La via Dello Shiatsu

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Parolin Claudio e altri SHIATSU - DO La Via dello Shiatsu L'incontro LUNI Editrice Lo shiatsu, sull'onda della moda e del successo commerciale, rischia di smarrire la propria identità e decadere, riducendosi, come è successo all'agopuntura, ad una disciplina paramedica. L'autore, shiatsuka della prima generazione e fo ndatore della più importante scuola di shiatsu in Italia, riscopre e ripropone la carica innovativa ed "eversiva" dello shiatsu come "via all'armonia globale" sia per Tori (colui che preme) sia per Uke (colui che risponde alle pressioni(.) . Questo libro non è prettamente da intendere come un quaderno tecnico relativo allo shiatsu - benchè la quantità di disegni e spiegazioni guidi il lettore nel modo mig liore ad apprendere il metodo di lavoro - ma piuttosto come una passeggiata, un percorso nei campi del mondo dello shiatsu. L'autore riesce in queste pagine, a darci un inquadramento "ideologico" che è anche una coloritura del mondo nel quale egli da più di vent'anni opera: quello dello shiatsu. Egli ci guida, mano nella m ano, per un sentiero che è determinato da due kata, cioè da "forme", che nascono e s i concludono con abbondanza di disegni e dovizia di particolari. Questo libro ra ppresenta un raro esempio di sintesi, un inizio di codificazione che potrà solo ag evolare il neofita e il praticante, riconducendoli entrambi a un metodo comune n el quale applicare la propria esperienza e conoscenza. -------------------------------------------------------------------- Claudio Parolin incontra lo shiatsu all'inizio del 1976, praticando sotto la gui da del Maestro Yuji Yahiro, nel primo dojo aperto a Milano presso Il Bu Sen. Dal '78 promuove la diffusione dello shiatsu con incontri di pratica e corsi. Nel 1983 apre, con un gruppo di allievi, , un primo centro a Milano, , "Il Vento", che diventa presto uno dei principali riferimenti per l'apprendimento dello shia tsu in Italia. Nel contempo continua ad approfondire lo shiatsu sotto la guida d el Maestro Yahiro, ampliando gli ambiti di ricerca e tecniche affini quali agopu ntura, moxa, tecniche posturali, di movimento e correttive, tecniche respiratori e, alimentazione... Per alcuni anni segue insegnamenti del Maestro Masahiro Oki, fino alla sua scomparsa nel 1985. Nei primi mesi dell'86 si fa promotore presso i più esperti istruttori e operatori shiatsu dell'epoca per l'istituzione della p rima scuola a diffusione nazionale: fonda così l'Accademia Italiana Shiatsu Do che diviene in pochi anni la più conosciuta e diffusa realtà di insegnamento dello shia tsu. E' indubbiamente tra i maggiori esperti di insegnamento dello shiatsu avend o al suo attivo la fondazione di oltre 50 istruttori e 2000 operatori a vari liv elli. Attualmente pratica presso la Sede Nazionale dell'Accademia a Milano, svol ge la sua opera di istruttore in tutta Italia ed è Responsabile della Formazione d ell'Accademia stessa. E' inoltre direttore responsabile della rivista "Shiatsu D o" la più autorevole e diffusa pubblicazione di settore in Italia. Le vie dell'armonia Quaderni tecnici 2001 LUNI Editrice Milano, Trento Indice Le scuse dell'autore 13 I protagonisti: Tori e Uke 15 L'incontro 17

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Parolin�Claudio�e�altri�

SHIATSU�-�DOLa�Via�dello�Shiatsu

L'incontroLUNI�Editrice

Lo�shiatsu,�sull'onda�della�moda�e�del�successo�commerciale,�rischia�di�smarrire�la�propria�identità�e�decadere,�riducendosi,�come�è�successo�all'agopuntura,ad�una�disciplina�paramedica.���L'autore,�shiatsuka�della�prima�generazione�e�fondatore�della�più�importante�scuola�di�shiatsu�in�Italia,�riscopre�e�riproponela�carica�innovativa�ed�"eversiva"�dello�shiatsu�come�"via�all'armonia�globale"�sia�per�Tori�(colui�che�preme)�sia�per�Uke�(colui�che�risponde�alle�pressioni(.).�Questo�libro�non�è�prettamente�da�intendere�come�un�quaderno�tecnico�relativo�allo�shiatsu�-�benchè�la�quantità�di�disegni�e�spiegazioni�guidi�il�lettore�nel�modo�migliore�ad�apprendere�il�metodo�di�lavoro�-�ma�piuttosto�come�una�passeggiata,�un�percorso�nei�campi�del�mondo�dello�shiatsu.�L'autore�riesce�in�queste�pagine,�a�darci�un�inquadramento�"ideologico"�che�è�anche�una�coloritura�del�mondo�nel�quale�egli�da�più�di�vent'anni�opera:�quello�dello�shiatsu.�Egli�ci�guida,�mano�nella�mano,�per�un�sentiero�che�è�determinato�da�due�kata,�cioè�da�"forme",�che�nascono�e�si�concludono�con�abbondanza�di�disegni�e�dovizia�di�particolari.�Questo�libro�rappresenta�un�raro�esempio�di�sintesi,�un�inizio�di�codificazione�che�potrà�solo�agevolare�il�neofita�e�il�praticante,�riconducendoli�entrambi�a�un�metodo�comune�nel�quale�applicare�la�propria�esperienza�e�conoscenza.

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Claudio�Parolin�incontra�lo�shiatsu�all'inizio�del�1976,�praticando�sotto�la�guida�del�Maestro�Yuji�Yahiro,�nel�primo�dojo�aperto�a�Milano�presso�Il�Bu�Sen.�Dal�'78�promuove�la�diffusione�dello�shiatsu�con�incontri�di�pratica�e�corsi.�Nel��1983�apre,��con�un�gruppo�di�allievi,�,�un�primo�centro�a�Milano,�,�"Il�Vento",�che�diventa�presto�uno�dei�principali�riferimenti�per�l'apprendimento�dello�shiatsu�in�Italia.�Nel�contempo�continua�ad�approfondire�lo�shiatsu�sotto�la�guida�del�Maestro�Yahiro,�ampliando�gli�ambiti�di�ricerca�e�tecniche�affini�quali�agopuntura,�moxa,�tecniche�posturali,�di�movimento�e�correttive,�tecniche�respiratorie,�alimentazione...�Per�alcuni�anni�segue�insegnamenti�del�Maestro�Masahiro�Oki,�fino�alla�sua�scomparsa�nel�1985.�Nei�primi�mesi�dell'86�si�fa�promotore�presso�i�più�esperti�istruttori�e�operatori�shiatsu�dell'epoca�per�l'istituzione�della�prima�scuola�a�diffusione�nazionale:�fonda�così�l'Accademia�Italiana�Shiatsu�Do�che�diviene�in�pochi�anni�la�più�conosciuta�e�diffusa�realtà�di�insegnamento�dello�shiatsu.�E'�indubbiamente�tra�i�maggiori�esperti�di�insegnamento�dello�shiatsu�avendo�al�suo�attivo�la�fondazione�di�oltre�50�istruttori�e�2000�operatori�a�vari�livelli.�Attualmente�pratica�presso�la�Sede�Nazionale�dell'Accademia�a�Milano,�svolge�la�sua�opera�di�istruttore�in�tutta�Italia�ed�è�Responsabile�della�Formazione�dell'Accademia�stessa.�E'�inoltre�direttore�responsabile�della�rivista�"Shiatsu�Do"�la�più�autorevole�e�diffusa�pubblicazione�di�settore�in�Italia.�

Le�vie�dell'armoniaQuaderni�tecnici

2001�LUNI�Editrice�Milano,�Trento

IndiceLe�scuse�dell'autore 13I�protagonisti:�Tori�e�Uke 15L'incontro 17

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1°�Passo�Lo�shiatsu�e�l'arte�di�imparar�facendo� 232°�Passo�Eppur�accade 263°�Passo�...�là�dove�si�incontrano�pressione�e�risposta 304°�Passo�Approccio�scientifico�o�«fede»�nella�scienza? 385°�Passo�Godersi�il�sole 456°�Passo�Afferrare�la�realtà 517°�Passo�La�Grande�Macchina 578°�Passo�La�scienza�si�morde�la�coda 659°�Passo�Ricerca�e�illusione 7110°�Passo�Ricerca�e�speranza 9011°�Passo�Senza�modello�e�senza�intento 10412°�Passo�Il�ritorno�all'incertezza 11513°�Passo�L'ordine�nel�caos � 12214°�Passo�Un�modello�che�nasce � 13115°�Passo�L'Accademia�Italiana�Shiatsu�do,�una�esperienza�originale14816°�Passo�La�scuola�del�«fare» 15117°�Passo�Noiosamente�ripetitivo�ma 15618°�Passo�La�pratica:�i�kata 161- Le�posizioni 163- Hokò�no�kata�(Kata�del�camminare) 169- Tai�ju�no�kata�(Kata�del�peso�portato) 191Appendice�1:�ipercorsi�energetici 249Appendice�2:�Bibliografia 275Appendice�3:�la�rivista�«Shiatsu-do» � 277Appendice�4:�le�sedi�dell'Accademia�in�Italia 284�

SHIATSU�DO

Dito�Pressioni�Via

Do-TaoDo.�Tao.�Via,�strada,�sentiero,�corso,�capo,�principio,�dottrina,�parlare.�Il�carattere�a�sinistra�significa�«correre».�È�formato�dalla�combinazione�dei�segni�che�indicano�il�movimento�(linea�diagonale)�e�«gamba».�Il�carattere�a�destra�raffigura�una�faccia�-�le�linee�verticali�in�alto�rappresentano�ciuffi�di�capelli�e�il�rettangolo�in�basso�è�la�faccia.�Il�tao�è�una�persona�che�corre�lungo�un�sentiero.Gli�antichi,�che�per�primi�immaginarono�il�Tao,�erano�persone�semplici�e�rustiche.�Formarono�le�loro�concezioni�camminando�per�montagne�che�parevano�lame�di�granito,�scavando�suoli�granulosi�e�navigando�ampi�fiumi.�Lavorando�e�viaggiando,�percepirono�lentamente�l'ordine�grandioso�della�vita.�Notarono�le�fasi�regolari�del�sole,�della�luna,�della�terra�e�delle�maree.�Seguirono�le�stagioni.�Osservarono�la�nascita,�la�vita�e�la�morte�delle�persone,�così�come�l'ascesa�e�il�crollo�dei�regni.Di�notte,�gli�anziani�sedevano�all'aperto�vicino�ai�fuochi�e�parlavano�a�coloro�che�volevano�apprendere.�Per�illustrare�le�loro�idee�e�per�aiutare�la�memoria�degli�allievi,�disegnavano�dei�pittogrammi�sul�terreno.�Insegnavano�la�lezione�che�essi�stessi�avevano�sperimentato:�la�vita�era�un�movimento�supremo,�più�grande�degli�esseri�umani,�più�grande�del�cielo�e�della�terra.�Niente�era�fisso,�poiché�tutto�-�dai�cicli�del�sole�e�della�luna�alla�nascita�e�alla�disfatta�degli�imperi�-�mostrava�trasformazioni�cicliche�senza�fine.�Riassunsero�tutto�questo�disegnando�una�figura�di�Tao:�una�persona�che�corre�lungo�un�sentiero.�Quelli�che�tra�noi�vogliono�studiare�il�Tao�possono�trarre�molto�da�quella�semplice�immagine.�Rappresenta�il�movimento�organico�del�cosmo�come�un�grande�corpo�dinamico�ed�equilibrato�in�moto,�così�come�raffigura�il�sentiero�che�ognuno�di�noi�segue�nella�vita.�Le�definizioni�intellettuali�del�Tao�possono,�a�volte,�risultare�molto�stimolanti.�Il�ritorno�all'immagine�del�Tao�dà�un�centro�alle�nostre�cont

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emplazioni.�

«Ho�imparato�molto�dai�miei�maestri,�ancor�più�dai�miei�compagni,�e�soprattutto�dai�miei�allievi».Talmud«Quella�era�proprio�la�definizione�di�Maestro�che�cercavo.�Un�maestro�insegna�l'essenziale.�Quando�questo�è�stato�percepito,�passa�ad�insegnare�ciò�che�è�necessario�per�estendere�la�conoscenza.�Il�Maestro�Wu�Li�non�parla�della�gravità�finché�Io�studente�è�ancora�meravigliato�del�fatto�che�un�petalo�di�fiore�cada�per�terra.�Non�parla�di�leggi�fisiche�finché�l'allievo,�di�sua�iniziativa,�non�dice:�«Che�strano!�Lascio�cadere�due�sassi�assieme,�uno�più�pesante�e�uno�più�leggero,�ed�entrambi�arrivano�a�terra�nello�stesso�momento!»�Non�parla�di�matematica,�finché�l'allievo�non�dice:�«Ci�deve�essere�un�modo�per�esprimere�più�semplicemente�questo�concetto».In�questo�modo,�il�Maestro�Wu�Li�danza�con�il�suo�allievo.�Non�è�il�Maestro�Wu�Li�che�insegna,�ma�l'allievo�che�apprende.�Il�Maestro�Wu�Li�cominciasempre�dal�centro,�dal�cuore�della�materia».�G.�Zukav�La�danza�dei�maestri�Wu�Li

�Le�scuse�dell'autore«In�vista�della�morte�Hua�Tuo�voleva�affidare�al�sorvegliante�della�prigione�uno�scritto�medico,�ma�quegli�per�paura�di�punizioni�non�volle�accettare.�Tuo�non�lo�oppresse,�gli�chiese�del�fuoco�e�bruciò�lo�scritto».�Probabilmente�in�tal�modo�un'importante�opera�della�medicina�cinese�andò�distrutta�dal�suo�stesso�autore.Tradizionalmente�le�conoscenze�accumulate�in�una�vita�venivano�tramandate�agli�allievi�più�vicini�o�messe�nero�su�bianco�quando�la�vita�era�al�termine�e�si�«consegnava»�il�distillato�della�propria�ricerca�a�coloro�che�avrebbero�potuto�proseguire�su�quella�strada.�Nel�pieno�dell'attività�era�impensabile�perdere�tempo�a�scrivere�un�libro,�tanto�più�che�la�vita�continua�e�le�esperienze�si�susseguono�alle�esperienze�e,�tempo�di�stendere�un�testo�e�di�rileggerlo,�ci�si�accorge�che�è�già�superato�dalle�acquisizioni�nuove,�è�già�vecchio�e�da�buttare.Per�questo�non�avrei�mai�pensato�di�scrivere�un�libro�sullo�shiatsu...�se�non�forse�a�ottant'anni,�quando,�come�dice�la�canzone,�«la�gente�inizia�a�dare�buoni�consigli�perché�non�può�più�dare�cattivo�esempio».«�Invece�l'ho�fatto,�il�libro�intendo,�ma�ho�un�alibi.�Non�è�un�libro�mio;�è�un�testo�che�raccoglie,�condensa�e�propone�l'esperienza�di�un�gruppo,�un�folto�gruppo�di�praticanti�shiatsu�coinvolto�in�un�entusiasmante�percorso�comune:�l'Accademia�Italiana�Shiatsu�do.Ho�anche�un�secondo�alibi:�questo�non�vuol�essere�un�libro�da�leggere�mala�proposta�per�una�esperienza,�l'esperienza�di�un'evoluzione�personale�e�collettiva�che�nasce�e�procede�nella�pratica�dello�shiatsu.

Per�questo�è�scandito�in�percorsi�e�passi.Una�evoluzione�in�quattro�percorsi«Shiatsu�do»�infatti�significa�in�sintesi�percorso�evolutivo�attraverso�la�pratica�dello�shiatsu�e�questo�testo�costituisce�il�primo�tempo,�l'atto�iniziale�di�questo�percorso:�l'incontro.Gli�altri�percorsi,�che�seguiranno�con�una�cadenza�(forse)�biennale,�sono�la�tecnica,�la�scienza,�l'arte�dello�shiatsu;�che�è�come�dire�la�pressione,�la�risposta

vitale,�la�comunicazione�globale;�che�è�come�dire�il�fare,�il�sapere,�l'essere�nello�shiatsu.�Eccetera,�eccetera...�perché�in�realtà,�a�22�anni�dal�mio�primo�incontro�con�lo�shiatsu�mi�sto�rendendo�conto�che�inizio�appena�a�scalfire�quell'immensa�opportunità�di�vita�che�è�la�pratica�dello�shiatsu;�e�non�ho�la�minima�idea�di�come�sarò�e�di�cosa�avrò�nella�testa�e�nel�cuore�fra�2,�4�o�6�anni.Né�come�sarà�l'Accademia,�e�cosa�avranno�nella�testa�e�nel�cuore�i�praticanti�coinvolti�in�quella�esperienza�comune.Una�dichiarazione�d'amoreUna�cosa�è�certa:�sono�innamorato�dello�shiatsu,�fanaticamente�innamorato!�E�spero�che�questo�testo�che�nasce�dalla�collaborazione�di�alcune�migliaia�di�innamorat

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i�dello�shiatsu�possa�creare�nuovi�colpi�di�fulmine,�generare�nuovi�innamorati�con�i�quali�praticare�e�crescere�nei�prossimi�trentanni�fino�a�che�«non�potrò�più�dare�cattivo�esempio».Solo�un�consiglio:�passate�subito�a�p.�162�e�cominciate�subito�a�praticare;�le�pagine�precedenti�leggetele�nei�ritagli�di�tempo�tra�un'incontro�shiatsu�e�l'altro.�Mi�farà�un�gran�piacere�se,�dopo�almeno�400-500�ore�di�pratica,�mi�scriverete�raccontandomi�la�vostra�esperienza�di�incontro�con�lo�shiatsu�e�il�vostro�parere�sulle�proposte�contenute�in�questo�libro.�Potrebbe�nascerne�un'altra�storia.�

I�protagonisti:�Tori�e�UkeNel�testo�ricorrono�frequentemente�due�termini�giapponesi�che�è�necessario�e�doveroso�spiegare.�All'incontro�shiatsu�partecipano�due�persone,�ambedue�intensamente�coinvolte�nella�pratica.�Apparentemente�solo�una�delle�due�è�attiva,�perché�compie�i�gesti�e�opera�le�pressioni;�l'altra�appare�passiva�perché�il�suo�compito�è�restare�rilassata�a�farsi�premere.In�realtà,�come�spiegheremo,�non�esistono�parti�passive�nello�shiatsu.�La�comunicazione�e�il�cambiamento�coinvolgono�ambedue�gli�attori�dell'incontro;�anzi�paradossalmente�possiamo�dire�che�è�la�persona�che�riceve�le�pressioni�la�più�attiva,�visto�che�in�genere�è�quella�che�«cambia»�maggiormente.Non�è�facile�trovare�termini�semplici�ed�esaurienti�che�riescano�a�definire�i�due�soggetti�di�un�incontro�shiatsu.-�Esclusi�termini�come�terapista,�paziente,�malato,�medico�alternativo,�sofferente,�guaritore�ecc.�che�sono�totalmente�estranei�al�«fenomeno�shiatsu»�(anche�se,�a�mio�avviso�erroneamente,�alcuni�intendono�lo�shiatsu�come�rapporto�terapeutico�in�cui�chi�preme�cura�chi�è�premuto),�restano�parole�come�operatore,�praticante,�persona�trattata,�ricevente�ecc.�che�in�realtà�non�rendono�comunque�l'idea�della�collaborazione�attiva�tra�lo�stimolo�della�pressione�e�la�risposta�vitale�della�contropressione.Per�cui,�come�male�minore,�abbiamo�preferito�adottare�due�ideogrammi,�presi�in�prestito�(provvisoriamente)�dalla�pratica�del�judo�che,�nella�loro�intraducibilità�letterale,�rendono�necessaria�una�spiegazione�più�ampia�e�assumono�significati�che�si�avvicinano�maggiormente�al�ruolo�attivo�che�i�due�protagonisti�di�un�incontro�shiatsu�assumono.

Gli�ideogrammi�sono:Tori:�colui�che�prende�con�le�mani,�afferra,�raccoglie,�riceve,�assume...Uke:�colui�che�riceve,�accoglie,�sostiene...�In�assenza�di�termini�sintetici�migliori�useremo�in�tutto�il�testo�questi�termini�per�indicare�rispettivamente:TORI�colui�che�porta�le�pressioni�UKE�colui�che�risponde�alle�pressioni�

L'incontro���«La�sua�mano�si�dirige�da�sola�verso�il�«luogo»�del�corpo�ove,�nell'incrociarsi�dei�soffi,�si�radicano�gli�Spiriti.�Abile�e�sicura,�questa�mano�è�abbandonata�all'ispirazione�degli�Spiriti�che�dimorano�in�lui».Nei�Jing�Ling�Shu

Lo�shiatsu�non�si�occupa�della�malattia�ma�opera�sulla�vitalitàNel�procedere�dell'esperienza,�il�praticante�shiatsu�è�continuamente�portato�a�incontrare�la�realtà�oscillando�tra�due�poli.Da�un�lato�l'uso�di�schemi�logici/analogici�di�interpretazione�della�condizione�di�uke�e�l'utilizzo�di�procedure�finalizzate�al�raggiungimento�dei�risultati�richiesti�da�uke:�«vorrei�digerire�meglio,�eliminare�il�mal�di�testa,�togliere�il�dolore�e�il�blocco�alla�spalla»�ecc.

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"�)�Dall'altro�i�livelli�evoluti�di�percezione�e�di�comunicazione�con�uke�lo�portano�ad�un'azione�irriflessa�di�scelte?�movimenti,�contatti�e�pressioni�non�valutate�razionalmente�ma�operate�in�una�condizione�«alterata�di�coscienza» '�5<in�cui�automatismo�e�spontaneità�guidano�il�movimento�delle�mani.

Espressioni�quali�«le�mani�van�da�sole»,�oppure�«i�punti�chiamano»,�tramandateci�dai�testi�antichi,�assumono�nell'esperienza�dell'operatore�evoluto�un�significato�preciso�di�vissuto�quotidiano.�Spesso�il�trattamento,�iniziato�con�un�approccio�formale�fatto�di�pressioni�per�una�«diagnosi�energetica»�sull'addome,�si�sposta�quasi�immediatamente�su�un�diverso�piano�di�ascolto�di�quanto�succede�sotto�le�dita�e�di�«inseguimento»�degli�accadimenti,�di�ricerca�delle�«rispondenze»,�dissonanze�efficaci�che�si�protrae�per�l'intera�durata�dell'incontro.Tra�tori�e�uke�inizia�un�dialogo�ininterrotto�(verrebbe�da�dire�un�elegante�balletto)�in�cui�stimolo�e�risposta�si�susseguono�senza�interruzioni,�le�richieste�mute�di�uke�vengono�colte�prima�ancora�che�si�esprimano�in�modo�compiuto;�le�pressioni�portate�creano�nuovi�equilibri�che�manifestano�nuove�richieste;�che�ricevono�dalla�mano�sapiente�di�tori�nuovi�stimoli�in�un�artistico�comporsi�e�ricomporsi�di�equilibri-squilibri�che�accompagna�tori�e�uke�a�livelli�sempre�più�elevati�di�benessere�e�vitalità.�In�questo�senso�è�senza�dubbio�corretto�definire�lo�shiatsu�«arte»�in�quanto,�nelle�esperienze�sopra�descritte,�l'intensità,�il�ritmo,�la�durata,�le�sequenze,�le�combinazioni�ecc.�di�pressioni�non�nascono�da�codificazioni�o�procedure�prestabilite�ma�dalla�libera�e�creativa�interpretazione�da�parte�di�tori�della�situazione�energetica�di�uke�nella�sua�condizione�originaria�e�nel�suo�fluirecontinuo,�pressione�dopo�pressione.In�sintesi�tori,�entrando�con�le�pressioni�in�diretto�contatto�con�la�condizione�energetica�di�uke,�intreccia�con�lui�un�fitto�scambio�di�informazioni�e�stimoli,�comunicando�a�livello�profondo�(al�di�là�di�qualsiasi�comprensione�o�controllo�razionale),�vita�con�vita�per�la�costruzione�di�una�comune,�superiore�armonia.Ed�è�questo�il�segreto�dello�shiatsu,�la�sua�intima�e�profonda�essenza�che�rischia�di�essere�persa�dalle�nuove�generazioni�di�praticanti�che�per�«capire�meglio»�si�affannano�a�cercare�interpretazioni�del�fenomeno�shiatsu�utilizzando�i�modelli�della�medicina�scientifica�occidentale�o�della�medicina�tradizionale�cinese.I�maestri�della�tradizione�shiatsu�ci�tramandano�una�immagine�dell'azione�dello�shiatsu�(e�della�tecnica�adeguata�alla�sua�efficacia)�che�è�rivelatrice:�l'immagine�della�madre�che�abbraccia�il�bambino.Qualsiasi�spiegazione�in�chiave�fisica,�chimica,�organica,�funzionale,�ormonale,�enzimatica,�psicologica�ecc.�del�fenomeno�«abbraccio�della�madre»�volta�a�spiegare�il�benessere�reale�che�produce�nel�bambino�(e�nella�madre)�non�può�dare�che�una�pallida�(e�distorta)�idea�di�ciò�che�succede�in�quel�tipo�di�contatto�tra�madre�e�figlio.

Un�mondo�diversoL'obiezione�che�qualsiasi�cultore�della�medicina�scientifica�farebbe�a�questo�punto,�«vorrei�vedere�curare�una�polmonite�con�l'abbraccio�della�mamma»,�è�perfettamente�pertinente;�e�infatti�né�l'abbraccio�della�madre�né�lo�shiatsu�si�propongono�di�curare�le�malattie.Lo�shiatsu�non�è�una�medicina�(per�quanto�alternativa)�e,�come�l'abbraccio�della�mamma,�intende�solo�(!�?!)�costruire�condizioni�di�maggior�benessere,�vitalità,�equilibrio�e�armonia�per�realizzare�in�uke�(ma�anche�in�tori)�condizioni�ottimali�per�vivere.�È�questo�stato�di�maggior�vitalità�che�mette�uke�nelle�condizioni,�all'occorrenza,�di�rispondere�alle�aggressioni�o�recuperare�le�disarmonie�che�stanno�alla�base�delle�patologie�e�ne�permettono�l'insorgenza�e�lo�sviluppo.Attenzione!�Affermare�che�lo�shiatsu�non�si�propone�come�medicina,�per�quanto�alternativa,�e�non�assume�l'obiettivo�di�curare�le�malattie�non�significa�che�non�sia�efficace�in�tutti�quei�casi�in�cui�disagi,�alterazioni,�squilibri�e�disarmonie�si�manifestino�in�sintomi,�disturbi,�malanni�nel�vissuto�di�uke.È,�al�contrario,�stata�proprio�la�straordinaria�e�inesplicabile�efficacia�dello�shiatsu�in�mille�situazioni�(spesso�lo�shiatsu�è�stato�per�uke�l'ennesimo�tentativo,

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�l'ultima�spiaggia�per�trovare�sollievo�e/o�soluzione�a�disagi�non�sanati�in�anni�di�cure�«convenzionali»)�che�ne�ha�promosso�la�notorietà�e�la�diffusione�anche�in�settori�sociali�totalmente�impermeabili�alle�esperienze�esotiche.È�un�approccio�molto�diverso,�totalmente�diverso;�la�medicina�scientifica�occidentale�ordina�i�fenomeni�(sintomi�e�dati�analitici)�in�un�quadro�patologico,�identificato�da�un�nome,�che�è�determinato�dalla�concorrenza�di�tali�sintomi�e�dati�analitici;�ogni�volta�che�quei�sintomi�e�quei�dati�analitici�(o�comunque�una�quantità�significativa)�sono�presenti,�si�ha�un�caso�di�quella�malattia�chiamata�di�volta�in�volta�artrosi�cervicale,�epatite�C,�peritonite�ecc.Nella�medicina�tradizionale�cinese�il�processo�era�per�molti�versi�analogo:�la�presenza�concomitante�di�sintomi,�magari�arricchita�da�valutazioni�stagionali,�e�riscontri�diagnostici�tipici�(colorito,�lingua,�polso�ecc.)�portavano�ad�una�diagnosi�altrettanto�scientificamente�definita,�quale�«infiltrazione�di�aria»�oppure�«fuoco�di�Piccolo�Intestino»�ecc.Nello�shiatsu�non�esiste�nulla�di�tutto�ciò,^d'altra�parte�dubito�che�la�«madre�che�abbraccia�il�bambino»�possa�e�voglia�estrapolare�dalla�sua�«comunicazione�globale»�con�il�bambino�stesso�una�definizione�formale�della�condizione�del�figlio.�

Fuor�di�metafora,�nello�shiatsu�in�realtà�poco�importa�il�definire,�l'analizzare,�il�diagnosticare�(anche�se,�e�più�avanti�lo�vedremo,�si�possono�usare�nello�shiatsu�schemi�di�analisi�e�di�definizione�della�condizione�di�uke)�perché�lo�scopo�ultimo�e�qualificante�è�la�comunicazione�globale�con�uke,�oserei�dire�la�fusione�(momentanea�e�miracolosa)�della�vita�di�tori�con�quella�di�uke.�E'�questo�che�fa�accadere�ciò�che�accade,�che�produce�i�cambiamenti,�che�rigenera�vitalità�e�ricrea�equilibrio�e�armonia�in�ambedue.Perdere�di�vista�ciò,�correndo�dietro�alle�catalogazioni�dei�fenomeni,�all'organizzazione�delle�situazioni,�agli�schemi�costruiti�e�divulgati�dai�sapienti�può�significare�perdere�di�vista�la�semplice,�splendida,�efficace�essenza�dello�shiatsu.

Guerra�e�paceNella�storia�umana�si�sono�sempre�confrontate�(e�spesso�contrapposte�con�alterne�fortune)�due�visioni�della�salute�e,�per�contro,�della�malattia:�una�visione�che�possiamo�definire�«guerresca»�e�una�«pacifista».La�visione�guerresca�(lo�dice�la�parola�stessa)�ha�teorizzato�uno�stato�di�guerra�permanente�tra�l'uomo�e�i�suoi�nemici-aggressori,�e�il�compito�dellostregone-medico,�in�questa�visione,�è�sempre�stato�quello�di�identificare�e�distruggere�il�nemico.Anticamente�l'aggressore�era�costituito�dal�demone,�dallo�spirito�maligno�che�si�insediava�nel�corpo�del�malato�e�andava�scovato,�scacciato�con�rumori�e�urla�o�ucciso;�con�pozioni�e�veleni�se�era�insediato�nell'addome,�con�unguenti�e�cataplasmi,�o�meglio�ancora�col�ferro�e�col�fuoco�se�si�insediava�in�profondità�negli�arti.Agopuntura�e�moxa�probabilmente�sono�nati�dal�trasferimento�sul�piano�curativo�dell'idea�consolidata�nell'esperienza�comune�dei�popoli�antichi�di�usare�il�ferro�e�il�fuoco�per�la�distruzione�dei�nemici.Oggi�i�demoni�sono�chiamati�batteri�e�virus�(o�cellule�impazzite,�proteine�degenerate�o�altro�ancora),�ma�la�tipologia�di�intervento�resta�la�stessa;�si�tratta�di�identificare�e�localizzare�il�nemico�e�di�ucciderlo�con�antibiotici,�bombardarlo�con�bombe�chimiche�o�radiazioni�ecc.�perché�dalla�morte�del�demone�dipende�la�sopravvivenza�del�malato;�ed�è�talmente�prioritaria�la�distruzione�del�nemico�invasore�che,�pur�di�colpirlo,�si�possono�usare�armi�che�distruggono,�o�comunque�danneggiano,�il�malato�stesso.?�L'altra�visione,�quella�pacifista,�colloca�il�problema�della�salute�in�un�ambito�di�equilibrio�tra�funzioni,�energie,�situazioni;�equilibrio�che�nasce�con�la�vita�stessa�ed�è�in�continua�evoluzione,�in�sintonia�con�tutto�ciò�che�si�muove�e�cambia�nell'universo.In�questa�visione�la�persona�«malata»�è�la�persona�che�non�è�in�grado�di�rispondere�spontaneamente�ad�un�fattore�squilibrante,�che�non�possiede�la�capacità�di�risposta�vitale�per�riportarsi�in�quell'ambito�fisiologico�di�oscil-lazione�naturale�attorn

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o�alla�condizione�di�equilibrio,�la�persona�che�ha�bisogno�di�uno�stimolo�addizionale�per�tornare�a�una�condizione�dinamica�di�armonia.Che�quello�stimolo�sia�fornito�con�le�pressioni�shiatsu,�con�il�farmaco�omeopatico�o�allopatico,�l'erba,�l'ago,�la�vacanza�o�la�morosa�nuova�poco�importa;�l'essenziale�è�che�lo�stimolo�sia�volto�a�riattivare�le�sue�capacità�di�risposta�vitale�e�di�autoguarigione,�non�volto�a�distruggere�il�nemico.Saranno�poi�le�difése�dell'organismo�a�creare�le�condizioni�perché�l'aggressione�non�avvenga,�o�non�trovi�spazio�per�svilupparsi,�e,�più�in�generale,�perché�l'armonia�tra�funzioni�vitali�e�le�altre�forme�di�energia�mantengano�nell'evoluzione�uno�stato�di�equilibrio�dinamico.A�questa�seconda�visione�appartengono�le�medicine�che�privilegiano�il�rafforzamento�del�terreno,�del�sistema�immunitario,�dell'equilibrio�tra�le�funzioni;�in�sintesi�una�visione�unitaria�(olistica�si�usa�dire�oggi)�della�persona.

C'è�posto�per�tuttiContrariamente�a�quanto�può�sembrare�da�quanto�scritto�sopra,�non�ritengo�che�le�due�visioni�della�salute,�le�due�impostazioni�mediche,�siano�una�buona�e�una�cattiva;�penso�che�ambedue�siano�utili�e�nel�loro�ambito�di�applicazione�possano�e�debbano�svolgere�un�ruolo�importante.A�tutti�piace�la�pace�e�l'armonia,�ma�penso�che�tutti,�di�fronte�ad�un'aggressione�improvvisa,�prima�si�difenderebbero�con�ogni�mezzo,�poi�cercherebbero�di�ripristinare�le�migliori�condizioni�di�convivenza.Fuor�di�metafora,�di�fronte�ad�una�vasta�epidemia�di�peste�polmonare�dubito�dell'efficacia�di�un�intervento�con�agopuntura�e�moxa�e,�in�un�caso�di�peritonite�fulminante,�non�riterrei�adeguato�un�intervento�con�tisane�e�impacchi.È�pertanto�utile�e�doveroso�che�le�medicine,�di�qualsiasi�tipo�e�origine,�imparino�a�rispettarsi�e�a�vedere�nelle�originali�particolarità�dell'altra�caratteristiche�ed�ambiti�di�intervento�diversi�e�complementari.Comunque�ogni�medicina,�per�il�fatto�stesso�che�esiste,�risponde�sicuramente�ad�esigenze�che�le�altre�non�hanno�soddisfatto,�e�nessuna�medicina�può�sognarsi�di�essere�idonea�a�soddisfare�tutte�le�necessità�dell'uomo;�può�solo�ubriacarsi�dei�propri�successi�nascondendosi�i�propri�limiti,�ma�tutto�ciò�può�solo�creare�mancanza�di�rinnovamento�ed�evoluzione�e�con�ciò�stesso�le�premesse�per�il�suo�crollo.A�questo�proposito�è�rivelatore�l'atteggiamento�del�cultore�di�una�medicina�che�definisce�un�male�«incurabile»�!Il�medico�o�comunque�l'esperto�di�una�pratica�terapeutica�che�afferma�che�un�male,�o�un�paziente,�è�«incurabile»,�propone�una�visione�infantile�e�presuntuosa�della�medicina�o�della�pratica�terapeutica�che�professa.Farebbe�meglio�a�dire:�«io,�con�la�capacità�e�l'esperienza�che�possiedo�nell'uso�di�questa�medicina,�allo�stadio�attuale�di�conoscenza�e�sviluppo,�non�sono�in�grado�di�affrontare�con�successo�questa�situazione».E�del�resto�è�esperienza�frequente�e�comune�che�situazioni�anche�drammatiche�affrontate�per�anni�inutilmente�con�una�pratica�terapeutica,�si�rivelano�facilmente�recuperabili�con�il�solo�fatto�di�cambiare�approccio,�strumento�terapeutico�o�medicamento.Se�lo�shiatsu�fosse�un�tipo�di�medicina�sicuramente�rientrerebbe�nella�visione�pacifista;�una�frase�ripetuta�dai�padri�fondatori�dello�shiatsu�in�varie�forme�è:�«lo�shiatsu�stimola�la�capacità�di�risposta�vitale,�di�autoguarigione�della�persona�trattata».Ma�può�lo�shiatsu�definirsi�una�medicina?

Ad�ognuno�trovare�la�propria�risposta�e�questo�libro�vuol�essere�uno�strumento�per�creare�la�condizione�di�una�risposta�più�consapevole,�dal�punto�di�vistadel�praticante�shiatsu.Quello�che�però�mi�sento�di�affermare�senza�ombra�di�dubbio�è�che�lo�shiatsu�non�si�occupa�della�malattia�ma�opera�sulla�vitalità.�

1°�Passo

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Lo�shiatsu�e�l'arte�di�imparar�facendo���«...�nello�shiatsu�l'evoluzione�non�nasce�ascoltando�una�dotta�lezione�ma�cresce�nell'incontro�tra�pressione�e�risposta.�Il�maestro�non�è�davanti�alla�lavagna�ma�sotto�il�mio�pollice,�è�la�vita».«Peu�lire,�beaucoup�voir,�beaucoup�faire»�fu�il�precetto�guida�affermato�all'inizio�del�XIX�secolo,�all'indomani�dei�rivolgimenti�portati�dalla�rivoluzione�francese,�che�guidò�la�rifondazione�su�basi�nuove�della�formazione�dei�medici�con�l'apertura�delle�«écoles�de�santé»�a�Parigi,�Montpellier�e�Strasburgo.Letteralmente�«leggerepoco,�vedere�molto,�fare�molto».E�difatti�si�trattava�di�scuole�in�cui�il�nuovo�allievo�aveva�un�immediato�approccio�con�la�realtà�clinica�nei�reparti�dell'ospedale�e�nelle�aule�di�dissezione.�L'aspirante�medico,�l'equivalente�dell'attuale�studente�della�facoltà�di�medicina,�veniva�formato�nell'abitudine�ad�osservare�e�praticare�e�a�riporre�poca�fiducia�nelle�teorie�dominanti,�o�meglio�a�verificare�costantemente�nella�pratica�e�nell'osservazione�dei�fenomeni�se�le�teorie�imperanti�avessero�o�meno�validità.Del�resto�già�Galeno�e�ancor�prima�gli�ippocratici�propugnavano�«ilprincipio�che�accettare�ciò�che�si�può�dimostrare�con�le�proprie�facoltà�sensoriali�èla�strada�più�sicura�verso�la�verità».�Questo�atteggiamento�va�recuperato�e�riproposto�con�forza�a�quanti�si�accingono�oggi�ad�affrontare�un�qualsiasi�processo�di�apprendimento,�tanto�più�nel�caso�del�processo�di�apprendimento�di�una�tecnica�essenziale�e�concreta�quale�lo�shiatsu.Se�ripercorriamo�l'evoluzione�del�sapere�umano,�in�qualsiasi�settore,�ci�rendiamo�conto�che�i�periodi�di�stagnazione,�spesso�lunghi�secoli,�hanno�corrisposto�ai�periodi�in�cui�la�fiducia�e�l'ossequio�verso�quanto�scritto�e�tramandato�da�maestri�riconosciuti�del�passato�e�l'inerzia�mentale�e�la�pigrizia�operativa�dei�praticanti�dell'epoca�portavano�intere�generazioni�a�vivacchiare�«coperte�e�protette»�dalle�autorevoli�«teorie�dei�grandi»,�anche�quando�si�scontravano�con�l'evidenza�dei�fatti�osservabili�nella�pratica�quotidiana.

