LUIGI VEROLINO · poco incline ad avere atteggiamenti spontanei, cercava sempre il controllo...

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LUIGI VEROLINO

GRECO DI TUFO

il Quartiere edizioni

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Postfazione Giorgio Mancini

Progetto grafico Antonio Picardi

Il disegno della copertina è stato liberamente ispirato daun’opera dell’artista Maurizio Bonolis, a cui va il mio piùsentito ringraziamento.

Associazione il Quartiere ponticelliCentro di studi storico-sociali e di attività culturali

80147 Napoli - Via Argine 831

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Dopo ogni tramontoc’è un’alba che aspetta

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“Bene. Prima o poi doveva succedere. È una ragazzagiovane e tu ormai hai imbroccato la discesa. Perchéte la prendi tanto? L’hai resa felice, smettila di lamen-tarti”, mi disse dallo specchio il tipo che mi somi-gliava come una goccia d’acqua.“Io non mi lamento. So perdere, ma non sopporto laslealtà”, replicai mentre dividevamo la stessa cremada barba.“Stronzo!”, ribatté lui. Guardai l’orologio. Erano le nove del mattino, m’in-filai sotto la doccia e rimasi per un bel pezzo sottoun getto d’acqua fredda. Successe al bar della biblioteca. Tutti i tavoli eranooccupati e lei mi disse: “Buongiorno professore, possosedermi per un caffé”. Aveva una pila di libri cheposò a terra, ordinò un espresso e un bicchiere d’ac-qua, prese uno dei volumi e cominciò a segnarefrasi con un pennarello. Io continuavo a leggere il giornale.

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All’improvviso m’interruppe chiedendomi se erofelice. Ci sono donne che sanno comunicarti sensazionicon uno sguardo o con una domanda.Tre anni con lei. Poi… un bip... un messaggio sul cellulare: “Vulcanoè un’isola bellissima. Non mi aspettare. Mi dispiace hoconosciuto un uomo che mi ha fatto vedere il mondo inmaniera diversa. Ti voglio bene ma credo di essermiinnamorata di lui. Resterò ancora una settimana, alrientro parleremo di tutto. Un bacio”.

REGOLA NUMERO UNO: comprare 3 birre e allonta-narsi a cercare il posto giusto.

La testa mi scoppiava. La BMW mangiava chilometrida più di un’ora. Mi fermai. Il fiume scorreva placido.“Calmati. Ci sono tante donne come lei. Bevi labirra”, mi consigliò il tipo nello specchietto retro-visore dell’auto. Gli diedi retta, anche se non mipiaceva quando parlava come un oracolo. Scesi sulla riva.Non so quanto tempo passò. Ma passò.“Non ti capisco”, riprese tremolante il tipo riflessonell’acqua. “Non mi seccare!”, risposi. “Hai battuto il record mondiale delle stronzate”, con-tinuò il mio doppio.“Lo so. Ma l’amavo”, risposi.

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Bip! Messaggio… “Rispondimi per favore. Ho biso-gno di parlare con te. Non so cosa mi stia succedendo,ma ho bisogno di te. Non odiarmi. Ti amo, ma non socosa mi stia succedendo”.Guardai l’acqua. Il tipo mi fissava: “Chiam…” stava per dirmi.Lanciai il cellulare e mille cerchi s’inseguirono.

REGOLA NUMERO DUE: dopo ogni tramonto c’èun’alba che aspetta.

Ravello 18 aprile 2001

Con queste parole Nicola descrisse nei suoiappunti la fine del suo grande amore, adattandoe saccheggiando il Diario di un killer sentimen-tale di Sepùlveda che, come lui, spesso parlavacon il suo doppio.Era certamente in grado di descrivere a modosuo gli avvenimenti della propria vita ma, pen-sava che era giusto appropriarsi del magistraleuso che i grandi scrittori fanno della “parola”. E,poi, questo, gli dava anche il senso dell’univer-salità degli eventi: ciò che era accaduto a lui eragià accaduto ad altri.Era dall’età di 15 anni che continuava a scriveredi sé, non c’era un vero motivo, ma questo glidava la convinzione di tener sotto controllo la

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sua esistenza e soprattutto la percezione delloscorrere del tempo, una vera e propria paranoia. Mentre inseriva con cura il foglio nella cartelli-na, un colpo di tosse provocò un brusco movi-mento del braccio, l’enorme faldone cadde sultappeto.I fogli invasero la stanza appena illuminata.Un’imprecazione tuonò nell’aria, poi il silen-zio. Tutta la sua esistenza ai suoi piedi.Guardò fisso a terra, era troppo stanco per ordi-narli, decise di andare a dormire, rimandandoall’indomani la sistemazione degli appunti. Quella mattina il sole filtrava a fatica attraversola finestra, creando un’atmosfera soffusa, solopochi raggi passavano indisturbati tra le tende,uno illuminava la vecchia zuccheriera d’argentoche, quasi come un dispetto, allungava la suaombra sul pavimento creando strane forme ina-nimate.Il grande studio era arredato con sobrietà, lepareti, su tre lati erano ricoperte di scaffali inmogano che sopportavano il peso della “cultu-ra”, circa 900 volumi di ogni epoca: classici,storia, letteratura, filosofia, toponomastica escienze.

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Nicola amava i libri, non solo per il piacere dellalettura ma per quel modo tutto loro di trasmet-tere la loro età. Pagine ingiallite, incisioni fatte amano, copertine fregiate d’oro: un godimentodella vista e del tatto.A suo modo, era un bibliofilo.

Li interrogo e mi rispondono i miei amati libri.Alcuni mi portano il riso sulle labbra o la consola-zione nel cuore. Altri mi insegnano a conoscere mestesso e mi ricordano che i giorni corrono veloci e chela vita fugge via...

Quest’annotazione di Petrarca era in bellamostra sulla biblioteca. Un divano di stoffa vel-lutata color giallo oro, insieme ad una poltronamessa in un angolo, completavano l’arredamen-to della stanza. Il computer era adagiato su uno scrittoio anticocon borchie brunite.Viveva da solo, in fitto, in questa vecchia casa invia S. Chiara, vista mare, a Ravello.Si era trasferito da Ponticelli, un quartiere dellaperiferia orientale di Napoli, aveva vinto il con-corso per la cattedra di Filosofia all’Università diSalerno ed erano ormai 13 anni che viveva inquel posto.

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Per tutti era il “Che Guevara napoletano” perquell’incredibile somiglianza con il guerrigliero,o, forse, solo per quel basco nero che tenevasulla testa. Quarantacinque anni ben portati.A proposito di questo appellativo, Nicola rite-neva che era giunto il momento per la “Sinistra”di iniziare un’approfondita riflessione critica suquesto personaggio che tanto aveva fatto sogna-re i giovani della sua epoca. Era, forse, il bisogno inconsapevole di un esamedella sua esistenza?Da quando viveva in questa splendida cittadina,decise di dare un nome anche al suo doppio: loavrebbe chiamato “Fidel”.Davvero originale!Le ferie di Pasqua erano quasi terminate e lui,previdente, già da alcuni giorni aveva decisodi mettere la sveglia alle 7.00, così si sarebbeabituato gradualmente al quotidiano risvegliodelle 6.00.Il caffé era pronto e lui, come al solito, si portònello studio per sorseggiarlo comodamente sullapoltrona.“Merd…” gli scappò, quasi inciampando suifogli abbandonati sul tappeto.

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Si era dimenticato dell’ “incidente notturno”. Si sedette. Raccolse un foglio – Napoli 12 novembre 1978 –era la data dell’appunto, iniziò a leggere:

“Ciao”, esordì uno sconosciuto riflesso nello spec-chio che mi somigliava come una goccia d’acqua.“Chi sei?”, risposi indispettito.“Ti vedo preoccupato e teso, non temere, andrà tuttoper il meglio. Vedrai, lei è simpatica e poi con quelcorpo che si ritrova”, replicò.“È che mi sento strano, insicuro. Non riesco a capi-re come comportarmi…”.“Non puoi sempre prevedere e organizzare il tuocomportamento, lasciati andare, sei giovane”, m’in-terruppe.Così si presentò per la prima volta il mio sosia.

Aveva ragione Fidel, Nicola era, fin da ragazzo,poco incline ad avere atteggiamenti spontanei,cercava sempre il controllo anticipato dellasituazione.Eppure era brillante, intelligente e sapeva cavar-sela in ogni circostanza, ma eternamente insicu-ro delle sue capacità.Da quel momento Fidel non lo avrebbe piùlasciato.

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Sarebbe apparso come un riflesso, come un’om-bra o all’improvviso, nella sua mente, ma sem-pre al momento giusto. Gli appunti erano stati sistemati con cura nelfaldone, alcuni, presi a caso, erano stati mes-si da parte con il proposito di rileggerli asera.

*

“Buongiorno professore!”, esclamò il giornalaioseduto davanti all’edicola.“Buongiorno Franco, sono pronti i giornali?”,rispose Nicola in modo svogliato.Il “Che” era solito acquistare più quotidiani,lasciando però all’edicolante gli inserti che divolta in volta uscivano allegati. Non gli piacevano, non tanto per il contenutoquanto per il loro peso. Sembrerà strano ma è proprio così. Unica eccezione il giovedì: ‘I Viaggi’ de “laRepubblica”.“Ecco, tutto pronto professore”.Accennando un sorriso, salutò con un lievemovimento della mano e stancamente si avviòper la piazzetta.

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La giornata era luminosa e calda, i vicoli eranoaffollati di turisti che camminando lungo i muridelle case cercavano ombra. Un lungo serpente giallo di cappellini si accal-cava all’ingresso di Villa Rufolo.Ancora pochi passi ed eccolo seduto al suotavolo.L’osteria “la Vigna” era sobria ma elegante e“zia Luisa” lo accoglieva sempre con un sor-riso.Era in là con gli anni ma lo sguardo tradivaun’antica bellezza. Non si era mai sposata. Cucinava bene. Il suo segreto?Peperoncino rosso in ogni pietanza.Nella sala, già invasa dal profumo di sauté divongole, c’erano altri tavoli liberi, solo in unangolo un giovane dalla carnagione bruna eraintento a sbirciare una guida turistica.Le pale del ventilatore gonfiavano le pagine delgiornale.“Oggi risotto alla pescatora. Il tuo piatto preferito,Nicola”.Da quando, la prima volta, era entrato in quellocale, il giovane professore era stato come adot-tato da “zia Luisa”, la cuoca-proprietaria.

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Era sempre così silenzioso, minuto nel suoaspetto. Lo coccolava come un figlio. “Va bene, zì’ Luisì!”.Mentre degustava l’ultimo sorso di “Greco diTufo” si accorse dell’insistenza dello sguardo diquel giovane bruno. Quasi infastidito, volse lo sguardo alla porta: ilserpente giallo scendeva per il vicolo perdendosquame. Uscì con il fascio di giornali sotto il braccio e siavviò verso casa. Per qualche minuto si fermò adosservare il mare. Lo scalone di pietra lavica era giunto alla fine,ancora pochi passi e si sarebbe abbandonatonella sua poltrona.La porta è aperta, nemmeno il tempo di entrareed il telefono squillò. Una breve esitazione, poi.“Sono Luca, come stai? Da diversi giorni cerco dirintracciarti, perché non ti sei fatto più sentire? Per-ché non rispondi al telefono? Dove sei stato?…”.“Tutto bene Luca, a presto”, riattaccò.Il telefono era posto sul tavolino a tre gambevicino alla finestra. Sbirciando, incrociò la sago-ma del giovane bruno seduto di fronte alla casa.Chi era? Da dove veniva? Cosa voleva?

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Con queste domande nella testa, si lasciò anda-re sulla poltrona.Prese tra le mani “City” di Baricco, il suo auto-re preferito.Era da un po’ che cercava di ultimarne la lettu-ra ma, anche questa volta, un sonno improvvisolo vinse. Il “Greco di Tufo” aveva fatto effetto. Passarono pochi minuti e l’immagine di lei eralì, presente, viva, con lui. Si svegliò. Fidel, riflesso deforme della zuccheriera, loguardò muto, gli scrutò l’animo, poi:

“Il tempo è l’unica cura possibile.

Vedrai… è successo a tutti…poi ti alzi un giorno e non ci pensi più.Dimenticherai… ti dimenticherai di lei.

Solo che non va proprio così.No!… non va proprio così!

Certe volte capita che… appena prima di dormire,senti il suo ricordo che bussa dentro.

L’eco… l’eco dei suoi occhi t’illumina.

No! Il tempo non cura l’impossibile”.

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“Non rompere, sparisci… La dimenticherò!”,gridò stizzito Nicola.“Bastava richiamare… e lei…”.Un rumore sordo, metallico, interruppe il dia-logo. La zuccheriera d’argento era riversa in terra, sultappeto.Quando veniva colto da questo stato di frustra-zione, il “Che”, era solito recuperare nei ricordiuna battuta, una frase o un’immagine che loportasse lontano da quel suo malessere. “Vietato l’ingresso ai ragni e ai Visigoti”. Ripeté,accennando un amaro sorriso.Benigni lo avrebbe aiutato.Ma subito un’altra esclamazione gli apparvenella testa: “Buongiorno Principessa!”. L’incon-scio lo aveva beffato, anche lui la chiamava così.Con difficoltà si alzò dalla poltrona e s’avviòverso la finestra, pochi passi incerti e il fastidiosocampanello della porta gli rimbombò nella testa. Chi sarà a quest’ora? Un venditore di enciclo-pedie?E già preparava la scusa per mandarlo via. Aperto l’uscio di casa, con gran stupore si accor-se che nessuno gli offriva depliants o gadgetsomaggio.

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Era il postino. Un telegramma: Domani al caffé Gambrinus ore19.00. Firmato il Gruppo della Ginestra.Era dai tempi dell’Università che non si riuniva-no più. Perché dopo tanti anni quest’incontro?Assalito dai ricordi, si avvicinò agli scaffali dellalibreria e prese i suoi appunti. Iniziò freneticamente a sfogliarli: - 15 settembre1980 - 12 aprile 1982 - 13 dicembre 1982 - 31luglio 1983 - e, finalmente, - 3 gennaio 1984.Ultima riunione del Gruppo della Ginestra.La frequenza delle lezioni di “Storia” aveva por-tato il “Che” a stringere amicizia con altri dueragazzi laureandi: Sergio e Andrea e con dueragazze: Monica e Lucia.Il gruppo dei cinque aveva in comunela passione per le vicende della “RepubblicaNapoletana del 1799” ed il Greco di Tufo.Secondo tutti gli adepti, questo importanteperiodo storico di Napoli e del Mezzogiornod’Italia non era stato valorizzato come meritava,tant’è che proprio Nicola era sostenitore del-l’ipotesi secondo la quale quella Rivoluzionedoveva considerarsi come il primo vero atto delRisorgimento italiano.

