di qui e notare le aure. Il pensiero gli riportò in mente l’irritante mago dell’Ordine dalle vesti rosse e si affrettò a riportare la sua attenzione sulla porta. Un saliscendi, ma probabilmente anche un catenaccio, valutò «Mael Riiva» scandì accompagnando le sillabe con gesti complicati delle dita. Con uno scatto sommesso la porta si schiuse di una fessura, senza che alcuna luce fuoriuscisse all’esterno. Roigon aprì cautamente il battente proiettando una lama di luce soffusa nella stanza. Vuota, sospirò. Posò a terra la candela che aveva portato e la accese con due colpi d’acciarino, affrettandosi a chiudere la porta alle sue spalle. La luce calda della candela illuminò le pareti di legno, una credenza dell’aria antica sulla quale erano posati due candelabri d’oro e una porta di legno identica a quella che dava sull’esterno. Alla sua sinistra una soglia priva di battente si perdeva nelle tenebre. Si avvicinò alla porta calpestando il tappeto stinto che copriva il pavimento di pietra, materiale piuttosto raro nell’Egrion. Posò l’orecchio sul battente e non udendo nulla schiuse la porta di una fessura. Davanti ai suoi occhi si profilò lo scorcio di una stanza più grande e più ricca, forse un salotto, in cui rimanevano le spoglie di un divanetto dal velluto sbiadito e strappato.

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Aprì la porta quel tanto che bastava ad infilarvisi e imprecò mentalmente contro il cigolio che risuonò come un grido nell’oscurità. Due poltrone sfondate e un tavolino traballante completavano quel quadro di lusso decadente insieme ad una libreria quasi vuota. Si accostò rapidamente allo scaffale di legno scuro e scorse i titoli dei volumi superstiti. “Compendio nobiliare”, “la pericolosità della magia e come riconoscere uno stregone”; mi chiedo quale mago abbia acconsentito a stilare delle copie di questo libro! “magia oscura: principi e applicazioni” Allora avevo ragione! E non credo che chiunque sia vissuto qui abbia potuto non accorgersi di avere un libro di magia in una libreria con quattro libri. Quindi deve trattarsi di un mago, o il libro sarebbe stato bruciato per il bando! “amuleti e medaglioni incantati, come distinguerli” Quello sembrava proprio un falso: non c’era alcuna differenza tra un amuleto e un medaglione. Cominciò a ricredersi e dovette trattenere l’impulso di aprire “magia oscura: principi e applicazioni” per verificarne il contenuto. Se devo perdere tempo con un libro meglio farlo con uno che ne valga pena! Abbandonando la libreria si accostò alla porta più vicina, appoggiandovi l’orecchio e socchiudendola di una fessura. Il profilo di gradini di pietra discendenti si delineò di fronte ai suoi occhi. Ecco perché il pavimento di pietra: se fosse stato di legno sarebbe risultata immediatamente evidente la presenza delle stanze sottostanti perché sarebbe suonato vuoto. Imboccò la scala accostando la porta e prese a scendere i gradini consumati, notando l’umidità dell’aria crescere di pari passo con la profondità. I gradini terminavano sotto a un arco triangolare oltre il quale intravide un corridoio irto di porte. Una sottile lama di luce fuoriusciva dalla fessura sotto una di esse, lambendo il pavimento di pietra. Lasciò la candela sull’ultimo gradino e si avvicinò spostando il peso da un piede all’altro con estrema attenzione, per non emettere nemmeno il più piccolo rumore. «…timi anni in pace» risuonò flebile una voce sbiascicata dall’interno della stanza. Roigon si accostò alla porta e vi posò l’orecchio, badando di tenere le ginocchia flesse per poter balzare via in ogni momento. «Allora non sceglierò mai un successore!» sbottò improvvisamente la voce, irritata. Accostando l’occhio alla toppa della serratura riuscì a distinguere una sagoma deforme seduta a una scrivania. Non avrebbe saputo dire se la voce sbiasciata provenisse da quell’essere grottesco o dall’altro, invisibile interlocutore. «Non ho più niente da perdere, ormai. Non sarà difficile farmi credere morto e non darò alcun fastidio, semplicemente sparirò nel nulla». Una conversazione mentale? Ma perché allora risponde ad alta voce? La voce proruppe in un verso a metà fra un grugnito e un sospiro. «E va bene, affare fatto. Un mese, non un giorno di più, dalla nomina». La porta si scostò di una sottile fessura e Roigon riuscì appena a tornare eretto prima che si spalancasse, rivelandolo all’essere seduto alla scrivania. «Un intruso!» constatò l’uomo, sempreché fosse davvero un uomo, alzandosi e caracollando in avanti facendo ondeggiare l’enorme gobba che gli deturpava la schiena. «Scusate, buonuomo, dev’esserci stato un errore!» cercò di rimediare senza rischiare di ricorrere alla magia.

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«Oh, ma certo che c’è stato… voi avete commesso un errore: siete entrato qui. E temo di non potervi permettere di andarvene». Gli occhi quasi privi di iride che lo fissavano da una ragnatela di rughe si stinsero minacciosi. Sembra piuttosto sicuro di sé il vecchio… «Njarta» esclamò intricando le dita nel gesto abituale, senza ottenere altro che una risata raccapricciante dal suo interlocutore deforme. Cosa… come...? «Alkaraz tiem vol nein’nar» scandì rapidamente il vecchio e Roigon si sentì sollevare a inchiodare contro il muro con tanta forza da togliergli il fiato. La luce della torcia mandò un guizzo e illuminò due occhi scintillanti sulla spalla del mago. Non è una gobba! È un… vlarsik! Roigon avvertì il sangue defluirgli dal volto: non solo quel mago gli era decisamente superiore, ma aveva anche un vlasrik sulla spalla. «Ti mandano quegli idioti del Consiglio?» «No! E vi sconsiglio vivamente di mettervi contro la Confraternita» minacciò. O la va o la spacca… Le rughe sul volto del vecchio si distesero e si contrassero. «Mettermi contro la Confraternita? Vorresti forse lasciar intendere di farne parte? Folle! Io sono la Confraternita. Io sono l’Antico, e questo è il rifugio della Confraternita Arcana» Il mago levò una mano e una luce rossa prese a risplendere sul suo palmo proteso. «Il polso destro! Sotto la benda!». Il vecchio esitò, mosse l’altra mano e Roigon avvertì la benda che aveva avvolto attorno al bracciale svolgersi e fluttuare nell’aria. «Vorresti farmi credere di essere entrato qui senza sapere che cosa fosse questo posto?» Un lampo verde dietro la benda fluttuante, una sagoma scura che usciva dalla stanza attraverso la porta prima che la benda cadesse a terra. Non è possibile… «È così!» si affrettò a rispondere. «Voglio sapere chi è il mago anziano che ti ha vincolato quel bracciale!» pretese il vecchio. «La maga Nerea mi ha accolto nella Confraternita». «Molto bene. E adesso mi piacerebbe sapere come hai fatto a individuare gli allarmi e disattivarli». Allarmi? Il suo sospetto e timore prese forma e sostanza e minacciò di sopraffarlo. Siamo in un terribile pericolo… Il vlasrik sulla spalla del mago si protese in avanti e i suoi occhi neri scintillarono alla luce tremula della torcia. Se glielo dico non mi crederà mai, penserà che sia solo una scusa assurda! E nemmeno io posso averne la certezza… «Ho imparato a sopravvivere usando la testa, oltre che la magia. Ieri mattina ho udito un uomo pronunciare la parola d’ordine prima di entrare». Sempreché gli allarmi si disattivino davvero in questo modo e che la parola non cambi di giorno in giorno… «Astuto… sembri un elemento prezioso, tutto sommato…» «Roigon» si affrettò a completare. «Apprendista del mago Farlan».

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Il volto dell’Antico si aprì in un sorriso. «Ah sì, il suo arrivo tra le nostre fila è stata una piacevole sorpresa… molto bene, Roigon. Presentati domani mattina nella sala da cui hai imboccato le scale che ti hanno portato qui sotto». «Sì, signore» «E non osare mai più cercare di spiarmi». Il tono marmoreo dell’Antico gli provocò una fitta d’ansia alla bocca dello stomaco mentre precipitava al suolo, non più sorretto dalla magia. Sa che l’ho ascoltato? O vuole solo vedere la mia reazione? «Non cercherò più di impadronirmi della conoscenza della Confraternita se non chiedendo o meritandomelo» garantì, imboccando la porta. Ripercorse il corridoio sfiorando il muro gelido e umido con la punta delle dita, cercando di placare il battito furioso del proprio cuore e di non sobbalzare ad ogni minimo rumore. Se fosse davvero… qui attorno… La porta che dava alla saletta coi libri era socchiusa. Sono certo di essermela accostata alle spalle! Schiuse il battente con enorme cautela facendosi scudo con esso e gettò una rapida occhiata nella stanza. Vuota, sospirò. Raggiunse la porta in poche falcate e attraversò l’anticamera d’ingresso in pochi, rapidi, passi, tuffandosi nell’aria fresca della notte. Sapeva che il pericolo non era passato, ma le probabilità di incontrare quel maledetto felino all’aperto sarebbero state drasticamente inferiori. Quindi questo maledetto maniero altro non è che la sede della Confraternita Arcana… questo spiega perché non sia stato raso al suolo dai rinnegati. E quel vecchio rugoso che ha ceduto al ricatto di un misterioso interlocutore dice di essere l’Antico! Ma chi diavolo potrebbe mai trovarsi in una posizione tale da poter ricattare il maestro della Confraternita?

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IV La porticina era chiusa. Dovevo immaginarlo! Sbuffò Roigon. E adesso come diavolo faccio a entrare? Ho detto al vecchio di conoscere la parola d’ordine, non posso permettermi di far scattare gli allarmi. «Tu, lurido idiota!» lo apostrofò una voce inacidita. «Maga Nerea, anche per me è sempre un piacere vedervi» salutò sfoderando un sorriso impertinente e voltandosi con uno svolazzo del mantello. Specie quando mi togliete da situazioni come questa. «Waidsol» scandì secca la maga facendo scattare la serratura della porta. «Entra». Roigon la seguì nella saletta guardandosi intorno furtivamente. «Ti sei infiltrato nel rifugio della confraternita e hai cercato di spiare l’Antico! E la responsabilità è mia!» «Esattamente» la interruppe. «Se mi aveste rivelato subito l’ubicazione del rifugio avremmo potuto risparmiarci questo increscioso equivoco» troncò la discussione imboccando la porta che dava sulla saletta interna. Un individuo alto e allampanato stava discutendo pacatamente con una giovane donna attraente dai capelli color del fuoco. Maledizione! «Roigon?» lo riconobbe Arelia. Il suo interlocutore si voltò a scrutarlo e Roigon sollevò le sopracciglia dalla sorpresa. «Alric?» «Non permetterti mai più di ignorarmi in questo modo!» sibilò Nerea alle sue spalle. «Roigon! Che diamine ci fai qui?» lo scrutò Alric con aria interdetta. La risatina di Arelia sovrastò gli altri commenti. «Guarda guarda…» Roigon sfoderò il suo sorriso più spavaldo. «Mi dispiace per ieri sera, mia cara, ma affari urgenti richiedevano la mia presenza… spero di essermi già fatto perdonare per avervi abbandonata a quel modo, pur felice e soddisfatta». La guance della maga si imporporarono fino a raggiungere il colore dei suoi capelli, ma il sorriso non sparì dalle sue labbra. L’incantesimo lo colse completamente di sorpresa e lo gettò in ginocchio, lasciandolo dolorante e boccheggiante. «Affari urgenti, ma certo! Doveva infiltrarsi qui dentro per cercare di spiare l’Antico!» esclamò, gelida, Nerea. «Ed evidentemente non è l’unico posto in cui si è infilato ieri notte». Vendicativa come non mai… Roigon si sforzò di trattenere un incoerente sorriso. Un braccio comparve nella sua visuale e riconobbe la veste elegante, aggrappandovisi con gratitudine. «Seta… non sei cambiato affatto, Alric» commentò. «Nemmeno tu, se è per questo» sogghignò il vecchio apprendista di Farlan. «Che cosa ci fai qui?». «Io e il vecchio ci siamo uniti alla Confraternita». «Farlan è qui?» Roigon scosse la testa. «Sta arrivando. Ci vorranno poco meno di due settimane». «Perché saresti venuto a spiare l’Antico?» si intromise Arelia. «Perché non era stato informato della locazione del rifugio» rispose il vecchio mago spuntando dalla porta che dava sulle scale. Un silenzio denso e appiccicoso avvolse la sala. Roigon vide le labbra di Nerea stringersi leggermente. «Non ho ritenuto saggio rivelarglielo finché non avesse dimostrato la sua fedeltà o Farlan fosse giunto a garantire per lui».

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«Discuteremo della cosa più tardi. Ora, se non vi dispiace, vorrei che cominciaste a meritarvi l’onore di far parte della Confraternita» dichiarò fissando Roigon con quegli occhi quasi privi di iride. «Al vostro servizio, Antico» si inchinò il mago. «Permettetemi di presentarvi Ulfric il Lupo. Lo accompagnerete nel suo incarico ed eseguirete i suoi ordini alla lettera». Un uomo alto e muscoloso incedette nella sala, squadrandolo. Roigon ricambiò lo sguardo valutando i lunghi capelli biondi, la barba intrecciata, e la corazza di scaglie d’acciaio indossata da Ulfric. Formidabile. «Avete due ore per prepararvi» ordinò il guerriero, lapidario. «Fatevi trovare sulla via principale, al cancello est di Folksvarg». Ulfric il Lupo spiccava in mezzo agli uomini assiepati al cancello. Roigon valutò rapidamente gli spessi stivali, i vestiti ampi e poveri e le asce impugnate dalla gran parte dei presenti. Taglilegna? Di certo non sembravano maghi. «Vogliono che andiamo ad abbattere tronchi?» domandò al rinnegato arcuando le sopracciglia. «Alla legna penseranno i boscaioli. Il nostro compito è evitare che i goblin, o peggio, li “disturbino” mentre lavorano». L’espressione di Roigon si fece ancora più stupita. «E hanno assunto noi due, solo noi due, a questo scopo?» incalzò guardandosi intorno in cerca di altri mercenari o presunti tali. «Siamo fattucchieri, confidano che la nostra magia compensi il nostro numero, sempreché non si ritorca contro di loro». E gli costiamo comunque meno di una compagnia di mercenari, indovinò. «Ci siamo tutti?» domandò qualcuno, e a un assenso corale i boscaioli si misero in marcia. «Vorrei che voi due steste in testa, giusto per sicurezza» disse la stessa voce acuta. Lontano dagli uomini e vicino al pericolo. «Felvar, per servirvi» si presentò l’ometto spuntando tra due nerboruti taglialegna. «Roigon» si inchinò lievemente. «Abbiamo molto sentito parlare di voi, Lupo. Confido nel vostro discernimento affinché i miei uomini siano al sicuro». «E io nella capienza delle vostre tasche affinché anche i miei interessi lo siano» borbottò il rinnegato incamminandosi in avanscoperta. Roigon lo seguì senza riuscire a trattenere un sorriso. «La Confraternita è così a corto di fondi?». Il guerriero dai capelli biondi non rispose. «Pensi che dovremmo guardarci le spalle da Felvar e i suoi uomini? Non mi piacerebbe trovarmi un pugnale nella schiena mentre frugo il bosco alla ricerca di qualche goblin». Ulfric si voltò a gettargli un’occhiata. «La nostra copertura è quella di due fattucchieri mercenari, in piena regola con le norme dell’Ordine. Bada di non lasciargli sospettare alcunché e non ci saranno problemi. «Cosa pensi ci attenda? E quanto durerà questa gitarella?» incalzò. «Almeno una settimana. Entro il tramonto avremo raggiunto le propaggini dell’acquitrino, ci vorranno almeno cinque giorni per raccogliere il legname

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necessario e non so dirti quanto ci vorrà a trasportarlo indietro. In gran parte dipende da quanti carri perderemo nella palude». «Nessuno mi aveva parlato di una palude!» sbuffò Roigon. Ulfric scoppiò in una breve risata. «L’acquitrino di Morlog ci mostrerà di che pasta sei fatto». Roigon sentì di odiare quella palude ancor prima di esserci effettivamente entrato. Il fango molliccio si attaccava ai suoi stivali di pelle lucida, risucchiandoli e rendendo ogni passo tre volte più faticoso del normale. Nonostante l’assenza di acqua, i primi moscerini cominciavano già a ronzargli irritantemente vicino. Cercando di scacciare un nugolo particolarmente insistente si distrasse abbastanza da non vedere una radice sporgente e rischiò di cadere. «Maledizione!» imprecò tra i denti. Ulfric, davanti a lui, ridacchiò appena. Nonostante la temperatura non fosse calda, l’umidità che trasudava dal suolo aveva inzuppato i suoi abiti, rendendoli pesanti e appiccicosi. Una settimana senza nemmeno una donna! È impossibile, non posso sopravvivere, decise. Si trastullò per qualche tempo col pensiero di cosa avrebbe fatto ad Arelia quando fosse tornato, ma i suoi sogni a occhi aperti furono rovinati dalla saltuaria comparsa del sarcasmo di Nerea e dall’innegabile desiderio che la maga gli suscitava. Quasi non si accorse del braccio teso di Ulfric finché non vi andò a sbattere. Una manciata di passi più avanti il terreno sprofondava in una distesa di fango liquido da cui spuntavano enormi alberi dal tronco nerastro. Il canto degli uccelli era stato sostituito dai più sinistri gridi saltuari degli uccelli di palude e da lievi rumori di acqua smossa. «Ci sono diverse colline asciutte che spuntano dall’acquitrino, ma gli alberi crescono solo nell’acqua e le colline pullulano di goblin» spiegò il mercenario. «Piazzeremo il campo poco più avanti. Non ha senso spingersi nella palude più di quanto sia necessario» istruì Felvar suscitando un sospiro di sollievo da parte dei boscaioli. «Quanto è estesa la palude?» domandò Roigon seguendo il Lupo tra la fanghiglia che gli arrivava al polpaccio. «Tre o quattro giorni di cammino per attraversarla, a seconda della tue capacità di muoverti in questo terreno. Sempreché tu ne esca vivo, naturalmente. All’interno dell’acquitrino di Morlog vivono creature ben più sinistre dei goblin». Cos’è tutta questa improvvisa loquacità? «Stai cercando di avvertirmi o di spaventarmi?». Ulfric non rispose e si limitò a fargli cenno di evitare una zona fangosa che a Roigon parve assolutamente identica al resto di quella distesa desolata. «Fermi» avvertì il rinnegato qualche passo più tardi. «Cosa c’è?» Il mercenario lo zittì con un brusco gesto e mise mano all’ascia che portava alla cintura. Il fango esplose in una nube di spruzzi e Roigon avvertì qualcosa colpirlo prima che i suoi occhi e la sua bocca si riempissero di fango. Si dibatté cercando di capire cosa fosse successo, senza riuscire a puntellarsi abbastanza saldamente per tirarsi in piedi. La mano robusta di Ulfric lo trasse dalla melma boccheggiante.

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«Che… che diavolo era?» sputò cercando di pulirsi per lo meno il viso dalla fanghiglia viscida. «Un lammen» spiegò il Lupo mostrandogli la creatura. Roigon studiò brevemente il muso allungato, la mandibola irta di denti appuntiti, i due arti palmati e la lunga coda. «Un lupo di palude» commentò Felvar adocchiando la carcassa. «Se dovessimo venire attaccati da un branco stasera mangeremmo carne». Roigon sputò per cercare di liberarsi dal sapore di marcio. «Non ho la minima intenzione di farmi avvicinare da un altro di quei cosi!» Ulfric si limitò a scrutarlo con un cipiglio divertito privo di derisione che dovette far passare a Felvar la voglia di prenderlo in giro. «Hai davvero intenzione di mangiarlo?» chiese osservando il guerriero che si caricava in spalla la carcassa. Peserà almeno sessanta chili, e ha già indosso l’armatura! «Dicono che la carne di lammen sia un prelibatezza» ridacchiò il Lupo. Roigon scrutò brevemente tra le tenebre oltre il bagliore della torcia e ritornò nel campo. Campo! Quella specie di accampamento era quanto di più pietoso avesse mai visto: tende di pelle montate qua e là sulle radici sporgenti di quei grossi alberi, e fanghiglia ovunque. Era abbastanza liquida da penetrare attraverso la stoffa e abbastanza fangosa da appiccicarsi comunque e rendere viscida qualsiasi cosa. Badando a dove metteva i piedi tornò verso Ulfric. «Cosa dicono le sentinelle?» domandò il guerriero biondo senza alzare lo sguardo dalla carcassa del lammen. «Tutto tranquillo». «Strano… pensavo che avremmo ricevuto visite stasera. Un gruppo così nutrito non passa inosservato» commentò. «Che stai facendo?» domandò vedendo che Ulfric sembrava più interessato alla pelle che alla carne. «Sai perché mi chiamano il Lupo?» Roigon scosse la testa. «Perché mi piace portare un manto di pelliccia di lupo sopra alla corazza. Non l’ho portato nella palude perché anche riuscendo a ripulirlo dal fango, l’odore di marcio non se ne andrebbe mai più. Ma quando sono arrivato al campo, ho visto che la pelliccia del lammen era perfettamente pulita. Guarda». Sotto il suo sguardo attento finì di liberare la folta pelliccia marrone chiaro e ne immerse un lembo nel fango. La estrasse per mostrargli la macchia di fanghiglia, quindi la scrollò vigorosamente. «Perfettamente pulita» annunciò con un sorriso. «È incredibile…» mormorò Roigon. «Non ho idea se questa proprietà si conservi dopo la morte del lammen, ma vale la pena provare». «Te ne serviranno diversi altri per poterti cucire un mantello, però» Ulfric sogghignò inquietantemente alla luce tremula del fuocherello. «Ne arriveranno altri, non dubitare». Spero proprio di no… stava per accomodarsi sulla radice più pulita che era riuscito a trovare quando un grido riecheggiò da un’estremità dell’accampamento. Roign balzò in piedi e seguì Ulfric di corsa attraverso la fanghiglia, sollevando spruzzi sulle tende circostanti.

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«Che ti avevo detto?» ringhiò il Lupo, raggiungendo un boscaiolo riverso. La fanghiglia pareva perfettamente immobile, nemmeno un’increspatura ne deturpava la superficie. Roigon cercò di non lasciarsi distrarre dalle urla che cominciavano a levarsi nell’accampamento. «Strano, di solito trascinano le prede nel fango» mormorò Ulfric toccando il corpo con la punta dell’ascia. «È ancora vivo». Un altro grido risuonò poco distante, a cui subito ne fecero eco diversi altri. Roigon riportò lo sguardo sul boscaiolo e seguì i solchi rossi che ne deturpavano i lineamenti. Quelli non sembrano segni di denti… «Vlasrik!» gridò il mercenario balzando in piedi e spostando immediatamente la sua attenzione dall’acqua all’aria. Il grido si propagò per il campo come un incendio insieme al rumore di ali che frustavano la notte. Roigon strappò una torcia dal fango e la sollevò sopra la testa giusto in tempo per vedere una delle creature piombare su di lui. Con un rumore viscido un buon braccio di lama si infilò nel ventre del Vasrik, uccidendolo. Il Lupo estrasse la spada dalla carcassa e soppesò l’ascia nell’altra mano, guardandosi intorno. «Tieni alta quella torcia e stammi vicino» ordinò avviandosi verso il centro dell’accampamento. Roigon lo tallonò da presso. «Là!» indicò scorgendo una delle grosse creature rattiformi che stava per avventarsi sul Felvar. L’ascia di Ulfric lo intercettò a mezz’aria e si conficcò in un tronco. «Fiarel bladen vir» scandì il mercenario levando il braccio e torcendo il polso in un gesto elaborato. Una fiamma si accese nella sua mano e si allungò fino a prendere la forma di una spada dai bordi ondeggianti. «I Vlasrik temono il fuoco! Usate il fuoco!» Maledizione, siamo stati ingaggiati per proteggere questi uomini ma non mi sembra ci stiamo riuscendo granché! Il profilo di un paio di ali di pelle comparve sulla tenda vicina. «Njarta» ordinò liberando la magia. Il Vlasrik precipitò nella fanghiglia. Vedi di affogarci! «Due calano dall’alto!» avvertì Ulfric. La lama di fuoco amputò un’ala del primo mentre quella d’acciaio si abbatté sul secondo, deviandolo dalla sua traiettoria. Roigon si mosse per intercettarlo e colpì brandendo la torcia a due mani. Il vlasrik precipitò nella fanghiglia e prese ad agitarsi spruzzando fango ovunque. Ulfric conficcò la lama di fuoco nel fango traendone un sonoro sfrigolio e uccidendo il vlasrik che vi si agitava. «Muori!» Roigon si voltò verso il grido e uno spruzzo di fango lo investì in pieno viso quando il boscaiolo abbatté uno di quei grossi ratti alati piantandogli l’ascia nel cranio e sprofondandolo nella melma. Mentre si puliva gli occhi si rese conto che le grida erano quasi totalmente cessate. «Se ne sono andati?». Ulfric non rispose e raggiunse Felvar con poche, ampie falcate. «Raduna tutti gli uomini, fai raddoppiare le torce e conta i morti, i feriti, e i corpi di vlasrik» ordinò. Con sorpresa di Roigon, Felvar obbedì senza discutere.

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«Per questo era tutto così tranquillo… nemmeno i lammen sono soliti cacciare nei territori dei vlasrik» borbottò il mercenario. «Abbiamo contato cinque morti, due dispersi e dieci feriti» lo informò un boscaiolo. «E otto di quei diavoli neri morti». Ulfric annuì e recuperò la propria ascia dal tronco. «Dovremmo aver inflitto loro abbastanza perdite da tenerli alla larga». Roigon vide che gli occhi del boscaiolo non abbandonavano un istante la lama di fiamme che ardeva nella mano sinistra del guerriero. «La vostra magia avrebbe dovuto proteggerci…» «Se volevate magia avreste dovuto assumere dei maghi» lo interruppe il Lupo ringhiando. «Noi siamo soldati, ottimi soldati anche grazie a qualche trucchetto magico, ma pur sempre soldati». Il boscaiolo annuì arretrando di un passo. «Avete ragione, scusate».

