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45 Shiatsu•Do 26 Da tempo Musashi cercava di congiungere, in una valida dottrina, quello ch’egli sapeva per istinto con quello che aveva appreso per mezzo dell’intelletto. Lo stile delle due spade doveva avere dunque questa duplice natura: essere al tempo stesso conscio e automatico come un riflesso, completamente libero dalle restrizioni inerenti all’azione conscia. Scrive Eiji Yoshikawa: “…Durante la bat- taglia contro la Scuola Yoshioka, ad Ichijoji, Musashi aveva istintivamente impugnato la spada lunga nella destra e lo spadino nella sinistra. Lo aveva fatto inconsciamente per proteggersi al massimo. In una lotta per la vita o la morte, egli si era comportato in maniera non ortodossa”. Dichiara Mario Vatrini: “...Io uso spesso que- sta tecnica con due pollici, ma la uso come strategia specifica per determinate situazioni, non sempre; un pollice sul punto doloroso o alterato e l’altro pollice che va a cercare il punto che sblocca, lo trovo ancora affascinan- te, il fascino dell’effetto... all’epoca mi pare non ci fosse nessuna motivazione maturata che dovesse giustificare la funzionalità della tecnica. Era qualcosa di nuovo e stupefacente per quanto riguardava i cambiamenti sotto i pollici, e anche i cambiamenti notevolissimi che avvenivano negli uke. È una tecnica che secondo me ha davvero “miracolato” la comprensione di molti praticanti... all’epoca lo shiatsu era agli inizi, perciò, o funzionava be- ne, o la gente non veniva a farsi trattare…”. In ambedue i casi l’uso autonomo e coordinato delle due mani nasce, e non potrebbe essere diversamente, in una situazione di uso “reale” della tecnica, cioè in una situazione di bisogno; di ri- schio della vita per la spada, di ricerca di effetto benefico per lo shiatsu. Nasce istintivamente, sulla spinta della situazione contingente senza ricerca di spiegazioni razionali. Le codificazioni, la costruzione formale vengono dopo. Tra il ’73 e il ’75: scrive ancora Vatrini: …Yuji ha avuto l’intuizione di prendere il i quaderni della tecnica lo stile della doppia pressione ZONA INFRASCAPOLARE 2 AB 2 AC coppie di collegamento tra i luoghi della zona indicata Tavola n° 1 Riprendiamo il discorso sulla doppia pressione sulla base di quanto elabo- rato nei QdT del n° 22 di Shiatsu Do. di Claudio Parolin B B A C C

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Da tempo Musashi cercava

di congiungere, in una valida

dottrina, quello ch’egli sapeva

per istinto con quello che aveva

appreso per mezzo dell’intelletto.

Lo stile delle due spade doveva

avere dunque questa duplice

natura: essere al tempo stesso

conscio e automatico come un

riflesso, completamente libero

dalle restrizioni inerenti all’azione

conscia.

Scrive Eiji Yoshikawa: “…Durante la bat-taglia contro la Scuola Yoshioka, ad Ichijoji, Musashi aveva istintivamente impugnato la spada lunga nella destra e lo spadino nella sinistra. Lo aveva fatto inconsciamente per proteggersi al massimo. In una lotta per la vita o la morte, egli si era comportato in maniera non ortodossa”.

Dichiara Mario Vatrini: “...Io uso spesso que-sta tecnica con due pollici, ma la uso come strategia specifica per determinate situazioni, non sempre; un pollice sul punto doloroso o alterato e l’altro pollice che va a cercare il punto che sblocca, lo trovo ancora affascinan-te, il fascino dell’effetto... all’epoca mi pare non ci fosse nessuna motivazione maturata che dovesse giustificare la funzionalità della tecnica. Era qualcosa di nuovo e stupefacente per quanto riguardava i cambiamenti sotto i pollici, e anche i cambiamenti notevolissimi che avvenivano negli uke. È una tecnica che secondo me ha davvero “miracolato” la comprensione di molti praticanti... all’epoca lo shiatsu era agli inizi, perciò, o funzionava be-ne, o la gente non veniva a farsi trattare…”.

In ambedue i casi l’uso autonomo e coordinato delle due mani nasce, e non potrebbe essere diversamente, in una situazione di uso “reale” della tecnica, cioè in una situazione di bisogno; di ri-schio della vita per la spada, di ricerca di effetto benefico per lo shiatsu. Nasce istintivamente, sulla spinta della situazione contingente senza ricerca di spiegazioni razionali. Le codificazioni, la costruzione formale vengono dopo. Tra il ’73 e il ’75: scrive ancora Vatrini: “…Yuji ha avuto l’intuizione di prendere il

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cnica

lo stile della doppia pressione

ZONA INFRASCAPOLARE

2 AB 2 AC

coppie di collegamento tra i luoghi della zona indicata

Tavola n° 1

Riprendiamo il discorso sulla doppia

pressione sulla base di quanto elabo-

rato nei QdT del n° 22 di Shiatsu Do.

di Claudio Parolin

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concetto dei punti distanti, di derivazione Iokai e di applicarlo esclusivamente ai pollici; Il bi-sogno di motivare… è un’aggiunta successiva per tentare di razionalizzare in qualche modo i risultati; in pratica e all’epoca non ce n’era bisogno”.E ancora: “…la partenza dello shiatsu a Milano è stata lo stile Namikoshi poi, siccome lo stile di Masunaga usa due zone distanti, Yuji aveva cominciato ad aprire, allargare i pollici, trasformando l’intervento su zone in uno su punti; io ho seguito l’esempio. È stata davvero una nuova comprensione, soprattutto perché l’allontanamento dei pollici e la pressione su due punti o zone diverse serve per tonificare o disperdere, per spostare o chiamare… l’allon-tanamento dei pollici è iniziato così, come pas-saggio dal pensiero di Namikoshi a quello di Masunaga; non era però un modo di trattare standardizzato, ma un modo di sbloccare, spo-stare, sciogliere per cambiare una situazione... Non si parlava di codificazione secondo kata, questa è una formalizzazione successiva.”Riassumendo: > nel vivo della pratica, > a partire dal bisogno di produrre