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Questa tesi, oggi, è condivisa da diversi studiosima nel gruppo di allora accolse l’approvazionedella sola Monica. Per quanto riguarda l’ottimo vino campano, ilGreco di Tufo, all’epoca non era noto né costosocome oggi, e solo pochi ne apprezzavano il carat-teristico profumo che ricorda la pesca e la man-dorla amara ed il gusto vellutato appena frizzante.

Vina probantur odore, sapore, nitore, colore;Si bona vina cupis;

haec quinque probantur in illis;Fortia, formosa, fragrantia, frigida, frisca.

(Fanno palese il vin: odore, sapore, limpidezza,colore. Se il buon vin conoscer brami, cinque cose eiti richiami: sia formoso, sia fragrante, forte sia, fre-sco e frizzante.)

Questo aforisma dell’antica Scuola MedicaSalernitana divenne il motto del Gruppo. Tutto nacque alla mensa dell’Università, tra una“penna all’arrabbiata” ed una birra.Il vino non era all’altezza.La proposta di formare un gruppo di studio conl’obbligo del Greco di Tufo durante le pause, fuaccolta all’unanimità.

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Il suo nome sarebbe stato: il Gruppo dellaGinestra. Questa indicazione fu data proprio da Nicolache aveva letto di un “Caffé della Ginestra” aPonticelli, suo quartiere natio, che durante ilregime fascista era luogo d’incontro degli antifa-scisti perseguitati. L’idea piacque.Negli anni che seguirono non mancaronomomenti di scontro e di accesa discussione mali legava una grandissima amicizia, condivideva-no tutto: le ansie, le preoccupazioni ed i mo-menti di allegria.L’amore nacque tra Andrea e Monica. Si sposa-rono. Il loro matrimonio fu l’ultima occasione d’in-contro, 1987.C’è esitazione nella mano che strige il foglio,imbarazzo. Erano passati 14 anni.Si sedette, iniziò a leggere.

Napoli 3 gennaio 1984.

Presiede Nicola, tutti i membri sono presenti. All’ordine del giorno lo scioglimento del gruppo.Nicola: “Bene oggi è l’ultimo atto. Possiamo esseresoddisfatti del lavoro svolto. La nostra pubblicazio-

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ne ha avuto ottime recensioni e un buon successo divendite. È stato bello aver avuto la possibilità dicondividere con voi questi anni che ci hanno vistomaturare insieme e tutti con l’obbiettivo della Lau-rea raggiunto. Vi voglio bene e mi mancherete. Vivail Greco di Tufo!”.Ci abbracciamo. Un brindisi.Qualche lacrima riga i volti, non solo femminili.Andrea: “Facciamo tutti una promessa solenne.Ognuno, inevitabilmente, prenderà strade diverse,avrà la sua vita, ma se uno di noi avrà bisogno delGruppo della Ginestra, tutti saremo pronti a dar-gli una mano. Sempre!… Per sempre!”.

Nicola non ricordava questo impegno e rimasemeravigliato della sua mancanza di memoria. Incambio, convenne con se stesso, che quella suafissazione di prendere appunti lo aveva questavolta aiutato a capire in anticipo di cosa si potes-se trattare.Già!Ma chi del gruppo era in difficoltà? Perché?Cosa era successo?Così la soddisfazione di aver percepito in antici-po il contenuto di quell’appuntamento si tra-mutò ben presto in inquietudine.Era proprio turbato.

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Una ricerca affannosa nella mente per la frasegiusta ed ecco Vincenzo Cuoco che gli viene inaiuto con la chiusura del “Saggio Storico sullaRivoluzione di Napoli del 1799”.

La memoria del passato deve essere per ogni uomo,che non odia la patria e se stesso, il più forte stimo-lo per amare il presente.

Sarà stato che questa frase era poco inerente allasituazione o sarà stato che l’appuntamento gliera passato dalla mente, comunque, il “Che” sirasserenò.

*

Per molti la bellezza di Napoli è soprattuttodovuta ai mille colori forti ed alla luce accecan-te che occupa l’animo del visitatore nelle gior-nate di sole, per Nicola, invece, non c’eramiglior modo di apprezzare la sua città che visi-tarla all’imbrunire di un giorno primaverile.E lui era lì, in anticipo, in piazza San Ferdinan-do angolo via Chiaia, al Caffé Gambrinus.Naturalmente, pensò, per noi napoletani l’ap-puntamento è d’obbligo al tavolino di un caffé.

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Erano le 18.30, si tolse il basco nero e si acco-modò ad un tavolo nella sala interna.Sembrava di essere in un’altra epoca: gli affre-schi, gli stucchi, le cornici degli specchi in orozecchino. Mentre ammirava la fantasiosa Piedigrotta diVincenzo Irolli dipinta sul muro, l’aroma delcaffé occupò le narici e di rimando gli venne inmente.

…bevanda più graditaa ristoro della vita

l’uomo mai non inventò.

Di chi era questa citazione? Di Vincenzo Corrado, dell’avvocato Nicola Val-letta o di Ulisse Prota-Giurleo? Proprio non ricordava.“Ciao Nicola”, disse una signora dal vestito gial-lo che si avvicinava al suo tavolino.“Ciao…”, rispose cercando di capire chi fosse:Monica o Lucia.“Sono Lucia”, aggiunse subito quella signoraintuendo l’imbarazzo.Il “Che” aveva ragione, era cambiata, Lucia. Corti capelli color del rame avevano preso ilposto di lunghi capelli neri, il viso ed il corpo

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una volta minuti, ora erano ingombrati da unamassa indefinita di grasso.Nicola ebbe quasi un senso di fastidio versoquella donna che aveva preso il posto della suaamica. E pensare che a quei tempi ne era innamorato.Ma non glielo disse mai. Il sorriso era il suo. Era Lucia.Si alzò. L’abbracciò.“Non sei cambiato, è bello rivederti. Sei tu che cihai invitato?”.Non ebbe il tempo di replicare. Una coppia dalpasso lesto si avvicinò al tavolino: erano Andreae Monica.Nemmeno loro erano cambiati. Solo qualcheruga segnava il viso. Sembravano felici.Dopo un abbraccio, si sedettero tutti. Per qualche istante il silenzio comandò, si inter-rogavano con gli sguardi.“Cosa gradite?”, interruppe una giovane came-riera con un notes in mano.“Aspettiamo un altro amico, tra poco faremo l’or-dinazione”, disse Lucia.Quando un gruppo di vecchi compagni s’in-contra dopo molto tempo, succede spesso,almeno inizialmente, che nel raccontarsi e nel

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parlare di ciò che nel frattempo è accaduto,si esageri.Si esagera nel descrivere le proprie responsabi-lità lavorative, si esagera nel descrivere le pro-prie vacanze, si esagera nel descrivere le propriepassioni. Perché succede? Forse nessuno vuole sentirsi in una situazioned’imbarazzo rispetto agli altri. Poi basta unosguardo, una parola appena accennata, un ve-lato rossore delle guance e si comprende laverità. La vita non sempre dà ciò che ti aspetti.Pensando queste cose il “Che” si rabbuiò.

Tutte le bocce di cristallo che avrai rotto erano solovita… non sono quelli gli errori… quella è vita… ela vita vera è proprio quella che si spacca, quella vitasu cento che alla fine si spacca… io questo l’ho capi-to, che il mondo è pieno di gente che gira con intasca le sue piccole biglie di vetro… le sue piccole tri-sti biglie infrangibili… e allora tu non smetterlamai di soffiare nelle tue sfere di cristallo…

Baricco gli corse in aiuto.Questa frase era diventata il motto della suaesistenza.

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Pur non parlando dell’argomento, tutti avevanointuito che il problema era Sergio. Nel Gruppo della Ginestra era quello più scan-zonato, amante del computer e sempre prontoalla battuta. Era capace di inventarsi le storie piùfantastiche arricchendole di particolari nei gior-ni che seguivano. Solo quando era convinto che tutti gli avevanocreduto, si presentava con la bottiglia di Grecodi Tufo e un sorriso.Amava la filosofia orientale e spesso sfidavaNicola in dotte considerazioni sulle materie piùsvariate.Tentava sempre di dimostrarsi il migliore. Invano.Soffriva la leadership del “Che”. Intanto, i racconti degli amici si susseguivano esi intrecciavano attraversando l’aria.“Scusate il ritardo, come va?”.Sergio era arrivato trascinando una sedia vicinoal tavolino.Era cambiato, il tempo aveva scavato profondisolchi sul viso e i capelli erano solo un pallidoricordo. Vestiva in modo raffinato ed al polsoportava un Cartier.“Grazie per essere venuti. Vi trovo tutti in splendi-da forma.”, continuò mentendo spudoratamente.

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Tre caffé, un Martini bianco e una granita dilimone fu l’ordinazione.Era irrequieto, nervoso, guardava a scatti intor-no a sé, come se temesse qualcosa. Aveva gli occhi arrossati, come se non avessedormito da molti giorni, e il sudore gli stazio-nava sull’ampia fronte malgrado i continui ten-tativi di asciugarsi con fazzoletti di carta. “Ho bisogno d’aiuto, il Gruppo della Ginestra deveaiutarmi. Siete gli unici amici che ho. Sono in unguaio serio”, disse.Sergio, da sempre appassionato di informatica,aveva trovato un buon impiego presso la Eco-Electronic, una ditta all’avanguardia per lacostruzione di componenti miniaturizzate e cheriforniva di programmi per computer sia ilnostro Ministero della Difesa che la NATO.Era un dirigente, discreto stipendio ma insuf-ficiente per la vita da libertino che lui condu-ceva. “Single” per scelta e, secondo il suo racconto,non si faceva mancare nulla: vestiti firmati, autosportive, giovani donne e viaggi. La sua ultima vacanza in Egitto era terminata dapochi giorni.Tutti, intanto, ascoltavano in religioso silenzio.

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Il suo stipendio era praticamente ridotto all’os-so per pignoramenti presso terzi che gli aveva-no notificato alcuni creditori e la sua stessaBanca. Era sul lastrico. Aveva anche pensato al suicidio.A questo punto, quasi con stizza, interven-ne Monica: “Come hai potuto pensare ad unastronzata del genere! Vedrai risolveremo noi ilproblema”.Gli altri annuirono, solo Nicola stette immobi-le, osservava con attenzione Sergio per carpirgliuna contraddizione del racconto o una contra-zione del viso per smascherarlo.Era tutta una messinscena? Doveva scoprirlo.Intanto il racconto proseguiva.Circa due mesi fa, precisamente il 12 febbraio,fu invitato, insieme ad alcuni suoi colleghi delladitta, a partecipare ad uno “stage” internaziona-le di aziende informatiche che si teneva a Luga-no, in Svizzera. Viaggio pagato. Ci andò.Questi convegni si articolano soprattutto in riu-nioni estenuanti e se il tuo interprete giappone-se non è all’altezza: una vera tragedia!Il meglio di questi incontri è, di solito, costitui-to dai momenti di pausa: pranzo e cena con pie-tanze internazionali.

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Sergio ordinò una “bistecca alla Tartara” dalmenu francese.Dopo pochi minuti un elegante cameriere sipresentò con un carrello e vari vassoi. Poggiò sultavolo una serie di salse variopinte e condimen-ti vari, poi, gli porse un piatto con della carnecruda macinata.Sergio lo guardò interdetto.Il cameriere prese un uovo e rompendolo loversò sulla carne. Una vera schifezza!Mentre stava per ordinare di riportarsi tuttoindietro, si avvicinò un giovane uomo-Armaniin blu.“Posso disturbare?”, disse in un italiano che tra-diva un accento francese.“Sono l’ingegner Benson della E.F., Electronic-France”, aggiunse sedendosi.Non ebbe il tempo di rispondere. L’uomo in blu aveva già ordinato un piatto ditagliatelle al ragù, imitato con un cenno dellatesta da Sergio.Il francese, avendo visto portar via intatta la“bistecca alla Tartara”, iniziò ben presto una pia-cevole disquisizione sulle usanze dei Tartari cheessendo un popolo nomade, era solito mangiarecarne cruda triturata sulle selle dei loro cavalli.

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Le prospettive della “New Economy” fu l’altroargomento trattato.“Ecco a voi il caffé macchiato, tre Aperol e la sfo-gliata riccia”, disse la giovane cameriera delGambrinus portando su un vassoio la secondaordinazione ed interrompendo per un istante illungo racconto.L’ingegnere Benson era un ottimo conversatoree la cena proseguiva piacevolmente, finché, nelbel mezzo di una discussione sull’effettivaimportanza di quei convegni, inaspettatamente,disse: “La Repubblica Napoletana è indubbia-mente una gloriosa pagina della storia d’Italia”.“Ma…”, tentò di replicare Sergio.“Penso”, continuò l’uomo in blu, “che il Greco diTufo sia uno dei migliori vini del panorama eno-logico italiano e che vada bevuto sempre in com-pagnia di una giovane donna”.Come faceva quello sconosciuto a conosceretanti particolari della sua vita, pensò Sergio.“L’azienda nella quale lavora ha ideato un pro-gramma di controllo del traffico aereo che rivolu-zionerà il mercato, noi vorremmo averne unacopia, siamo disposti a pagare molto… molto. Perlei sarebbe facile aiutarci, risolvendo così tutti isuoi problemi econom…”.

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Il francese non riuscì a finire la frase.Sergio si alzò di scatto, indignato, lasciò l’uomo-Armani solo al tavolo. Intanto il “Che” continuava ad ascoltare conattenzione, poi all’improvviso, una luce si acce-se nella sua testa, lo aveva smascherato, pensò. Si alzò e prese il polso dell’amico.“E questo? Sì l’orologio… il Cartier. Costa ventimilioni. Come lo spieghi?”, tuonò.“Questa volta hai esagerato…” tentò di conti-nuare.“È falso! Una patacca! Guarda tu stesso”, risposeoffeso l’amico.Andrea guardò l’orologio e annuì, la stessa cosafece Lucia.Il “Che” non si mosse.“Sono amareggiato… Voi, i miei migliori amici…Non mi credete”, disse Sergio tenendosi la testatra le mani. Lunghi attimi di silenzio. “Sono le 21.40. Si è fatto tardi. I miei figlimi aspettano. Rivediamoci. Tutti.”, disse Monica.“Va bene, ma al più presto. Non c’è molto tempo.E tu, Nicola, se non mi credi non venire”, replicòSergio.Ancora attimi di silenzio.