Per�millequattrocento�anni�la�base�della�scienza�e�della�medicina�fu�l'anatomia�descritta�da�Galeno�nel�II�secolo�d.C.,�e�ancora�alla�metà�del�1500�le�lezioni�universitarie�di�dissezione�si�svolgevano�nel�modo�sottodescritto:Il�professore�siede�arroccato�in�alto�su�una�vera�e�propria�cattedra,�recitando�con�voce�monotona�il�testo�di�Galeno�in�latino�mentre�un�ignorante�cerusico�seziona�il�cadavere�posto�in�basso�e�un�dimostratore�appena�più�istruito�indica�le�parti�del�corpo�agli�studenti�tiepidamente�interessati.�Le�dissezioni,�o�anatomizzazioni,�come�erano�chiamate,�erano�eseguite�una�o�due�volte�l'anno�allo�scopo�di�dimostrare�la�veridicità�degli�assunti�galenici.�Poiché�il�professore�non�scendeva�mai�dal�suo�trono�cattedratico�per�guardare�davvero�le�strutture�mostrate,�e�né�il�chirurgo�né�il�dimostratore�sapevano�veramente�cosa�stavano�facendo,�i�numerosi�giorni�dedicati�ogni�anno�a�questa�esercitazione�si�risolvevano�in�poco�più�di�una�formalità�per�adempiere�a�quanto�stabilito�dal�programma�con�scopi�più�teorici�che�reali.�Soltanto�agli�artisti�serviva�davvero�conoscere�l'anatomia.�Ai�medici�non�serviva,�tranne�che�nel�senso�più�generale:�a�loro�era�sufficiente�consultare�gli�scritti�di�Galeno.E�quando�Andrea�Vesalio,�docente�a�Padova,�invitato�a�Bologna�dagli�studenti�della�facoltà�di�medicina,�in�lezioni�pubbliche�di�fronte�a�duecento�docenti�e�studenti�mostrò�al�suo�pubblico�bolognese�la�corretta�localizzazione�di�un�muscolo�addominale,�Corti,�indignato�e�piccato�dalla�presunzione�del�collega�più�giovane,�si�alzò�ad�invocare�l'incontestata�autorità�di�Galeno�per�screditarlo.�Vesalio�non�ebbe�esitazioni.�Con�coraggio�e�grande�chiarezza�affermò�che:�ogniqualvolta�dissentiva�dal�testo,�lui,�Andrea�Vesalio,�era�in�grado�di�dimostrare�di�avere�ragione�mentre�Galeno�sbagliava.�Gli�studenti�ne�eranoentusiasti.�Alcuni�dei�membri�più�anziani�della�facoltà,�però,�uscirono�dall'aula�in�segno�di�protesta,�come�un�gruppo�di�delegati�delle�Nazioni�Unite.Avevano�voltato�le�spalle�al�futuro.�Ma�i�fatti�erano�lì,�davanti�agli�occhi�di�tutti,�verificabili�da�tutti.".La�visione�galenica�del�sistema�circolatorio�che�aveva�descritto�un�flusso�sanguigno�a�senso�unico�(secondo�la�teoria�il�sangue,�prodotto�nel�fegato�dalla

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trasformazione�delle�sostanze�nutritive,�si�spostava�verso�la�periferia�lentamente�per�portare�nutrimento�e�veniva�consumato�sul�posto�senza�alcun�ritornoo�recupero)�restò�convinzione�comune�nel�mondo�scientifico,�contro�ogni�evidenza�fino�all'inizio�del�1600.�Sarebbe�bastato�(come�fece�Harvey)�osservareil�fenomeno�in�qualsiasi�animale�a�sangue�caldo�senza�pregiudizi�per�comprendere�qual�era�la�realtà,�o�ancor�più�semplicemente�fare�un�calcolo�sulla�quantitàdi�sangue�pompato�dal�cuore�per�comprendere�l'impossibilità�quantitativa�della�teoria�di�Galeno�(Harvey�stimò�il�volume�approssimativo�di��un�ventricolo,lo�moltiplicò�per�il�numero�dei�battiti�in�un'ora�e�scoprì�che�il�fegato�avrebbe�dovuto�produrre�almeno�250�Kg�di�sangue�all'ora,�6�tonnellate�al�giorno,�per�sopperireal�bisogno�nutritivo�di�organi�e�tessuti).Tale�è�stato�il�timore�reverenziale�nei�confronti�delle�teorie�di�Galeno�che�per�1500�anni�studiosi�e�ricercatori,�anche�di�notevole�valore,�non��si�eranoneanche�permessi��di�pensare�che�potessero�essere�erronee,�anche�se�l'evidenza�clinica�e�sperimentale�quotidiana�dimostrava�il�contrario.

Il�tema�dell'utilità,�anzi�dell'indispensabilità�strutturale�delle�teorie�nell'umana�ricerca,�e�dei�rischi�che�il�riferimento�a�modelli,�teorie,�leggi�ecc.�può�comportare�sarà�affrontato�più�organicamente�nel�6°�Passo;�l'obiettivo�di�questo�passo�è�semplicemente�quello�di�indurre�quanti�si�avvicinano�allo�shiatsu�per�apprenderlo�ad�assumere�l'atteggiamento�del�ricercatore,�di�colui�cioè�che�basa�la�sua�conoscenza�su�ciò�che�pratica�e�sull'osservazione�dei�fenomeni�reali�che�«avvengono»�durante�la�sua�pratica,�rilevati�grazie�ai�suoi�sensi�(senza�limitarsi�ai�cinque�sensi�comunemente�utilizzati�con�consapevolezza).Del�resto�già�nel�primo�secolo�dopo�Cristo,�Celso�riporta�che�gli�empirici�(scuola�ellenista�di�medicina�contrapposta�ai�dogmatici�e�ai�metodici)�«ammettevano�l'esistenza�di�molti�medici�validi�che�però�si�differenziavano�completamente�nelle�loro�opinioni�teoriche».Che,�riportato�al�nostro�discorso,�viene�a�significare:�quali�che�siano�le�teorie�(completamente�diverse)�a�cui�si�ispirano,�le�cure�del�medico�capace�ed�esperto�funzionano.�Nello�shiatsu�quanto�sopra�risulta�essere�clamorosamente�vero:�credo�di�poter�affermare�che�se�un�praticante�sa�fare�le�pressioni�il�«suo�shiatsu»�funziona,�qualsiasi�sia�il�modello�o�le�teorie�a�cui�si�ispira;�se�non�sa�fare�le�pressioni�non�saranno�certo�i�molti�libri�letti�o�la�ricchezza�o�completezza�dei�sistemi�di�riferimento�che�ha�adottato�a�rendere�efficace�il�suo�trattamento.Tornando�alla�frase�iniziale,�il�precetto�diviene:�leggere�poco,�praticare�molto,�osservare�attentamente�i�fenomeni�che�«avvengono»�durante�la�pratica,�imparando�a�fidarsi�della�propria�capacità�di�riconoscere�«ciò�che�succede»�senza�lasciarsi�fuorviare�da�«ciò�che�dovrebbe�succedere�in�teoria».Poco�e�molto�sono�termini�generici;�ritengo�che�un�rapporto�tra�studio�«teorico»�e�pratica�di�1�a�30�(un'ora�di�studio�sui�libri�per�trenta�ore�di�pratica)�possa�essere�produttivo�-�mi�verrebbe�spontaneo�proporre�1�a�100�ma�vorrei�evitare�di�essere�additato�come�nemico�della�«cultura�libresca»�-�per�impostare�un�corretto�rapporto�con�lo�shiatsu�e�possa�portare�ad�un�buon�apprendimento�nel�quadro�di�una�crescita�personale�globale�attraverso�la�pratica�dello�shiatsu,�lo�shiatsu�do.�

2°�Passo�Eppur�accade...

«...�il�fatto�che�un�corpo�possa�agire�su,�un�altro�a�una�certa�distanza�attraverso�il�vuoto�senza�l'intervento�di�nient'al-�tro...,�è�per�me�un�'assurdità�così�grande�che�credo�nessun�uomo�che�si�sia�occupato�con�competenza�di�materie�filosofiche�ne�abbia�mai�incontrata�una�simile.�...�non�sono�stato�in�grado�di�scoprire�la�causa�di�questo�effetto�della�gravità�dall'osservazione�dei�fenomeni,�e�non�oso�avanzare�ipotesi...�è�sufficiente�sapere�che�la�gravità�esiste�effettivamente...I.�Newton

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Per�quale�motivo�migliaia�di�persone�che�hanno�sperimentato�lo�shiatsu,�sia�in�qualità�di�tori�(nelle�discipline�giapponesi�tori�è�la�parte�attiva�nelrapporto�-�nelle�arti�marziali�colui�che�conduce�l'azione�di�attacco),�che�di�uke�(la�parte�passiva,�colui�che�resta�in�attesa�dell'azione�di�Tori),�hanno�poi�continuato�a�praticare?Per�quale�motivo�migliaia�di�persone�che�hanno�iniziato�a�praticare�lo�shiatsu�per�curiosità,�ricerca,�gioco�si�sono�poi�trovate�a�continuare�la�pratica�per�anni,�ad�appassionarsi�totalmente,�in�molti�casi�a�ritrovarsi�«operatori�professionali»,�o�comunque�a�trovare�lo�shiatsu�in�un�ruolo�centrale�nella�propria�vita?Come�è�successo�che�migliaia�di�persone�arrivate�allo�shiatsu�per�caso�facendosi�premere�per�compiacere�un�amico,�o�tanto�per�provare�una�tecnica�descritta�su�una�rivista,�o�come�ultima�spiaggia�per�problemi�di�salute�che�la�medicina�«ufficiale»�non�aveva�saputo�risolvere,�hanno�poi�iniziato�a�viverlo�come�un�approccio�ad�un�nuovo�equilibrio�fisico�e�mentale?La�risposta�è�una�sola,�semplice�e�chiara:�perché�nella�pratica�dello�shiatsu,�sotto�il�pollice�che�preme�accade�«qualcosa».Gli�«episodi�scatenanti»�la�passione�per�lo�shiatsu�possono�essersi�verificati�in�situazioni�molto�diverse,�ma�ciò�che�ha�determinato�la�scelta�di�«sposare»�lo�shiatsu,�di�continuare�a�praticarlo�anno�dopo�anno,�sia�in�veste�amatoriale�che�in�veste�professionale,�è�il�fatto�semplice�e�immediato�che,�ripeto,�facendo�le�pressioni�accade�«qualcosa».Quante�volte,�e�penso�che�sia�successo�a�tutti,�mentre�praticavo,�mi�chiedevo�se�per�caso�non�fossi�rimbambito�a�passare�ore�a�fare�delle�pressioni�col�palmo,�col�pollice,�col�gomito�su�una�persona�sdraiata�a�terra,�pensando�di�aiutarla�a�star�meglio.Mi�stupiva�moltissimo�«osservare»�una�persona�come�me,�dalla�razionalità�ipersviluppata,�dalla�formazione�tecnico-scientifica,�di�cultura�medio-alta,�totalmente�alieno�alle�suggestioni�dell'esoterismo,�occupare�grosse�quantità�del�proprio�tempo�a�premere�con�i�pollici�seguendo�linee�e�punti�sul�corpo�di�amici�e�parenti,�scoprendo�sensazioni�strane,�inspiegabili,�non�razionalizzabili,�indescrivibili�con�il�bagaglio�di�parole�e�concetti�posseduti.La�realtà�è�che�accadeva�«qualcosa»�e�quel�«qualcosa»�era�così�interessante,�nuovo,�coinvolgente�che�la�voglia�di�continuare�a�seguire�quella�strada,�di�immergermi�in�quel�mondo�diventava�così�forte�da�portarmi�a�dedicare�sempre�più�tempo�ed�energia�allo�shiatsu,�a�sospendere�l'attività�professionale�che�mi�garantiva�lo�stipendio�mensile,�a�coinvolgere�altre�persone�(decine,�poi�centinaia,�poi�migliaia)�nell'esperienza�che�stavo�facendo.Quel�«qualcosa»�che�accadeva�(continuo�a�chiamarlo�così,�grezzamente,�perché�qualsiasi�altro�modo�di�definirlo�farebbe�perdere�l'essenzialità,�oserei�dire�la�primordialità,�del�fenomeno)�e�che�aveva�tanta�forza�di�coinvolgimento�era�inspiegabile,�e�non�mi�interessava�assolutamente�trovare�una�spiegazione;�era�inesprimibile�(perlomeno�con�il�linguaggio�usuale)�ma�non�era�importante�esprimerlo�a�parole.E�la�cosa�miracolosa�era�che,�senza�spiegarlo�e�senza�esprimerlo,�coinvolgeva�in�una�esperienza�reale,�concreta�e�viva�me�e�altre�persone;�in�primo�luogo�la�persona�con�cui�praticavo�lo�shiatsu,�e�poi�tutto�il�gruppo�che�praticava�e�poi,�negli�anni�seguenti,�i�gruppi�di�allievi,�i�collaboratori,�i�colleghi,�tutte�le�persone�che�chiedevano�e�si�prestavano�a�ricevere,�o�ad�apprendere,�lo�shiatsu�da�me�e�con�me.

Ciò�che�ci�coinvolgeva,�lo�ripeto�ancora,�non�era�il�modello�interpretativo�del�fenomeno,�la�scienza�antica�(o�moderna)�che�potevamo�veder�dietro�gli�accadimenti,�l'utilità�pratica�e�il�risvolto�economico�che�ne�poteva�derivare...�ma�semplicemente�il�fatto�che�accadeva�«qualcosa».E�mi�pareva�strano...a.�La�prima�cosa�che�accadeva,�il�primo�fenomeno�inspiegabile�era�costituito�dal�fatto�che�lo�shiatsu�«funzionava»,�cioè�generava�cambiamento.E�non�funzionava�secondo�le�mie�aspettative�e�le�mie�intenzioni�ma�in�maniera�sempre�diversa;�a�volte�l'effetto�interessava�i�disagi�o�il�disagio�più�importante�in�maniera�diretta,�a�volte�erano�manifestazioni�secondarie�che�si�modificavano�per�prime,�a�volte�i�disturbi�persistevano�ma�uke�avvertiva�dei�cambiamenti�gener

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ali�(maggior�appetito,�minor�stanchezza�ecc.)�difficilmente�quantificabili,�a�volte�non�succedeva�nulla�(ma�era�raro).�Anche�i�tempi�e�i�modi�erano�ogni�volta�diversi�e�imprevedibili:�a�volte�l'effetto�era�troppo�forte,�dirompente�addirittura,�a�volte�il�cambiamento�era�lento�e�graduale,�a�volte�dopo�progressi�incoraggianti�si�avevano�regressioni�clamorose�o,�al�contrario,�dopo�stasi�prolungate,�improvvisi�miglioramenti.��In�sostanza�non�esisteva�una�legge,�una�regola,�una�casistica�metodica�che�potesse�fornire�tracce�per�una�chiave�interpretativa,�che�permettesse�di�spiegare�i�fenomeni,�le�dinamiche�messe�in�moto;�anzi,�tutte�le�volte�che�il�ripetersi�di�alcuni�episodi�incoraggiava�una�interpretazione�«logica»�dei�fenomeni�(«finalmente�adesso�ho�capito»),�subito�lo�schema�o�il�metodo�scoperto�e�formalizzato�falliva�clamorosamente�rimettendo�tutto�in�gioco.b. La�seconda�cosa�che�accadeva:�dopo�un�certo�periodo�di�pratica�assidua,�il�pollice�iniziava�a�trasmettere�sensazioni�«strane»,�prima�episodicamente,�poi�frequentemente,�via�via�più�spesso,�e�infine�come�condizione�normale;�percezioni�non�esprimibili�nei�termini�consueti,�obbligandomi�talvolta�a�coniare�espressioni�nuove�per�descriverle�o�parlarne�con�altri�praticanti.Ma�di�solito�non�interessava�parlarne,�ci�si�limitava�a�seguirle,�cercarle,�produrle,�combinarle,�rimbalzarle�da�un�pollice�all'altro;�ed�erano�sensazioni�ogni�volta�diverse�da�persona�a�persona,�da�zona�a�zona,�da�punto�a�punto,�di�momento�in�momento,�sempre�nuove�nel�tipo,�nelle�caratteristiche,�nelle�modalità�di�manifestazione.Eppure�dopo�un�po'�così�familiari,�così�personali,�come�se�noi�e�uke�ci�comunicassimo�cose�nostre,�segrete,�che�non�osavamo�dire�a�parole,�anzi�non�sapevamo�dire�a�parole,�anzi�non�sapevamo�di�poter�esprimere�e�addirittura�di�possedere;�un�mondo�di�espressioni,�percezioni,�comunicazioni�nuove�che�non�sapevamo�esistesse�si�apriva�per�noi�per�il�semplice�fatto�di�fare�delle�pressioni.c. Terzo�elemento�(che�con�il�tempo�determinava�e�costruiva�gradualmente�una�padronanza�del�fenomeno):�le�nostre�sensazioni,�la�nostra�comunicazione�con�l'altro,�pollice�contro�pelle,�carne,�tendini�e�ossa�aveva�un�rapporto�con�quello�che�succedeva,�col�disagio�che�spariva,�con�la�forza�che�cresceva,�con�il�benessere�che�si�costruiva,�con�la�vitalità�che�tornava�in�uke�e�in�noi.Per�cui�non�era�più�necessario�aspettare�che�uke�dicesse�«mi�è�passato�il�mal�di�testa»�per�sapere�che�qualcosa�stava�succedendo,�che�qualcosa�era�successo;�era�la�nostra�sensazione,�la�percezione�che�i�pollici�ci�trasmettevano,�che�ci�davano�in�presa�diretta,�in�tempo�reale�come�si�usa�dire�oggi,�la�consapevolezza�precisa�che�quella�pressione�era�utile,�che�invece�quell'altro�punto�non�esprimeva�nulla�per�cui�era�inutile�continuare�a�premerlo,�che�la�zona�dolorante�rispondeva�in�combinazione�al�punto�nascosto,�che�il�cambiamento�si�verificava�prolungando�la�pressione�ecc.Le�cose�che�accadevano�ritrovavano�così�la�loro�unità�ricongiungendo�la�faccia�yin�del�fenomeno�(la�percezione,�il�cambiamento,�il�benessere�di�uke),�alla�faccia�yang�(la�risposta�percepita�da�tori,�l'«operatore»);�e�il�trattamento�finiva�per�essere�un�momento�miracoloso�di�unità,�di�comunicazione�diretta,�vitale�tra�i�due�protagonisti�della�pratica�shiatsu.Lo�shiatsu�è�tutto�qui;�semplicemente,�meravigliosamente�tutto�qui:�la�comunicazione�diretta�essenziale�tra�la�vitalità�di�tori�e�la�vitalità�di�uke�che�entrano�in�contatto,�in�comunione�attraverso�un�gesto�semplice�ed�essenziale:�la�pressione�delle�mani,�dei�pollici,�dei�gomiti.�

3°�Passolà�dove�s'incontrano�pressione�e�rispostaCos'è�lo�shiatsu?

Nella�maggior�parte�dei�metodi�di�terapia�manuale,�che�si�tratti�di�massaggio�occidentale�o�di�«anma"�giapponese,�l'effetto�che�si�ottiene�in�genere...�è�più�superficiale�di�quello�profondo�prodotto�dalla�compressione�shiatsu,�esercitata�in�senso�perpendicolare�con�i�polpastrelli�dei�pollici.

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Tokujiro�Namikoshi

Lo�shiatsu�è�un�trattamento�nel�quale�si�adoperano�i�pollici�e�le�palme�delle�mani�per�esercitare�pressione�su�determinati�punti,�allo�scopo�di�correggere�irregolarità�dell'organismo,�di�conservare�e�migliorare�lo�stato�di�salute�e�contribuire�alla�cura�di�taluni�stati�morbosi.definizione�di�shiatsu�del�Ministero�dell'Assistenza�Sociale�del�Giappone

Nella�primavera�del�1992�si�svolse�a�Pomaia,�in�Toscana,�un�evento�che�vide�per�la�prima�volta�circa�duecento�operatori�shiatsu�(amatori�e�professionisti)�mettere�a�confronto�il�proprio�modo�di�intendere�lo�shiatsu;�e�fu�subito�rissa!Si�ebbe�la�verifica�che,�nonostante�lo�shiatsu�sia�praticato�(e�prosperi)�in�Italia�da�ormai�più�di�vent'anni,�non�esiste�«lo�shiatsu»,�universalmente�riconosciuto�nelle�caratteristiche�e�uniformato�nelle�tecniche,�ma�esistono�numerosi�«tipi»�di�shiatsu,�in�relazione�alle�diverse�origini,�agli�adattamenti�e�alle�evoluzioni�subite�in�questo�o�quel�paese�o�all'impostazione�impressa�da�questo�o�quel�caposcuola.

la�pressione.Volendo�comunque�sintetizzare,�la�polarizzazione�fondamentale�nacque�(ed�è�salutare�che�sia�stato�così)�su�un�contenuto�di�fondo:�la�centralità�della�pressione.In�pratica�si�verificò�una�contrapposizione�tra�due�partiti�(li�chiamo�così,�anche�se�in�realtà�le�posizioni�erano�estremamente�variegate�e�intrecciate).Il�partito�dei�«dogmatici»,�che�sostenevano�che�lo�shiatsu�è�una�tecnica�di�pressioni�e�quindi�tutte�le�altre�tecniche�(stiramenti,�mobilizzazioni�articolari,�dondolamenti,�strofinamenti,�coccole�ecc.)�possono�essere�piacevoli�e�rilassanti�e�quindi�essere�inserite�in�un�trattamento�shiatsu�come�coadiuvanti�e�complementari,�ma�vanno�chiamate�con�il�proprio�nome�e�non�confuse�con�lo�shiatsu.E�il�partito�dei�«tuttologi»,�che�sostenevano�che�tutto�è�shiatsu,�che�anche�le�tecniche�diverse�dalle�pressioni�possono�a�pieno�titolo�entrare�nella�definizione�di�shiatsu�in�quanto�si�sposano�bene�all'interno�di�un�trattamento�con�le�pressioni�integrandole�per�una�maggior�efficacia�e�piacevolezza�del�trattamento�stesso.�Sarebbe�interessante�indagare�sulla�genesi�di�queste�notevoli�(e�a�volte�abissali)�differenze�tra�operatore�e�operatore,�scuola�e�scuola;�scoprire�quanto�dipende�dalle�culture,�dagli�usi�e�dalle�mentalità�delle�aree�di�provenienza�dei�diversi�stili,�dagli�abbinamenti�con�altre�tecniche�nella�pratica�di�alcuni�gruppi,�dalle�scoperte�e�dalla�peculiarità�dell'esperienza�di�questo�o�quel�maestro.Resta�comunque�il�fatto�(e�nel�dir�questo�mi�dichiaro�senza�riserve�membro�permanente�effettivo�-�ed�entusiasta�-�del�partito�dei�dogmatici)�che�il�tratto�peculiare,�la�caratteristica�distintiva,�la�sostanziale�(e�sostanziosa)�originalità�dello�shiatsu�sta�nella�pressione.�È�nella�pressione�che�«accade"�quel�tipo�unico�di�contatto,�di�comunicazione,�di�stimolo�e�di�percezione�che�ha�affascinato�e�coinvolto�migliaia�di�praticanti.Ho�usato�il�termine�«accade"�avrei�potuto�utilizzare�il�termine�«succede»�oppure�«avviene»�o�«capita»;�sono�termini�che�sottintendono�una�dimensione�di�casualità,�direi�meglio�di�«non�governato»,�«non�diretto»,�«non�pianificato».In�un'epoca�avida�di�certezze�logiche,�di�spiegazioni�razionali,�di�risultati�prevedibili�suona�molto�«poco�scientifico»;�e,�nella�nostra�era�tecnologica,�poco�scientifico�assume�il�significato�di�poco�serio,�o�quanto�meno�poco�affidabile;�ma�su�questo�torneremo�nei�prossimi�passi.La�pressione,�ribadisco,�è�l'elemento�centrale�e�originale�dello�shiatsu;�è�la�tecnica�di�contatto�che�definisce�lo�shiatsu�stesso�e�che�ne�determina�l'effetto;�è�attraverso�la�pressione�che�avviene�la�comunicazione�a�due�vie�tra�i�soggetti�coinvolti�nella�pratica,�che�la�persona�trattata�(uke)�riceve�lo�stimolo,�che�colui�che�tratta�(tori)�«percepisce»�la�condizione�e�il�cambiamento�di�uke.*�

*�Nota�a�piè�pagina:�uke�e�tori�sono�termini�giapponesi�che�significano�letteralmente�"colui�che�riceve"�e�"colui�che�prende"�e�che�sono�entrati�nell'usocomune�delle�arti�marziali�per�indicare�la�parte�passiva�(uke)�e�la�parte�attiva�(tori)�nelle�tecniche;�per�analogia�si�utilizzano�anche�nello�shiatsu

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per�evitare�termini�come�"paziente",�"operatore"�che�sono�estranei�all'atteggiamento�di�collaborazione�attiva�che�si�istaura�tra�i�2�soggetti�coinvoltinel�"fenomeno"�shiatsu.

Stato�alterato�di�coscienzaLa�pressione,�operata�in�genere�con�il�polpastrello�del�pollice,�ma�frequentemente�anche�con�il�palmo�della�mano�e�con�il�gomito�(in�alcuni�stili�anche�con�il�ginocchio,�la�nocca�dell'indice�e�il�piede)�crea�tra�chi�preme�(tori)�e�chi�risponde�alle�pressioni�(uke)�un�tipo�di�percezione�che�non�è�propriamente�tattile;�possiamo�dire�che�crea,�una�volta�costruite�le�condizioni,�una�percezione�a�due�vie,�una�comunicazione�che�trascende�la�dimensione�tattile�e�sconfina�nell'extrasensoriale.Forse�è�meglio�dire�che�affina�un�altro�senso�(non�so�se�sia�il�sesto,�il�settimo�o�che�altro�numero�-�dipende�dal�livello�di�evoluzione�di�ciascun�apprendista)�che�nel�praticante�evoluto�diventa�concreta�esperienza�quotidiana�e�che�definiremo�«tatto�interno»�per�differenziarlo�dal�parente�esterno�(tatto�esterno)�che�è�universalmente�annoverato�tra�i�cinque�sensi.Per�guesto�la�pressione�è�l'essenza�dello�shiatsu!�Senza�la�pressione,�o�anche�senza�la�centralità�della�pressione�in�un�trattamento�shiatsu�(centralità�che�deve�tradursi�in�una�alta�percentuale�di�tempo�all'interno�di�ogni�incontro�-�almeno�il�90%�-�dedicato�alle�pure�e�semplici�pressioni),�il�trattamento�si�riduce�ad�una�serie�di�manipolazioni,�strofinìi,�stiramenti�ecc.�che�possono�essere�piacevoli�e�rilassanti�ma�non�presentano�alcuna�peculiarità,�e�soprattutto�nessuna�particolare�efficacia�riequilibrante,�rispetto�alle�comuni�tecniche�di�massaggio;�e�in�questo�senso�definire�lo�shiatsu�«massaggio»�è�quasi�una�bestemmia.Il�passaggio�dalla�percezione�tattile�«esterna»�alla�percezione�tattile�«interna»�accade�e�avviene,�con�il�tempo�e�con�la�pratica,�sempre�perché�il�«tatto�interno»�non�è�una�dote�extrasensoriale�donata�a�pochi�superdotati�ma�un�normale�senso�poco�sviluppato�e�mal�addestrato�che�tutti�possediamo;�avviene�quindi�per�tutti,�anche�se�i�tempi�e�i�modi�possono�essere�diversi�da�persona�a�persona,�una�volta�costruite�le�condizioni.Costruire�le�condizioni�è�appunto�il�percorso�che�ciascuno�deve�compiere,�attraverso�la�pratica;�in�questo�percorso�un�esperto,�un�libro,�una�scuola,�un�maestro�può�essere�d'aiuto�per�indirizzare�e�focalizzare�l'esperienza�diretta�e�personale�dell'apprendista.Ma�non�esiste�esperto,�maestro,�scuola�libro�che�possa�sostituire�la�pratica�personale�perché�è�solo�attraverso�l'esperienza�diretta�(ripetuta�per�centinaia�e�migliaia�di�ore)�che�in�ciascun�apprendista�si�svilupperà,�con�i�suoi�tempi�e�nei�suoi�modi,�il�«tatto�interno».Le�condizioni�fondamentali�ci�vengono�indicate�dai�maestri�fondatori�dello�shiatsu�e�sono�state�codificate�in�Giappone:�la_pressione�deve�essere�perpendicolare�e�costante.�Vi�possono�essere�diverse�interpretazioni�dei�termini�«perpendicolare»�e�«costante»,�anzi�il�fascino�particolare�dello�shiatsu�(e�l'entusiasmo�che�può�suscitare�anche�dopo�decenni�di�pratica)�nasce�oltretutto�dal�fatto�che�anche�termini�semplici�come�perpendicolare�e�costante�assumono�via�via�significati�diversi�e�più�profondi.Vediamo�qui�i�significati�più�semplici�e�immediati:�Perpendicolare�significa�che�la�pressione�entra�in�direzione�del�centro�(del�tronco,�della�gamba�ecc.)�e�non�«scivola»�provocando�stiramenti�sulla�pelle�né�scorrimento�tra�i�diversi�piani�dei�tessuti.Costante�significa�che�la�pressione,�portata�con�una�certa�intensità,�entra�nei�tessuti�di�uke�fino�ad�una�certa�profondità�(vedremo�più�avanti�come�calibrare�questi�parametri)�e�resta�costante,�senza�variazioni�(tremolìi,�vibrazioni,�rotazioni,�sfregamenti�ecc.)�fino�a�che�non�verrà�tolta.Vi�è�una�terza�condizione�fondamentale�che�identifica�la�pressione�secondo�la�codificazione�originaria�che,�semplificata�per�il�principiante,�diventa:�la�pressione�shiatsu�deve�essere�realizzataf�portando�il�peso;�quindi�senza�tensione�muscolare,�senza�schiacciare�con�i�muscoli,�ma�semplicemente�portando�il�peso�in�modo�controllato,�ma�rilassato,�sul�punto�da�premere.Tradotto�in�immagini

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Se�in�figura�1b�rappresentiamo�tori�come�un�cerchio�imperfetto,�anzi�immaginiamolo�tridimensionale�come�una�sfera�imperfetta�(nella�figura�1a�abbiamo�rappresentato�un�tori�teorico,�inesistente,�in�perfetto�equilibrio�e�armonia),�e�rappresentiamo�uke�nella�stessa�maniera�(Fig.1c)�potremo�schematizzare�una�pressione�come�in�figura�2,�cioè�come�una�comunicazione�che�nasce�tra�la�sfera�fisica�di�tori�e�la�sfera�fisica�di�uke,�fino�a�che�usiamo�il�tatto�esterno.�Essa�Trascende�gradualmente�in�una�comunicazione�tra�la�sfera�energetica�di�tori�e�la�sfera�energetica�di�uke�man�mano�che�costruiamo�il�tatto�interno.

Attenzione�però�che�la�comunicazione,�pur�trascendendo�gradualmente�su�un�piano�«energetico»�di�tatto�interno,�resta�anche�ben�presente�sul�piano�fisico.�Se�non�c'è�pressione�fisica,�materiale,�non�c'è�neanche�shiatsu,�sconfiniamo�su�altri�piani�(esoterici,�paranormali�ecc.)�che�sono�estranei�allo�shiatsu.Un'altra�eccezionale�qualità�dello�shiatsu�(e�avremo�modo�di�incontrarne�molte�altre�nel�prosieguo�-�dopo�vent'anni�di�pratica�continuo�a�scoprire�nuove�«eccezionali�qualità»�dello�shiatsu�che�non�avevo�notato,�o�scoperto,�prima)�consiste�proprio�nello�sviluppare�e�vivere�di�«fenomeni�extrasensoriali»�restando�ancorato�ad�una�sana,�solida�fisicità�che�salvaguarda�da�visioni�mistiche�e�voli�di�fantasia.Se�aggiungiamo�alle�sfere�di�uke�e�tori�un�centro�(che�possiamo�intendere�sia�come�centro�fisico�che�come�centro�vitale)�e�raffiguriamo�una�pressione�non�costante�con�una�freccia�multiplae�una�pressione�muscolare�rigida�con�un�tratto�spigoloso�a�zig-zagpossiamo�rappresentare�in�figura�3a�una�pressione�muscolare�rigidain�figura�3b�una�pressione�non�perpendicolaree�in�figura�3c�una�pressione�non�costante.

In�figura�3d�è�raffigurata�una�pressione�corretta:�costante,�perpendicolare�e�portata�con�il�peso.La�pressione�corretta�(solo�se�e�nella�misura�in�cui�diviene,�con�la�pratica,�corretta)�induce�uno�stimolo�a�cui�uke�dà�una�risposta,�raffigurata�in�figura�4,�facendo�nascere�una�comunicazione�tra�tori�e�uke�che�si�rinnova�ad�ogni�pressione�portata,�si�approfondisce�e�diventa�un�dialogo,�uno�scambio�continuo�che�crea�cambiamento�nei�soggetti�coinvolti,�come�succede�in�ogni�vera�comunicazione.Non�può�nascere�comunicazione�nè�cambiamento�se�la�pressione�è�scorretta�in�quanto:-�la�pressione�non�perpendicolare�genera�il�mancato�incontro�tra�stimolo�e�risposta�(figura�5).-�la�pressione�non�costante�genera�risposte�frammentarie�e�caotiche�(figura�6).

-�la�pressione�portata�con�tensione�muscolare�(chiamiamola�schiacciamento)�genera�in�uke�disagio�e�quindi�chiusura�e�difesa�(figura�7).�Altri�parametri�essenziali�per�una�pressione�corretta�sono�l'intensità�e�la�durata.L'intensità�della�pressione�corretta�è�quella�che�incontra�la�risposta,�come�in�figura�8,�livello�facilmente�identificabile�nella�misura�in�cui�il�tatto�interno�è�sviluppato;�per�un�principiante�a�tatto�interno�zero,�una�approssimazione�che�non�ha�valore�assoluto�ma�che�può�fornire�un�criterio�valido�è�la�seguente:�l'intensità�di�pressione�corretta�è�quella�massima�accettata�da�uke.Figura�8Si�tratta�cioè�di�entrare�fermandosi�un�istante�prima�che�uke�provi�fastidio,�dolore,�o�comunque�una�sensazione�sgradevole�che�lo�porterebbe�ad�attivare�un�meccanismo�di�difesa�(irrigidire�i�muscoli,�bloccare�o�mutare�in�peggio�la�respirazione�ecc.).Ripeto�che�non�si�tratta�di�un�criterio�valido�in�assoluto:�a�volte�capita�di�fare�pressioni�dolorose�o�di�fermarsi�più�in�superficie�del�livello�descritto�in�quanto�la�«risposta»�percepita�con�il�tatto�interno�non�coincide�con�la�soglia�del�dolore�o�del�fastidio.Ma�si�tratta�dell'approssimazione�più�vicina�all'intensità�ottimale�disponibile�per�un�principiante,�ed�è�comunque�un'intensità�molto�efficace.Per�quanto�riguarda�invece�la�durata�della�singola�pressione,�non�esistono�appro

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ssimazioni�valide;�o�si�percepisce�il�cambiamento�del�punto�premuto�e�quindi�la�durata�della�pressione�si�calibra�di�volta�in�volta�sull'esaurirsi�del�cambiamento�del�punto�trattato,�o�bisogna�adottare�un�ritmo�estraneo�a�quello�che�succede�durante�la�pressione;�in�genere,�nei�kata�(i�trattamenti�formalizzati�che�vengono�proposti�nel�18°�passo)�tori�fa�riferimento�alla�propria�respirazione:�per�esempio�una�pressione�ogni�espirazione,�ogni�due�respirazioni�oppure�due�pressioni�per�ogni�respirazione�ecc.,�secondo�il�ritmo�che�si�intende�adottare.�

4°�PassoApproccio�scientifico�o�«fede»�nella�scienza?Lo�shiatsu�è�scientifico?

Dei�vari�sistemi�che�ho�esaminato,�non�ne�ho�abbracciato�alcuno,�ma�dopo�aver�conosciuto�e�commisurato�le�diverse�opinioni�ho�scoperto�e�realizzato�la�pace�interiore.Buddha

Penso�sia�nota�a�tutti�la�storiella�dello�scienziato�e�della�pulce�ammaestrata,�riassunta�a�seguito.Uno�scienziato�(in�genere�tedesco�nella�storia,�anzi�un�«grante�scienziato�tetesco»)�studia�le�reazioni�di�una�pulce�addestrata�a�reagire�saltando�al�comando�«salta»�impartito�dallo�scienziato�stesso.�Da�ricercatore�scrupoloso�annota�sia�le�condizioni�in�cui�si�svolge�ogni�singola�esperienza,�sia�gli�esiti�e�le�osservazioni�relativi�all'esperimento.�1°�esperimento:�al�comando�«salta»�la�pulce�ha�reagito�saltando.�Strappa�poi�una�zampa�all'insetto�e�ripete�l'ordine�e�diligentemente�annota:�«tolta�una�zampa,�al�comando�salta�la�pulce�ha�reagito�saltando».�Strappa�poi�una�seconda�zampa�e�ripete�l'esperienza�e�il�risultato:�«tolte�due�zampe,�al�comando�salta�la�pulce�ha�reagito�saltando».�E�così�di�seguito;�dopo�aver�strappato�tutte�le�zampe�alla�pulce�ripete�l'esperienza,�osserva�che�la�pulce�non�salta�e�annota:�«tolte�tutte�le�zampe,�al�comando�salta�la�pulce�non�ha�reagito�saltando.�È�quindi�scientificamente�dimostrato�che�la�pulce,�senza�zampe,�diventa�sorda».La�conclusione�paradossale�della�barzelletta�esprime�le�caratteristiche�(e�i�limiti)�del�metodo�scientifico.Lasciando�la�scienza�teorico-speculativa�e�focalizzandoci�sulla�dimensione�sperimentale,�che�ha�plasmato�la�mentalità�e�la�concezione�di�scienza�dell'attuale�uomo�comune,�«non�specialista»,�il�metodo�scientifico,�per�essere�tale,�deve�presentare�alcuni�elementi:a. basarsi�su�osservazioni�di�fenomeni,�che�vengono�eletti�a�oggetto�dell'indagine.b. riscontrare�una�ripetitività,�una�assimilabilità,�la�presenza�di�elementi�comuni�o�comunque�collegabili�tra�i�fenomeni�osservati.c. la�possibilità�di�ordinare�le�relazioni�tra�i�fenomeni�ricavando�un�principio,�una�teoria,�un�modello,�una�legge.d.�la�riproducibilità�del�fenomeno�a�parità�di�condizioni�a�dimostrazione�che�il�principio,�la�teoria,�il�modello,�la�legge�trova�riscontro�nella�realtà.�In�pratica,�per�esempio:a. Osservo�che�un�oggetto,�sospeso�senza�appoggi�e�abbandonato,�cade�verso�terra.b. Riscontro�che�lo�stesso�oggetto,�e�anche�oggetti�diversi,�ogni�volta�che�vengono�lasciati�senza�appoggi,�cadono�verso�terra.c. Enuncio�il�principio:�esiste�una�forza,�chiamata�forza�di�gravità,�che�attrae�gli�oggetti,�non�vincolati�nei�movimenti,�facendoli�cadere�verso�terra.d. Sono�in�grado�di�verificare�sperimentalmente�la�validità�del�principio�in�qualsiasi�momento�in�quanto�posso�sempre�prendere�un�oggetto,�lasciarlo�senza�appoggio�e�far�osservare�ai�«colleghi�scienziati»�che�l'oggetto�cade�verso�terra.Analogamente:a. Osservo�che�la�pulce�ammaestrata�al�comando�«salta»�reagisce�saltando�e,�che

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�quando�è�senza�zampe,�non�reagisce�più�saltando.b. Riscontro�che�altre�pulci�ammaestrate,�o�anche�altri�animali�analogamente�ammaestrati,�al�comando�«salta»�reagiscono�saltando�e�che�una�volta�privati�delle�zampe�non�reagiscono�più�saltando.c. Enuncio�il�principio:�le�pulci�ammaestrate,�ed�anche�altri�animali�a�pari�condizioni,�private�delle�zampe,�non�sono�più�in�grado�di�sentire�i�comandi,�quindi�diventano�sordi.d. Sono�in�grado�di�verificare�sperimentalmente�la�validità�del�principio�in�qualsiasi�momento�in�quanto�posso�sempre�prendere�una�pulce�ammaestrata,�strapparle�le�zampe�e�far�osservare�ai�«colleghi�scienziati»�che�contrariamente�a�quanto�faceva�prima�della�mutilazione,�non�risponde�più�al�comando�«salta».In�realtà�non�è�un�ragionamento�paradossale�perché�il�margine�discrezionale�nell'interpretazione�dei�fatti,�nella�creazione�di�nessi�causali�tra�i�fenomeni�osservati,�è�proprio�della�realtà�del�metodo�scientifico.L'approccio�scientifico�sperimentale�indubbiamente�presenta,�oltre�alle�innegabili,�immense�possibilità�di�indagine�sui�fenomeni�e�di�comprensione�dei�fenomeni�stessi,�altrettante�innegabili�possibilità�di�errore�nell'osservazione�e�nella�interpretazione.Se�in�presenza�di�una�patologia�sconosciuta�si�riscontra�la�presenza�anomala�di�un�virus,�è�normale�che�quel�virus�possa�essere�indicato�come�la�causa�di�quella�patologia�(molti�scienziati�e�istituti�di�ricerca�prestigiosi�sostengono�che�la�relazione�tra�l'HIV�e�la�sindrome�Aids�è�tutt'altro�che�dimostrata).Allo�stesso�modo�e�con�la�stessa�procedura�un�ricercatore,�rilevando�in�un�territorio�allagato�la�proliferazione�anomala�di�anguille,�potrebbe�trarre�la�conclusione�che�le�anguille�siano�la�causa�dell'inondazione.Galileo�affermava�che�la�scienza�(nel�suo�campo�si�trattava�della�nuova�fisica)�doveva�basarsi�su�«esperienze�sensate»�e�«dimostrazioni�certe»�e�si�potrebbe�opporre�che�strappare�le�zampe�alle�pulci�ammaestrate�o�ritenere�le�anguille�responsabili�di�un'alluvione�non�sia�«sensato».Ma�se�entriamo�nel�merito�di�cosa�sia�sensato�(per�non�parlare�di�cosa�sia�certo),�ho�l'impressione�che�ci�si�addentri�in�un�terreno�talmente�infido�da�giustificare�tutto�e�il�contrario�di�tutto.Gli�stessi�fenomeni�«evidenti»�possono�essere�esaminati�e�interpretati�«scientificamente»�con�risultati�diametralmente�opposti.