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V Il rumore incessante delle asce che attaccavano il legno sembrava scandire i suoi passi meglio del risucchio del fango. «Pensi che ora che abbiamo abbattuto la maggior parte dei vlasrik i lammen potrebbero spingersi fin qui?» «Non ne sono sicuro» ammise Ulfric. «Per trovare il luogo adatto a piazzare un campo così grande ci siamo spinti più all’interno di quanto mi sarebbe piaciuto. Non mi ero mai trovato a dover affrontare più di un vlasrik, e anche quello piuttosto di rado. Un vecchio cacciatore mi disse che in luoghi particolarmente selvaggi se ne possono trovare nidiate da dieci o dodici esemplari, e che me ne sarei potuto accorgere per l’assenza totale di altri predatori» spiegò. Sembra che la battaglia gli abbia sciolto la lingua, quasi non si riconosce il mercenario taciturno. «Quindi dovremo guardarci da lammen e goblin» «Per lo più. Non siamo abbastanza all’interno da dover temere di imbatterci in un troll». «Un troll? Non sapevo crescessero nelle paludi. In ogni caso gli alberi sono così distanti tra loro che sarebbe piuttosto semplice evitarlo» Ulfric si fermò a scrutarlo. «Cosa diavolo credi che sia un troll?». Roigon ripensò brevemente a tutti i racconti che aveva udito. «Un qualche tipo di pianta carnivora». «È tecnicamente esatto, ma non aiuta a capire quello che ti troverai davanti. Un troll è una pianta dal ritmo di vita accelerato al pari di quello di un animale, senziente e in grado di spostarsi molto più velocemente di te o me» Roigon arcuò le sopracciglia. «Temo che tu stia dando troppo credito alle storie di bardi strampalati o ubriachi». «Spera di non doverlo mai verificare» consigliò il Lupo, arcigno. «Hai sentito?» «Cosa?» domandò Roigon svegliandosi di soprassalto. Gli parve di essersi riscosso da un sogno molto vivido di cui non riusciva a ricordare nulla. Che idiozia! Se fosse stato vivido dovrei ricordarlo… Ulfric si alzò piuttosto silenziosamente considerata la quantità di acciaio che aveva addosso, ed estrasse l’ascia dalla cintura indicandogli l’altro lato dell’albero a ridosso del quale avevano piazzato le tende. La luce della torcia della sentinella illuminava il profilo del tronco nerastro con la sua luce tremula mentre Roigon si avvicinava, balestra alla mano. Un grido strozzato risuonò dall’altra parte dell’albero e il mago si affrettò a completare il giro, rischiando di andare a sbattere contro un goblin. Senza nemmeno pensare tirò il grilletto conficcandogli un quadrello dritto nella nuca. Un secondo goblin coperto di fanghiglia precipitò al suolo privo della testa mentre l’ultimo arrancava oltre l’aura di luce della torcia. Le gambe corte della creatura sprofondavano nel fango fino alla coscia, rendendolo lento e impacciato nella corsa. Roigon caricò la balestra senza distogliere lo sguardo dalla sagoma scura del goblin in fuga. «Coprimi le spalle» chiese a Ulfric temendo che una di quelle infide creature posse sorprenderlo. Tirò il grilletto e il quadrello solcò l’aria fischiando, perdendosi nell’oscurità. L’ho preso? «Non riesco più a distinguerlo» sbuffò.

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«Lascia perdere» consigliò Ulfric. «Piuttosto, mi chiedo perché la sentinella non abbia dato l’allarme». Si voltarono contemporaneamente verso l’uomo appoggiato all’ampio tronco. «È morto?» Ulfric assestò gli assestò un calcio in pieno petto con lo stivale corazzato, strappandogli un gemito e lasciandolo boccheggiante. «Quest’idiota si è addormentato!» ruggì. «Avrebbero dovuto sgozzarti i goblin, ma se dovesse succedere di nuovo mi accerterò di essere io a farlo!» lo minacciò. «Goblin?» riuscì ad ansimare il boscaiolo. «Una maledetta pattuglia esplorativa. Ne avranno mandate altre per saggiare il punto più debole dell’accampamento». Roigon si affrettò ad andare a controllare le altre sentinelle, ma solo due su dieci avevano visto dei movimenti furtivi. «Stanotte non attaccheranno» garantì Ulfric, ma Roigon non riuscì a prendere sonno sapendo che un goblin sarebbe potuto spuntare dalla fanghiglia per tagliargli la gola in ogni momento. Quanto vorrei avere una donna! «Non dovremmo sorvegliare il perimetro?» domandò Roigon seguendo Ulfric nella perenne fanghiglia. «I goblin potrebbero attaccare». «I goblin sono esseri codardi, aspetteranno il buio» ribatté il mercenario. «Se invece riuscissimo a trovare il loro covo, potremmo occuparci del problema prima che si presenti». «Non mi piace l’idea di addentrarmi ancora di più nell’acquitrino di Morlog». «Neanche a me» confessò il Lupo. «Guarda». Roigon aguzzò la vista e notò una serie di increspature che si ripeteva, avvicinandosi sempre di più alla loro posizione. «È meglio che sfoderi quella tua balestra» consigliò il mercenario, ma Roigon stava già incordando un quadrello. Il dardo penetrò nella fanghiglia a metà e il lammen emerse dalla melma emettendo una sorta di gemito acuto, ma con sorpresa del mago continuò ad avanzare. Roigon incordò la piccola balestra e conficcò un secondo dardo nel corpo della creatura. «Dall’altro lato» lo avvertì Ulfric facendo roteare l’ascia e conficcandola nel cranio di un lammen che stava per balzargli addosso. Roigon imprecò a mezza voce premendo il grilletto e mandò un altro quadrello a conficcarsi in corrispondenza delle increspature. Questa volta la fanghiglia si fece immobile. Ulfric avanzò con circospezione fino al punto in cui era quasi totalmente affondato il quadrello e immerse una mano di scatto. Con un sorriso sornione estrasse il muso di un lammen e lo trascinò fino all’albero più vicino, sistemandolo su una radice ben in vista. «Solo un po’ di pazienza» commentò estraendo il lungo coltello che aveva usato per scuoiare il primo lupo di palude. Dalla fanghiglia emersero improvvisamente quattro musi pelosi che si avventarono contro il Lupo. Ulfric conficcò il coltello nel collo di un lammen cercando di tenerne lontano un secondo con un braccio.

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«Njarta ranma vers» gridò Roigon rovesciando il polso e intrecciando le dita in un gesto complicato. Gli altri due lammen esitarono e Ulfric ne approfittò per tagliare la gola con un gesto esperto a quello che gli aveva azzannato il braccio. «Njarta ranma vers» rincarò Roigon e uno dei lupi di palude si accasciò nella fanghiglia. Ulfric investì l’altro con uno stivale corazzato e li finì entrambi con pochi, rapidi colpi. «Me la sono vista brutta!» imprecò scostandosi i capelli infangati dalla fronte. «Sarebbe potuto succedere a chiunque. Come va il braccio?» Ulfric mostrò l’avambraccio. Una considerevole porzione di carne penzolava dal braccio attaccata per una sottile striscia di pelle e in alcuni punti si intravedeva l’osso. «Una buona fasciatura e un paio di giorni di riposo e sarà guarito» liquidò la faccenda il mercenario risistemando con noncuranza la carne al suo posto. Roigon sospettava ci sarebbe voluto ben di più, ma si limitò a fasciarglielo al meglio delle sue capacità. «Fortuna che l’altro ha cercato di azzannarmi uno stivale!» ridacchio Ulfric. Il guerriero impiego meno di un’ora per scuoiare le carcasse, e fece sistemare a Roigon la carne in una pigna compatta sulla radice. «Potremo mandare qualcuno a riprenderla quando torneremo al campo». Dovevo immaginarlo! Ha quasi perso un braccio ma non ha la minima intenzione di fermarsi! «Sei piuttosto in gamba come mago» considerò il rinnegato. O forse tu sei solo al livello di un apprendista. «E del tutto fuori luogo in una palude. Comincio a rimpiangere di aver accettato di indossare questo bracciale!» «E avresti preferito sottostare alle regole dell’Ordine?» Roigon non replicò. Forse è una specie di punizione per essermi intrufolato nel maniero… Il sole aveva già superato lo zenit quando il terreno cominciò a salire e a farsi compatto. «Ci siamo» sussurrò Ulfric avanzando con cautela. Il puzzo di marcio non era diminuito, come Roigon aveva sperato, ma si era intensificato e unito a un odore di escrementi e corpi ammassati. Salirono in silenzio per il fianco della bassa collina, scrutando attentamente tutt’intorno. Sassi… non avrei pensato mi sarebbero potuti mancare! Il mercenario lo afferrò per una spalla e gli indicò un’apertura di circa un passo tra due grossi massi, lungo il fianco della collina. Lì dentro? Se pensi che io abbia intenzione di infilarmici te lo scordi, amico. Ulfric dovette intuire la risposta dalla sua espressione. Indicò dietro di sé a segnalare di scendere per poter parlare liberamente e Roigon si voltò giusto in tempo per vedere un goblin balzare su di lui. Da dove diavolo…? Lo intercettò con un calcio e protese la mano verso l’altro esserino coperto di croste. «Njarta» scandì, addormentandolo. La consapevolezza di quello che aveva fatto gli piombò addosso improvvisa come la lancia che gli sfiorò il braccio destro. «Corri, idiota!» gli gridò Ulfric balzando giù per la collina. Roigon azzardò un’occhiata alle spalle mentre correva e vide una decina di goblin sciamare al loro inseguimento, mentre altri uscivano dal buco. Trattenne un conato di

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vomito al pensiero delle condizioni della caverna e sbatté contro qualcosa di cedevole, inciampando e ruzzolando giù per gli ultimi passi. Scosse la testa cercando di schiarirsi la visuale e si trovò faccia a faccia con le croste trasudanti quello che sembrava muco di un goblin. L’odore nauseabondo diede il colpo di grazia al suo stomaco e lo fece rimettere addosso alla sfortunata creatura, peggiorandone se possibile ancor più l’aspetto. Un dolore insistente al ventre trapelò attraverso la nausea e scoprì di essere caduto sull’elsa del pugnale del goblin. Lui invece si è preso la lama. Finalmente lucido balzò in piedi voltandosi di scatto e schivando di stretta misura la lancia brandita da un altro di quei subdoli esseri, mentre due compagni armati di piccole mazze si stringevano su di lui da entrambi i lati. Fece per affondare la mano nella scarsella e si accorse di non averla. Come…? No! «Njarta!» scandì, e appena il goblin di fronte a lui sbatté gli occhi, instupidito dal sonno, gli strappò la lancia dalle mani e lo gettò a terra con un calcio. Prima che i due goblin ai suoi fianchi potessero chiudersi su di lui superò con un balzo quello che aveva colpito e prese a risalire la collinetta di corsa, frugando con lo sguardo in cerca della sua bisaccia. Qualcosa lo colpì a una spalla intorpidendogli il braccio e vide che i goblin piombavano su di lui da tutte e direzioni. Conficcò la lancia nel petto del più vicino e con un grugnito lo fece roteare attorno a sé, intercettando diversi suoi compagni e mandandone un paio a ruzzolare giù per la collina. Il mio grimorio è nella bisaccia! Tutte le sue conoscenze, il frutto di tutti suoi studi… i suoi occhi si puntarono su un goblin che correva controcorrente. Perché scappa? A meno che abbia qualcosa che non vuole dividere con gli altri! Si lanciò all’inseguimento travolgendo un goblin senza quasi curarsi del colpo di mazza che si abbatté sul suo braccio già intorpidito, privandolo completamente della sensibilità. «Melitha anharra vorh» urlò in direzione del goblin intessendo un complicato incantesimo. Il ladro si bloccò a metà di una falcata e l’inerzia lo fece inciampare e precipitare giù per la collina. Roigon lo raggiunse più rapidamente che poté e gli conficcò il suo pugnale nel cuore, strappando dalle mani sudice la sua scarsella e verificando rapidamente che il libro fosse ancora al suo posto. Una lancia rimbalzò su un masso a un passo da lui, rammentandogli improvvisamente la ventina di goblin al suo inseguimento. Sono troppi! Ma forse avrebbe potuto giocare sulle loro gambe corte e distanziarli nella fanghiglia. Si gettò nel fango cercando di scorgere eventuali increspature sulla superficie e dirigendosi verso l’albero più vicino. Qualcosa lo colse in mezzo alle scapole e precipitò con un sonoro “plof”, ma non si azzardò a guardarsi indietro. Procedette per cinque dita di candela correndo nella fanghiglia, cercando di muoversi da un albero al successivo in modo da tenersi quanto più vicino possibile ai punti più solidi, in cui non affondava oltre il ginocchio. Ansante, si arrischiò infine a gettarsi un’occhiata alle spalle. Una decina di goblin perseguitava nell’inseguimento, trascinandosi nel fango alla massima velocità consentita loro dalle gambe corte. Se solo potessi nascondermi da

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qualche parte! Forse, però, gli sarebbe convenuto affrontarli. Ho intessuto già molto incantesimi e la corsa mi ha stancato… forse con tre o quattro incantesimi riuscirei ad addormentarli tutti anche nello stato in cui sono, ma se ne rimanessero anche solo un paio rischierei di essere troppo stanco per affrontarli. Valutò un istante il da farsi: continuare a correre nella palude senza avere la più pallida idea della direzione avrebbe potuto rivelarsi fatale, ma non era nelle condizioni di poter affrontare dieci goblin. Per la prima volta si sentì completamente in trappola: non c’erano persone che avrebbe potuto manipolare qui, non avrebbe potuto cavarsela con la sua magia. Ho ancora quattro ore di luce. Il braccio gli doleva con tanta insistenza da impedirgli di pensare chiaramente. Forse è rotto… Gettò un’occhiata ai goblin e si rese conto che guadagnavano terreno rapidamente ora che si era fermato. Maledizione! Imprecò ricominciando a sguazzare nella fanghiglia, sempre attento alle increspature. Un grido stridulo alla sue spalle lo fece voltare e vide i goblin agitarsi in una marea di spruzzi. Lammen? Poteva rivelarsi tanto utile quanto fatale. Scrutò rapidamente la fanghiglia circostante e vide un’increspatura dirigersi rapidamente verso di lui. Con la sola mano sinistra incordò faticosamente la balestra, conscio che una mossa sbagliata l’avrebbe fatta irrimediabilmente precipitare nel fango. «Mael» scandì, sollevando il quadrello con la magia e deponendolo nella sua sede. Attese fino all’ultimo istante, esattamente quando il lammen balzò fuori dal fango per azzannarlo e premette il grilletto chiudendo gli occhi. Riaprì gli occhi tirando un sospiro di sollievo e scavalcò la carcassa, cercando di riporre la balestra nonostante il tremito della mano. Meglio togliersi di qui prima che arrivino i suoi compagni. Un’occhiata dietro di sé gli confermò che i suoi inseguitori erano solo mutati: da goblin lenti e impaciati a lammen agili e veloci. Non ce la farò mai! Si mise a correre il più velocemente possibile verso l’albero più vicino, arrancando nel fango. Inciampò in una radice sporgente e atterrò sulla mano, continuando ad annaspare a gattoni aspettando di sentire i denti acuminati azzannarlo. Impiegò qualche istante per rendersi conto di essere quasi completamente fuori dalla fanghiglia, su terra solida. Si gettò un’occhiata alle spalle ma la melma era immobile. Un’altra collina pullulante di goblin? Una rapida ispezione dei dintorni smentì la sua ipotesi: sembrava una lingua isolata di terreno solido. Un ringhio sordo risuonò alle sue spalle ma Roigon non si voltò a vedere cosa l’avesse provocato: si limitò a correre in avanti il più velocemente possibile, cercando di ignorare le fitte alla milza e al braccio. Alle sue spalle si levò una serie di guaiti identici a quelli dei lammen e Roigon cercò di non immaginare quale creatura potesse starli facendo a pezzi, nonostante la parola troll rimbombasse nella sua mente. Il dolore era ormai una costante. Ogni passo ne versava una stilla in più dentro di lui, ogni respiro sembrava acuirlo. Le gambe gli cedettero per la terza volta e non cercò più di rialzarsi. Si limitò a trascinarsi in un angolino, appoggiare la schiena contro un

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masso e chiudere gli occhi, sperando di riaprirli nel suo letto accanto a una donna pronta a soddisfarlo. Possibilmente quella puttana di Nerea.

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VI Quando aprì gli occhi il sole lo abbagliò, costringendolo a richiuderli. Istintivamente alzò la mano destra per schermarsi e il dolore gli assestò una stilettata, ricordandogli dove si trovasse. Con un grugnito di disappunto si schermò con la sinistra. Perché non sono morto? E dove diavolo sono? Attorno a lui il terreno era quasi completamente solido, costellato di tanto in tanto da qualche pozzanghera fangosa o piena di una melma giallognola e ripugnante. Un sottile strato di nebbia aleggiava sopra alle piccole pozze, ma il terreno irregolare era sgombro, brullo e sassoso. Sono uscito dall’altro lato? Si chiese. No, è impossibile, Ulfric ha detto che ci sarebbero voluti almeno tre giorni. Per quanto possa avere corso, non è possibile, si rispose. Perfetto, adesso parlo anche da solo. Si alzò lentamente cercando di ignorare i gemiti di protesta del suo corpo. Non ricordava di essere mai stato così male, nemmeno quando aveva bevuto fino a vomitare l’anima e Farlan l’aveva svegliato all’alba, percuotendolo per punizione. Alric aveva riso fino a non riuscire a reggersi in piedi, e Farlan aveva colpito pure lui, ricordò. Il tanfo dolciastro di marciume e putrescenza lo riportò alla realtà. Ovunque riuscisse a spingere lo sguardo vedeva nebbia o terreno solido, e davanti a lui pareva innalzarsi una collina. Forse da lassù riuscirò a capire dove mi trovo, si fece coraggio. L’ascesa contribuì a scaldargli i muscoli e lenire il dolore, e l’aria si fece lievemente più respirabile. Quando ebbe superato la china scoprì che la collina faceva parte di un trio, in mezzo al quale si creava una conca piena di fanghiglia e melma. Il suo sguardo si puntò sulle rive bianchicce della pozza. Ossa! Quale dannatissima e maledetta creatura può vivere qui? Si voltò per andarsene il più in fretta possibile ma non riuscì a resistere all’impulso di gettare un’altra occhiata alla miriade di ossa che costellava la conca, e il suo sguardo intercettò una macchia d’ombra che non aveva notato. Una caverna! Perfetto, quindi ha anche una tana… a quanto pare trascina le prede fin qui e le divora in tutta calma. Si affrettò a distogliere lo sguardo e cercare di orientarsi. Le forme spettrali degli alberi della palude emergevano dalla nebbia e si alzavano scheletriche poco sopra la collinetta. Come diavolo faccio ad andarmene da qui? Non aveva nemmeno idea di quale fosse la direzione da cui era arrivato. Gli occhi gli caddero su un fiore bianco che non aveva mai visto, una piantina delicata che gli parve del tutto fuori luogo in un posto come quello, a pochi passi dal covo di non so quale creatura sanguinaria. A un esame più attento, tuttavia, si accorse che i petali uniti a formare una corona erano cosparsi di puntini rossi dalla forma irregolare, come schizzi di sangue. Quantomai appropriato… colse delicatamente il fiore e se lo appuntò a un occhiello della tunica insudiciata. Ricontrollò pazientemente l’orizzonte in cerca di un indizio che lo aiutasse a determinare la sua posizione. Dovrei essere in grado di vedere le montagne, a nord! Gli parve di scorgere delle forme indistinte alla sua destra, ma la caligine che si alzava dall’acquitrino rendeva impossibile esserne certi. Sempre meglio che restare qui in attesa che quella cosa esca e decida di aggiungere le mie ossa alla sua collezione!

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Controllò un’ultima volta le sagome sbiadite che avrebbero dovuto essere le Skanvald e ridiscese il fianco della collina. Roigon si voltò di scatto per la terza volta. Per quanto non avesse udito nessun rumore e non avesse visto niente, non riusciva a togliersi dalla testa l’impressione di essere seguito. La fanghiglia tra le lingue di terra asciutta si era mantenuta perfettamente immobile, nessun lammen aveva cercato di sbranarlo e i piccoli uccelli di palude innalzavano nella nebbia il loro coro stridulo. Riprese ad avanzare di buon passo nella melma puzzolente, arrancando per emergere su una delle lingue semisolide che caratterizzavano quel tratto di palude. Questa puzza non se ne andrà mai più dai miei abiti! Tese l’orecchio e chiuse gli occhi per concentrarsi solo sui rumori, ma non riuscì a percepire il battere ritmico delle asce sul legno. Ammesso che sia la strada giusta, sono ancora lontano. Stava per tornare a immergersi nella fanghiglia quando la sensazione che ci fosse qualcosa alle sue spalle si fece ancora più pressante. Con un sospiro scocciato si voltò per la quarta volta e si trovò davanti a una grossa creatura che pareva composta da un groviglio di viticci marroni e verdastri. Balzò indietro di scatto senza riuscire a trattenere un urlo, affondando nella fanghiglia e scivolando sul terreno viscido. L’artiglio ligneo lo mancò di poche dita solo grazie alla caduta che lo precipitò nel fango liquido, ma Roigon non lasciò che la sua concentrazione ne risentisse. «Njarta!» ordinò intrecciando le dita nel solito gesto. Il troll ondeggiò con uno scricchiolio di rami secchi e si lanciò in avanti, ignorando il suo incantesimo. Maledizione, è una pianta! Roigon rotolò di lato trattenendo il fiato mentre immergeva suo malgrado la faccia nella nauseabonda fanghiglia e strisciò via il più velocemente possibile, aspettandosi di essere trafitto da un momento all’altro. Anche se evoluta, la sua mente funziona in modo diversa da quelle degli animali. Il rumore di fango smosso con violenza gli giunse ovattato dalla melma, accompagnato da un ringhio ferale. Ha funzionato? Non mi vede? Dopotutto se potevano farlo i lammen avrebbe dovuto riuscirci anche lui. I polmoni cominciarono a chiedere aria troppo insistentemente per ignorarli ed emerse di scatto, cercando di rialzarsi velocemente e continuare ad allontanarsi mentre si puliva la fanghiglia dagli occhi. Gettò uno sguardo all’indietro e vie il troll lanciarsi verso di lui, le gambe lunghe e robuste quasi per nulla intralciate dalla fanghiglia. Cos’ha detto Farlan sulla “mente” delle piante? Sono sicuro che sia possibile usare la magia per influenzare la loro coscienza, ma non ha mai voluto spiegarmi per bene come si facesse! Un piede affondò più di quanto si fosse aspettato, sbilanciandolo in avanti e facendolo precipitare per l’ennesima volta nel fango nauseabondo. Annaspò in cerca d’aria, scalciando per trovare un punto stabile e riuscì a riemergere. È finita. Con sua somma sorpresa il troll si fermò a un passo e mezzo da lui, agitando le lunghe braccia nodose. Che il fango sia troppo alto per lui? fu il suo primo pensiero, notando come la melma gli arrivasse alla cintola. Qualunque sia il motivo, meglio togliersi di torno!

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Mosse le gambe per indietreggiare e capì cosa avesse trattenuto la bestia quando riuscì a spostarsi neanche minimamente. Maledizione! Sabbie mobili! Il troll emise un ringhio frustrato, quasi fosse indeciso se inseguire comunque la preda o meno. Un problema per volta! Cosa aveva detto Farlan sulla “mente” delle piante? Il troll allungò un artiglio cercando di raggiungerlo e Roigon si puntellò con tutte le sue forze, riuscendo ad indietreggiare qualche dito. Pensa maledizione, pensa! Una sfera di fiamme grande quanto un pugno si abbatté sul troll, strappandogli un ringhio più sonoro degli altri che andò a confondersi con una specie di grido di battaglia proveniente dall’acquitrino alle spalle del mago. «Ulfric?» chiese senza azzardarsi a voltarsi. Il possente mercenario comparve alla sua sinistra in un nugolo di spruzzi e calò l’ascia contro un braccio del troll, tranciando la maggior parte dei viticci che lo componevano. «Se hai qualche buon incantesimo è ora di tirarlo fuori!» gli gridò in un vorticare delle trecce bionde in cui era raccolta la sua folta barba. «Sembra che la tua ascia se la stia cavando meglio di qualsiasi incantesimo io conosca». «Non contarci! Posso solo trattenerlo!» Roigon si stava chiedendo cosa intendesse quando i viticci amputati crebbero sotto ai suoi occhi fino a ricongiungersi con quelli della spalla. Crescita accelerata… Un altro globo infuocato comparve sul palmo di Ulfric, che lo fece ondeggiare davanti al troll cercando di tenerlo a distanza. Funziona? Il troll sembrava esitare di fronte alle fiamme. L’artiglio di legno si abbatté contro il petto del mercenario all’improvviso, sollevandolo da terra e scagliandolo indietro di tre passi buoni. Ulfric atterrò di schiena sollevando una nuvola di spruzzi. Maledizione! Devo fare qualcosa! “…le piante hanno una coscienza semplificata, non sono in grado di recepire concetti complessi. Per manipolarle ci vuole un tocco sottile, un’impressione che a noi provocherebbe solo un piccolo disturbo su di esse agisce da condizionante, mentre ciò che per noi è condizionante risulta loro incomprensibile”. La frase gli tornò in mente di colpo, lasciandolo pieno di amarezza. Speravo in qualcosa di meglio! Un tonfo sordo sollevò un’ondata di spruzzi e lo riportò bruscamente alla realtà. Ulfric gemette sotto il colpo del troll e gridò confusamente qualcosa che Roigon non riuscì ad afferrare. Ci sono quasi, ci sono quasi! Per addormentare il troll devo usare “un tocco leggero”, suscitare solo “un piccolo disturbo”. Ma non devo diminuire la potenza dell’incantesimo, solo la complessità della struttura. Un bagliore lampeggiò nell’acquitrino e il troll balzò indietro con un ruggito, lasciandogli intravedere il Lupo infuriato che brandiva una lama di fuoco. Una delle braccia di virgulti aggrovigliati spuntava nella fanghiglia, amputata di netto. «Farai meglio a muoverti: non durerà per molto e non è così stupido da affrontarla» ansimò il mercenario. Roigon tornò repentinamente al suo ragionamento. Posso mantenere inalterata la radice principale e modificare le sillabe, lasciando aperta la finale e alleggerendo la struttura, togliere la contrazione delle dita… Maledizione! Ci vorrebbero giorni di ricerche ed esperimenti per esserne sicuri!