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“Ci vediamo sabato, tutti a casa mia, a Ravello”,disse il “Che” alzandosi. Si salutarono. Sergio si avvicinò e lo abbracciò.Poi si allontanò. Tutti sapevano che Nicola era indispensabile alGruppo della Ginestra, allora come oggi. Lucia ed il “Che”, uscendo, decisero di andare acenare insieme. L’iniziale avversione verso quella donna corpu-lenta, nel corso della serata, si era trasformata inun convinto apprezzamento, riconoscendo inpieno la sua vecchia amica. “Brandi - Antica Pizzeria della Regina d’Italia”,indicava un’insegna all’inizio di via Chiaia. Era il posto giusto.Il luogo dove, alla fine dell’800, era nata la pizzaMargherita: pomodoro e mozzarella. Sostaobbligata per Matilde Serao che la mangiavafredda il giorno dopo e di tanti altri illustriamanti di tale pietanza.Il locale non era affollato e i due amici si sedet-tero ad un tavolo vicino alla finestra, sul murodiverse foto, anche quella di Bill Clinton chemangia la pizza. “Cosa pensi di questa storia? Cosa vorrà Sergio danoi?”, iniziò Lucia.

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“Non so, non ho capito… Mi dispiace per ciò cheè accaduto”, disse Nicola fissandola negli occhi. “Dai, mangiamo”, rispose l’amica.Stranamente l’argomento “Sergio” non fu piùtrattato, si limitarono a parlare di vecchi esamiuniversitari e delle giornate passate nella polve-re dell’Archivio di Stato.“A sabato”, furono le ultime parole di Lucia.“A sabato”, rispose Nicola.

*

Non riusciva a prendere sonno, quella sera, il“Che”.Ritornava con la mente al racconto. A quel rac-conto. E la sua “Principessa” appariva ad inter-valli fissi. Uno… due… tre… quattro… cinque… sei…,neanche le pecorelle avevano effetto.Accese la luce e si alzò. Andò in cucina per unatisana. Non era nervoso, turbato sì.Alcuni hanno un grande sogno nella vita e man-cano a quel sogno. Altri non hanno nella vita nes-sun sogno, e mancano anche a quel sogno, sussurròil mio doppio che aveva due occhiaie da farpaura.

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“A quest’ora ci voleva solo una citazione diPessoa”, rispose Nicola.La mattinata del venerdì, fu interamente dedi-cata allo studio ed alla preparazione di alcunelezioni universitarie, anche se spesso gli eranovenuti in mente alcuni momenti del racconto diSergio.Nel tardo pomeriggio, dopo il solito pranzo da“zia Luisa”, si sedette al computer e si accorseche sotto il fermacarte d’avorio c’erano ancoraquei vecchi appunti messi da parte alcuni giorniprima.Era indeciso se accendere il monitor o mettersia leggere.Un’insistente bussata del campanello sciolseogni dubbio sul da farsi.“Ciao Nicola”, disse Sergio entrando rapida-mente in casa.“Ma l’appuntamento non era per domani?”,rispose il “Che”.“Sì, ma ho urgente bisogno di parlarti.”, replicòl’amico.“Sono in pericolo. Tu sei l’unico che può aiutar-mi. Non dormo da tre giorni, sono distrut-to”, continuò, sedendosi pesantemente sul di-vano.

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E senza che Nicola avesse il tempo di pronun-ciare parola, riprese ansimante il racconto delGambrinus.Dopo essersi allontanato dal tavolo, lasciandosolo l’ing. Benson, Sergio andò nella sua came-ra interrogandosi sul come uscire da quellaimbarazzante situazione.Ma poi, che significava quel “…siamo disposti apagare molto… molto”.Molto quanto?Non riuscendo a riposare, scese nella hall del-l’albergo e si avviò al bar per un caffé.“Cinque miliardi di lire. Se lei è in grado di pro-curarsi il programma, mi chiami a questo nume-ro”, disse, sbucando alle sue spalle l’uomo-Armani porgendogli un biglietto da visita.Cinque miliardi.Resistette una settimana.Chiamò.L’ingegnere francese lo invitò ad una cena con“importanti dirigenti” della sua società.“Ho una doppia vita. Sono un agente speciale delcontrospionaggio. Penso di aver messo le mani suqualcosa di grosso, di terribile. La mia vita è inpericolo”, disse all’improvviso Sergio, interrom-pendo il racconto.

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Nicola non batté ciglio, ancora non aveva deci-so se credergli, anche se sembrava sincero. “Devi credermi”, continuò, interpretando lostato d’animo dell’amico.Sergio andò a quella cena. Intorno al tavolo erano in cinque. Tutti uomini.L’uomo in blu quella sera portava un vestito gri-gio scuro, naturalmente Armani.L’accordo sulle modalità della consegna fu pre-sto raggiunto; anche l’anticipo già pattuito pertelefono fu consegnato.Ma qualcosa non andava, nell’aria Sergio fiuta-va una strana atmosfera. Capì che quelli nonerano veri “importanti dirigenti” di un’azienda epoi c’era quell’ing. Alexander, così gli era statopresentato, che spesso gli sorrideva in modostrano.Era di origini tunisine o marocchine, insommaaveva tratti africani, sempre con una rispostaspiritosa pronta. I suoi occhi lasciavano trasparire una grandevivacità intellettuale. Era simpatico. Unico difetto: fumava Gauloises.La cena finì. Si salutarono.Le successive giornate di Sergio passarono tralaceranti dubbi: doveva rinunciare all’incarico o

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doveva accettare i cinque miliardi, doveva agireda solo consegnando un programma fasullo odoveva avvisare il controspionaggio.La sera del terzo giorno prese la decisione:avrebbe rinunciato a quell’incombenza. Al diavolo i debiti!Lui non si faceva corrompere.Si mise al telefono e comunicò all’ing. Bensondi considerare l’accordo saltato e che quell’ac-conto versato sarebbe stato restituito. “Ho fame. Cosa hai dai mangiare?”, disse Sergiointerrompendo il suo racconto.“Ho poco o nulla. Possiamo farci degli spaghetticon aglio, olio e peperoncino”, rispose Nicola.“Va bene, è da tempo che non li mangio”.Mentre il “Che” si allontanò per iniziare la pre-parazione della pietanza, l’amico in pochi istan-ti si addormentò sul divano.La mente umana è un labirinto pieno di trap-pole. Basta poco per perdere la strada.Sergio dopo essersi laureato, aveva attraversatoperiodi di grande difficoltà che avevano devasta-to la sua personalità. L’orgoglio, il maledetto orgoglio non gli avevapermesso di chiedere aiuto ai suoi amici. In breve tempo aveva perso i suoi genitori.

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Era passato dall’alcool alle droghe, poi, per dueanni era andato a vivere in Tibet, senza mai piùritrovare se stesso.Al ritorno il lavoro alla Eco-Electronic e, per lasua grande esperienza nelle materie informati-che, ben presto fu contattato dal controspionag-gio italiano ed arruolato part-time. Sapeva che Nicola era un uomo che aveva otte-nuto successo nella professione, aveva una certaposizione economica ed aveva una splendidaragazza al suo fianco. Era un uomo felice. Lui.Non si sa quale diabolico meccanismo dellamente lo portò ad individuare nell’amico l’obiet-tivo della sua vendetta verso la vita. Invidia? Il passo tra l’invidia e l’odio è breve.Sergio odiava Nicola. Ma questo il “Che” non lo sapeva.Quando gli spaghetti erano quasi pronti peressere colati, Nicola fece soffriggere due spicchid’aglio in olio extravergine d’oliva e dopo circatre minuti aggiunse del peperoncino.Uno scoppiettio accolse il rosso intruso.Il sole visitava stanco la cucina.“Cosa ne pensi?”, disse la sua ombra spezzata dallavello.

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“Non lo so. È agitato, visibilmente preoccupato.Una storia inverosimile, da film giallo. Alternamomenti di pacatezza ad altri di forte agitazio-ne. È cambiato, Sergio, non solo nell’aspetto”,rispose.“È un tuo amico”, riprese l’ombra, “Avrà passatomomenti difficili”.“Già”, replicò Nicola spostandosi. Fidel scomparve.“C’è un profumino davvero invitante”, disse Ser-gio appoggiato alla porta della cucina.Si era già svegliato.“E c’è anche il nostro Greco di Tufo”, continuòsedendosi. La presenza di quel vino sulla tavola era, perNicola, un segnale preciso, un chiaro tentativodi scusarsi per il “Cartier del Gambrinus”. Gli spaghetti erano davvero buoni.Piccanti al punto giusto. Il Greco di Tufo accompagnava quella pietanzain “carrozza”.Durante la cena il racconto di Sergio proseguì. Il giorno dopo la telefonata all’ing. Benson, Ser-gio ricevette un messaggio dall’ing. Alexanderche gli dava appuntamento quella sera al bardella Stazione Centrale.

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Aveva urgenza di ritirare quell’acconto.L’incontro fu breve. Sergio restituì i soldi.Prima di andare via l’ingegnere, furtivamente,gli consegnò un biglietto: “Hanno scoperto chisei, la tua vita è in grave pericolo. Lascia lacittà”.In breve tempo si trasferì in un posto sicuro eattivò tutti i suoi canali informativi per capire acosa miravano quelle persone. Il racconto continuò con la descrizione di diver-si incontri, pedinamenti e viaggi.Era inciampato in qualcosa di grosso.La verità era ad un passo. Stava per scoprirel’inimmaginabile. “Sono in pericolo di morte. Mi controllano. Hoscoperto una cosa terribile, mostruosa. Domaninon potrò esserci all’appuntamento con il Grup-po della Ginestra.”, disse Sergio con foga.“Rivolgiti ai tuoi superiori, alla Poliz...”, cercò direplicare il “Che”.“Impossibile. Io non posso. L’unico che può salvar-mi sei tu, per Allah!”, lo interruppe avviandosiverso le scale.“Prendi questo”, terminò, dando all’amico unfoglio azzurro ripiegato.Si allontanò ridendo istericamente.

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Nicola era frastornato, si sedette nella poltronae lesse il biglietto.

Il giorno che finì donna rivoluzione, verrà.Dal cielo scenderà infuocata l’idea che

l’homo del castello dei conti Guidi partorì.Per baciar Romolo e Remo nella novella arancia

che rosa diventò a 40 anni. Giungendo al fin dove c’è il nome di

chi finì quando Partenope iniziò.

Lesse ancora una volta. Che significava? Un vero enigma.Stette per qualche minuto immobile, fissando laporta d’ingresso. Un turbine di parole lo avevasopraffatto. Era stanco. Ci si può stancare anche ascoltando.Andò a dormire e nel breve viaggio che lo sepa-rava dal letto decise che non avrebbe annullatol’incontro con il Gruppo della Ginestra.Voleva incontrarli. Soprattutto Lucia.Quel sabato mattina il “Che” si svegliò di buonora. Il solito caffè e uno sguardo ai notiziari intelevisione.Prese il foglio azzurro, non se n’era certo dimen-ticato, e lo lesse nuovamente con attenzione.

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Lo ripiegò con cura e lo mise sulla scrivania.Malgrado fosse intento a preparare alcunelezioni universitarie, la mattinata passò concontinui interrogativi su alcuni passaggi del-l’enigma.Romolo e Remo? L’idea infuocata? Chi finìquando Partenope iniziò?Anche la sua “Principessa” si fece viva. Il ricordo di quel gelato alla fragola. La suapaura delle lucertole. I suoi occhiali da sole. Ilsuo sorriso.Guardò l’orologio.Mancava ancora un po’ per andare a pranzo da“zia Luisa”. Decise di leggere uno dei suoi appunti messi daparte. Questo lo avrebbe distratto da quelle continueapparizioni, pensò.

Cercola, 3 marzo 1991

È da qualche tempo che sento forte la presenza diDio in me.Non sono un credente ma nemmeno un ateo. Non ho fede, la cerco.“Chi sei?”, dissi.

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“Sono Dio”, rispose.“Non è possibile”.“Sì che lo è. Cosa vuoi sapere?”.“C’è vita sugli altri pianeti? E perché ne hai fattitanti?”.“Pensa a goderti il cielo stellato”.“Le cose che accadono sulla Terra…”.“Accadono. Non guardare me”.“L’uomo, il suo futuro?”.“Faccio il tifo per voi”.Questa è l’idea di Dio che mi accompagna e milascia di continuo.Da alcuni giorni uno strano bisogno di confessar-mi mi travolgeva. Una vera tortura.La fede era arrivata?Ho bisogno di parlare con un esperto: un prete.Era sull’imbrunire, entrai nella piccola chiesa diCercola. Il parroco era in sagrestia, stava per uscire.“Ho bisogno di confessarmi!”, dissi.“Proprio ora figliolo? Torna domani. Vado difretta”.“Ho bisogno di confessarmi!”, ripetei.“Domani, figliolo, domani”, replicò il vecchioprete accompagnandomi alla porta.Non sono un credente, ma nemmeno un ateo. Non ho fede, la cerco ancora.

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Erano passati gli anni ed il “Che” continuava lasua ricerca.“È un po’ di tempo che ti vedo triste, Nicola. Cos’èsuccesso? Ti senti bene?”, chiese “zia Luisa” men-tre gli serviva un piatto di pasta e patate.“È davvero buona. È azzeccosa come piace a me”,disse il professore cercando di non risponderealla domanda. “Ti ha lasciato, vero?”, continuò la donna gua-dandolo con gli occhi lucidi.“Sì!”, fu l’ultima risposta di Nicola.È strano come le donne riescano sempre a leg-gerti dentro. Senza permesso. Quasi con arro-ganza.Mentre usciva dall’osteria “zì Luisì” si avvicinò econ dolcezza gli sfiorò il viso con una carezza. “Tornerà”, disse e andò via senza voltarsi.Nicola, dopo essere rientrato a casa, si mise alavorare al computer in attesa del Gruppo dellaGinestra. Arrivarono prima Monica e Andrea, poi Lucia.Il “Che” spiegò loro ciò che gli era stato raccon-tato da Sergio il giorno prima e mostrò ilbiglietto azzurro con l’enigma.Tutti erano incuriositi ma nessuno ne capiva ilcontenuto.