efficacia > seguendo i fenomeni sulla base

della risposta vitale incontrata, le mani incontrano e seguono, me-diante una loro ricerca autonoma,

quotidiane: il bisogno di dare sollievo al disagio (che in genere si concretizzava in qualche forma di “dolore”) del “clien-te” e il bisogno di avere successo con i primi “clienti” per dare sollievo alle finanze dei primi professionisti. Non è quindi una ricerca accademica o di laboratorio, ma una esigenza concreta che parte dalla vita reale del praticante di quegli anni. Di conseguenza, a nessu-no viene in mente di codificare ricerca e scoperte.

c. la tecnica prende forma gradualmente, come gradualmente procede la ricerca di “effetti speciali” e la scoperta di col-legamenti e risonanze. Prima i pollici separandosi cercano lungo i percorsi noti (un pollice resta sul punto “notevo-le” e l’altro cerca a monte e a valle sul meridiano), poi nella zona circostante (un pollice resta sul punto notevole e l’altro esplora per cerchi concentrici la zona attorno), poi si adeguano e utilizzano alla morfologia della zona in questione (monti e valli creati da mu-scoli, sporgenze ossee, gonfiori, ecc.); poi le mani si allontanano alla ricerca

di collegamenti e risonanze lungo un arto, alle estremità del tronco fino alla massima estensione delle braccia del praticante), poi...

d. all’utilizzo acritico dei meridiani si co-minciano a sostituire (o meglio integra-re, perché i percorsi energetici restano comunque un terreno privilegiato di

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L’uso autonomo e coordinato delle due mani nasce

istintivamente, sulla spinta della situazione contingente senza

ricerca di spiegazioni razionali. Le codificazioni, la costruzione

formale vengono dopo.

la “risonanza” vitale tra due punti e/o zone.

La tecnica di separare le mani è una tua intuizione o sei stato in-fluenzato da Masunaga?Sicuramente sono stato influenzato da lui, però non ero contento né di questo né di quello... Il problema era che non ero contento. Quindi è nato questo metodo.

Non eri contento rispetto a cosa, all’efficacia?Rispetto alla natura: perché dovevo fare così tanta fatica? Perché dove-vo usare il mio corpo in modo così innaturale?

Tratto da “Shiatsu Do 23”: intervista a

Yuji Yahiro.

Esaminiamo e approfondiamo gli elementi della precedente proposizione:a. praticando secondo gli stili esistenti

(Namikoshi e Masunaga) “succede” che i due elementi qualificanti dei due stili si sovrappon-gono; si lavora con i pollici (Namikosh i ) ma si sepa-rano le mani (Masunaga); e succede che si incontrano “ri-sonanze”, prima casualmente , all’interno degli schemi usuali (percorsi ener-getici), poi la curiosità porta ad uscire dai tracciati abituali e si scoprono risonanze anche operando in maniera non usuale (cer-cando intorno ai punti doloranti, vivaci, notevoli, alterati, ecc.; oppure zone vici-ne o lontane che rivelano insospettati collegamenti, ecc.).

b. la pratica parte da esigenze concrete,

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ricerca e di scoperta) altri riferimenti che, nella ripetizione quotidiana e nei successi/insuccessi ripetuti e ripetitivi, vanno a costituire un embrione di nuo-vo modello operativo di riferimento.

e. la possibilità di ricercare senza schemi fissi nasce e cresce con l’evoluzione della percezione nei primi (e poi nei secondi e nei terzi…) operatori che via via spostano la loro sicurezza dallo schema al “sentire”. È solo la percezione della risposta vitale sul punto e sui punti premuti che può condurre il praticante a lasciare i riferimenti noti e “sicuri” per una relazione con la persona trattata che si basi sullo scambio di “sensazioni”. La grande fortuna dei praticanti che la-vorano in quegli anni con Yahiro sensei è che acquisiscono il gusto “del sentire”, dell’usare le mani in sintonia con uke, del “giocare” con i fenomeni vitali, pres-sione dopo pressione.

f. la doppia pressione, richiedendo una attenzione sdoppiata (ascoltare in contemporanea le sensazioni sui due pollici separati) ha generato nella “men-te” e nella percezione di quei praticanti (e quelli che oggi utilizzano la doppia pressione) effetti imprevedibili (scher-zando potrei dire devastanti) che han-no portato alla crescita di una nuova cultura di cui solo oggi cominciamo a misurare gli effetti profondi nel sociale (e nella politica) del nostro paese.

Una nuova idea di figura professionale

In un recente incontro con esponenti di al-tri organismi di rappresentanza ho porta-to il discorso sulla immagine che ciascuno aveva del professionista shiatsu.È emerso che la figura di gran lunga preva-lente era quella del “guaritore alternativo” e non del “manovale del pollice”; l’operatore shiatsu, secondo i più, ripone la propria fiducia e trae la propria sicurezza preva-lentemente nelle cose che sa e non nelle cose che sente.

Tu dicevi che sentivi che esistevano dei percorsi diversi da quelli del-l’agopuntura.Avevo dei dubbi costanti, perché sentivo delle cose diverse da quelle insegnate.

L’energia scorre sempre per percorsi o anche in maniera diversa?Anche in maniera diversa.

I percorsi sono dunque un espedien-te per raffigurare l’energia?La nostra raffigurazione dei me-ridiani è un invito a entrare nel mondo dei meridiani; poiché ogni persona ha una condizione fisica diversa, il percorso cambia per ogni individuo. Ci sono strade comuni, le macchine quando non c’è traffico possono passare ovunque, quando invece c’è traffico devono cambiare per-corso.