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Roigon stese la mano verso il troll. «Njrat» scandì infondendo tutta la magia che gli riuscì in quell’unica parola. La bestia barcollò leggermente ma continuò a scalciare, gettando fango su Ulfric e la sua spada di fuoco mentre avanzava. «Ragosh!» imprecò il Lupo mentre la lama di fiamme sulla sua mano si contorceva sibilando. Roigon ripeté il gesto mentre il mercenario partiva alla carica cercando di battere il troll sul tempo. «Njrat» ordinò nuovamente avvertendo la magia contorcersi dentro di lui e abbandonare il suo corpo. I tonfi fangosi rallentarono bruscamente. «Niente male» commentò Ulfric con un sospiro adocchiando il troll addormentato. Ora che era fermo era molto simile a una pianta, tanto che un osservatore non particolarmente attento avrebbe potuto passarvi accanto senza notarne la reale natura, giudicò Roigon. «Avanti, muoviti a tirarmi fuori di qui!» imprecò: non aveva la minima idea di quanto sarebbe potuto durare l’incantesimo. «Non pensavo che ti avrei rivisto» ammise Ulfric estraendo il braccio del troll dalla fanghiglia. «Nemmeno io. Si può sapere che diavolo stai facendo?» Ulfric si sdraiò nella fanghiglia a circa tre braccia da lui e protese l’arto del troll. «Afferralo» ordinò. Roigon tese le braccia e si aggrappò con tutte le sue forze, cercando di ignorare le fitte di dolore che gli corsero per il braccio destro. Con un grugnito il Lupo prese a trascinarlo attraverso l’argilla densa in cui era intrappolato. Se non finisce entro breve mi si staccherà il braccio, imprecò mentalmente ma si guardò bene dal mollare l’arto. Gli parve di impiegare un’ora a percorrere le tre braccia che lo separavano dal mercenario, ma finalmente sentì la pressione allentarsi e riuscì a muovere le gambe. «Andiamocene!» ingiunse, mettendosi a correre a fianco del Lupo.

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VII «Queste sono per te. Te le sei guadagnate» esclamò Ulfric gettando sul tavolino traballante di legno scuro diverse pellicce di lammen. Roigon sfoderò un sorriso beffardo. «Se pensi che mi metterò ad andare in giro con un mantello come il tuo solo perché ho rischiato di morire più volte di quante mi sarebbe piaciuto rischiare la pelle in tutta la mia vita, ti sbagli di grosso» commentò osservando con aria critica l’ingombrante mantello pelliccia di lupo che ondeggiava dietro il mercenario. Devo ammettere che gli conferisce un nonsoché di selvaggio, ma non fa per me. Ulfirc si profuse in una sonora risata prendendo posto. «E come se le sarebbe guadagnate, Ulfric? Intrattenendoti con le sue pietose battute?» ribatté la voce tagliente di Nerea. «Anch’io sono lieto di rivedervi, maga Nerea» «Non lo sarei nemmeno se non aveste la stessa gradevole fragranza di una fogna» lo interruppe la donna andandosi a sedere il più lontano possibile da lui con un sorriso sarcastico. Ho dovuto gettare tutto quello che ho avuto addosso nel corso della missione! Imprecò fra sé. Almeno ottantacinque monete d’acciaio di vestiti! «Che c’è, ho forse toccato un tasto delicato?» ridacchiò la maga scuotendo i capelli color cenere in un gesto provocante. Lo fa apposta o non se n’è nemmeno resa conto? «Ah, Nerea… come pensi che un uomo possa curarsi del fango e della puzza quando è impegnato a sopravvivere nell’acquitrino di Morlog, solo, per un giorno e una notte?» prese le sue difese Ulfric, sorprendendo anche Nerea. «Sei rimasto solo nell’acquitrino? Di notte?» fece eco alle parole del Lupo la voce accorata di Arelia. «Stai bene?» «Sono felice di sapere che c’è qualcuno a cui importa il mio ritorno e che si preoccupa per me» l’accolse Roigon con un sorriso sincero adocchiando la reazione fredda di Nerea. «Racconta! Cos’è successo? Perché vi siete separati?» aggiunse la donna squadrando Ulfric con un’occhiataccia. «Questo imbecille si è messo ad inseguire un goblin!» sbottò il mercenario ridacchiando. «Il goblin in questione aveva preso il mio grimorio. Perché ti ho seguito nella tua folle idea di sgominare una nidiata di quelle creature rivoltanti da soli!». «Non sarebbe successo se tu non ti fossi fatto scoprire in quel modo» lo rimproverò il Lupo con un sorriso beffardo. «Va bene, non mi interessa di chi è la colpa: è evidente che siate uno più stupido dell’altro» sbottò Nerea esasperata. «Vai avanti». Roigon si strinse nelle spalle. «Ho recuperato il libro ma mi sono trovato uno sciame di goblin alle calcagna. Sono scappato nell’acquitrino, cercando di distanziarli nella fanghiglia e di evitare di incappare in un branco di lammen. I lupi di palude hanno preso i goblin e se li sono mangiati, per poi prendere loro il posto di inseguitori, ma si sono stancati quasi subito». «Deve aver raggiunto il territorio di caccia di uno stormo di vlasrik, o di un troll» spiegò Ulfric. «Ho continuato a camminare finché le gambe hanno retto, e quando mi sono svegliato mi trovavo sulla terra asciutta, circondato da questi fiori» spiegò mostrando lo strano fiore bianco che pareva macchiato di sangue.

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Perfino Nerea non riuscì a dissimulare del tutto l’interesse. «Non ho mai sentito parlare di un posto in cui crescano simili fiori nell’acquitrino» borbottò Ulfric, pensieroso. «Era una distesa di terra asciutta da cui spuntavano tre colline, e…» «Non dubito che sia un racconto avvincente» lo interruppe la voce sbiascicata dell’Antico, «ma non ho ancora ricevuto il vostro resoconto di quanto successo. Ulfric è venuto da me immediatamente dopo essere tornato, mentre voi non vi siete ancora fatto vedere» spiegò invitandolo con un cenno a precederlo fuori. «Chiedo scusa, ho preferito farmi un bagno e cambiarmi d’abito prima di presentarmi a riportarvi l’esito del vostro incarico» ribatté Roigon con un briciolo d’ironia. «Fate in modo che non succeda più» tagliò corto il vecchio mago, secco. Roigon precedette il decrepito mago fuori dalla stanza senza discutere. «Quando l’ho ritrovato» gli giunse la voce di Ulfric attraverso la porta mentre si allontanava. «Era affondato fino alla cintola nelle sabbie mobili, con un troll alle…» la voce si perse in lontananza. «Un troll?» gli giunse l’esclamazione costernata di Arelia, strappandogli un sorriso. Nerea invece avrebbe avuto un’espressione fredda e distaccata che non faticava a immaginare, la sua curiosità tradita solo da un lampo nello sguardo. Ce l’avrà ancora con me? «Una caverna circondata da ossa, dite» gli fece eco l’Antico. «Esatto». «Senza dubbio dimora di qualche creatura molto pericolosa! Siete stato molto fortunato, vi sconsiglio dal cercare di tornarvi...». Tornare in quella palude? Sta scherzando! «Non nutro il minimo desiderio di avvicinarmi a più di un giorno di viaggio a quel maledetto acquitrino, state tranquillo» l’interruppe. «…e dal farne parola. Avrete avuto modo di conoscere il temperamento di Ulfric e potrete condividere i miei timori che possa recarvisi in cerca della creatura e… farsi male». Roigon non pensava che il mercenario l’avrebbe fatto. Ulfric è spavaldo e forse avventato, ma non è uno stupido. Non andrebbe incontro al pericolo senza un valido motivo. Preferì tenere le proprie considerazioni per sé e si limitò ad annuire, facendo comparire un viscido sorriso sulle labbra del mago incartapecorito. «Bene, se non c’è nulla a cui volete sottoporre la mia attenzione penso sia tutto» concluse l’Antico fregandosi le mani. «In realtà ci sarebbe qualcosa» replicò Roigon. «Non voglio certo mettere in discussioni i vostri ordini, e sono pronto a intraprendere qualunque incarico mi affiderete, ma vorrei farvi presente che le mie capacità, nonché le mie linee magiche, mal si addicono a incarichi come quello che mi avete affidato. Penso sarebbero meglio valorizzate in un ambito che coinvolgesse delle persone». Il vecchio lo fissò negli occhi. «Molto bene, terrò presente quanto mi avete detto. Dopotutto sarebbe un peccato non valorizzarvi» concluse congedandolo con un piccolo gesto della mano. Roigon si strinse addosso il mantello cercando di impedire al vento freddo e fastidioso che spirava dalle montagne di infilarvisi sotto.

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Mi piacerebbe che fosse qualcosa di ben più caldo e tangibile a farlo… Ma quando era tornato dal suo colloquio con l’Antico Arelia se n’era andata, richiamata dagli impegni della Confraternita. Spinse la porta del Cinghiale Infuriato ed entrò nella taverna, sospirando al calore del fuoco che ardeva nel grande camino. La locanda era affollata in quella giornata fredda, e il lezzo di sudore si mescolava alla fragranza della birra e all’odore acre del fumo in una miscela leggermente stordente. Brutta, sciatta, volgare… mediocre, appetibile, passiva, valutò rapidamente abbracciando il locale con un’occhiata. Aveva voglia di qualcosa di particolare, dopo più di una settimana nella palude. I suoi occhi caddero sulla figura solitaria che svuotava un boccale e seppe che aveva trovato quello che cercava. Si avvicinò alla donna dalla pelle temprata dal sole e si lasciò cadere su una sedia, ammirando apertamente l’armatura di piastre d’acciaio di cui era rivestita. «Avete un vestito molto grazioso» esordì con un sorriso. «Lo indosso proprio per difendermi dagli scocciatori come voi» spiegò la donna scostandosi una ciocca dei lunghi capelli secchi e ispidi del colore della paglia bagnata. Roigon intravide una piccola cicatrice che dal lato del collo faceva capolino su una guancia. Manca totalmente di ironia… ma compensa altrimenti! «Suvvia, non mi avete ancora conosciuto! Ma lo farete molto presto» aggiunse ammiccandole. «Se non ve ne andate immediatamente vi farò conoscere molto intimamente la mia spada» insisté in tono gelido la donna. «Curioso. È proprio quello che volevo fare io a voi. Ajra» lo sguardo della donna si fece appannato e confuso. «Ma cosa…?» «Ajra» ripeté Roigon con lo stesso gesto della mano. Avanti, non puoi resistere. Le pupille della donna si dilatarono mentre sul suo volto sbocciava un sorriso. «Insisto, voglio che resti!» sbottò fingendo di essere arrabbiata. «Dopo così tanto tempo senza vederci vorresti andartene lasciandomi così?». «Certo che…» «E voi che cosa diavolo ci fate qui?» sbraitò una voce familiare distogliendo Roigon dal suo agognato divertimento. Il rinnegato si girò con malcelata insofferenza verso l’ormai familiare mago dalle vesti rosse. «Potrei farvi la stessa domanda: non vedete che sono impegnato? E per dirl…» «Impegnato con la mia donna!» sbraitò il mago dell’Ordine. Roigon intravide un odio profondo nel suo sguardo che lo spinse alla cautela, nonostante cominciasse a non sopportare più le comparse di quello scocciatore. «A me pare che la signorina sia occupata, non è così mia cara?» «Scusate, non pensavo che l’avrei incontrato dopo tanto tempo…» biascicò la donna. Maledizione, è una di quelle su cui gli effetti della manipolazione sono particolarmente evidenti. «Ah, è così? Allora non voglio avere niente a che fare con roba usata da questo zotico» sentenziò il mago sputando sul tavolo. Fortunatamente è troppo arrabbiato per accorgersi che… «Un momento… » Maledizione! «Credo di avervene già concessi anche troppi» troncò brusco Roigon alzandosi.

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Balzò al di là del tavolo e porse il braccio alla donna, cercando di distogliere il suo sguardo dal mago. «Dove avete detto che vi siate conosciuti?» «Non l’ho detto!» sbottò il rinnegato cercando di coprire la vaga risposta che la mercenaria avrebbe dato. «… tempo fa» si udì soltanto. Il mago si protese a scrutare gli occhi della donna. «Come pensavo! L’avete incantata!» Nella locanda calò un silenzio gelido e Roigon sentì un brivido gelido percorrergli la spina dorsale. «Siete voi il mago…» le parole gli morirono sulle labbra mentre si voltava a squadrare il mago del consiglio: sul tavolo avanzava morbidamente un gatto dal pelo scuro striato di rosso. Il felino si stirò pigramente e voltò la testa fissandolo con due grandi occhi verdi acceso. Roigon deglutì. Avanti, mago dell’Ordine Arcano, fai qualcosa. Nella migliore delle ipotesi quel gatto si sarebbe rivelato quello che tutti temevano e l’avrebbe ucciso, altrimenti per lo meno si sarebbero liberati di quella minaccia. Il gatto spalancò la bocca, sbadigliò e balzò giù dal tavolo, girò attorno a Roigon e lanciandogli un’ultima occhiata uscì da uno spiraglio della porta. «Siete voi il mago, l’avete incantata e poi avete cercato di far ricadere la colpa su di me per gelosia, è chiaro! Chissà quale maleficio avete posto su questa povera donna!» sbraitò, infrangendo la tensione che si era accumulata nell’aria. «Io non… come osate! Questa è la mia donna, siete voi che l’avete incantata per portarmela via!» lo accusò il mago, ma l’effetto che Roigon aveva sperato di ottenere si era già scatenato. «Che cosa mi avete fatto?» gridò la guerriera mettendo mano alla spada, e nella locanda tutti gli avventori presero ad inveire contro il mago e la sua magia e sputare per terra. «Non finisce qui» promise il mago lanciandogli un ultimo sguardo carico d’odio prima di dileguarsi. Non sarà una passeggiata piacevole da qui alla porta, sghignazzò Roigon fra sé. Ma quel figlio di un cane mi ha scoperto. Il mio incantesimo era al livello di qualunque apprendista, ma non credo che mi darà pace, d’ora in poi. Tuttavia, nemmeno quanto era successo poté distrarlo a lungo dalla donna che lo fissava languidamente. «Allora, vuoi farmi aspettare altri dieci anni?». Roigon non se lo fece ripetere.

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VIII «L’Antico ti vuole vedere» ordinò attraverso la porta la voce tagliente di Nerea. «A meno che voglia vedermi nudo, dovrà aspettare» ribatté Roigon infilando gli stivali. Per prima cosa sempre gli stivali. «Te ne devi andare? Chi è quella donna?» gli chiese la mercenaria spuntando da sotto il lenzuolo. «Una seccatrice» rispose in tono semiserio a voce abbastanza alta da essere udito dalla maga. Devo cercarmi donne guerriere più spesso! La sua compagna si era rivelata addirittura al di sopra delle sue aspettative. Non che siano comuni, e per la maggior parte non sono nemmeno attraenti. «Eccomi» annunciò all’aria del corridoio spalancando la porta. Se n’è andata? Uscì dalla locanda ripensando alla foga della donna. Non le ho nemmeno chiesto come si chiamasse! Si rese conto. Poco importa, non mi dimenticherò di lei, almeno per un po’, sogghignò. Erano rimasti chiusi in quella stanza dal pomeriggio precedente, e aveva dovuto rinnovare due volte il suo incantesimo per essere sicuro che non si esaurisse sul più bello, cosa non facile vista la foga della donna, che gli aveva reso assai difficile ruotare il polso correttamente e intrecciare le dita nel gesto elaborato necessario. «Waidsol» ordinò alla porticina, ricordandosi troppo tardi che avrebbe dovuto gettarsi un’occhiata intorno. Non importa, non potrebbe succedere niente di male in una giornata iniziata così bene. Attraversò l’anticamera e si arrestò di scatto sulla soglia della saletta: le familiari vesti grigie impolverate coprivano l’inconfondibile figura leggermente curva di Farlan. «Sei qui, Roigon» esclamò il vecchio troncando la conversazione con Alric e voltandosi verso di lui. Il rinnegato avvertì che parte dell’antico timore nei confronti del vecchio mago riemergeva dentro di lui, serrandogli lo stomaco. Che diavolo mi prende? «Thieldriva namna ress, dol’varth, ruthr moss». Un rampicante ligneo sorse dal pavimento di pietra e lo colpì in pieno petto, scagliandolo contro il muro e germogliando in una serie di rami che gli bloccarono gambe torso e braccia affondando nella pietra. Il vecchio avanzò di un passo pronunciando un secondo incantesimo, e l’odore di muschio invase la saletta mentre una grossa creatura composta di viticci intrecciati germogliava dal pavimento davanti a lui. «Vecchio, che diavolo stai combinando?» si riscosse Alric. «Non ti impicciare, apprendista! Sto impartendo la giusta punizione a questo imbecille» sentenziò con un tono che Roigon non gli aveva mai sentito usare. Il troll avanzò verso di lui sollevando gli artigli e Roigon cercò freneticamente di forzare i rampicanti, senza ottenere altro risultato di escoriarsi le braccia. «Perché?» balbettò in direzione di Farlan senza smettere di contorcersi inutilmente. «Perché? Perché hai svenduto, anzi regalato, le conoscenze accumulate in una vita!» Gli artigli di legno del troll sfrecciarono verso di lui e si bloccarono di scatto. «Ti è andato di volta il cervello, vecchio?» lo apostrofò Alric con voce trasfigurata. Il troll sollevò anche l’altro artiglio ma la massa pelosa del suo vecchio amico si frappose fra lui e la bestia, bloccando anche il secondo arto. «Non immischiarti, ragazzino». Roigon cercò di vedere al di là della pelliccia grigio chiaro di Alric senza molto successo. E così ce l’ha fatta… ha scoperto come usare la magia per alterare sé stesso!

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Alric arretrò di un passo sotto la spinta del troll. «Alric che sta…» la frase di Arelia le si spense sulle labbra. «Vattene, Arelia!» gridò, sperando che la maga obbedisse e che Farlan restasse concentrato sul suo obiettivo. «Arelia, a sinistra» ringhiò Alric arretrando di un altro passo. A sinistra cosa? Si domandò Roigon cercando di respirare nonostante il suo volto ormai affondasse nella pelliccia di Alric e agognando poter vedere cosa stessa succedendo. «Tirla lenma vahs, dial» udì formulare Arelia, e un attimo dopo la pelliccia di Alric scomparve mentre il troll si schiantava con uno scricchiolio contro lo scaffale alla sua sinistra. Il suo vecchio amico balzò verso Farlan ma il vecchio mago concluse la formula prima di essere raggiunto e Alric si bloccò a metà dello slancio agitando le braccia in piccoli movimenti convulsi. «Uno è sistemato». «Tirla len…». «Graery delvon» l’anticipò Falran e un groviglio di viticci comparve addosso alla maga dai capelli color del fuoco, impedendole di completare i delicati movimenti necessari a completare l’incantesimo. «E adesso che ci siamo liberati di questi seccatori, veniamo a noi» esclamò il vecchio mago. «Averek drakal ner braskal» Un rovo marrone spesso come il suo pollice spuntò dal pavimento ai piedi di Roigon e crebbe lentamente fino ad ergersi davanti a lui, irto di spine lunghe come una falange. «Il troll ci avrebbe messo meno, ma non meriti la fatica di evocarne un secondo» spiegò. Roigon scoccò un’occhiata alla bestia che agitava le braccia con movimenti simili a quelli di Alric. Che diavolo gli ha fatto? Il rovo si agitò davanti a lui richiamando la sua completa attenzione e prese fuoco di scatto. «Che diavolo sta succedendo qui?» gracchiò l’Antico emergendo dalla scala al seguito di Ulfric. «Stavo punendo il mio apprendista, nel pieno dei miei diritti di mago» spiegò Farlan, gelido. Non deve fargli per niente piacere dover rispondere delle sue azioni, sospettò Roigon. «A me pare che Roigon si sia guadagnato da tempo il titolo di mago. E quale membro della Confraternita Arcana, è tenuto a rispondere ai Maghi Anziani e a me qualora facesse qualcosa di inappropriato. È questo il caso?» Per un attimo Roigon credette che Farlan sarebbe balzato sull’Antico e l’avrebbe azzannato, tanto feroce era la sua espressione. «No» ringhiò, «Ma fate in modo che la mia strada e la sua non si incrocino mai più» avvertì, uscendo a grandi passi dalla saletta. Alric smise di ondeggiare le braccia e si rialzò tenendosi la testa, barcollante, mentre la pelliccia chiara che l’aveva ricoperto si riassorbiva pian piano dentro di lui. Il troll si contrasse e decrebbe fino a scomparire nel pavimento da cui era germogliato, e così i virgulti che avevano intralciato Arelia. «Ulfric, libera Roigon» ordinò l’Antico. «Dobbiamo parlare» decretò fisandolo con espressione penetrante.

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«Farlan è scontento dell’accordo che hai stretto per lui» esordì il vecchio rugoso senza mezzi termini. Roigon si limitò ad annuire. Scontento è un eufemismo! Ha cercato di uccidermi… «Farlan è sempre stato un mago testardo e riservato, posso capire che non gli faccia piacere rivelare le conoscenze che lui reputa di sua proprietà esclusiva… tuttavia nella Confraternita Arcana non c’è posto per questo egoismo sconsiderato. È grazie alla condivisione delle conoscenze che i nostri maghi hanno tenuto testa all’Ordine così a lungo!» si interruppe con lo sguardo perso nel vuoto. Dove vuole arrivare? «Pertanto, non posso tollerare il comportamento di Farlan! Cercare di nascondere alla Confraternita le sue conoscenze è un affronto che deve essere punito». Roigon sgranò gli occhi suo malgrado. Non pensavo che quest’ossessione l’avrebbe portato così lontano… cercare di uccidermi e sfidare apertamente la Confraternita, è folle! «Pare che tu non ne sappia nulla» constatò l’Antico. «Farlan ha abilmente nascosto alcuni dei suoi libri più preziosi nella biblioteca privata di un vecchio nobile di Dargheris, nella cittadina di Vrandis. Come ci sia riuscito è un mistero. Vista la tua richiesta di incarichi che coinvolgano persone e i tuoi attriti con Farlan, mi piacerebbe che fossi tu a recuperare quei libri per conto della Confraternita» spiegò con la sua voce gracchiante. Farlan sarà furioso, ma non credo possa odiarmi più di quanto stia già facendo… «E quando le sue conoscenze saranno in nostro possesso» aggiunse l’Antico con voce più bassa e roca, «non avremo più bisogno di un mago dissidente, per quanto dotato possa essere. Metteremo Farlan di fronte a una scelta severa». Servire o morire. Farlan se l’è cercata con quella sua stupida mentalità cieca e retrograda, ed è diventato una minaccia alla mia incolumità! «Va bene. Quando devo partire?» «Il prima possibile. Non voglio che Farlan trovi il modo di farti fuori» sogghignò. Siamo arrivati a questo punto? «In ogni caso non c’è fretta che tu porti a termine l’incarico, purché tu non fallisca. Sarebbe una seccatura se si scoprisse che un rinnegato si era infiltrato nella dimora di un nobile dell’Antico Regno, e a quel punto la residenza pullulerebbe di maghi dell’Ordine, rendendo impossibile recuperare quei libri». Roigon annuì trattenendo un sorriso: se la sarebbe presa comoda e quel viaggio sarebbe stato divertente, ne era sicuro. «Penso che ti farebbe piacere trascorrere del tempo col tuo vecchio amico Alric. Ti aiuterà a portare a termine il tuo incarico». Alric? Quel moralista squinternato mi rovinerà tutto il divertimento! «Sinceramente, credo di essere in grado di cavarmela egregiamente da solo». Anche se dopo dieci anni mi farebbe piacere passare un po’ di tempo con lui, non posso certo preferire la sua compagnia a quella delle avvenenti fanciulle che mi attendono sulla via! «Così dici tu, ma la posta in gioco è troppo alta perché io possa fidarmi della tua sola parola, mi capisci. E poi ritengo opportuno allontanare dalla Confraternita entrambi gli apprendisti o passati tali di Farlan». Teme per la vita di Alric? «Va bene, partiremo questa sera stessa» concesse. Meglio andarsene in fretta da questa città, e non solo per via di Farlan! «Molto bene» lo congedò il vecchio con un gesto.