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Il giorno che finì donna rivoluzione, verrà.Dal cielo scenderà infuocata l’idea che

l’homo del castello dei conti Guidi partorì.Per baciar Romolo e Remo nella novella arancia

che rosa diventò a 40 anni.Giungendo al fin dove c’è il nome di

chi finì quando Partenope iniziò.

“È uno scherzo dei suoi”, disse Andrea.“No, Sergio è in pericolo e noi dobbiamo aiutar-lo”, aggiunse Lucia.“Sono d’accordo con Lucia. Era davvero preoccu-pato. Dobbiamo risolvere l’enigma”, replicòMonica.“Da dove iniziamo?”, ribadì Andrea.Il “Che” spiegò un vero e proprio piano d’azio-ne consegnando a tutti una copia dell’enigma.Ognuno avrebbe tentato da solo di trovare lasoluzione, poi, il sabato successivo, lì a Ravello,si sarebbe fatta una riunione collegiale per con-frontare i risultati.In caso di necessità ci si poteva consultare atelefono durante la settimana.Tutti furono d’accordo.“Gli uomini prima sentono senz’avvertire, dappoiavvertiscono con animo perturbato e commosso,

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finalmente riflettono con mente pura”, così scrisseGiambattista Vico nel 1725 e questo passò perla mente a Nicola. Che significava? Perché aveva ricordato questafrase del Vico?Era un inconscio ripensamento del racconto diSergio?Queste ed altre domande accompagnarono il“Che” mentre andava a cena con gli amici delGruppo della Ginestra, naturalmente da “ziaLuisa”.Insalata mista di mare. Zeppole di alghe. Alicimarinate. Polipetti affogati. Seppie imbottite ebruschette miste.Tutto accompagnato dall’immancabile Greco diTufo.Quando era giunto il turno delle linguine agliscampi, “zia Luisa” si avvicinò al tavolo accom-pagnata da due carabinieri.“Nicola, c’è il Tenente che ti cerca”, disse.“Buonasera professore, scusate l’intrusione. SergioAttardi era un suo amico?”, sparò il graduato.“Come ‘era’ un suo amico. Certo che è un mioamico”, rispose il “Che”. “Purtroppo c’è stato un incidente sulla Tangenzialedi Napoli, uno schianto sul guarde-rail all’uscita

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di Capodimonte. Il suo amico è morto carbonizza-to. Nell’auto abbiamo trovato solo una valigettacon alcuni documenti ed un appunto col suonumero di telefono… Mi dispiace”.I due carabinieri si allontanarono.Lucia scoppiò a piangere. Anche sul volto diMonica scendevano lacrime. Una tonnellata di tenebre entrò nell’osteria.Un incidente? Un assassinio? Oppure era unsuicidio.Tante domande affollarono la testa di Nicolache, più degli altri, sentiva il rimorso di avermesso in dubbio il racconto dell’amico.Il “Che” non frequentava, di solito, le chiese maquella domenica mattina entrò.Il tempio di Santa Chiara era a tre navate conun bellissimo pavimento in maiolica del ’700. Non c’era Messa.Pianse in silenzio.…

*

Quel lunedì la lezione iniziò puntuale alle 10.00. Non c’erano molti studenti all’Università.L’aula sembrava più grande del solito.

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“Come stai Nicola? Come sono andate le vacan-ze?”, disse Franco, un suo collega incrociato nelcorridoio.“Così”, rispose il “Che” alzando le spalle e pro-seguendo in direzione della biblioteca.Si sedette ad una scrivania vicino alla finestra, sitolse il basco nero, prese dalla tasca il bigliettoazzurro e lo poggiò sul piano in vetro.No. Non si era certo dimenticato dell’enigma.Iniziò a segnare su un pezzo di carta alcuni ter-mini di quello strano rebus:– donna rivoluzione– idea infuocata– conti Guidi– arancia che diventò rosa a 40 anni– chi finì quando Partenope iniziò.La prima indicazione è certamente una data,pensò. Una data che dovrà ancora arrivare.L’idea infuocata è in relazione con i contiGuidi.Si dovrà fare una ricerca araldica su questaCasata.Per la quarta annotazione bisognerà consultaredei libri di botanica, mentre una ripassata dellaStoria di Napoli dovrebbe far luce sull’ultimopunto.

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Nicola fece un elenco di volumi da consultare elo presentò alla bibliotecaria che li avrebbe pre-parati per il giorno dopo.Sarà difficile, ma ce la farò, pensò.Passarono alcuni giorni di fervida ricerca, conpochi risultati.Passi in avanti furono fatti solo per i “contiGuidi”, che appartenevano ad un’antica fami-glia palatina della Toscana e che ebbero vastipossedimenti anche in Romagna ed in Emilia.Le prime notizie relative ai Guidi risalivano alIX secolo.Il nucleo principale della famiglia si stabilì pro-prio in Toscana e nel giro di pochi anni riuscì adimporsi socialmente e politicamente, raggiun-gendo il massimo splendore tra l’XI ed il XIIsecolo.Dal 1255 al 1273 la potente famiglia alienòtutti i possedimenti che aveva a Firenze per tra-sferirsi in altre località toscane.Potevano, dunque, esistere molti castelli edifica-ti da questa nobile casata. Ancora troppo poche le notizie. Chi era “l’homo del castello dei conti Guidi”? Bisognava verificare ancora, approfondire, inda-gare.

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Il giorno dopo era il 25 Aprile, festa della Libe-razione. Nicola accese la televisione e quella mattina,tutti i telegiornali sottolineavano le varie mani-festazioni che si sarebbero tenute, facendo det-tagliate ricostruzioni storiche dell’evento.Ricordò con nostalgia a quando, proprio inquesta ricorrenza, a Ponticelli passava la bandamusicale per il Centro Storico ed un lungo cor-teo la seguiva per deporre le corone d’alloro sulmonumento ai caduti. Ricordò la gente che applaudiva dai balconi. Ricordò il vecchio partigiano, commosso, chepiangeva.E lui, Nicola, non mancava mai. Era lì, orgoglioso di appartenere a quel quartie-re che, nel 1943, aveva combattuto strada perstrada per cacciare gli occupanti nazisti. Era fiero del fatto che, nel cuore di quella nottedel 29 settembre 1943, Radio-Londra annun-ciava al mondo quei furiosi combattimenti:“Nel sobborgo di Ponticelli-Napoli la popolazionein armi sta combattendo casa per casa contro l’in-fame oppressore nazista”. Sì, era fiero ed era ancora legato al suo luogo dinascita.

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Ricordò il nero marciapiede dove, da ragazzo,giocava a pallone, dove per la prima volta presea pugni un amico e dove faceva la corte all’ir-raggiungibile e bellissima Maria. L’amava. Lei no.Un nero marciapiede dal quale si era allontana-to, forse per sempre.Il “Che” si alzò. Una doccia era quello che ci voleva. Gli piacevasentire l’acqua scorrere sul suo corpo. Una carezza.Spesso chiudeva l’acqua calda e sfidava se stessoa resistere il più a lungo possibile sotto il gettofreddo. Non c’era un vero motivo, ma lo faceva.Non di rado, di nascosto, camminava con gioiasenza ombrello sotto un acquazzone. Saltavanelle pozzanghere. Gli piaceva.Stette diverso tempo sotto la doccia.

Un tale mi venne a domandare:quante fragole crescono in mare?Io gli ho risposto di mia testa:quante sardine nella foresta.

“Ma cosa ti salta in mente?”, disse all’improvvisoFidel riflesso nello specchio.

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“Nulla. Pensavo all’enigma e mi sono ricordato diquesta filastrocca di Gianni Rodari”, rispose il“Che”.“Già, l’enigma di Sergio. Ma che cosa sarà lanovella arancia che rosa diventò a 40 anni?”,replicò il riflesso.“Non lo so, ma lo scoprirò”, terminò Nicola.Mentre ancora era intento ad asciugarsi, sentì iltelefono squillare.“Ciao sono Lucia, come stai?”.“Bene, e a te come vanno le cose?”, rispose.“Sto cercando di risolvere l’enigma del povero Ser-gio. Ho trovato qualcosa d’interessante ma ne vor-rei discutere con te”, aggiunse l’amica.“Vieni a pranzo da me, così ne parliamo. Anch’iosto tentando di capirci qualcosa”. Nell’attesa di Lucia, Nicola si mise a stirare.Aveva una catasta di panni che giaceva da diver-si giorni su una sedia.Ma le mutande si stirano?Lui non lo faceva.Erano circa le 11.30. L’amica arrivò.Portava un largo vestito nero che gli arrivava allecaviglie e al collo aveva una grossa collana diturchesi. Sembrava dimagrita, forse era il vestito.

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“Ho iniziato dalla prima parte dell’enigma, la data.Ho fatto un possibile elenco di eroiche figure femmi-nili di varie epoche che hanno determinato con laloro opera una rivoluzione in diversi campi”, esordìLucia porgendo l’elenco con le date di morte.Il “Che” lesse attentamente i nomi:Eva (…);Cleopatra (29 agosto 30 a.C.);Giovanna d’Arco (30 maggio 1431);Pimentel Fonseca Eleonora (20 agosto 1799);Pankhurst Emmeline (14 giugno 1928);Evita Peron (26 luglio 1952);Madre Teresa di Calcutta (5 settembre 1997). “È difficile comprendere quale tra questi personag-gi è quello indicato dall’enigma. Potremmo, però,andare per esclusione. Poiché si parla di “Quandofinì donna rivoluzione”, certamente dobbiamoorientarci su una data di morte che dovrà poi cor-rispondere ad un giorno che verrà prossimamente”,commentò Nicola.“Hai ragione. Facendo questo ragionamento resta-no solo cinque date”, disse l’amica.“Teniamo conto di queste indicazioni, ma non tra-scuriamo altre ipotesi. Approfondiamo, intanto, laparte centrale dell’enigma, quella relativa all’uomodel castello dei conti Guidi”, affermò il “Che”.

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“Ho fatto una ricerca su alcuni testi araldici ed hoscoperto che la nobile famiglia dei Guidi si suddi-vise nel tempo in diversi rami e che alcuni dei com-ponenti sono stati ricordati da Dante nella DivinaCommedia”, aggiunse Lucia. “La Divina Commedia? Strano...”, disse pensie-roso Nicola.I due amici continuarono per un po’ a formula-re ipotesi e programmi di ricerca poi andaronoa pranzo da “zia Luisa”.“È stato bello incontrarsi di nuovo, ma non è giu-sto morire così”, disse Lucia passandomi una bru-schetta con gli occhi velati.“Anche se Sergio era una persona che ha sempretentato di sfidarmi per dimostrare le sue capacità econoscenze, per me era un vero amico. Non meri-tava una fine così”, rispose il “Che”.“Dobbiamo risolvere l’enigma!”, affermò quasiurlando Lucia.“Sì, dobbiamo riuscirci. Hai notizie di Andrea eMonica?”“Li ho chiamati ieri, erano amareggiati. Se faremopassi avanti nella soluzione del rebus vogliono esse-re informati”.La bottiglia di Greco di Tufo era lì sul tavolo. Per tutta la durata del pranzo nessuno la toccò.

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Erano imbarazzati. Nessuno dei due aveva il coraggio di aprire labottiglia.“Un brindisi al Gruppo della Ginestra!”, disseLucia versando il vino.Il “Che” mise il basco nero e si salutarono.L’amica avrebbe cercato di scoprire che cosa fossequell’arancia che diventò rosa a 40 anni. In casodi novità si sarebbero sentiti telefonicamente.

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All’Università il lavoro di Nicola continuava,intervallato da continue ricerche in Biblioteca.Riguardò la Storia del Reame di Napoli delColletta e del Celano, la Divina Commedia ediversi testi araldici, ma nessuna strada portavaalla soluzione.Più volte si sentì con Lucia: nessuna novità.Nemmeno di Principessa aveva avuto più noti-zie. Erano, però, diversi giorni che si presentavanon invitata nei suoi pensieri.Una sera, quasi per voler esorcizzare quella pre-senza indesiderata, decise di recuperare dall’ar-chivio personale un appunto che raccontassequalche momento importante di quella storia.

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Le annotazioni relative alla sua vicenda amorosaerano tutte trascritte su fogli di carta gialla. Fufacile prenderne uno a caso.

Napoli, 31 marzo 1999

Oggi è il suo compleanno. Piove.Principessa è al lavoro e farà tardi. Io all’Univer-sità.Di comune accordo abbiamo rinviato i festeggia-menti.Partecipo ad una sessione d’esame che sembranon finire mai e non ci sto più con la testa. Houn incredibile bisogno di vederla. “Vado via”, dissi ad un mio assistente.“Va bene professore, continuiamo noi”, mi risposediligentemente.Arrivai al suo ufficio verso le 21.00, la sua autoera ancora lì. L’aspettai.“Maledizione!”, pensai, “non ho comprato nemme-no un regalo”.Scesi dall’auto. Guardai intorno: tutto chiuso.Solo un piccolo bar in lontananza mi faceva l’oc-chiolino con la sua insegna.Passò ancora una mezzora, poi la vidi uscire dalportone.Lampeggiai con i fari, mi riconobbe e sorridentesalì in macchina.

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“Tanti auguri principessa!”, esclamai porgendoleuna tortina Fiesta con una candelina accesa.“È la torta più bella che abbia mai ricevuto”, dissecon gli occhi lucidi.Soffiò forte. Mi baciò.Stemmo abbracciati per un tempo infinito.Era felice. Ero felice.

Rimise con cura nella cartellina l’appunto, men-tre un groppo alla gola non lo faceva respirare.Era ancora innamorato di lei.Il pomeriggio di lunedì 21 maggio. Un meseesatto dall’incidente.“Nicolaa! Nicolaa!”, si sentì dalla strada.Era sicuramente “zia Luisa”. Non aveva mai perso quell’abitudine. Quel suomodo di fare era come un messaggio mandato aisuoi concittadini. Lei, la vecchia Luisa, era l’unica in paese chepoteva chiamare il “Professore” per nome e ciòle procurava una grande soddisfazione.“Ecco è per te. Me lo ha portato il postino stamat-tina. Non ti ha trovato in casa”, disse “zia Luisa”consegnando un pacco imballato con adesivo.“Entra, ti faccio un caffè”, rispose il “Che” guar-dando con curiosità il pacco.