Però esistono delle strade.I percorsi dell’energia non sono fissi come larghezza e potenza. Hanno un regolamento minimo, perché la natura è uguale per tutti, ma non sono così precisi. È come l’acqua sul pianeta: ci sono grandi fiumi, laghetti, mari, ma quando piove tutti loro cambiano di misura.

Tratto da “Shiatsu Do 23”: intervista a

Yuji Yahiro.

Il “guaritore alternativo”

La figura dell’operatore shiatsu come “guaritore alternativo” si basa sul modello seguente: l’operatore fa la “diagnosi”, cioè: 1. si pone in una posizione “esterna” alla

persona trattata, come fa qualsiasi altro operatore del sanitario e/o dell’alterna-tivo (medico, agopuntore, omeopata, erborista, fisioterapista, ecc.)

2. analizza la persona raccogliendo le

informazioni “osservando, ascoltando, chiedendo e toccando” (i momenti clas-sici di qualsiasi diagnosi sia occidentale che orientale).

3. inquadra i dati raccolti nel “suo” mo-dello interpretativo (o i suoi modelli interpretativi se ne adotta più di uno) e trae delle conclusioni (o ipotesi se i da-ti non sono univoci o sufficientemente probanti).

4. attiva e/o propone le iniziative “cu-rative” che il modello operativo (o i modelli operativi) proprio/i della sua disciplina per modificare la situazione e riportare la persona da una situazione

di patologia/alterazione/disagio a una si-tuazione di salute/equilibrio/benessere.

In realtà in tutto ciò c’è ben poco di al-ternativo; quando l’omeopata, l’erborista, l’operatore shiatsu adotta questa proce-dura si comporta esattamente come il medico allopatico, il chirurgo, il fisioterapi-sta; cambia solo il modello interpretativo (diagnosi cinese invece che italiana) e il modello operativo (aghi o erbe invece che bisturi e farmaci). Si tratta solo di vedere cosa funziona meglio, e in genere la far-macopea moderna e gli attuali strumenti diagnostici stravincono (non è un caso che anche in Cina, dall’inizio del secolo scorso, la medicina moderna abbia scalzato la me-dicina tradizionale; basti osservare come l’agopuntura sia per lo più ridotta oggi a funzioni anestetiche e analgesiche sia in occidente che in oriente o, nella migliore delle ipotesi, sia comunque utilizzata all’in-terno di un quadro di patologie scientifi-

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che). In questo quadro è chiara l’indispen-sabilità del modello codificato (la diagnosi dell’addome e/o il percorso dei meridiani) e la subordinazione della percezione sog-gettiva dei soggetti in gioco (chiamiamoli persone) all’oggettività dello schema.È facile riconoscere l’operatore di questo tipo, sia perché cerca e trova sicurezza nella “teoria/modelli/schemi” sia perché opera le scelte attraverso il ragionamento; opera prevalentemente attraverso la dimensione razionale al punto che si sforza di inquadrare anche ciò che razionale non è, le sensazioni, in un modello razionale (il punto è vuoto perché…, la causa del disturbo è…, ecc.) e non si fida delle sensazioni se il quadro che costruisce non soddisfa la sua dimen-sione razionale-conoscitiva.

Il “manovale del pollice”

Non è un caso che il termine manovale

abbia assunto nella nostra società un valore dispregiativo; la supremazia della ragione sull’istinto, della mente sul corpo, della teoria sulla pratica, dell’intelligenza sulla percezione, del costruito sul naturale, ecc. è il frutto di oltre due secoli di mec-canicismo scientifico. L’uomo, grazie al suo cervello superiore, domina la natura e la piega alle sue esigenze; la professione in-tellettuale è superiore all’attività manuale; la diagnosi è superiore all’intervento ope-rativo, al trattamento; quindi la diagnosi la fa solo il medico e la massima aspirazione delle professioni sanitarie subordinate (fi-sioterapista, infermiere, ecc.) è di ottenere un ambito di autonomia diagnostica, quindi la dignità di professionista intellettuale in quanto “superiore” (e i medici si oppon-gono perché vorrebbe dire perdere la supremazia).In questo quadro anche l’operatore shiatsu di tipo intellettuale “vuol fare la diagnosi” per acquisire dignità e credibilità

ZONA SOTTO L’ORECCHIO

A

B

CD

2 AB 2 AC 2 AD

coppie di collegamento tra i luoghi della zona indicata

Tavola n° 2

fig.1 fig. 2 fig. 3Nelle 3 figure sotto, tecniche di doppia pressione con l’utilizzo dei due palmi.

Questo vuol dire cercare la profondità di un punto anche cercandola lungo un percorso?Doppia pressione vuol dire cercare la natura: in alta montagna o in pianura la pressione è diversa. Ho sempre cercato di far coincidere il mio lavoro con la natura.

Doppia pressione perché ogni punto ha bisogno di una pressione diversa?Monti; mari: atmosfera diversa. La mia sensazione però era vaga.

Le mani allora devono lavorare da sole?Sì, bisogna cercare la differenza di atmosfera: montagna, collina, lago o mare, dove si trova la profondità?

Tratto da “Shiatsu Do 23”: intervista a Yuji Yahiro.

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(mimetizzandola furbamente con termini quali “analisi energetica” o simili) e cerca il proprio punto di forza e di sicurezza nelle teorie e nell’analisi razionale.La figura professionale dell’operatore shiatsu co-me “manovale del pollice” invece identifica la propria forza e trae la propria sicu-rezza nella e dalla manuali-tà, nella propria capacità di usare le mani per entrare in relazione profonda, tra-mite la pressione, con la persona trattata.Si fida della propria percezione come mezzo per entrare in comunicazione con la vitalità della persona con cui lavora e non sente il bisogno di inquadrare “per forza” le sue sensazioni in un modello codificato. Non sceglie di analizzare dal-l’esterno la persona trattata e di decidere razionalmente quale trattamento operare, ma cerca di “entrare nel fenomeno uke” per generare un nuovo fenomeno che nasce

dal gioco di stimolo-risposta tra chi preme e chi è premuto e diventa nuova vitalità; e cosa, se non questo fa “funzionare” lo shiatsu?