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Roigon non si mosse. «Il giorno che giunsi a Folksvarg io e la maga Nerea vedemmo un gatto la mercato, sicuramente ne sarete stato informato. Il felino è ancora in città, è comparso oggi alla locanda». Il vecchio reagì con molta più calma di quanto Roigon si sarebbe aspettato. «Bene, metterò in guardia i maghi della Confraternita e vedrò di occuparmene. Non si può mai esser sicuri riguardo ai gatti». «In missione con te? Proprio come ai vecchi tempi eh?» commentò Alric con un sorriso d’intesa. Esatto, e anche questa volta se Farlan ci prende saranno guai. Solo che è tutto un po’ più serio. «Così ha deciso l’Antico» si limitò a rispondere ricambiando suo malgrado. Per certi versi Alric gli era mancato. «Cosa dobbiamo fare?» «Inoltrarci nell’Antico Regno e recuperare dei libri che il vecchio ha nascosto alla Confraternita». Il sorriso sparì immediatamente dal volto di Alric. «L’Antico Regno? Sarà molto pericoloso… perfino i fattucchieri, come li chiama la gente comune, sono ancora molto mal visti». «Non ti turba il pensiero di tradire il vecchio?» indagò Roigon, sorpreso. Pensavo sarebbe stata la sua prima obiezione. Alric sfoderò un sorriso triste. «Non sono più quel ragazzino, e non sono più l’apprendista di Farlan. La mia fedeltà va innanzitutto alla Confraternita, e comunque è stato il vecchio a cercarsela nascondendo le conoscenze che ha accettato di condividere». Sempre lo stesso, fedele Alric di una volta, ma un po’ meno sciocco e un po’ più ragionevole. «Bene. Abbiamo l’ordine di partire entro sera, ma non abbiamo limiti di tempo per portare a termine l’incarico». «Ci vogliono lontano dal vecchio» afferrò immediatamente Alric. «È indiscutibile che se scoprisse cosa ci apprestiamo a fare nessuno riuscirebbe a farlo ragionare» assentì, cupo, Roigon. «In questo caso vado subito a preparare la mia roba. Se il viaggio sarà lungo e comodo avrò tempo di studiare parecchio». Lo sguardo interrogativo di Roigon lo trattenne. «La Confraternita ci mette a disposizione libri di ogni tipo, compresi grimori, a seconda del nostro grado. Anche tu potresti prendere qualcosa» spiegò Alric. Roigon avvertì accendersi dentro di lui il familiare entusiasmo che provava di fronte alla possibilità di approfondire le sue conoscenze sulla magia. «Come?» domandò soltanto, strappando un sorriso di complicità al suo vecchio amico.

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IX «E così hai fatto tutto da solo… è sorprendente!» constatò Roigon, ammirato. Alric arrossì leggermente. «Beh, la Confraternita mi ha messo a disposizione conoscenze che avrei impiegato una vita a recuperare! Io ho solo messo assieme i pezzi e riempito i buchi, ecco. E tu? Cos’hai fatto in questi dieci anni?» Roigon si strinse nelle spalle. «Su per giù quello che hai fatto tu: riempire buchi». Scoppiarono a ridere nello stesso istante, esattamente come un tempo. «Devo dedurre che i tuoi studi magici ne abbiano risentito parecchio» Roigon sbuffò. «Sai com’è fatto il vecchio, e negli ultimi tempi non ce la siamo passata molto bene, economicamente. Ho dovuto mantenere la baracca mentre lui si dedicava alla magia!» spiegò. «Non devi aver avuto molti problemi, con la tua magia» ribatté Alric in tono leggermente più freddo. «Mi hai forse preso per un ladro?» «Ti ho preso per quello che sei sempre stato: qualcuno con pochi scrupoli morali» rispose educatamente Alric. Roigon rilassò le spalle e si appoggiò pesantemente al tavolo. «Per quanto ancora dovrà continuare questa discussione? Usare la magia per affascinare una donna si limita a farle scegliere me piuttosto che un altro, ma non la costringe a fare qualcosa che non voglia. Credevo di avertelo spiegato, tempo fa» «E se la donna in questione avesse un marito?» «Non lo tradirebbe per me, a meno che non sia a disposta a farlo per un altro. Nel qual caso l’identità è irrilevante». «Magari non avrebbe mai incontrato questo altro» ribatté Alric. «Una persona disposta a commettere qualcosa di immorale non diventa morale solo perché non ne ha l’opportunità». «E se la donna in questione fosse in uno stato psicologico di estrema vulnerabilità? La tua magia la porterebbe a fare qualcosa che non avrebbe fatto normalmente!» «Hai passato questi dieci anni a cercare di confutare quanto ti dissi?» ironizzò Roigon riflettendo sulla questione. «Sì». La risposta sincera lo sorprese e perse il filo del ragionamento. «E talvolta la magia crea dei vaghi ricordi fasulli nella mente del soggetto. Come giustifichi questa intrusione?» incalzò Alric. «Non ha senso parlare di ricordi per qualcosa di così vago. Si tratta piuttosto di impressioni o sensazioni che la mente del soggetto riconduce al passato, ma svaniscono in un paio di giorni senza lasciare traccia. Quanto a quello che succederebbe se la donna fosse in uno stato psicologico di vulnerabilità, è vero che forse la porterebbe a fare qualcosa che non avrebbe fatto normalmente. Ma è anche vero che si sentirebbe rassicurata e confortata, e la sua situazione psicologica migliorerebbe indiscutibilmente» «E quando l’effetto dell’incantesimo dovesse svanire? Si sentirebbe tradita e usata, e questo andrebbe ad accentuare la sua già fragile situazione!» replicò Alric in tolo glaciale. Roigon scosse la testa. «Non è così: su una persona in quelle condizioni la magia impiegherebbe molto più tempo a svanire del tutto, attenuandosi nel tempo facendomi passare lentamente al livello di un caro amico, e poi di un amico soltanto. Il passaggio è così lento che non farebbe in tempo a soffrirne, te l’assicuro».

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«Come puoi saperlo? E le daresti comunque il dispiacere di un caro amico che se ne va!» L’immagine di una ragazzina dai capelli biondi si affacciò nella mente di Roigon. Non era neanche tanto bella, ricordò, ma avevo appena scoperto quello che potevo fare. All’inizio il senso di colpa l’aveva perseguitato, ma aveva indagato e tutti si erano dimostrati d’accordo che, improvvisamente, fosse riuscita superare la morte del padre e fosse tornata almeno in parte la ragazza allegra e vivace che era stata. «Ne sono sicuro perché l’ho verificato» disse solo, ammutolendo il suo vecchio amico. «E il dispiacere per un amico che se ne va sarebbe relativamente poco all’inizio, mentre crescerebbe al non vederlo tornare. Ma nel tempo l’effetto della magia si attenuerà, quindi i due processi si compenseranno a vicenda. Proverà un po’ di dispiacere, certo, ma la sua condizione psicologica complessiva non può che migliorare». La tensione che aveva permeato la figura di Alric si sciolse improvvisamente. «Per tutti questi anni… ho sempre pensato che tu fossi un immorale senza scrupoli. Mi sono convinto che quelle che mi avevi dato fossero le giustificazioni di un ragazzino, e invece sembra che fossero le accurate convinzioni di un uomo». Lo sospettavo. «E Falran non è mai stato in grado di ribattere le mie affermazioni, cosa che ha ridotto ancora di più il tuo rispetto per il vecchio» concluse Roigon. Alric annuì. «È stato ciò che mi ha convinto del tutto ad andarmene, anche se col senno di poi capisco di averlo fatto principalmente per la magia». Roigon sorrise. «Siamo rinnegati, abbiamo rinunciato a tutto per la magia. Se non fosse il fattore determinante delle nostre scelte che persone saremmo?» commentò in un sussurro. Lo sguardo di Alric dardeggiò per la sala e Roigon non riuscì a resistere all’impulso di voltarsi. Il suo sguardo si posò nuovamente sulla cameriera, e notò che i lacci della maglia sembravano leggermente più allentati. La donna si accorse del suo sguardo e si accostò al tavolo, protendendosi in avanti. «Desiderate qualcosa?». «Effettivamente sì» rispose con un sorriso accattivante. «Mi piacerebbe riprendermi dalle fatiche del viaggio». «La nostra locanda ha comode stanze per i viaggiatori. Desiderate affittarne una per la notte? Per voi costerà solo due monete d’acciaio» sorrise la cameriera. Ci sa fare… «Ho già affittato una stanza, vi ringrazio, ma non ho ancora trovato qualcuno che possa farmi compagnia». «Pensavo che fosse il vostro compagno di viaggio!» replicò accennando ad Alric. Il viso del suo vecchio amico si imporporò. «Non credo che voi abbiate colto appieno il significato delle mie parole…» ritentò Roigon. Non è molto sveglia, ma… il suo sguardo si perse nei meandri dei lacci sul petto della donna. «Come osate…» «Ajra» La cameriera lo squadrò. «Non so quanto abbiate pagato Bolar, ma se me lo aveste chiesto per voi sarebbe stato gratis» ammiccò.

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«Quel figlio di un cane del locandiere costringe la sua cameriera a prostituirsi!» sbottò Alric a mezza voce. «Mentre tu sarai impegnato con la tua nuova amica, io andrò a fare una visita a questo Bolar» ringhiò. Sempre il solito, eh? Roigon dovette trattenere un mezzo sorriso. Non era inusuale che i locandieri prostituissero le cameriere per arrotondare, ma anche lui disapprovava questo tipo di comportamento. Se le ragazze vogliono prostituirsi che facciano, ma non è giusto costringerle. «Cosa sai dell’Antico?» domandò a bruciapelo. Alric lo fissò per un lungo istante prima di rispondere. «Non molto, in realtà… perché?» Dovrei dirglielo? Alric gli era sempre stato leale oltre ogni sua aspettativa, prima di andarsene, ma ora non era sicuro di potersi fidare. Potrebbe cacciarsi in una situazione pericolosa con il suo cieco moralismo. «È insolito vedere un vecchio con un vlasrik appollaiato su una spalla!» Alric ridacchiò, «un compagno pericoloso per un vecchio pericoloso. Non se ne sa molto, è comparso cinque anni dopo che mi sono unito alla Confraternita e da quel giorno tutti sostengono che il vlasrik l’abbia sempre accompagnato ovunque. Me lo ricordo perché avevo appena finito le mie ricerche sulla metamorfosi». «Come si è guadagnato il titolo e il ruolo di Antico?» Devo capire chi potrebbe ricattarle il Maestro della Confraternita Arcana! «Il successore viene designato dal precedente Antico, a suo insindacabile giudizio. È sempre stato scelto tra i Maghi Anziani di almeno quinto rango». «Quindi l’Antico è uno dei maghi più esperti della Confraternita, se non addirittura il migliore in assoluto» rifletté ad alta voce. «Non c’è nessun mago nella Confraternita che possa essergli alla pari» confermò Alric. «Una volta diventato Antico ottiene l’accesso a tutte le conoscenze magiche di qualsiasi mago della Confraternita, e può richiederle a proprio piacimento». Come pensavo. Nonostante molti dei maghi anziani cercheranno sicuramente di non rivelare tutto quello che sanno, nessuno di essi è in grado di ricattare l’Antico! E nessun rinnegato, solo, potrebbe sperare di tenere in scacco il Maestro della Confraternita… I timori che aveva cominciato a coltivare riflettendo sulla questione prendevano sempre più consistenza. Questo lascia una sola possibile identità per il ricattatore: l’Ordine Arcano. Il carretto gli assestò uno scossone più forte degli altri ma Roigon trattenne il libro saldamente e riuscì a non perdere il filo. «Hah! Se il vecchio me l’avesse spiegato direttamente in questi termini, avrei capito il principio di propagazione del disturbo in…» si interruppe non appena si rese conto di aver parlato ad alta voce. «Sì, anch’io mi sono reso conto di quanto i miei studi stessero procedendo spediti da quando mi unii alla Confraternita… è stato quello che mi ha dato la forza di restare, nonostante pochi dei rinnegati si attengano a un qualsiasi principio morale». Roigon udì una venatura di dolore pervadere le sue parole. Non dev’essere stato facile per uno come Alric… «Cosa stai studiando?» cambiò discorso il suo vecchio amico.

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«Quello che ho trovato sulla Mnemonica e sull’Impressione. Se tutto va bene in queste due settimane riuscirò a raggiungere un livello tale da capire qualcosa degli appunti di Farlan quando riusciremo a recuperarli, e magari perfino di sperimentare qualcosa!». «Due settimane? Mancheranno tutt’al più sei giorni, anche al ritmo di questo carretto infernale!» «E tu pensi che io intenda sopportare questo traballio per altri sei giorni senza interruzioni? E poi quella ruota non reggerà ancora per molto!» Alric gettò una cupa occhiata in direzione della ruota che avevano riparato alla bell’e meglio. Una volta tanto questo terreno ostico al viaggio non è solo d’impiccio, si consolò Roigon. «Ci fermeremo in quella piccola fattoria, accanto alla cascata» decretò. «Quella topaia? Non potremmo cercarci una locanda accogliente sulla via?» «Ho appena trovato il mio accogliente pertugio» ribatté indicando con un gesto la prosperosa fattrice china a raccogliere qualche tipo di ortaggio. «Alric…» «Sì? Se hai intenzione di narrarmi le tue avventure notturne puoi benissimo risparmiartele» liquidò seccamente il suo vecchio amico. «Sai qualcosa dell’Aquitrino di Morlog?». Il mago dai capelli scuri alzò lentamente lo sguardo dal libro che stava studiando. «So solo che ho tutte le intenzioni di tenermene il più possibile alla larga! Dovresti chiedere a Ulfric, non a me». «Ma dai, sono sicuro che il profumo ti piacerebbe!» ridacchiò Roigon. «Ulfric non ti ha mai raccontato niente delle creature che ci vivono?». «Ma certo! Storie sui vlasrik, specie visto che l’Antico ne ha uno, sui pericoli dell’Acquitrino in sé e sui troll». «Nessun accenno a creature più pericolose dei troll?» incalzò Roigon. «Più pericolose dei troll? Stai scherzando? Sono riuscito a malapena a proteggerti da quello evocato da Farlan, e solo perché l’ho preso alla sprovvista! Come mai sei così interessato alle bestie dell’Acquitrino?» chiese aggrottando le sopracciglia e chiudendo il libro. «Vedi… quando mi sono perso nella palude, dopo essermi svegliato, mi sono inerpicato su una collina per cercare di orientarmi. E nell’incavo che si va a formare tra i tre colli presso cui mi trovavo, c’era una pozza le cui rive erano interamente coperte di ossa». Alric lo fissò per un lungo istante con quella sua aria seria e drammatica. «Non hai pensato che potesse essere una sorta di cimitero goblin?» Diavolo, no! Eppure è sensato… «ma perché, allora, le altre creature dovrebbero tenervisi alla larga?» fece notare. «Non ne ho idea… dovresti parlarne con Ulfric» consigliò il mago assestandosi la veste di seta color prugna e riaprendo il grosso tomo. «L’Antico mi ha chiesto di non farne parola con nessuno». La pagina di spessa pergamena si bloccò a metà. «Allora forse è quello che dovresti fare: potrebbe esserci qualcosa di magico in quel cimitero, la stessa cosa che tiene lontane le creature dell’Acquitrino». «Può darsi» concesse Roigon. Non avevo mai considerato la questione da questo punto di vista.

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«Bene, è meglio che vada a guadagnarmi l’ospitalità che ci stanno dando! E bada di non far sospettare nulla con quel libro…» Alric potrebbe avere ragione… avrei dovuto pensarci! Liquidò la curiosa questione delle ossa. Dove si sarà ficcata quella buona donna? «Un vera fortuna che siete capitati qui proprio mentre mio padre non c’è». La ragazzina uscì dall’androne delle scale. Mi stava aspettando, intuì Roigon con una punta di preoccupazione. Che abbia udito qualcosa sulla magia, anche se non ne abbiamo fatto praticamente parola? Non riuscì a resistere all’impulso di lanciarsi un’occhiata alle spalle, verso la porta oltre la quale si trovava Alric. «Non preoccuparti, il tuo amico non può sentirci» continuò la ragazza scostandosi i capelli di un’insolita tinta aranciata dal viso scarno. Se fossero puliti risplenderebbero. Peccato non si possa dire anche per lei, considerò Roigon osservando il corpo ossuto, quasi privo di curve, della ragazzina. O forse è ancora troppo piccola. «Che cosa vuoi?» prese l’iniziativa. La giovane contrasse le labbra in una smorfia. «Vi ho sentito ieri notte». «Sentito cosa?» sbatté le palpebre Roigon. Non ho parlato con Alric, ero impegnato a… «Tu e mia madre. Avete fatto cigolare il soffitto della mia stanza per quasi tutta la notte». Santo cielo, ci mancava anche la ragazzina complessata. Roigon si guardò bene dall’alzare gli occhi al cielo. «La vita della fattoria è dura, specialmente nell’Antico Regno dove il terreno è limitatissimo. Tua madre aveva bisogno di riprendersi» le sorrise. «Credi che sia stupida? Mia madre ha avuto il suo divertimento, non mi importa. Ma mio padre potrebbe non essere felice di saperlo». Se il fattore si mette a inseguirci per l’Antico Regno in cerca di vendetta ci creerà diversi problemi. «Vuoi davvero dargli questo dispiacere? Se non lo saprà vivrete tutti più felici, te l’assicuro. Le cose torneranno come prima. Puoi considerare quello di tua madre una sorta di pagamento per l’aiuto che le darò in questi giorni». Anche se ho intenzione di passare la maggior parte del mio tempo a studiare. La ragazzina lo squadrò con una determinazione incrollabile. «Se non vuoi che lo vada a dire a mio padre…dovrai darmi la mia parte. Fatico tanto quanto mia madre». La tua parte? Quella ragazzina stava cercando di ricattarlo perché si portasse a letto anche lei! Non sei esattamente il mio tipo, con tutte quelle ossa ma… se ciò ti farà contenta e mi eviterà un problema non vedo che male possa esserci. «Mi sembra equo» annuì «purché tu sia già diventata donna». L’espressione della ragazzina si ammorbidì appena mentre annuiva e correva su per la scala di legno. Roigon la seguì più lentamente, entrando nella piccola camera in cui aveva passato gran parte della notte e lasciandosi appositamente scappare un sorriso. La ragazzina stava in piedi accanto al letto di paglia senza avere la minima idea di cosa fare. «Cos’è, tutta quella determinazione si è all’improvviso trasformata in imbarazzo?». Lo sguardo di fuoco che gli rivolse lo fece pentire del suo sarcasmo. «Voglio. La. Mia. Parte» scandì stringendo i pugni, ma Roigon si accorse che stava cercando di trattenere le lacrime.

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Non sa cosa fare… vuole divertirsi, non limitarsi a essere scopata, e non sa come iniziare. Roigon scoppiò a ridere stringendo a sé quel mucchietto d’ossa rigido come un pezzo di legno. «Ah, Alric, se tutte le ragazzine fossero come quella…» sporgendosi dal carretto per cercare di cogliere uno scorcio della cittadina. «Vivremmo in un mondo gran triste» completò per lui, gelido, il mago. «Vivremmo in un mondo molto più felice, invece!» «Abbiamo impiegato poco più di un mese per arrivare a Vrandis, solo perché tu potessi sollazzarti…» «Perché potessimo avere il tempo di portare avanti i nostri studi» lo interruppe Roigon. «Tempo che difficilmente si riesce a ottenere e che sarebbe stato stupido sprecare portando a termine di corsa una missione per cui ci è stato concesso tutto il tempo che vogliamo». Alric non rispose, e Roigon tornò ai suoi pensieri felici in cui l’instancabile ragazzina tutt’ossa si avvinghiava alla Mnemonica con la stessa foga che aveva dedicato alla magia in quel mese.

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X Questo Angulus, o almeno i suoi antenati, dovevano essere stati piuttosto ricchi, constatò Roigon studiando le arcate di pietra ocra che sovrastavano le molte finestre e i cornicioni che adornavano le torrette. Ci sono addirittura dei vetri. Era sorprendente che nessuno avesse cercato di rubarli, nonostante la cancellata di ferro che circondava a residenza. Riprese a camminare per non dare nell’occhio, lanciando di tanto in tanto qualche occhiata come uno straniero incuriosito da tanta bellezza. Fortunatamente, visto il poco spazio che accomuna le città dell’Antico Regno, il giardino è piccolo quanto curato. Per tenerlo così bene dovranno avere un giardiniere a tempo pieno… quasi il suo pensiero l’avesse evocata, la figura di un uomo comparve da un cespuglio. Roigon si affrettò a distogliere lo sguardo e per buona misura si allontanò di qualche passo dalla cancellata. Alric spuntò dall’altro lato e lo raggiunse. «Che ne pensi?» chiese a mezza voce mentre si allontanavano. «È esattamente quello che sembrava dalla città bassa: una fortezza». «Il vecchio ha scelto proprio un bel posticino per nascondere i suoi libri!» considerò Alric imboccando la scala scavata nella roccia che li avrebbe condotti alla città bassa. «Cancellata di ferro irta di punte, difficile da scalare e pericolosa da scavalcare, un lato protetto dai trenta passi di precipizio che separano la città alta da quella bassa, nessun edificio più alto dal quale raggiungerne il tetto. E per finire, un solo accesso dotato di due guardie». «Introdursi di soppiatto nella residenza dei Darrigan sembra arduo» assentì Alric. Fortunatamente, non ho la minima intenzione di entrare di soppiatto. «Buongiorno signori. Vogliate scusarmi per il disturbo, a chi appartiene questa mirabolante dimora?» Le guardie si scambiarono uno sguardo corrucciato. «Al nobile Angulus Darrigan, ovviamente! Siete straniero?» Roigon annuì con aria mesta. «È così, non ho avuto la fortuna di nascere un luogo meraviglioso come questo. Ma lavoro duro, e spero di potermi stabilire nella città bassa entro un paio di mesi. Ditemi… il nobile Angulus concede forse udienza periodicamente?» «Il nobile si è ritirato dalla vita politica diversi anni or sono, è suo figlio Alvar che si occupa della contea». «E quale questione vorrebbe sottoporre al nobile di Dargheris una straniero?» aggiunse l’altra guardia lanciandogli un’occhiata sospettosa. «Assolutamente nessuna» sorrise. «È il mio signore che ha molto sentito parlare del nobile Angulus, e desidererebbe conoscerlo e magari visitare l’interno del maniero». «Ah, siete al servizio di un nobile, quindi!» «Non proprio: è il discendente di un ramo cadetto di un’antica famiglia nobiliare dell’Antico Regno, quando ancora si estendeva fino al Whelm… ha recentemente fatto fortuna… ma non voglio tediarvi con questa lunga storia, e il mio signore potrebbe non gradire la mia parlantina sconsiderata. Vi auguro buona giornata, dunque, e vi ringrazio della vostra cortesia». «Non c’è di che. Dite al vostro signore di rassegnarsi, il nobile Angulus non riceve ospiti da lungo tempo ormai». Non così lungo se Farlan è stato qui non più di due mesi fa…

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Finalmente due donne si accostarono al cancello, salutando le guardie e uscendo sulla strada. Bruttine. Un’altra uscì in compagnia del giardiniere, ma il sole del tramonto impedì a Roigon di distinguerla troppo chiaramente e preferì non avvicinarsi per non farsi vedere di nuovo a gironzolare lì intorno dalle guardie, nonostante i due uomini non fossero gli stessi della mattina. Prese nota comunque del nome della donna, Magda, e della via per cui si incamminò. Cominciava ormai a disperare quando altre tre fanciulle, piuttosto giovani a giudicare dai risolini, uscirono sul viale e oltrepassarono il cancello. «Buonasera, signorina. Damigelle» le salutarono le guardie. Una nobile! Non sono mai stato con una nobildonna… dovette tenere a freno i suoi pensieri e concentrarsi sulla sua missione. Meglio ottenere le informazioni che mi servono da una serva o da una cameriera. Le tre fanciulle salirono sulla carrozza che sostava presso la cancellata da circa mezz’ora, aiutate dal un cocchiere imbalsamato in un abito viola scuro. «Avete fatto tardi, signorina. Vostra madre sarà in pensiero». «Come potrebbe se ero qui, nel posto più sicuro…» gli giunse la mezza frase ovattata prima che il conducente richiudesse lo sportello. «Avete ragione, ma conoscete vostra madre» fece notare il cocchiere salendo a cassetta e schioccando la frusta. Con un breve nitrito la coppia di stalloni scuri si incamminò per la via, passando davanti al cancello e imboccando la strada in cui Roigon attendeva. Lasciò che la carrozza lo superasse e le si avviò dietro con noncuranza, badando di cambiare frequentemente lato per diminuire le possibilità che il cocchiere se ne accorgesse. Non dovette camminare molto, viste le dimensioni della città alta, prima di giungere davanti a una squisita villetta di pietra grigio chiara, diversa da quella comunemente usata negli edifici di Vrandis. Roigon fece in modo di passare vicino alla carrozza e si impresse nella mente il volto delle due damigelle, sforzandosi di ignorare la nobile fanciulla dai capelli scuri e il suo elaborato vestito vola adorno di pizzi. Non ho mai visto un abito così costoso nemmeno addosso ad Alric! Riconobbe la cameriera non appena mise il naso fuori di casa: aveva un nasino fine e delicato, leggermente all’insù e bianco latte come il resto del viso incorniciato da lucidissimi capelli biondi. Penso guadagnerei di più a lavorare qui come domestico che facendo qualsiasi altro lavoro mi sia mai capitato. Per quanto semplice, perfino l’abito bianco dall’ampia gonna che indossava la cameriera era ricercato quanto gli stessi abiti di Roigon. Solo che questi sono i miei vestiti migliori! Sfoderando un sorriso spavaldo si accostò alla damigella, abbozzando un inchino. «Una sì nobile signorina non dovrebbe andarsene da sola per le strade a quest’ora del mattino». La cameriera gli rivolse un tiepido sorriso. «Suvvia, sono solo una cameriera. Ed è evidente che voi siate uno straniero, o sapreste che la città alta di Vrandis è

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perfettamente sicura, perfino prima che il sole sorga. Dunque quest’ora del mattino è ottima per fare compere. Vogliate scusarmi». Roigon quasi rimase indietro di due passi, esterrefatto. Non ero mai stato scaricato con tanta abilità! Non mi ha lasciato nemmeno un piccolo margine di discussione. Con un sospiro e uno sguardo alla strada deserta intrecciò le dita nel gesto consueto. «Ajra» scandì avvertendo la magia risvegliarsi come un gatto addormentato dentro di lui e fluire verso la cameriera in un’ombra dell’estasi che sarebbe seguita. Gatto… il pensiero gli provocò un brivido che non aveva niente a che vedere con la fresca aria autunnale. «Avete detto qualcosa?» domandò la damigella, voltandosi. «Ho chiesto scusa per la mia ignoranza» spiegò con un sorriso. «Mi dispiacerebbe, tuttavia, perdere questa occasione per accompagnare una bella signorina come voi, e magari vedere qualcosa di questa cittadina!». «Via, ve l’ho già detto: sono solo una cameriera. Ma se volete accompagnarmi gradirò la vostra presenza» accettò. È mia. «State andando a fare spese?» «Sì. Alla mia signora servono nuovi aghi per il cucito, perché uno le si è storto ieri. E mi ha chiesto di cercarle dei fiori essiccati…» «Non sono facili da reperire» intervenne Roigon. «No, affatto. Ma gradirebbe averli oggi o domani, e non abbiamo certo il tempo di andare a coglierli e farli essiccare» spiegò. «Vi avrà concesso molto tempo per queste commissioni, quindi…» «Sì, è così. Non capisco dove vogliate arrivare» ammise mettendosi a ridere. «Pensavo che potreste prendervi una piccola… distrazione… dal vostro incarico» le sorrise. «Oh no, non potrei mai!». Ligia al dovere eh? «Beh… suppongo che per lo più dipenda dalla distrazione, non trovate?» le chiese parandolesi davanti a afferrandola delicatamente per le braccia. Un guizzo di comprensione fece capolino tra le nubi di confusioni che ammantavano gli occhi blu scuro della giovane. «Lasciatemi, vi prego» gli chiese seccamente. Non suona per niente come preghiera, quanto come un ordine! «Scusate, non volevo mettervi in imbarazzo! La strada non è posto per una signorina come voi, avete ragione. Posso accompagnarvi a una locanda?». «Come vi ho già detto, sono solo una cameriera, e se non volete che chiami le guardie vi consiglio di allontanarvi immediatamente da me. Farò finta di non aver capito le vostre intenzioni, o la mia signora potrebbe farvi cacciare da Vrandis per l’offesa che mi recate» Le sopracciglia di Roigon si arcuarono per la sorpresa. Che diavolo…? Il mio incantesimo…! La comprensione gli giunse fulminea e lasciò andare lentamente le braccia delicate della giovane. «È molto fortunato» mormorò chinando il capo e allontanandosi a grandi passi. Innamorata! Così innamorata da non desiderare altri che il suo innamorato, e senza nemmeno esitare! Proprio non riusciva a capire quel tipo di comportamento. Come può una persona fidarsi di un’altra a tal punto? Come può dare tutta sé stessa, rinunciare alla sua libertà e a parte della sua individualità per un’altra?