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“Devo andare, sto preparando pasta e fagioli con lecotiche di maiale. Vieni da me stasera?”.“Sì, certo, vengo a cenare”.Con difficoltà liberò la scatola dalla carta adesi-va. Ad un primo sguardo scorse dei libri, deglioggetti, una busta sigillata e una bella bottigliadi Greco di Tufo.Era di Sergio. Nicola aprì la busta.

Ciao Nicola,se leggerai questa lettera vorrà dire che io sono mortoe la cosa naturalmente mi dispiace. Spero solo di nonaver sofferto. Nel pacco troverai un po’ di libri per arricchire latua biblioteca, un vecchio orologio rotto e qualchealtro oggetto a me caro. È tutto ciò che posseggo. Non siate tristi per me, anche se la mia vita è statacome un tunnel buio da attraversare, alla fine hotrovato la luce che cercavo.W il Gruppo della Ginestra!

Sergio

Il “Che” era commosso.Con delicatezza iniziò a prendere dalla scatola ilibri.

– Vigliena, scritto da Francesco Pometti nel1894, era un raro testo sulle valorose vicende di

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Antonio Toscano che il 13 giugno 1799 difesefino alla morte la fortezza di Vigliena dagli assal-ti del Cardinale Ruffo. Una tra le più belle pagi-ne della Repubblica Partenopea.

– Sebethi, scritto da Antonio Vetrano nel 1767,era un vero e proprio trattato sull’origine e sullastoria del fiume Sebeto con una bellissima anti-porta in rame raffigurante il fiume con sullosfondo il Vesuvio.

– Corano, il testo sacro dell’Islam. Era una pre-ziosa edizione del 1659 con una legatura in pellenera e titoli in oro.

– La Rivoluzione Napoletana del 1799, scrittoda Benedetto Croce, questa edizione di Laterzaera del 1926. In un pacchetto di carta sottile trovò l’orologio.Era il falso “Cartier” del Gambrinus con il vetrorotto. Segnava le 14.45.Nicola lo guardò a lungo, emozionato lo sfioròcon la mano. Quasi una carezza. Una carezza al suo amicoSergio.Nella scatola erano rimasti una piccola corniced’argento, un piccolo Pulcinella di ceramica e la

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bottiglia di Greco di Tufo. Li prese e li poggiò suuna mensola della libreria. Si abbandonò sulla poltrona. “Perché Sergio nella lettera non ha fatto alcun rife-rimento all’enigma? Vuole che abbandoni la sfidao invece la sfida continua?”, disse Fidel apparsoin un angolo della testa confusa di Nicola.Il “Che” non rispose. Quella sera la pasta e fagioli di “zia Luisa” nongli piaceva. Non era la solita. Sembrava senzaalcun sapore, ne lasciò un bel po’ nel piatto.La vecchia cuoca capì, non si avvicinò.Quando si arriva all’età di “zia Luisa”, le espe-rienze della vita ti hanno fatto acquisire una sag-gezza tale per cui non è più necessario interve-nire in una situazione di evidente disagio mabasta solo far comprendere che si è lì, vicino allapersona che si ama.E questo Nicola l’aveva capito. Ritornato a casa telefonò all’amica Lucia. Le rac-contò del pacco ricevuto e della lettera di Sergio.Si sarebbero rivisti al più presto.Quella settimana lavorativa passò in fretta perNicola, aveva avuto molto da fare all’Universitàe quel pomeriggio del venerdì arrivò come unaliberazione.

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Non aveva potuto dedicarsi alla soluzione del-l’enigma ma aveva deciso di trascorrere tutto ilfine settimana con questo obiettivo. Entrando in casa notò che lo studio era proprioin disordine: due tazzine per il caffè poggiate sultavolo, alcuni bicchieri di carta lasciati sullemensole della libreria, diversi giornali sul divanoe libri abbandonati ovunque.Una gran confusione. Anche la cartellina con isuoi appunti aveva bisogno di una spolverata.Naturalmente la tentazione di prelevarne unfoglio lo vinse.

Novembre 1972 - Liceo F. Silvestri - Portici

Sono diversi giorni che gli scioperi si susseguono.Gli scontri con la Polizia sono all’ordine del gior-no.Stamattina c’è una nuova assemblea degli studen-ti di tutte le scuole di Portici. Per primi intervengono alcuni dei nostri rappre-sentanti di classe, poi prendono la parola, insequenza, alcuni ragazzi di Lotta Continua e diPotere Operaio che non appartengono al nostroliceo, spalleggiati da altri seduti nell’Aula Magna.Dal megafono partono insulti contro la Polizia econtro lo Stato, con espressioni insieme violenteed insensate.

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Non condivido ciò che sta accadendo. Devo intervenire. Dire la mia.Mi faccio largo a spintoni tra la folla e prendo ilmegafono in mano. Non avevo mai parlato atanta gente. Nel sollevare lo sguardo vedo che ci sono decinedi Professori ad ascoltare dalla balaustra. “Io non sono d’accordo, anche i poliziotti sono deilavorat…”.Non riesco a completare la prima frase. Il megafono mi viene strappato a forza dalle manimalgrado la mia resistenza. Nell’aula vola ditutto, alcuni compagni di classe si lanciano in miadifesa. È il caos. L’assemblea viene interrotta.Sono turbato ma fiero di me. Sono uno studente di sinistra ma non un estre-mista.

P.S. - Quando dopo alcuni giorni siamo rientratia scuola, sono stato avvicinato dal professore diMatematica (4 e mezzo all’ultimo compito inclasse).Stringendomi la mano mi ha detto: “Il coraggiodelle proprie idee qualche volta ha un prezzo. Mavale sempre la pena pagarlo”.

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“Già”, ricordò con un sorriso, “quell’annocomunque mi portai Matematica a settembre”. Gli anni del Liceo erano stati determinanti perla sua formazione culturale e per la sua crescitainteriore.Era bello ricordare quei tempi.Cercò un altro appunto di quel periodo. Loriconobbe facilmente dalla grafia ancora piutto-sto elementare.

Maggio 1970 - Bosco di Portici

La III A è una classe mista.Ci sono diverse ragazze che mi piacciono.Avere una ragazza non è facile, almeno per me.La mia compagna di banco, già fidanzata, miconfida che Angela è innamorata di me.“Angela? Possibile?”, ho risposto.È l’unica con la quale non ho una gran confiden-za. È una ragazza graziosa, molto timida e un po’formosa. (Ha un bel seno ma senza culo).Non mi piace molto ma meglio di niente.“Facciamo filone insieme?”, le ho detto stamattinaincontrandola nell’atrio della scuola.Siamo andati nel boschetto. Ero molto imbaraz-zato.Abbiamo passeggiato a lungo. Poi ci siamo sedutisu una panchina.

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Lei si aspettava una “dichiarazione d’amore”. Le ho messo il braccio sulle spalle e l’ho baciata.Io, non lei.Mi sono sentito un verme! Volevo scomparire.Ha iniziato a piangere. Le ho chiesto scusa piùvolte.Siamo andati via.

Nicola prese quell’appunto e lo rimise nella car-tellina piuttosto turbato.“Spero che sia felice”, pensò.Con calma iniziò a liberare la stanza dalle coseche erano fuori posto, raccolse i giornali,sistemò su una mensola il Pulcinella di Sergio eportò la cornice d’argento in camera da letto.Poi venne il turno dei libri.Con la massima attenzione sistemò nella vetrinache conteneva i volumi del ’500 e del ’600 ilCorano in pelle ed inserì Vigliena ed il Sebethinel vasto settore relativo alla Storia di Napoli.Lasciò per ultimo il testo di Benedetto Crocesulla Rivoluzione Napoletana del 1799, perchéaveva bisogno di una spolverata.Si portò verso la finestra e con cautela iniziò asfogliare il volume liberandolo dalla polvere conun morbido pennello. Dal libro semi-apertocadde in terra un foglio ripiegato.

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Il “Che” lo raccolse ed incuriosito lo aprì perconoscerne il contenuto.

FAMIGLIA GUIDI

La lunga dominazione feudale della casata Guidicostituisce la specificità dei territori che vanno dal-l’alto Casentino fino al torrente Archiano; oltre que-sto confine naturale infatti vigeva la signoria eccle-siastica dei vescovi aretini. Alla fine del XIII secolo,mentre nel resto della Toscana si andava imponendoil dominio delle città sulle forze feudali, in Casenti-no, la potenza dei Guidi sui numerosi castelli e ter-ritori era ininterrotta.

I POSSEDIMENTI DAL IX AL XIII SECOLO

Modigliana, Porciano, Romena, Ragginopoli, Lierna,Poppi, Vado, Cetica, Stumi, Soci, Lontano, Battifolle,Montecchio, Castelcastagnaio, Montemignaio, Vinci,Fronzola, Riosecco, Gressa, Partina, Dovadola.

“La sfida continua!”, disse ad alta voce Nicola.Il suo stato d’animo cambiò. Era turbato, arrab-biato nei confronti dell’amico morto.Poi, stranamente, la mente tornò al giovane Ser-gio del Gruppo della Ginestra, all’amico buon-tempone che ne faceva di tutti i colori e quasi simise a ridere.

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“Ma certo”, pensò, “Sergio continua a scherzareanche dopo la morte”.Appoggiò il foglio sulla scrivania del computer esistemò con cura il testo di Croce nella libreria.L’indomani si sarebbe dedicato a risolverel’enigma, ora doveva ordinare il suo studio.Era stanco, mangiò del pan carré con burro e simise a guardare la televisione. Si appisolò.“Annunciazione! Annunciazione!… Tu Marì,Marì, fai il figlio di Salvatore, Gabriele ti ha datola buona notizia… Annunciazione! Annunciazio-ne… Salve, Regina!”.“Buongiorno”.“Buongiorno”.“Gabriè, Gabriè, guarda comme… tu sì scemo, eh,Gabriè… e ccà s’adda fernì nu poco stu fatto…”.Nicola si svegliò, la televisione era ancora accesa. Stavano trasmettendo un vecchio sketch conMassimo Troisi, continuò a seguirlo divertendo-si come un matto. Il mattino successivo, il “Che”, dopo il solitocaffè, prese il foglio sulla storia della famigliaGuidi e lo lesse con attenzione mentre tenevasott’occhio il testo dell’enigma, doveva soprat-tutto cercare nell’elenco dei possedimenti dovefosse questo castello.

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Consultò diversi volumi di geografia senza risul-tato poi si collegò ad Internet ed iniziò a render-si conto che la maggior parte delle località cerca-te avevano un castello: Porciano, Montecchio,Riosecco, Poppi, Castelcastagnaio, … Vinci.“Ma sì, sicuro!”, esclamò quasi cadendo dallasedia, “L’homo del castello dei conti Guidi è lui,l’uomo di Vinci, Leonardo da Vinci! E poi collimacon la frase precedente: l’idea infuocata che dalcielo scenderà”.Si alzò di scatto, prese un testo sulla vita e leopere di Leonardo ed iniziò a consultarlo. “Tanta forza si fa colla cosa in contro all’aria,quanto l’aria contro alla cosa - 1487”.Questo principio, insieme ai disegni delle primemacchine volanti, tolsero ogni dubbio a Nicola:l’idea che scende dal cielo era un aereo. “Ma perché è un’idea infuocata?”.“Ma certo”, pensò, “l’aereo è una macchinavolante che caccia fuoco dalle turbine”.Era soddisfatto, contento di aver risolto unaparte dell’enigma.Questo risultato doveva essere subito comunica-to a Lucia. Erano le 10.30 poteva chiamarla.“Bravo!”, rispose l’amica, “Ero certa che solo tuavresti potuto risolvere questo rebus”.

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“E tu hai scoperto qualcosa sull’arancia che diven-ta rosa?”, disse il “Che”.“No! Purtroppo nulla d’interessante. Ho consulta-to diversi libri, ho navigato su Internet, senzaalcun risultato. Continuerò a cercare”, disseLucia.“Segnati il mio nuovo numero di cellulare. L’hocomprato ieri”, terminò Nicola dettando le cifredel numero.Dopo la telefonata, rilesse il foglietto azzurro etentò di comprendere cosa poteva legare unaereo al resto dell’enigma.Che significava “baciar Romolo e Remo nellanovella arancia che rosa diventò a 40 anni?”Fece varie ipotesi e numerosi tentativi senzaperò ottenere risposte idonee. L’enigma era un puzzle che andava risolto pergradi.Pioveva quella mattina, e un tremito di freddolo attraversò. Si toccò la fronte. Aveva la febbre.Un’aspirina e s’infilò sotto le coperte.La giornata passò così.Le aspirine e una splendida giornata di sole loinvogliarono, il giorno dopo, ad uscire. Sarebbeandato a fare una passeggiata.

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La meta fu Scala un piccolo paese vicino Ravel-lo. Il portale romanico del Duomo di SanLorenzo trionfava su tutta la piazza. Il panorama dalla collina era da mozzafiato.La passeggiata era stata davvero piacevole, nonera stanco, tornò a casa e decise di dedicarsinuovamente all’enigma di Sergio.La cosa che maggiormente lo mandava in bestiaera il non riuscire a capire “il nome di chi finìquando Partenope iniziò”.Lui, la Storia di Napoli la conosceva bene ed erainconcepibile non essere riuscito ancora a trova-re un indizio per la soluzione.“Questa volta Sergio ti ha fregato! Non riesci pro-prio a venirne fuori. Tutta la tua preparazione e latua competenza storica è sotto scacco”, disse Fidelriflesso nel monitor spento del computer. “Ricordi quando ti sfidò ad elencare i martiri dellaRepubblica Partenopea? In realtà, quella volta,fosti salvato dall’arrivo di Lucia e di Monica cheproposero di uscire per un gelato”, continuò ilriflesso. Il riferimento alla Rivoluzione del ’99 lo illu-minò.“Ma certo, adesso ricordo! Sì è così! Spesso Sergioaffermava impropriamente che la storia di Napoli

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iniziava con il 1799, ritenendo quell’anno la veradata di nascita di Partenope. Devo trovare un per-sonaggio che morì nel 1799 e che ha dato il nomead una località”, replicò Nicola.“E poi”, aggiunse seccato, “quella sfida sui mar-tiri del ’99 l’avrei comunque vinta io”.Indagò per l’intera giornata e la domenica suc-cessiva su tantissimi personaggi ma la ricercanon ebbe esito positivo. I primi giorni dell’ultima settimana del mesenon poterono essere dedicati all’enigma, il“Che” fu impegnato a preparare un interventoper la prima video-conferenza con la George-town University che si sarebbe tenuta il 31 mag-gio. Fu un lavoro impegnativo che per un po’ glifece dimenticare quel rebus. Il convegno, pur con qualche problema audio,si svolse regolarmente ed il nostro Professorericevette i complimenti dal Rettore per l’appas-sionato e qualificato intervento.Le cronache dei quotidiani cittadini, il giornodopo, davano gran risalto a quella video-confe-renza con gli Stati Uniti e in tutti gli articoliveniva citato l’intervento di Nicola.Quel venerdì non andò all’Università, si preseuna giornata di meritato riposo.