Non si tratta di affermare l’importanza dell’igno-ranza, ma la supremazia dell’esperienza percettiva sulla padronanza nozio-nistica; per esprimere brutalmente il concetto, insomma, funziona di più lo shiatsu di uno che “sa tutto ma non sente nulla” o quello di uno che “non ca-

pisce nulla ma ha le mani d’oro”? Gli utenti, l’esperienza insegna, lasciano il primo di-soccupato e fanno la fila dal secondo.

Il manovale del pollice è l’operatore che si incontra con la vitalità di uke non inter-pretando razionalmente i segni e gestendo dall’esterno il processo di guarigione ma che, come riporta il Nei Ching Ling Shu (riferito all’agopuntore ma…) ... “la sua

mano si dirige da sola verso i ‘luoghi’ del corpo ove, nell’incrociarsi dei soffi, si radica-no gli Spiriti. Abile e sicura, questa mano è abbandonata all’ispirazione degli Spiriti che dimorano in lui”.Se interpretiamo “Spiriti” come l’espres-sione della Vita (in senso lato, ma anche nel senso più immediato della vitalità, la risposta vitale che sentiamo abitualmente sotto i nostri pollici) abbiamo che: a. la mano (o le mani) si dirige da sola,

abile e sicura, abbandonata all’ispirazio-ne…;

b. gli Spiriti che dimorano in lui (nel-l’operatore) ispira il movimento verso il luogo del corpo ove si radicano gli Spiriti (della persona trattata). La vita (o vitalità) di tori cerca e incontra la vita (vitalità) di uke;

c. ...nell’incrociarsi dei soffi… in un feno-meno dinamico in continua evoluzione.

La formula semplice, quasi uno slogan, che uso spesso per definire questo tipo di operatore shiatsu è “la mente è vuota, le mani vanno da sole... e le cose succedono”.

La formazione nello shiatsu ha il difficile compito di ristrutturare la nostra scala di

valori

fig. 4 fig. 5 fig. 6

Doppia pressione con l’utilizzo di avambraccio e palmo.

Doppia pressione con l’utilizzo di un pollice e un palmo.

fig. 7 fig. 8 fig. 9

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Controllo razionale e/o percezione:una questione di fiducia

Ovviamente ciascuno di noi usa nella pratica quotidiana sia la dimensione razio-nale (dovrebbe essere lobotomizzato per poterlo evitare), sia le percezioni che gli arrivano attraverso le pressioni (dovrebbe essere monco per poterlo evitare).La discriminante nasce nell’affidamento, nella fiducia che l’operatore prevalente-mente ripone nell’una e nell’altra dimen-sione, ma a quale dimensione si appoggia quando i sensi e la ragione entrano in conflitto?Un conflitto che negli ultimi 200 anni si è risolto a favore della ragione; se il nostro occhio ci dice che la terra è piatta e la testa ci informa che invece è rotonda, se la nostra percezione ci comunica che la terra è ferma al centro del movimento del sole e la dimensione razionale ci in-duce a pensare che è il contrario, a cosa crediamo?Tutta la nostra educazione è stata finaliz-zata a riporre fiducia nelle certezze razio-nali, a credere alla mente; anche nella pra-tica dello shiatsu cerchiamo di costruire certezze razionali e, contro ogni evidenza esperienziale, cerchiamo di controllare razionalmente (faccio la diagnosi e scelgo cosa fare) l’operatività delle nostre mani.La formazione nello shiatsu ha il difficile (ma entusiasmante compito) compito di ristrutturare la nostra scala di valori; il processo di formazione deve ricostruire la fiducia nei sensi e riportare al primo

posto, tra i fattori di guida delle scelte e sicurezza nell’operare, la fiducia nelle percezioni che i nostri pollici ci trasferi-scono.Solo l’operatore che “sente” (che ha rieducato la percezione tattile profon-da) e che si fida di quel che sente (si lascia guidare dagli input scaturiti dalla risposta vitale di uke), può operare con-sapevolmente per generare l’incontro tra vita e vita che costituisce l’essenza dello shiatsu.In altre parole è il “manovale del pollice” che produce una relazione shiatsu qualificata ed effica-ce; il “professionista intellettuale” che pretende di control-lare razionalmente (tramite la diagnosi - che sia occidentale/materiale o orientale/energetica poco cambia - e le scelte razionali con-seguenti) la relazione profonda con la vitalità di uke, in realtà ci riesce malgra-do la sua formazione; cioè la sua pratica assidua lo porta a sviluppare comunque la percezione della risposta vitale e co-munque a una relazione qualificata con la persona trattata, trascinandosi dietro la zavorra della “supremazia della raziona-lità” che lo ostacola perennemente nel suo sforzo di comunicazione “da vita a vita” con uke.

La doppia pressione e il manovale del pollice

Il lavoro di ricerca del collegamento che “fa passare il dolore”, della pressione “giusta” cioè più efficace, del punto che risponde alla pressione e dialoga con il pollice nato negli anni ’70 nel “gruppo di Yuji” e sviluppato da tutti i gruppi, le

associazioni, le scuole che utilizzano la doppia pressione è sicuramen-te stata la fucina da cui è nata la nuova cultura dello shiatsu che ha prodotto la diffusione della nostra disciplina e la sua penetrazione in tutti i settori so-ciali, compreso quello sanitario.Il gusto di giocare con le sensazioni, l’emozio-ne di sentire il punto che cambia, la sensazio-

ne della pressione su “a” che si trasmet-te in “b”, la passione della ricerca degli echi e delle risonanze, la gioia dell’evo-luzione mia e di uke che non obbedisce alle mie priorità ma si svolge secondo una “intelligenza profonda” che trascende l’intelligenza dei soggetti coinvolti… Tutto questo ha prodotto da un la-to la doppia pressione, dall’altro una generazione di operatori abituati alla ricerca e capaci di relazionarsi con “ciò che succede” (il fenomeno), non con

fig.10 fig.11 fig.12Sopra, sequenza di immagini di doppia pressione con l’utilizzo di palmo e gomito.