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Scacciò quei pensieri dalla mente con un sospiro: non era certo la prima che incontrava e non sarebbe stata l’ultima. Sono stato uno stupido, avrei prima dovuto ottenere le informazioni che mi servivano. Un uomo emerse da una porta alla sua sinistra e Roigon istintivamente si voltò a guardarlo. Il giardiniere! Riconobbe. Attese che l’uomo chiudesse l’uscio e si incamminasse prima di intessere il suo incantesimo. «Salve!» lo salutò mentre ancora si stava voltando. «Buongiorno! Posso aiutarvi?» «Spero di sì! Sapete, sono uno straniero e proprio ieri ho notato un edificio stupendo presidiato da due guardie… sapete dirmi di cosa si tratta?» Il volto del giardiniere brizzolato si aprì in un sorriso che increspò la barba cortissima dell’uomo. «Ma certo! È la residenza dei Darrigan, ci lavoro come giardiniere!» «Dite sul serio? È fantastico! E, ditemi, l’interno è come lo si potrebbe immaginare vedendo la residenza da fuori?» Il giardiniere scosse la testa. «È molto, molto meglio… perfino le stanze della servitù sono decorate e arredate, ci sono spesse tende ad ogni finestra, e tappeti ai piedi di ogni letto». Roigon sgranò gli occhi. «Non sapete cosa darei per vedere tutto ciò, fosse anche solo per una volta in vita mia!». «Ahimé, temo che sia impossibile. Il nobile Angulus non ammette visitatori e perfino la servitù è selezionata tra persone raccomandate da chi lavora nella residenza, e sono tutti residenti a Vrandis: il nobile Angulus non ama che i servitori alloggino nella residenza». Maledizione, questo vecchio si sta rivelando quanto mai problematico! «E avete mai visto la biblioteca? Si dice che i conti Darrigan ne possiedano una piuttosto fornita. «Ah, mi sarebbe piaciuto! Si tratta di un’intera stanza, e badate non una stanzetta, ma una vera e propria stanza, ricolma di libri di ogni genere! Ma il vecchio Angulus non permette a nessuno di entrarvi, ad eccezione del nipote Navar, e di sé stesso, naturalmente. Si dice che tenga sempre indosso la chiave, e si può accedere alla biblioteca solo dal suo studio, in cui passa la maggior parte del tempo, ormai. Le sue vecchie ossa non gli consentono di spostarsi molto». Una vena di tristezza aveva venato la voce del giardiniere. «Lo conoscete da molto?» L’uomo annuì: «fu lui ad assumermi, trent’anni fa, perché badassi a quello squisito giardino. Ed è sempre stato gentile, nonostante fosse e sia tutt’ora una persona molto esigente». Il maniero comparve davanti a loro in tutta la sua bellezza, la pietra chiara radiosa alla luce del mattino. «Bene, vi ringrazio per la vostra cortesia, ma temo sia tempo che smetta di importunarvi e vi lasci alla vostra occupazione» si scusò. «Figuratevi! È sempre un piacere scambiare qualche parola con voi, mi spiace soltanto di non potervi aiutare! Venitemi a trovare, se non avete dove andare qui a Vrandis. La mia casa è piccola, perché qui nella città alta i prezzi sono alle stelle, ma per voi un letto ci sarà sempre». Roigon sorrise, ringraziò con un cenno del capo e si allontanò verso la scala che conduceva alla città bassa.

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XI «Non sono d’accordo» sbottò Alric. «Se qualcosa dovesse andare storto tutti ricorderanno la tua intrusione, capiranno di essere stati manipolati con la magia e questa dannata città pullulerà di maghi dell’Ordine!» «Eppure non c’è altro modo! Anche se riuscissi ad accedere al maniero col tempo dovrei comunque usare la magia sul vecchio perché mi lasci entrare nella biblioteca!» Se non mi fossi giocato l’appoggio della cameriera di quella nobildonna, avrei potuto cercare di sfruttare lei… «Suppongo che potrei fare un tentativo» cedette ad alta voce. «Tentare cosa?». «Lascia fare a me, ho un piano! Ci troviamo in cima alla scala che porta alla città alta, tra un’ora!» gli gridò mentre scendeva le scale di corsa. Appena in tempo! Sospirò vedendo il lembo di un vestito sparire nella carrozza. Se solo non fossi stato così stupido sarebbe tutto più semplice! Imprecò per l’ennesima volta. Avrebbe almeno dovuto cancellare le sue proposte dalla mente della damigella. La carrozza si muoveva veloce per le strette vie di Vrandis, e Roigon si sentì quanto mai inadeguato con la sua andatura spiccia necessaria a non perdere di vista il cocchio, in mezzo a tutta quella gente riccamente vestita. Attiro l’attenzione come una lanterna nella notte… fortunatamente i miei vestiti potrebbero essere adatti a un servitore d’altro rango! Finalmente la carrozza rallentò fino a fermarsi a lato di una dozzina di persone. Il Calice d’Argento, lesse rapidamente. Sperando di non aver perso l’orientamento ritornò in tutta fretta alla scala che portava alla città bassa. Dove diavolo sei, Alric? Un’ombra si staccò dal muro di un edificio e Roigon si tese istintivamente, le parole di un incantesimo paralizzante sulla punta della lingua. «Si può sapere perché tutta questa fretta?» domandò Alric vagamente scocciato emergendo alla luce del lampione. Maledizione, hanno un registro! «Hanno un registro» bisbigliò Alric senza voltare la faccia. Si accostarono all’uscere che li salutò con un inchino. «Il vostro nome, nobile signore?» domandò ad Alric aggiustandosi un monocolo dalla montatura di rame su uno dei piccoli occhi. «Njarta» rispose Roigon per l’amico afferrando l’uscere prima che cadesse. «Dentro presto!» sibilò dando qualche pacca sulla guancia coperta da una corta barba brizzolata dell’uomo. Quanto pesa… Non appena l’uscere dette segno di riprendersi abbastanza per rimanere in piedi sulle sue gambe Roigon lasciò la camicia pregiata che indossava sotto a un gilet di pelle e si affrettò a sparire nel locale. «Complimenti, credi davvero che non verrà a cercarci, ora?» «Scusate, mio signore, non si ripeterà più» rispose a beneficio di un anziano elegantemente vestito che li stava squadrando. «Dopo di voi» invitò Alric con un cenno. Il mago si inoltrò nel locale, sfiorando con lo sguardo i tavoli inframmezzati da separé dipinti. «Non verrà a disturbare ammettendo di essersi addormentato, puoi starne certo. Il terzo dal fondo a sinistra».

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Alric si diresse con passo sicuro verso il tavolo che gli aveva indicato, senza distogliere lo sguardo nemmeno una volta. Ci sa fare, si complimentò. Gli sovvenne alla mente che forse Alric era semplicemente più avvezzo di lui a quella società, piuttosto che un abile dissimulatore. «Buona sera, nobile signora. Damigelle» salutò. «Dovete scusarmi se i miei modi vi paiono privi di garbo e al limite della sfacciataggine, ma sono giunto da poco a Vrandis e non conosco nessuno». Roigon si sforzò di non sgranare gli occhi. Da quando Alric sa esprimersi in modo simile? Si rese conto che il suo vecchio amico non era più il ragazzino di una volta con una passione smodata per i bei vestiti, ma era diventato in tutto e per tutto un signore di classe. Eppure con me parla come faceva una volta… «Ma prego, sedetevi con noi! A dire il vero la serata si stava rivelando piuttosto noiosa» l’invitò la nobildonna. Alric si accomodò sulla panca coperta di velluto rosso, dando le spalle al dipinto di una belva mostruosa a cui era abbracciata una fanciulla. Che razza di disegno… Lo sguardo di fuoco di Alric gli fece capire che doveva sedersi senza aspettare di essere invitato. «Il mio nome è Alric Tindell, onorato di fare la vostra conoscenza». «Elaine Arring, e queste sono le mie damigelle, Livelin e Doletta» presentò. Roigon si costrinse a non fissare i capelli scuri e le labbra piene di Elaine e a tenere lo sguardo abbassato, ma scoprì che quello che vedeva una buona spanna più in basso non l’avrebbe certo aiutato a concentrarsi sulla missione. «E costui è il mio fedele servitore, Roigon. Ha un pessimo senso dell’umorismo che lo porta ad essere spesso frainteso, quindi vi prego di non dar troppo peso alle sue parole», recitò come era stato istruito. «A questo proposito» intervenne il rinnegato «temo di dovere portare le mie più sincere scuse a madamigella Doletta. Stamane, mentre cercavo di complimentarmi con lei per il suo portamento, temo di averle lasciato pensare cose veramente orribili di me». Lo sguardo della fanciulla bionda si addolcì. «Suvvia, non ci pensate. Se è stato tutto un malinteso non v’è torto». «Cos’avete combinato, Roigon? Signora, volete forse che venga punito?» Ben fatto, ma non esageriamo eh! Elaine rivolse alla sua damigella uno sguardo interrogativo, ma Doletta scosse dolcemente il capo facendo ondeggiare i capelli biondissimi. «Non occorre, è tutto chiarito» liquidò la faccenda con uno svolazzo della mano guantata di bianco. «Roigon, per farti perdonare perché non porti del vino alle signore?» Livelin ridacchiò agitando una mano nella sua direzione per fermarlo. «Non occorre, ci penserà il cameriere! Non vorrete certo umiliare questo poverino in tal modo, lo guarderanno tutti!» Roigon le rivolse un sorriso di ringraziamento e si alzò. «Me lo sono meritato, temo». Attraversò la sala con calma come se quello che stava facendo fosse naturale e dignitoso, e fermò un cameriere. «Gradirebbe, buon uomo, portarmi del vino?» «Certo signore» rispose piccato con una smorfia di disapprovazione. Forse “buon uomo” non è un’espressione adatta a questo posto… dovrò farmi insegnare da Alric i sofismi del linguaggio d’alta classe.

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Lo stesso giovane che aveva fermato pochi istanti prima gli depositò in mano una bottiglia e gli tese un vassoio con cinque calici d’argento. Maledizione, mi serve una mano libera! «Il vassoio no, per carità. Sarei così maldestro da far cadere a terra i calici» spiegò, e a giudicare dall’espressione del cameriere la scusa funzionò perfettamente. Lasciò al giovane un po’ di vantaggio e intrecciò le dita verso Livelin. «Ajra» scandì nel tono più basso che osò usare senza rischiare di compromettere l’incantesimo. Ripeté lo stesso procedimento con Elaine, ma non ebbe il tempo di incantare anche Doletta che le donne lo videro e dovette avvicinarsi. «Ecco il vostro vino, signore». Alric annuì, compito, ma gli prese la bottiglia e lo servì personalmente, stupendo la nobile. «Mi fate un grande onore» mormorò in direzione del suo vecchio amico. «Dev’essere che lo meritate» gli sorrise Livelin. Tutto come previsto. Tese la mano a Doletta per aiutarla a scendere dalla carrozza ma badò di sfiorarla appena. Non capisco se mi abbia davvero perdonato o meno, ed è meglio non correre il minimo rischio. Elaine scese dalla carrozza dopo la damigella senza guardarlo. La magia ormai si è dissipata… è meglio che stia attento a come mi muovo! Attraversarono il vialetto in silenzio, Elaine davanti e lui e Doletta alle sue spalle. La nobildonna si voltò a gettare uno sguardo acceso alla sua damigella e Doletta le sorrise, notando lo stesso rossore sulle gote della fanciulla che non era sfuggito a Roigon. È contenta perché Doletta può finalmente incontrare il suo innamorato? Il battente di lucido legno scuro si dischiuse prima che Elaine potesse bussare, rivelando un ragazzino dall’aria quanto mai compita. «Buongiorno nobile Elaine, madamigella Doletta…» esitò appena vedendo Roigon, «e felice di conoscervi, signore» si riprese tempestivamente. «Il mio nome è Navar Darrigan» si presentò per primo spostandosi per farli entrare. Un vero gentiluomo in miniatura! «Roigon, per servirvi». «Oggi Livelin non si sentiva tanto bene e dato che Roigon teneva tanto a visitare la vostra residenza ho pensato di fargli prendere il suo posto. Spero non vi dispiaccia» spiegò Elaine. «Certamente no. Venite, conoscete la strada». Porse il braccio alla nobile con una cortesia che avrebbe conquistato il cuore di qualsiasi fanciulla se non fosse stato due spanne troppo in basso, ma Elaine vi si appoggiò lo stesso con garbo. Tra quattro o cinque anni quegli occhi grigi e quei capelli biondo rame conquisteranno più donne del suo titolo. «Ho scritto una poesia per voi, Elaine. Vi piacerebbe che ve la leggessi?» «Ne sarei onorata» accettò entusiasticamente la nobile. Pazzesco… pare quasi che la stia corteggiando! Qualcosa in quel bambino lo metteva in soggezione. Forse il suo atteggiamento, forse qualcosa che aveva scorto prima nei suoi occhi, lo faceva sentire giovane e immaturo. Scuotendo la testa ammirò il marmi candidi che ricoprivano la scala e i pilastri del loggiato che si affacciava sull’ingresso, e che decoravano i pavimenti e le pareti, e con

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la coda dell’occhio osservò le guardie che stazionavano al piano terra. Almeno una decina, contò frettolosamente imboccando la scala dietro al piccolo Navar. «Permettetemi di dirvi che il vostro maniero è favoloso! Non ho mai visto niente di simile…» si intromise Roigon per essere sicuro che nessuno pensasse stesse valutando le forze armate. Il bambino voltò la testa e gli sorrise, e per un attimo parve il sorriso di un ragazzino felice di un complimento. «Vi ringrazio, ma non dovete complimentarvi con me: io non vivo qui. Questa è la residenza di mio nonno, il nobile Angulus, per quanto mio padre vi sia cresciuto e io vi stia trascorrendo molto tempo. Ma mi hanno detto che anche la residenza degli Arring sia molto bella». «Perché non venite a vedere di persona un giorno di questi? Mi farebbe molto piacere!» propose Elaine. «Se è così verrò» promise Navar. «Mi piacerebbe potermi complimentare con vostro nonno, allora, ma non vorrei disturbarlo dai suoi impegni». Il piccolo Navar si voltò a fissarlo. «Sì, avete ragione, mio nonno non ama essere disturbato, perfino quando ha poco o niente da fare» ammise. «Passa tutto il suo tempo nel suo studio». Roigon capì di aver mancato a qualche fondamentale precetto di etichetta, ma nessuno parve prendersela. Maledizione a questi nobili! La loro guida li condusse in un piccolo salotto arredato con una predominanza di colori chiari, dal panna, al beige, a un ocra pallido che richiamava la pietra in cui era costruito il palazzo ove non erano presenti i marmi. «È qui, sul pianoforte» spiegò invitando Elaine ad accomodarsi sulla poltrona di velluto e prendendo posto sullo sgabello. «Oh, perdonate le mie maniere!» esclamò voltandosi di scatto verso lui e Doletta. «Damigella, vorreste farmi la cortesia di andare a cercare Cedric? Nel pomeriggio intendevo cavalcare, ma mi sono dimenticato di informarlo, e non vorrei che il mio cavallo non fosse pronto». Il viso della fanciulla si aprì in un sorriso più splendente dei suoi capelli. «Ma certo, signorino Navar, lo farò con piacere» si inchinò, avviandosi fuori. «Ah, signore, mi piacerebbe molto farvi da guida per il maniero ma ho promesso a questa deliziosa fanciulla che le avrei fatto udire i miei versi. Vi dispiacerebbe…?» «Certo che no! Capisco benissimo quali siano le priorità…» non gli venne in mente un modo appropriato per terminare la frase. «Attenderò qui fuori, per non essere di troppo». Nascose l’imbarazzo con un inchino e si ritirò, accostandosi la porta alle spalle. Maledizione ai nobili e alle loro maniere, e a quel bambino che mi mette in soggezione! Si guardò rapidamente intorno cercando di capire quale potesse essere lo studio di Angulus, ma le porte di legno scuro che si affacciavano sul loggiato parevano tutte uguali. Certo che… quella nobile fanciulla avrà una ventina d’anni, dieci più di lui, e pure non sembra riuscire a resistergli. Certo sarebbe potuta essere una manovra per conquistarsi l’influenza dei Darrigan, ma Roigon non pensava che quel bambino si sarebbe fatto ingannare tanto facilmente. Si diresse verso la scala e accostò l’orecchio alla prima porta trattenendo il fiato. Niente. Dischiuse l’uscio e gettò un’occhiata all’interno. Una stanza per gli ospiti, constatò adocchiando il letto a baldacchino, l’armadio, la cassettiera e la specchiera.

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La porta seguente era ad arco, più grande di tutte le altre, e Roigon non pensava potesse essere adatta a uno studio privato. Dischiusala ebbe conferma della sua ipotesi. Una sala da pranzo… Alric morirebbe per cenare in un posto simile! Si soffermò appena a guardare i cimeli di famiglia alle pareti, il tavolo e le sedie laminate in oro e le due grandi finestre ad arco dotate di vetri che dovevano dare sulla città bassa e sull’Antico Regno in lontananza, in modo da poterli descrivere al suo vecchio amico. Dev’essere qui, da qualche parte! Oltrepassò la scala e si accostò alla porta successiva, appoggiando delicatamente l’orecchio al battente di legno liscio e freddo. Un debole scricchiolio filtrò attraverso il pannello, accompagnato da quello che pareva lo scoppiettio di un fuoco. Un fuoco? L’inverno è ancora piuttosto lontano… solo un vecchio avrebbe potuto aver freddo. Roigon bussò con decisione alla porta. «Sì?» sbottò una voce roca piuttosto seccata. Il rinnegato dischiuse il battente ed entrò, accostandosi la porta alle spalle mentre scandagliava la stanza con lo sguardo. «Buongiorno, nobile Angulus» salutò la figura dai capelli candidi che sedeva a una massiccia scrivania dello stesso legno brunastro della porta e degli arredi. «Chi siete? E che cosa volete?» ribatté il nobile, scontroso. «Sono qui per inoltrarvi formale richiesta da parte del mio nobile padrone di visionare la vostra biblio…» «Come avete fatto ad entrare? Andatavene immediatamente, prima che faccia chiamare le guardie! La biblioteca non è visitabile» esclamò il vecchio puntando le braccia sulla scrivania e alzandosi. «Njarta» ordinò Roigon incanalando un fiotto di magia. Il nobile scosse la faccia rosea e imberbe un paio di volte e tornò a fissarlo con astio. «L’avete voluto voi, scocciatore che non siete altro!» «Ajra» scandì quasi istintivamente prima che il vecchio potesse gridare. L’anziano nobile ammutolì. «Siete forse uno spregevole mago?» sibilò con voce grondante di disprezzo e veleno. È folle, i miei incantesimi sono inutili! La mente di questo vecchio è inamovibile come una roccia… Un brivido di timore corse lungo la spina dorsale di Roigon. «Gu…» la voce roca di Angulus si spense sul nascere e la sua mano si bloccò attorno al tagliacarte che stava raccogliendo dalla scrivania. Roigon seguì lo sguardo del nobile Darrigan e gelò: il gatto gli passò tra le gambe, sfregando la sua peccia scura striata di rosso contro i suoi pantaloni di pelle, e proseguì attraverso lo studio senza degnare Angulus di uno sguardo. Raggiunse pigramente la doppia porta che si apriva nella parete alla sinistra di Roigon e si infilò tra i due battenti socchiusi con un debole miagolio. C’è un solo modo per uscire incolume da questa situazione… «Sì, sono un mago dell’Ordine Arcano in incognito» bisbigliò. «Sto seguendo quel gatto da quasi un mese, ma non sono ancora riuscito a prenderlo». Angulus strabuzzò gli occhi. «È… è un…». Roigon annuì con aria grave. «Cercherò di farlo uscire!» promise avviandosi verso la porta della biblioteca. Angulus non diede segno di voler protestare.

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XII Sentì la magia proveniente da umano-curioso formicolarle sulla pelliccia, sottili filamenti intrecciati che si sfaldarono prima di formarsi. Curioso: non era la prima volta che succedeva e non capiva perché. Forse è di nuovo capelli-di-sole, pensò. Forse era su di lei che la magia non funzionava. Decisa a scoprirlo, si infilò nella fessura da cui era passato uomo-curioso, concentrando immediatamente tutta la sua attenzione sull’altro, eccetto quella parte che prese atto della sua vicinanza, del suo odore e della sua presenza magica. Non è capelli-di-sole! Si rese conto immediatamente: quell’umano aveva capelli come quelli di maga-dolore, ma non aveva magia e tutto un altro odore. Perse immediatamente interesse in quell’umano e per un attimo si crogiolò nella vicinanza di mago-curioso, inspirando il suo profumo. Un aroma sconosciuto le stimolò i sensi e la curiosità. Proviene da lì! Decretò, avviandosi verso un’altra di quelle aperture mobili di cui si servivano gli umani. Si mosse senza fretta, assaporando l’odore man mano che si intensificava. Quando oltrepassò la fessura davanti ai suoi occhi si dipinse un tripudio di dettagli: forme simili disposte in modo regolare, ognuna vicina all’altra, la circondavano da tutti i lati, e l’odore la avvolgeva, troppo intenso per i suoi gusti. Una chiazza di forme rosse attirò la sua attenzione. Rosse come il vestito del mago-rosso. Non lo vedeva dalla sera prima, si rese conto, quando entrambi erano rimasti fuori dal posto-pieno-di-gente ad aspettare che uomo-curioso tornasse. Umano-curioso superò la fessura-che-si-apre-e-si-chiude proprio in quel momento e lei si voltò ad accoglierlo. La stava fissando, ma al contempo cercava di perlustrare con lo sguardo quel posto-delle-forme. Forse anche lui ha seguito l’odore. Si accomodò per terra, osservandolo con attenzione per vedere cos’avrebbe fatto. Chissà cos’ha dentro. Forse è fatto diverso dagli altri umani, e per questo la sua magia è diversa. Avrebbe potuto dare un’occhiata, ma se si fosse sbagliata sarebbe morto come gli altri e non avrebbe scoperto niente. Si trastullò con l’idea per un po’, poi la mise da parte. Mago-curioso stava ancora cercando tra le forme. Non è mai stato così noioso! Si alzò lentamente, stirando i muscoli delle zampe, prima davanti e poi dietro e balzò sull’apertura da cui entrava il sole. Con suo sommo fastidio una barriera che non riusciva a vedere le impedì di sporgere la testa. Scagliò la sua magia e la infranse, strappandole un gemito fastidioso per il suo udito sensibile. Questo posto è davvero brutto: il posto-delle-forme ha troppo odore, mago-curioso non usa più la magia e un umano di sotto ha cercato di fermarmi. Con un guizzo irritato della coda si sporse e balzò. Roigon si voltò di scatto al rumore di vetro in frantumi e vide la finestra andare i pezzi e i pezzi ridursi in polvere. Si appoggiò contro lo scaffale cercando di calmare il respiro, ma il felino non lo degnò di una sola occhiata e balzò nel vuoto. Allora è esattamente quello che temevo!