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La notizia che il “Che Guevara Napoletano” erasu tutti i giornali si diffuse con rapidità in tuttaRavello.Franco, l’edicolante, lo aspettava con ansia.Voleva essere il primo a congratularsi.Lo vide spuntare dal vicolo e gli andò incontro.“Ha visto Professore, tutti i giornali parlano di lei.Siamo orgogliosi di averla tra noi. Legga, leggaqui. C’è scritto che ha ricevuto dagli studenti piùapplausi di tutti”.Nicola non sapeva degli articoli e rimasealquanto stupito nel verificare che Franco avevaragione.“Grazie Franco, ma i giornali esagerano sempre”,rispose allontanandosi con un pizzico d’orgoglioverso “La Vigna”. Durante il tragitto molti furono i concittadiniche si complimentarono con lui e molti si avvi-cinarono per stringergli la mano.Anche “zia Luisa” lo aspettava raggiante all’in-gresso.“Bravo Nicola, che testa che hai! Ma dimmihai parlato in americano con quelli di Vassinton?”“Zì Luisì, Washington!... Washington! È la capita-le degli Stati Uniti dedicata a George Washington,il primo Presiden…”.

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Nicola non completò la frase. Si era ricordatoche quell’eroico personaggio era morto nel1799. Diede un bacio sulla guancia a “zia Luisa”e con passo svelto si allontanò verso casa.Doveva verificare quel ricordo. Forse stava perrisolvere un altro pezzo dell’enigma.“Ritorno tra un po’ ”, disse allontanandosi. Consultò il Grande Dizionario Enciclopedico.WASHINGTON GEORGE: Eroe della rivoluzioneamericana e primo Presidente degli Stati Uniti(1732-1799).Aveva visto giusto. Il luogo indicato alla finedell’enigma probabilmente era la città diWashington.Un aereo e Washington. Questi due primi elementi scoperti erano com-patibili. Forse si trattava di un viaggio intercon-tinentale.Sott’occhio. Sullo scrittoio. Scorse l’elen-co delle donne che aveva preparato Lucia. Lo prese e lo affiancò al biglietto azzurro dell’e-nigma. Lesse più volte. Lesse ancora. Iniziò a verificare le date.“Donna rivoluzione”, pensò, “chi poteva esseredonna rivoluzione?”.

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Escluse Eva e Giovanna D’Arco. Della prima era impossibile conoscere la data dimorte mentre quella della seconda, il 30 mag-gio, era già passata senza che fosse successoniente di particolare a Washington. Quando Nicola è preso da una particolare situa-zione, si dimentica di tutto e si estranea total-mente dal mondo che lo circonda. Il tempo passò in fretta.“Nicolaa!… Nicolaa!”.Era “zia Luisa”. Il “Che” riconobbe la voce e si alzò. “Ti ho portato un risotto alla pescatora. Mangialoè ancora caldo”.“Stavo per venire, avevo quasi completato di…”.“Ti conosco bene ‘guagliò’, mangia”, lo interrup-pe sorridendo “zia Luisa”.Nicola le voleva un gran bene. Era una dol-cissima testarda.Dopo aver mangiato con gusto quel risottoriprese la ricerca.Restavano Cleopatra, Evita Peron, EleonoraPimentel Fonseca, Emmeline Pakhurst e MadreTeresa di Calcutta.Le prime due donne, secondo il suo ragiona-mento, erano da scartare.

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Cleopatra era stata un personaggio importantedell’antichità ma certamente non poteva defi-nirsi una “donna rivoluzione”.In quanto ad Evita Peron, ritenne che la suaattività politica era stata sì importante ma limi-tata alla sola Argentina.Mise da parte anche l’ipotesi di Madre Teresa diCalcutta, donna straordinaria, che, pur avendooperato in modo rivoluzionario in ambito uma-nitario, così, d’istinto, non gli sembrava il per-sonaggio che cercava.Concentrò, poi, la sua attenzione su EmmelinePakhurst, la donna che guidò il movimentosuffragista femminile inglese e condusse nume-rose battaglie per il riconoscimento dei dirittipolitici delle donne. Arrestata e processatavarie volte, nel 1918 riuscì finalmente ad otte-nere il voto per le donne. Morì il 14 giugno1928.Lei poteva essere “donna rivoluzione” ed il 14giugno la data indicata dall’enigma.Infine venne il turno della Eleonora PimentelFonseca, direttrice del “Monitore Napoletano”ed attiva partecipante alla Repubblica Napoleta-na. Giustiziata in piazza Mercato il 20 agosto1799 anche lei poteva essere considerata la

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“donna rivoluzione” ed il 20 agosto la data indi-cata dall’enigma.14 giugno o 20 agosto. Nicola ne era sicuro, queste le due date pos-sibili. Ora bisognava essere certi della sceltafinale. Facendo un ragionamento logico, Nicola allafine preferì la soluzione dell’eroina napoletana.Sergio anche quando faceva parte del Gruppodella Ginestra, era solito sfidarlo sempre su unterreno a lui noto. Ora conosceva la data, l’aereo e Washington. Mancava poco alla soluzione finale.Mentre ancora una volta leggeva l’enigma, sentìsquillare il cellulare.“Ciao Nicola, complimenti per la video-conferen-za, novità?”, disse Lucia.“Sì! Ho scoperto la data celata nel primo capover-so e la città di Washington come soluzione dell’ul-timo”, rispose.Nicola spiegò con cura il ragionamento che loaveva portato a tali risultati, soffermandosi sucome “zia Luisa” lo avesse involontariamenteaiutato.“C’è qualche relazione tra la data del 20 agosto ela città di Washington?”, chiese il “Che”.

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“Che io ricordi…nulla. Per quanto riguarda,invece, l’arancia che diventò rosa a 40 anni, buiopesto. Sono disperata”, rispose l’amica.“Lucia non preoccuparti, ormai sono convinto chesi è trattato dell’ultimo scherzo del povero Sergio.Non stare in ansia. A presto”.La telefonata dell’amica lo aveva distratto daquell’impegno, non aveva più voglia di conti-nuare.“Basta! Questo gioco mi ha stancato”, disse allon-tanandosi dallo scrittoio.Un buco nello stomaco gli fece ricordare che ilriso era facilmente digeribile. Bisognava chiude-re la falla.Una vaschetta di gelato alla vaniglia assolse ilcompito.Seguì un interessante programma di divulga-zione scientifica in televisione, poi decise dicontinuare la lettura di City, l’ultimo libro diBaricco.Il lunedì successivo, a seguito del brillante inter-vento alla video-conferenza, il Professore venneincaricato dal Rettore di organizzare per il pros-simo autunno un convegno internazionalesull’Attualità del pensiero filosofico di ArthurSchopenhauer.

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Non era convinto del tema ma, con il suo solitoimpegno, iniziò a preparare l’iniziativa, mobili-tando tutti i suoi Assistenti.L’intera settimana passò tra e-mail da inviare aicolleghi delle altre Università italiane e telefona-te intercontinentali. Un lavoro duro ma gratificante.Nemmeno Fidel si fece vedere.In questo periodo Nicola non ebbe il tem-po per lavorare alla soluzione del rebus diSergio.Fu così preso da quel convegno che solo ilvenerdì 15 giugno, a seguito di una telefonata diLuisa, si rese conto che il giorno prima era quel-lo in cui era morta la Emmeline Pankhurst. Una delle date possibili.Guardò con attenzione la cronaca e le notizieestere.A Washington non era successo nulla di parti-colare.“Ho sbagliato l’interpretazione della data o sarà ilgiorno della morte di uno degli altri personaggifemminili? Oppure è proprio uno stupido scher-zo?”, si chiese il “Che”.L’enigma non lo assillava più, ma decise che l’a-vrebbe comunque risolto.

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Il mercoledì successivo andò a Napoli per com-prare un regalo a “zia Luisa”. L’indomani era ilsuo onomastico.Passeggiò per via Costantinopoli e nella libreriaantiquaria dove era solito acquistare tomi anti-chi, comprò una bella stampa dell’800 raffigu-rante il golfo di Amalfi.Si fermò in piazza Bellini per il caffè e poi s’in-camminò per via Toledo. In una vetrina notòuna bella collana d’ambra. Gli piaceva. La comprò.La mattina dopo andò all’Università e nonpotette fare gli auguri a “zia Luisa”, ma ritornòin tempo per l’ora pranzo.Entrò nel locale mentre la vecchia cuoca era incucina, si avvicinò in silenzio alle sue spalle, lemise le mani sugli occhi e la baciò sulla guancia.“Nicola!”.“Resta con gli occhi chiusi e non ti muovere”, disseil “Che” allacciando la collana d’ambra al suocollo.Quando vide quel regalo non poté trattenere lacommozione.Si tolse il grembiule e si portò davanti allospecchio.

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Si guardò. Sorrise.Non c’è età per la vanità.“E questo lo mettiamo nel locale, sul muro dove c’èil mio tavolo”, disse Nicola porgendole la stam-pa antica di Amalfi.“È troppo, Nicola, non dovevi”, rispose “ziaLuisa”.Alla fine del pranzo la vecchia cuoca portò unapiccola torta di “delizie al limone” che mangiòsedendosi vicino al suo “Professore”. Sembravano una famiglia.I giorni che seguirono furono ancora dedicati aSchopenhauer. Inviti, prenotazioni degli alberghi, interpreti,stampa e pubblicità, senza mai mancare alle suelezioni.Nell’ultima sessione d’esami dovette anche aiu-tare un suo collega di Storia che gli aveva chie-sto una mano.Non era entusiasta ma non potette dirgli di No.“Buongiorno professore”, disse un giovane da esa-minare.“Buongiorno, si accomodi. Mi piace la sua cravat-ta”, rispose.Tentava sempre di mettere a proprio agio glistudenti ed era giusto nell’assegnare il voto.

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“Mi parli della rivoluzione Americana”.Il recente ricordo di G. Washington avevalasciato il segno. Il ragazzo iniziò con una lunga premessa sulperiodo coloniale parlando dei conflitti traOlandesi ed Inglesi per la conquista delle costeamericane. “Già nel 1624 la Compagnia Olandese dell’IndiaOccidentale organizza i primi insediamenti sull’i-sola di Manhattan, fondando così il primo nucleoabitativo di Nuova Amsterdam. Dopo 40 anni,nel 1664, gli Orange furono sconfitti dagli Inglesiche cambiarono il nome della città in New York”.Nicola guardò fisso negli occhi lo studenteimpaurito e disse:“Ripeti! Su ripeti l’ultima parte!”“Dopo 40 anni, nel 1664, gli Orange furono scon-fitti dagli Inglesi che cambiarono il nome dellacittà in New York”.Si alzò dalla sedia continuando a fissarlo.“Trenta, torni al suo posto”, disse stringendovigorosamente la mano dell’incredulo ragazzo.Per la prima volta aveva dato un voto per sim-patia.“Gli Orange… 40 anni… gli Inglesi… NewYork”, ripeté più volte Nicola.

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“Gli Orange è l’arancia… che dopo 40 annidiventa… rosa… ma sì la rosa è il simbolo degliInglesi. Quindi si tratta di New York”, continuòa pensare a voce alta.“E allora?”, disse il suo collega seduto poco piùin là.Il “Che” non si era accorto che tutti lo osserva-vano mentre faceva questo ragionamento.Un po’ imbarazzato rispose: “Nulla… nulla…pensavo. Mi devo allontanare un attimo. Scusa-temi…”.Uscì. Andò in biblioteca.Si sedette ad un tavolo, prese dalla tasca ilbiglietto azzurro e rilesse l’enigma.Su un altro foglio di carta iniziò a trascrivere lasoluzione:

Il 20 agostoDal cielo scenderà un aereo

Per baciar Romolo e Remo a New YorkGiungendo infine a Washington.

“Che c’entra Romolo e Remo con New York? Cosaaccomuna i due gemelli che fondarono Roma conquesta città?”, pensò Nicola.Poi una luce.

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“Gemelli!… Le Torri Gemelle… uno dei simbolidi New York”, disse ad alta voce alzandosi dallasedia.Anche qui tutti lo osservavano. Anche qui lostesso imbarazzo.

Il 20 agostoDal cielo scenderà un aereo

Per visitar le Torri Gemelle a New YorkGiungendo infine a Washington.

Finalmente.Aveva trovato la soluzione dell’enigma. Aveva vinto.Sergio era stato sconfitto ancora una volta.Si trattava di un semplice viaggio in aereo aNew York ed a Washington che l’amico dovevafare il 20 agosto.Si era liberato di un peso.In fondo anche se non voleva ammetterlo, quel-la sfida lo aveva assillato. Non c’era stato giornoin cui non avesse pensato alla soluzione.Stranamente, però, quella iniziale soddisfazioneben presto si tramutò in amarezza. Quel-l’enigma lo aveva comunque tenuto legato al-l’amico tragicamente morto.

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Pensò a come Sergio avesse caricato di significa-ti quella sfida goliardica ed a come in realtà ilsuo unico scopo fosse quello di riunire un vec-chio gruppo di amici.Ora tutto svaniva e un po’ gli dispiaceva.La sessione d’esami proseguì fino al pomeriggio,ma malgrado fosse stanco e malinconico, quan-do arrivò a casa chiamò Lucia per comunicarlela soluzione.Si sarebbero rivisti a Sorrento sabato 14 luglioper festeggiare il compleanno dell’amica.Si abbandonò sotto la doccia.

Esiste una stanchezza dell’intelligenza astratta ed èla più terribile delle stanchezze. Non è pesante comela stanchezza del corpo, e non è inquieta come lastanchezza dell’emozione. È un peso della consape-volezza del mondo, una impossibilità di respirarecon l’anima.