È solo la percezione della risposta vitale sul punto e sui punti premuti che può condurre il praticante a

lasciare i riferimenti noti e “sicuri” per una relazione

con la persona trattata che si basi sullo scambio di

“sensazioni”.

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“ciò che dovrebbe succedere” (la teoria). Una intera generazione di praticanti (la prima) si è accostata allo shiatsu perché “incontrava sensazioni indescrivibili con le parole” ma che “facevano stare bene”; la famosa comunicazione non verbale che liberava le percezioni soggettive e la re-lazione dalla gabbia stretta delle parole, dei concetti, dei ragionamenti, dell’ordine razionale, ha ceduto negli anni seguenti al fascino della spiegazione scientifica e/o della spiegazione mediante modelli codificati (dalla M.T.C. o da altre culture orientali oppure occidentali alternative - bioenergetica, macrobiotica, ayurvedica, antroposofica, ecc.). E la gioia (e l’efficacia) del punto trovato, del cambiamento per-

cepito, della risonanza scoperta e coltivata ha ceduto il campo al bisogno di sicurezza dell’operatore cercata nell’ordine della teoria formalizzata e al bisogno di appari-re credibile, di rassicurare, l’establishment, le istituzioni, i media, gli operatori sanitari, gli stessi utenti benpensanti. La doppia pressione, al di là delle possibili codifi-cazioni di kata e di mappe, ci induce, ci porta, ci obbliga a riportare l’attenzione sulla risposta vitale di uke, a ricostruire la fiducia nella nostra percezione, a ritrovare sicurezza nel cosiddetto “tatto profondo”, la sensazione che la vitalità di uke tra-smette al nostro palmo, pollice, gomito nel portare le pressioni shiatsu. E ci ob-bliga a ridimensionare la credibilità delle teorie, la fiducia su un controllo razionale su fenomeni e su processi che di razionale hanno ben poco, visto che “la vita è un mi-stero”; se il tao fosse conoscibile/spiegabile non sarebbe il tao.

Cosa succede nella pratica della doppia pressione

Ricorda Vatrini: non era però un modo di trattare standardizzato, ma un modo di

sbloccare, spostare, sciogliere per cambiare una situazione… In pratica succede che nel lavoro su uke, incontrando un punto “alterato”, come si diceva allora, un punto “rilevante”, un pun-to che risponde, vivace, il praticante non si accontentava di premerlo direttamente ma, mantenendo un pollice sul punto o zona identificato come importante, andava con l’altra mano a cercare col-legamenti, “risposte”, “risonanze” su altre zone/punti; prima cercando attorno (mi ricordo che si diceva che nelle vicinanze di un pieno si poteva sempre trovare un vuoto e viceversa), o lungo i percorsi, o ancora cercando senza schemi fissi e incontrando le risposte, le risonanze in zone imprevedibili.Questo ha creato tre tipi di fenomeni:1. che le mani si sono trovate a portar

pressioni su due punti distinti in ma-niera autonoma, cioè cercando una in-dipendentemente dall’altra la risposta sul singolo punto, quindi la profondità, l’intensità giusta per creare la comuni-cazione con uke nel punto premuto; registrando anche il cambiamento e seguendolo, modificando la pressione per restare costantemente in contatto con la risposta vitale.

2. che la ricerca della giusta pressione sui due singoli punti “autonomi” era però finalizzata alla ricerca del collegamento tra i due punti perché la pressione sul punto x (“giusta” in quanto adeguata a raggiungere la risposta vitale sul punto x) era finalizzata a produrre un cam-biamento sul punto y. Anche il punto y doveva essere premuto al “giusto” livel-lo per poter coadiuvare al cambiamen-to e registrarlo. È molto più semplice farlo che descriverlo (ovviamente ad un adeguato livello evolutivo). Sem-plicemente quando il praticante ha assimilato i principi di una pressione corretta ed inizia a percepire le rispo-ste sui punti, trovato un punto note-vole (per una risposta particolarmente vivace o inerte, o comunque rilevante o curiosa), lo mantiene in pressione e

POSIZIONE SEIZA

È la posizione di base, utilizzata come posizione iniziale o posizione di riposo (figg. a e b). Le gambe sono piegate, parallele tra loro e appoggiate al suolo lungo la linea ginocchio- stinco- dorso del piede-dita-unghie (fig. c). Cosce e glutei poggiano su polpacci e piedi. I talloni sono leggermente divaricati in modo da

accogliere e circondare i glutei (fig. d).Le ginocchia possono essere chiuse (a contatto l’una con l’altra - fig. e) o aperte (fig. f); in genere, per ottenere una buona stabilità, si adotta una posizione con una apertura delle ginocchia uguale alla larghezza del bacino o delle spalle.La colonna vertebrale è distesa (allungata senza forzature); la posizione è eretta, la fronte alta e il mento chiuso (fig. b).

a

bc

d e f

fig.13

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sulla necessità del punto y senza che le due pressioni interferiscano; in altre parole, tori deve portare il peso senza abbandonarlo su uke, tipo “ercolino sempreinpiedi”, quel pupazzo di plastica gonfiata che, avendo i pallini di piombo alla base (baricentro basso), da qualsiasi posizione ritrova sempre il proprio assetto.

b. creare così la condizione per cui lo spostamento di una mano o la variazio-ne della pressione su un punto non in-terferisca con l’altra pressione che non deve perdere la propria ottimizzazione. In altre parole lo spostamento del peso portato su una mano non deve riper-cuotersi sull’altra mano.