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Il rinnegato si concesse qualche secondo per sospirare di sollievo e tornò ai volumi che aveva appena individuato. Se si accorgono che è fuori si precipiteranno qui, non ho più tempo! Sfilò dallo scaffale i tomi che aveva individuato e ne aprì uno a caso. La scrittura di Farlan si stagliava familiare sulla pergamena, illustrando un processo magico complesso che non perse tempo a leggere. Quanti possono essere? Non aveva nessuna idea di quanti libri avesse nascosto il suo maestro, ma sospettava dovessero essere abbastanza pochi da essere trasportati senza dare nell’occhio. Erano tutti insieme quindi non dovrebbero essercene altri, si augurò. Raccolse il plico di tomi e raggiunse la finestra ormai priva del vetro, sporgendosi quel tanto che bastava a guardare sotto. Il parco era totalmente tranquillo, le guardie al cancello erano immobilizzate al loro posto e osservavano l’arcigatto che si dirigeva verso di loro. Tienile occupate per me, sorrise Roigon fra sé. Gettò un’ultima occhiata intorno per essere sicuro che nessuno lo vedesse e scorse l’abito bianco di Doletta: la damigella, ignara, passeggiava per il giardino al braccio di quello che doveva essere Cedric. La sua risatina giunse fino a lui, e osservò Cedric stringere a sé la fanciulla e lasciarla qualche attimo dopo. Sembra quasi che… siano felici solo stando insieme, che non abbiano bisogno d’altro… La sua missione gli rimpiombò addosso bruscamente e si affrettò a scavalcare il davanzale. «Lertha» comandò, ringraziando la sua previdenza di avergli fatto studiare quell’incantesimo in caso si fosse dovuto cimentare in una fuga rocambolesca. Pensavo di usarlo per distanziare eventuali inseguitori mentre scendevo alla città bassa, ma l’importante è che serva allo scopo. Atterrò morbidamente in un cespuglio curato e si dispiacque per aver rovinato l’opera di quel giardiniere tanto simpatico. L’arcigatto aveva ormai superato le guardie senza degnarle di un’occhiata e i due uomini stavano arretrando lentamente verso il maniero, tenendo gli occhi prudentemente puntati sul felino. Perfetto. «Njarta ranma vers» scandì, ruotando il polso e intrecciando le dita nel movimento complesso necessario a incanalare correttamente la magia. Una delle guardie si accasciò lentamente sul selciato del vialetto, l’altra si voltò del tutto e prese a correre, barcollante, verso il maniero. Roigon le passò a fianco piuttosto sicuro che non l’avrebbe nemmeno notato e infilò la strada, coprendo col mantello i cinque libri che teneva sotto braccio. «Ti sei spacciato per un mago dell’Ordine?» sibilò Alric a metà tra il divertito e lo scandalizzato. «Non c’era molto altro che potessi fare, ma torna tutto a nostro vantaggio! Piuttosto che avere a che fare con dei maghi, si dimenticheranno la faccenda e metteranno a tacere la cosa». «Dimentichi l’arcigatto!» gli fece notare il suo vecchio amico. Roigon si gettò automaticamente un’occhiata alle spalle. «Non appena si saranno accorti che se n’è andato, smetteranno di parlare anche di quello per evitare che comporti l’arrivo di un mago. Almeno spero» aggiunse borbottando.

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«E se il gatto non se ne andasse? Ti ritroveresti l’Ordine alle calcagna…» Roigon lo fissò negli occhi. «Sono piuttosto sicuro che il gatto se ne sia andato: mi sta seguendo». Alric spalancò la bocca ma non riuscì a trarne alcun suono. «È lo stesso gatto che ho visto a Folksvarg il giorno in cui sono giunto in città, lo stesso che ha continuato a comparire finché ci sono rimasto e che ora è comparso qui, con tutti i posti in cui sarebbe potuto andare» spiegò. Alric richiuse la bocca. «Non ha alcun senso. Ti porti appresso una condanna di morte e distruzione, è folle!». «Lo so benissimo, non c’è bisogno che tu me lo faccia notare» sbottò. Eppure non mi ha mai fatto niente… «Proseguiamo tenendo gli occhi aperti. Con un po’ di fortuna prima o poi la smetterà, altrimenti cercherò di addormentarlo» propose. È il modo migliore di cercare di colpirlo: la sensazione è perfettamente naturale, non dovrebbe reagire in alcun modo… sempreché il mio incantesimo funzioni su di lui! «…probabilmente perderebbe le nostre tracce!» terminò Alric. «Eh?» «Nell’andata non si è mai palesato e ti ha raggiunto a Vrandis solo dopo qualche giorno… questo potrebbe significare che era in ritardo rispetto a noi, quindi se procedessimo più spediti probabilmente perderebbe le nostre tracce!» spiegò. «Non ne ho la minima intenzione! Ho tra le mani alcune delle conoscenze magiche che il vecchio reputa più preziose, abbastanza da rischiare l’ira della Confraternita per nasconderle, e tu vorresti che tornassi indietro il più in fretta possibile?». Alric si trovò costretto ad assentire. «Stupefacente…» mormorò senza quasi rendersene conto. «Che cos’è?» domandò Alric alzando la testa dal proprio libro. «Si basa sui principi di condivisione sensoriale sviluppati da Farlan… ma sembra sia possibile alterare e convertire la forma base fino ad ottenere un incantesimo in grado di acquisire le conoscenze di un soggetto!» Alric chiuse il libro. «Stai scherzando?» Roigon scosse la testa. «È magia perduta da decenni. E dal potenziale inestimabile! È la condivisione definitiva delle conoscenze magiche, grazie a questo incantesimo potremmo sviluppare la magia fino a livelli impensabili! Ognuno costruirebbe sulle solide fondamenta delle conoscenze dei maghi venuti prima di lui!» Alric scosse la testa. «Non sono convinto che quello che dici sia giusto. C’è una ragione se le conoscenze sono state protette, se sono state tenute fuori dalla portata di tutti: dalle conoscenze deriva potere. Per ottenere questo potere normalmente sono necessari tali sforzi e sacrifici che solo chi abbia un valido motivo per ottenerlo può sperare di arrivarvi. Il potere richiede dedizione. Se le conoscenze fossero condivise in questo modo, chiunque potrebbe ottenerle e usarle solo per capriccio…» «Non è forse quello che fanno molti maghi anche adesso?» lo interruppe Roigon. «Maghi che hanno studiato anni per arrivare dove sono. E nei quali anni sono stati messi alla prova dai loro maestri e ben valutati! Certamente tale valutazione è strettamente dipendente dalla morale del maestro stesso ma almeno è stata fatta!» «Se le conoscenze fossero diffuse senza alcun timore il potere di ogni mago dipenderebbe solo dal suo talento» ribatté Roigon con enfasi.

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Alric sospirò. «Verrà il giorno in cui ti chiederai cosa sarebbe successo se un mago di talento non avesse avuto accesso alle conoscenze che gli sono state fornite. Ti renderai conto del pericolo che il potere costituisce, e capirai che è bene che ci voglia tempo e fatica per conquistarlo».

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XIII La porticina era esattamente come la ricordava: piccola e anonima, il legno fessurato dagli anni e dalla intemperie. Gettò un’occhiata intorno per verificare che nessuno li stesse osservando, ma la pioggerella fitta e insistente che li aveva infradiciati aveva anche tenuto la maggior parte dei cittadini di Folksvarg lontani dalle vie della cittadina. «Waidsol» ordinò Alric spingendo il battente. Roigon si fece strada nel vestibolo dietro al suo vecchio amico e chiuse fuori l’umidità persistente della pioggia. «Alric!» udì esclamare dalla saletta attigua. Il suo sguardo scattò ad accogliere la maga dai capelli color del fuoco che strinse il suo compagno in un breve ma intenso abbraccio. «Arelia» la salutò con un sorriso, «anch’io sono felice di vederti». «Avrò modo di salutarti come si conviene stanotte» replicò con un sguardo malizioso la maga, facendogli rimpiangere un po’ di aver allungato tanto il viaggio di ritorno. «Spero che abbia ancora energie, perché non ne ha risparmiate durante il viaggio» borbottò Alric andandosi a sedere vicino al fuoco scoppiettante che ardeva nel camino, gettando ombre guizzanti sulle pareti di pietra della sala. «La vostra missione si è rivelata così faticosa?» lo accolse la voce fredda di Nerea non appena mise piede nella stanza. «Forse avreste dovuto cercare nelle biblioteche invece che sotto le lenzuola fin dall’inizio. Avreste risparmiato tempo e fatica» Gelosa? «Maga Nerea» salutò Roigon preferendo tenersi il commento per sé. «È un piacere anche per me rivedervi». «Lo vedo… vi conviene spostare lo sguardo prima che Arelia diventi gelosa e vi strappi gli occhi» gli sorrise. Roigon si affrettò a distogliere lo sguardo con un sobbalzo. Ha sempre avuto labbra così rosse, quasi livide? Arelia scoppiò a ridere. E i suoi capelli hanno sempre avuto quel riflesso bianco, o è la luce del fuoco? «Suvvia Nerea, non avrei alcun problema a dividerlo con te…» Roigon sentì il viso avvampargli a quel commento provocatorio pur non diretto a lui. «Allora forse dovrei strapparglieli io gli occhi» rispose tranquillamente Nerea. «Credo sarebbe più prudente strappargli qualcos’altro» fece notare Alric voltandosi con un sogghigno. «Prenderò in attenta considerazione la tua proposta mentre fate rapporto all’Antico. Vi sta aspettando» garantì con un tono serissimo che preoccupò leggermente Roigon. Quella donna sarebbe capace di tutto! Il rinnegato aprì la porta familiare dietro cui aveva origliato la misteriosa conversazione e si bloccò, impietrito: alla scrivanie sedeva un uomo alto e massiccio dalla pelle abbronzata, completamente calvo. «Entrate, Roigon, Alric» invitò con voce profonda. Il nuovo Antico! Ma certo, sono trascorsi ormai tre mesi… «Il mio nome è Balkan. Dal vostro sguardo sorpreso deduco non siate stati informati degli ultimi avvenimenti».

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Il vlasrik che era appartenuto al vecchio Antico piombò sulla scrivania, e a Roigon parve che lo scrutasse con aria malevola e calcolatrice. Da dove è uscito? Si chiese ritraendosi involontariamente. «L’Antico è morto» annunciò senza preamboli il mago calvo. «Morto?» gli fece eco Alric, incredulo. Roigon inarcò le sopracciglia. «Com’è possibile?» Quindi questo è il mago che l’Ordine ha posto alla guida della Confraternita… ma perché? Cosa spera di ottenere? «Il vecchio era malato da tempo» spiegò congiungendo le mani sul legno lucido. «L’ha rivelato quando mi ha scelto come suo successore, poco dopo la vostra partenza. È durato un mese esatto». Alric chinò la testa. «Quindi voi siete l’Antico, ora…» mormorò Roigon. Balkan annuì con decisione. «Sono stato informato della vostra missione, naturalmente. Ha avuto esito positivo?» Roigon annuì. «Abbiamo recuperato le conoscenze di Farlan che ci aveva… che il vecchio Antico ci aveva chiesto». Sfilò dalla bisaccia i due tomi che vi aveva riposto e li posò con delicatezza sul tavolo mentre Alric vi aggiungeva i restanti tre. Negli occhi di Balkan guizzò un lampo d’avidità e per un attimo a Roigon parve di trovarsi ancora davanti al vecchio Antico. «Avete fatto un ottimo lavoro» decretò dopo aver dato una scorsa con aria rapace a uno dei tomi. «Potete andare». Tutto qui? Roigon non riuscì a scacciare l’impressione che mancasse qualcosa, ma si affrettò a seguire Alric fuori dalla stanzina. Ho appena consegnato a un mago dell’Ordine la chiave per impossessarsi di tutte le conoscenze della Confraternita. Sono un idiota! Se non mi fossi concentrato solo sull’apprendere quanto più possibile prima di arrivare mi sarei reso conto di quello che stavo facendo! Cercò di calmarsi e andò ad asciugarsi davanti al camino, gettando uno sguardo di sfuggita ai due maghi che non conosceva che avevano preso il posto di Arelia e Nerea. Farlan avrebbe saputo come sistemare le cose. Farlan? L’avvertimento del vecchio Antico piombò su di lui come un macigno. Farlan sta già cercando di uccidermi, se sapesse quello che ho fatto niente riuscirebbe più a fermarlo! Cosa diavolo poteva fare? Li aveva appena condannati tutti! Rifletti, si impose. Per quanto dotato possa essere Balkan impiegherà almeno un paio di mesi ad elaborare l’incantesimo per la condivisione delle conoscenze! Dopotutto lui aveva impiegato quasi un mese e mezzo solo per elaborare una bozza di traduzione, pur possedendo tutte le basi necessarie, conoscendo l’impostazione Farlan e sapendo come tradurre molte delle parole che usava il suo vecchio maestro. Devo trovare un soluzione prima che sia troppo tardi! Alric aveva detto che l’Antico era scelto fra i maghi Anziani di almeno quinto rango, ma erano passati solo due mesi da quando aveva assunto il ruolo di Maestro della Confraternita. Gli altri maghi Anziani, insieme, dovrebbero poterlo affrontare senza troppi problemi! A meno che, naturalmente, non fosse un arcimago dell’Ordine.

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Maledizione! In ogni caso non ho prove, nessuno mi crederebbe. «Siete già tornati?» la voce morbida di Arelia lo strappò dalle sue elucubrazioni. «Ci chiedevamo dove foste finite» lo anticipò Alric. «Avevo voglia di un bagno» spiegò la maga, «e Nerea ha trovato che fosse un’ottima idea… ho già riempito la vasca, ma temo che con la mia goffaggine riuscirei a scottarmi con la brace, se non addirittura a dare fuoco all’intera baracca». Lanciò a Roigon uno sguardo lascivo che gli fece correre un brivido di piacere giù per la spina dorsale. Non riesce ad aspettare stanotte, constatò divertito. «Sarà meglio che venga ad aiutarti, allora» si offrì ricambiando il sorriso. I suoi pensieri avrebbero potuto aspettare, per un po’. «Buongiorno, Nerea» salutò entrando nella saletta. «Non capisco perché vi ostiniate a star qui, quando ho scoperto che in questa enorme residenza ci sono altre due sale ben più grandi e confortevoli» fece notare. «Forse per evitare gli scocciatori» rispose con un sorriso sardonico la maga, scostandosi una ciocca dei capelli color cenere dal viso. «Mi chiedevo quanti maghi ci fossero nella residenza…» esordì lasciandosi cadere sul divanetto scolorito. «Perché non provi a contarli?» «I maghi vanno e vengono e da quanto ho capito alcuni alloggiano in città per evitare di attirare l’attenzione su questo posto, come me del resto». «È così» confermò Nerea senza rispondere. Se stai cercando di irritarmi ci stai riuscendo alla perfezione! «Va bene, vado a cercare Alric» sbuffò alzandosi dal divano. «Non risponderà alla tua domanda, ma non voglio trattenerti» lo salutò Nerea. «Non tutti sono disponibili come voi, ma Alric è un buon amico». «Solo i maghi Anziani conoscono il numero e il grado dei maghi presenti a Folksvarg. È una misura precauzionale». Roigon si fermò sulla soglia e si voltò a guardarla. «E quanti maghi ci sono in città, maga Anziana Nerea?» Le labbra rosso scuro della maga si arricciarono in una smorfia d’irritazione. «Mi sembrava di essere stata chiara: è un’informazione riservata. A meno che ti abbiano promosso di recente» aggiunse con sarcasmo. Maledizione a te, lurida… Con quattro passi coprì la distanza che lo separava dalla poltrona su cui era seduta la maga e si chinò verso di lei. «Nerea, siamo in grave pericolo. Abbiamo bisogno di tutti i maghi che…» Le sopracciglia color cenere della maga si levarono in un arco stupefatto. «Non so di cosa stai parlando ma se questo fantomatico pericolo esiste, allora devi parlarne con l’Antico, non con me» lo interruppe alzandosi e costringendolo a indietreggiare. Ma cosa… «Di cosa si tratta, Roigon?». La voce profonda di Balkan fece mancare un battito al suo cuore. «La Confraternita è minacciata?». Sì, da voi! «Er… come dissi al vostro predecessore… quando mi persi nell’acquitrino di Morlog…»

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L’Antico levò una mano per interromperlo. «Mi sembrava di aver parlato chiaro in merito» avvertì con voce gelida cogliendo Roigon alla sprovvista. Avevo al parlato al vecchio, non a lui… «Temo che Farlan potrebbe sfruttare quella creatura per att…» «I tuoi dubbi sono del tutto ingiustificati. Ti assicuro che sto tenendo Farlan sotto stretta sorveglianza e anche se dovesse osare attaccare la Confraternita non ne avrebbe i mezzi» troncò la discussione. «E ora ti prego di seguirmi, ti stavo giusto cercando» ingiunse a Roigon. «Maga Nerea» salutò senza traccia di scherno, e si apprestò a seguire l’Antico giù per le scale che conducevano ai suoi appartamenti, ma Balkan prese la porta che dava nel vestibolo. Roigon seguì il massiccio mago studiandone la tunica arancione. Che abbia capito che sospetto qualcosa? È stata una scusa patetica, ma è la prima cosa che mi è venuta in mente! Nonostante l’improbabilità della scusa, la reazione dell’Antico gli era parsa innaturale. «Vedo che ci siete già tutti». La voce di Balkan lo strappò dalle sue riflessioni. Seguì il mago nella sala tappezzata di rosso salutando con un cenno del capo Alric e Arelia. «Sono lieto di rivederti, Roigon!» lo accolse sonoramente il Lupo. «Anch’io sono contento di vederti tutto d’un pezzo, Ulfric!» gli sorrise accomodandosi al lungo tavolo a un cenno di Balkan. «Siete stati convocati qui perché ho una missione piuttosto delicata da affidarvi» esordì. «Affidarci? Intendete a tutti noi?» lo interruppe Ulfric rizzandosi sulla sedia. Balkan annuì con un ampio movimento del capo. «So bene che è estremamente raro che vengano coinvolti più di due maghi, ma questo non è un incarico comune». «Forse… forse sarebbe più opportuno mandare qualcuno meglio qualificato» intervenne Alric diplomaticamente. Quattro viaggiatori attirano l’attenzione, specie se solo uno sembra in grado di difendersi, meditò adocchiando il Lupo. «Ho valutato attentamente la questione e sono giunto alla conclusione che sia importante il numero, oltre che la qualità, dei maghi impiegati per quest’impresa. Viaggerete come un nobile decaduto col suo fidato servitore, come avete fatto attraversando l’Antico Regno. Ulfric si unirà a voi come guardia del corpo per proteggervi dai pericoli dell’Egrion e Arelia sarà vostra sorella, Roigon» illustrò. «È meglio che teniate nascoste le capacità di almeno due di voi, mentre altri due possono fingersi fattucchieri. Preferibilmente non voi, Alric: un nobile fattucchiere ispira poca fiducia». Alric annuì con aria compita. «Può funzionare». «Non c’è il rischio che al momento di agire si scopra che tutti i quattro possiamo ricorrere alla magia?» intervenne Roigon, corrucciato. «Nel luogo in cui dovrete recarvi nessuno vi vedrà ricorrere ai vostri incantesimi, potete stare tranquilli: la vostra meta è il Bosco Imbiancato». Il Bosco Imbiancato? Gli fece eco mentalmente mentre dentro di lui curiosità e timore si aggrovigliavano cercando di soffocarsi a vicenda.

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«Con tutto il rispetto, ho paura che noi quattro non siamo abbastanza esperti per una simile impresa, senza nemmeno la guida di un mago Anziano» ribatté Alric, corrucciato. Non sono nemmeno sicuro che noi quattro e un mago Anziano avremmo qualche possibilità di tornare da quel posto… «Cos’è il Bosco Imbiancato?» domandò Arelia saettando con lo sguardo da Alric all’Antico. «Ci sarà un mago Anziano a guidarvi, infatti» esclamò pacatamente Balkan indicando Alric con un gesto discreto. «Com… cosa?» borbottò il suo vecchio amico sobbalzando sulla sedia, e a Roigon parve di ritrovarsi davanti allo stesso ragazzino che era stato apprendista di Farlan insieme a lui. «Io non credo di avere le c…» cominciò a protestare Alric, ma l’Antico lo fermò sollevando una mano. «La decisione è presa. Le tue capacità e conoscenze sono più che consone a questa nomina. Se non ci sono ulteriori obiezioni vorrei illustrarvi il vostro incarico» disse in un tono che non ammetteva ulteriori obiezioni. Roigon annuì insieme agli altri. «Il Bosco Imbiancato si trova a sud ovest di Folksvarg, oltre l’antica via che attraversa il Drakendein. Procedete a sud ovest per tre giorni, poi deviate a sud, verso le Ironhills. Se tutto va bene dovreste giungere a destinazione in poco più di una settimana» decretò congiungendo le mani sul tavolo. Ulfric emise un grugnito di disapprovazione. «È una previsione molto ottimistica. Potrebbero volerci due settimane, o anche più, a seconda del tempo e di ciò che incontreremo lunga la strada!». Balkan si volse a fissarlo e Roigon colse una fugace visione dello sguardo inflessibile dell’Antico. «Il tempo è un fattore essenziale. Sono recentemente giunto in possesso di uno scritto che afferma che l’artefice dell’incantesimo che avvolge il Bosco fosse in possesso di un artefatto dei Sydrian, e che questo fosse il motivo per cui era braccato. Se è così c’è una possibilità che l’artefatto in questione si trovi ancora lì, da qualche parte…» «Dopo secoli?» lo interruppe Roigon, scettico. È pur vero che l’incantesimo che protegge il Bosco ha sempre tenuto alla larga chiunque, ma dubito che i maghi del passato abbiano rinunciato così facilmente a un simile artefatto! «Lo scritto afferma che pochissimi erano a conoscenza di cosa trasportasse l’arcimago. Se è così, e i suoi inseguitori sono morti come vuole la leggenda, è probabile che nessuno abbia saputo nulla… almeno finora: temo che come io sono stato in grado di reperire queste informazioni possa farlo anche l’Ordine Arcano. Voglio che recuperiate quel manufatto, se esiste, prima di quei cani dell’Ordine». Le mani giunte di Balkan si chiusero a pugno e Roigon capì che un fallimento non sarebbe stato tollerato. Lanciò un’occhiata al suo vecchio amico proprio mentre Alric annuiva. «Abbiamo poco tempo per prepararci, meglio non sprecarlo».

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XIV «Mago Anziano… chi l’avrebbe mai detto!» si complimentò Roigon battendo una pacca sulla spalla del suo vecchio amico. Le congratulazioni del Lupo furono così energiche da farlo barcollare sul sentiero, ma non riuscirono a cancellare l’accenno di un sorriso dall’espressione di Alric. Roigon ridacchiò distrattamente facendo eco ad Arelia. Mi ha mandato via di proposito? Non poté fare a meno di chiedersi. Maledizione! Potremmo benissimo impiegare un mese nella ricerca di questo artefatto, sempre che esista e che non si sia inventato tutto! Si chiese se stesse cominciando a diventare paranoico. Potremmo anche non tornare affatto… se quell’idiota di Nerea mi avesse dato ascolto..! «Roigon? Va tutto bene?» lo fece sobbalzare la voce di Arelia. «Cosa? Sì, scusate, stavo riflettendo…» «Ulfric vorrebbe un narrazione dettagliata del nostro viaggio nell’Antico Regno» spiegò Alric. «Conosci il nemico» spiegò il mercenario sfoderando un ghigno feroce. Conosci il nemico… abbiamo nemici ovunque: l’Ordine, i Paladini, le autorità dell’Antico Regno, il nostro vecchio mentore… e forse anche il nostro stesso Maestro! «Non c’è molto da dire… Vrandis è imprendibile, o almeno lo sarebbe senza l’ausilio della magia. La guardia cittadina è molto efficiente, almeno nella città alta, e molti nobili dispongono di guardie private. Tuttavia, da secoli i nobili dell’Antico Regno preferiscono lasciare che sia l’Ordine a occuparsi dei rinnegati, quindi non vedo perché dovrebbero cambiare atteggiamento proprio adesso». Arelia scosse la testa. «Non è questo a cui stavi pensando, vero Ulfric?» Il Lupo annuì. «Se dovessimo avere bisogno di nasconderci, l’Antico Regno potrebbe essere un ottima soluzione! Da quanto mi ha detto Alric la conformazione del suolo costringe la popolazione a pigiarsi in piccole cittadine, e le poche fattorie hanno una piccola estensione…» «…quindi sarebbe possibile, e nemmeno troppo difficile, vivere relativamente isolati» completò Roigon annuendo pensierosamente. L’idea non è per niente stupida… «Perché dovremmo?» li interruppe Alric. «La Confraternita ci permette di vivere lontano dal giogo dell’Ordine, ci fornisce i mezzi per studiare la magia e la protezione di maghi esperti!» A meno che la Confraternita sia in pericolo… che Ulfric sappia qualcosa? Un silenzio denso calò sul gruppo, interrotto solo dal richiamo stridente di un qualche uccello notturno appena destatosi. «La Confraternita esiste da un secolo, o poco più» esordì lentamente il Lupo facendo strada attraverso una macchia di pini. «Non so da quanto l’Ordine possa aver cominciato a sospettare della sua esistenza, ma sono convinto che ormai ci stia cercando e non riesco a scrollarmi di dosso la sensazione che l’anello si stia stringendo e sia solo questione di tempo» «Allora dovremmo attaccare!» sbottò Arelia. La risata di Ulfric echeggiò tra i pini e si spense nella notte incombente. «Sì, ragazza… mi piacerebbe! Ma l’Ordine conta qualche centinaio di maghi, la Confraternita forse un centinaio in tutto. E l’unico tra i nostri a potersi paragonare a un arcimago è l’Antico!» «Vuoi dire era» lo corresse Roigon.