Era Fidel che dallo specchio appannato delbagno citava Fernando Pessoa.Era da tempo che il suo doppio non gli facevavisita e quel brano gli sembrava proprio adatto adescrivere il suo stato d’animo.“Puoi essere contento. Hai risolto l’enigma. Ora civuole solo una donna”, aggiunse Fidel.

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“Sei proprio un bastardo! Non la chiamo. Anche sesoffro da morire”, disse il “Che”.

Cos’è l’amore? Non v’è nulla al mondo né uomo, nédiavolo, né alcuna cosa, che io non consideri cosìsospetto come l’amore, ché questo penetra l’animapiù di qualunque altra cosa. Non esiste nulla chetanto occupi e leghi il cuore come l’amore. Perciò, ameno di non avere quelle armi che la governano, l’a-nima precipita per amore in una immensa rovina.

Replicò il riflesso, citando Umberto Eco.Nicola si girò e sbattendo la porta uscì.

*

A Sorrento quella sera faceva un gran caldo maLucia arrivò puntuale all’appuntamento.C’era già tanta gente. Dopo gli auguri di rito, i due amici fecero unapasseggiata lungo il Corso principale della riden-te cittadina, fermandosi solo per un aperitivo.“Ricordi quella ricerca che il Gruppo della Gine-stra fece sui martiri della penisola sorrentina nel1799? Come si chiamava quella nobile famigliache partecipò alla Repubblica Napoletana?… iFasulo?”, disse Lucia mentre si avviavano all’au-to per andare al ristorante.

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“Si! … I Fasulo. Ma anche la famiglia Guardatipartecipò attivamente. Se non ricordo maleappartenevano all’antica nobiltà di Sorrento ed ilProf. Francesco Guardati, Commissario delnuovo Cantone all’Umanità, fu impiccato inpiazza Mercato il 14 novembre, mentre altrimembri della casata furono esiliati.”, risposeNicola. Per cenare si spostarono a Massa Lubrense,lungo la strada c’era un caratteristico ristorantecon terrazza sul mare.Arrivarono i menù.“Ho smesso di fare diete da quando ho perso il miocompagno” disse all’improvviso l’amica.“Un cancro lo ha stroncato… Era giovane. È statoduro accettare la vita a quel tempo. Vivevamo inun piccolo appartamento a Pozzuoli…”.Lucia era un fiume in piena, aveva bisogno diparlare. Il “Che” ascoltava in silenzio.Raccontò la sua storia: l’incontro, l’amore, iprogetti, la malattia. “… quando seppi del tumore mi cadde il mondoaddosso. Il tuo primo interlocutore in questi casi èDio. Lo preghi… Lo supplichi… Poi lo lasci.Certo, ti prepari al tragico evento, ma non bastano

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mille allenamenti per sopportare quel peso. La cosapeggiore?… Non riuscire a dare sollievo a chi, inuno stato larvale, ti chiede aiuto… Le ultime set-timane furono un’atrocità… La morfina nonbastava più… Il mio compagno non perse mai lalucidità mentale. “Fammi morire”, mi disse, “ildolore è atroce, se mi ami fammi morire…”.Nicola prese la mano di Lucia e la strinse forte.“L’ho fatto! L’ho fatto! Io l’amavo… morì trale mie braccia sorridendo… lo rifarei”, terminòl’amica senza piangere.Che dire in queste situazioni. Quali parole diconforto usare. Le solite frasi fatte. (È la vita.Bisogna reagire. Lui è sempre con te).Tutte balle!È difficile trovare le parole in certi casi, anche sesei un Professore universitario. Il “Che” non fiatò. Le teneva la mano. Le versò del Greco di Tufo e le porse un pac-chetto.Era il suo regalo.In una scatola di velluto verde era appoggiatoun bellissimo portaprofumi da borsetta inargento lavorato.– Hounsfield 1831 –Era un pezzo d’antiquariato di ottima fattura.

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Lucia lo prese. Lo strinse in una mano. BaciòNicola sulla guancia.La cena continuò abbondante.“Dove vai in vacanza? Da solo?”, disse l’amica.“Da solo, in Liguria, due settimane alle CinqueTerre”.“Non hai una compagna?”.“L’avevo”.“La ami ancora, si vede”.È strano come le donne riescano sempre a legger-ti dentro. Senza permesso. Quasi con arroganza.Naturalmente parlarono dell’enigma di Sergio emalgrado Lucia avesse apprezzato la bravuradell’amico, era dubbiosa sulla data e sul presun-to viaggio.“Non so”, disse, “ma mi sfugge qualcosa. Perchédoveva fare quel viaggio?… E poi Sergio sembra-va molto preoccupato, preso da una strana eccita-zione…”.“Già, ma non ho trovato altre interpretazioni…ormai…”, rispose Nicola alzando le spalle.Malgrado quella risposta, nel “Che” s’insinuò ildubbio. Per qualche istante ripercorse tutti i passaggi chelo avevano portato alla soluzione. Inutilmente.Un limoncello chiuse l’incontro con Lucia.

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*

La domenica mattina, prima di uscire, trascrissecon dovizia di particolari tutta la complessavicenda di quel rebus. La riunione del Gruppo della Ginestra al Gam-brinus, la visita di Sergio a Ravello, il testo del-l’enigma, l’incidente stradale, il pacco ricevutodopo la sua morte e, naturalmente, la soluzione.Rilesse l’appunto, prese il faldone ed inserì ilfoglio.Nel tentativo di sistemarlo meglio, dovette sfila-re altri appunti, uno in particolare era piegato inun angolo. Lo prese e, poiché lui era un po’ fatalista, pensòche era piegato perché doveva leggerlo.Un segno del Destino.

Salerno, 12 ottobre 1994.

Non c’era stata subito simpatia tra noi due. Eravamo colleghi.Un saluto nel corridoio, un sorriso nell’au-la magna, un rapido scambio di sguardi, nul-l’altro.Un giorno, poi, in biblioteca. Sedevamo allo stes-so tavolo.Chiese di me.

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Le raccontai la mia vita. Così, senza paura.Mi seguiva con lo sguardo ed il suo viso cam-biava espressione ad ogni intercalare della miavoce. “E tu?”, dissi.Mi parlò della sua vita.Ero affascinato, aveva un modo tutto suo di rac-contarsi. Collezionava peluches. Mi piaceva.La sua femminilità si manifestava in ogni gesto,in ogni parola.Era sposata.Non so perché succedono certe cose. Ma succe-dono.Me ne innamorai.Non ebbi mai il coraggio di dirglielo.Ogni incontro occasionale era per me unmomento di grande gioia, ma lei non lo avrebbemai saputo.

Torno alle giornate della vicinanza,del gomito a gomito… degli sguardi infiniti.

Io, ladro… del tuo sorriso.Io, ladro… dei tuoi silenzi.

Io, ladro… di emozioni.Io…

Io, non ruberò la tua vita.

Il Destino non c’entrava nulla, ma gli fece pia-cere rileggere quell’appunto.

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La collega qualche tempo dopo, lasciò l’Univer-sità per trasferirsi a Bologna.Non l’avrebbe mai dimenticata.Quel 26 luglio, la data della morte di EvitaPeron, Nicola, durante il percorso che lo separa-va da Salerno, si sintonizzò su diverse stazioniradiofoniche che trasmettevano notiziari equando tornò a casa tenne la televisione accesatutto il giorno.Non si era certo dimenticato dell’enigma. Ildubbio lo possedeva ancora.Ma non successe nulla.I giorni seguenti furono dedicati alla messa apunto della BMW ed a qualche acquisto: unLevis’, una camicia, due polo e una giacca.La valigia era pronta.Controllò nuovamente il contenuto. Aveva presotutto. Poteva partire tranquillo per la Liguria.Naturalmente dimenticò di portare “City”.Era domenica 12 Agosto. Amava la velocità ma era prudente. Si fermò adOrvieto per un pranzo frugale, ma soprattuttoper ammirare il Duomo.Levanto fu il suo approdo. Non conosceva quella zona, ma in molti gli ave-vano consigliato di andarci.

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La cittadina si adagiava sul mare, protetta dalColle della Madonna della Costa.I primi due giorni furono tutti dedicati alla sco-perta di quell’antico borgo. Visitò la Chiesa di S. Andrea, il Castello S. Gior-gio, la Loggia Medievale, la Chiesa ed il Con-vento di N.S. dell’Annunziata e Casa Restani. Non amava particolarmente fare i bagni e tor-turarsi al sole, amava soprattutto conoscere iluoghi per carpirne i segreti più reconditi.Spesso si avvicinava ad una persona anziana delposto e si faceva raccontare la vita del paese.Agli anziani piace raccontare.All’ingresso di una casa di Portovenere, dal bel-lissimo portale in pietra, Nicola notò un’anzia-na donna seduta a ricamare. Un saluto. Un sorriso.Non fu difficile entrare in sintonia con lei. Non passò molto tempo che il “Che” venneinvitato ad entrare in casa. Seduto al tavolo delpiccolo salotto ascoltava ammirato il suo rac-conto.I giochi di bambina, il duro lavoro nei campi, ilmatrimonio con il marito pescatore, le lungheattese della sua barca. Qualche termine dialetta-le gli sfuggiva ma era rapito dalla narrazione.

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Su un vecchio cassettone erano in bella mostrauna decina di foto.C’era la vecchia foto dei genitori nel giorno delmatrimonio. La foto di suo marito vestito da sol-dato. La foto dei tre figli. E le foto dei nipotini.Un albero genealogico per immagini. Ogni vitaimmortalata in un clic.Viveva da sola. Le facevano compagnia.La cosa strana è che, nella quasi totalità dei casi,questi racconti si concludevano con un’unicadomanda: “E voi, siete sposato?”Quasi che la “qualifica” di sposato fosse in qual-che modo rassicurante per un anziano. Monterosso, Vernazza, Corniglia, Manarola e Rio-maggiore erano le Cinque Terre. Cinque miglia dicosta rocciosa, due promontori, muretti a seccocoltivati a vite e tante minuscole insenature.Uno spettacolo incantevole.A tavola: gattafin, pesto e pesce in abbondanza.Il vino?Uno scontro tra Titani. Sciacchetrà o Greco diTufo.Il “Che” tradì il suo Greco più volte.Nell’albergo che lo ospitava c’erano diversi turi-sti stranieri che periodicamente cambiavanofisionomia.

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Era un continuo viavai di valige.Una sera, a cena, Nicola notò che era arrivatauna donna dalla carnagione bruna e dal porta-mento elegante.Sedeva sola in un angolo della sala.Un po’ per curiosità e un po’ per colmare l’atte-sa della seconda portata, si mise ad osservarlaattentamente, ma con discrezione.“Avrà 32 anni. Non è sposata ed è italiana. Prati-ca dello sport ed è laureata. Il suo sguardo fa tra-sparire un carattere forte e deciso. Labbra carnose,seno proporzionato, gambe slanciate”.Quasi per gioco continuò ad immaginare quelladonna, senza rendersi conto, però, che i suoicontinui sguardi erano stati notati.Come suo solito, dopo aver cenato, andò nelCentro Storico per prendere un caffè. La “sacrabevanda” non toccava certo gli apici del gu-sto a Levanto, ma lui non ne poteva fare ameno.Mentre chiedeva un espresso “ristretto”, vicinoalla cassa notò la giovane donna bruna.“Ho visto che mi osservava stasera, a cena”, esordìla ragazza.“Sì, è vero, mi ha colpito il suo sguardo”.Non fu un approccio originale ma funzionò.

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Fecero l’amore tutta la notte con passione, queidue corpi sembravano conoscersi da tempo.Non sempre è così. L’indomani la donna partì.Alcuni giorni dopo il Ferragosto Nicola andò avisitare Rapallo, Santa Margherita Ligure e Por-tofino.Nella piccola insenatura erano attraccate lussuo-se imbarcazioni, ma una, in particolare, colpì lasua attenzione.Era una “barchetta a vela” lunga 40-50 metri contre alberi maestosi. Batteva bandiera australiana. Nicola contò 12 uomini d’equipaggio. Sul ponte, seduta ad un tavolino, una bellissimaragazza bionda sorseggiava una bibita.“Ecco”, pensò sorridendo, “ho risolto tutti i mieiproblemi. Vado e la conquisto.”Non ebbe il tempo di fare un altro passo che unanziano signore con un elegante giacca bianca siavvicinò alla ragazza e le diede un bacio.Era lui il proprietario.“Non è il mio tipo”, sussurrò il “Che” allonta-nandosi.Durante la sua permanenza a Levanto seppe diun mercatino dell’antiquariato che si sarebbesvolto quella domenica. Ci andò.

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Sperava di trovare qualche vecchio libro o qual-che vecchia teiera di Sheffield. Comprò un volume del 1868 “Old CuriosityShop” di Charles Dickens con molte illustrazio-ni ed una bellissima icona russa dell’800 sulastra di rame raffigurante una Madonna colBambino.Il lunedì 20 agosto, Nicola era piuttosto teso.Era la data dell’enigma. Non si mosse da Levanto. Seguì vari telegiorna-li senza risultato. L’enigma era semplicemente un viaggio a NewYork ed a Washington. Questa, ormai, la suaconvinzione.La vacanza fu piacevole e distensiva. Fidel non comparve mai. Principessa qualchevolta. Ripartì il sabato 25.Il mattino della domenica successiva fu intera-mente dedicato a disfare le valigie.Verso le 14.00 andò alla Vigna.“‘E vuttate ‘o pelliculo n’gopp ‘o fuoco”, disse “ziaLuisa” vedendolo arrivare in cucina mentre cola-va degli spaghetti.Questo tipico modo di dire del dialetto napole-tano sta ad indicare un colpo di fortuna o latempestività di un’azione. Trova la sua origine

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nel fatto che, in passato, era di buon auspiciobruciare la parte del cordone che dopo giorni sistaccava dall’ombelico del neonato.Si abbracciarono.Qualche bagno ad Amalfi e lunghe passeggiatecaratterizzarono gli ultimi giorni di Agosto.Passò anche il mercoledì 29, data della morte diCleopatra, senza che lui se ne accorgesse.Vivere da soli offre innumerevoli vantaggi, maaltrettanti inconvenienti. Soprattutto per chiquella vita da “single” non l’aveva scelta. Le faccende di casa non sempre erano il massi-mo degli eventi.Quel lunedì 3 settembre la sua casa gli sembra-va particolarmente in disordine. Non avevavoglia ma doveva farlo.Indossò la tuta e mise il grembiule bianco.Sì, il grembiule bianco.Iniziò dall’ingresso e proseguì con il bagno. Lostudio, il suo studio era riservato per il finale.Per prima cosa doveva spolverare i libri del latodestro della biblioteca. Il lato sinistro era statooggetto della sua attenzione il mese precedente.Nel prendere il pennello da un cassetto notòuna scatola blu della quale non ricordava il con-tenuto. Alzò il coperchio.