Tale caratteristica tecnica, un vero e pro-prio imperativo senza il quale non esiste doppia pressione, si ripercuote sulle po-sizioni: è impossibile portare una doppia pressione come descritta sopra in posi-zione che non sia samurai (un ginocchio appoggiato e un ginocchio sollevato). O meglio, è impossibile portare una doppia pressione corretta se non in samurai a

meno che non si sia costruito un livello evoluto di uso della pancia. Resta il fatto che qualsiasi forma o pra-tica che addestri alla doppia pressione “deve” utilizzare prevalentemente, se non solamente, la posizione samurai (detta anche dell’arciere). Solo dopo molta pratica e una notevo-le evoluzione personale, sarà possibile all’operatore in formazione utilizzare la doppia pressione in altre posizioni.Nella doppia pressione si possono uti-lizzare le seguenti modalità rispetto agli strumenti operativi:a. doppia pressione utilizzando i due palmi.

figg. 1, 2, 3 pag. 48 b. doppia pressione utilizzando un palmo

e un pollice figg. 4, 5, 6 pag. 49 c. doppia pressione utilizzando due pollici

figg. 14, 15, 16, 17, 18, 19 pag. 52 e 53d. doppia pressione utilizzando un palmo

e un avambraccio figg. 7, 8, 9 pag. 49e. doppia pressione utilizzando due avam-

bracci fig. 20 pag. 52f. doppia pressione utilizzando un palmo

e un gomito figg. 10, 11, 12, 13 pag. 50 e 51

g. doppia pressione utilizzando due gomi-ti fig. 21 pag. 52.

Come risulta evidente dalle immagini nelle tecniche a, b, c, la posizione privilegiata sarà “samurai” (vedi pag. 54); nelle tecniche d, e, f, e g, la posizione “samurai” è pra-ticamente impossibile da adottare perché le braccia piegate rendono indispensabile una posizione più bassa e pertanto le po-sizioni adottate sono “seiza” (vedi pag. 51)

con l’altra mano cerca, premendo, una risonanza.

3. essendo tutto ciò giocato su collega-menti reciproci: prima la mano destra trova un punto x curioso e cerca la risonanza trovandola in y; se il punto x si normalizza o comunque esaurisce la sua capacità di cambiamento, posso lasciare il punto x e, mantenendo la ma-no sinistra sul punto y trovato, spostare la mano destra alla ricerca di un nuovo punto z che risuoni con y e così di se-guito. In pratica salta la differenziazione tra mano madre e mano figlia perché nella ricerca ambedue le mani, a turno svolgono la funzione di madre o di figlia, o meglio ancora, nella ricerca dei colle-gamenti la funzione stessa scompare.

Ovviamente muta profondamente anche il modo di “portare il peso” in quanto la necessità di gestire le due pressioni in ma-niera autonoma, impone una centratura del peso che consenta al praticante di:a. portare il peso sulla mano destra cali-

brato alla necessità del punto x e por-tare sulla mano sinistra il peso calibrato

fig.14 fig.15 fig.16Dalla figura 14 alla 19, tecniche di doppia pressione con l’utilizzo dei due pollici.

fig. 20 fig. 21

Doppia pressione due avambracci Doppia pressione due gomiti

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possibilità per il praticante ben addestrato ed evoluto di giocare su collegamenti e ri-sonanze per potenziare l’effetto delle due pressioni combinate.Se il pollice destro coglie un punto che risponde e il pollice sinistro va a cercare e trova un punto collegato (un collegamento reale, cioè realmente percepito “qui e ora”, non secondo le mappe), valutato sulla base della risonanza, eco, effetto che la mano percepisce, al semplice effetto diretto della risposta alla pressione sul punto si somma l’effetto dello stimolo a distanza, della interazione che esiste tra tutti i punti del corpo e che sono più o meno attivi “qui e ora”.Diventa un lavoro “tridimensionale”, che trova e valorizza tutte le risonanze che uke è in condizione di esprimere; un ap-passionante gioco di pressioni e risposte che rimbalzano e si concatenano in una sorta di reazione a catena, di coro a più voci, di balletto vitale che stimolato e assecondato da mani sapienti e capaci di ascolto, valorizza a pieno le risorse vitali della persona trattata.

La formazione alla doppia pressione

Può sembrare una tecnica difficile e in effetti richiede un impegno particolare; è impossibile da imparare attraverso un pro-cesso razionale, è semplice da acquisire attraverso l’esperienza, la pratica ripetitiva, come del resto tutte le cose “difficilissime” che tutti imparano con facilità.

e “seiza puntato” (vedi pag. 53). Risulterà ovvio che nella ricerca delle riso-nanze si tenderà a usare prevalentemente le tecniche di pollice, stante la maggior sensibilità del polpastrello del pollice.

Le tecniche di pressione dei tre stili

Per maggior chiarezza riportiamo alcune immagini in cui palmo e pollici sono uti-lizzati in modo diverso, cioè senza doppia pressione nelle modalità tipiche dello stile Namikoshi e dello stile Masunaga.Con i pollici sovrapposti: figg. 22, 23, 24, 25 a pag. 54.Con una mano che tiene e l’altra che pre-me: figg. 26, 27, 28, 29 a pag. 55.

Il 3° stile: “la doppia pressione”,naturale, efficace, ovvia

“….se abbiamo 2 mani e sappiamo che i punti premuti, se ben scelti, dialogano tra loro, è un irragionevole spreco di energie non utiliz-zare una tecnica di doppia pressione…” ancora da “Musashi”“Sotto un certo aspetto, era la cosa più sem-plice del mondo. Si nasce con due mani - è naturale usarle entrambe.L’uso d’ambo le braccia in duello era la via normale, la via umana: soltanto l’usanza, inve-terata nel corso dei secoli, aveva fatto sì che ciò apparisse anormale.Il tamburino è conscio della destra, conscio

della sinistra, ma al contempo inconsapevole di entrambe. Due bacchette, un unico suono.Adesso, d’un tratto, quella scelta istintiva gli apparve naturale, razionale, addirittura inevitabile.”