Guai�a�chi�intuisceAll'Allgemeines�Krankenhaus�dell'Università�di�Vienna,�nel�1847,�esistevano�due�divisioni�di�ostetricia,�identiche�nelle�caratteristiche,�in�ciascuna�delle�quali�nascevano�circa�3.500�bambini�all'anno.�Nella�I�divisione�i�parti�erano�assistiti�da�personale�ostetrico�e�studenti�in�medicina,�e�si�assisteva�alla�morte�di�circa�700�donne�dopo�il�parto�per�«febbre�puerperale».Nella�II�divisione,�in�cui�i�parti�erano�assistiti�da�levatrici,�i�decessi�per�«febbre�puerperale»�erano�in�media�60�all'anno�(meno�del�10%�rispetto�alla�I�divisione).La�febbre�puerperale�era�considerata�una�malattia�epidemica,�e�le�donne�che�partorivano�in�casa,�spesso�senza�alcuna�assistenza,�ne�erano�esenti.Semmelweis,�all'epoca�assistente�del�professore�di�ostetricia�della�facoltà�di�medicina,�analizzando�questi�dati�e�i�riscontri�relativi�ad�altri�fenomeni�concomitanti�(in�particolare�la�morte�fulminea�di�un�illustre�docente�feritosi�durante�un'autopsia,�che�presentava�caratteristiche�molto�simili�a�quelle�delle�vittime�della�febbre�puerperale)�formulò�l'ipotesi�che�la�causa�di�tutte�quelle�morti�fosse�la�trasmissione�di�«particelle�cadaveriche�invisibili,�riconoscibili�soltanto�dall'odore».Infatti�medici�e�studenti�all'Allgemaines�Krankenhaus�sezionavano�parecchi�cadaveri�al�giorno�(gli�studenti�in�particolare�nel�periodo�iniziale�dei�loro�studi)�e�passavano�dal�tavolo�di�autopsia�al�letto�della�partoriente�senza�neppure�lavarsi�le�mani.�Le�levatrici�non�praticavano�autopsie.�Fuori�dall'ospedale�poi�la�febbre�puerperale�era�molto�più�rara.Semmelweis�prescrisse�a�studenti�e�medici�di�lavarsi�le�mani�in�una�soluzione�di�cloro�e�nel�1848�la�I�divisione�registrò�una�mortalità�per�febbre�puerperale�crolla

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ta�all'1,2%,�risparmiando�una�morte�atroce�a�più�di�500�donneall'anno�e�confermando�la�teoria�che�la�«febbre�puerperale»�non�era�una�lattia�epidemica�ma�una�infezione�trasmessa.Il�risultato�della�«geniale�scoperta»�fu�che�nel�1849�Semmelweis�venne�li�cenziato;�non�fu�confermato�assistente�di�ostetricia�perché�altri�illustri�medici�avevano�osservato�che�la�sua�teoria�non�stava�in�piedi,�stante�l'andamento�altalenante�e�stagionale�dell'epidemia�di�febbre�puerperale,�dovuta�probabilmente�a�«miasmi».E�per�altri�trent'anni�le�donne�continuarono�a�morire�di�febbre�puerperale.Non�erano�le�sole�a�subire�i�danni�delle�infezioni�se�è�vero�che�secondo�una�statistica�di�vent'anni�dopo,�nel�1867,�in�Inghilterra�i�decessi�dopo�interventi�chirurgici�erano�al�41�%�se�eseguiti�in�grandi�ospedali�e�solo�dell'11%�se�eseguiti�da�medici�di�campagna,�e�all'epoca�si�operava�solo�agli�arti�o�in�superficie�perché�la�morte�per�operazioni�nel�cavo�addominale�era�pressoché�certa.In�realtà�erano�più�«scientifici»�gli�oppositori�di�Semmelweis�che�contrapponevano�alle�sue�«particelle�cadaveriche�invisibili»,�della�cui�presenza�non�si�aveva�alcuna�prova�«scientifica»,�dati�statistici�precisi�sull'andamento�ciclico�delle�epidemie�(che�pare�corrispondessero�alle�infornate�periodiche�di�nuovi�studenti�di�medicina�che�si�dedicavano�con�il�«sacro�fuoco»�del�neofita�alle�autopsie,�frequenza�e�assiduità�che�via�via�si�attenuava�con�il�progredire�degli�studi).Una�recente�inchiesta�metteva�in�relazione�la�presenza�in�una�data�area�di�un'alta�concentrazione�di�antenne�e�ripetitori�TV�con�l'anomala�frequenza�di�malattie�cardiocircolatorie,�identificando�la�causa�del�fenomeno�nel�«bombardamento»�di�onde�elettromagnetiche;�una�successiva�indagine�smentiva�questa�interpretazione�e�vedeva�gli�stessi�dati�in�modo�molto�diverso,�attribuendo�le�malattie�alle�troppe�ore�passate�in�poltrona�a�guardare�la�TV,�e�quindi�allo�scarso�moto�fisico�delle�persone�che�abitavano�in�quella�zona.E�sicuramente�altri�specialisti,�concentrandosi�su�una�loro�tesi�di�ricerca,�potrebbero�interpretare�gli�stessi�dati�in�altri�cento�modi:�lo�studioso�delle�dinamiche�familiari�potrebbe�ricollegare�la�notevole�presenza�di�apparecchi�TV�e�di�apparecchiature�elettroniche�a�carenza�di�comunicazione�interpersonale�e�quindi�ad�angosce�esistenziali�e�pessimi�rapporti�tra�i�membri�della�famiglia�con�conseguenti�«insulti»�al�cuore;�lo�studioso�di�economia�e/o�alimentazione�potrebbe�riversare�la�colpa�di�tutto�su�una�propensione�alla�spesa�in�apparecchiature�elettroniche�che�potrebbe�aver�ridotto�l'importanza�dei�consumi�alimentari�e�di�conseguenza�peggiorato�la�qualità�dell'alimentazione;�lo�studioso�di�socio-biologia�ecc.Non�culliamoci�nell'illusione�«che�oggi�queste�cose�non�possono�più�capitare»�perché�la�discrezionalità�nel�rilevare�e�dar�peso�ad�un�aspetto�del�fenomeno�osservato�e�l'aleatorietà�dell'interpretazione�sono�connaturate�nel�metodo�scientifico�stesso.Quando�mi�capita,�di�fronte�a�piccole�o�grandi�epidemie�nelle�comunità,�asili�e�scuole,�di�sentir�dire�«è�il�virus�che�c'è�in�giro»�oppure�«è�una�malattia�di�stagione»�il�pensiero�corre�spontaneamente�ai�«miasmi�stagionali»�degli�oppositori�di�Semmelweis.La�pretesa�di�certa�scienza�medica�di�esorcizzare�i�fenomeni�definendoli�«poco�scientifici»�sconfina�nel�ridicolo�se�analizziamo�quanto�poco�scientifico�sia�l'uso,�nella�pratica�della�scienza�medica�stessa,�del�medicamento�più�famoso�epiù�diffuso�attualmente:�l'aspirina.�«...�L'aspirina�compie�cent'anni.�Un'età�veneranda�solo�in�apparenza.�Questa�utilitaria�delle�medicine,�che�in�un�secolo�ha�cambiato�il�corso�della�vita�quotidiana�dell'uomo�e�che�viene�prescritta�in�54�miliardi�di�dosi�annue�in�tutto�il�mondo,�è�in�realtà�ancora�nell'infanzia.�Più�la�si�conosce�più�riserva�sorprese,�al�punto�che�il�suo�impiego�oggi�appare�illimitato.�Usata�inizialmente�contro�il�dolore�e�la�febbre,�si�è�rivelata�utile�a�prevenire�gli�infarti,�a�combattere�le�infiammazioni�respiratorie,�addirittura�a�fermare�le�nascite�premature,�oltre�che�a�far�passare�il�mal�di�testa.�Non�c'è�un�altro�farmaco�a�cui�l'umanità�faccia�ricorso�così�spesso�e�con�cui�abbia�un�debito�così�grosso.�'La�piccola�pillola�bianca',�come�l'ha�chiamata�ieri�il�Washington�Post�dedicandole�un�inserto,�merita�un�Nobel:�'si�sta�scoprendo...�che�serve�anche�contro�il�cancro�al�colon,�l'Alzheimer...�e�altre�forme�di�senilità�e�forse�la�cataratta'».Alla�faccia�della�scientificità�se�si�pensa�che�già�«Ippocrate...�nel�400�avanti�Cristo�suggeriva�di�curare�le�febbri�e�alleviare�il�dolore�con�la�corteccia�e�le�foglie�di�salice».�A�distanza�di�2400�anni�usiamo�ancora�l'acido�acetilsalicilico�senza�aver�compreso�«scientificamente»�come�funziona,�in�base�al�buon�vecchio�metodo�emp

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irico�«prova,�se�funziona,�usalo».�E�questo�atteggiamento,�nel�caso�dello�shiatsu,�sarebbe�poco�scientifico,�quindi�poco�serio!Lasciamo�ai�pensatori�greci�del�V�secolo�a.C.�l'illusione�che�la�scienza�possa�raggiungere,�anzi�sia�per�definizione�ciò�che�raggiunge�«verità�universalmente�e�incondizionatamente�valide»�(contrapposte�all'opinione�che�invece�può�enunciare�solo�teorie�relative,�valide�per�il�singolo�dal�suo�particolare�punto�di�vista)�e�valutiamo�invece�la�scientificità�dello�shiatsu�dal�nostro�particolare,�soggettivo�punto�di�vista.Se�la�pressione�shiatsu�modifica�la�condizione�di�un�punto,�di�una�zona,�di�un�arto,�di�un�organo�o�di�una�persona;�se�questo�cambiamento�viene�rilevato�da�tori�(il�punto�è�meno�duro�o�l'organo�è�più�carico)�e�da�uke�(la�zona�non�è�più�dolorante�o�la�digestione�è�migliorata);�se�una�procedura�di�trattamento�dà�sempre�(o�anche�solo�frequentemente)�risultati�nella�stessa�direzione,�potremmo�affermare�che�lo�shiatsu�è�scientifico�in�quanto�è�sperimentabile�secondo�un�corretto�metodo�scientifico.Ma�cosa�c'importa...Ma�in�realtà�è�poco�importante�stabilirlo.Dal�momento�in�cui,�chiarendo�il�significato�reale�di�«scientifico»,�la�comune�associazione�d'idee�«scientifico�uguale�serio»�e�«non�scientifico�uguale�poco�affidabile,�o�peggio�ciarlatanesco»�viene�a�cadere,�stabilire�se�lo�shiatsu�sia�scientifico�o�meno�perde�qualsiasi�interesse�pratico�e�teorico.Il�farmaco�in�sperimentazione�supera�la�prova�soltanto�se�dimostra�un'efficacia�maggiore�di�almeno�il�20%�rispetto�al�placebo;�ma�resta�il�fatto�che�gli�effetti�veri,�dovuti�al�cento�per�cento�al�farmaco,�sono�poco�chiari,�o�non�rilevabili�per�via�delle�aspettative,�positive�o�negative,�che�accompagnano�la�maggior�parte�delle�sperimentazioni�che�vengono�fatte�sull'uomo.�Aspettative�che�possono�aumentare�gli�effetti�benefici�della�cura�o�causare�anche�l'effetto�opposto.�..�Basta�un�esempio:�durante�le�sperimentazioni�di�un�notissimo�preparato�antidepressivo,�il�15%�dei�pazienti�dichiarava�di�aver�sofferto�di�violente�emicranie�anche�se�erano�curati�(evidentemente�a�loro�insaputa)�con�un�placebo.�Un�gruppo�di�malati�è�arrivato�a�perdere�capelli�in�gran�quantità�per�un�placebo�che�credevano�fosse�un�farmaco�chemioterapico.La�situazione�ideale�si�avvera�quando�il�medico�crede�nell'efficacia�della�terapia�e�comunica�al�paziente�questa�fiducia,�arricchita�da�attenzione,�empatia�e�incoraggiamento.L'effetto�placebo�può�essere�parte�preponderante�di�una�terapia.�I�prontuari�non�registrano�preparati�a�base�di�sostanze�inerti�-�cioè�placebo�-�e�ai�medici�non�resta�che�prescrivere�composti�farmacologici�attivi�anche�se�sanno�che�hanno�poche�(o�troppe)�indicazioni�e�che�gli�eventuali�effetti�curativi�sono�probabilmente�mediati�dall'effetto�placebo.�Si�legge�su�«The�Lancet»:�perché�dovrebbe�essere�scorretto�dare�un�placebo,�se�gran�parte�dei�farmaci�attuali�non�è�migliore�di�un�placebo?Tuttavia�molti�medici�sanno�bene�che�molti�preparati�in�commercio�sono�in�gran�parte�inefficaci;�eppure�li�prescrivono�per�non�deludere�1'«�attesa�della�ricetta»�o�per�motivi�di�compassione.Bisogna�poi�considerare�che�l'effetto�benefico�di�una�terapia�non�è�dovuto�soltanto�alla�cura�stessa�e�al�placebo,�ma�anche�-�oggi�si�tende�a�dimenticarlo�-�alla�«forza�medicatrice»�della�natura,�presente�nelle�difese�del�nostro�organismo�e�nella�tendenza�di�molte�malattie�ad�autolimitarsi.�Forza�che�(spesso�non�ne�siamo�consapevoli)�porta�al�miglioramento�o�alla�guarigione�anche�in�assenza�di�cure.E�in�effetti�per�le�migliaia�di�praticanti�e�le�decine�di�migliaia�di�persone�che�hanno�tratto�giovamento�dallo�shiatsu�il�dilemma�scientifico�/�non�scientifico�non�esiste;�se�lo�shiatsu�funziona�e�crea�evoluzione,�cambiamento,�benessere�ed�equilibrio,�quale�interesse�può�rivestire�il�fatto�che�sia�o�meno�scientifico,�che�sia�o�meno�adeguato�ad�una�procedura�astratta�come�il�«metodo�scientifico».Del�resto�anche�nella�«cosiddetta�medicina�scientifica»,�la�poco�scientifica�soggettività�ricopre�il�ruolo�maggiore�ai�fini�della�«cosiddetta�guarigione».

5°�Passo�Godersi�il�soleShiatsu�esperienza�reale�e�positiva.�

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Il�Papalagi�pensa�così�tanto�che�pensare�per�lui�è�diventata�un'abitudine,�una�necessità,�addirittura�un�obbligo...�può�essere�che�abbia�anche�una�qualche�utilità�nascosta�per�chi�ama�fare�questo�gioco�nella�sua�testa.Tuiavii,�capo�villaggio�delle�isole�Samoa

Molti�avranno�letto�un�libretto�che�riportava�le�argute�considerazioni�annotate�da�Tuiavii,�un�capo�delle�isole�Samoa,�nel�corso�di�un�viaggio�in�Europa,�con�cui�riferiva�ai�compaesani�le�cose�viste�con�l'occhio�vivace�e�genuino�del�«selvaggio»,�fiero�e�contento�di�esserlo;�una�delle�osservazioni�sulle�usanze�dei�bianchi�(chiamati�Papalagi�nella�cronaca)�più�illuminanti�è�quella�relativa�alla�«malattia�del�pensare».Il�Papalagi�pensa�in�continuazione.�La�mia�capanna�è�più�piccola�della�palma.�La�palma�si�piega�sotto�la�tempesta.�La�tempesta�parla�con�voce�grossa.�Così�pensa:�naturalmente�a�suo�modo.�Pensa�però�anche�a�se�stesso.�Sono�cresciuto�poco.�Il�mio�cuore�è�sempre�felice�alla�vista�di�una�fanciulla.�Amo�molto�viaggiare.�Eccetera.Ciò�è�divertente�e�buono,�e�può�essere�che�abbia�anche�una�qualche�utilità�nascosta�per�chi�ama�fare�questo�gioco�nella�sua�testa.�Ma�il�Papalagi�pensa�così�tanto�che�pensare�per�lui�è�diventata�un'abitudine,�una�necessità,�addirittura�un�obbligo.�Riesce�solo�con�difficoltà�a�non�pensare�e�a�vivere�con�tutte�le�sue�membra�insieme.�Spesso�vive�solo�con�la�testa,�mentre�tutti�i�suoi�sensi�sono�profondamente�addormentati.�Anche�se�va�in�giro,�parla,�mangia�e�ride.�Il�pensare,�i�pensieri,�che�sono�i�frutti�del�pensare,�lo�tengono�prigioniero.�E'�una�specie�di�ubriacatura�dei�suoi�pensieri.�Quando�il�sole�splende�bene�nel�cielo,�pensa�subito:�«Come�splende�bene!»�E�sta�sempre�lì�a�pensare�come�splende�bene.�Ciò�è�sbagliato.�Sbagliatissimo.�Folle.�Perché�quando�splende�è�meglio�non�pensare�affatto.�Un�abitante�delle�Samoa�intelligente�distende�le�sue�membra�alla�calda�luce�e�non�sta�a�pensare�niente.�Accoglie�in�sé�il�sole�non�solo�con�la�testa,�ma�anche�con�le�mani,�ipiedi,�le�gambe,�la�pancia,�con�tutte�le�membra.�Lascia�che�la�pelle�e�le�membra�pensino�da�sole.�E�queste�da�parte�loro�pensano,�anche�se�in�modo�diverso�dalla�testa.�Il�pensare�sbarra�il�cammino�al�Papalagi�in�molti�modi,�come�un�blocco�di�lava�che�non�sì�può�scansare.�Pensa�lietamente,�ma�poi�non�ride;�pensa�cose�tristi,�ma�non�piange.�Ha�fame,�ma�non�coglie�frutti�di�taro.�È�per�lo�più�un�uomo�con�i�sensi�che�vivono�in�inimicìzia�con�lo�spirito:�una�persona�che�è�divisa�in�due�parti.�

Nessuno�di�fronte�ad�un�piatto�ben�cucinato�si�rifiuta�di�credere�al�proprio�gusto�cercando,�prima�e�come�condizione�per�assaporare�il�boccone,�spiegazioni�razionali�convincenti�al�suo�godersi�quell'armonia�di�sapori�e�neppure�cercando�un�modello�teorico�che�spieghi�il�fenomeno.�Si�pensa�e�si�dice�«mi�piace»�e�basta.L'assenza,�o�la�presenza,�di�una�spiegazione�logica�o�di�modelli�interpretativi�non�rende�più�o�meno�gradevole�il�piatto.Ancor�meno�è�pensabile�che�chicchessia,�innamorandosi�di�una�donna�o�di�un�uomo,�o�provando�amore�per�il�proprio�figlio,�assuma�l'atteggiamento�di�rifiutare�tali�sentimenti�in�assenza�di�una�spiegazione�razionale�o�un�modello�interpretativo�convincente.Ognuno�si�rende�conto�che�certi�fenomeni�non�attengono�alla�sfera�razionale;�che�si�percepiscono�e�si�vivono�come�esperienze�senza�bisogno,�per�viverle,�di�filtrarle�razionalmente�inquadrandole�all'interno�di�schemi�logici.Sono�fenomeni�che�possono�anche�essere�studiati�scientificamente�da�specialisti�il�cui�mestiere�è�quello�di�interpretare�tutti�i�fenomeni�nella�loro�(loro�degli�specialisti�non�dei�fenomeni)�chiave�di�lettura�-�studiare�le�papille�gustative�o�le�dinamiche�psicologiche�e/o�biologiche�dell'innamoramento�-�ma�ciò�non�toglie�che�il�fenomeno�reale,�come�è�vissuto�dal�protagonista,�non�si�arricchisca�o�non�sia�sminuito�dalle�spiegazioni�razionali�e/o�ordinate�in�un�sistema.in�altre�parole�il�fenomeno�accade,�ed�è�vissuto�soggettivamente�dalla�persona,�a�prescindere�dall'inquadramento�del�fenomeno�stesso�in�un�modello,�una�teoria,�una�legge�scientifica.�Il�modello,�la�teoria,�la�legge�sono�strumenti�che�la�nostra�razionalità�crea�per�ordinare�i�fenomeni�secondo�dinamiche�o�schemi�accettati�dalla�nostra�mente�come�«logici»,�ma�si�tratta�di�un�ordine�che�non�è�insito,�intrinseco�alle�cose�o�ai�fenomeni.

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È�solo�una�costruzione�(più�o�meno�razionale)�della�nostra�mente�per�permetterci�di�orientarci,�di�creare�schemi�di�riferimento,�di�definire�confini�e�procedure�che�ci�permettano�di�superare�il�timore�e�il�disorientamento�che�ci�comporta�verificarci�«protagonisti�passivi�degli�eventi»,�cioè�all'interno�di�un�universo�che�non�siamo�in�grado�di�dominare.Gli�scienziati�utilizzano�i�concetti�di�ordine�intrinseco�e�ordine�estrinseco�per�chiarire�il�rapporto�tra�fenomeni�e,teorie�interpretative,�ed�un�marchingegno�semplice�costruito�in�laboratorio�ci�consente�di�farne�una�esperienza�diretta,�come�descritto�nel�brano�riquadrato....Immaginiamo�per�esempio�un�grosso�cilindro�cavo�che�ne�contenga�uno�più�piccolo:�lo�spazio�tra�i�due�cilindri�viene�riempito�di�un�liquido�chiaro�e�viscoso�come�la�glicerina.Supponiamo�ora�di�depositare�una�piccola�goccia�d'inchiostro�sulla�superficie�della�glicerina.�A�causa�della�natura�di�quest'ultima,�la�goccia�di�inchiostro�rimane�intatta,�una�macchia�nera�dai�contorni�ben�definiti�che�galleggia�su�un�liquido�chiaro.�Se�noi�cominciamo�a�far�ruotare�uno�dei�cilindri,�diciamo�in�senso�orario,�la�goccia�di�inchiostro�si�spande�nella�direzione�opposta,�formando�una�striscia�che�diventa�sempre�più�sottile�finché�non�scompare�del�tutto.�La�goccia�di�inchiostro�ora�è�completamente�avvolta�dalla�glicerina,�ma�è�ancora�lì.�Se�ruotiamo�il�cilindro�nella�direzione�opposta,�essa�riappare.�Si�vedrà�dapprima�una�sottile�striscia�che�si�ingrossa�sempre�di�più�fino�a�raccogliersi�in�un�punto�e�riformare�la�macchia.�Se�continuiamo�a�ruotare�il�cilindro�in�senso�antiorario,�riaccadrà�la�stessa�cosa,�ma�nella�direzione�opposta.�Possiamo�ripetere�questo�processo�tutte�le�volte�che�vogliamo.�Ogni�volta�la�macchia�di�inchiostro�diventa�una�linea�sottile�che�poi�scompare�nella�glicerina,�per�poi�riapparire�solo�quando�il�moto�di�quest'ultima�viene�invertito.Se�è�necessario�un�giro�completo�del�cilindro�in�senso�orario�per�far�scomparire�completamente�la�goccia,�un�giro�completo�in�senso�antiorario�la�farà�riapparire�nella�sua�originaria�forma�e�posizione.�Il�numero�di�giri�necessari�per�far�scomparire�o�riapparire�la�goccia�sono�l'ordine�nascosto.�Bohm�lo�chiama�«ordine�implicito»,�che�poi�ha�lo�stesso�significato.Supponiamo�ora�di�depositare�una�goccia�di�inchiostro�sulla�superficie�della�glicerina,�ruotare�il�cilindro�in�senso�orario�finché�la�goccia�non�scompare�(un�giro�completo),�aggiungere�una�seconda�goccia�nella�glicerina,�continuare�a�girare�il�cilindro�nella�stessa�direzione�finché�anche�questa�non�scompare�(un�ulteriore�giro),�e�poi�aggiungere�una�terza�goccia�d'inchiostro�e�far�girare�il�cilindro�ancora�una�volta,�finché�non�scompare�anche�la�terza�goccia.�Adesso�abbiamo�tre�gocce�d'inchiostro�nascoste�nella�glicerina.�Nessuna�di�esse�è�visibile,�ma�noi�sappiamo�dov'è�ciascuna�di�esse�nell'ordine�implicito.Quando�giriamo�il�cilindro�nella�posizione�opposta,�apparirà�una�goccia�di�inchiostro�(la�terza)�dopo�un�giro,�un'altra�goccia�(la�seconda)�dopo�il�giro�successivo,�e�ancora�un'altra�(la�prima)�dopo�il�terzo�giro.Questo�è�l'ordine�rivelato,�o�«esplicito».�Le�tre�gocce�sembrano�non�avere�nessuna�relazione�nell'ordine�esplicito�(rivelato),�ma�noi�sappiamo�che�sono�correlate�nell'ordine�implicito�(nascosto)...��In�realtà�se�la�mano�che�determina�la�quantità�e�il�ritmo�delle�gocce�di�inchiostro�mantiene�un�ordine�formale�(formale�nel�senso�di�rispettoso�delle�nostre�dinamiche�logiche)�possiamo�elaborare�un�modello�che�descriva,�spieghi�e�magari�preveda�il�fenomeno�(definire�una�legge).Immaginiamo�di�essere�un�topolino�(o�uno�scarafaggio�o�una�cavalletta,�che�fa�lo�stesso)�affacciato�al�bordo�dei�cilindri�sopra�descritti�e�immaginiamo�che�qualcuno�abbia�inserito�nella�glicerina�secondo�un�ordine�noto�solo�a�lui�le�gocce�di�inchiostro:�una�goccia�poi�due�giri�del�cilindro,�una�goccia�e�due�giri,�una�goccia�e�due�giri.L'osservatore-scienziato-topolino,�osservando�il�cilindro�e�il�«fenomeno»�macchie�di�inchiostro�che�appaiono,�dopo�aver�rilevato�più�volte�che�ogni�due�giri�appare�una�macchia,�enuncerà�una�legge�universale:�«ogni�due�giri�del�cilindro�appare�una�macchia�di�inchiostro»�e�sarà�perfino�in�grado�di�esprimere�la�legge�con�una�(semplice)�equazione�matematica.Lo�stesso�potrebbe�fare�l'osservatore-scienziato-topolino�(se�il�suo�quoziente�d

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i�intelligenza�e�le�sue�conoscenze�matematiche�fossero�adeguate)�anche�nel�caso�in�cui�le�gocce�di�inchiostro�fossero�inserite�in�qualsiasi�altro�modo�«ordinato�e�logico»;�una�goccia/un�giro,�poi�una�goccia/due�giri,�poi�una�goccia/tre�giri,�una�goccia/quattro�giri�ecc.�oppure�una�goccia/due�giri,�poi�una�goccia/quattro�giri,�una�goccia/otto�giri,�una�goccia/sedici�giri�ecc.�o�con�qualsiasi�altro�ordine�formale�possibile.Ma�se�la�mano�che�manovra�il�contagocce�(gli�dei,�la�natura,�il�fato�ecc.)�lasciasse�cadere�l'inchiostro�in�modo�casuale,�oppure�in�modo�ordinato�per�un�certo�periodo�e�poi�cambiasse�ritmo,�il�povero�osservatore-scienziato-topolino�si�vedrebbe�continuamente�smentite�le�previsioni�e�sconfessate�le�leggi�e�sarebbe�sicuramente�costretto�a�cambiare�professione�(a�meno�di�inventare�una�macchina�«rivelatrice»�d'inchiostro�o�di�sviluppare�capacità�extra¬sensoriali�di�percezione�dell'inchiostro�diffuso�nella�glicerina).Proviamo�a�immaginare�poi�(come�avviene�nella�realtà�reale)�che�il�sistema�osservato�(il�marchingegno�con�la�glicerina)�non�sia�così�semplice,�con�l'unica�variabile�del�movimento�circolare�uniforme�del�cilindro,�ma�le�variabili�siano�numerose:�la�glicerina�sia�in�movimento�caotico�(in�ebollizione�per�esempio),�che�la�sua�densità�vari�per�effetto�del�calore,�che�le�macchie�di�inchiostro�siano�di�dimensioni�e�colori�diversi,�che�ambedue�i�cilindri�ruotino�in�modo�disordinato�e�siano�sottoposti�a�sobbalzi�ecc.;�le�possibilità�per�l'osservatore-�scienziato-topolino�di�veder�confermata�la�sua�legge�e�rispettate�le�sue�previsioni�divengono�praticamente�nulle.

L'intelligenza�delle�«cose»Nella�realtà�reale�(per�esempio�nel�corso�di�un�trattamento�shiatsu�come�nella�crescita�di�un�albero�o�nelle�precipitazioni�atmosferiche�di�un�giorno�a�caso�in�una�località�a�caso)�le�variabili�che�influenzano�i�fenomeni�sono�pressoché�infinite,�tali�da�rendere�del�tutto�impossibile�non�dico�la�formalizzazione�di�una�legge�espressa�da�una�equazione�matematica,�ma�anche�la�singola�previsione�certa.Solo�la�mano�che�manovra�il�contagocce�(il�fato,�la�natura,�gli�dei�ecc.)�sa�dove�e�in�che�sequenza�ha�messo�le�gocce.Noi,�scusate,�il�topolino�può�solo�far�tesoro�delle�esperienze�vissute�e�osservate�per�cercar�di�prevedere�che�cosa�è�possibile�che�accada�o�al�massimo�cosa�è�probabile�(o�più�probabile)�che�accada�in�date�circostanze,�con�la�sola�certezza�che�ogni�accadimento,�che�ogni�fenomeno�è�comunque�unico�e�irripetibile;�nello�shiatsu�ogni�trattamento�è�un�evento�unico�in�quanto�coinvolge�in�un�momento�unico�l'originale�peculiarità�di�due�persone�uniche.Nessuno�si�rende�conto�di�quanto�la�vita�sia�complessa:�un�solo�uovo�fecondato�ha�più�di�centomila�geni�che�agiscono�in�modo�coordinato�e�trasformano�questa�singola�cellula�in�un�essere�vivente�completo.�Quella�singola�cellula�comincia�a�dividersi,�ma�le�cellule�successive�si�differenziano.�Alcune�sono�nervi.�Altre�intestini,�altre�arti.�Ogni�serie�di�cellule�segue�un�suo�programma�e�si�sviluppa�interagendo.�Alla�fine�vi�sono�duecentocinquanta�tipi�di�cellule�che�si�sviluppano�contemporaneamente,�al�momento�giusto.�Quando�l'organismo�ha�bisogno�di�un�apparato�circolatorio,�il�cuore�comincia�a�battere.�Quando�occorrono�gli�ormoni,�le�surrenali�cominciano�a�produrli.�Questo�sviluppo�incredibilmente�complesso�procede�alla�perfezione�settimana�dopo�settimana.�E'�incredibile.�Non�vi�è�alcuna�attività�umana�che�sia�paragonabile�a�questo...�Da�un�punto�di�vista�matematico,�possiamo�descrivere�due�cose�interagenti,�come�due�pianeti�nello�spazio.�Ma�descrivere�tre�cose�interagenti�diventa�un�problema.�E�non�riusciamo�affatto�a�descrivere�quattro�o�cinque�cose�interagenti,�si�deve�rinunciare�all'impresa.�E�nella�cellula�ci�sono�centomila�cose�che�interagiscono.�Tutto�è�talmente�complesso�che�viene�da�chiedersi�come�possa�verificarsi�la�vita.�Alcuni�ritengono�che�la�risposta�stia�nel�fatto�che�le�forme�viventi�si�autorganizzano.In�realtà�l'ordine�(o�il�caos)�sottinteso�ad�ogni�manifestazione�del�reale,�l'ordine�su�cui�intendiamo�operare�all'interno�di�un�trattamento�shiatsu,�è�un�ordine�che�non�segue�le�nostre�logiche,�che�non�rispetta�le�nostre�forme,�che�non�si�sottomette�ai�nostri�criteri�perché�non�nasce�da�noi�e�ci�è�impossibile,�topolini-ricercatori-scienziati�dal�quoziente�intellettivo�sviluppato,�sapere�come�ha�operato�la�mano�che�impugnava�il�contagocce.

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Nel�nostro�tentativo�di�comprendere�la�realtà�noi�assomigliamo�a�uno�che�cerchi�di�capire�il�meccanismo�di�un�orologio�chiuso.�Egli�vede�il�quadrante�e�le�lancette,�può�anche�sentirne�il�tic-tac,�ma�non�ha�alcuna�possibilità�di�aprirlo.�Se�è�una�persona�ingegnosa�può�in�qualche�modo�raffigurarsi�il�meccanismo�responsabile�dei�fenomeni�che�osserva,�ma�non�potrà�mai�essere�sicuro�che�la�sua�ipotesi�sia�l'unica�a�poter�spiegare�le�sue�osservazioni.�Non�riuscirà�mai�a�paragonare�la�sua�immagine�mentale�con�il�meccanismo�reale�e�non�può�neppure�immaginare�la�possibilità�del�significato�di�un�tale�confronto.Gli�orientali,�o�meglio�i�taoisti,�hanno�da�qualche�migliaio�d'anni�compreso�ciò�e�liquidano�i�tentativi�di�spiegarsi�o�di�spiegare�i�principi�uniformatori�dell'universo�con�la�semplice�(ma�tutt'altro�che�semplicistica)�affermazione:«Il�Tao�non�è�descrivibile;�se�fosse�descrivibile�non�potrebbe�essere�il�Tao».

6°�Passo�Afferrare�la�realtàIl�bisogno�di�modelli

Se�non�ci�si�preoccupa�di�afferrare�l'inafferrabile�bensì�di�intervenire�sulla�vita�che�passa�e�che�scorre�come�un�filo�impercettibile,�bisogna�per�forza�accostarsi�ai�suoi�diversi�aspetti�per�mezzo�di�una�serie�di�strumenti�che�la�aggrediscano�da�tutte�le�parti,�da�tutti�ipunti�di�vista.Schatz,�Larre,�de�La�Vallèe,�«Agopuntura»

Per�innumerevoli�millenni�l'uomo�si�è�accontentato�di�prendere�atto�giorno�per�giorno�che�il�sole�sorgeva,�attraversava�il�cielo�nella�sua�corsa�e�tramontava;�aveva�troppo�da�fare�per�procurarsi�il�cibo�e�sfuggire�alla�caccia�dei�predatori�più�grossi�di�lui�per�trovare�il�tempo�di�chiedersi�come�poteva�succedere�tutto�ciò.Quando�si�fu�sistemato�un�po'�più�comodamente�(e�nel�frattempo�pare�-�ma�non�è�certo�-�che�la�sua�massa�cerebrale�si�fosse�espansa)�ed�ebbe�il�tempo�di�fare�occasionalmente�il�pensatore�(gli�intellettuali�come�categoria�ancora�non�esistevano)�sentì�il�bisogno�di�trovare�una�spiegazione�a�quanto�gli�succedeva�di�osservare�ogni�giorno,�di�crearsi�un�modello�che�potesse�«giustificare»�il�sorgere�e�il�tramontare�quotidiano�del�sole.La�sua�dimensione�razionale,�ancorché�in�fase�nascente,�reclamava�la�propria�gratificazione,�esprimeva�il�bisogno�di�essere�rassicurata.�E�nacque�il�primo�modello!Fu�chiamato�(molto�più�tardi)�modello�geocentrico�e�in�sostanza�si�basava�sull'ipotesi�(che�per�tutti�divenne�convinzione�e�più�tardi�fede)�che�la�terra,�piatta,�fosse�il�centro�dell'universo�e�che�il�sole�e�la�luna�girassero�attorno�(le�stelle�invece�erano�fissate�alla�volta�celeste).Nelle�varie�versioni�elaborate�dalle�diverse�culture,�questa�ipotesi�resse�fi¬no�alla�metà�di�questo�millennio�ed�era�in�grado�di�spiegare�molti�dei�fenomeni�connessi�al�movimento�relativo�del�sole�osservabili�ad�occhio�nudo�nella�vita�quotidiana�della�persona�comune;�ed�in�effetti�proprio�a�questo�serviva�il�modello.�Ma�con�l'affinarsi�delle�osservazioni�ed�il�progredire�dei�mezzi�di�indagine�il�modello�geocentrico�mostrò�i�propri�limiti;�troppi�fenomeni�osservati�e�osservabili�entravano�in�contraddizione�con�questo�modello�e�pian�piano�si�affermò�un�nuovo�modello,�quello�eliocentrico,�che�affermava�la�centralità�del�sole�e�degradava�la�terra�a�pianeta�rotante�attorno�al�sole�e�a�se�stessa.Questo�nuovo�modello�soppiantò�(non�senza�traumi)�il�modello�geocentrico�perché�era�più�soddisfacente,�cioè�forniva�una�ipotesi�di�lavoro�che�spiegava�in�modo�esauriente�la�stragrande�maggioranza�dei�dubbi�cui�il�modello�precedente�non�aveva�saputo�dare�risposta.Inutile�dire�che�con�il�progresso�dei�secoli�seguenti�anche�il�modello�eliocentrico�si�rivelò�essere�via�via�inadeguato�a�spiegare�in�modo�soddisfacente�i�fenomeni�che�si�evidenziavano�man�mano�che�il�progresso�tecnologico�e�l'espansione�della�conoscenza�scientifica�avanzavano�(le�galassie,�l'universo�in�espansione,�il�big�bang,�i�buchi�neri�ecc.).