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Era un fischietto d’argilla colorata. Aveva unastrana forma allungata. Glielo aveva regalatoPrincipessa.Sul fondo, in contrasto con il colore della scato-la c’era un foglietto bianco piegato. Era una sualettera.

Poi… un giorno ti ho visto. Avevi un’aria misterio-sa, un volto dallo sguardo glaciale. Dovevo conoscer-ti. Mi sono seduta accanto a te. Credo di avertiamato da subito ma avevo paura, troppa paura perammetterlo. Non volevo soffrire, avevo già datotroppo per non ricevere nulla. Più ti conoscevo e piùmi rendevo conto che eri tu l’uomo che avevo smessodi cercare. Sei così dolce anche quando fai l’amore, quando miprendi tra le tue braccia e mi stringi a te. Mi sentouna bambina,“la tua piccola Principessa”. Ti amo così tanto che vorrei dirtelo e ripeterlo inogni istante, ma quell’aria da saggio, da uomo vis-suto, mi spaventa, mi fa sentire piccola e stupida.Ho bisogno di te. Lo so, l’ho imparato dalla scuoladella vita, nulla è per sempre. Ma oggi ti amo e vor-rei non perderti per volare insieme a te.

La tua Principessa

Prese il fischietto e soffiò con forza. Un suono stridulo uscì.

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Soffiò ancora… Soffiò ancora… Ancora e…ancora.Si sentiva solo. Maledettamente solo.Pianse. Non aveva mai avuto timore di piangere, non sene vergognava affatto.“ – Le lettere, diceva Isidoro di Siviglia, sonoindici delle cose, segni delle parole, forniti di unatale potenza da parlarci, pur senza voci, delle coseassenti – Sei proprio strano. Fai l’amore con “lab-bra carnose” e poi non accetti che…”, disse Fidelprovocandolo.“Basta! Ti distruggo! Ti elimino dalla mia vita.Stronzo!”, replicò infuriato Nicola.Anche questa volta Fidel aveva raggiunto l’obiet-tivo di farlo reagire. Forse quella, sarebbestata veramente l’ultima volta. Quando si viaggia nell’infinito dell’anima sononecessari dei punti di riferimento, delle pietremiliari, delle stelle da seguire per orientarsi. La sua stella non brillava più.Lo squillo del cellulare lo riportò alla realtà.“Ciao Nicola!”.“Ciao Lucia, come va?”.“Ho iniziato una dieta e sto andando in palestra.Ho perso già quattro chili. È dura ma ce la farò”.

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“Sono contento. Mi farebbe piacere rivederti. Hainotizie di Andrea e Monica?”.“Li ho sentiti proprio ieri, mi hanno chiesto di te emi hanno proposto di cenare da loro mercoledìsera. Che ne pensi?”.“Per me va bene, ti passo a prendere verso le nove.Porto io il dolce”.Terminò di spolverare il lato destro della biblio-teca e mise in ordine la camera da letto. Poi,Schopenauer lo chiamò al lavoro.

*

Lucia salì nella BMW“Dove abitano Andrea e Monica?”, disse il “Che”.“A Posillipo”, rispose l’amica.“Posillipo, pensò Nicola, deriva dal termine grecoPausilipon, che vuol dire “pausa al dolore”. Chissàche non sia di buon auspicio”.La casa era arredata con gusto ed il panoramaincantevole. Avevano due bambini di 7 e 4 anni,dormivano.Andrea insegnava al Liceo Umberto I ed iniziòa raccontare di come la gioventù di oggi fossetanto diversa da quella alla quale loro eranoappartenuti.

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Dalla gioventù si passò alla politica e dalla poli-tica allo sport. Precisamente alla disastrosa situa-zione in cui versava il Calcio Napoli. Maradonafu il solo argomento che mise tutti d’accordo. Isuoi palleggi, i suoi gol e le sue magie erano ine-guagliabili.All’arrivo del dessert, puntualmente evitato daLucia, irruppe Sergio.Monica, come già aveva fatto Lucia, esternò lesue perplessità sulla interpretazione dell’enigma. Non le sembrava possibile che un viaggio inaereo a New York fosse l’oggetto del rebus. Maanche lei non sapeva dare altra spiegazione. “Oggi è il 5 settembre, data della morte di MadreTeresa di Calcutta, l’ultima donna rivoluzioneindividuata e non è successo niente”, disse Nicolain modo perentorio.Le “delizie al limone” di “zia Luisa” misero finealla cena.“Sabato a Tufo c’è la Sagra del Greco, vieni conme?”, disse il “Che” aprendo la porta dell’auto.“Non lo so, ti faccio sapere”, rispose Lucia. Il giorno dopo si dedicò nuovamente al Conve-gno da organizzare all’Università. Ormai il gros-so del lavoro era stato completato, bisognavasolo curare qualche dettaglio.

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Non aveva fame e non pranzò.Nel pomeriggio seguì con attenzione alcunidocumentari del National Geographic Channel.Era il suo canale preferito. Gli piaceva scoprire isegreti della Natura.

Sul manto della prateria il vento inclina paesaggio eanime verso ovest, curvando Closingtown come unvecchio giudice stanco di ritorno dall’ennesima con-danna a morte.

Chiuse il libro. Mancavano ancora 67 pagine e poi avrebbe fini-to di leggere City.Il venerdì mattina arrivò la telefonata di Lucia. Sarebbe andato da solo a Tufo. La cittadina è un comune della Valle del Sabato,in provincia di Avellino. Nel suggestivo borgoera stata predisposta un’apposita area per ladegustazione dei vini e dei prodotti tipici localicon la presenza di operatori professionali e spe-cialisti del settore.Nicola godette del fresco di quel posto, di un belpiatto di “scialatielli con funghi porcini”, e nondimenticò di fare una buona scorta di Greco. Quella domenica, l’ultima prima di rientrareall’Università, passò tra la verifica dell’elenco

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delle personalità invitate al Convegno ed unapprofondito esame del suo intervento.Unico intervallo: un frugale pranzo da “ziaLuisa”.La prima mattinata di lavoro trascorse tra i salu-ti dei colleghi ed i racconti delle vacanze appenapassate. Le lezioni non erano ancora iniziate e l’Univer-sità era semi deserta. A mezzogiorno, dopo uncaffè, uscì dall’ateneo per tornare a casa. Arrivò a Ravello giusto in tempo per un’ottimapasta e zucca ed una scaloppina al vino bianco.Tornò a casa per un pisolino. Il desiderio di un bel gelato lo fece uscire versole 19,00. Non aveva voglia di andare a casa, quella sera. Ilsole era ancora vivo.Avrebbe fatto una passeggiata.Passò per vicoli, fino al belvedere.Stette lì per un bel po’. Tornò a casa. Entrando, notò di aver lasciato accesa la luce incamera da letto.“Strano”, pensò.Aprì la porta e si avviò verso la stanza.Principessa!

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Era stesa sul letto, leggeva un libro.I due sguardi s’incrociarono. …Lei si alzò. Lo baciò.Fecero l’amore.Fecero l’amore. Con passione.Fecero l’amore. Per tutta la notte. Fecero l’amore. Senza parlare.I loro corpi.I loro corpi parlarono a lungo.Si addormentarono abbracciati.Quando la mattina successiva il “Che” uscì dacasa, Principessa dormiva ancora.Era confuso ma felice. Verso le 14.00 era già di ritorno dall’Università.Aprì la porta. Nell’ingresso, in bella eviden-za, trovò un biglietto all’interno di un libro. “Torno stasera – la tua Principessa”.Era inserito a pagina 163 di “La RivoluzioneNapoletana del 1799” di Benedetto Croce.“Il 10 settembre, Luisa Sanfelice entrava la terza,e ormai ultima volta, nel confortatorio. E alla oredieci del giorno dopo, 11 settembre, la sventuratauscì dal torrione del Carmine, e fu menata allapiazza del Mercato”.

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Nicola lesse nuovamente il brano. Poi… esclamò.“Ma come ho fatto a non pensarci. Anche la datadi morte di Luisa Sanfelice potrebbe essere la datadell’enigma. L’11 settembre… oggi”.Ripose il libro e si avviò verso lo studio, ripen-sando a come, stupidamente, non avesse conside-rato questo importante personaggio femminile.“Sono stato tratto in inganno dalla Pimentel Fon-seca. Un personaggio dello stesso periodo storico”,pensò, cercando di giustificare a se stesso lamancata considerazione della Sanfelice.“Ora però ho fame. Vado da “zia Luisa”. ”, tagliòcorto.Mentre si avviava verso la porta, squillò il cellu-lare.“Stai guardando la Televisione? Accendila subito!”,disse Lucia con una voce concitata.Erano le 14.50, Nicola accese la TV.Un’edizione straordinaria del telegiornale stavamostrando, in collegamento con la CNN, leimmagini di una delle Twin Towers di New Yorkin fiamme.Un replay fece vedere un aereo schiantarsi nelgrattacielo. Passarono pochi minuti e si vide indiretta un altro Boing colpire la seconda torre.

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“Nicola l’enigma!… L’enigma!… Romolo eRemo…”, urlò al telefono l’amica.Il “Che” era lì. Immobile. Terrorizzato.“Washington!… Washington!… Ora colpirannoWashington!”, strillò all’improvviso.Nello stesso istante un collegamento con il Pen-tagono confermava la caduta di un terzo aereo.Il pulcinella di ceramica volò sul pavimento inmille pezzi.Si sentì le gambe molli. Si sedette a terra.Le immagini si susseguivano sempre più dram-matiche.Le fiamme erano sempre più alte. Un’inquadra-tura in diretta fece vedere un oggetto caderedagli ultimi piani. Era un uomo. “È un uomo!”, urlò forte.Passarono diverse ore e lui era ancora lì. Immobile. Seduto a terra.“Sergio ha tentato di evitare tutto questo, perciò èstato ucciso. Ha lasciato a te il compito di svelare ilpiano terroristico e tu non sei stato in grado di tro-vare la soluzione”, suggerì Fidel nella sua mente.Uno squillo del telefono di casa lo costrinse adalzarsi.

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Era Andrea. Aveva ricevuto uno strano messaggio sul cellula-re. Appuntamento domani alle 21.00 al ristoran-te “Il Sarago”, tavolo n° 11. Firmato il Gruppodella Ginestra.Nicola guardò il suo telefonino. C’era la busti-na, non aveva sentito il bip.Stesso messaggio.“Chi sapeva dell’esistenza del Gruppo della Gine-stra? Sergio ne aveva parlato a qualcuno? Anche alui aveva sottoposto l’enigma?”.Mentre queste domande gli affollavano la testa,un nuovo squillo del cellulare confermava cheanche Lucia aveva ricevuto il messaggio.“Che facciamo?”, disse l’amica. “Ci andiamo”, rispose.Si ritrovarono tutti in piazza Sannazzaro. Inorario.Entrarono nel locale e chiesero del tavolo n° 11. Si accomodarono.Erano tutti tesissimi. Si guardavano intorno.Nessuno parlava.Dopo qualche minuto si avvicinò un cameriere.“Questo è per voi”, disse, appoggiando sul tavolouna bottiglia di Greco di Tufo e porgendo unbiglietto a Nicola.

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Il giorno che finì chi ubriaco ebbe in fede, verrà.Ed il forte vento di Dio dal profondo soffierà.Nel volgar bosco dei lupi e dov’è l’ora madre

d’ogni ora, passerà.Per baciar poi la riva di Setae la destra di chi dalle Vene

creò la Sacra Isola.

Sia lode ad Allah, Signore dei mondi!

Sergio

“Maledetto!”.La bottiglia di Greco di Tufo si frantumò sulmuro.

Settembre 2002

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POSTFAZIONE

Un bel racconto, compatto, avvincente, moder-no, snodato su un enigma da svelare.

L’ho letto due volte.La prima volta, era l’estate del 2002, seguivo unrito. Lasciavo la casa che mi ospitava alla minie-ra e m’incamminavo con la mia ombra su perl’erta della Piana.Centellinavo i dialoghi, rileggevo le riflessioni em’accompagnavo con l’apparente protagonistanel godimento di un paradiso disegnato dalmare, mentre i miei occhi rincorrevano capretteisolane e soluzioni misteriose.Seduto ai piedi del Fortino, coniugavo il frescodelle vele sull’acqua con la voglia di procederenella lettura. Ma, subito, le ben architettate frasimi offrivano l’appiglio per vagare negli spazi

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ideologizzati della Rivoluzione Napoletana e neisogni di rinnovamento.Mi ritrovavo, così, a ridisegnare nuove proget-tualità per un piccolo angolo di mondo medi-terraneo, come quei giovani al Caffè della Gine-stra.Dopo qualche ora, riprendevo il racconto e lastrada di casa, lasciandomi riscaldare dalladescrizione sotto i raggi del sole.La seconda volta, in questi giorni di fredda pri-mavera, pungolato da una cycas, che troneggiasul terrazzino di fronte al mio balcone, ho bevu-to in un solo sorso il racconto, ho recuperato lamia vecchia memoria di una rivoluzione conte-stata ed ho goduto, ancora una volta, per untesto che si sviluppa come esercizio, ma s’impo-ne come un interrogativo sulla verità, con l’im-perativo di compromissione risoluta.Qualunque sia la sollecitazione. L’alternativa èrifiuto radicale.

La verità è ciò che è, non ciò che si mostra.La verità è la meta. Oggi inizio a cercarla, doma-ni mi sembrerà di averla raggiunta.Arroganza materialista il ridurre l’infinito aduna particella circoscritta!

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Il pensiero è verità solo se è libero ed è talequando la coscienza si rapporta in un costanterispecchiarsi nella sua non riducibilità.La morte fisica libra come adesione irrevocabile.

Giorgio Mancini

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Il presente volumeè stato stampato con una tiratura limitata

di 150 copie tutte numerate