L’uso delle due mani che premono au-tonomamente, nelle modalità spiegate sopra, costituisce sicuramente la tecnica più efficace perché permette di cercare la risposta vitale in due punti (con i pollici e i gomiti) o zone (con i palmi e gli avambrac-ci) adattando la pressione al bisogno e al cambiamento dei punti di contatto. E già questo costituisce un vantaggio rispetto alla pressione su un punto solo sia che nasca dalla sovrapposizione dei pollici, sia dall’utilizzo dell’altra mano per tenere o per coprire. Ma la marcia in più decisiva nasce dalla

POSIZIONE SEIZA PUNTATO

Come la posizione "seiza" con i piedi puntati, cioè appoggiati a terra solo sulle dita (flg. j); le dita sono piegate in avanti (appoggiano la parte carnosa e sono piegate a 90° rispetto l'asse del piede, fig. k).

j

k

fig.17 fig.18 fig.19

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POSIZIONE SAMURAI

È la posizione più usata nello shiatsu, stabile e dinamica, solida e attiva (figg. q, r e s).Consente una gestione evoluta del peso.Una gamba è piegata a 90° con il ginocchio e il piede appoggiato al suolo; l’asse ginocchio-anca-colonna-testa è verticale.

Il piede può essere appoggiato al suolo con la superficie dorso del piede-dita-unghie (posizione più rilassata come in seiza, fig. t), poggiare sulle dita piegate (posizione più vigile e dinamica, come in seiza puntato (fig. u).L'altra gamba è sollevata, con il piede che appoggia sulla pianta, il ginocchio piegato

a 90° e la coscia parallela al suolo. Coscia della gamba sollevata e gamba appoggiata al suolo sono parallele.I punti d’appoggio (ginocchio e piede) sono su linee parallele più o meno discoste (figg. v e w).In altre situazioni il piede appoggiato sulla pianta e il ginocchio e le dita appoggiate

dell’altra gamba possono disegnare un triangolo (fig. x). Sono variazioni sul tema che consentono di conferire alla posizione samurai condizioni di maggior stabilità o agilità che la rendono adatta a gestire il peso in ogni condizione di lavoro.La posizione base (ed è anche la più usata) vede le due gambe allineate su due direttrici parallele ad una distanza pari all’apertura del bacino o delle spalle (fig. y).

q

r

s

t

u

v w x y

automatismo, quando “facciamo bene senza pensare, a mente vuota”.Imparare a andare in bicicletta è, in teo-ria, una cosa difficilissima; per mantenere l’equilibrio è necessario ad ogni pedalata bilanciare la spinta inclinando con preci-sione millimetrica il mezzo in direzione

opposta e ad ogni curva è necessario che la forza centrifuga e la gravità creino una risultante che vada a cadere esattamente nello spessore del copertone. Se voles-simo controllare razionalmente un giro in bicicletta ci abbatteremmo al suolo o ci schianteremmo contro un palo dopo

Tutte le immagini riportate sono tratte da tre videocassette che riproducono fedelmente i 4 kata formativi.

fig. 22

fig. 23

fig. 24

fig. 25

Quando impariamo a camminare, ad anda-re in bicicletta, a nuotare, a guidare l’auto-mobile ricorriamo ad un metodo semplice ed efficace: provare, provare e provare... e quando abbiamo acquisito le prime abilità, praticare, praticare, praticare... fino alla completa padronanza segnata dal totale

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pochi metri. Eppure qualsiasi persona, bambino o adulto che sia, impara in poche ore a stare in equilibrio sul mezzo e con qualche centinaio di ore di pratica diventa disinvolto, istaura l’automatismo.Per questo la codificazione di un percorso formativo per acquisire la tecnica più diffi-cile e più efficace non poteva che passare da una codificazione di kata progressivi.È il modo più semplice di acquisire abilità e padronanza: provare ad eseguire un trattamento codificato (kata) e ripeterlo fino all’automatismo costruendo un modo diverso di fare e di essere; sul nuovo livello raggiunto un nuovo kata, strutturato ap-positamente, andrà a proporci una pratica idonea a costruire nuove abilità e nuove padronanze, e così via.

Un kata può riuscire a contenere un principio?Se il kata viene dalla ricerca, se è un vero kata, e non “moda”, se è nato dal sudore, allora per forza contiene un principio. Ma pochi kata sono così. In nome del metodo, a volte si creano dei kata inutili. Per questo codificare un kata è molto difficile: bisogna sudare sangue.

Tratto da “Shiatsu Do 23”: intervista a

Yuji Yahiro.

La codificazione, essenziale e collaudata, di kata progressivi efficaci nel costruire, livel-lo per livello, la padronanza evoluta della doppia pressione ha preso vita in questi ultimi vent’anni ad opera dell’Accademia Italiana Shiatsu Do.Si è trattato di un lavoro che ha coinvolto un centinaio di istruttori e circa ventimila praticanti e che ha prodotto, anno dopo anno, la formalizzazione di 4 kata progres-sivi (un quinto è in fase di prima codifica-zione dopo un lavoro di circa 5 anni).Sono:I kata: Hoko no Kata è preparatorio alla doppia pressione, finalizzato a costruire una pressione semplice portata con il

peso e la perpendicolarità più elementare, quella secondo la linea di gravità.II kata: Tai ju no kata introduce alla doppia pressione, consolidando la pressione por-tata con il peso e utilizzando perpendico-larità più complesse con l’uso contempo-raneo di due palmi e/o due pollici.III kata: Ryo atsu no kata, kata della dop-pia pressione forma alla doppia pressione con l’utilizzo prevalente dei pollici e della posizione samurai.IV kata: Hiji no kata, utilizza il gomito in posizioni basse, rafforzando la centratura su tandem e costruendo la doppia pres-sione in seiza.Riportiamo alcune immagini che ripro-ducono alcuni momenti dei quattro kata formativi (vedi pag. 56, figure 30, 31,32).