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Oggi�i�modelli�che�cercano�di�spiegare�la�struttura�dell'universo�si�sprecano;�anzi�l'esperienza�ha�insegnato�ad�essere�più�prudenti�e�parlare�solo�di�ipotesi�scientifiche.Ma�vale�la�pena�di�osservare�che,�mentre�il�modello�geocentrico�ha�costituito�uno�strumento�interpretativo�validamente�usato�suppergiù�per�tre�millenni,�il�modello�eliocentrico�non�ha�retto�tre�secoli;�i�modelli�più�recenti�in�genere�si�rivelano�superati�nel�giro�di�qualche�decennio,�a�volte�di�pochi�anni.Paradossalmente�più�l'uomo�ha�progredito�nella�conoscenza�(grazie�a�nuovi�metodi�e�strumenti�di�indagine)�più�le�certezze�si�sono�sciolte�come�neve�al�sole;�sicuramente�le�certezze�dell'astrologo�di�duemila�anni�fa�erano�più�solide�e�assolute�di�quelle�dell'astronomo�di�quattrocento�anni�fa�e�di�gran�lunga�più�incrollabili�di�quelle�dell'astrofisico�moderno.Proprio�perché�l'astrofisico�di�oggi�sulla�natura�e�sulle�dinamiche�dell'universo�ne�sa�infinitamente�di�più�dei�suoi�predecessori,�sa�che�non�vi�sono�certezze,�solo�ipotesi,�più�o�meno�plausibili�e�rassicuranti.Oggi�nessuno�si�sognerebbe�di�scatenare�una�guerra�di�religione�(con�tanto�di�scomuniche�e�persecuzioni)�per�la�prevalenza�di�un�modello�su�un'altro�come�avvenne�ai�tempi�di�Galileo�(anche�se�qualcosa�di�analogo�avviene�talvolta�ancora�all'interno�delle�comunità�scientifiche)�perché�a�quei�tempi�pensavano�di�discutere�di�come�«realmente�è»�l'universo,�non�di�quale�modello�fosse�più�idoneo�come�strumento�di�lavoro�per�una�simulazione�realistica�di�quanto�si�osserva�accadere�intorno�alla�terra.Per�fare�un'altro�esempio,�nessuno�aveva�visto�come�era�fatto�l'atomo�quando�si�ipotizzò�che�fosse�costituito�da�un�nucleo�(con�particelle�positive�e�particelle�neutre)�e�particelle�caricate�negativamente�che�ruotavano�attorno,�ma�si�pensò�che�«se»�l'atomo�fosse�stato�costituito�a�quel�modo�molti�fenomeni�chimici�e�fisici�osservati�diventavano�comprensibili�e�prevedibili.��Era�quindi�un�modello�utilizzabile�operativamente�con�successo�in�molti�casi,�oltre�che�gratificante�per�la�dimensione�razionale,�e�come�tale�prezioso�per�la�comprensione�dei�fenomeni.Oggi�si�«conoscono»�almeno�una�dozzina�di�particelle�componenti�l'atomo,�e�la�ricerca�è�tutt'altro�che�finita.

Vivere�l'evidenzaLe�conoscenze�astronomiche�smantellano�via�via�tutte�le�certezze;�possiamo�proprio�dire�che�ogni�scoperta�scientifica�aumenta�il�margine�di�incertezza;�l'immagine�e�la�didascalia�sopra�riportate�sono�tratte�dalla�rivista�«Focus»,�Mondadori,�n.�5,�8�agosto�1997,�p.�82.Altro�che�fermo�in�mezzo�al�sistema�solare�!�Il�Sole�si�muove,�eccome.�Ilsuo�«balletto»�è�stato�calcolato�dagli�specialisti�della�rivista�«Sky�and�Telescope».Le�considerazioni�fin�qui�svolte�possono�orientarci�nella�nostra�ricerca,�recuperando�atteggiamenti�più�adeguati�ad�un�rapporto�positivo�con�i�fenomeni�in�cui�ci�troviamo�immersi,�e�in�particolare�con�il�fenomeno�«shiatsu»�ora�al�centro�della�nostra�attenzione.In�primo�luogo�l'uomo�ha�sempre�convissuto�con�i�fenomeni,�integrandoli�nella�propria�vita,�senza�subordinarli�ad�una�spiegazione�razionalmente�soddisfacente;�per�millenni�l'uomo�ha�impostato�vita�ed�attività�sui�movimenti�del�sole�prima�di�sentire�il�bisogno�di�elaborare�modelli�interpretativi�del�fenomeno,�e�lo�scontro�e�il�sovrapporsi�dei�modelli�nei�secoli�ben�poco�hanno�influito�sulla�vita�individuale�e�collettiva�e�sulle�attività�umane.Per�la�scelta�del�momento�della�semina�che�al�centro�dell'universo�stia�la�terra,�il�sole�o�che�non�esista�un�centro�è�del�tutto�indifferente�e�i�navigatori�si�erano�spinti�fino�alle�Americhe�ben�prima�che�gli�scienziati�ipotizzassero�la�rotondità�della�terra.Lo�stesso�Newton,�quando�pone�le�basi�del�suo�modello�(che�reggeranno�per�quasi�trecento�anni,�plasmando�una�nuova,�sconvolgente�-�per�l'epoca�-�cultura)�non�subordina�l'osservazione�e�l'evidenza�della�realtà�alle�spiegazioni�razionalmente�convincenti,�ma�«lavora»�sulla�base�di�«ciò�che�succede»,�anche�se�sconcertato�dall'assurdità�dell'evidenza.In�una�lettera�a�Richard�Bently,�uno�studioso�di�classici,�Newton�scrisse:

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...�il�fatto�che�un�corpo�possa�agire�su�un�altro�a�una�certa�distanza�attraverso�il�vuoto�senza�l'intervento�di�nient'altro...�è�per�me�un�'assurdità�così�grande�che�credo�nessun�uomo�che�si�sia�occupato�con�competenza�di�materie�filosofiche�ne�abbia�mai�incontrato�una�simile.E�ancora,�nel�famoso�trattato�Philosophiae�Naturalis�Principia�Mathematica:«...�non�sono�stato�in�grado�di�scoprire�la�causa�di�questo�effetto�della�gravità�dall'osservazione�dei�fenomeni,�e�non�oso�avanzare�ipotesi...�è�sufficiente�sapere�che�la�gravità�esiste�effettivamente,�che�agisce�secondo�le�leggi�che�abbiamo�spiegato,�e�che�fornisce�una�spiegazione�più�che�esauriente�per�il�moto�dei�corpi�celesti...�»In�breve,�l'azione�a�distanza�poteva�essere�descritta�ma�non�spiegata.�Ma�che�tutto�ciò�fosse�razionalmente�sconvolgente,�cioè�che�il�modello�non�lo�convincesse�nelle�sue�spiegazioni�razionali,�non�impedì�a�Newton�di�fare�il�proprio�lavoro�di�ricercatore�e�di�scienziato�e�di�fondare�la�fisica�classica.

Accendere�i�sensiIn�secondo�luogo�lo�studio�e/o�il�confronto�tra�i�modelli�interpretativi�(le�teorie)�deve�partire�dalla�chiara�consapevolezza�che�non�si�tratta�di�analizzare�e�discutere�di�come�«è»�il�fenomeno�e�di�quello�che�realmente�«succede»,�ma�solo�della�maggiore�o�minore�idoneità�di�questo�o�quel�modello�a�fornirci�un'immagine�razionalmente�comprensibile�di�cosa�sta�dietro�al�fenomeno�e�che�in�qualche�misura�ci�rassicuri�e�ci�orienti�nel�rapporto�con�il�fenomeno�stesso,�anzi�nel�vivere�il�fenomeno.È�come�se�nel�tentativo�di�stabilire�se�una�carta�geografica�sia�più�o�meno�idonea�di�un'altra�a�darci�un'idea�di�come�è�fatta�una�regione,�dimenticassimo�che�la�regione,�con�i�suoi�paesaggi,�la�sua�popolazione,�la�sua�cultura�ecc.�è�tutt'altra�cosa�che�quei�pezzi�di�carta�(e�del�resto�chi�conosce�a�fondo�la�regione�non�ha�certo�bisogno�della�carta�geografica�per�viverci).Tornando�allo�shiatsu�dichiaro�subito�che�non�ho�nessuna�intenzione�di�spiegare�su�quali�teorie,�su�quali�modelli�si�basi�lo�shiatsu�perché�anteporre�la�teoria�alla�pratica�(e�ancora�più�radicalmente�la�separazione�tra�teoria�e�pratica)�è�il�peggior�modo�di�introdursi�ad�un'esperienza�di�vita�come�è�lo�shiatsu�do.Nello�shiatsu�occorre�tuffarsi�impegnandosi�a�«fare»�le�pressioni�(secondo�le�indicazioni�fornite)�e�lasciando,�senza�aspettative�e�pretese,�che�accada�quel�che�accade,�come�in�tutte�le�esperienze�essenziali.La�capacità�di�impegno�nel�praticare�e�nell'osservare�quel�che�accade�senza�preconcetti�indotti�da�questa�o�quella�teoria,�questo�o�quel�modello,�insomma�essere�attivamente�dentro�l'esperienza�a�mente�vuota�e�sensi�«accesi»,�è�la�condizione�per�vivere�una�reale,�essenziale,�profonda�esperienza�di�shiatsu.Ma�siamo�occidentali�del�XX�secolo�e�non�possiamo�liberarci�in�un�botto�di�tutta�un'educazione�che�ci�fa�sentire�orfani�se�la�mente�non�è�gratificata�a�sufficienza,�anzi�se�non�si�trova�in�posizione�preminente�(nelle�nostre�scuole�si�studiano�i�libri,�non�la�vita).Se�ci�poniamo�in�una�situazione�del�genere�la�nostra�mente�o�si�ribella�esplicitamente�e�oppone�un�muro�impedendoci�l'esperienza,�o�finge�di�stare�al�gioco,�per�poi�continuare�ad�intrufolarsi�subdolamente,�ad�inquadrare,�snaturandole,�le�esperienze�in�questo�o�quello�schema�teorico.Anche�per�questo�un�momento�fondamentale�dell'esperienza�proposta�per�l'apprendimento�dello�shiatsu�è�una�pratica�ripetitiva�-�il�kata�-�che�prende�in�contropiede,�spiazzandola,�la�mente.

Giocare�con�i�modelli�o�farsi�giocare�dai�modelliBisogna�anche�fare�i�conti�con�il�fatto�che�quasi�tutti�i�libri,�le�scuole�o�gli�istruttori�di�shiatsu�iniziano�esponendo�le�«teorie»�che�giustificano�e/o�nobilitano�lo�shiatsu�e�si�è�creata�un'abitudine,�oserei�dire�una�dipendenza,�nel�mondo�dello�shiatsu,�a�e�da�modelli�che�probabilmente�con�lo�shiatsu�hanno�poco�da�spartire.Non�si�tratta�a�questo�punto,�di�contrapporre�alla�diffusa�«subordinazione�agli�schemi�teorici»�dei�più�un�atteggiamento�di�rifiuto�assoluto�dei�modelli�in�nome�di�una�«sublime�immediatezza�dell'esperienza»�nell'evento�shiatsu,�ma�di�affrontare�il�pr

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oblema�imparando�ad�«usare»�i�modelli�quando�e�per�quel�che�servono.�Visto�che�per�tutti�noi,�cresciuti�ed�educati�nella�e�dalla�forma�di�pensiero�occidentale�e�più�o�meno�infatuati�della�cultura�orientale,�è�impossibile�entrare�vergini�nello�shiatsu�do,�è�essenziale�imparare�a�giocare�dialetticamente�con�i�diversi�punti�di�vista�che�ci�possono�permettere�una�visione�ampia�e�dinamica�dei�fenomeni.I�modelli�teorici�non�sono�il�demonio�(anche�se�il�saggio�taoista�Chao-�Chou,�Joshu�per�gli�amici,�annotava:�«Il�diavolo�si�nutre�dello�spazio�tra�pensiero�e�azione»);�anzi,�in�una�seconda�fase,�possono�essere�un�utile�supporto�alla�pratica�per�una�progressiva�integrazione�tra�dimensione�razionale�e�dimensione�percettiva.Importante�è�usarli�per�quello�che�sono,�strumenti�e�non�dogmi,�ipotesi�di�lavoro�e�non�fedi,�schemi�per�interpretare�i�fenomeni�e�non�verità�assolute.I�modelli�con�cui�ci�troveremo�nella�nostra�pratica�a�fare�i�conti�sono�fondamentalmente�quattro:1. il�modello�scientifico�moderno�occidentale;2. il�modello�derivato�dalla�medicina�tradizionale�cinese;3. il�modello�taoista;4. il�modello�propostoci�dalla�fisica�contemporanea�e�dalle�teorie�del�caos�e�della�complessità.E'�importante�che�cerchiamo�fin�da�ora,�anche�se�in�maniera�superficiale�e�schematica,�di�definirne�i�campi�d'uso,�i�punti�di�forza�e�i�limiti;�ovviamente�non�in�astratto�e/o�in�assoluto�ma�in�relazione�all'esperienza�che�stiamo�affrontando,�cioè�un�training�di�apprendimento�dello�shiatsu.

7°�Passo�La�Grande�MacchinaIl�modello�scientifico�occidentale

Un'intelligenza�che,�ad�un�dato�istante,�conoscesse�tutte�le�forze�da�cui�è�animata�la�natura...�abbraccerebbe�nella�stessa�formula�i�movimenti�dei�più�grandi�corpi�dell'universo�e�dell'atomo�più�leggero.P.S.�de�Laplace

È�per�tutti�talmente�evidente�che�l'uomo�è�fatto�di�materia�che�quando,�nel�corso�di�un'affollata�assemblea�di�«professionisti»�dello�shiatsu,�mi�trovai�ad�affermare�che�nello�shiatsu�considerare�l'uomo�come�fatto�di�ossa,�muscoli�ecc.�era�deviante�(per�cui�risultava�come�minimo�inutile,�probabilmente�dannoso�inserire�nei�programmi�delle�scuole�di�shiatsu�materie�come�anatomia�e�fisiologia),�fui�considerato�con�curioso�interesse�(dice�cose�interessanti�e�stimolanti)�e�irritato�scetticismo�(ma�cosa�c'entra�tutto�questo�con�la�nostra�professionalità).Solo�i�più�ingenui�caddero�nella�trappola�di�affermare�candidamente�«ma�è�ovvio�che�l'uomo�è�fatto�di�ossa�e�muscoli,�lo�può�vedere�chiunque»,�offrendomi�la�possibilità�di�continuare�nei�miei�sproloqui�e�argomentare�che�è�solo�una�questione�di�punti�di�vista:�l'uomo�è�per�il�fisioterapista�fatto�di�ossa�e�muscoli,�per�il�pittore�di�forme�e�colori,�per�lo�psicoterapeuta�di�emozioni�e�conflitti,�per�l'agopuntore�di�vuoti�e�pieni�energetici�ecc.La�reazione�spontanea�e�immediata�di�molti�presenti�era�stata�generata�dal�comune�modo�di�pensare,�dal�buon�senso�comune�dell'uomo�del�XX�secolo,�prodotto�di�alcuni�secoli�di�cultura�basata�sul�cosiddetto�modello�scientifico�occidentale.In�realtà�nell'ultimo�secolo�la�fisica�quantistica�e�la�teoria�della�relatività�hanno�profondamente�sovvertito�nel�mondo�della�«cultura�evoluta»�i�presupposti�stessi�di�questo�modello�(tra�i�dotti�nessuno�ci�crede�più,�come�nessuno�crede�più�al�modello�eliocentrico�o�all'indivisibilità�dell'atomo),�ma�esso�è�rimasto�la�base�della�cultura�di�massa,�anche�nel�campo�della�medicina�e�delle�cosiddette�«scienze�umane».Non�intendo�fare�una�panoramica�degli�elementi�costitutivi�nelle�loro�interrelazioni�e�della�genesi�storica�(superamento�compreso)�del�modello�scientifico�occidentale,�ma�ci�è�utile�analizzarne�alcuni�aspetti�chiave�per�valutare�quanto�e�come�questo�modello�possa�divenire�uno�strumento�di�lavoro�per�il�praticante�shiatsu

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�e�quali�trappole�possa�invece�tendere,�annebbiandone�la�consapevolezza�nell'esperienza.Tali�aspetti�sono�il�meccanicismo,�il�riduzionismo�e,�ovviamente,�l'idea�di�«materia»,�in�un�quadro�di�«oggettività»�dell'esperienza.

Un'intuizione�e�un�abbaglio«Nel�1630,�Cartesio�visitò�i�giardini�di�Versailles,�che�erano�famosi�per�i�loro�complessi�meccanismi�automatici.�Quando�l'acqua�veniva�fatta�scorrere,�iniziava�a�suonare�della�musica,�delle�ninfe�marine�cominciavano�a�muoversi,�e�un�gigantesco�Nettuno,�completo�di�tridente,�avanzava�con�movimento�meccanico.�Che�la�sua�idea�fosse�precedente�a�quella�visita�o�meno,�la�filosofia�di�Cartesio,�supportata�dalla�sua�stessa�matematica,�si�fondò�sul�principio�che�l'universo�e�tutte�le�cose�in�esso�contenute�fossero�macchinari.�Dai�tempi�di�Cartesio�fino�all'inizio�di�questo�secolo,�e�forse�proprio�a�causa�sua,�i�nostri�antenati�cominciarono�a�vedere�l'universo�come�una�Grande�Macchina.�E�nei�tre�secoli�successivi�svilupparono�le�scienze�principalmente�per�scoprire�come�funzionasse�questa�Grande�Macchina.«Il�modello�meccanicistico�newtoniano�dell'universo�costituiva�la�struttura�portante�della�fisica�classica.�Si�trattava�in�effetti�di�una�fondazione�veramente�formidabile,�che�sorreggeva�graniticamente�tutta�la�scienza�e�che�per�quasi�tre�secoli�offrì�una�solida�base�alla�filosofia�naturale.«La�concezione�meccanicistica�della�natura�è�quindi�in�stretto�rapporto�con�un�determinismo�rigoroso.�La�gigantesca�macchina�cosmica�era�considerata�completamente�causale�e�determinata.�Tutto�ciò�che�avveniva�aveva�una�causa�definita�e�dava�luogo�a�un�effetto�definito�e,�in�linea�di�principio,�si�sarebbe�potuto�prevedere�con�assoluta�certezza�il�futuro�di�una�parte�qualsiasi�del�sistema�se�si�fosse�conosciuto�in�un�qualsiasi�istante�il�suo�stato�in�tutti�i�suoi�particolari.�Questa�convinzione�trovò�la�sua�espressione�più�chiara�nelle�famose�parole�del�matematico�francese�Pierre-Simon�de�Laplace:Un'Intelligenza�che,�ad�un�dato�istante,�conoscesse�tutte�le�forze�da�cui�è�animata�la�natura�e�la�situazione�rispettiva�degli�esseri�che�la�compongono,�se�per�di�più�fosse�abbastanza�profonda�per�sottomettere�questi�dati�all'analisi...�abbraccerebbe�nella�stessa�formula�i�movimenti�deipiù�grandi�corpi�dell'universo�e�dell'atomo�più�leggero:�nulla�sarebbe�incerto�per�essa�e�l'avvenire,�come�il�passato,�sarebbe�presente�ai�suoi�occhi.«Nel�Settecento�e�nell'Ottocento�si�assistè�ad�un�enorme�successo�della�meccanica�newtoniana.�Newton�stesso�applicò�la�sua�teoria�al�moto�dei�pianeti�e�riuscì,�a�spiegare�le�caratteristiche�fondamentali�del�sistema�solare».Lo�scenario�dell'universo�newtoniano�nel�quale�avevano�luogo�tutti�i�fenomeni�fisici�era�lo�spazio�tridimensionale�della�geometria�euclidea�classica:�uno�spazio�assoluto,�sempre�immobile�e�immutabile.�Secondo�le�parole�di�Newton:Lo�spazio�assoluto,�per�sua�stessa�natura�senza�relazione�ad�alcunché�di�esterno,�rimane�sempre�uguale�e�immobile.Tutti�i�mutamenti�che�si�verificano�nel�mondo�fisico�erano�descritti�in�funzione�di�una�dimensione�separata,�chiamata�tempo,�anch'essa�assoluta,�che�non�aveva�alcun�legame�con�il�mondo�materiale�e�che�fluiva�uniformemente�dal�passato�al�futuro,�attraverso�il�presente:«Il�tempo�assoluto,�vero,�matematico»�disse�Newton�«in�sé�e�per�sua�natura�senza�relazione�ad�alcunché�di�esterno,�scorre�uniformemente».In�realtà,�da�ricercatore�troppo�serio�per�sorvolare�sulle�incongruenze�e�troppo�onesto�per�nascondersi�le�contraddizioni,�Newton�aveva�ipotizzato�un'intervento�«occasionale»�di�un'entità�superiore�per�riaggiustare�il�meccanismo�quando�non�funzionava.�Tuttavia�il�suo�modello�planetario�era�estremamente�semplificativo�-�vi�era�trascurata,�per�esempio,�l'influenza�gravitazionale�tra�i�pianeti�-�cosicché�ne�risultavano�alcune�irregolarità�che�Newton�non�riusciva�a�spiegare.�Egli�risolse�questo�problema�supponendo�che�Dio�fosse�sempre�presente�nell'universo�per�correggere�tali�irregolarità.�

L'uomo,�che�macchina!Anche�la�ricerca�sull'uomo,�sulla�sua�costituzione,�sulle�sue�funzioni�vitali,�s

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ulle�sue�disfunzioni�(leggi�malattie)�fu�impostata�sulla�base�di�questi�presupposti;�l'organismo�umano�è�una�perfetta�e�meravigliosa�macchina�le�cui�dinamiche�sono�indagabili�e�conoscibili,�pezzo�per�pezzo,�e�riconducibili�ad�uno�schema�generale.Il�mito�della�ricerca�scientifica�nel�campo�medico�come�progresso�di�conoscenza,�magari�lento�e�faticoso�ma�certo�nel�suo�successo�finale�(è�solo�questione�di�tempo�e,�soprattutto,�di�entità�dei�finanziamenti),�che�ancora�oggi�non�conosce�dubbi�nella�medicina�ufficiale,�trova�la�sua�radice�in�questa�concezione�del�mondo.�Pensiamo�alla�grancassa�trionfalistica�con�cui�vengono�presentate�dai�media�le�nuove�scoperte�e�tutte�le�faraoniche�iniziative�imbastite�per�finanziare�la�ricerca�in�questo�o�quel�campo.Del�resto�è�ovvio�che�se�l'universo�(e�l'organismo�umano)�è�una�macchina�con�suoi�elementi�costitutivi�parcellizzabili,�con�un�suo�funzionamentoglobale�che�nasce�dal�funzionamento�combinato�delle�parti,�se�la�costituzione�del�singolo�elemento�è�uguale�in�tutti�i�soggetti�e�il�funzionamento�è�ripetitivo�(addirittura�inglobabile�in�leggi�immutabili�esprimibili�mediante�funzioni�matematiche),�la�scoperta�e�il�«dominio»�degli�elementi�e�dei�meccanismi�è�solo�questione�di�tempo�e�risorse.E�i�miracolosi�progressi�della�scienza�in�generale�e�della�medicina�in�particolare�per�almeno�tre�secoli�alimentarono�questa�convinzione,�plasmarono�questa�cultura�(illuminismo,�razionalismo,�positivismo�ecc.)�che�costituisce�la�nostra�matrice�culturale,�lo�«stampo»�che�ci�ha�strutturati.L'anatomia�e�la�fisiologia�patologica�indagarono�la�struttura�e�il�funzionamento�della�macchina�«organismo�umano»�e�l'incredibile�progresso�nella�cura�delle�malattie�sembrò�dimostrare�che�l'uomo�avesse�trovato�finalmente�(e�definitivamente)�la�chiave�di�comprensione�(e�di�dominio)�della�natura.Il�confronto�tra�i�due�casi�clinici�riportati�nelle�pagine�seguenti�può�dareun'idea�del�balzo�che�in�meno�di�trecento�anni�la�scienza�ha�fatto;�risultati�ancor�più�prodigiosi�se�confrontati�con�le�conoscenze�(e�soprattutto�con�i�successi�clinici)�costruite�nei�tre�millenni�precedenti.

Nasce�l'anatomia�patologicaNei�due�secoli�e�mezzo�che�seguirono�l'autopsia�del�cadavere�pieno�di�pus�del�vecchio�di�Bologna,�eseguita�da�Morgagni,�avvenne�la�grande�evoluzione�della�medicina�scientifica.�Per�prima�cosa�si�stabilì�che�ogni�sintomo�ha�origine�in�una�sede�anatomica�specifica,�di�cui�si�può�individuare�la�posizione.�Il�sintomo,�che�Morgagni�riteneva�«l'urlo�dell'organo�sofferente»,�fu�in�seguito�considerato�più�verosimilmente�l'urlo�del�tessuto�sofferente,�o,�ancora�dopo,�della�cellula�o�della�struttura�molecolare.�Nel�frattempo,�vari�tipi�di�sintomi�venivano�differenziati�l'uno�dall'altro�e�raggruppati�in�categorie:�si�riscontrò�che�essi�si�manifestavano�insieme�ad�altri�in�combinazioni�sufficientemente�prevedibili�da�permettere�il�riconoscimento�e�la�classificazione�di�specifiche�malattie.�Il�rapido�sviluppo�dell'arte�dell'esame�fisico,�all'inizio�del�diciannovesimo�secolo,�consentì�di�prevedere�nell'essere�vivente�i�cambiamenti�che�fino�ad�allora�si�riscontravano�solo�attraverso�uno�studio�post-mortem.�Verso�la�metà�del�secolo,�i�medici�erano�diventati�abbastanza�abili�nel�diagnosticare�le�malattie�attraverso�i�sensi�e�lo�stetoscopio.�Ben�presto,�una�sempre�maggiore�comprensione�dei�misteri�della�fisiologia�portò�alla�valutazione�delle�alterazioni,�non�solo�fisiche�ma�anche�chimiche,�legate�alla�malattia.

E�la�fisiologia�patologicaIl�primissimo�articolo�dell'Archivio�(1847)�destò�sensazione�tra�i�medici�tedeschi.�In�esso,�Virchow�delineava�la�convinzione�che�la�malattia�non�fosse�un'aberrazione�che�si�instaura�in�un�organismo�sano,�ma�semplicemente�un'alterazione�della�salute.�I�teorici�più�autorevoli�in�quel�periodo�consideravano�la�malattia�uno�stato�completamente�estraneo�al�normale�funzionamento�dei�tessuti,�che�nasceva�all'interno�del�corpo�o�vi�penetrava�dall'esterno,�con�una�sua�fiaccante�esistenza�simile�a�quella�di�un�parassita�estraneo�che�succhia�la�vita�all'organismo�che,�contro�la�suavolontà,�lo�ospita.�Per�loro,�i�tessuti�patologici�erano�prodotti�de�novo�da�una�i

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potetica�sostanza-madre�impazzita,�o�forse�da�sedimenti�del�sangue�stesso.�Secondo�questa�formulazione,�le�strutture�malate�sono�talmente�differenti�dalle�sane�che�non�si�può�imparare�niente�delle�prime�studiando�le�altre.�Fu�proprio�questa�formulazione�che�Virchow�confutò�nel�suo�primo�saggio�«Punti�di�vista�sulla�medicina�scientifica»,�in�cui�illustrò�la�sua�definizione�di�«medicina�scientifica»,�termine�assai�critico:

La�medicina�scientifica�ha�come�soggetto�le�mutate�condizioni�dell'organismo�sofferente�o�di�particolari�organi�malati,�l'identificazione�delle�deviazioni�nei�fenomeni�normali�che�si�verificano�in�condizioni�specificatamente�alterate�e,�infine,�la�scoperta�dei�mezzi�per�l'abolizione�delle�condizioni�anormali.�Questo�presuppone�la�conoscenza�dei�fenomeni�della�vita�in�situazioni�di�normalità�e�delle�condizioni�che�rendono�possibile�tale�normalità.�Pertanto,�la�base�della�medicina�scientifica�è�la�fisiologia.�Nella�medicina�scientifica�si�possono�distinguere�due�parti:�la�patologia,�che�dovrebbe�fornire�informazioni�sulle�condizioni�alterate�e�sulla�fisiologia�alterata,�e�la�terapia,�che�cerca�i�mezzi�per�ripristinare�o�mantenere�condizioni�normali.�In�sostanza,�la�medicina�clinica�non�è�medicina�scientifica,�neppure�se�praticata�dal�più�grande�maestro;�la�medicina�clinica�è�l'applicazione�della�medicina�scientifica.�Si�deve�riconoscere�che�questo�non�è�il�momento�di�formulare�sistemi,�ma�è�il�momento�di�compiere�ricerche�particolareggiate...�La�decisione�finale�in�queste�faccende�rimane�alla�scienza�che,�fino�a�ora,�è�agli�inizi�e�appare�destinata�a�sostituire�la�patologia�generale.�Mi�riferisco�qui�alla�scienza�della�fisiologia�patologica...L'anatomia�patologica�è�la�dottrina�dei�disturbi�della�struttura,�laddove�la�fisiologia�patologica�è�la�dottrina�dei�disturbi�della�funzione.�

Anno�1705Un�uomo�anziano,�di�settantaquattro�anni,�costituzione�snella,�amante�del�vino,�da�un�mese�aveva�iniziato�a�camminare�scaricando�il�peso�soprattutto�sulla�gamba�sinistra.�I�suoi�servi�avevano�notato�che�zoppicava,�ma�lui�non�ne�parlava�né�lamentava�alcun�disturbo.�Dopo�ventidue�giorni�di�questa�andatura�zoppa,�fu�colto�da�dolori�generalizzati�all'addome.�Si�curò�con�polvere�di�triaca,�rimedio�assai�in�uso�fin�dall'antichità.�Il�dolore�cessò.�Dodici�giorni�dopo,�verso�mezzogiorno,�iniziò�ad�accusare�un�dolore�acuto�e�persistente�nel�quadrante�inferiore�destro�dell'addome,�da�lui�descritto�come�il�«morso�di�un�cane».�La�zona�dolorante�era�gonfia�e�il�medico,�a�quel�punto�consultato,�potè�apprezzare�una�massa�dura�a�una�forte�e�continuata�pressione�della�mano.�Il�medico�notò�che�il�polso�era�rapido,�gli�occhi�apparivano�strani,�infossati�e�la�lingua�asciutta.�Il�paziente�trascorse�una�notte�agitata.La�mattina�seguente,�il�polso�era�lento�e�appena�percettibile.�Il�dolore�e�la�massa�si�erano�estesi�fino�alla�parte�centrale�inferiore�dell'addome,�e�presto�raggiunsero�anche�il�lato�sinistro.�Il�medico�ordinò�di�cavare�al�vecchio�non�meno�di�due�etti�di�sangue.�Fatto�ciò,�si�notò�che�il�punto�di�coagulazione�presentava�una�spessa�crosta�gialla�dall'aspetto�malsano.�Il�paziente�cominciò�a�sentire�nausea,�ma�non�vomitò.�La�seconda�notte�fu�molto�brutta.Il�giorno�seguente,�il�polso�era�debole�e�il�vecchio�vomitò�un�liquido�acido�e�amaro.�Parlava�in�modo�incomprensibile,�entrava�e�usciva�dal�delirio.�La�mattina�successiva�ebbe�frequenti�convulsioni�della�durata�ciascuna�anche�di�un�quarto�d'ora.�Il�polso�era�così�debole�che�poteva�essere�annullato�con�una�leggera�pressione�delle�dita�del�medico.�Vomitò�un�liquido�repellente,�dall'odore�di�feci.�La�respirazione�si�fece�molto�faticosa.�Quella�sera,�inspiegabilmente�uscito�dal�delirio,�il�vecchio�emise�un�rantolo,�si�contorse�e�morì.Durante�l'autopsia,�effettuata�il�mattino�successivo,�gli�elementi�più�interessanti,�come�prevedibile,�furono�trovati�nel�quadrante�inferiore�destro�della�cavità�addominale.�La�parte�iniziale�dell'intestino�crasso,�chiamata�base�del�cieco,�era�una�massa�di�cancrena�laddove�si�trovano�i�muscoli�che�vanno�verso�la�gamba.�Un�maleodorante�ascesso�era�penetrato�talmente�in�profondità�in�quei�muscoli�che�non�fu�possibile�estrarlo�senza�reciderlo,�con�massiccia�fuoriuscita�di�pus�e�siero.Era�stata�identificata,�dunque,�la�sede�dei�sintomi,�ma�non�si�riusciva�a�scoprire�la�causa�prima�da�cui�aveva�avuto�origine�il�processo�morboso.�Secondo�le�par

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ole�del�medico�che�aveva�effettuato�l'autopsia,�«non�c'è�modo�di�spiegare�come�l'infiammazione�si�sia�allargata�all'intestino�adiacente�e�neppure�si�possono�spiegare�le�altre�circostanze�da�me�descritte».L'anziano�era�morto,�come�forse�avrete�già�capito,�per�perforazione�dell'appendice.

Anno�1975Alle�dieci�di�sera�del�20�agosto�1975,�un�meteorologo�di�quarantadue�anni�del�National�Weather�Service�giunse�al�pronto�soccorso�del�Milford�Hospital,�in�Connecticut,�lamentando�nausea,�inappetenza�e�dolori�all'addome.�I�sintomi�erano�iniziati�due�giorni�prima�con�un�dolore�diffuso,�prima�intorno�all'ombelico,�e�poi�gradualmente�localizzato�nel�quadrante�inferiore�destro�dell'addome.�Il�paziente�aveva�vomitato�una�volta,�il�primo�giorno�dei�sintomi.�Mentre�egli�si�dirigeva�dal�banco�della�registrazione�verso�la�sala�d'attesa,�un'infermiera�che�lo�accompagnava�notò�che�zoppicava�un�po',�appoggiando�il�peso�soprattutto�sulla�gamba�sinistra.�All'esame,�il�medico�notò�che�palpando�e�premendo�con�la�mano�la�regione�dolente�verso�il�basso,�questa�si�presentava�estremamente�molle.�I�muscoli�che�la�ricoprivano�erano�rigidi�e�non�cedevano,�l'addome�era�un�po'gonfio.�Un'esplorazione�rettale�procurava�al�paziente�un�fastidio�notevole,�quando�la�punta�del�dito�col�guanto�si�spingeva�verso�l'alto�del�lato�destro.�Il�medico�diagnosticò�un'appendicite,�e�richiese�il�consulto�di�un�chirurgo.Quando�questi�arrivò�mezz'ora�dopo,�notò�che�il�paziente�era�così�disidratato�che�parlava�in�modo�legato,�tanto�la�lingua�era�asciutta.�Siccome�ogni�movimento�gli�recava�dolore,�aveva�deciso�di�stare�immobile,�sdraiato�sul�lato�destro�e�rannicchiato�con�le�ginocchia�vicine�al�petto.�Ormai�gli�esami�del�sangue�richiesti�dall'infermiera�dell'accettazione�erano�stati�completati,�e�rivelarono�un�aumento�marcato�di�globuli�bianchi�e�di�leucociti�polimorfonucleici,�a�significare�la�presenza�di�un'infiammazione�seria.�I�livelli�dell'emoglobina�e�dei�maggiori�componenti�chimici�del�sangue�erano�normali.�La�radiografia�al�torace�risultava�altrettanto�normale�e�l'elettrocardiogramma�non�forniva�dati�di�rilievo,�nonostante�alcune�variazioni�non�specifiche�in�una�delle�onde.Il�chirurgo�confermò�la�diagnosi�del�medico�del�pronto�soccorso.�Dopo�che�gli�furono�spiegati�i�rischi�e�i�benefici�di�un�intervento�chirurgico,�il�paziente�firmò�quello�che�in�termini�legali�si�chiama�«consenso�informato».�Gli�rasarono�l'addome�e�lo�portarono�su�una�sedia�a�rotelle�in�sala�operatoria.L'intervento�cominciò�circa�due�ore�dopo�l'arrivo�del�paziente�al�pronto�soccorso.�Dopo�l'anestesia�totale,�si�procedette�con�una�breve�incisione�nel�quadrante�destro�inferiore,�lo�spostamento�da�un�lato�dei�muscoli�sottostanti�e�l'apertura�della�cavità�addominale.�Dall'incisione�schizzarono�il�siero�maleodorante�e�il�pus�ivi�formatisi,�esattamente�dello�stesso�tipo�trovato�da�Giovanni�Morgagni�nell'addome�del�vecchio�di�Bologna�due�secoli�e�mezzo�prima.�Il�chirurgo�liberò�la�base�del�cieco,�togliendo�l'appendice�in�cancrena�e�con�ernia.Estrasse�l'appendice,�inserì�al�suo�posto�un�drenaggio�e�chiuse�la�ferita.�Due�ore�dopo�il�risveglio,�il�paziente�fu�riportato�nella�sua�stanza.�Non�si�fece�uso�di�nessun�altro�medicamento,�oltre�agli�antibiotici�e�ad�alcune�dosi�di�Demerol�durante�le�prime�quarantotto�ore�di�decorso�post-operatorio.�La�guarigione,�dopo�alcuni�giorni�di�fastidiosa�febbre,�avvenne�senza�complicazioni.�Il�paziente�tornò�a�casa�nel�giro�di�una�settimana�e�poco�tempo�dopo�fu�di�nuovo�al�lavoro,�a�tentar�di�prevedere�il�tempo;�la�sua�appendice�con�ernia�era�solo�un�ricordo.