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«Credo che lo sia anche Balkan» si intromise Alric soppesando le parole. «È sempre stato uno dei maghi più dotati… insieme a Malbren e Lothmir. Contando anche loro avremmo tre “arcimaghi” e non più di una ventina di maghi anziani». «Sono comunque troppo pochi…» Balkan è un arcimago, e abbiamo solo due maghi in grado di tenergli testa! Non è neanche detto che siano a Folksvarg… «Alric, hai scoperto quanti maghi ci sono in città, come ti avevo chiesto?» Alric esitò. «Sì. Si sono radunati quasi tutti per assistere quando il vecchio Antico è morto, ma molti sono già ripartiti. Ci sono undici maghi Anziani a Folksvarg, e ventitré maghi, senza contare l’Antico. Ovviamente non posso rivelarvi le loro identità, e confido che abbiate molta discrezione in merito a queste informazioni». Roigon annuì. Se lo attaccassimo senza riserve non avremmo problemi, ma estorcergli la verità… è tutta un’altra faccenda! E senza prove… «Malbren e Lothmir sono qui?» si risolse a chiedere. «Ho detto che non posso fare nomi, Roigon». È il momento di metterli al corrente. «La Confraternita è in pericolo, Alric. Dobbiamo agire subito, o saremo alla mercé dell’Ordine». Ulfric si arrestò di scatto e Roigon rischiò di sbattere contro la sua schiena corazzata. «Cosa?» mormorò Arelia scrutandolo nella semioscurità. «Quando mi unii alla Confraternita mi introdussi nella residenza senza sapere che fosse il nostro rifugio, lo ricorderete. Casualmente origliai una conversazione magica del vecchio Antico. Qualcuno lo stava ricattando, e quel qualcuno voleva che nominasse un successore». «È impossibile» decretò Alric. «Nessuno potrebbe ricattare l’Antico…» gli fece eco Arelia. «…tranne l’Ordine» completò Ulfric. «Vorresti dire che Balkan…» «Con tutta probabilità è un arcimago dell’Ordine Arcano» completò Roigon in tono grave. «Non ha senso. Se così fosse l’Ordine ci avrebbe già spazzati via da tempo» fece notare il suo vecchio amico. Roigon annuì. «A meno che non avesse qualche interesse nel rimandare» «Ad esempio?» indagò il Lupo, interessato. Roigon sospirò. «Ad esempio gli appunti di Farlan che abbiamo consegnato all’antico». Vide un lampo di comprensione guizzare negli occhi di Alric. «Con quegli incantesimi l’Ordine sarebbe in grado di impossessarsi di tutte le conoscenze della Confraternita prima di distruggerci» spiegò. «È colpa mia, avrei dovuto arrivarci prima». «Non è ancora troppo tardi» ribatté Ulfric, fermo. «Possiamo affrontare Balkan, con un buon numero di maghi». «E chi ci crederebbe? È solo la mia parola, Ulfric…» fece notare Roigon cercando di decifrare al contempo l’espressione corrucciata di Alric. «Che prove abbiamo?» chiese infine il suo vecchio amico. «Nessuna, a parte che quando mi ha scoperto a parlare di un pericolo per la Confraternita con Nerea mi ha immediatamente allontanato da Folksvarg, e così tutti quelli che avrebbero potuto fidarsi di me». Cercò di scrutare i volti dei suoi compagni ormai ammantati dalle ombre della notte. «Sei riuscito a spiegare qualcosa a Nerea?» domandò Alric. Arelia sospirò «Credi che questo artefatto esista davvero?».

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«No e non lo so. È sospetto, però». «Potrebbe essere un modo per disfarsi di noi…» «Potremmo semplicemente andarcene e far credere di essere morti» ragionò Alric. «Non sospetterebbe di nulla, se il suo intento fosse stato questo fin dall’inizio. Dopotutto, non abbiamo alcun legame con altri maghi della Confraternita. Chi dovremmo salvare?» Nerea! Pensò prima di rendersene conto. «Nerea» rispose Arelia sicura, risparmiandogli un lungo conflitto interiore. Ulfric annuì. «Nerea è nostra amica». Avrebbe potuto darmi retta un po’ di più, però! Per un attimo fu tentato di convincerli ad abbandonarla. «Potremmo contattarla e fare in modo che sparisse, suppongo…» tentò Alric. «E diventare gli Ultimi Rinnegati». Tutti gli sguardi si puntarono su Roigon. «Non che l’idea mi dispiaccia, ma non avremmo nessuno a coprirci le spalle. Sarebbe meglio se potessimo avvertire la Confraternita e dare agli altri una possibilità di combattere». «Ma a quel punto si saprebbe che non siamo caduti nella trappola» fece notare Ulfric. «A meno che…» la voce di Alric si spense nelle tenebre. «A meno che non ci cadessimo volontariamente» terminò. «Che intendi?» indagò Arelia. «Accampatevi qui. Sarò di ritorno per domattina» garantì. Roigon lo afferrò per un braccio. «Cosa intendi fare?» Un sorriso sghembo traballo sul volto di Alric. «Scriverò una lettera a Nerea, anonima. Anzi, dato che si fida di voi mi servono le vostre firme» aggiunse rivolto verso Ulfric e Arelia. «Le svelerò i nostri sospetti e le chiederò di avvertire i maghi Anziani e richiamare Malbren e Lothmir. Sono sicuro che troverà il modo!» «Ma così se la lettera dovesse cadere nelle mani sbagliate…» «Mi accerterò che non succeda» tagliò corto Alric. «In ogni caso scriverò che sfrutteremo l’opportunità che ci viene data per raggiungere il Bosco Imbiancato e recuperare questo misterioso artefatto, sperando che possa esserci utile nel caso fossimo costretti a combattere». Così se l’Antico dovesse giungere a conoscenza del contenuto della lettera penserà che siamo cauti nella sua trappola e non si preoccuperà di noi. «Può funzionare» assentì. «Ma stai attento» Alric annuì e si inoltrò nella notte. Roigon aprì gli occhi e si ritrovò a fissare un grigio cielo invernale. Devo essere rotolato oltre la copertura dei rami durante il sonno. Si alzò a sedere e vide Alric che stava armeggiando con un piccolo fuoco. «Fa freddo oggi» esordì avvicinandosi al suo vecchio amico. «L’inverno è giunto» assentì. «Potrebbe nevicare, a nord della via». «Non oggi» sentenziò Ulfric con la sua voce possente adocchiando il cielo. «Hai consegnato la lettera?» si informò Roigon. «Ho fatto in modo che venga consegnata tra tre giorni, in modo da avere il tempo di allontanarci. Nel caso qualcosa andasse storto non vorrei che l’Antico ritenesse più prudente e più veloce risolvere subito la questione, di persona, finché siamo alla sua portata». Proprio il solito, buon, vecchio Alric: ha pensato a tutto.

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«Non indovineresti mai chi ho incontrato entrando in città» ridacchiò il suo vecchio amico. «Non saprei» ammise Roigon cercando di riportare alla mente tutte le donne che aveva affascinato a Folksvarg. «Quel mago da strapazzo con le vesti rosse» La lista evaporò in un istante, lasciandolo con la sensazione di aver ricevuto una secchiata d’acqua fredda. «Quell’insolente cagnolino dell’Ordine è ancora qui?» ringhiò. «Ti ha visto?» si informò Ulfric con maggior raziocinio. Alric scosse la testa. «Sembrava disorientato, come se stesse cercando qualcuno e non riuscisse a trovarlo». «Probabilmente una donna che gli ha promesso di incontrarlo solo per sbarazzarsi di lui» ridacchiò Roigon strappando una risata ai compagni. «Perché si parlava di donne?» intervenne Arelia raggiungendoli attorno al piccolo fuoco. Perché non tutti hanno la fortuna di averne una, figuriamoci una appassionata come te.

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XV Nerea vuotò il calice e lo appoggiò sul tavolo con più forza di quanta avesse voluto imprimere nel gesto. Che seccatura! Gli schiamazzi rumorosi degli avventori che occupavano la tavolata alla sua destra la irritavano. Se n’è andato senza nemmeno salutare. Almeno Arelia ha avuto la decenza, e la sfacciataggine, di venirmi a dire dove stavano andando. Ormai sono troppo lontani, si consolò. Per i primi giorni era stata tentata di raggiungerli, dare a quel presuntuoso di Roigon quello che si meritava e accompagnarli al Bosco Imbiancato. Che cosa è saltato in mente all’Antico? Avrebbe dovuto mandare me, invece che promuovere quel bamboccio di Alric! Ulfric e Arelia non erano minimamente all’altezza del compito. Si rifiutò ostinatamente di lasciare che i suoi pensieri vertessero nuovamente su Roigon. «Maga Nerea?» domandò una voce acuta alle sue spalle. Si voltò di scatto, pronta a sferzare con la sua magia quell’imbecille o ad abbracciarlo, non seppe dirlo, quando si rese conto di aver davanti un ragazzino. «Siete voi Nerea?» Me lo sono immaginato… ha detto “Nerea”, non “Maga Nerea”, maledizione! «Sì, cosa vuoi?» sbottò più duramente di quanto avesse inteso. «Mi hanno detto di consegnare questa lettera a voi, che me l’avreste pagata una moneta d’acciaio». Stava per scoppiare a ridere in faccia a quel marmocchio quando questi aggiunse frettolosamente: «E l’uomo che me l’ha data mi ha detto di dirvi che era un mago». Un mago? Che sia Roigon? Il cuore prese a batterle più forte, irritandola. Qualunque cosa abbia da dirmi, non la voglio sentire, decise mettendo in mano al marmocchio una moneta d’acciaio e afferrando la lettera. Ma se fosse un altro mago sarebbe stato un folle a rischiare di rivelarsi pur di accertarsi che la lettera mi fosse consegnata! E stabilire un prezzo così assurdo… Infilò con discrezione la missiva nel corpetto e pagò il vino, avviandosi fuori. «Maga Nerea». La voce profonda di Balkan la richiamò, facendola voltare verso il vestibolo. «Mi piacerebbe scambiare due parole con voi, vi dispiace?» «No, affatto» si costrinse a rispondere. La curiosità di scoprire il contenuto della lettera le bruciava dentro come il fuoco della magia. «Avrete saputo dell’incarico che ho affidato a Roigon» esordì facendole strada verso la saletta. Nerea si limitò ad annuire. «Ho ritenuto prudente allontanarlo dalla Confraternita». Cosa? Perché? «Sospetto che la scenata con Farlan fosse una farsa, così il suo tentativo di avvertirvi, entrambi volti ad ottenere l’effetto contrario. Sospetto che Farlan, con l’appoggio di Roigon e forse anche del suo vecchio apprendista Alric, stiano tramando qualcosa». È possibile? Tecnicamente sì… Farlan ne sarebbe più che capace e Roigon… «Vorrei che teneste d’occhio la sua posizione attraverso il bracciale, e che mi informaste se dovesse prendere un percorso poco plausibile per arrivare al Bosco Imbiancato, a sud della via che attraversa il Drakendein».

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«Sarà fatto» garantì Nerea. «Posso… posso chiedervi perché avete deciso di mandare maghi così poco preparati in un posto simile?» Balkan la fissò apertamente. «Se vi state chiedendo se li ho mandati a morire, la risposta è no. Le informazioni che ho dato loro non sono inventate, e l’impresa non è troppo superiore alle loro capacità. Avrei dovuto inviare Lothmir, ma sarebbe stato sospetto farlo accompagnare da ben due maghi, Roigon e Alric, quando l’impresa sarebbe stata alla sua altezza anche se fosse stato solo. Ho cercato di compensare la qualità con la quantità» spiegò, sorprendendola: non si aspettava una risposta così diretta. «Ho fugato i vostri dubbi?» «Sì» esclamò con decisione la maga. «Bene. I miei impegni mi chiamano, ora» prese congedo. Dopo pochi passi il mago calvo si voltò lanciarle un’occhiata. «Non fidatevi di Roigon». Nerea si lasciò cadere sul letto, esausta. Roigon è un traditore? La domanda la turbava più di quanto fosse disposta ad ammettere. Sfilò la missiva misteriosa dal corpetto e l’eccitazione si riaccese, divampandole nel petto. Nessun sigillo, nessun nome, nessun indizio. Aprì la lettera servendosi delle unghie lunghe e curate ed estrasse il foglio ripiegato.

Maga Nerea, come avrete capito dal modo in cui vi è stata consegnata questa missiva, vi scrivo per sottoporvi a una questione della massima importanza e delicatezza. L’Antico, il mago Balkan, è un arcimago del Consiglio.

Il foglio le cadde dalle mani. Cosa? È impossibile… chi diavolo ha scritto questa lettera? Raccolse il foglio e lo scorse fino in fondo. Ulfric il Lupo e Arelia. Per un attimo rimase stordita a leggere i nomi. Ulfric e Arelia… mi fido di loro, perché avrebbero dovuto inventarsi una storia simile? La risposta le giunse chiara e splendente: Roigon e Alric! L’Antico aveva ragione, stanno cercando di farci rivoltare contro di lui… forse Farlan vuole prenderne il posto! Ritrovò il punto in cui si era interrotta e continuò a leggere. Roigon avrebbe origliato l’Antico che veniva ricattato, assurdo.

Capirete anche voi che, dato per vero questo, non può che essersi trattato dell’Ordine, che premeva perché fosse scelto un suo infiltrato. Nessun altro sarebbe stato nella posizione di ricattare l’Antico! Riflettete inoltre sulle condizioni della morte del vecchio: voi eravate presente. Non avete sospettato niente? Non avete colto nulla di insolito cui magari non avevate fatto caso?

Effettivamente qualcosa nella morte del vecchio le era sembrato sospetto, ma non era riuscita a dare una forma definita alla sua sensazione. E il movente era a dir poco agghiacciante: se fosse stato vero… l’Ordine avrebbe spazzato via la Confraternita assorbendone tutte le conoscenze. Ovviamente è credibile: Farlan non è uno sciocco! Potrebbe addirittura aver assassinato il vecchio per mettere in atto tutto ciò, si rese conto.

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Ma se ne avesse avuto il potere, sarebbe potuto diventare l’Antico in un modo molto più semplice. Riprese la lettura.

Vi prego quindi di avvertire e richiamare a Folksvarg tutti i maghi Anziani con cui riuscirete a mettervi in contatto, possibilmente in incognito. Noi cercheremo di recuperare l’artefatto nel Bosco Imbiancato nel caso si arrivasse a uno scontro. Ci ritroveremo a Folksvarg tra un mese. Dovrebbe essere sufficiente per radunare quasi tutti i maghi e troppo poco perché Balkan faccia la sua mossa.

Sì, avrebbe fatto così, decise. Avrebbe chiamato Lothmir e gli avrebbe chiesto di contattare gli altri, facendo in modo che si trovassero a Folksvarg entro un mese. Estorceremo la verità a Roigon, e se quanto scritto nella lettera è vero elimineremo Balkan. Altrimenti Roigon, Alric e Farlan capiranno cosa vuol dire sfidare la Confraternita Arcana! Sarebbe solo dovuta stare attenta che Ulfric e Arelia non passassero per complici per essersi fatti convincere da Roigon.

«Si può sapere che diavolo è questo frastuono sul far della sera?» domandò Ulfric guardandosi intorno. «Che posto è questo?» rincarò Roigon scrutando i tronchi carbonizzati che spuntavano dal terreno. «Sembra che i suoni vengano dai tronchi» fece notare Arelia. Il Lupo scrutò attentamente uno degli scheletri arborei, estrasse l’ascia per ogni evenienza e vi appoggiò l’orecchio. «Hai ragione! Posso sentire degli uomini parlare!» «Venite a vedere!» chiamò Alric. Roigon si affrettò verso il suo vecchio amico e rimase sbigottito: una scala scendeva lungo il fianco scosceso di uno dei crateri che costellavano l’Egrion, e conduceva a quella che aveva tutta l’aria di essere una piazza. Torce fissate alle pareti di roccia illuminavano le porte di legno che si aprivano sul fianco del cratere. «Un villaggio scavato nella roccia?» mormorò, incredulo. «Così pare!» osservò Ulfric spuntando alle sue spalle. Non c’è che un modo per esserne certi. Roigon raggiunse la scala scavata nella roccia e, badando di tenersi vicino alla parete e lontano dal vuoto, discese nel cratere. «Buonasera, stranieri» lo accolse un uomo minuto abbigliato come un cacciatore. «Che posto è questo?» domandò Roigon. «Sembra un villaggio, ma non ne ho mai visto uno simile!» «E mai lo vedrete» garantì il cacciatore con un sorriso. «Benvenuti a Dera, se siete qui per lasciare un po’ del vostro acciaio alla locanda. Altrimenti vi consiglio di tornarvene da dove siete venuti, se non volete che siamo noi a darvi un po’ del nostro» consigliò facendo roteare un pugnale tra le dita senza perdere il sorriso sulle labbra. «Siamo viaggiatori stanchi, ma di nobile stirpe» intervenne Alric alle sue spalle. «Abbiamo di che pagare per l’ospitalità ricevuta, non temete».

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«E anche di che ripagarvi per l’acciaio ricevuto» aggiunse Ulfric balzando giù dagli ultimi gradini. Se il cacciatore rimase impressionato dalla vista del guerriero biondo coperto di piastre d’acciaio non lo diede a vedere. «In questo caso la locanda è da quella parte» indicò l’uomo sorridendo. «La porta rossa, non potete sbagliare!» «Grazie» salutò Roigon incamminandosi nella direzione indicatagli. «Abitanti gioviali, questo villaggio… e indomiti!» commentò Ulfric affiancandoglisi. «Cerchiamo di non provocarli, allora. Abbiamo già abbastanza problemi per conto nostro». La porta rossa era incassata in fondo a un breve corridoio di pietra che li costrinse a passare in fila indiana. Roigon schiuse il battente e il frastuono tipico di una taverna li investì, insieme a un delizioso profumo di carne arrosto. «Invitante!» approvò Ulfric facendosi strada tra la selva di tavoli. In pochi attimi lo schiamazzare degli avventori si smorzò e molti dei commensali si voltarono a osservarli. «Benvenuti, benvenuti!» li accolse un omino tozzo dall’aria giovane. «Gradireste desinare?» «Con piacere» accettò Roigon. «È possibile avere un tavolo solo per noi? Siamo piuttosto stanchi e abbiamo questioni importanti di cui discutere». Ora che siamo abbastanza lontani da Folksvarg, dobbiamo decidere il da farsi. «Ma certo! Prego da questa parte, signori». Roigon lasciò che il locandiere lo conducesse a un tavolo discosto dalla maggior parte degli avventori. «Qui dovreste stare abbastanza tranquilli. Mia moglie vi porterà da bere mentre la carne arrostisce» garantì, sparendo nella selva di tavoli e sgabelli. «Se il sapore della carne mantiene le promesse del profumo, resteranno senza cibo» decretò Ulfric sedendosi pesantemente su uno sgabello. Alric e Arelia non avevano fatto in tempo a prendere posto che una donna minuta dai capelli chiarissimi emerse dalla compagine di paesani con un grande vassoio di legno. «Mio marito ha pensato che avreste gradito della birra» esordì depositando con cura il vasoio sul tavolo. «Ma certo!» approvò Ulfric colpendo il legno chiaro con un pugno che rischiò di rovesciare i boccali. La donna gli rivolse un sorriso appropriato per un bambino esuberante. «Se ne vorrete dell’altra non esitate a chiamare». Che donna affascinante… così delicata, quasi stesse per andare in pezzi, eppure ironica e spigliata, ma sempre con… «…non trovi, Roigon?» «Eh? Cos’hai detto Alric?» precipitò nella realtà strappando un sospiro al suo vecchio amico. «Commentava la cordialità di questa gente» spiegò Arelia con un sorriso divertito. «Invero, sono pienamente d’accordo!» assentì vuotando in un sorso mezzo boccale. «Credo che dovremmo farcene portare un botte, Ulfric» «Queste sono le parole più sagge che io abbia mai sentito!» «Prima che perdiate il lume della ragione nella birra» si intromise Alric, «penso che sia ora di discutere il da farsi». «Mi sembra chiaro no? Restiamo a godere dell’ospitalità di questa gente, al termine del tempo stabilito torniamo a prendere Nerea e proseguiamo verso l’Antico Regno!»

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«Abbassa la voce, Ulfric» avvertì Roigon. Per quanto possano essere cordiali è meglio non rinunciare alla prudenza. «C’è un altro problema che non è stato considerato» intervenne Alric con un sospiro. «Ossia?» «I bracciali!» Roigon abbassò lo sguardo sulle bende che aveva avvolto attorno al suo bracciale. Me n’ero quasi dimenticato! «Beh, non abbiamo certo intenzione di tradire alcun segreto, e dato che non vogliamo lasciare indietro Nerea non dovremo temere vendette, o sbaglio?» fece notare con un sogghigno. «Non si tratta di questo. Ci hanno mentito sul potere dei bracciali». «Come fai a dirlo?» domandò il Lupo, pensieroso. «La prima cosa che ho fatto dopo che Balkan mi ha nominato mago Anziano è stata informarmi su come togliere quel maledetto bracciale: mi sono sempre sentito a disagio sapendo che qualcuno avrebbe potuto uccidermi con un pensiero. Bahelzar mi ha anche spiegato che il potere del bracciale non è quello che ci viene raccontato essere: la creazione di un manufatto che si attivi in risposta a un’intenzione esula dalle capacità di qualunque mago vivente». «Vuoi dire che anche se spifferassimo tutto non succederebbe niente?» domandò Roigon, allibito. «Esattamente» sorrise Alric. «Ma considera la questione da questo punto di vista: l’avresti fatto senza cercare di toglierti il bracciale?» «No, ovviamente» ammise Roigon. «È qui che sta la maestria dell’inganno: il bracciale è una magia trappola. Se si cerca di influenzarla in qualsiasi modo o di rimuovere il bracciale scatta, uccidendoti all’istante». Geniale… semplicemente geniale. «Ma non è tutto» riprese Alric. «Si dice che l’Antico abbia creato un manufatto in grado di rivelare la posizione di ogni bracciale al mago Anziano a cui è legato, e di inviare una sorta di segnale d’allarme, che comprende l’ultimo luogo in cui si è trovato, se dovesse scattare». «La conoscenza è potere» mormorò Ulfric. «Il bracciale serve quindi a controllare la lealtà dei maghi giovani, in molti più modi di quello che credevamo» constatò Arelia. «Fatto sta che dobbiamo liberarci dei bracciali, o sapranno che non siamo morti!» fece notare. «Esattamente. Il tuo è legato a Nerea, quindi potremmo anche rischiare, ma quelli di Ulfric e Arelia non lo sono. Fortunatamente, Bahelzar mi ha insegnato a rimuoverli». «Credevo che solo il mago a cui è legato il bracciale fosse in grado!» obiettò Ulfric. Alric sospirò. «È più difficile, ma è fattibile da un qualsiasi mago Anziano. Mi sono esercitato a mettere e rimuovere il mio e con ancora qualche giorno di pratica penso di essere in grado. Il problema è che se io rimuovo i vostri bracciali questi invieranno un allarme come se foste morti. Anche per questo di solito è il mago a cui il bracciale è legato che lo rimuove». «Ma non è proprio quello che vogliamo?» domandò Arelia. Roigon scosse la testa. «Se togliamo i bracciali qui sapranno che siamo morti a Dera, non al Bosco Imbiancato».

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XVI Un silenzio meditabondo calò sul gruppo. È un rischio che non vale la pena correre, non quando la soluzione è così semplice. «Proseguiamo fino alle propaggini del Bosco e togliamoli lì» propose. «Il viaggio non è stato tranquillo neanche in questa prima, piccola parte» gli fece notare Alric accennando al braccio fasciato. «Scusate signori, ecco la vostra cena» annunciò il locandiere, gioviale, depositando i piatti che teneva in equilibrio sulle braccia. «Gradireste altra birra?» «Ma certo! Portatecene una botticella, risparmierete diversi viaggi» garantì Ulfric con un sogghigno. «Arriva subito» assentì l’omino scomparendo nuovamente fra i tavoli. «Ho pensato anche un’altra cosa» ammise Roigon. «Quello che hai scritto a Nerea riguardo all’artefatto potrebbe essere vero: se si venisse a combattere, potrebbe essere decisivo». «Ma noi non abbiamo intenzione di combattere» gli ricordò tranquillamente Alric. Roigon sospirò. «E se diventassimo davvero gli Ultimi Rinnegati? Credi che l’Ordine non ci troverà, prima o poi?» «Spero di no. Risulteremmo morti a tutti gli effetti, ma non posso negare che sono sempre stati dei segugi formidabili». «Dopotutto, uno per uno hanno trovato anche tutti quei maghi che, come Farlan, si limitavano a studiare la magia senza interferire nelle vicende di Areldon» fece notare Arelia. «Va bene, l’artefatto potrebbe servirci» concesse Alric. «Ma non è detto: non sappiamo nemmeno cosa sia. E, in ogni caso, Balkan ci ha mandati a morire: è una missione che supera le nostre capacità». «Io non ne sono più così sicuro» ribatté Roigon. «Non conosco il nuovo Antico, ma da quel poco che ho visto del vecchio, se fosse stato lui avrebbe cercato di trarre il maggior guadagno dalla situazione. Ci avrebbe allontanati immediatamente per impedire che parlassimo, e ci avrebbe affidato un incarico esattamente come questo: se fallissimo si sarebbe sbarazzato di noi e non avrebbe rischiato altri maghi, in caso contrario avrebbe ottenuto un artefatto di valore inestimabile e potrebbe sempre eliminarci senza sforzo. Magari ci avrebbe raggiunto sulla via del ritorno grazie al bracciale». L’allegro locandiere depositò una botticella sul tavolo. «È la mia birra migliore, penso che voi, più di altri, saprete apprezzarla». «Senz’altro» garantì Roigon. «Io penso che Roigon abbia ragione» esclamò lentamente il Lupo. «Quello che dici ha un senso» assentì Alric. «Propongo di recarci al Bosco Imbiancato e valutare la situazione. Se saremo cauti non dovremmo correre rischi, e alla peggio potremo sempre tornare indietro». «Il Bosco Imbiancato? Siete pazzi!». Roigon si voltò a osservare l’uomo che aveva gridato. Si ergeva alle spalle di Alric con gli occhi sbarrati, pulendosi distrattamente le mani unte nella camicia a quadri. Gli schiamazzi nella locanda si ridussero immediatamente a un mormorio sommesso e gli sguardi degli altri avventori si puntarono su di loro. Maledizione! Che diavolo vuole? «Dite… stranieri» sputò la parola come fosse un insulto. «Non sarete mica dei maghi, vero?»