Modelli e mappe

Abbiamo sopra affermato che lo stile della doppia pressione è nato dalla rottura degli schemi imposti dagli stili esistenti negli an-ni ’70 e dal gusto di ricerca di sensazioni, risposte, risonanze che il libero movimen-to dei pollici e un adeguato sviluppo della

percezione ha generato.La libera ricerca ha presto riconosciuto come limitate e limitanti gli schemi basati sulla sequenza di punti di Namikoshi, e sui meridiani di Masunaga (e del resto sia Namikoshi che Masunaga sviluppando il loro stile avevano sentito inadeguati i preesistenti meridiani della M.T.C.).Non è una volontà di svalutare o disprez-zare i modelli preesistenti, per i quali non possiamo non ringraziare i ricercatori anti-chi e moderni che ce li hanno lasciati quale preziosa eredità, ma ogni pratica originale tende inevitabilmente a costruire modelli nuovi adeguati e coerenti alle caratteristi-che della pratica stessa.Se all’agopuntore interessano i punti in cui infiggere l’ago, è chiaro che tenderà a tracciare una linea retta tra punto e punto perché quel tratto non interessa; diversa-mente usando i pollici (o i gomiti come fa Masunaga) lungo un percorso, il tragitto del percorso sarà importante in ogni trat-to e nascono meridiani senza zig-zag (co-me in agopuntura), ma fluenti e con curve dolci. Allo stesso modo, se Namikoshi preme solo sui punti a pollici sovrapposti,

fig. 26 fig. 27

fig. 28 fig. 29

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DEFINIZIONE

Modello culturale di riferimento:

Modello operativo di riferimento:

Tecnica di pressione:

Condizione delle zone trattate:

Modalità di pressione:

Namikoshi

STILE DI POLLICI SOVRAPPOSTI

modello strutturale-ortopedico scientifico occidentale

codificazione di una mappa basata sulla definizione originale di una serie di punti anatomo-fisiologici (scelti, sembra, prevalentemente per la loro efficacia stante la corrispondenza con inserzioni muscolari, innervazioni, gangli linfatici, ecc.)

pressioni a pollici sovrapposti (poche pressioni a pollice unico)

corpo e arto in posizione naturale, rilassato

pressioni ripetute più volte sullo stesso punto prima di passare ad altro punto

il modello che gli serve è costituito da una sequenza di punti e il tracciato sottostante tende a scomparire.Una tecnica di ricerca che usa la doppia pressione nella ricerca di risonanze in punti/zone distanti con le due mani tende-rà a costruire ed utilizzare mappe di zone messe in relazione a coppie (o in alcuni casi zone con relazioni più complesse, con due o più zone alternative o incrociate, ecc.). Le mappe pubblicate sul n° 19 e di cui riproduciamo qualche tavola (tavola 1 a pag. 45 e tav. 2 a pag. 48), sono una prima elaborazione di schemi che nascono da un lavoro a due mani autonome. Pensiamo che lo sviluppo e la diffusione dello stile della doppia pressione darà, nel tempo, vita a mappe e sequenze che, pren-

dendo origine da questo tipo di pratica, la alimenteranno fornendo ai praticanti una traccia autorevole (autorevole perché svi-luppata dal lavoro e dalla ricerca di migliaia di praticanti e sedimentata nei decenni) che potrà guidarli nei primi passi (anzi nei secondi, perché i primi saranno guidati dai kata).Mi auguro che la pratica di questo stile, bello ed efficace, porti negli anni futuri nu-merosi praticanti a scoprire il gusto della ricerca delle risposte e delle risonanze (è più divertente che giocare a flipper e crea una unione profonda con la vitalità del-l’altro) che uke ci trasmette se sappiamo ascoltare e ci accostiamo con attenzione e rispetto alla grandezza della vita che vibra sotto i nostri pollici. 9

fig. 30 fig. 31 fig. 32

Tornando alle pressioni, per analo-gia: nella doppia pressione si usano le mani separate…È il modo di vedere il corpo che fa la differenza nello stile. Il pensiero vitale del maestro Namikoshi era centrato sullo tsubo. Masunaga in-vece puntava sui meridiani. Questo è il punto cruciale che determina la differenza tra i due metodi: conside-rare il punto d’entrata il punto vita-le, o il meridiano. Secondo me sono giuste entrambe le considerazioni. Come dire che per me vanno bene sia gli spaghetti che le lasagne.

Tratto da “Shiatsu Do 23”: intervista a

Yuji Yahiro.

Masunaga

STILE DELLA MANO MADRE E DELLA MANO FIGLIA

modello energetico orientale con mediazioni fisiologico-anatomico moderne

codificazione di una mappa basata sulla riscrittura originale di percorsi energetici

pressioni portate su un punto/zona con nocche, gomito o ginocchio mentre la mano madre “tiene” una zona del corpo o dell’arto trattato

corpo e arti in stiramento

pressioni portate una volta sola su ogni punto, ripetute lungo il percorso energetico

3° stile

STILE DELLA DOPPIA PRESSIONE

uso integrato di modelli diversi privilegian-do: M.T.C./Taoista/Complessità

codificazione di nuove mappe di zone e punti risonanti

pressioni “autonome” su 2 punti o zone con palmi, pollici e gomiti nelle varie combi-nazioni

sia in posizioni naturali che in posizioni di stiramento

pressioni contemporanee su due punti/zone di durata variabile secondo il ritmo più effi-cace e la risposta vitale percepita