L'insostenibile�pesantezza�della�materiaI�clamorosi,�innegabili�progressi�consentiti�dall'approccio�meccanicista/riduzionista,�troppo�spesso�dimenticati�dai�cultori�delle�cosiddette�medicine�alternative,�avevano�trovato�un�solido�fondamento�in�un�punto�di�vista�che�concepiva�la�materia�come�realtà�indistruttibile�ed�eterna.Gli�elementi�del�mondo�newtoniano�che�si�muovevano�in�questo�spazio�e�in�questo�tempo�assoluti�erano�le�particelle�materiali.�Nelle�equazioni�matematiche�queste�venivano�trattate�come�«punti�materiali»�e�Newton�le�considerava�oggetti�piccoli,�solidi�e�indistruttibili�dei�quali�era�costituita�tutta�la�materia.�Questo�modello�era�del�tutto�simile�a�quello�degli�atomisti�greci.�Tutti�e�due�erano�basati�s

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ulla�distinzione�tra�pieno�e�vuoto,�tra�materia�e�spazio,�e�in�entrambi�i�modelli�le�particelle�rimanevano�sempre�identiche�a�se�stesse�in�massa�e�forma.Nella�sua�Ottica,�Newton�ci�fornisce�una�chiara�descrizione�di�come�egli�immaginava�fosse�avvenuta�la�creazione�del�mondo�materiale�da�parte�di�Dio:Mi�sembra�probabile�che�Dio�al�principio�abbia�creato�la�materia�sotto�forma�di�particelle�solide,�compatte,�dure,�impermeabili�e�mobili,�dotate�di�tali�dimensioni�e�forme,�di�tali�proprietà�e�di�tali�proporzioni�rispetto�allo�spazio,�da�essere�le�più�adatte�per�il�fine�per�il�quale�egli�le�aveva�create;�e�che�queste�particelle�originarie�essendo�solide,�siano�incomparabilmente�più�dure�di�qualsiasi�corpo�poroso�da�esse�composto;�anzi�tanto�perfettamente�dure,�da�non�poter�mai�consumarsi�o�infrangersi:�nessuna�forza�comune�essendo�in�grado�di�dividere�ciò�che�Dio,�al�momento�della�creazione,�ha�fatto�uno.Secondo�Newton,�all'inizio�Dio�creò�le�particelle�materiali,�le�forze�che�agiscono�tra�esse�e�le�leggi�fondamentali�del�moto.�In�questo�modo�tutto�l'universo�fu�posto�in�movimento�e�da�allora�ha�continuato�a�funzionare,�come�una�macchina,�governato�da�leggi�immutabili.��

8°�Passo�La�scienza�si�morde�la�coda

L'arroganza�degli�scienziati�deriva�dall'assoluto�rifiuto�di�ragionare�in�termini�di�storia�della�scienza.�Gli�scienziati�fingono�che�la�storia�non�conti,�perché�gli�errori�del�passato�sono�stati�corretti�dalle�scoperte�moderne.�Ma�naturalmente�i�loro�predecessori�avevano�la�stessa�convinzione�Avevano�avuto�torto�allora,�così�come�hanno�torto�gli�scienziati�moderni.M.�Crichton,�Il�mondo�perduto

L'indagine�via�via�più�approfondita�degli�elementi�costitutivi�della�macchina-uomo,�resa�possibile�dallo�sviluppo�degli�strumenti�e�delle�tecniche�di�indagine�(stetoscopio,�microscopio�e�poi�via�via�tecniche�di�analisi�chimiche,�microbiologiche,�radiografie�ecc.)�ha�portato�lo�studioso�a�identificare�la�sede�della�malattia�nella�struttura�sempre�più�piccola:�prima�nella�persona,�poi�nell'organo,�quindi�nel�tessuto,�nella�cellula�ecc.�in�un�processo�di�approfondimento�della�conoscenza�che�ha�via�via�cercato�(e�trovato)�elementi�costitutivi�della�macchina�(i�mattoni�della�costruzione)�sempre�più�piccoli,�più�fondamentali,�più�essenziali,�arrivando�a�un�certo�punto�a�rendersi�conto�che�in�realtà�la�macchina�umana�(e�universale)�non�aveva�limiti�né�nel�più�piccolo,�né�nel�più�grande.La�macchina�non�era�indagabile,�più�era�conosciuta�più�sfuggiva�alla�comprensione.Già�Morgagni�nel�XVIII�secolo�«aveva�iniziato�la�ricerca�sugli�effetti�individuabili�del�processo�della�malattia.�Fu�scrupoloso�nel�puntualizzare�di�non�poter�offrire�alcuna�informazione�circa�lo�stimolo�primario�che�produce�quegli�effetti.�Che�cosa�determina�in�un�polmone�lo�sviluppo�di�una�polmonite?�E�perché�il�fegato�diventa�cirrotico?�Che�cosa�produce�quella�formazione�che�riveste�la�parte�interna�di�un�vaso�sanguigno�invecchiato�e�che�finisce�per�occluderlo,�distruggendo�il�tessuto�che�in�teoria�doveva�alimentare?�Perché�le�valvole�del�cuore�diventano�spesse�e�perdono�elasticità,�e�perché�la�complicata�bussola�del�cervello�a�volte�impazzisce?�Che�cosa�fa�crescere�un�tumore�o�impedisce�il�funzionamento�del�cuore?�Perché�il�rene�perde�la�sua�capacità�di�filtrare�le�impurità?�Che�cosa�fa�salire�lo�zucchero�nel�sangue�di�un�diabetico?»L'uomo�si�è�ritrovato�ad�essere�quel�topolino�(o�scarafaggio�o�cavalletta)�ai�bordi�del�cilindro�descritto�nel�5°�Passo�perché�l'approccio�riduzionista,�che�tanti�successi�ha�portato�a�scienza�e�medicina,�gli�aveva�fatto�crollare�una�delle�certezze�fondamentali,�uno�degli�elementi�costitutivi�di�quel�geniale�modello�che�Newton�aveva�costruito,�quella�ovvietà�che�portava�(e�porta)�i�bravi�professionisti�shiatsu�citati,�e�tutte�le�persone�di�buon�senso,�a�stupirsi�se�qualche�provocatore�pone�in�dubbio�che�l'uomo�sia�fatto�di�carne�ed�ossa.Il�riduzionismo,�portando�avanti�coerentemente�la�propria�ricerca�verso�il�sempre�più�piccolo�ha�portato�l'uomo,�diciamo�meglio�il�ricercatore�perché�l'uomo�comune�

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mantiene�inossidabili�le�sue�fedi,�a�dubitare�della�materia.Nel�suo�procedere�verso�il�più�piccolo�nell'ansia�di�scoprire�l'origine�profonda,�«la�causa»�della�malattia,�il�ricercatore�ha�scavato�nella�materia�e�si�è�imbattuto�in�un�universo�di�vita�senza�fine;�l'atomo,�che�doveva�costituire�«il�mattone»�indivisibile�e�indistruttibile�dell'universo,�si�è�rivelato�composto�a�sua�volta�di�particelle;�le�particelle�elementari�erano�tre�nel�modello�creato�da�Rutheford�nel�1911,�diventano�sei�nel�1935,�diciotto�nel�1955,�oltre�duecento�vent'anni�fa�e�via�di�questo�passo.Ma�non�basta;�quelle�che�nel�modello�di�Rutheford�erano�particelle�elementari�e�costituivano�il�«nocciolo�duro»�della�materia�(il�nucleo)�via�via�si�sono�scoperte�essere�tutt'altro�che�elementari,�cioè�costituite�a�loro�volta�da�altre�particelle,�i�quark.Recenti�sperimentazioni,�dopo�aver�portato�a�sei�il�numero�dei�quark�«catalogati»,�sembrano�confermare�le�teorie�che�sostengono�che�i�quark�stessi�sono�formati�dal�sub-particelle�(battezzate�preoni),�aprendo�la�via�ad�una�ricerca�senza�fine�in�cui�la�scoperta�del�«mattone�dell'universo»,�iniziata�svariati�secoli�prima�di�Cristo�con�la�«visione�atomistica»�della�realtà�di�Democrito,�assomiglia�all'apertura�di�una�serie�infinita�di�matrioske.Ma�l'aspetto�più�rilevante�dal�nostro�punto�di�vista�è�costituito�dall'immensa�quantità�di�«vuoto»�che�separa�le�particelle�ipotizzate.Nessuno,�dotato�di�ordinario�buon�senso,�potrebbe�considerare�il�sistema�solare�un�corpo�solido,�tanto�è�lo�spazio�vuoto�interposto�tra�sole�e�pianeti;�eppure�tutti,�in�base�al�buon�senso�comune,�consideriamo�materia�solida�un�corpo�costituito�da�atomi,�pur�essendo�scientificamente�indiscutibile�che�nell'atomo�gli�spazi�tra�nucleo�e�particelle�orbitanti�sono�di�gran�lunga�maggiori�(c'è�in�altre�parole�molto�più�vuoto�in�qualsiasi�atomo�che�nelle�galassie�e�nei�sistemi�planetari).Ma�non�basta,�anche�la�parte�«solida»�dell'atomo,�il�nucleo,�è�formato�da�particelle�distanti�tra�loro,�e�le�particelle�a�loro�volta�sono�formate�da�ulteriori�particelle�distanti�tra�loro�ecc.,�ed�è�probabile�che�il�processo�prosegua�all'infinito.

Un�tempo�i�fisici�credevano�che�gli�atomi�fossero�composti�nel�modo�seguente:�al�centro�di�un�atomo�si�trova�il�nucleo,�proprio�come�il�sole�al�centro�del�nostro�sistema�solare.�Nel�nucleo�si�trova�la�maggior�parte�della�massa�dell'atomo;�orbitanti�attorno�al�nucleo,�come�ipianeti�orbitano�attorno�al�sole,�vi�sono�gli�elettroni,�che,�in�paragone�al�nucleo,�sono�quasi�privi�di�massa.�Il�problema�del�paragonare�questo�modello�dell'atomo�con�il�nostro�sistema�solare�consiste�nel�fatto�che�le�distanze�fra�il�nucleo�e�gli�elettroni�sono�enormemente�più�grandi�di�quanto�possiamo�immaginare�essere�le�distanze�fra�il�sole�e�i�suoi�pianeti.�Lo�spazio�occupato�da�un�atomo�è�così�grande,�se�paragonato�con�la�massa�delle�sue�particelle�(la�maggior�parte�delle�quali�si�trovano�nel�nucleo),�che�gli�elettroni�orbitanti�attorno�al�nucleo�sono�«come�mosche�in�una�cattedrale»,�per�citare�Ernest�Rutheford,�che�nel�1911�creò�questo�modello�dell'atomo.

Ci�si�è�sciolta�la�materia�tra�le�maniDov'è�finita�la�materia,�la�nostra�solida�e�rassicurante�materia?�Dove�può�annidarsi�l'aberrazione�«causa�ultima�della�patologia»�?�Siamo�arrivati�ad�indagare�nelle�molecole,�nel�DNA,�nei�frammenti�proteici�ma�la�ricerca�sembra�non�poter�avere�una�fine�e�più�si�arriva�in�profondità,�più�il�modello�di�partenza�che�ha�generato�questa�ricerca�si�sfalda�annichilendone�i�presupposti.Ed�è�meglio�evitare�di�aprire�la�finestra�su�altri�aspetti�della�ricerca�della�fisica�moderna�quali�antimateria,�le�interazioni�deboli�e�forti,�le�configurazioni�quadridimensionali�ecc.�per�evitare�che�le�solide�certezze�«da�fisioterapista»�che�animavano�i�«professionisti�shiatsu»�citati�(«ma�è�ovvio�che�l'uomo�è�fatto�di�ossa�e�muscoli»)�potrebbero�subire�un�crollo�traumatico.Possiamo�dire,�per�ridare�speranza�ai�cultori�dell'«approccio�materiale»,�che�la�materia�è�un�punto�di�vista,�è�un�modo�di�considerare�ed�indagare�i�fenomeni.Dobbiamo�però�dire�che�non�è�il�punto�di�vista,�o�quanto�meno�non�è�il�punto�di�vista�«specifico,�originale�e�qualificante»�del�praticante�shiatsu.

Shiatsu,�energia�e�materia

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Poco�interessa�al�praticante�shiatsu�evoluto�se�sotto�al�suo�pollice,�mano,�gomito�ecc.�in�pressione�si�trova�il�bicipite�femorale�o�la�cresta�tibiale�perché�la�sua�attenzione�è�rivolta�alle�percezioni�che�il�punto�e/o�la�zona�di�contatto�gli�trasmette.Nello�shiatsu�il�fatto�cruciale,�il�fenomeno�qualificante�è�l'incontro�tra�la�pressione�e�la�«risposta�vitale»�di�uke�in�quel�punto�e/o�zona�e�il�cambiamento�che�l'incontro�tra�pressione�e�risposta�determina.Altre�tecniche�sono�attente�a�ciò�che�avviene�a�livello�«strutturale»,�ossa�e�muscoli�(o�circolazione�sanguigna,�o�reazione�nervosa�ecc.):�nel�massaggio�estetico�e�sportivo,�nella�fisioterapia,�nella�kinesiologia,�nella�chiropratica�ecc.�Nei�diversi�stili�di�shiatsu�il�fenomeno�qualificante�avviene�con�pressioni�statiche�portate�su�un�solo�punto�e/o�zona�o�due�punti�e/o�zone,�ma�comunque�si�tratta�sempre�di�pressioni�«costanti».La�pressione�è�costante�perché�è�necessario�che�lo�stimolo�prodotto�dalla�pressione�abbia�il�tempo�di�trovare�risonanza�nella�vitalità�di�uke,�che�si�abbia�l'onda�di�ritorno,�che�l'eco�risuoni,�che�lo�stimolo�della�pressione�incontri�la�risposta�perché�è�solo�così�che�inizia�il�dialogo�tra�la�vita�di�tori�e�la�vita�di�uke.Tutti�i�sensi�di�tori�sono�focalizzati�sul�punto�(o�i�punti)�di�contatto�perché�è�lì�che�avviene�l'incontro�tra�il�centro�di�tori�e�il�centro�di�uke,�che�avviene�lo�scambio�e�la�collaborazione�per�costruire�maggior�benessere�in�tutti�e�due.Si�parla�di�stato�alterato�di�coscienza�come�condizione�per�cogliere�la�risposta�non�perché�si�debba�essere�«fuori�di�testa»�per�«credere�a�queste�sciocchezze»�ma�perché�il�nostro�normale�rapporto�con�la�realtà�è�vincolato�dai�pregiudizi�al�punto�che�crediamo�che�la�materia�esista�realmente,�contro�ogni�evidenza�scientifica.Solo�liberandoci�da�questi�preconcetti�possiamo�tirare�a�lucido�i�nostri�sensi,�affinare�la�nostra�capacità�di�percezione�e�incontrare�l'altro�in�un�gesto�semplice�e�naturale�come�il�contatto�fisico�in�una�pressione�statica�che�non�manipola,�mobilizza,�stira�secondo�schemi�e�riferimenti�meccanicisti,�ma�semplicemente�«attende�rispettosamente�la�risposta».Ed�è�man�mano�che�stimolo�e�risposta�si�incontrano�nel�vissuto�quotidiano�del�praticante�che�nasce�lo�shiatsu;�prima�è�solo�training�di�apprendimento,�un�allenamento�che�deve�essere�concentrato�sulle�poche�cose�essenziali,�un�apprendimento�che�non�deve�essere�distratto�dalle�ossa�e�dai�muscoli�che�«sembra»�costituiscano�il�nostro�corpo�ma�che�con�i�fenomeni�di�comunicazione�che�avvengono�nello�shiatsu�non�hanno�nulla�a�che�spartire.Ho�sentito�spiegazioni�muscolari,�neurologiche,�fasciali,�energetiche,�biochimiche,�psicologiche�ecc.�di�quel�che�avviene�in�un�trattamento�shiatsu�e�spesso�erano�spiegazioni�interessanti,�ragionevoli,�scientificamente�corrette,�a�volte�addirittura�affascinanti�al�punto�da�gratificare�profondamente�i�nostri�«credo»�personali�e�professionali.�Ma�se�volete�apprendere�lo�shiatsu�mentre�fate�le�pressioni�badate�alla�correttezza�della�pressione,�alla�sequenza�dei�punti,�alla�profondità�della�respirazione,�alla�scioltezza�della�postura,�alla�sensazione�che�incontrate�sotto�il�pollice�e�cancellate�dalla�vostra�mente�qualsiasi�modello�scientifico:�tutto�il�resto�verrà�da�sé.

Usar�l'usabileMa�il�modello�meccanicista,�riduzionista,�materiale�è�il�nostro�modo�abituale�di�pensare,�uno�strumento�comune�a�tutti�i�membri�della�nostra�società�ed�è�impossibile�cavarcelo�dalla�testa�e�dal�linguaggio�perché�siamo�«costruiti�così»�da�decine�di�anni�di�educazione�incentrata�su�questo�modello.Le�persone�che�vengono�da�noi�a�cercar�benessere�si�esprimono�secondo�questi�riferimenti,�e�se�non�rispondiamo�utilizzando�lo�stesso�linguaggio�diventa�difficile�comprendersi.�Ma�più�ancora�per�la�nostra�testolina�è�impossibile�osservare�un�fenomeno�senza�interpretarlo�con�le�chiavi�della�cultura�in�cui�siamo�cresciuti,�come�è�spontaneo�per�la�mente�dell'italiano�che�inizia�ad�apprendere�l'inglese�tradurre�mentalmente�in�italiano�le�frasi�che�sente�per�comprenderle.Si�tratta�quindi�di�accettare�quello�che�siamo,�figli�del�nostro�tempo�e�spugne�imbevute�della�nostra�cultura,�ed�allenarci�ad�una�progressiva�consapevolezza�che:a. non�abbiamo�chiavi�di�comprensione�assolute�della�realtà�(accantoniamo�le�

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nostre�fedi�e�smantelliamo�il�nostro�buon�senso);b. tutti�i�modelli�(le�teorie)�sono�punti�di�vista�più�o�meno�idonei�a�percorrere�una�via�di�conoscenza�o�un�tratto�della�stessa.�Se�il�modello�è�nato�e�si�è�affermato�nel�sociale�significa�che�si�è�rivelato�in�una�determinata�epoca�e�presso�un�determinato�gruppo�sociale�adeguato�ad�interpretare�in�modo�soddisfacente�la�realtà�(al�punto�che�talvolta�è�diventato�il�modello�unico�ed�è�stato�confuso�con�la�realtà);c. utilizziamo�i�modelli�disponibili�«sul�mercato»�(e�fra�questi�il�modello�che�ha�plasmato�la�nostra�conoscenza)�come�useremmo�un�attrezzo�o�uno�strumento�in�tutti�quei�casi�in�cui�ci�consente�di�entrare�in�miglior�comunicazione�con�il�fenomeno;�scartiamolo�quando�ci�ostacola;�ma�soprattutto�alleniamoci�ad�usare�più�di�un�modello,�perché�è�l'unico�modo�di�costruire�un�rapporto�con�la�realtà�«vivo»�(l'adozione�di�un�unico�punto�di�vista�dà�una�percezione�piatta�di�un�oggetto;�due�punti�di�vista�già�creano�una�visione�prospettica;�tre,�quattro�punti�di�vista�ci�permettono�una�percezione�tridimensionale,�quadrimensionale�ecc.);d. iniziamo�a�costruire�un�«nuovo»�punto�di�vista,�un�nuovo�modello,�un�nuovo�linguaggio,�una�nuova�cultura�a�partire�dai�fenomeni�che�incontriamo�nella�pratica�e�che�possono�iniziare�a�costituire�un�«mondo�nuovo»�(è�la�possibilità�affascinante�che�hanno�intravisto�i�praticanti�che�si�sono�«innamorati�dello�shiatsu»�e�che�sta�declinando�sotto�i�colpi�del�«professionismo�mercenario»);�e.�non�dimentichiamo�che�anche�il�nostro�modello�«shiatsu»�(se�e�come�si�svilupperà)�non�è�la�realtà,�ma�solo�un�tipo�di�approccio,�che�ci�piace�e�ci�coinvolge�ma,�da�solo,�non�risolve�esaurientemente�la�comprensione�dei�fenomeni;�può�però�sicuramente,�nella�misura�in�cui�rompe�il�monopolio�scientifico�meccanicista,�riduzionista,�materiale,�portare�un�grosso�contributo�a�un�modo�di�pensare�più�libero�e�progressivo�non�contrapponendo�ma�ponendo�un�punto�di�vista�accanto�ad�un�altro.Per�poter�affermare�con�Morgagni�-.«amare�e�perseguire�non�l'antichità,�non�la�novità,�non�la�tradizione�ma�soltanto�la�verità,�ovunque�essa�sia».Consapevoli�però�che�la�verità�ha�tanti�volti�e,�per�indagarli,�occorrono�molteplici�punti�di�vista.�

9°�Passo�Ricerca�e�illusione

Talora...�la�Cina�è�servita�come�luogo�dell'inconscio�collettivo�in�cui�collocare�tutte�le�fantasie�e�le�stravaganze�che�la�bruta�realtà�occidentale�non�riusciva�a�contenere.C.�Larre,�F.�Berera�Filosofia�della�medicina�tradizionale�cinese

Il�modello�derivato�dalla�medicina�tradizionale�cinese�è�sicuramente�il�modello�più�lontano�dalla�nostra�esperienza�e�dal�nostro�modo�di�pensare;�lontano�sia�in�senso�geografico�che�in�senso�temporale;�ma�ancor�più�in�termini�di�universo�culturale.Tutto�ciò�crea�grosse�difficoltà�per�l'utilizzo�del�modello�con�un�minimo�di�coerenza�e�utilità�pratica,�ma�costituisce�d'altro�canto�un�forte�stimolo�ad�uscire�dai�nostri�schemi�abituali,�ad�arricchire�con�diversi�punti�di�vista�la�nostra�capacità�di�interpretazione.Invito�il�lettore�a�valutare�i�contenuti�del�brano�riportato�a�seguito:

Non�è�nostro�compito�dimostrare�nel�dettaglio�come�le�passioni�portino�attacco�agli�organi;�facciamo�solo�un�esempio�per�cercare�di�chiarire�il�processo.�La�collera�porta�attacco�al�Fegato.�A�seconda�che�la�persona�la�manifesti�o�no,�essa�produce�secondo�la�Medicina�Tradizionale�Cinese�effetti�differenti�sull'organismo.La�collera�trattenuta�provoca�sintomi�di�stagnazione,�in�quanto�il�Fegato�non�è�più�in�grado�di�dare�il�giusto�slancio�alla�circolazione�del�sangue�e�dei�Soffi�perché�raggiungano�le�estremità�del�corpo.�Psichicamente�sembrerebbe�che�il�paziente�soffra�di�esaurimento,�con�depressione�e�con�tutti�i�sintomi�che�questa�patologia�p

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rovoca,�ma�ad�un�esame�più�attento,�soprattutto�del�polso�e�della�lingua,�ci�si�accorgerà�che�le�caratteristiche�del�quadro�clinico�sono�da�eccesso�e�non�da�deficit,�e�quindi�collegate�alla�collera.�La�collera�che�monta�e�che�si�manifesta�è�un�processo�violento�che�vuota�lo�yin;�lo�yang�in�eccesso�spinge�tutto�verso�l'alto�e�all'esterno.�Si�determina�così�una�salita�patologica�dei�Soffi�con�sintomi�alla�parte�superiore�della�testa:�mal�di�testa,�giramenti,�ronzii�all'orecchio,�macchie�rosse�sul�collo,�viso�paonazzo.�Psichicamente�viene�meno�la�lucidità�e�la�capacità�di�giudizio.�Il�Fegato,�generale�delle�armate,�capace�di�analizzare�le�situazioni�e�di�progettare�i�piani,�in�preda�alla�collera,�marcerà�sul�nemico�senza�rispettare�ciò�che�aveva�deciso�a�tavolino�e�darà�ordini�insensati,�manifestazione�del�suo�disordine�interiore.�La�collera�è�legata�al�Fegato,�ma�essa�porta�attacco�anche�ai�Reni.�Secondo�la�legge�Sheng�dei�Cinque�elementi,�Reni�e�Fegato�sono�madre�e�figlio�e�i�loro�Soffi�sono�in�reciproca�comunicazione.�Quando�i�Reni�sono�in�preda�ad�una�collera�che�gonfia�senza�potersi�fermare,�si�produce�un�attacco�al�volere.�Una�volta�che�il�volere�è�colpito�non�ci�si�può�neppure�ricordare�di�ciò�che�si�è�appena�detto;�i�lombi�e�la�spina�dorsale�non�possono�chinarsi�né�avanti,�né�indietro,�né�piegarsi,�né�raddrizzarsi.�I�peli�si�spezzano�e�si�hanno�tutti�i�segni�di�una�morte�prematura.�Si�muore�alla�fine�dell'estate�(LS,�cap.�8).�La�collera�che�gonfia�indica�un�processo�di�qualcosa�che�si�autoalimenta�sino�alla�distruzione�e�porta�attacco�al�volere�che,�come�abbiamo�visto,�è�l'istanza�specifica�dei�Reni.�La�collera�violenta�conduce�sangue�e�Soffi�in�controcorrente�verso�l'alto,�creando�un�vuoto�in�basso.�Questo�movimento�produce�una�pressione�sui�visceri�che�incontra�Milza�e�Stomaco,�Cuore�e�Polmoni.�La�Milza�è�deputata�a�far�emergere�gli�elementi�memorizzati�e�i�Reni�sono�la�sede�dove�risiede�la�volontà�di�ricordare,�di�rendere�presente.�La�perdita�della�memoria�è�molto�temuta�dai�Cinesi.�La�ritengono,�infatti,�sviamento�interiore,�in�quanto�i�propri�punti�di�riferimento�non�vengono�più�riconosciuti;�una�persona�si�sviluppa�per�la�fedeltà�alla�propria�memoria�e�per�desiderio�e�volere�di�farla�vivere.�Ricordiamo�che,�secondo�la�Medicina�Tradizionale�Cinese,�i�Reni�sono�responsabili�della�solidità�dell'ossatura�e�presiedono�anche�al�funzionamento�del�midollo�osseo�e�quindi�ai�meccanismi�dell'ematopoiesi.�Gli�effetti�di�indebolimento�dei�Reni�si�ripercuotono�perciò�sulle�ossa�e�in�modo�particolare�sulle�zone�di�comando,�sulla�regione�lombare�e�in�generale�su�tutta�la�spina�dorsale.�Se�i�Reni�si�svuotano�di�Soffi,�le�loro�essenze�non�possono�più�nutrire�il�midollo�e�le�ossa;�si�perdono,�quindi,�agilità�e�capacità�di�movimento.Si�muore�alla�fine�dell'estate,�periodo�tra�estate�e�autunno,�stagione�che�per�la�legge�dei�Cinque�movimenti�e�legata�all'elemento�Terra.�Il�movimento�Acqua,�legato�ai�Reni,�indebolitosi,�teme�la�Terra,�legata�alla�Milza,�che�diventa�vittoriosa�(ciclo�di�iper�dominazione�Cheng).�Le�difficoltà�di�passaggio�dalla�stagione�yang�alla�stagione�yin�a�causa�del�calore�eccessivo�provocato�dalla�collera�diventano�insormontabili�e�sopraggiunge�la�morte.�E'�indicata�la�stagione�della�morte�ma�non�il�numero�di�anni�che�passeranno�prima�che�sopraggiunga.�In�ogni�caso�si�avrà�una�morte�prematura,�dovuta�al�pervertimento�del�movimento�regolare�dei�Soffi.

Come�occidentale�medio�(e�praticante�shiatsu�da�oltre�vent'anni),�penso�di�aver�letto�raramente�qualcosa�che�più�si�avvicinasse�a�quanto�comunemente�si�intende�con�l'espressione�«masturbazioni�mentali»1.'�Per�«masturbazioni�mentali»�si�intendono�(o�per�lo�meno�io�intendo)�comunemente�ragionamenti�articolati�e�complessi,�non�privi�di�coerenza�e�rigore�formale,�ma�completamente�estranei�alla�realtà�e�pertanto�totalmente�privi�di�risvolti�concreti.

Per�la�verità�gli�autori�del�brano�precedente�(che�ritengo�siano�da�annoverare�tra�i�più�seri�e�profondi�conoscitori�della�materia)�ci�avvisano,�nello�stesso�testo,�che�«gli�antichi�scrittori�dei�Classici�cinesi...�hanno�nascosto�i�loro�tesori�in�testi�difficili�da�penetrare,�circondandosi�di�una�difesa�irta�di�simboli,�spesso�di�natura�numerica.�I�testi�classici�di�medicina�sono�scritti�dasapienti�letterati,�da�uomini�di�pensiero�che�non�volevano�comunicare�al�primo�venuto�il�loro�sapere;�sono�testi�ermetici�e�gli�autori�lo�dicono�esplicitamente.�Del�resto�tutta�la�lingua�classica�è�divenuta�praticamente�ermetica�sotto�l'effet

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to�combinato�dell'occidentalizzazione�del�cinese�e�della�volgarizzazione�della�cultura�abbiente.�Per�penetrare�il�senso�bisogna�essere�degli�iniziati,�conoscere�cioè�tutti�i�codici�di�accesso,�la�logica�interna,�la�filosofia�che�li�sostiene.�La�pluralità�di�senso,�la�polisemia,�è�la�regola�generale�di�un�testo�classico,�perché�la�lingua�è�ideogrammatica.�Da�qui�la�difficoltà�di�leggere,�comprendere,�tradurre�e�la�necessità�di�commentare».Il�brano�citato�ci�elenca�le�innumerevoli�(e�non�sono�tutte)�difficoltà�a�comprendere�i�significati�trasmessi�dai�testi�cinesi.�Al�di�là�del�dichiarato�mascheramento�intenzionale�dei�contenuti�(dubito�che�qualcuno�di�noi�si�imbarcherebbe�nell'impresa�di�approfondire�una�scienza�sapendo�che�i�testi�a�disposizione�contengono�errori�di�sostanza�abilmente�dissimulati)�restano�gli�altri�ostacoli,�ovvero:a. distruzione�e�degenerazione�dei�testi�originarib. intraducibilità�degli�ideogrammic. dimensione�qualitativa�dei�numerid. approccio�analogico�alla�realtà.Questo�è�il�motivo�per�cui�è�forse�più�corretto�parlare�di�modello�derivato�dalla�Medicina�Tradizionale�Cinese�e�non�semplicemente�(e�pomposamente)�di�Medicina�Tradizionale�Cinese�(M.T.C,�per�gli�adepti).In�realtà�pensare�che�un�occidentale�del�nostro�tempo�(o�un�cinese�occidentalizzato�che�fa�lo�stesso)�possa�interpretare�i�fenomeni�del�reale�utilizzando�il�modello�della�M.T.C,�è�come�ipotizzare�che�un�cacciatore�di�serpenti�del�Borneo�riesca�ad�interpretare�il�funzionamento�della�borsa�di�Wall�Street�sulla�base�di�un�tabulato�per�addetti�ai�lavori�trovato�nel�bagaglio�di�un�turista�alternativo.�Senza�voler�dubitare�dell'intelligenza�e�della�perspicacia�dell'aborigeno�dubito�che�qualcuno�sarebbe�disposto�ad�affidargli�i�propri�risparmi�da�investire.E�c'è�invece�gente�che�affida�qualcosa�di�ben�più�prezioso,�il�proprio�benessere�e�il�proprio�equilibrio,�ad�occidentali�meccanicisti,�riduzionisti,�convinti�dell'oggettiva�esistenza�della�materia�(«...è�ovvio�che�l'uomo�è�fatto�di�ossa�e�muscoli...»)�che�interpretano�il�funzionamento�dell'organismo�umano�in�base�ai�principi�e�alla�«teoria»�della�(presunta)�M.T.C.�.�Mi�è�capitato�sovente�di�sentire�«diagnosi»�del�tipo�«lombalgia�da�Milza»,�oppure�«emicrania�da�Cistifellea»,�in�cui�la�terminologia�medica�scientifica�occidentale�è�oscenamente�inserita�in�un�quadro�di�alterazioni�funzional-organico-energetiche�tipiche�della�p.m.t.c.

a.�per�compiacere�i�potentiImmaginiamo�che�nel�corso�della�prima�guerra�mondiale�le�armate�del�re�Baldovino�abbiano�conquistato�l'intera�Europa,�dagli�Urali�all'Atlantico,�da�Capo�Nord�a�Gibilterra,�al�Bosforo.Immaginiamo�che�il�re�Baldovino,�autoproclamatosi�Imperatore�d'Europa,�abbia�pensato�di�unificare�lingue�e�culture�del�suo�vasto�impero�e�pertanto�abbia�imposto�il�fiammingo�come�lingua�ufficiale�e�i�caratteri�cirillici�come�unico�mezzo�di�scrittura.Immaginiamo�infine�che�un'editto�dell'Imperatore�ordini�la�distruzione�dei�libri�scritti�in�precedenza�in�qualsiasi�lingua�e�in�qualsiasi�carattere.Cosa�resterebbe�tra�duemila�anni�della�letteratura,�della�scienza,�della�filosofia,�della�medicina�occidentale?Cosa�resterebbe�tra�duemila�anni�della�Divina�Commedia,�dell'Enciclopedia�Britannica,�delle�tavole�anatomiche�del�Vesalio?Uno�scenario�del�genere�viene�prefigurato�in�alcune�storie�di�fantascienza,�fra�tutte�il�noto�«Fahrenhait�451»,�e�la�reazione�ipotizzata�nella�vicenda�consiste�nella�nascita�di�un�movimento�clandestino�di�«uomini�libro»�con�un�ritorno�alla�tradizione�orale.Può�anche�darsi�che�un�fenomeno�analogo�sia�nato�in�Cina�quando�nel�213�a.C.�l'imperatore�Shi�Huangdi,�unificata�la�Cina�sotto�la�dinastia�Qin,�decretò�il�«rogo�dei�libri»1;�tanto�più�che�a�quei�tempi�la�tradizione�orale�costituiva�ancora�il�mezzo�più�importante�di�trasmissione�della�cultura;�può�anche�darsi�che�nei�monasteri,�o�presso�i�«maestri»�che�operavano�con�piccoli�gruppi�di�discepoli,�si�siano�«salvati»�alcuni�testi,�o�ancora�che�testi�esportati�in�paesi�limitrofi�(Giappone,�Corea�ecc.)�siano�poi�stati�recuperati�e�tradotti�nei�nuovi�ideogrammi�unificati,�come�è�succes

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so�in�Occidente�per�molti�testi�greci�di�filosofia�e�di�medicina�«tornati»�alla�cultura�latina�in�versione�araba�o�ebraica.Ma�al�di�là�dei�«roghi»�storici�«non�vi�è�motivo�di�pensare�che�la�trasmissione�del�sapere�dei�testi�antichi�cinesi�non�subisse�le�deformazioni�inevitabili�nelle�traduzioni,�riscritture,�trascrizioni,�interpretazioni,�commentari�ecc.�ad�ope-

1�(nota)�Secondo�alcuni�autori,�il�decreto�aveva�il�limitato�obiettivo�di�togliere�dalla�circolazione�le�cronache�delle�epoche�precedenti�per�cancellare�le�malefatte�degli�antenati�della�dinastia�«usurpatrice»�(non�si�costituisce�mai�un�impero�senza�nefandezze)�e�comunque�furono�esclusi�i�testi�di�medicina,�agricoltura�e�divinazione.�

ra�di�scrivani�imprecisi,�interpreti�faziosi,�commentatori�interessati,�o�anche�di�studiosi�coinvolti�nella�ricerca�che�usavano�i�testi�antichi�per�supportare�le�proprie�tesi�o,�peggio�ancora,�per�compiacere�il�potente�di�turno».Mi�limito�a�fare�un�esempio�relativamente�al�testo�considerato�«la�pietra�angolare�di�tutto�il�sapere�medico...»�la�cui�«straordinaria�importanza...�è�testimoniata�dal�fatto�che�quando�Shi�Huangdi,�il�primo�imperatore�che�unificò�la�Cina�nel�221�a.C.,�ordinò�nel�213�a.C.�che�tutti�i�libri�fossero�arsi�per�distruggere�l'antica�tradizione,�questa�opera�fu�risparmiata».�Sull'origine�e�le�vicende�del�«classico�(jing)�interno�(nei)»�di�Huangdi�(l'imperatore�giallo,�mitico�fondatore�della�civiltà�cinese�e�fondatore�della�medicina,�vissuto�secondo�la�leggenda�nel�III�millennio�a.C.),�i�pareri�degli�studiosi�non�sempre�sono�concordi,�ma�nel�complesso�appare�attendibile,�all'attuale�stato�delle�conoscenze,�il�brano�qui�riportato:�

�Jacques�Lavier,�in�L'agopuntura�cinese�a�«...�rievocare�gli�importanti�avvenimenti�politici�che�sopravvennero�in�Cina�durante�il�III�secolo�a.C.,�le�cui�conseguenze�furono�tragiche�per�la�cultura�cinese.Fino�a�questo�momento,�la�Cina�era�costituita�da�un�insieme�di�piccoli�reami�che�cercavano�continuamente�di�annettersi�l'un�l'altro.Il�più�potente�si�rivelò�essere�il�regno�di�Ts'in,�sotto�l'impulso�dei�re�Tcheng.�Nella�sua�Storia�della�Cina,�René�Grousset�dipinge�questo�re�come�un�Cesare�che,�assecondato�da�generali�fedeli�e�da�ministri�capaci,�riuscì�a�realizzare�in�qualche�anno,�e�per�la�prima�volta,�l'unità�della�Cina.�Questo�re�fu�il�fondatore�dell'impero.�Prese�il�nome�di�«�Primo�Imperatore�Ts'in,�Ts'in�Cheu�Houang�TI,�titolo�ora�riassunto�in�Cheu�Houang�Ti,�o�più�semplicemente�in�Cheu�Houang,�Primo�Imperatore».�L'unificazione�territoriale�della�Cina�fatta�da�Cheu�Houang�TI,�scrive�R.�Grousset,�fu�seguita�da�un�lavoro�di�unificazione�politica�e�sociale,�anche�intellettuale,�che�non�rappresenta�la�parte�meno�notevole�della�sua�opera.�Personalità�senza�confronti,�il�Cesare�cinese�non�fu�solamente�un�conquistatore,�ma�anche�un�amministratore�di�genio.�Estese�all'intero�Impero�la�centralizzazione�militare�e�civile,�creata�dai�suoi�predecessori�nel�regno�di�Chen-Si.�Con�dei�cambiamenti�in�massa�di�popolazione,�seppe�rompere�i�regionalismi�più�ostinati.�Il�suo�cesarismo�territoriale�pose�fine�ad�una�feudalità�che�sembrava�inerente�alla�società�cinese.�Lungi�dal�creare,�come�speravano�i�suoi�generali,�in�loro�favore,�una�feudalità�nuova,�divise�l'Impero�in�trentasei�comandi,�amministrati�ognuno�di�essi�da�un�governatore�civile,�uno�militare�ed�un�sovrintendente.�Il�suo�ministro�Li�Szeu�unificò�i�caratteri�scritti,�riforma�d'importanza�capitale�per�il�futuro�ove�si�considerano�le�differenze�dei�dialetti,�attraverso�i�quali�l'identità�di�scrittura,�da�Pechino�a�Canton,�è�spesso�l'unico�punto�in�comune.

Il�Nei-Jing�è�composto�di�frammenti,�ipiù�antichi�dei�quali�risalgono�al�secolo�V-III�a.�C.,�quando�l'opera�non�era�ancora�divisa�in�due�parti.�La�divisione�in�Ling-shu�e�Su-wen�daterà�delperiodo�deijin�(265-316�d.�C.).�Tutti�ipas-�saggi�che�fanno�allusione�ai�sei�fu�sono�posteriori�al�primo�secolo�dell'era�cristiana.�Questi�sono�stati�tra�l'altro�rimaneggiati�profondamente�da�Wang�Bing,�che�compilò�nel�762�un�testo�adattato�ai�gusti�dei�Tang».