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Il mormorio soffuso gelò in un silenzio si tomba. Roigon si erse a sua volta. «Voi insultate il nobile Alric Tindell con le vostre parole e le vostre maniere da zotico!» «Roigon, va tutto bene» lo tranquillizzò Alric levando una mano con l’aria compita che si addice a un nobile. «Il mio servitore è baldo quando si tratta di difendere l’onore del suo signore» spiegò voltandosi lentamente. «Ma non ve n’è motivo, non è vero? Non intendevate offendere, eravate solo spaventato». Alric? Cosa diavolo stai dicendo? La barba brizzolata dell’uomo si scosse mentre arricciava le labbra in una smorfia. «Spaventato? Se dovessi trovarmi di fronte a un mago gli caverei le budella col mio coltello così in fretta che non avrebbe neanche il tempo di aprire la bocca!» sbraitò sputacchiando sul tavolo e puntando contro Alric un lungo coltello intaccato dall’usura. «Cosa diavolo stai facendo, Jorah?» sbottò il locandiere comparendo dalla cucina. «Questi stranieri sono diretti al Bosco Imbiancato! Puzzano di magia!» Roigon vide Ulfric tirare indietro il braccio con cui teneva l’ascia senza farsi vedere. Ulfric è veloce ma la lama del coltello è vicina alla gola di Alric. «Non mi interessa dove sono diretti, non mi interessa se sono stranieri, fattucchieri o anche maghi! Sono ospiti che non hanno fatto niente per meritarsi il nostro astio, e finché non daranno fastidio a nessuno e pagheranno per quello che consumano, tu non hai nessun diritto di importunarli. E adesso metti via quel coltello!» Notevole… mi chiedo se davvero sarebbe disposto a ospitare dei maghi nella sua locanda, non sarebbe da tutti! «È stato stregato!» sbraitò l’uomo chiamato Jorah. Questa farsa sta diventando tanto ridicola quanto pericolosa. Lanciò una fuggevole occhiata ad Arelia e si accorse di quello che la maga stava per fare. No! Si protese per coprirle la bocca ma non fece in tempo ad allungare la mano. «Dialma vhas!» scandì protendendo la mano destra col palmo aperto verso l’uomo che minacciava Alric. Jorah si sollevò in aria e volò attraverso la stanza fino a schiantarsi due tavoli più oltre, abbattendo un considerevole numero di boccali. Roigon sospirò preparandosi a combattere e salì sul tavolo per avere una visuale migliore della stanza. «Fermo, e butta il pugnale» ingiunse una voce decisa. Jorah si voltò lentamente a fissare la moglie del locandiere che impugnava una grossa balestra puntata al suo petto. Che donna… «Siete tutti stregati da quella strega!» urlò l’uomo lanciandosi in avanti col pugnale proteso. «Meli…» uno scatto risuonò nella sala e l’uomo tramazzò a terra prima che Roigon potesse completare l’incantesimo. «Portate via questo disgraziato» ordinò il locandiere con un profondo cipiglio mentre la moglie ricaricava la balestra. «Se qualcun altro ha qualcosa contro questi stranieri, quella è la porta». I paesani si scambiarono qualche occhiata e un gruppo di quattro uomini con camicie simili a quella di Jorah trascinò il corpo fuori dalla locanda.

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Roigon tese l’orecchio per cercare di carpire i commenti mormorati che non sarebbero mancati. Non voglio trovarmi un pugnale in gola questa notte. Con sua grande sorpresa, per la maggior parte gli avventori tornarono semplicemente ai loro discorsi. Alcuni mormorarono che Jorah era uno stupido e che gli stranieri non avevano fatto nulla, molto convennero che era bene tenerli d’occhio finché non se ne fossero andati da Dera. In un villaggio normale il semplice sospetto che non fossimo dei semplici fattucchieri ci sarebbe costato l’astio generale. «Scusate per Jorah» si scusò il locandiere con aria sincera. «Come compenso per il fastidio causatovi, la locanda offre la cena». «Assolutamente no» ribatté Roigon. «Non avete colpa per quanto è successo, e avete fatto quanto era in vostro potere per difenderci. Pagarvi la cena e due camere per la notte sarebbe il minimo…». «Morn» si affrettò a completare il locandiere. «Se la mettete su questo piano temo che dovrò accettare» sorrise. Ulfric gettò sul tavolo un sacchetto di cuoio che produsse un sonoro tintinnio. Morn gettò un rapido sguardo al contenuto e inarcò le sopracciglia. «la cena non costa così tanto» protestò. «Questo è quello che merita di essere pagata» tagliò corto il Lupo e Roigon si domandò quante monete d’acciaio ci fossero in quella sacca. Almeno dieci o quindici volte il prezzo che ci avrebbe fatto un locandiere tirchio, sospettò. Morn hai fatto conquiste! Consideralo un risarcimento per quello che farò con tua moglie. La vampa di desiderio che gli si accese nel petto al pensiero, tuttavia, non fu intensa come si aspettava. Un po’ mi rincresce fargli questo, ammise. Questo cosa? Se sua moglie ci starà l’avrebbe tradito comunque! Cosa diavolo mi prende? «Allora, volete spiegarmi cos’è il Bosco Imbiancato?» domandò Arelia, e Roigon si accorse che il locandiere se n’era andato. Gettò un’occhiata ad Alric e il suo vecchio amico annuì. «La leggenda vuole che un mago dei tempi antichi stesse scappando da giorni dai persecutori. Il suo rango è controverso: alcuni dicono fosse del quarto, altri addirittura del sesto. In ogni caso, il mago venne raggiunto dagli inseguitori e diede battaglia. Quando risultò chiaro che stesse per soccombere intessé un incantesimo potentissimo che sottrasse tutto il calore nel raggio di diverse ore di cammino. L’incantesimo permane tutt’ora, a distanza di secoli, e si dice che nel Bosco Imbiancato faccia così freddo che tutto, compresi gli alberi, sia perennemente coperto da uno strato di brina». «Quindi è tutto qui? È dal freddo che dovremmo guardarci?» indagò Arelia, scettica. «Non ne ho idea» ammise Alric. «So solo che si dice che nessuno sia mai tornato dopo essersi inoltrato nel Bosco Imbiancato». Perfetto. Non poteva sperare in un’occasione migliore: Morn era andato a letto mentre la moglie terminava di sistemare la cucina. Bussò con delicatezza alla porta di legno. «Sì?» gli rispose la voce delicata e stupita della donna. «Scusate il disturbo» si introdusse accostando il battente alle sue spalle. «Volevo ringraziarvi per quanto avete fatto oggi. Non dev’essere stato facile»

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La questione lo incuriosiva sinceramente: aveva ucciso a sangue freddo un suo compaesano per proteggere uno straniero, forse un mago. La donna abbozzò un tiepido sorriso che si riflesse nei suoi occhi. «Non preoccupatevi. Ho fatto ciò che era necessario: ho protetto degli innocenti e garantito la giustizia sotto il mio tetto». Chi sono io per tentare di sedurre una donna simile? Si sorprese a domandarsi. «E se fossimo davvero dai maghi?» le domandò a sorpresa. «Questo comporta forse qualcosa di sbagliato?» ribatté la moglie del locandiere. Questa conversazione è l’esatto contrario di ciò a cui mi sono abituato! Io mi accuso e lei mi difende… «Mi è stato insegnato a giudicare ogni individuo per quello che vale» aggiunse. «Avete ragione, ma è strano sentirsi dire ciò che ormai si ha perso la speranza di poter far capire alla gente» sospirò Roigon. «Dunque è vero: siete un mago» ridacchiò la donna, divertita. Roigon si rese conto della sua implicita ammissione. Maledizione… «Dovrete essere più abile di così se volete estorcermi una confessione» la schernì. Ad esempio potreste provare a spogliarvi, pensò, ma per qualche strana ragione non si sentì in pace con sé stesso all’idea. Dovrei dirlo ad alta voce, incantarla e farla finita! «Sembrate combattuto. Se ve lo state domandando il vostro segreto è al sicuro con me, pensavo l’aveste capito». «No, no! Scusate, temo di essere semplicemente stanco per le fatiche del viaggio» ammise. «Siete sposati da molto?» «Quasi due anni. E la locanda è avviata bene…» Almeno fino a questa sera! «Non credete che quello che è successo possa darvi problemi?» La donna scosse la testa. «Dera è un villaggio tollerante. Le braci si stanno raffreddando, ma negli animi dei suoi abitanti covano ancora le fiamme pronte a divampare di mercenari, fattucchieri che hanno dovuto rinunciare ai propri poteri, maghi banditi dall’Ordine…» Roigon raccapricciò. Così è vero… bloccano i poteri dei maghi che non giudicano degni! Era una delle peggiori torture che riuscisse a immaginare. «… insomma, non è il tipo di gente che si fa troppi problemi» concluse la donna. «Esiste da molto?» «Dera? Un paio di generazioni… si dice sia nata dal rifugio di una compagnia di mercenari, che scavarono la prima grotta nella parete di roccia del cratere. Tra loro vi era un nano piuttosto abile, che ebbe l’idea di sfruttare i tronchi cavi come lucernari e bocche d’areazione». E così avrebbero potuto udire quanto avveniva all’esterno… Si rese conto che le sue intenzioni iniziali erano completamente sfumate. «Scusate, è meglio che torni nella mia stanza» troncò la conversazione, adirato con sé stesso. Uscì dalla cucina e scese le scale contando le porte. Aprì e richiuse il battente dietro di sé e si sdraiò accanto ad Arelia, destandola. «Già finito?» lo canzonò la maga, ma Roigon si limito a balzare sopra di lei e la prese con rabbia, senza nemmeno chiedersi perché d’un tratto gli fosse comparsa davanti agli occhi un’immagine di Nerea.

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XVII Roigon si alzò lentamente. Non ricordava di essere finito a terra. Il suo sguardo percorse la tenebra che lo circondava senza che riuscisse a capire dove si trovasse. Che posto è questo? Quasi in risposta alla sua domanda il profilo scuro di pini altissimi comparve nell’oscurità, insieme a un senso di pericolo incombente. Perché sono da solo? Una bagliore bianco lampeggiò tra gli alberi. Credette di esserselo immaginato, ma lo scorcio di bianco ricomparve, più vicino e più a sinistra. Qualcosa si muove… La donna vestita di bianco uscì dal bosco correndo, inciampò, rovinò a terra e si rialzò arrancando disperatamente. Roigon ammirò i capelli chiarissimi dai riflessi biondi e caldi nonostante non ci fosse luce. Perché scappa? Forse ha bisogno di aiuto. Si mosse per intercettarla quando un ringhio bestiale risuonò dal bosco, esattamente da dove era emersa la donna. Una creatura lupesca emerse dagli alberi balzando sul terreno molto più velocemente di quanto un qualsiasi animale avrebbe potuto fare. Roigon osservò, raggelato, la massa di tenebra condensata nella forma della creatura, il cui corpo era cosparso di occhi dalla pupilla verticale. Occhi gialli che fissavano tutt’intorno con aria malevola. Il lupo lanciò un ululato acuto e riprese l’inseguimento, divorando il terreno con una velocità impressionante. Devo salvarla! Si mise a correre più veloce che poteva cercando di intercettare la donna. Forse ce la faccio. Il terreno sconnesso non lo favoriva particolarmente, e dovette più volte rallentare a causa delle pietre nere e taglienti di cui era cosparso. Si guardò alle spalle e vide che il lupo, per quanto veloce, era ancora piuttosto lontano. Raggiunse la donna mentre crollava a terra, piangendo disperatamente. Un lungo taglio le rigava una guancia come una lacrima di sangue. «Signorina, vi sentite bene? Presto, su per quella china!» la istruì afferrandola per un braccio a aiutandola ad alzarsi. Un ululato risuonò alle loro spalle, vicinissimo. Roigon si affrettò insieme alla sua protetta e raggiuse la china scoscesa, cominciando a inerpicarsi. «Prendete la mia mano, avanti» si offerse. La donna esitò un istante, poi afferrò la sua mano e prese ad arrampicarsi con lui. A Roigon parve di udire il lupo avvicinarsi alle loro spalle, ma si rifiutò di guardarsi indietro. «Ci siamo quasi!» Il pianoro si aprì davanti a lui. Con un ultimo sforzo issò quasi di peso la donna e la depositò delicatamente sul terreno roccioso. «Non vi preoccupate, siamo al sicuro qui» cercò di tranquillizzarla. Il lupo non dovrebbe essere in grado di arrampicarsi. Si sporse oltre il bordo e cercò la belva, ma il lupo era molto più lontano di quanto si sarebbe aspettato. I singhiozzi della donna si placarono. «Grazie, mi avete salvata» sussurrò. E forse voi saprete ricompensarmi a dovere. La strinse a sé delicatamente, e la donna gli si rannicchiò addosso. Una mezz’elfa, notò.

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Con un movimento deliberatamente lento, cominciò ad allentare uno dei lacci che chiudevano l’abito in corrispondenza del seno proporzionato della donna. «Che cosa fate?» lo interruppe con aria indignata la fanciulla. «Siamo sperduti in mezzo al nulla e braccati da una strana bestia… dobbiamo godere di quello che abbiamo finché l’abbiamo, non trovate?» domandò sfoggiando un sorriso triste che reputò adatto alla situazione. «Ma cosa dite?» lo redarguì la donna. «Non potete, voi siete impegnato!» Io sono cosa? «Siete impegnato!» ripeté lasciandolo costernato: non si era reso conto di aver parlato ad alta voce. Roigon scosse la testa vigorosamente. «Vi sbagliate» garantì. «Ne sono sicura. Voi tradite voi stesso ogni volta che lo negate, con le parole o coi fatti». Il rinnegato non riuscì a spiccare parola di fronte a tali assurdità. E perché poi mi sconvolgono tanto? «Perché sapete, dentro di voi, che è la verità. E comunque anch’io sono impegnata» aggiunse la donna rialzandosi. Roigon udì un breve ringhio alle sue spalle e si voltò di scatto. Il lupo si ergeva sulla cima della china, alto quanto un uomo. La sua forma di tenebra era irta di rostri simili ad artigli e sul muso, sul torso e sulle zampe rosseggiavano fauci spalancate. Di fronte al suo sguardo allibito la belva si contorse e si rizzò sulle zampe posteriori, la forma di tenebra mutò e assunse l’aspetto di un uomo dai tratti bestiali sul cui ventre biancheggiavano le zanne snudate delle molte fauci del lupo. L’uomo deforme balzò oltre Roigon e si avventò sulla donna prima che avesse anche solo il tempo di pensare, atterrò alle spalle della fanciulla e la cinse in un abbraccio. I rostri che spuntavano come artigli dal corpo di tenebra aprirono tanti piccoli squarci nella pelle delicata della donna, traendone sottili rivoletti vermigli. Che diavolo… Tutti gli occhi della belva, quelli sule braccia e sulle gambe, sulle spalle e sul viso, si puntarono su di lui. Sono io la sua preda, ora, capì senza ombra di dubbio. Cominciò a correre all’indietro e si ricordò troppo tardi del declivio, ma quando si voltò davanti a lui si stendeva una liscia pianura costellata di pietre nere e taglienti. Azzardò un’occhiata alle proprie spalle e vide l’uomo mostruoso allungarsi in una catena di occhi, fauci e artigli uniti solo dalla tenebra, per poi riprendere la forma di lupo. Si mise a correre alla massima velocità consentitagli dalle gambe, cercando al contempo di evitare le pietre infide che avrebbero potuto farlo cadere, condannandolo a un destino che non osava immaginare. Si voltò un’altra volta e vide la forma del lupo ribollire, altre teste spuntare e altri arti unirsi a quella corsa folle spingendo la belva ancora più velocemente. La distanza tra predatore e preda dimezzò. Roigon si voltò di nuovo in avanti e cercò di correre più in fretta nonostante avesse le gambe in fiamme, e in quel momento il suo piede urtò contro una pietra e avvertì il suo peso spostarsi, la sua stessa spinta trascinarlo al suolo da cui sapeva non si sarebbe più rialzato.

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Aprì gli occhi di scatto e si ritrovò a fissare la tenebra irta di stelle del cielo notturno, accompagnata da una sgradevole sensazione di bagnato. Si accorse di essere zuppo di sudore. Un incubo, nient’altro che un incubo, cercò di tranquillizzarsi. Non aveva mai fatto un sogno così vivido. «C’è qualcosa che non va?» domandò Arelia destandosi accanto a lui. Non sono impegnato con nessuna donna! Si ripeté fermamente. Le rivolse un sorriso malizioso e Arelia aprì le gambe, attirandolo a sé. Mentre scivolava nel piacere, le parole della donna del sogno riecheggiarono nella sua testa. “Voi tradite voi stesso ogni volta che lo negate, con le parole o coi fatti”. «Il Bosco Imbiancato» mormorò Ulfric, fermandosi. Davanti alla massiccia sagoma del guerriero Roigon poté vedere gli alberi levarsi bianchi dal terreno gelato. «Fa freddo» fece notare Arelia. Anche per essere inverno, la temperatura pareva essersi abbassata durante l’ultima ora. «Per prima cosa vestiamoci, poi liberiamoci dei bracciali» propose. Meglio disfarsene finché le cose sono tranquille. Alric annuì e depositò le bisacce accanto a un albero morto. Roigon estrasse il mantello nero bordato di pelliccia di lammen e se lo drappeggiò sulle spalle, coprendolo poi col mantello da viaggio che aveva indossato fino a quel momento. «Quante cose hai fatto bordare con la pelliccia di quei cosi?» si informò Alric dibattendosi nella tunica di lana che non sembrava voler collaborare. «Gli stivali che indosso, la tunica e il mantello. Ho sempre odiato avere l’orlo del mantello inzaccherato» spiegò. «Siamo pronti» annunciò Arelia porgendo il braccio ad Alric. Il mago annuì e pose una mano sul bracciale, chiudendo gli occhi. «Mirievalì». Con un piccolo scatto la fascia di legno scuro coperta di rune d’argento precipitò al suolo. Alric gli fece un cenno e Roigon porse il bracciale. Un piccolo errore e sarò morto stecchito… si fidava davvero di Alric? Ma certo! E comunque non mi pare di avere molta scelta… «Mirievalì». Il bracciale scattò e Roigon lo afferrò al volo prima che cadesse. Attese trepidante che il suo vecchio amico ripetesse l’operazione su Ulfric e finalmente si concesse un sospiro di sollievo. «Ottimo lavoro» si complimentò sinceramente. Alric si chinò a raccogliere i due bracciali caduti e tese la mano verso Roigon. «Vorrei tenerlo». Il mago annuì. «Bada di non chiudertelo per sbaglio attorno a un braccio» lo avvertì. «Non sarebbe legato ad alcun mago Anziano, ma conserverebbe le sue proprietà di magia trappola». Buono a sapersi… chissà che non mi possa tornare utile, un giorno. «Quando ce ne saremo andati da questo posto mi insegnerai a toglierlo» annuì. Volse lo sguardo a incrociare quello di Ulfric e lo spinse ancora più in là, fin dove il terreno cominciava a biancheggiare di brina e l’aria si condensava in una nebbia gelata. «Andiamo».

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Il Bosco Imbiancato teneva fede al suo nome: dopo appena pochi passi ogni altro colore sbiadiva fino a scomparire senza lasciar traccia. Perfino il cielo era sbiancato dalla rada nebbiolina che aleggiava nell’aria. Ovunque spingesse lo sguardo, per quanto la caligine lo permettesse, Roigon non riusciva a distinguere altro che alberi imbiancati dal gelo. Sfregò le mani l’una con l’altra per cercare di scacciare quel freddo tagliente e crudele, come se si fossero trovati nel pieno di una tormenta sulla cima dei monti. O almeno, il vecchio Farlan ha sempre detto che non c’è nulla di più freddo di una tormenta sulle cime delle Zankrhat… solo che manca il rumore. Nessun uccellino cinguettava, nessuno scoiattolo squittiva, nessun ramo o cespuglio frusciava scosso dalla brezza o da qualche piccolo animale: pareva che nulla osasse rompere il silenzio che gli scricchiolii dei loro passi osavano dissacrare. Parlare gli sarebbe parso una profanazione, e sospettò che anche gli altri la pensassero come lui. Sarà un lunga giornata, sospirò fra sé. «Fermo» lo mise in guardia Ulfric con un sussurro. Era la prima parola che Roigon udiva da quando, quella mattina, si erano inoltrati nel Bosco. Si fermò a metà di un passo e dardeggiò un’occhiata fra gli alberi, riportando indietro il piede con cui stava per avanzare. «Cosa c’è?» si costrinse a chiedere nonostante parlare gli sembrasse così innaturale, dopo tutto quel silenzio. «Qualcosa ci osserva» mormorò il mercenario guardandosi intorno. Istinto, capì. Non per niente lo chiamano il Lupo. Gli parve di scorgere un movimento tra gli alberi bianchi che si stagliavano davanti a lui e le parole di un incantesimo di paralisi si formarono chiare nella sua mente. Chiamò a sé la magia, si immerse nel suo flusso in attesa che qualunque cosa li minacciasse si palesasse. Il dolore gli esplose nel braccio prima ancora che potesse realizzare che qualcosa di bianco era scattato fuori dalla caligine, avventandosi su di lui. Non appena ritrovò l’equilibrio il bosco era tornato immoto e silenzioso. Abbassò lo sguardo sul braccio e intravide la carne attraverso due piccoli squarci nel mantello. Stranamente il sangue tardava a traboccare dai fori. «A destra!» avvertì Ulfric e Roigon si girò in tempo per osservare, raggelato, una sagoma di tenebra coperta di occhi e fauci che si lanciava su di lui. «Melitha…» cominciò, ma il freddo e l’agitazione gli fecero tremare le dita e sbagliò un gesto. La magia si contorse dentro di lui e si abbatté al suolo come una frustata, lasciandogli le braccia indolenzite. L’ascia di Ulfric intercettò la belva d’ombra a mezz’aria un attimo prima che lo colpisse e la scagliò tra gli alberi. Che diavolo… avrebbe giurato di aver visto un braccio pallido, femminile, spuntare dal corpo dell’uomo mostruoso. Un braccio identico a quello della donna de mio sogno. Arelia lanciò un gridolino e Roigon si volse di scatto, cogliendo con la coda dell’occhio qualcosa di bianco che sfrecciava via. «Mi ha morso una mano» si lamentò la maga. Tornò a scrutare tra gli alberi bianchi cercando di sciogliere il nodo d’ansia che gli si era formato nel petto. Dov’è andato? «Hei, ma che diavolo succede?» protestò la voce allarmata di Alric.

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Si volse a sinistra e si trovò a fissare sé stesso, completamente nudo, che avanzava tra gli alberi tendendo una mano ad Arelia. «Non è reale!» avvertì, ma la maga non si mosse. «Arkar vurand rosh, margor’rand» Un Alric peloso e ringhiante balzò a intercettare il suo doppio nudo e lo colpì al volto, mandandolo a ruzzolare tra gli alberi, illeso. Roigon vide che le dita del suo vecchio amico si erano allungate in artigli, ma il suo doppione non presentava nessun graffio. «Non è totalmente materiale» confermò Alric, ringhiando. «Muori!» urlò Ulfric alle sue spalle facendolo sobbalzare. Si chinò alla cieca e si volse mentre l’ascia del mercenario affondava nella creatura d’ombra. Le fauci della belva si contrassero, gli occhi gialli rotearono follemente e ammiccarono più volte ma il mostro si rifiutò di stramazzare al suolo e tornò ad ergersi sulle gambe, una umana e femminile, l’altra di tenebra condensata. Di fronte allo sguardo stupito di Roigon la creatura si contrasse e prese a rimpicciolire, lanciandosi su di lui con furia inaspettata. «Tirla lenma vhas, dial!» risuonò la voce di Arelia. Roigon avvertì il flusso magico sfiorarlo e abbattersi sul mostro, strappandolo dalla terra gelata e schiantandolo contro due alberelli gelati. Il legno cedette con uno schiocco e la creatura del suo incubo atterrò pesantemente sullo strato di brina che ricopriva ogni cosa. «L’altro?» domandò senza staccare lo sguardo dalla belva che rimpiccioliva lentamente. «È scappato, per ora» rispose Alric accostandoglisi. «Che diavolo sono?» «Non lo so, ma questo sembra uscito dal mio incubo della scorsa notte». «Incubi degni del guerriero più efferato» si complimentò Ulfric. «È strano» commentò Arelia lentamente, «anche l’altro sembra uscito dal mio sogno della scorsa notte» ammise. Non ti basta quando sono sveglio? Pensò Roigon divertito. «Guardate, sta mutando forma» avvertì Alric riportando la sua attenzione sulla creatura. Roigon si ritrovò a fissare una specie di grosso scoiattolo dagli occhi rossi e brillanti che si scuoteva lentamente cercando di rialzarsi. Rabbrividì al suono che la coda uncinata, bianca come il resto del corpo della creatura, provocava raspando sulla brina. «Fiarel» sentenziò Ulfric facendo avvampare la magia sul palmo della propria mano e scagliandola sulla creatura, consegnandola al suo ardente destino.