Le�traduzioni�del�Nei�Jing�in�lingue�occidentali�non�sono�molte,�ma�una�costante�salta�all'occhio�nel�confrontarle:�non�solo�spesso�trasmettono,�traducendo�gli�

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stessi�ideogrammi,�concetti�molto�diversi,�ma�talvolta�le�indicazioni�che�ne�scaturiscono�sono�diametralmente�opposte;�e�tutto�ciò�assumendo�come�fonte�la�stessa�trascrizione;�possiamo�immaginare�le�disparità�che�emergerebbero�se�confrontassimo�versioni�di�epoche�diverse�e�commentatori�differenti.A�contrassegna�la�traduzione�dei�brani�tratti�dal�testo�di�Ilza�Veith,�Nei-Ching�canone�di�medicina�dell'imperatore�giallo,�Mediterranee,�1949�B�contrassegna�le�traduzioni�degli�stessi�brani�tratti�dal�testo�di�E.�Rochat�della�Vallèe�e�C.�Larre:�Huangdi�Neijing�Suwen�le�domande�semplici�dell'imperatore�giallo,�Jaca�Book.���dal�cap.�IA�Ad�essi�successero�i�Saggi.�I�Saggi�raggiunsero�l'armonia�con�il�Cielo�e�la�Terra�e�seguirono�dappresso�le�leggi�degli�otto�venti.�Essi�erano�capaci�di�adeguare�i�loro�desideri�alle�cose�mondane,�e�nei�loro�cuori�non�erano�né�irati�né�paurosi.�Essi�non�vollero�separare�le�loro�attività�dal�mondo;�potevano�restare�indifferenti�alle�usanze�comuni.�Essi�non�affaticarono�i�loro�corpi�con�il�lavoro�fisico�e�non�affaticarono�la�mente�con�strenue�meditazioni.�Non�si�sentirono�chiamati�in�causa�da�nulla,�ma�considerarono�fondamentale�la�pace�interiore�e�la�felicità�e�l'accontentarsi�come�il�successo�più�grande.�I�loro�corpi�non�poterono�mai�essere�danneggiati�e�le�loro�facoltà�mentali�non�furono�mai�esauste.�Così�poterono�raggiungere�l'età�di�cento�anni�opiù.B�Poi,�ci�furono�i�Santi:disponevano�di�tutto�secondo�l'animazione�armonizzata�del�Cielo/Terra�e�si�conformavano�all'ordine�naturale�espresso�dagli�Otto�venti.�Incontravano�le�bramosie�e�le�passioni�che�agitano�il�mondo,�senza�provare�irritazione�o�risentimento;�la�loro�condotta�era�libera�da�ognidesiderio�e�staccata�dal�mondo;�le�loro�maniere�seguivano�la�consuetudine,�ed�è�senza�provare�alcun�desiderio�che�essi�consideravano�il�mondo.�All'esterno,�non�oberavano�di�faccende�il�loro�corpo,�all'interno,�non�si�affliggevano�con�preoccupazioni;�la�contentezza�serena�era�ciò�che�ricercavano;�si�occultavano�del�pieno�possesso�di�loro�stessi.�Mantenendo�il�loro�organismo�in�perfetto�statoed�evitando�la�dissipazione�delle�essenze/Spiriti,giungevano�a�diventare�centenari�(34).�

dal�cap.�VA�Per�esaminare�se�sia�Yin�o�Yang�a�predominare�si�deve�distinguere�un�polso�leggero�e�di�bassa�tensione�da�uno�duro�e�sobbalzante�(10).�Durante�le�malattie�dello�Yang,�predomina�lo�Yin;�e�durante�le�malattie�dello�Yin�predomina�lo�Yang.�Quando�il�vigore�e�la�costituzione�sono�decisi�ogni�cosa�è�al�suo�posto.

dal�cap.�VA�Per�questa�ragione�gli�antichi�saggi�misero�in�pratica�il�non�impegnarsi�nelle�cose�mondane,�e�i�loro�piaceri�e�le�loro�gioie�erano�dignitosi�e�tranquilli.�Essi�seguirono�i�loro�desideri�e�non�rivolsero�mai�le�loro�volontà�ed�ambizioni�alla�protezione�di�scopi�privi�di�significato.�Così�il�corso�della�vita�ad�essi�assegnato�era�senza�limiti,�come�Cielo�e�Terra.�Tale�era�il�modo�in�cui�gli�antichi�saggi�si�comportarono,�controllando�se�stessi.

dal�cap.�IXA�Ch'i�Po�rispose:�«Le�cinque�influenze�atmosferiche�(6)�cambiano�le�loro�sfere�d'azione;�esse�si�equilibrano�le�une�con�le�altre�e�c'è�una�costanza�nelle�loro�trasformazioni�dall'abbondanza�allo�svuotamento».

dal�cap.�XA�La�mancanza�di�discernimento�provoca�il�male.�Una�visione�oscurata�ed�un�udito�indebolito�sono�indicati�dal�polso�più�basso,�colmo,�e�dal�polso�più�alto,�vuoto.�Quando�queste�malattie�vengono�esaminate�al�polso�del�piede,�si�avverte�che�esse�si�trovano�nella�regione�del�piccolo�Yang�e�del�Grande�Yang;�cosa�questa�che�indica�come�la�malattia�sia�penetrata�nel�fegato.B�Si�esamina�lo�yin�e�lo�yang�per�differenziare�il�Molle�e�il�Duro�(216);�si�tra

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ttano�le�malattie�yang�nello�yin�e�le�malattie�yin�nello�yang,�stabilizzando�sangue-�e�soffi�e�facendo�tenere�a�ciascuno�il�proprio�territorio�(217).B�Per�questa�ragione,�i�Santi�praticavano�l'agire�del�non�agire,�si�compiacevano�nella�loro�capacità�di�essere�sereni�e�senza�passioni,�seguivano�il�loro�desiderio�e�gioivano�del�loro�volere,�mantenendosi�nella�vacanza�del�vuoto;�senza�fine,�la�loro�longevità�adempiva�il�loro�destino,�senza�altro�limite�che�quello�del�Cielo/Terra.�Ecco�come�i�Santi�conducevano�la�loro�esistenza�(160).B�Qi�Bo:�I�Cinque�soffi�si�insediano�a�turno�(15),�ognuno�dominato�da�un�altro;�aumentano�in�potenza�e�poi�si�vuotano.�Questo�è�l'ordine�immutabile.B�Vertigine�e�vista�torbida,�accompagnate�da�agitazione,�l'occhio�si�ottenebra�e�l'orecchio�non�sente�più:�si�tratta�di�pienezza�in�basso�e�di�vuoto�in�alto.�Il�male�è�nello�shaoyang�e�nel�jueyin�del�piede.�In�caso�di�aggravamento,�penetra�nel�fegato.�

Quindi�un�testo�ampiamente�rimaneggiato�e�revisionato�in�epoche�successive�lungo�lo�scorrere�dei�secoli.Ultima�ma�non�meno�importante�fonte�di�errori�e�imprecisioni�le�recenti�traduzioni�dal�cinese�all'inglese�e�al�francese�e�da�queste�lingue�all'italiano.Basta�confrontare�le�traduzioni�degli�stessi�brani�riportati�per�farsi�un'idea�delle�perdite�e/o�alterazioni�di�significato�subito�dai�testi�antichi.E�pensare�che�i�praticanti�shiatsu�della�mia�generazione�hanno�consumato�miliardi�di�cellule�cerebrali�sull'unico�testo�a�disposizione�negli�anni�settanta�e�ottanta�(il�testo�A),�cercando�di�penetrare�gli�arcani�segreti�della�millenaria�saggezza�orientale�e�di�applicarla�nella�propria�pratica�quotidiana;�e�che�alcuni�di�costoro�pensano�di�averli�penetrati�(gli�arcani�segreti)�e�insegnano�ancor�oggi�lo�shiatsu�su�questo�modello�a�decine�di�malcapitati�convinti�di�praticare�guidati�dalla�sapienza�antica!

b.�l'ideogramma�è�un'allegoriaL'affermazione:�«non�possiamo�parlare�di�M.T.C,�ma�di�modello�derivato�dalla�p.m.t.c.»�si�basa�su�quanto�scritto�sopra�ma�anche�e�soprattutto�sul�fatto�che�è�impossibile�una�traduzione�rispettosa�del�senso�da�una�cultura�che�si�esprime�con�ideogrammi�ad�una�cultura�che�si�esprime�con�un�linguaggio-�scrittura�strutturato�in�segni/suoni�che�corrispondono�ad�un�significato.«Whorf�procede�oltre�di�un�passo.�Egli�è�persuaso�che�questi�siano�i�limiti�che�pone�il�linguaggio.«È�impossibile�pensare�contro�le�regole�di�una�lingua�o�oltre�a�essa.�La�lin-gua�ci�tiene�prigionieri�come�una�«forza�vincolante».�Se�desideriamo�liberarci�di�essa,�se�vogliamo�scoprire�nuovi�mondi�al�di�là�della�nostra�lingua,�dobbiamo�allora�studiare�nuove�lingue�con�sistemi�strutturali�totalmente�estranei.�«Uomini�che�utilizzano�lingue�dalle�grammatiche�differenti»,�Whorf�ne�è�convinto,�«sono�condotti�da�queste�grammatiche�ad�osservazioni�tipicamente�diverse.�Essi�pertanto�come�osservatori�non�sono�equivalenti�gli�uni�agli�altri,�bensì�pervengono�a�visioni�del�mondo�in�qualche�modo�differenti».Le�lingue�occidentali�traducono�un'idea�o�una�immagine�in�suoni�a�cui�corrispondono�simboli�grafici;�il�singolo�simbolo�grafico�in�sé�(una�«c»�per�esempio)�non�esprime�nulla,�spesso�neanche�un�suono�definito.Gli�ideogrammi�sono�segni�che�vogliono�esprimere�analogie,�sensazioni,�emozioni�in�una�immagine;�sono�più�vicini�ai�disegni�dei�bambini�prima�dell'alfabetizzazione�o�alle�allegorie�dei�pittori�rinascimentali�(l'allegoria�della�primavera�o�dell'avarizia�consisteva�in�un'immagine�che�cercava�di�riecheggiare�nell'osservatore�un'idea�per�analogie,�rivolgendosi�al�suo�vissuto,�non�alla�sua�strutturazione�logica)�che�al�linguaggio�strutturato�delle�lingue�moderne.Una�donna�con�il�figlio�bene,�buonoUna�donna�sotto�un�tetto�paceUna�donna�e�una�donna�insieme�litigareDi�sera�al�buio,�bisogna�aprire�la�bocca�per�dire�il�proprio�nome�(per�essere�riconosciuto) MING,�nomeIl�significato�degli�ideogrammi�cinesi�non�solo�è�oscuro�per�la�difficoltà�ad�avvicinarsi�al�singolo�segno,�ma�anche�perché�l'abbinamento�di�due�segni�assume�un�signi

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ficato�che�spesso�è�molto�lontano�dal�senso�dei�singoli�segni.�Per�esempio�l'ideogramma�indicante�«bocca»�e�quello�indicante�«sera»�assumono�il�significato�di�«nome»;�lo�stesso�ideogramma�significante�«donna»,�affiancato�a�se�stesso�o�ad�altri�ideogrammi,�assume�significati�totalmente�diversi:�«litigare»,�oppure�«pace»,�oppure�«buono-bene».

È�quindi�impossibile�intendere,�attraverso�la�traduzione�in�una�lingua�occidentale,�cosa�volessero�esprimere�con�un�ideogramma�o,�peggio�ancora,�con�una�serie�di�ideogrammi�gli�appartenenti�ad�una�civiltà�così�lontana�da�noi�e�dalla�nostra�cultura�da�avere�espresso�una�struttura�linguistica�così�diversa.E'�come�se�cercassimo�di�tradurre�le�carte�dei�tarocchi�secondo�i�parametri�delle�carte�da�scala�quaranta:�quanti�quadri�e�fiori�esprimono�una�papessa�o�un�appeso?È�certamente�meritoria�l'opera�degli�studiosi�che�cercano�di�ricostruire�e�tradurre�le�immagini�con�cui�gli�ideogrammi�cercavano�di�esprimere�idee,�concetti,�emozioni�ecc.�degli�antichi�cinesi,�e�possono�certamente�ispirare�importanti�ricerche�nella�pratica�quotidiana,�ma�certamente�non�possiamo�contare�sul�vissuto�dei�cinesi�di�2000�o�4000�anni�fa�per�costruire�un�linguaggio�o�un�modello�che�ci�orientino�realmente�nella�pratica�dello�shiatsu�e�che�non�si�limitino�a�soddisfare�la�nostra�fame�di�certezze�rassicuranti.Quando�per�esempio�gli�studiosi�sottocitati�ci�spiegano�che�esistevano�8�ideogrammi�diversi�per�esprimere�l'idea�di�vuoto�e�pieno,�sicuramente�la�nostra�mente�e�il�nostro�sentire�non�riescono�a�rievocare�quegli�otto�significati,�ma�attribuiamo�al�termine�vuoto�e�al�termine�pieno�un�significato�che�nasce�dal�nostro�vissuto�di�individui�immersi�nella�nostra�civiltà�(cioè�in�sostanza�il�pieno�come�materia�impenetrabile�e�il�vuoto�come�spazio�senza�materia�secondo�il�modello�newtoniano).�Gli�ideogrammi�cinesi�sono�immagini�stilizzate�che�nella�loro�composizione,�nei�loro�abbinamenti,�nel�suono�e�nel�tono�con�cui�sono�pronunciati�trovano�il�loro�significato;�come�le�allegorie�dei�pittori�assumono�significato�solo�in�un�contesto�storico-culturale�e�cambiano�significato�in�un�altro�contesto.Lo�scheletro�con�la�falce�e�la�mantellina�nera�ci�richiama�l'idea�della�morte,�ma�in�un'altro�contesto�potrebbe�indicare�altro�(il�colore�del�lutto�per�esempio�in�Cina�è�il�bianco);�l'allegoria�della�Primavera�del�Botticelli�potrebbe�benissimo,�in�altra�epoca�e�contesto�culturale,�rappresentare�la�Gioventù,�oppure�la�Dea�delle�Messi,�o�la�Retorica,�Venere,�la�Patria,�l'Abbondanza�ecc.La�traduzione�di�un�testo�antico�espresso�in�ideogrammi�in�una�lingua�occidentale�è�un'operazione�analoga�alla�traduzione�in�italiano�(o�inglese,�o�francese�che�è�lo�stesso)�di�una�sinfonia�di�Beethoven;�a�questo�proposito�è�interessante�analizzare�le�dinamiche�che�possono�aver�luogo�quando�si�tenta�di�tradurre�(forse�sarebbe�più�congruo�parlare�di�trasposizione)�un'opera�da�un�linguaggio�a�un�altro.Tutti�conoscono�«Fantasia»,�il�film�di�Disney�che�«traduce»�(traspone)�in�immagini�animate�alcune�tra�le�musiche�più�famose;�ebbene�io�conoscevo�le�musiche�animate�prima�di�aver�visto�il�film�e�l'ho�giudicato�un'ottima�traduzione�in�immagini�delle�impressioni,�emozioni,�sentimenti�che�quelle�musiche�suscitano.La�traduzione�in�disegni�animati�de�«La�sagra�della�primavera»�per�esempio,�o�della�sesta�sinfonia�«Pastorale»�rendevano�un'idea�di�ciò�che�potevano�aver�in�testa�Stravinskij�e�Beethoven�nell'esprimersi�musicalmente;�ciò�non�significa�che�le�immagini�prodotte�dagli�animatori�di�Disney�fossero�l'interpretazione�«vera»�delle�visioni�e�delle�emozioni,�dei�mondi�che�animavano�i�musicisti�quando�hanno�composto�quelle�musiche.I�miei�figli�più�piccoli�hanno�sentito�quelle�musiche�per�la�prima�volta�vedendo�«Fantasia»,�quindi�abbinando�quelle�musiche�a�quelle�immagini;�per�loro�quelle�arie�«corrispondono»�a�quelle�immagini�e�quindi�per�loro�Stra-vinskij�esprime�dinosauri�e�vulcani,�Ponchielli�ippopotami�e�coccodrilli�(la�danza�delle�ore)�e�la�Pastorale�centauri,�fauni�e�ambienti�bucolici�anche�quando�sentono�la�musica�senza�film;�al�punto�che�in�corrispondenza�del�passaggio�raffigurato�nel�film�da�un�buffo�Bacco�ubriaco�colpito�dal�fulmine�di�Giove�ridacchiano,�pur�senza�vedere�la�scena,�perché�quei�suoni�nella�loro�fantasia�richiamano�quelle�immagini,�e�si�è�creata�una�corrispondenza�biunivoca�fra�suoni�e�disegni�animati.Per�loro�quelle�immagini�sono�la�traduzione�di�quei�brani�musicali�perché�tale�è�sta

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to�il�contesto�in�cui�hanno�fatto�esperienza�di�quei�suoni;�per�me�quelle�immagini�possono�essere�una�accettabile�traduzione�di�quei�brani,�ma�mi�rendo�benissimo�conto�che�altri�disegnatori�possono�ricreare�(meglio�o�peggio,�ma�questa�è�una�valutazione�soggettiva)�disegni�animati�che�costruiscano�una�atmosfera�che�esprima�quei�brani.��La�primavera�è�stata�dipinta�dal�Botticelli�per�la�villa�di�Castello�di�Giovanni�e�Lorenzo�di�Pier�Francesco�dei�Medici,�forse�in�occasione�delle�nozze�di�quest'ultimo�avvenute�nel�1482.�L'interpretazione�del�tema�così�come�l'artista�l'ha�sviluppato�è�stata�messa�in�relazione�al�Regno�della�Venere�delle�Stanze�del�Poliziano�e�risente�idealmente�del�clima�culturale�del�cenacolo�di�Marsilio�Ficino.�La�celebratissi-�ma�opera�appare�quindi�come�espressione�artistica�della�società�fiorentina�quattrocentesca�di�Lorenzo�il�Magnifico,�una�società�ricca�ed�elegante,�consapevole�della�potenzialità�della�propria�cultura�umanistica.�...�Ma�è�soprattutto�la�filosofia�neoplatonica�ficiniana�che�vi�si�è�voluto�vedere,�per�cui�la�Venere�della�Primavera�non�era�solo�la�dea�dell'idillio�polizianesco.�Personificazione�del�principio�stesso�del�sistema�filosofico�ficiniano:�l'Amore�non�è�solo�forza�vivificante,�ma�può�sublimarsi�fino�alla�contemplazione,�trascendere�il�mondo�dell'esperienza�per�il�sopramondo�intellettuale�dell'Idea.�La�Venere�classica�diveniva�la�Venus�Humanitas,�suscitatrice�delle�passioni,�ma�anche�loro�moderatrice�nella�pienezza�di�un'armonia�che�congiungeva�tutto�l'universo.�E,�a�somiglianza�della�divinità�cristiana,�sì�esplicava...�La�ricerca�di�significati�relativi�ad�un'allegoria�si�dilata�in�molteplici�interpretazioni�pur�essendo�l'epoca�recente,�l'immagine�ricca�di�particolari�e�la�cultura�quella�stessa�che�ci�ha�generati;�nell'interpretazione�di�un'ideogramma,�un�disegno�stilizzato�ed�essenziale,�di�epoca�antica�e�cultura�aliena,�ci�si�perde�in�mille�ipotesi�e,�in�sostanza,�si�rischia�di�sconfinare�nella�totale�arbitrarietà�di�significati.�

Per�i�cinesi�dell'epoca�(e�di�quel�contesto�culturale)�quegli�ideogrammi�rappresentavano�cose,�idee,�vissuti�precisi�e�omogenei;�per�noi�costituiscono�«musiche»�che�possiamo�trasporre�in�modi�diversi,�in�corrispondenza�dei�significati�che�nel�nostro�universo�culturale�essi�possono�assumere.Un�esempio�per�tutti�ci�è�dato�dall'interpretazione�di�un�ideogramma�(uno�dei�cinque�conosciuti�per�descrivere�l'idea�di�vuoto�citato�sopra)�ad�opera�di�Schatz,�Larre,�Rochat�de�la�Vallèe:«Questo�secondo�carattere,�xu,�che�vuol�dire�vuoto,�nei�testi�di�medicina�è�di�uso�molto�più�rilevante�dell'altro�(chong);�in�pratica�è�il�carattere�più�eloquente,�quello�usato�naturalmente�dagli�autori�per�indicare�il�vuoto.�Vediamo�ora�l'analisi�etimologica�dell'ideogramma�xu,�il�vuoto.�La�parte�inferiore�sembra�rappresentare�dei�piccoli�germogli,�tutti�uguali:�è�la�superficie�della�terra�con�qualcosa�di�minuscolo�che�compare�alla�sommità�di�una�collina�spoglia.�In�altre�parole,�non�conta�quello�che�spunta:�i�minuscoli�germogli�servono�piuttosto�a�far�risaltare�il�fatto�che�la�collina�è�spoglia.�Su�una�collina�spoglia�naturalmente�soffia�il�vento.�Sotto�il�Cielo,�sopra�la�Terra,�tra�l'uno�e�l'altra,�soffia�una�brezza�leggera.�La�parte�che�avvolge�il�carattere�&�corrisponde�probabilmente�ad�una�scarpata.Si�tratta�quindi�di�un�carattere�che�rappresenta�graficamente�un�altopiano�incolto,�deserto,�spoglio,�che�non�contiene�nulla,�ma�che�è�propizio�alla�circolazione�dei�soffi.La�nozione�importante�quindi�è�quella�di�soffi�regolari,�tranquilli,�e�non�quella�di�vuoto,�di�assenza�totale.Il�vuoto�si�ha�quando,�nell'organismo�e�nel�mondo,�si�trovano�i�soffi�più�perfetti,�che�fanno�il�minor�rumore�possibile».�«Questo�vuoto�indica�di�fatto�un�soffio�leggerissimo,�regolarissimo,�che�è�il�risultato�di�una�posizione�in�cui�tutto�ciò�che�deve�stare�al�proprio�posto�c'è�e�vi�si�trova�bene,�tutto�ciò�che�deve�essere�yin�è�yin,�e�tutto�ciò�che�deve�essere�yang�è�yang.�E�tutto�ciò�non�fa�nessun�rumore».�È�evidente�che�il�margine�discrezionale�interpretativo�è�pressoché�totale�e�presume�una�forte�compenetrazione�in�uno�stesso�tessuto�cultural-sociale�perché�i�significati�siano�analoghi;�nell'ideogramma�c'è�un�disegno�che�«sembra�rappresentare»�dei�germogli,�ma�non�

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contano,�perché�servono�ad�indicare�la�collina�spoglia�ma�anche�questa�non�conta�-�la�parte�che�avvolge�il�carattere��xyx�«corrisponde�probabilmente»�a�una�scarpata�-�però�non�è�questo�il�significato�perché...�il�vuoto�si�ha�quando�nell'organismo�si�trovano�i�soffi�più�perfetti.�Ciò�succede�in�parte�anche�per�parole�occidentali�del�nostro�tempo�sia�concrete�che�astratte:�la�parola�tavolo�evoca�in�ciascuno�di�noi�forme,�materiali,�dimensioni�diverse,�immaginiamo�che�significati�potrebbe�assumere�per�l'appartenente�ad�una�cultura�in�cui�i�tavoli�non�sono�usati;�la�parola�speranza�può�assumere�significati�diversi�se�ci�riferiamo�alla�Virtù�Teologale,�o�alla�speranza�come�emerge�dal�contesto�delle�frasi:�«speriamo�che�vinca�il�Milan»�(una�blanda�propensione�per�un�non�tifoso)�oppure�«la�speranza�è�vita!»�(una�forte�certezza�esistenziale).Ma�nel�caso�del�linguaggio�per�ideogrammi�la�pluralità�di�significati�è�tale�che�per�cogliere�il�«suo»�significato�originario�bisogna�essere�cinesi�dell'epoca�(e�probabilmente�anche�della�stessa�regione,�dello�stesso�strato�sociale�e�dello�stesso�livello�culturale),�altrimenti�siamo�costretti�a�gettare�le�armi,�o�a�iniziare�un�lento�e�profondo�processo�di�identificazione�con�un�universo�cui�siamo�totalmente�estranei.

c.�una�quantità�può�essere�qualità?Analogamente�siamo�estranei�alla�dimensione�«qualitativa»�dei�numeri�usati�nell'universo�cinese,�entità�piene�di�significato:«Per�accedere�alla�Tradizione,�per�leggere�i�libri�classici,�testi�di�medicina�compresi,�occorrono�degli�strumenti;�uno�dei�principali�è�la�comprensione�della�numerologia,�ed�è�per�questo�che�diamo�qui�alcuni�cenni.«Si�potrebbero�scrivere�dei�trattati�di�numerologia,�per�la�complessità�e�l'importanza�che�essa�riveste�nel�pensiero�cinese�antico.�Abbiamo�visto�che�il�sapere�antico�si�rifà�ad�una�filosofia�che�non�è�astratta,�ma�di�tipo�esistenziale,�che�cerca�di�ricondurre�l'uomo,�in�qualsiasi�campo�si�trovi�ad�operare,�a�delle�certezze�che�riguardano�la�sua�natura�di�essere�vivente.�I�numeri,�in�qualsiasi�ambito�di�studio�compaiano,�hanno�valore�reale,�ma�anche�simbolico,�esprimono�concetti,�rimandano�a�realtà�ultime.�Non�hanno�solo�valore�quantitativo,�ma�anche�qualitativo.�Permettono�di�classificare,�facendo�riferimento�all'inclusione�in�un�insieme;�servono�a�collocare�secondo�un�or-dine�gerarchico.«I�cinesi�hanno�tre�serie�di�numeri:�una�denaria,�una�duodenaria�e�una�decimale.�Le�prime�due�hanno�valore�simbolico.�La�serie�denaria�è�divisa�in�cinque�coppie�numeriche,�quattro�poste�alle�estremità�di�una�croce�e�una�nel�mezzo.�Raffigurano�un�quadrato,�simbolo�dello�spazio.�I�numeri�della�serie�duodenaria�sono�disposti�lungo�una�circonferenza�che�raffigura�il�Cielo,�il�tempo.�Numeri,�spazio,�tempo,�sono�sempre�strettamente�collegati�a�livello�simbolico.«Come�si�è�già�detto,�i�testi�classici�di�medicina�fanno�ampio�riferimento�alla�numerologia�perché,�mentre�vengono�esposti�i�processi�della�vita�dell'uomo,�grazie�alla�simbologia�dei�numeri�è�resa�presente�la�concezione�della�vita�e�dell'universo�sottesa�a�questa�medicina».Ad�un�occidentale�risulta�impossibile�assegnare,�nel�vissuto�quotidiano,�una�«forza�agente»�reale,�una�operatività�concreta�sui�fenomeni�ai�numeri�(per�noi�sono�solo�funzionali�ad�una�rilevazione�quantitativa�dei�fenomeni),�ma�per�i�cinesi�antichi�i�numeri�determinavano�i�fenomeni;�per�avere�un'idea�di�cosa�significa�ciò,�basta�osservare�la�dinamica�che�portava�il�cinese�antico�a�determinare�il�ritmo�circolatorio�e�respiratorio,�esposta�nel�box�riportato�di�seguito.

In�virtù�della�relazione�uomo/mondo,�deve�esistere�una�sincronizzazione�perfetta�tra�i�movimenti�delle�energie�vitali�e�dei�liquidi�intraorganici�e�quelli�del�cosmo.�Come�gli�astri�circolano�in�24�ore�tra�le�50�dimore�celesti,�così�l'energia,�il�principio�yin/yang�e�il�sangue�compiono�nello�stesso�arco�di�tempo�50�volte�il�giro�completo�del�corpo�passando�attraverso�i�12�vasi�principali.�Il�cuore�non�figura�al�centro�del�dispositivo�vascolare�e�non�è�il�motore�della�circolazione,�come�nella�maggior�parte�dei�sistemi�precedenti�ad�Harvey.�L'energia�e�il�doppio�principio�si�muovono�in�parte�per�loro�propria�virtù.�Per�quanto�riguarda�il�sangue:�da�una�parte,�è�trasportato�dall'energia�vitale,�come�l'acqua�di�un�fiume�è�trasportata�dal�vento;�dall'altra,�è�spinto�dai�movimenti�respiratori�che�sono�il�motor

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e�essenziale�della�circolazione,�a�senso�unico,�del�contenuto�idroaerico�dei�jing-mo.�Una�serie�di�calcoli�che�stabiliscono�il�numero�delle�rivoluzioni�sanguigne�e�la�lunghezza�percorsa�dalla�colonna�di�sangue�in�24�ore�dà�a�questa�concezione�un�aspetto�pseudomatematico�che�è,�in�realtà,�numeromantico,�come�potremo�qui�di�seguito�giudicare.�Il�valore�mitico�dello�yang�è�9�e�il�quadrato�di�questa�cifra�(81)�indica�il�numero�di�piedi�che�il�sangue�percorre�in�un�quarto�d'ora.�Per�i�cento�quarti�d'ora�attribuiti�alla�giornata�dalla�clessidra,�si�ottiene�81x100�=�8100�piedi.�Poiché�il�numero�delle�rivoluzioni�del�sangue�è�di�50�al�giorno,�la�lunghezza�di�ogni�rivoluzione�è�di�8100�:�50�=�162�piedi,�cioè�81�x�2.�Occorre�quindi�al�sangue�il�tempo�enorme�di�30�minuti�per�percorrere�un�giro�completo�del�corpo�ad�una�velocità�così�lenta.�Se�si�divide�81.000�pollici�per�il�valore�mitico�dello�yin,�si�ottiene�il�numero�di�respirazioni�giornaliere:�81.000�:�6�=�13.500.�Poiché�ad�ogni�respirazione�corrispondono�5�pulsazioni,�il�loro�numero�quotidiano�sarebbe�di�13.500�x�5�=�67.500.�Una�respirazione�più�rapida�può�ammettere�delle�pulsazioni�supplementari,�come�un�anno�bisestile�può�ammettere�dei�giorni�in�più.

d.�non�logica�ma�analogiaNé,�in�quanto�occidentali,�ci�ritroviamo�nelle�relazioni�analogiche�che�determinano�i�rapporti�tra�le�entità�che�orientano�il�medico-filosofo�cinese�nella�sua�ricerca�di�definire�il�quadro�clinico�della�persona�assunta�in�cura.«Lo�studio�del�pensiero�filosofico�cinese�e�della�medicina�che�ne�deriva�non�può�prescindere�da�un�approccio�almeno�iniziale�al�principale�strumento�di�elaborazione�di�questo�sapere,�che�è�l'analogia.�L'analogia,�come�modalità�di�rapporto,�di�relazione�di�entità�o�cose�diverse�tra�loro�per�qualità�e�quantità,�è�il�metodo�privilegiato�che�ha�consentito�al�pensiero�cinese�di�strutturare�quel�mondo�di�corrispondenze�che�è�la�base�del�sapere�antico.�Ai�cinesi�non�è�mai�molto�interessato�misurare�effetti�e�ricercare�nessi�causali,�ma�osservare�e�catalogare�corrispondenze�fino�a�ipotizzare�una�conoscenza�esaustiva�della�realtà.«Così�la�relazione�tra�il�macrocosmo�celeste�ed�il�microcosmo�umano,�così�tipici�della�cultura�cinese,�è�costruibile�solo�mediante�lo�strumento�analogico�che,�pur�riconoscendo�le�differenze,�grazie�al�metodico�rilevamento�dei�dati,�sa�rintracciare�le�ragioni�profonde�delle�somiglianze.«Il�rapporto�analogico�è�alla�base�di�numerose�descrizioni�del�corpo�umano�come�di�un�paese,�fatto�di�montagne,�fiumi,�mari,�con�palazzi�e�porte�in�cui,�ad�esempio,�i�vasi�costituiscono�le�strade,�gli�organi�i�fienili�ed�i�granai,�amministrato�da�signori�e�funzionari:�«Il�Cuore�ha�funzione�di�Signore...�il�Polmone�è�ministro�e�cancelliere...�il�Fegato�è�il�comandante�dell'esercito»�(SW,�cap.�8).«L'analogia�consente�al�saggio�dell'antichità�cinese�la�trasposizione�della�conoscenza�delle�relazioni�tra�i�vari�oggetti�ed�eventi�del�macrocosmo�a�quella�piccola�zona�di�esso,�definita�e�delimitata,�che�è�l'uomo.�Non�è�un�caso�che�si�sia�potuta�diffondere�l'affermazione,�peraltro�imprecisa,�secondo�cui�i�medici�cinesi�non�avrebbero�avuto�la�necessità�di�effettuare�delle�dissezioni�anatomiche,�essendo�sufficiente�per�loro�studiare�le�correlazioni�energetiche�tra�i�vari�organi�all'interno�delle�leggi�di�corrispondenza�esistenti�tra�gli�organi�stessi�e�le�strutture�celesti.«Nell'uomo,�con�le�debite�proporzioni,�avvengono�fenomeni�«come�nell'universo»�e�le�relazioni�che�regolano�la�generazione�e�il�reciproco�controllo�dei�Soffi�interni�sono�strutturate�su�leggi�di�similitudine�analoghe�a�quelle�che�reggono�i�grandi�movimenti�dei�Soffi�a�livello�cosmico.«Vicina�e�spesso�confusa�col�pensiero�analogico�è�la�nozione�di�corrispondenza,�che�non�esprime�che�un�caso�particolare�tra�soggetti�diversi�che�hanno�alcuni�punti�in�comune,�il�rapporto�di�corrispondenza�si�instaura�tra�soggetti�che�intrattengono�tra�loro�un�rapporto�di�complementarità.«Esempio�eclatante�della�teoria�delle�corrispondenze�è�la�catalogazione�della�realtà�secondo�la�legge�dei�Cinque�elementi.�Tutto�viene�classificato�a�partire�dalle�Cinque�direzioni:�i�quattro�punti�cardinali�ed�il�Centro.L'est�genera�il�Vento.�Il�Vento�genera�il�Legno.�Il�Legno�genera�l'acido.�L'acido�genera�il�Fegato.�Il�Fegato�genera�i�muscoli.�I�muscoli�generano�il�Cuore.�Il�Fegato�comanda�l'occhio�(SW,�cap.�5).�«Il�sole�nasce�dall'est;�anche�il�Soffio�dell'universo�si�trasmette�primariamente�

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all'est,�tramite�il�Vento.�Il�Vento�è�la�potenza�dell'universo�che�crea�il�movimento�stesso;�è�ciò�che�agita�le�piante�dall'interno�all'esterno�(Legno).�Il�Vento�fa�parte�delle�Cinque�influenze�celesti�(Vento,�Calore,�Umidità,�Secchezza,�Freddo);�il�Legno�fa�parte�dei�Cinque�elementi�dell'universo�(Legno,�Fuoco,�Terra,�Metallo,�Acqua).�Nelle�piante�il�Soffio�dell'universo�si�conserva�nel�sapore�acido.�L'acido�alimenta�la�struttura�del�Fegato.�Dal�Fegato�dipendono�i�muscoli,�principio�dell'animazione�corporale.�Il�Fegato�comanda�l'occhio,�poiché�ogni�organo�ha�un�rapporto�specifico�con�uno�degli�orifizi�superiori�del�corpo.Ciò�che�è�detto�per�l'est�viene�ripetuto,�secondo�altre�corrispondenze,�per�ciascuno�dei�punti�cardinali�e�per�il�Centro.E�così�la�filosofia,�appoggiandosi�sulla�numerologia�e�sull'analogia,�dà�alla�medicina�un�fondamento�solido�e�pratico,�che�ogni�volta�ristabilisce�le�corrispondenze�fondamentali�dell'uomo�e�della�vita.�Inserito�nel�flusso�della�vita�universale,�l'uomo�si�mantiene�in�salute�o�la�ritrova�grazie�alla�medicina,�riscoprendo�o�consolidando�i�legami�che�lo�uniscono�agli�altri�esseri,�restando�collegato�alla�potenza�del�Cielo/Terra».

Poi�venne�MaoMa�non�basta;�paradossalmente,�i�colpi�più�duri,�i�danni�più�gravi�alle�possibilità�di�sopravvivenza�della�cultura-medicina�tradizionale�cinese�sono�stati�portati�proprio�nel�tentativo�di�recuperarne�il�significato�e�la�pratica�utilità�ad�uso�curativo�per�il�popolo.La�medicina�occidentale�moderna�comincia�la�propria�penetrazione�in�Cina�nella�seconda�metà�del�XIX�secolo.In�realtà�le�conoscenze�che�scaturivano�dallo�sviluppo�della�medicina�occidentale�si�erano�regolarmente�trasferite�in�Cina�(e�anche�utilizzate�limitatamente�agli�ambienti�di�corte�e�nobili)�da�quando�il�gesuita�Johann�Schreck�(Terentius,�in�cinese�Deng�Yu-han)�era�arrivato�a�Macao�nel�1619�ed�aveva�acquisito�tanto�credito�«predicendo»�l'eclissi�solare�di�quell'anno�da�essere�incaricato�di�riformare�il�calendario�imperiale�(agli�astronomi�cinesi�non�tornavano�più�i�conti�per�lo�slittamento�di�secolo�in�secolo�delle�approssimazioni�nel�calcolo);�trasferitosi�a�Pechino�nel�1924�pose�mano�alla�redazione�di�un'opera�anatomica�(Sulla�struttura�del�corpo�umano,�in�cinese�Ren-shen�shuo-gai);�l'opera�fu�completata�da�Bi�Gong-chen�in�collaborazione�con�il�gesuita�Adam�Schall�che�pubblicò�nel�1935�il�Tai-xi-ren-shen-shuo-gai,�il�primo�trattato�cinese�di�anatomia�occidentale�(in�realtà�qualcosa�era�già�uscito�nel�1595�a�opera�di�P.�Ricci).�Se�si�pensa�che�l'opera�del�Vesalio�(De�Humani�Corporis�Fabrica�Libri),�che�aveva�fondato�le�basi�della�conoscenza�anatomica�occidentale,�fu�pubblicata�nel�1543,�si�comprende�che�in�realtà�il�travaso�di�conoscenze�tra�Occidente�e�Cina�(e�si�svolse�in�ambedue�i�sensi)�fu�costante.Nel�1881�fu�fondata�a�Tian-jin�la�prima�scuola�per�la�formazione�di�medici�«scientifici�occidentali»�cinesi�e,�dopo�l'istituzione�della�Repubblica�nel�1911�e�la�fondazione�della�prima�scuola�di�medicina,�la�medicina�occidentale�prese�rapidamente�piede,�tanto�che�nel�1916�si�contavano�già�26�scuole�di�medicina�con�quasi�2000�iscritti,�nel�1935�erano�33�le�facoltà�di�medicina,�500�gli�ospedali�con�più�di�20.000�posti�letto�e�20.000�i�medici�con�laurea�occidentale.Tutto�ciò�per�il�notevole�prestigio�che�la�medicina�occidentale�si�era�conquistata�sul�campo,�in�un�paese�in�cui�epidemie�e�malattie�endemiche�(tubercolosi�polmonare,�peste,�schistosomiasi,�paludismo�ecc.)�mietevano�vittime�a�decine�di�migliaia;�i�metodi�e�i�medicinali�«scientifici�moderni»�applicati�su�vasta�scala�erano�in�grado�di�ottenere�risultati�notevoli�e�comunque�di�gran�lunga�superiori�alla�medicina�tradizionale,�spesso�applicata�da�«praticoni�di�poca�scienza�ed�esperienza».Furono�la�seconda�guerra�mondiale�e�la�lunga�guerra�tra�nazionalisti�e�comunisti,�che�da�un�lato�costituirono�un�nuovo�banco�di�prova�che�evidenziò�i�meriti�della�medicina�e�della�chirurgia�di�derivazione�occidentale�e�dall'altro�crearono�condizione�di�penuria�di�medicinali�e�accentuazione�della�dipendenza�dalle�«potenze�straniere»,�che�posero�le�condizioni�per�una�riscoperta�e�valorizzazione�della�m.t.c.,�come�medicina�popolare�adatta�alle�masse�rurali,�povere�ed�estranee�agli�influssi�stranieri.Sotto�la�spinta�ideologica�del�nuovo�governo,�negli�anni�cinquanta,�in�Cina�vi�f

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u�lo�sforzo�(anche�per�supplire�alla�drammatica�scarsità�di�medici�formati�alla�scuola�occidentale�rispetto�al�fabbisogno,�soprattutto�nelle�campagne)�di�riscoprire�su�basi�«scientifiche»�la�medicina�tradizionale;�furono�creati�un�dipartimento�di�Medicina�Tradizionale�presso�il�Ministero�della�Sanità�Pubblica�(1954),�un�Centro�di�Agopuntura�e�Moxibustione,�istituti,�ospedali�ecc.�«Per�facilitare�questa�evoluzione�i�classici�medico-farmaceutici,�illeggibili�nella�loro�antica�grafia,�sono�stati�ristampati�molte�volte�in�lingua�parlata�moderna�(bai-hua)�o�in�caratteri�semplificati.�Sotto�questa�nuova�veste�(nuova�solo�in�apparenza),�i�classici�continuano�ad�essere�utilizzati�dai�medici�e�a�conservare�quel�carattere�della�medicina�tradizionale,�falsamente�atemporale�e�monolitico.�Bisogna�notare,�infatti,�che�in�queste�nuove�edizioni�figura,�secondo�la�tradizione,�una�gran�quantità�di�commentari�redatti�dai�compilatori�contemporanei.�Questi�ultimi�hanno�qualche�volta�la�tendenza�a�proiettare�sugli�autori�antichi�le�preoccupazioni�e�le�nozioni�a�loro�care,�ma�nettamente�anacronistiche�rispetto�all'epoca�considerata�(è�così�che,�a�proposito�del�Nei-jing,�si�parla�di�sistema�linfatico�intra�ed�extravascolare).�Una�struttura�scientifica�è�imposta�ai�filologi�medici.�L'avvenimento�più�importante�dell'ultimo�decennio�è�stato�l'intreccio�della�medicina�occidentale�e�della�medicina�tradizionale,�che�ormai�lavorano�in�simbiosi».In�realtà,�stante�la�sproporzione�numerica�(esistevano�1000�medici�formati�all'occidentale�per�ogni�esperto�di�m.t.c.)�e�i�rapporti�di�forza�(nelle�città�e�tra�le�classi�colte�la�medicina�scientifica�occidentale�si�era�consolidata�e�possedeva�un�assoluto�predominio�e�aveva�dato�vita�a�potenti�istituzioni�quali�ospedali,�università,�istituti�di�ricerca�ecc.)�il�confronto�si�stabilì�e�si�sviluppò�sulla�base�del�modello�e�del�linguaggio�della�medicina�scientifica�occidentale.È�ovvio�che�la�pratica�di�una�medicina-filosofia�globale,�energetica,�analogica�nelle�corsie�di�un�ospedale,�istituzione�che�incarna�(spesso�nel�modo�più�deteriore�oggi�in�Italia,�immaginiamoci�nella�Cina�di�cinquant'anni�fa)�il�modello�riduzionista,�meccanicista�e�alieno�da�tutto�ciò�che�non�fosse�concretamente�«materiale»,�ebbe�come�risultato�più�notevole�lo�svuotamento�della�m.t.c.;�isolata�dal�contesto�culturale-filosofico�da�cui�traeva�origine�e�che�la�giustificava,�della�medicina�tradizionale�restarono�solo�tecniche�superficiali�di�indubbia�(ma�inspiegabile)�efficacia�utilizzate�in�un�contesto�alieno�e�valutate�con�parametri�che�le�erano�estranei.E�fu�la�fine�della�m.t.c.�perché�era�finito�il�mondo�che�l'aveva�generata,�l'universo�in�cui�affondava�le�sue�radici.Un�monitoraggio,�anche�superficiale�ed�affrettato,�di�ciò�che�esprime�oggi�in�Italia�l'agopuntura�può�rendere�l'idea�di�ciò�che�è�rimasto�della�m.t.c.;�l'espressione�di�una�sapienza�millenaria�è�ridotta�ad�una�tecnica�subordinata�alla�medicina�scientifica,�relegata�ad�un�uso�sintomatico�(per�lo�più�analgesico)�o,�in�alcuni�casi,�anestetico.

Giocare�col�mortoPrendiamo�atto�che�la�Medicina�Tradizionale�Cinese�non�esiste�più;�prendiamo�atto�che�un�modello�derivato�dalla�m.t.c.�è�invece�in�via�di�edificazione�e�proprio�negli�ultimi�anni�si�è�assistito,�grazie�anche�allo�shiatsu,�ad�un�risveglio�di�interesse�per�i�testi�antichi�e�per�l'antica�cultura.�Sono�patetici�i�praticanti�shiatsu�che�(senza�riderci�sopra)�sproloquiano�di�«Shen»,�«Po»,�«Hun»�(le�cosiddette�«anime�vegetative»�degli�antichi�cinesi,�gli�spiriti�che�animano�il�fenomeno�uomo);�sarebbe�come�se�uno�studioso�di�scienze�naturali�della�nostra�epoca�ragionasse�in�termini�di�«Oceanine»,�«Nereidi»,«Naiadi»,�«Oreadi»,�«Driadi»�(gli�spiri�animavano�i�mari,�le�sorgenti,�i�monti�e�le�valli,�gli�alberi�ecc.)�e�di�altre�categorie�di�ninfe�o�altri�spiritelli�che�costituivano�le�«anime�vegetative»�della�natura�nellavisione�mitologica.Non�è�pensabile�per�una�persona�formata�nel�nostro�universo�culturale�eche�opera�concretamente�nella�società�reale�ricreare�il�mondo�e�il�modo�divivere�e�interagire�con�il�reale�del�cinese�di�duemila�anni�fa.�Possiamo�invece�influenzare,�correggere�il�nostro�radicato�meccanicismo,�riduzionismo,�attaccamento�all'interpretazione�materiale�dei�fenomeni�traendospunto�e�ispirazione�da�quanto�resta�(e�si�riesce�a�ricostruire)�di�una�filosofi

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a�naturalista�che�ci�propone�una�visione�profondamente�diversa,�sanamentecompensativa�dell'unilateralità�del�nostro��modello�"scientifico",�consapevoli�della�nostra�appartenenza�irrimediabile�al�mondo�e�alla�cultura�della�nostraepoca.

10°�Passo�Ricerca�e�speranza

La�medicina�tradizionale�cinese�è�una�scienza�globale�che�considera�l'uomo�non�solo�nella�sua�interezza�ma�anche�nella�sua�intima�unione�con�il�macrocosmo.Schatz,�Larre,�de�la�Vallèe,�«Agopuntura»

Un�universo�stimolanteCambiando�punto�di�vista�possiamo�anche�affermare�che�l'uso�del�modello�p.m.t.c.�(per�quanto�presunto�allo�stato�attuale�delle�conoscenze�e�-�temo�-�nei�secoli�futuri)�è�sicuramente�utile�per�rompere�l'univocità�e�lo�strapotere�del�modello�scientifico�occidentale�nell'interpretazione�dei�fenomeni;�utile�perché�rappresenta�un�approccio�sostanzialmente�non�riduzionista,�non�meccanicista�e�non�materiale.Nella�p.m.t.c.�l'approccio�è�energetico,�globale�(oggi�si�usa�dire�olistico),�imitativo�e�rispettoso�delle�dinamiche�naturali:�si�può�definire�una�filosofia�naturalista.

a.�l'approccio�energetico«Il�termine�qi�caratterizza�la�medicina�cinese.�È�stato�tradotto�indifferentemente�con�il�termine�energia�o�Soffi.�Energia�perché�la�vita�produce,�mantiene,�consuma,�economizza,�libera�energia.�Molti�amano�questa�espressione�che�è�più�consona�alla�nostra�mentalità�occidentale.�Come�non�ricordare�che,�dopo�gli�studi�di�Einstein,�per�il�mondo�occidentale�la�massa�non�è�che�una�forma�di�energia?�Allo�stesso�modo,�già�nell'antichità,�nelle�loro�speculazioni,�i�cinesi�consideravano�i�corpi�e�i�loro�dinamismi�come�una�stessa�realtà�formata�di�energia,�di�Soffi.�Il�termine�Soffi�dà�maggiormente�l'idea�di�movimento�vitale�che�si�libera�e�circola.�E'�un'immagine�più�tranquilla,�interamente�deformabile�per�adattarsi�alle�esigenze�di�chi�deve�descrivere�i�fenomeni�vitali.�Ma�oggi�la�maggior�parte�degli�autori�impiega�il�termine�cinese�qi�senza�tradurlo,�sapendo�che�il�lettore�comprenderà�questa�parola,�così�importante�da�qualificare�la�medicina�stessa.�La�medicina�cinese�è�infatti�una�medicina�energetica,�una�medicina�dei�Soffi.�Perciò�non�si�può�avere�una�percezione�esatta�di�questa�medicina�se�non�la�si�pensa�come�una�scienza�che�studia�gli�scambi�dei�Soffi�e�se�non�la�si�considera�un'arte,�l'arte�di�ristabilire�l'armonia�funzionale�di�questi�scambi».

b.�l'approccio�globale�e�naturaleLa�medicina�tradizionale�cinese�è�una�scienza�globale�che�considera�l'uomo�non�solo�nella�sua�interezza�ma�anche�nella�sua�intima�unione�con�il�macrocosmo�da�cui�egli�ha�origine�e�di�cui�è�l'immagine�speculare�(il�microcosmo);�è�una�medicina�energetica�perché�si�basa�sull'incessante�ritmo�binario�yin/yang�che�determina�mutazioni�e�trasformazioni�continue�nell'universo�e�nell'uomo,�sia�in�condizioni�fisiologiche�che�patologiche.�Anche�oggi�nella�Cina�Popolare�la�medicina�tradizionale�poggia�saldamente�su�questi�principi�codificati�nei�libri�canonici�fra�cui�primeggia�il�Nei�jing�Su�wen.�Poiché�l'uomo�è�il�prodotto�dell'universo,�oggetto�di�questa�medicina�è�la�relazione�dell'uomo�con�l'universo:�in�definitiva�si�può�affermare�che�l'agopuntura�non�è�che�l'applicazione�all'uomo�delle�leggi�fondamentali�della�vita».Si�tratta�in�definitiva�di�un�approccio,�di�un�punto�di�vista,�notevolmente�diverso,�per�molti�versi�«opposto�e�complementare»�al�modello�scientifico�occidentale�e�pertanto�molto�utile�a�creare�una�visione�prospettica�per�chi�sia�in�grado�di�usarlo�dialetticamente�senza�confusioni�e�sovrapposizioni�inconsapevoli.

La�vita�è�contraddittoria,�la�contraddizione�è�vita

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L'apparente�contraddizione�tra�una�natura�fatta�di�«corpi�pieni»,�la�materia,�e�una�fatta�di�fenomeni�energetici�ha�angosciato�generazioni�di�scienziati�fino�a�che�non�si�accettò�(come�era�inevitabile�visto�che�la�realtà�non�si�piega�ai�nostri�modelli)�che�potessero�coesistere�visioni�e�spiegazioni�diverse,�altrettanto�valide�e�«scientifiche»,�punti�di�vista�opposti�e�complementari�che,�opportunamente�usati,�potevano�dare�una�visione�della�realtà�più�completa�e�globale.«A�livello�atomico,�la�materia�ha�un�aspetto�duale:�si�manifesta�come�particella�e�come�onda.�L'aspetto�che�essa�presenta�dipende�dalla�situazione:�in�alcuni�casi�predomina�l'aspetto�corpuscolare,�in�altri�quello�ondulatorio;�e�questa�natura�duale�è�tipica�anche�della�luce�e�di�tutte�le�altre�radiazioni�elettromagnetiche.�La�luce,�per�esempio,�è�emessa�e�assorbita�sotto�forma�di�'quanti',�o�fotoni,�ma�quando�viaggiano�attraverso�lo�spazio�queste�particelle�di�luce�appaiono�come�campi�elettrici�e�magnetici�variabili�che�presentano�tutti�i�comportamenti�caratteristici�delle�onde.�Normalmente,�gli�elettroni�sono�considerati�particelle,�eppure�quando�un�fascio�di�queste�particelle�viene�fatto�passare�attraverso�una�fenditura�sottile�esso�viene�diffratto�proprio�come�un�raggio�di�luce;�in�altre�parole,�anche�gli�elettroni�si�comportano�come�onde.Questo�aspetto�duale�della�materia�e�della�radiazione�è�in�effetti�estremamente�sconcertante�e�ha�dato�origine�a�molti�dei�«koan�quantistici»�che�hanno�portato�alla�formulazione�della�teoria�dei�quanti.�La�rappresentazione�di�un'onda�che�è�sempre�estesa�nello�spazio�è�fondamentalmente�diversa�da�quella�di�una�particella�che�implica�una�posizione�precisa.�Ci�volle�molto�tempo�perché�i�fisici�accettassero�il�fatto�che�la�materia�si�manifesta�in�modi�che�sembrano�escludersi�a�vicenda:�che�le�particelle�sono�anche�onde�e�le�onde�sono�anche�particelle».una�particella un'onda

Raffigurazione�delle�relazioni�secondo�l'iconografia�orbitale�nello�Zhenjin�jicheng�(Compendio�di�ago-moxi-terapia).�Si�tratta�di�una�raffigurazione�relativamente�tarda,�pubblicata�nel�1874,�al�tempo�cioè�in�cui�le�teorie�anatomiche�occidentali�erano�già�state�diffuse�da�quasi�due�secoli�in�Giappone�e�da�circa�cinquant'anni�in�Cina.�Difatti�essa�mostra�di�essere�stata�influenzata�da�queste�teorie:�le�relazioni�fra�l'orbis�cardialis,�l'orbita�principe,�e�gli�orbes�hepaticus,�lienalis�e�renalis�sono�messe�in�evidenza�con�collegamenti�diretti�di�vie�conduttrici.�La�relazione�con�l'orbis�pulmonalis�è�data�dal�fatto�che�la�tuba�pulmonalis�(feiguan)�sfocia�direttamente�nell'orbis�cardialis�(il�cuore).Tratte�da:�Manfred�Porkert,�La�medicina�cinese,�edizione�originale�1982,�edizione�italiana�1984,�Armenia�Editore,�Milano,�p.�74.���Fig.�14�Anatomia�cinesecrocicchio�aereo-digestivopolmonicuore�diaframmamilza(e�pancreas)vertebre�cervicaliesofagomidollo�spinalestomaco�vescicola�biliareduodeno�colonfegatorene�(surrenale)intestino�tenuecolon�.�sigmoideTratte�da:�Jacques�Lavier,�L'agopuntura�cinese,�edizione�originale�1966,�V�edizione�italiana�1973,�Edizioni�Mediterranee,�Roma,�p.�62.

Le�due�illustrazioni�riportate�in�queste�pagine�possono�rendere�un'idea�immediata�di�come�in�Occidente�si�siano�diffuse�molte�false�credenze�sulla�realtà�e�i�contenuti�della�medicina�tradizionale�cinese.�Uno�studioso�universalmente�riconosciuto�come�attento�ricercatore�e�fonte�attendibile�in�un�suo�testo�(fra�l'altro�uno

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�dei�testi�di�agopuntura�più�famosi�e�diffusi)�riporta�come�«Anatomia�cinese»�una�tavola�che�in�realtà�non�è�che�la�riproduzione�rimaneggiata�di�una�raffigurazione�del�1874�delle�conoscenze�anatomiche�occidentali.�In�realtà�pare�proprio�che�una�«anatomia�cinese»�non�sia�mai�esistita,�anzi�è�una�vera�e�propria�contraddizione�in�termini�per�una�medicina�tutta�incentrata�sui�fenomeni�energetici�(i�Soffi);�allo�stesso�modo�sono�estranei�alla�medicina�cinese�i�concetti�di�organi,�elementi,�meridiani�ecc.�comunemente�alla�base�delle�divulgazioni�scorrette�della�medicina�cinese�in�auge�in�Occidente.�

Approccio�corpuscolare�e�approccio�vibratorio�utilizzati�dai�fisici�per�indagare�e�riconoscere�i�fenomeni�sono�due�aspetti�diversi,�inconciliabili,�contraddittori�ma�indispensabili�ambedue�per�inoltrarsi�senza�impazzire�nel�mondo�del�conoscibile.�L'approccio�materiale�e�l'approccio�energetico�sono�le�due�strade,�i�due�punti�di�vista�che�consentono�un�approccio�tattile�a�uke,�una�comunicazione�non�verbale�tra�i�due�soggetti�che�interagiscono;�ma�è�indubbio�che�nell'evento�shiatsu�è�il�punto�di�vista�energetico�che�costituisce�la�chiave�di�volta�interpretativa�dei�fenomeni�che�«accadono»,�ed�è�a�questo�tipo�di�approccio�che�il�praticante�shiatsu�si�addestra�nel�training�formativo.Il�modello�della�p.m.t.c.�ci�fornisce�un'importante�possibilità�per�influenzare,�correggere�il�nostro�radicato�meccanicismo,�riduzionismo,�attaccamento�all'interpretazione�materiale�dei�fenomeni�traendo�spunto�e�ispirazione�da�quanto�resta�(e�si�riesce�a�ricostruire)�di�una�filosofia�naturalista�che�ci�propone�una�visione�profondamente�diversa,�sanamente�compensativa�dell'unilateralità�del�nostro�modello�«scientifico»,�consapevoli�della�nostra�appartenenza�irrimediabile�al�mondo�e�alla�cultura�della�nostra�epoca.Ricerca�e�speranzaLo�studioso�di�ideogrammi�forse�può,�isolandosi�dal�mondo�ed�immergendosi�nei�testi�antichi,�cercare�di�ricreare�quell'atmosfera,�quel�modo�di�vedere�la�realtà,�quel�contesto�culturale,�quell'universo�umano�che�ha�prodotto�la�m.t.c.�e�per�certi�versi�immaginarsi�di�interpretare�la�realtà�fenomenica�in�termini�di�«anime�vegetative»,�di�«numeri�qualitativi»,�di�«classificazioni�analogiche».Come�forse�sarebbe�possibile�per�il�cacciatore�di�serpenti�del�Borneo�di�cui�si�parlava�sopra�comprendere�il�funzionamento�della�Borsa�se�si�trasferisse�a�Wall�Street�e�vi�bivaccasse�per�una�decina�d'anni�senza�più�rapporti�con�la�foresta�pluviale�(però�per�lui�sarebbe�molto�più�facile�perché�avrebbe�un�rapporto�diretto�con�la�realtà�che�indaga,�cosa�non�possibile�per�lo�studioso�di�cultura�cinese�antica).Ma�per�noi�che�operiamo,�e�intendiamo�continuare�ad�operare�quotidianamente�nel�nostro�universo,�riferire�gli�spunti�e�le�intuizioni�che�gli�antichi�testi�orientali�(tradotti�ed�interpretati�dallo�studioso�di�cui�sopra)�suscitano�in�noi�al�nostro�universo�culturale,�riportarli�e�inquadrarli�dal�nostro�punto�di�vista,�non�è�una�scelta,�bensì�una�necessità;�una�necessità�a�cui�non�possiamo�sottrarci�(confesso�che�anch'io�uso�talvolta�espressioni�oscene�come�«emicrania�da�Bile»)�perché�è�cosi�che�funziona�la�nostra�mente.E�del�resto�non�si�sottraggono�a�questa�opzione�inevitabile�neanche�i�più�acuti�e�profondi�studiosi�della�cultura�cinese�applicata�alla�medicina�di�ogni�epoca,�come�il�Lavier�(anni�sessanta)�o�lo�Schatz�(anni�ottanta),�che�nel�cercar�di�comprendere�e�spiegare�nelle�loro�opere�i�concetti�e�i�parametri�propri�della�m.t.c.,�non�possono�evitare�di�tradurli�in�fenomeni�anatomico-fisiologici�propri�della�medicina�scientifica�del�loro�tempo.

J.�Schatz,�AgopunturaLa�funzione�della�vescica�biliare,�sia�come�viscere�comune�dell'adulto�sia�come�organismo�embrionale,�ne�spiega�il�carattere�particolare:�essa�è�«responsabile�della�rettitudine�mediana:�da�essa�provengono�decisione�e�sentenza».�Queste�espressioni�significano�che�la�vescica�biliare�ha�un�ruolo�direzionale.�Alcuni�testi�precisano�che�comanda�il�fegato:�tale�priorità�nei�confronti�del�fegato�può�essere�illustrata�meglio�con�l'aiuto�dell'embriologia�occidentale,�la�quale�mostra�come�dalle�gemme�embrionarie�dell'intestino�primitivo�derivano�i�canalicoli�biliari�(e�la�vescica�biliare),�a�partire�dai�quali�si�formano�le�trabecole�epatiche.�Fegato�e�vescica�biliare�sono�strettamente�legati�nel�loro�funzionamento,�ma�il�ruolo�pre

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ponderante�in�tale�grande�sistema�organico�e�funzionale�è�quello�della�vescica�biliare,�come�è�facile�capire�se�si�pensa�che�la�funzione�biliare�non�è�legata�unicamente�al�ricettacolo�della�colecisti�ma�all'intera�«ghiandola�epatica»,�e�se�si�ricorda�l'importanza�della�vescica�biliare�in�numerose�sindromi�di�patologia�frequente.�Per�lo�stesso�motivo�si�spiega�probabilmente�anche�il�fatto�che�al�capitolo�11�il�Su�wen�dichiara�che�gli�altri�11�organi�e�visceri�vengono�a�prendere�la�decisione�dalla�vescica�biliare./.�Lavier,�L'agopuntura�cineseP'i�è�prima�di�tutto�il�sistema�linfoideo.�Questo�sistema�fabbrica�i�globuli�bian¬chi�(leucociti),�che�hanno�la�particolarità�di�poter�attraversare�le�pareti�vascolari�al�livello�dei�capillari�(diapedesi)�e�di�ridistribuirsi�attraverso�i�differenti�tessuti�per�combattere�i�microbi�invasori.�Questa�particolare�proprietà�mostra�che�P'i�svolge�un�ruolo�periferico�che�determina�la�posizione�esterna�del�suo�Tching�al�tronco.�Questa�«funzione�esterna»�del�P'i�è�tuttavia�meno�evidente�di�quelle�dei�Fou�ed�anche�dello�stesso�Fei;�pertanto�lo�Tching�di�P'i�resta�essenzialmente�Yin,�con�la�propria�estremità�distale�al�membro�inferiore.�La�caratteristica�Yin�di�P'i�si�riferisce,�inoltre�e�principalmente,�alla�funzione�più�che�all'organo;�e�nel�pensiero�cinese�l'assieme�dei�tessuti�connettivi,�presenti�in�tutto�l'organismo,�vi�si�ricollega.

Un�osceno�ma�prezioso�miscuglio«Eppur�si�muove»,�si�tramanda�avesse�esclamato�Galileo�Galilei�dopo�aver�giurato�davanti�al�tribunale�ecclesiastico�che�credeva�alla�terra�piantata�fissa�al�centro�dell'universo.Eppur�succede�spesso�nella�pratica�dello�shiatsu�che,�passando�da�un�punto�di�pressione�all'altro,�il�percorso�e�i�collegamenti�che�si�delineano�sotto�i�pollici�riproducano�in�parte�o�totalmente�i�percorsi�che�si�trovano�delineati�sulle�mappe�tradizionali�cinesi.Eppur�succede�spesso�che�un�rapporto�«analogico»,�tratto�da�un�testo�antico,�tra�un�organo�e�l'altro,�tra�un�sintomo�e�una�alterazione�energetica,�tra�una�disfunzione�e�un�colore�del�viso�o�un�sapore�preferito,�si�riscontri�su�una�o�più�persone�reali.Eppur�succede�spesso�che,�in�barba�a�tutte�le�speculazioni�razionali,�si�riscopra�la�validità�«attuale»�di�principi�e�procedure�che�ci�provengono�da�un�mondo�lontano�da�noi�e�che�non�esiste�più.Conoscere�e�utilizzare�i�vari�modelli�nel�dialogare�con�l'altro�attraverso�le�pressioni,�nel�percepire�le�risposte�vitali�di�uke,�ci�consente�di�usare�l'esperienza�dei�sapienti�occidentali�e�orientali�del�passato.�Ci�consente�di�riconoscere�in�«tempo�reale»,�pressione�dopo�pressione,�la�loro�validità�e�pertinenza�nel�«qui�e�ora»,�nel�caso�specifico�di�«questa�persona»�in�«questo�momento».Nella�consapevolezza�che�ogni�fenomeno�è�unico�e�irripetibile.

Non�so�quale�cultore�della�medicina�tradizionale�cinese�dei�nostri�giorni�si�riconoscerebbe�nella�pratica�e�nella�teoria�dei�medici�tradizionali�cinesi�protagonisti�degli�episodi�sotto�riportati.�O�quale�teorico�della�m.t.c.�si�sentirebbe�di�elaborare�una�teoria�adeguata�a�inquadrare�gli�eventi�descritti�e�a�darne�una�interpretazione�razionale.I�brani�citati,�nella�loro�semplice�complessità,�ci�danno�un'idea�di�quanto�l'evoluzione�della�medicina�cinese�nei�suoi�4-5000�anni�di�storia�sia�stata�notevole�(oserei�dire�totale).Esiste�una�medicina�cinese�che�si�configura�come�mitologia�degli�spiriti�che�albergano�nell'organismo�e�lo�fanno�funzionare.Una�seconda�anima�si�può�configurare�come�una�filosofia�naturalista�che�osserva�il�cielo�e�la�natura�e�trasferisce�nell'organismo�umano�i�fenomeni�e�le�relazioni�che�identifica.Possiamo�poi�identificare�una�medicina�cinese�proto-scientifica,�che�inquadra�i�fenomeni�all'interno�del�bipolarismo�yin/yang�(caldo/freddo,�vuoto/pieno,�interno/esterno,�duro/molle�ecc.)�e/o�di�una�rete�di�relazioni�circolari�(cinque�fasi).Un'altra�anima�(la�più�recente�e�limitata�all'agopuntura)�derivata�dalla�frammisti

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one�nell'ambito�clinico�con�la�medicina�occidentale�moderna,�che�possiamo�definire�scientifica,�si�articola�da�un�lato�in�un�uso�sintomatico�complementare�alle�metodiche�di�diagnosi�e�cura�moderne,�dall'altro�nella�progressiva�nascita�di�una�rete�di�«criteri�di�valutazione�e�intervento»�legata�a�parametri�mutuati�dalla�scienza�occidentale:�sintomi�yin/yang,�situazioni�yin/yang,�punti�specializzati�di�dispersione�e�tonificazione,�organizzazione�sistematica�di�combinazione�di�punti�per�quadri�patologici�definiti�in�base�alla�medicina�occidentale.�E,�se�dobbiamo�valutare�il�fenomeno�dagli�aneddoti�sotto�riportati,�altre�numerose�anime,�o�quantomeno�filoni,�si�sono�succedute,�o�sono�coesistite,�nei�secoli.Una�evoluzione�che�ha�portato�una�filosofia�naturalista�di�«buon�senso»�e�di�armonica�unione�con�l'universo�circostante�utilizzata�da�tutti�ad�evolversi�(o�involversi)�fino�a�diventare�una�scienza�ermetica,�intelleggibile�a�pochi�e�utilizzabile�solo�da�iniziati�nelle�forme�più�complesse,�ma�sempre�in�condizione�di�tornare�(o�probabilmente�è�sempre�stata,�parallelamente)�a�essere�un�«prontuario�curativo»�a�disposizione�delle�famiglie�e/o�del�praticone�del�villaggio�o�del�medico�dai�piedi�scalzi�di�più�recente�istituzione.Non�sono�uno�studioso�della�medicina�cinese�e�tantomeno�uno�specialista,�ma�ho�l'impressione�che�sia�necessario�fare�un�passo�indietro�e�recuperare�una�visione�più�ampia�della�realtà�della�m.t.c.,�ritrovando�il�contenuto�e�il�significato�espresso�dagli�studi�degli�specialisti�dei�decenni�scorsi.Per�quel�che�ne�ho�capito�in�molti�anni�di�studio�(confesso,�non�approfondito)�e�molti�anni�di�pratica�(ho�utilizzato�il�rapporto�1�a�30�tra�lo�studio�libresco�e�la�pratica�con�uke�proposto�all'inizio�di�questo�percorso),�mi�azzardo�ad�affermare�che�non�esiste�una�medicina�tradizionale�cinese,�ma�molteplici�medicine�tradizionali�cinesi,�né�più�né�meno�come�esistono�molteplici�medicine�occidentali,�e�che�tra�le�varie�anime�e/o�sistematizzazioni�delle�varie�epoche�in�Cina�esistono�articolazioni�e�differenze�non�inferiori�a�quel-le�esistenti�tra�le�medicine�sviluppate�in�Occidente.

M.�Porkert,�La�medicina�cinese«Un�giorno,�che�Bian�Que�era�in�viaggio�per�il�principato�di�Qi,�egli�fu�inviato��quale�ospite�d'onore�alla�corte�del�principe�Huan.�Come�egli�entrò,�disse�subito:�-�Sua�Maestà�è�ammalata.�Per�ora�la�malattia�è�nei�pori,�ma�se�non�vien�curata�subito�essa�penetrerà�in�profondità.�-�A�ciò�il�principe�Huan�rispose�che�Egli�non�era�affatto�ammalato�e,�non�appena�Bian�Que�se�ne�fu�andato,�aggiunse�al�suo�seguito:�-I�medici�sono�spinti�solo�da�guadagno!�Vogliono�acuisire�favori�col�trattare�persone�che�non�sono�affatto�ammalate.�-�Cinque�giorni�dopo"�Bian�Que�si�presentò�in�udienza�e�ripetè:�-�Sua�Maestà�è�ammalata.�La�malattia�ora�è�nelle�orbite�conduttrici.�Se�non�si�cura,�temo�che�essa�penetrerà�in�profondità."��E�di�nuovo�il�principe�Huan�rispose�di�non�essere�ammalato,�ma�rimase�di�malumore.�Bian�Que�se�ne�andò,�ma�tornà�dopo�altri�cinque�giorni�insistendo:�-�Sua�Maestà�è�ammalata.�La�malattia�è�situata�fra�le�sfere�funzionari�dello�stomaco�e�dell'intestino.�Se�non�si�cura,�sprofonderà�ancor�di�più.�-�Il�principe��non�rispose�furioso�ed�addirittura�non�volle�vedere�Bian�Que,�quando�questi�tornò�alla�carica�dopo�altri�cinque�giorni.Il�principe�Huan�però�mandò�dei�servitori�a�domandare�le�ragioni�di�un�simile�comportamento�e�Bian�Que�rispose:�-�Finché�la�malattia�era�nei�pori,�la�si�oteva�raggiungere�con�bagni�ed�applicazioni�calde.�Quand'era�nelle�orbite�condduttrici,�la�si�poteva�colpire�con�aghi�e�pietre�appuntite;�quand'era�nelle�orbite�funzionari�dell'intestino�e�dello�stomaco,�la�si�poteva�trattare�con�vino�e�medicamenti.Ora�che�è�arrivata�nelle�ossa�e�nel�midollo,�è�impotente�contro�di�essa�lo�stesso�fattore�del�destino�(cioè�quel�funzionario�che�è�responsabile�nell'al�di�là�di�là�dell'età��che�deve�essere�raggiunta�da�ogni�singolo�uomo�o�dell'età�assegnata�ad�ogniuno).�Ora�quindi�che�la�malattia�è�nelle�ossa�e�nel�midollo,�non�ha�più�alcun�senso�di�chiamarmi�a�consulto.�-�Cinque�giorni�dopo�il�principe�Huan�si�sentì�male�in�tutto�il�corpo�e�mandò�un�servitore�a�chiamare�Bian�Que.�Questi�però�se�ne�era�andato�via�da�tempo.�Così�morì�il�principe�Huan».

«Un�re�aveva�acquistato�sul�mercato�una�servetta�di�nome�Shu.�Egli�la�valutò�una�ragazza�buona,�giudiziosa,�di�varia�cultura.�Benché�Shu�stessa�dicesse�di�essere�sana,�il�medico�diagnosticò:�'La�ragazza�soffre�di�una�malattia�all'orbita�funzionale�

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della�milza;�essa�non�si�deve�affaticare;�secondo�le�regole�in�primavera�essa�vomiterà�sangue�e�morirà.�-�Come�il�re�conobbe�questa�diagnosi,�fece�chiamare�la�ragazza�per�guardarla�di�persona.�Egli�avrebbe�potuto�rivenderla,�ma,�non�potendo�vedere�alcuna�variazione�del�colorito�del�volto,�non�credette�a�Chunyu�e�si�tenne�la�ragazza.�Arrivò�la�primavera�e�Shu�portò�la�spada�del�re�che�era�andato�alla�toilette.�Quando�il�re�uscì,�la�ragazza�era�rimasta�indietro.�Allora�egli�la�mandò�a�prendere,�ma�la�si�trovò�a�terra�nella�toilette:�vomitava�sangue�e�poco�dopo�morì.�Essa�si�era�presa�la�malattia�quando�si�era�messa�a�sudare�per�la�fatica.�Nelle�malattie�che�son�causate�dal�sudore�è�la�regola�che�la�malattia�si�radichi�all'interno�e�si�aggravi�mentre�capelli�e�colorito�del�volto�rimangono�belli».

«Un�prefetto�di�un�distretto�era�ammalato�grave�già�da�lungo�tempo.�Hua�Tuo�era�dell'opinione�che�egli�sarebbe�potuto�guarire�se�lo�si�fosse�fatto�montare�in�collera.�Allora�egli�richiese�un�grosso�onorario,�non�diede�una�contropartita�medica�e�piantò�in�asso�il�prefetto�lasciandogli�una�rozza�lettera.�Il�prefetto�fu�in�effetti�tanto�in�collera�da�mandargli�dietro�qualcuno�per�raggiungerlo�ed�ucciderlo,�ma�non�ci�fu�nulla�da�fare,�Hua�Tuo�non�fu�trovato.�Il�prefetto�si�prese�un�tale�travaso�di�bile�da�vomitare�e�guarire»�(12).

«Chunyu,�feldmaresciallo�del�territorio�di�Qi,�era�ammalato.�Io�gli�tastai�il�polso�e�gli�dissi:�-�Si�tratta�d'infiltrazione�d'aria�e�quanto�segue�è�proprio�nel�quadro�della�malattia:�quando�cibo�e�bevande�vengono�inghiottiti,�subentrano�dolori�e�diarrea.�Lei�si�è�presa�questa�malattia�perché�ha�corso�molto�rapidamente�dopo�di�essersi�rimpinzato�per�bene.�-�Il�feldmaresciallo�rispose:�-�Ero�ospite�del�re�ed�a�tavola�c'era�fegato�di�cavallo,�ne�ho�mangiato�abbondantemente�fino�a�sazietà;�quando�vidi�che�veniva�portato�il�vino,�uscii,�salii�a�cavallo�e�cavalcai�fino�a�casa.�Mi�capitò�subito�una�forte�diarrea'.�Io�lasciai�al�feldmaresciallo�delle�prescrizioni�e�gli�ordinai�un�brodo�correttivo�'ardor'�(37)�con�l'assicurazione�che�in�sette,�al�massimo�otto�giorni�sarebbe�intervenuta�la�guarigione.�Presente�era�un�medico�di�nome�Qin�Xin�che,�come�me�ne�andai,�chiese�agli�ufficiali�che�lo�circondavano:�-�Cosa�ha�detto�Chunyu�Yi�della�malattia�del�feldmaresciallo?�-�ed�essi�risposero:�-�Egli�ha�diagnosticato�la�malattia�come�un'infiltrazione�di�aria�ed�ha�detto�che�guarirà.�-�Qin�Xin�ridendo�affermò:�-�Egli�non�ha�alcuna�idea�della�malattia�del�feld¬maresciallo,�secondo�la�norma�egli�deve�morire�dopo�nove�giorni!�-�Ma�dopo�nove�giorni�egli�non�morì�e�la�famiglia�mi�mandò�a�chiamare�di�nuovo.�Vi�andai�ed�alle�mie�domande�mi�confermò�che�la�mia�prognosi�era�stata�centrata�completamente,�che�egli�aveva�mangiato�per�sette-otto�giorni�soltanto�il�brodo�bollente�e�che�ora�la�malattia�era�finita.�Io�potei�riconoscere�la�malattia�dal�polso�che,�allorché�lo�palpai,�mi�mostrava�l'esatto�quadro�della�malattia�che�si�sviluppò�'secundo�vehent'�(dal�latino,�secondo�corrente)�e�quindi�il�malato�non�morì».

Brano�da�Lavier�o�Porkart�su�episodio�di�diagnosi�cinese.Il�brano�sopra�citato,�nella�sua�semplice�complessità,�ci�da�un'idea�di�quanto�l'evoluzione�della�medicina�cinese��nei�suoi�4-5.000�anni�di�storia�siastata�notevole�(oserei�dire�totale).�Da�una�mitologia�degli�spiriti�che�albergano�e�fanno�funzionare�l'organismo,(brano�boh)a�una�semplice�filosofia�naturalista�basata�sull'osservazione�delle�"caratteristiche"�dell'universo�e�sulla�certezza�che�tali�"qualità"�dovessero�essereriprodotte�nel�"microcosmo�uomo""�L'uomo�ubbidisce�alle�stesse�leggi�e�agli�stessi�ritmi�che�regolano�gli�scambi�del�Cielo/Terra.��Il�Cielo�ha�4�stagioni,�5�pianeti,�9�punti�di�fuga�versole�9�direzioni�(8�punti�della�rosa�dei�venti�più�il�Centro),�12�mesi�e�365�giorni.��Similmente�l'uomo�ha�4�membra�e�5�organi,�9�orifizi�(7�nella�testae�2�nella�parte�inferiore�del�corpo),�12�tragitti�per�i�Soffi,�chiamati�meridiani,�365�punti�di�animazione."passando�per�un'osservazione�e�uno�studio�"scientifico"�delle�funzioni�energetiche�nella�persona�e�delle�loro�relazioni:(brano�boh)fino�ad�una�sistematizzazione�organica�di�"anime�vegetative",�funzioni�energetic

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he,�interrelazioni�complesse�ricondotte�a�visione�globale,�intuizioni�escoperte�terapeutiche�che�reggono�il�confronto,�senza�traumi,�con�le�istituzioni�scientifiche�moderne.

Quella�che�è�universalmente�conosciuta�come�«la�teoria�dei�cinque�elementi»�(elemento�è�una�errata�traduzione�di�xing�=�fase�di�trasformazione,�da�cui�wuxing�=�cinque�fasi�di�trasformazione)�è�una�«organizzazione�del�sapere�analogico»�che�troviamo�utilizzata�in�Cina�per�tutte�le�scienze�classiche,�non�solo�per�la�medicina�(fig.�1);�una�prova�della�continua�comunicazione�e�del�trasferimento�nei�secoli�delle�conoscenze�da�Oriente�ad�Occidente�(e�viceversa)�sta�nel�fatto�che�nello�stesso�periodo�in�cui�viene�sviluppato�e�poi�formalizzato�in�Cina�(dal�V�secolo�a.C.�al�II�secolo�d.C.),�è�in�uso�in�Occidente,�nella�medicina�ippocratica-ellenistica-galenica,�uno�schema�che�utilizza�gli�stessi�concetti�e�rapporti,�pur�nelle�differenziazioni�che�diversi�climi�e�culture�comportano�(fig.�2).�Probabile�ponte�tra�le�culture�orientale�e�occidentale�erano�i�paesi�del�Medio�Oriente,�in�particolare�la�Persia;�e�infatti�anche�nella�medicina�sufi�si�ritrova�in�uso�uno�schema�analogico�comparabile�(fig.�3).

Fuoco�Estate�(Càldo)�Sud�Metallo�Autunno�(Arìdo)�Ovestterra�dojo�CentroLegno�Primavera�(Ventoso�Acqua�Inverno�(Freddo)�Nord��fig-1Da�Naboru�Muramoto,�Il�medico�di�se�stesso,�edizione�originale�1973,�1"�edizione�italiana�1973,�Giangiacomo�Feltrinelli�Editore,�Milano,�p.�34

CALDOFREDDOumido�asciuttoestate�gioventu�collerico�bile�gialla�fuocoautunno�età�matura�melanconico�bile�nera�terrainverno�vecchiaia�flemmatico�muco�acquaprimavera�infanzia�sanguigno�sangue�ariafig.�2�Da�Huldrych�M.�Koelhing,�Storia�della�terapia�medica,�edizione�originale�1985,�edizione�italiana�1989,�Ciba-Geigy�Edizioni,�Darmstadt,�p.�25.

estate primavera�autunno Inverno|�sera�| |�notte�|maturità senescenzafig-3Da�Guardi,�La�medicina�sufi,�Edizione�Xenia,�1997,�p.�45.

Situazioni�analoghe�di�filoni�contraddittori,�di�anime�differenti�e�antagoniste�si�sono�determinate�anche�nella�storia�occidentale:�già�dalla�nascita,�all'epoca�di�Ippocrate,�della�figura�del�«curatore»�separata�da�quella�del�sacerdote�(e�questo�avviene�nello�stesso�periodo�-�V/IV�secolo�a.C.�-�sia�in�Occidente�che�in�Oriente�ed�è�difficile�pensare�che�sia�una�coincidenza�casuale)�alla�dottrina�«medica»�della�scuola�di�Cos�(patria�di�Ippocrate),�che�si�incentrasulla�persona�(sul�paziente�diremmo�ora),�si�contrappone�la�scuola�della�penisola�di�Cnido,�totalmente�e�antagonisticamente�centrata�sulla�malattia�(ferventi�riduzionisti�diremmo�ora).E�così�via�nei�secoli,�dogmatici�contro�empirici�nei�primi�decenni�d.C.�fino�ai�«cultori�del�terreno»�e�delle�medicine�olistiche�contrapposti�alla�medicina�scientifica�riduzionista�di�oggi.�Anche�all'interno�delle�correnti�che�hanno�prevalso�sono�coesistite�e�si�sono�combattute�anime�differenziate�e�antagoniste:�basti�pensare�che�due�figure�central

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i�nell'edificazione�del�«moderno»�pensiero�scientifico,�Cartesio�e�Galilei,�si�differenziavano�e�si�contrapponevano�sul�modo�di�intendere�e�costruire�il�metodo�scientifico�stesso.�Vedi�box)

BOX:Cartesio�non�cercava�un�contatto�preciso,�puntuale�tra�le�proprie�teorizzazioni�e�l'esperienza.�I�suoi�modelli�generalmente�non�mirano�a�stabilire�un�accordo�con�l'esperienza�nei�dettagli,�si�limitano�a�fornire�spiegazioni�in�linea�di�principio,�a�mostrare�qualitativamente�in�che�modo�sarebbe�possibile�articolare�la�spiegazione�meccanica�di�un�dato�fenomeno,�senza�però�addentrarsi�in�analisi�approfondite.�La�sua�fisica�parla�di�figure�in�movimento,�dunque�è�in�via�diprincipio�interamente�matematizzabile�ma�di�fatto�non�è�matematizzata,�rimane�quasi�sempre�ad�un�livello�esplicativo�puramente�qualitativo.�La�scienza�di�Galileo,�tutta�protesa�alla�comprensione�matematizzata,�«intensiva»�dei�dettagli�della�natura,�appariva�a�Cartesio�una�scienza,�appunto,�del�dettaglio,�ma�filosoficamente�inaccettabile�in�quanto�priva�di�un�fondamento,�priva�di�principi�generali�unificanti.e�ancora...Non�si�deve�infatti�dimenticare�che,�se�dal�punto�di�vista�filosofico�la�parte�centrale�del�XVII�secolo�fu�dominata�dal�razionalismo�meccanicista�di�Cartesio,�questo�stesso�periodo�vide�anche�il�fiorire�di�una�robusta�corrente�di�ricerca�empirica,�la�quale�affronta�lo�studio�diretto�della�natura�tramite�nuovi�strumenti�e�nuovi�atteggiamenti�intellettuali.�Questa�corrente�sperimentalista,�i�cui�protagonisti�saranno�presentati�più�avanti,�condusse�vita�parallela�al�razionalismo�cartesiano,�così�come�per�vari�decenni�furono�compresenti�senza�molti�contatti�reciproci�una�scienza�che�puntava�alla�matematizzazione�della�natura�attraverso�lo�studio�analitico�dei�suoi�dettagli,�che�in�Galileo�aveva�avuto�la�sua�massima�espressione,�e�una�scienza,�quella�cartesiana,�che�era�matematizzabile�in�linea�di�principio,�ma�che�nei�fatti�mirava�a�mettere�a�punto�spiegazioni�qualitative,�comporre�grandi�sintesi.�Solo�nell'opera�di�Newton�si�realizzerà�una�fusione�tra�razionalismo�e�sperimentalismo,�tra�matematica�ed�esperienza,�che�rappresenterà�il�culmine�della�rivoluzione�scientifica.(FINE�BOX)

Dualismo�antagonista�e�dualismo�complementareNella�storia�occidentale�le�differenziazioni�e�gli�antagonismi�hanno�sempre�creato�uno�scontro�da�cui�uscivano�vincitori�e�vinti,�e�i�vincitori�hanno�sempre�cercato�di�usare�la�propria�influenza�sociale�e�il�proprio�potere�politico�per�reprimere�ed�annullare�le�correnti�minoritarie.Basta�osservare�come�oggi�in�Italia�e�in�Europa�la�Corporazione�dei�Medici�(oggi�lo�chiamano�Ordine�Professionale�ma�il�senso�non�cambia)�dispieghi�tutta�la�propria�potenza�per�togliere�spazio�(diciamo�pure�proibire,�o�quanto�meno�ostacolare�a�livello�legislativo)�alla�cosiddetta�medicina�alternativa,�o�nuova�medicina�(medicina�non�convenzionale�come�viene�definita�a�livello�istituzionale).Anche�in�Cina�vi�furono�scuole�differenti�che�conobbero�momenti�di�sviluppo�e�di�riflusso,�che�si�confrontarono�anche�aspramente,�contendendosi�il�favore�dei�potenti�dell'epoca�e�conoscendo�periodi�di�splendore�e�riflusso,�ma�lo�sviluppo�della�filosofia-medicina�cinese�non�conobbe�«traumi».In�continuità�con�lo�sviluppo�dolce�e�graduale�della�conoscenza�garantita�dalla�tradizione�orale�(nella�tradizione�orale�è�impossibile�distinguere�ciò�che�è�originario�da�ciò�che�è�commento,�ampliamento,�sovrapposizione�e�la�«sapienza»�delle�generazioni�si�accumula�senza�interruzioni),�anche�dopo�la�comparsa�dei�testi�scritti�l'atteggiamento�del�cinese�di�ogni�epoca�è�quello�di�proseguire�l'opera,�in�un�rapporto�di�continuità�con�gli�studiosi�e�i�praticanti�che�l'hanno�preceduto�e�in�sintonia�con�le�acquisizioni�e�le�innovazioni�(o�le�regressioni)�del�proprio�tempo.«Osservando�la�storia�degli�scritti�medici�cinesi�si�constata�che�sono�sempre�i�testi�del�Nei�jing�ad�essere�ripresi,�citati,�ripetuti�ed�usati�come�base�in�ogni�nuova�opera�di�medicina.�Gli�enunciati�della�medicina�cinese�si�riferiscono�sempre�sia�alle�formulazioni�e�sistematizzazioni�del�momento�che�all'osservanza�rigorosa�dei�testi�antichi�autentici.Inoltre,�nel�corso�dei�secoli,�i�commentatori�hanno�ripreso�i�testi�del�Nei�Jing,�arricchiti�di�tutti�i�commenti�che�il�testo�originale�ha�sempre�suscitato,�ins

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erendoli�nella�medicina�e�nel�pensiero�della�propria�epoca.�Per�questo�è�perfettamente�ammissibile�che�al�giorno�d'oggi�un�confronto�tra�il�Nei�Jing�con�i�suoi�commenti�tradizionali�e�la�medicina�occidentale�nelle�sue�forme�più�avanzate�sia�non�solo�ipotizzabile,�ma�necessario�per�tenersi�conformi�allo�spirito�della�medicina�tradizionale».�Non�che�siano�mancate�nella�storia�cinese�dispute�feroci�e�vere�e�proprie�«guerre�di�religione»�(basti�pensare�alla�distruzione�dei�testi�taoisti�nel�1281�in�seguito�alle�dispute�con�i�buddhisti),�ma�nel�vissuto�collettivo�cinese�taoismo,�confucianesimo�e�buddhismo�in�pratica�si�fondono�in�una�cultura�omogenea�che�tutto�integra.Non�stupisce�(o�meglio�stupisce�l'occidentale�rigidamente�attaccato�alle�proprie�dinamiche�mentali)�rilevare�come�anche�il�pensiero�scientifico�occidentale�(come�del�resto�il�marxismo�e�il�capitalismo)�vengano�recuperati�senza�rotture�di�continuità,�senza�fratture�all'interno�del�«sistema�di�vita»�cinese.Pare�proprio�che�il�bipolarismo�sia�una�presenza�costante�nella�storia�del�pensiero�umano;�ogni�corrente�di�pensiero�genera�nel�«suo�tempo»�una�corrente�di�pensiero�che�si�sviluppa�in�direzione�opposta�(o�quantomeno�molto�diversa).Solo�che�nel�pensiero�occidentale�il�dualismo�è�antagonistico,�guerrafondaio,�e�genera�una�opposizione�frontale,�uno�scontro�da�cui�esce�un�vincitore�che�si�sforza�di�annullare�l'altro;�si�pensi�all'atteggiamento�di�disprezzo�della�«nuova�medicina�scientifica»�per�la�medicina�definita�«pre-scientifica»�-�la�filosofia�naturalista�degli�«umori»�-�che�ha�costituito�la�«sapienza�terapeutica»�e�guidato�l'«esperienza�clinica»�fino�alla�seconda�metà�del�XVIII�secolo.L'atteggiamento�orientale�considera�invece�il�bipolarismo�come�costituito�da�elementi�opposti�e�complementari,�indispensabili�l'uno�all'altro,�dalla�cui�interazione�scaturiscono�dinamismo�e�spinta�a�ricostruire�l'unità;�questo�principio�generale,�diventato�un�atteggiamento�mentale�che�condiziona�scelte�e�rapporti,�scaturisce�da�(ed�è�elemento�generatore�di)�quello�che�possiamo�chiamare�il�modello�taoista.�

11°�Passo�Senza�modello�e�senza�intento

Il�diavolo�si�nutre�dello�spazio�tra�pensiero�e�azione.Chao-Cho

����������������������������������������������������������"�Se�non�se�ne�ridesse,�la�Via�non�meriterebbe�di�essere�considerata�tale"����������

Pressioni�senza�intento

Non�è�questa�la�sede�per�uno�studio�approfondito�del�taoismo,�mi�interessa�solo�definire�alcuni�elementi�portanti�del�modello�taoista�che�ci�posson�essere�utili�nella�nostra�pratica�shiatsu.1)�Un�primo�elemento�è�l'assenza�di�valori�etico-morali�nell'osservare�e�valutare�i�fenomeni:�«essendosi�reso�conto�della�relatività�di�buono�e�cattivo�e�quindi�di�tutte�le�norme�morali,�il�saggio�taoista�non�lotta�per�il�buono�ma�cerca�piuttosto�di�mantenere�un�equilibrio�dinamico�tra�buono�e�cattivo».�Su�questo�punto,�Chuang-tzu�è�molto�esplicito:«Perciò�dire:�«Seguire�e�onorare�il�bene�ed�evitare�il�male»�e�«seguire�e�onorare�il�buongoverno�ed�evitare�il�malgoverno»�significa�non�capire�i�principi'�del�Cielo�e�della�Terra�e�le�qualità�naturali�delle�creature.�Sarebbe�come�seguire�e�onorare�il�Cielo�e�non�tener�conto�della�Terra,�seguire�e�onorare�loyin�e�non�tener�conto�dello�yang:�è�chiaro�che�non�si�può�fare».Nella�nostra�cultura,�nel�nostro�modo�di�vivere�le�situazioni�si�svolge�una�continua�lotta�del�Bene�contro�il�Male�(l'arcangelo�Michele�scaccia�Lucifero)�che�riempie�di�antagonismi�etico-morali�ogni�aspetto�della�nostra�vita,�dalle�favole�(le�fate�contro�le�streghe,�il�cavaliere�contro�il�drago,�il�principe�contro�l'orco�ecc.)�ai�film�di�avventure�(lo�sceriffo�contro�i�banditi,�i�cow-boy�contro�i�

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pellerossa,�Stallone�contro�i�Viet�ecc.),�ma�anche�nelle�«vicende�reali».Si�combatte�la�malattia,�la�fame�nel�mondo,�la�droga,�la�povertà�introducendo�in�ogni�situazione�una�coppia�di�fenomeni�basati�su�un�dualismo�antagonistico.Per�cui�la�vita�è�buona�e�la�morte�è�cattiva,�la�ricchezza�è�buona�e�la�povertà�è�cattiva;�e�lo�stesso�per�salute/malattia,�giovinezza/vecchiaia,�forza/debolezza,�intelligenza/stupidità,�pulizia/sporcizia�ecc.Abbiamo�costruito�un�mondo�di�Bene/Male�e�un�linguaggio�strutturato�su�misura�per�manifestarlo�e�descriverlo.�Anche�nell'interpretare�la�m.t.c.�abbiamo�tradotto�nel�nostro�linguaggio�con�energie�diritte/energie�perverse,�carico/scarico,�sovraccarico/carente,�ciclo�di�generazione/ciclo�di�distruzione�(oppure�dominazione�o�ancora�sottomissione);�addirittura�vengono�proposte�nello�shiatsu�idee�forza�(con�conseguenti�procedure�di�intervento�operativo)�quali�«parte�sana»/«parte�malata».Il�modello�taoista�è�estraneo�a�questo�modo�di�procedere:�ciò�che�è,�ciò�che�succede�non�ha�valori�etico-morali;�«è»,�«accade»�e�tanto�basta!�*�La�piòggia�non�è�né�buona�né�cattiva;�il�sole�non�è�né�buono�né�cattivo;�non�esistono�energie�perverse.È�bensì�vero�che�se�piove�per�mesi�vi�sono�le�inondazioni�e�se�il�sole�batte�senza�pioggia�per�mesi�la�siccità�distrugge�il�raccolto,�ma�ciò�non�avviene�per�crudeltà�del�sole�e/o�perfidia�della�pioggia;�sole�e�pioggia�non�generano�«energie�perverse»,�ma�è�semmai�il�rapporto�squilibrato�tra�sole�e�pioggia�che�può�produrre�danni,�la�scarsa�armonia�tra�le�manifestazioni�energetiche�che�può�creare�situazioni�di�disagio.Su�questo�i�maestri�taoisti�sono�estremamente�precisi�e�determinati�al�punto�che�un�apologo�del�maestro�Joshu�(Chao-Chou)�racconta:Un�monaco�chiese:�«Essere�santi�com'è?»�Joshu�disse:�«Scaricare�una�montagna,�di�merda�sulla�terra�pulita».�Tutto�ciò�che�di�sé�l'umanità�separa�e�respinge,�non�può�che�ricadere�più�grevemente�su�di�essa,�in�forme�ancora�peggiori.«Nell'uomo�il�male�e�il�bene�sono�originariamente�fusi,�e�il�santo�che�li�separa�non�rende�un�buon�servizio�all'umanità»;�del�resto�anche�nell'Antico�Testamento�è�solo�dopo�aver�mangiato�il�frutto�dell'albero�del�Bene�e�del�Male�che�l'umanità�separa�e�distingue;�in�altre�parole�la�separazione�del�reale�in�buono�e�cattivo�non�è�«normale»,�non�è�«secondo�natura»,�ma�è�solo�una�«lettura�degenerata»�di�chi�è�in�peccato.«Le�argomentazioni�taoiste�al�riguardo�si�possono�riassumere�come�se¬gue:�quando�bene�e�male�si�contrappongono,�il�male�ha�già�vinto,�perché�esso�è�propriamente�questa�contrapposizione,�e�nient'altro.�Per�vincerlo,�occorre�risalire�la�frattura,�vanificare�la�contrapposizione�che�esso�è».Tornando�all'esempio�del�sole�e�della�pioggia,�è�anche�da�pensare�che�cambiando�il�punto�di�vista�cambia�il�valore�etico-morale�del�fenomeno;�sarà�capitato�a�tutti�di�pensare�«la�pioggia�è�cattiva»�(piove,�governo�ladro!)�vedendosi�rovinata�una�settimana�di�vacanza�in�montagna,�sapendo�benissimo�che�lo�stesso�fenomeno�riempiva�di�gioia�i�viticultori�della�zona�perché�l'acqua�che�cadeva�salvava�il�raccolto�a�rischio�per�la�siccità;�e�l'immane�cataclisma�che�produsse�l'estinzione�dei�dinosauri�(ammesso�che�sia�andata�così)�è�stato�una�manna�per�i�mammiferi�e�altre�specie�animali,�uomo�compreso.«Ogni�teoria�è�necessariamente�limitata,�per�cui�le�sue�«verità»,�escludendo�altre,�implicano�il�loro�opposto.�Ogni�«valore»�è�relativo�e�funzionale�ad�un�sistema,�ed�affermarne�l'assolutezza�sarebbe�come�chiedere�del�mare�ad�una�ranocchia�nata�e�vissuta�in�un�pozzo�o�dell'inverno�ad�una�libellula.�In�questo�capovolgimento�di�valori,�ogni�dottrina�morale�diviene�una�costrizione�senza�senso,�come�l'ambizione�di�chi�volesse�pareggiare�le�zampe�della�gru�con�quelle�dell'anatra�(Chuang�tzu�scrive:�«Le�zampe�dell'anatra,�quantunque�siano�corte,�non�si�possono�allungare�senza�che�all'anatra�si�procuri�dolore,�mentre�le�zampe�della�gru,�quantunque�siano�lunghe,�non�si�possono�accorciare�senza�far�male�alla�gru;�perciò,�ciò�che�nella�natura�morale�dell'uomo�è�esteso�non�può�essere�tagliato,�né�ciò�che�è�corto�può�essere�allungato(cap�VIII),�o�la�follia�del�signore�dello�Stato�di�Lu�che�causò�la�morte�di�un�uccello�marino,�per�averlo�trattato�come�un�ospite�illustre�anziché�semplicemente�come�un�uccello».In�altre�parole,�cambiando�il�soggetto�e�il�punto�di�vista,�cambia�il�valore�etico-morale�del�giudizio,�cambiano�«il�bene�e�il�male»;�e�questo�ci�conduce�al�secondo�elemento�importante�(soprattutto�nella�pratica�dello�shiatsu)�del�modello�taoista.

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Pressione�senza�confini2)�Il�secondo�elemento�è�l'annullamento�della�separazione�tra�l'io�e�l'altro;�«L'«io»,�è�anche�l'«altro»,�l'«altro»�è�anche�l'«io»...«Che�l'«io»�e�l'«altro»�non�siano�più�in�contrapposizione�è�la�vera�essenza�del�Tao.�Solo�questa�essenza,�che�appariva�come�un�asse,�è�il�centro�del�cerchio�che�risponde�ai�mutamenti�perenni».La�non-separazione,�la�non-separabilità�dell'io�dall'altro�è�in�realtà�un�fenomeno�che�assume�particolare�rilevanza�nella�pratica�dello�shiatsu�(lo�shiatsu�si�fa�in�due,�e�funziona�solo�e�tanto�più�si�è�in�due),�ma�che�nella�pratica�taoista�rientra�nella�più�generale�visione�che�considera�gli�opposti�come�aspetti�differenti�della�stessa�realtà.I�Taoisti�interpretarono�tutti�i�mutamenti�della�natura�come�manifestazioni�dell'interazione�dinamica�tra�i�poli�opposti�yin�e�yang,�e�giunsero�quindi�a�ritenere�che�ogni�coppia�di�opposti�costituisce�una�relazione�polare�in�cui�ciascuno�dei�due�poli�è�legato�dinamicamente�all'altro.�Per�la�mente�occidentale,�questa�idea�dell'implicita�unità�di�tutti�gli�opposti�è�estremamente�difficile�da�accettare.�Ci�sembra�del�tutto�paradossale�l'idea�che�esperienze�e�valori�che�avevamo�sempre�creduto�contrari�siano,�in�definitiva,�aspetti�differenti�della�medesima�cosa.�In�Oriente,�tuttavia,�si�è�sempre�considerato�essenziale�per�arrivare�all'illuminazione�il�consiglio�dato�ad�Arjuna�nella�Bhagavad�Gita�di�andare�«al�di�là�delle�opposizioni�terrene»�e�in�Cina�la�relazione�polare�tra�tutti�gli�opposti�è�la�base�stessa�del�pensiero�taoista».Anche�in�quest'opera�il�Dao�è�inspiegabile,�e�la�sua�sublimità�sta�nel�trovarsi�anche�nelle�cose�più�volgari.�Alla�conoscenza�inferiore,�basata�sulle�categorie�logiche,�le�nozioni�e�le�distinzioni,�è�contrapposta�la�conoscenza�superiore,�che�trascende�la�prima�con�l'intuizione:�non�avere�simpatie�o�antipatie,�non�essere�prigionieri�di�schemi�e�di�se�stessi,�non�cristallizzarsi�nelle�proprie�esperienze�né�essere�invischiati�nel�proprio�passato.�Il�punto�di�partenza�e�di�arrivo�di�ogni�riflessione�è�il�«mutamento»,�bua,�essenza�di�ogni�realtà.�Dalla�comprensione�del�cambiamento�deriva�la�comprensione�profonda�di�sé�e�di�tutto�l'universo,�tutti�fenomeni�transeunti�e�in�perenne�trasformazione,�disintegrazione-riaggregazione.�Ogni�processo�di�crescita�presuppone�quello�di�decadenza,�vittoria/sconfitta,�nascita/morte.�Allora,�concepire�l'io�come�unità,�e�proiettarlo�nel�passato�e�nel�futuro,�non�è�solo�un'astrazione,�ma�una�pura�illusione.�Il�vero�«sé�»�non�può�essere�allora�definito,�perché�è�senza�limiti�e�forme,�è�completamente�«libero».E�del�resto�tra�gli�scritti�zen�(lo�zen�non�è�taoismo�ma�ne�è�certamente�profondamente�intriso)�di�Shunryu�Suzuki�possiamo�trovare:�«Quando�inspiriamo,�l'aria�entra�nel�mondo�interno.�Quando�espiriamo,�esce�fuori�nel�mondo�esterno.�Il�mondo�interno�è�illimitato�e�così�pure�il�mondo�esterno.�Noi�diciamo�'mondo�esterno'�e�'mondo�interno',�ma�in�realtà�c'è�un�solo�mondo�e�basta,�indivisibile.�In�questo�mondo�illimitato,�la�nostra�gola�è�come�una�porta�che�si�apre�e�si�chiude.�L'aria�entra�ed�esce�come�chi�attraversi�una�porta�che�si�apre�e�si�chiude.�Se�pensate:�«Io�respiro»,�l'«io»�è�di�troppo.�Non�esiste�niente�in�voi�che�possa�dirsi�«io».�Ciò�che�chiamiamo�'io'�è�soltanto�una�porta�che�si�apre�e�si�chiude�quando�inspiriamo�ed�espiriamo.�Non�fa�altro,�tutto�qui.�Quando�la�mente�è�sufficientemente�pura�e�calma�da�poter�seguire�questo�movimento,�non�c'è�più�niente:�né�'io',�né�mondo,�né�mente,�né�corpo;�soltanto�una�porta�che�si�apre�e�si�chiude».Ma�non�è�solo�l'astratta�e�rigida�percezione�dell'io�che�ci�limita�e�ci�separa�artificialmente�dalla�realtà�in�continuo�movimento,�ma�ogni�tipo�di�pregiudizio,�compresi�tutti�i�«valori».L'opposizione,�la�separazione,�la�contrapposizione�tra�diverse�manifestazioni�non�sono�insite�nella�realtà,�ma�sono�il�prodotto�di�una�limitata�capacità�di�visione,�di�un�punto�di�vista�unilaterale,�di�una�mancata�comprensione�della�vera�natura�dei�fenomeni�che�caratterizza�il�nostro�stato�«infantile»�di�crescita.Mi�risulta�che�il�bimbo�di�poche�settimane�non�riesca�a�coordinare,�condurre�a�unità�la�visione�di�fronte�e�di�profilo�del�volto�delle�persone�che�gli�si�presentano�davanti;�per�cui�se�è�abituato�a�vedere�un�viso�familiare�faccia�(con�due�occhi�quindi)�e�se�lo�vede�davanti�di�profilo�(con�un�solo�occhio�e�per�di�più�diverso),�non�riconosce�neanche�la�mamma�e�si�spaventa.�Poi,�crescendo,�prende�coscienza

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�che�lo�stesso�fenomeno�(la�mamma)�può�avere�più�aspetti�e�che�quella�persona�con�due�occhi�(la�mamma�di�fronte�non�è�diversa/antagonista�di�quell'altra�con�un�occhio�solo�(la�mamma�di�profilo);�e�così�i�punti�di�vista�diversi�cessano�di�essere�contrastanti�e�di�creare�disagio�e�panico,�ma�al�contrario�il�bimbo�impara�ad�utilizzare�creativamente�i�diversi�punti�di�vista�che�diventano�consapevole�possibilità�di�costruire�una�visione�della�realtà-mamma�più�completa�e�ricca.E�questo�meccanismo/gioco�si�ripropone�via�via�rispetto�ad�aspetti�fenomenici�più�grandi�e�complessi�e�questo�segna�la�crescita�dell'uomo�sia�in�quanto�individuo,�sia�come�fenomeno�socio-culturale.�Per�millenni�l'uomo�ha�frainteso�la�realtà-universo�perché�non�riusciva�a�svincolarsi�dall'unico�punto�vista�che�poneva�la�terra�al�centro�dell'universo.La�possibilità�di�adattare,�prima�concettualmente,�poi�anche�fisicamente�(con�i�viaggi�nel�cosmo)�altri�punti�di�vista�ha�determinato�un�enorme�salto�di�qualità�nella�sua�capacità�di�comprensione�dei�fenomeni�(e�per�quanto�riguarda�la�conoscenza�e�la�comprensione�dell'universo�non�siamo�che�all'inizio).Per�questa�ragione�è�importante�imparare�a�destreggiarsi�senza�rigidità�e�paure�tra�i�diversi�modelli�interpretativi�della�realtà,�conoscendone�carattteristiche,�virtù�e�limiti;�costituiscono�i�nostri�diversi�punti�di�vista�concettuali,�i�nostri�strumenti�di�conoscenza,�i�nostri�attrezzi�per�interagire�con�la�realtà.�Per�questo�è�essenziale�non�appiattire�lo�shiatsu�interpretandolo�alla�luce�di�un�solo�modello,�tanto�più�se�si�tratta�di�un�modello�non�coerente�con�le�caratteristiche,�i�contenuti,�i�principi,�le�radici,�in�una�parola�«la�sostanza�dello�shiatsu.Tornando�al�modello�taoista,�l'io�e�l'altro�sono�manifestazioni�in�cui�l'unica�vita�si�esprime�in�aspetti�molteplici,�apparentemente�separati�e�con�trapposti,�ma�la�realtà�sottostante�non�solo�è�la�stessa�ma�tende�a�ricongiungersi�e�a�ritrovare�l'unità.E�rispetto�a�questo�processo�la�pratica�dello�shiatsu�è�decisamente�un�osservatorio�privilegiato.

Il�diavolo�tra�teoria�e�pratica3)�Un�terzo�importante�elemento�è�costituito�dalla�natura�«diabolica»�della�separazione�tra�pensiero�e�azione.Ho�già�citato�il�detto�di�Chao-Chou�(il�solito�Joshu)�«il�diavolo�si�nutre�dello�spazio�tra�pensiero�e�azione»,�che�esprime�crudamente�ma�efficacemente�la�visione�taoista.'�«Evidentemente�il�diavolo�è�per�loro,�come�lo�è�attraverso�la�nostra�etimologia,�colui�o�quella�forza�che�spezza�e�separa�in�due�brandelli�ciò�che�de-ve�essere�unitario.�E�l'immediatezza�dell'atto,�senza�l'interludio�della�sua�rappresentazione�sostitutiva,�risale,�se�non�altro�nell'immaginario,�a�un�mitico�comportamento�originario,�naturale�e�spontaneo,�del�quale�è�conservata�la�nostalgia�come�proprio�di�quello�stato�di�perfezione,�che�noi�diremmo�edenica,�in�cui�l'aderenza�alla�realtà�non�si�scontra�ancora�con�alcuna�soluzione�di�continuità,�e�impulso�e�azione�combaciano�senza�che�alcuno�iato�si�frapponga�tra�loro».Se�in�una�stanza�si�trovano�un�adulto�e�un�bambino�piccolo�e�improvvisamente�sul�pavimento�rimbalza�una�palla�rossa�e�gialla,�il�bambino�si�precipita�a�giocarci�felice;�l'adulto�si�gira�per�vedere�da�dove�arriva,�si�scervella�per�capire�chi�ce�l'ha�buttata,�a�chi�appartiene�ecc.In�altre�parole�il�bambino�aderisce�e�gode�con�immediatezza�del�fenomeno,�l'adulto�sospende�ogni�azione�ed�emozione�fino�a�che�non�trova�(o�crede�di�trovare)�risposte�che�tranquillizzano�la�sua�razionalità,�che�facciano�rientrare�il�fenomeno�all'interno�delle�sue�convinzioni�(potremmo�dire�anche�dei�suoi�preconcetti),�tipo�non�può�esserci�un�effetto�senza�una�causa,�la�materia�non�scaturisce�dal�nulla,�ogni�cosa�ha�sempre�un�proprietario�ecc.Nel�contesto�della�cultura�cinese�la�liberazione�taoista�significò,�più�specificamente,�una�liberazione�dalle�rigide�regole�delle�convenzioni.La�diffidenza�per�la�conoscenza�e�il�ragionamento�convenzionali�è�più�forte�nel�taoismo�che�in�qualsiasi�altra�scuola�di�filosofia�orientale,�e�si�basa�sulla�ferma�convinzione�che�l'intelletto�umano�non�può�mai�comprendere�il�Tao.Secondo�Chuang-tzu:«...�per�comprenderlo�perfettamente�non�ci�vuol�sapienza,�per�discernerlo�non

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ci�vuol�intelligenza:�il�Santo�ne�fa�a�meno».Il�libro�di�Chuang-tzu�è�pieno�di�passi�che�riflettono�il�disprezzo�dei�taoisti�per�il�ragionamento�e�l'argomentazione�logica.�Ad�esempio,�egli�dice:«Un�cane�non�viene�considerato�valente�perché�è�bravo�ad�abbaiare,�un�uomo�non�viene�considerato�eccellente�perché�è�bravo�a�parlare».«Chi�discute�dimostra�di�non�avere�chiarezza�di�idee».I�taoisti�consideravano�il�ragionamento�logico�come�parte�del�mondo�artificiale�dell'uomo,�insieme�con�le�convenzioni�sociali�e�con�le�regole�morali.�Essi�non�erano�affatto�interessati�a�questo�mondo,�ma�concentravano�totalmente�la�loro�attenzione�sull'osservazione�della�natura�al�fine�di�riconoscere�le�«caratteristiche�del�Tao».Nel�taoismo�si�ha�inoltre�«...�l'assolutizzazione�dell'evento�spazio-temporale.�Essa�verrà�ripresa�e�ancor�più�enfatizzata�dalle�scuole�Ch'an,�per�le�quali�il�principio�del�«qui�e�ora»,�in�quanto�strumento�per�rilevare�la�realtà�e�per�distinguerla�dalle�illusioni�e�da�menzognere�razionalizzazioni�culturali,�diviene�una�precisa�regola,�e�produce�anche�una�tecnica�consumata,�efficace�nello�spiazzare�improvvisamente�l'avversario,�o�semplicemente�l'interlocutore,�quando�questi�ceda�alla�tentazione�o�all'abitudine�di�appoggiare�o�di�far�riferimento,�a�qualcosa�di�non�presente�come�a�qualcosa�di�reale.�Tut-

J.�Gaarder,�Il�mondo�di�SofiaImmagina�che,�un�mattino,�mamma,�papà�e�il�piccolo�Thomas�di�due-tre�anni�siano�seduti�in�cucina�a�fare�colazione.�A�un�certo�punto�la�mamma�si�alza�e�si�gira�verso�il�fornello:�in�quel�preciso�momento,�sotto�lo�sguardo�attento�di�Thomas,�il�papà�spicca�un�volo�fino�al�soffitto.Quale�pensi�che�sarà�la�reazione�del�piccolo?�Forse�punterà�un�dito�verso�il�padre,�esclamando:�«Papà�vola!»La�meraviglia�di�Thomas�sarebbe�grande,�ma�non�troppo�diversa�da�quella�che�lui�prova�quando�vede�il�padre�usare�un�marchingegno�assai�divertente�per�farsi�la�barba,�arrampicarsi�sul�tetto�per�orientare�l'antenna�della�televisione�o�infilare�la�testa�nel�cofano�della�macchina�per�riuscirne�poi�nero�come�la�pece.�Agli�occhi�di�Thomas,�insomma,�papà�fa�sempre�un�mucchio�di�cose�strane�e�un�piccolo�volo�sopra�il�tavolo�della�cucina�non�cambia�granché.�Adesso�tocca�alla�mamma.�Ha�sentito�l'esclamazione�di�Thomas�e�si�gira�di�scatto.�Come�pensi�che�possa�reagire�alla�vista�del�marito�che�svolazza�sul�tavolo?�Probabilmente�lascerà�cadere�a�terra�il�barattolo�della�marmellata�e�si�metterà�a�urlare�dalla�paura.�Forse�avrà�addirittura�bisogno�del�medico�anche�dopo�che�papà�sarà�ridisceso�sulla�sedia�(ha�sempre�detto�che�papà�deve�imparare�a�comportarsi�bene�a�tavola!).Secondo�te�perché�la�mamma�e�Thomas�reagiscono�in�modo�così�diverso?�Ha�a�che�fare�con�L'ABITUDINE�(ricordatelo!);�la�mamma�ha�imparato�che�gli�esseri�umani�non�possono�volare.�Thomas�invece�no:�non�è�ancora�sicuro�di�ciò�che�sia�possibile�fare�o�non�fare�in�questo�mondo.�Tu�che�ne�pensi�del�mondo,�Sofia?�Credi�che�il�mondo�sia�possibile?�Anch'esso�è�sospeso�nello�spazio!La�cosa�più�triste�è�che,�crescendo,�noi�non�ci�abituiamo�soltanto�alla�legge�di�gravità�bensì�al�mondo�così�com'è.�In�altre�parole,�perdiamo�a�poco�a�poco�la�capacità�di�stupirci�per�quello�che�il�mondo�ci�offre.�Ed�è�una�perdita�grave,�alla�quale�i�filosofi�cercano�di�porre�rimedio.�Nel�nostro�animo,�noi�intuiamo�che�la�vita�è�un�mistero.�E�questa�è�una�sensazione�che�abbiamo�provato�una�volta,�molto�tempo�prima�che�imparassimo�a�pensarci.

tociò�che�conta,�per�l'approccio�taoista�alla�realtà,�è�nell'immediato�e�nel�concreto»;�anche�«nella�letteratura�zen,�il�maestro�parla�il�meno�possibile�e�usa�le�sue�parole�per�spostare�l'attenzione�dell'allievo�dai�pensieri�astratti�alla�realtà�concreta.�Un�monaco�disse�a�Joshu:�«sono�appena�entrato�a�far�parte�del�monastero.�Ti�prego,�istruiscimi».�Joshu�domandò:�«hai�mangiato�la�tua�zuppa�di�riso?»�Il�monaco�rispose:�«L'ho�mangiata».�Joshu�disse:�«Allora�faresti�meglio�a�lavare�la�tua�ciotola».Tutto�ciò�che�conta�«ancor�più,�è�nell'individuale�e�nell'intersoggettivo.�Chi�prescinda�dal�porre�in�campo�se�stesso�come�soggetto,�vive�e�parla�senza�poter�individuare�alcuna�realtà».«Possiamo�dunque�elencare�le�sottrazioni�di�immediatezza�coincidenti�con�perdite�d

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i�realtà:�la�parola,�il�desiderio�e�la�coscienza.�Tuttavia�queste�tre�modalità�di�degradazione�del�reale�condividono�tutte�una�base�comune,�il�linguaggio�sostitutivo,�la�sostituzione,�attraverso�il�linguaggio,�di�qualcosa�di�vivo,�informe,�ineffabile».La�conoscenza�dei�testi�taoisti,�alla�quale�speriamo�di�aver�conseguito�l'effetto�di�indirizzare�il�lettore,�costituisce,�specialmente�per�un�occidentale,�un�bagno�integrale�di�realtà,�con�qualche�modesto�rischio�di�annegamento,�ma�soprattutto�con�la�salutare�prospettiva�di�liberazione�dalle�incrostazioni�accumulate�nel�corso�di�una�lunga�tradizione�di�logocentrismo.�Come�sostiene�la�giusta�diagnosi�di�Elemire�Zolla,�«da�noi�in�Occidente,�in�genere,�l'errore�è�di�credere,�da�sempre,�che�ci�sia�un'identità�sicura�fra�cose�e�parole,�fra�l'esperienza�interna�e�mentale�della�verità�e�le�frasi�con�cui�si�definisce;�ma�i�dogmi�di�cui�non�viva�il�senso�sono�vane�cantilene»�(�Uscite�dal�mondo,�1992).Purtroppo�queste�vane�cantilene,�ripetute�per�secoli,�risultarono�efficaci�nell'intorpidire�il�senso�critico�e�nel�sostituirsi�al�libero�e�impregiudicato�ap-roccio�con�il�reale».Il�nostro�modo�consueto�di�osservare�e�interagire�con�i�fenomeni�è�dominato�da�numerose�«certezze�ovvie»,�svariati�elementi�di�«buon�senso»,�innumerevoli�«abitudini�consolidate»,�infinite�«credenze�indiscutibili»�(«ma�è�ovvio�che�l'uomo�è�fatto�di�ossa�e�muscoli»)�che,�se�da�un�lato�rassicurano�il�nostro�comportamento�quotidiano�e�ci�consentono�un�grosso�«risparmio�energetico»�preordinando�le�nostre�modalità�di�interazione�con�i�fenomeni�e�codificando�le�nostre�chiavi�interpretative,�dall'altro�appiattiscono�la�nostra�capacità�di�ampliare�e�diversificare�il�nostro�punto�di�vista,�ci�rendono�impermeabili�al�cogliere�aspetti�nuovi�e�manifestazioni�diverse,�ci�ingessano�bloccando�la�nostra�capacità�di�evoluzione�e�separandoci�dai�fenomeni�reali�che�sono�invece�in�perenne�trasformazione.�Il�modello�taoista�propone�un�atteggiamento�di�continuo�rinnovato�stupore,�di�appassionata�meraviglia�per�tutto�ciò�che�succede,�con�l'atteggiamento�del�bambino�che�non�permette�(per�assenza�di�esperienze�consolidate)�all'abitudine�di�inibirgli�un�rapporto�diretto,�spontaneo,�totale�con�i�fenomeni�che�incontra,�come�se�ogni�aspetto�e�manifestazione�della�realtà�fossero�sempre�unici�e�irripetibili.Nello�shiatsu�ogni�incontro�tra�tori�e�uke,�ogni�ora�di�pratica,�ogni�singola�pressione�è�un�evento�unico�e�irripetibile;�per�questo�il�modello�taoista�è�uno�strumento�formidabile�per�l'interpretazione,�anzi�l'«adesione»�a�quanto�succede�all'interno�del�fenomeno�shiatsu,�pur�essendo�estraneo�alla�nostra�cultura.Così�lontano�dalla�nostra�formazione�che�una�riconversione,�sia�pure�parziale,�ad�un�atteggiamento�in�sintonia�con�il�taoismo�necessita�di�un�addestramento�specifico�che�si�costruisce�con�ore�e�ore�di�pratica.

Premere�e�«non�fare»Nello�shiatsu�tori�preme�ma�è�la�vita�di�uke�che�decide�in�che�direzione�si�incanala�il�suo�cambiamento;�l'atteggiamento�di�tori�di�accettare�«ciò�che�succede»,�di�non�pretendere�di�predeterminare�il�risultato�del�suo�agire,�di�lasciare�che�tutto�segua�il�suo�corso�e�che�ciò�che�deve�avvenire�avvenga�nei�tempi�e�nei�modi�che�la�natura�decide,�è�determinante�perché�l'incontro�shiatsu�avvenga.È�a�volte�duro�per�il�professionista�che�ha�bisogno�del�successo�«terapeutico»�per�pagare�l'affitto,�ma�un�atteggiamento�diverso,�una�forzatura�per�indirizzare�il�cambiamento�verso�l'esito�desiderabile�per�noi�e�non�secondo�l'evoluzione�che�la�«sapienza�profonda»�di�uke�costruisce,�non�solo�è�inutile,�ma�dannoso�per�entrambi.Erroneamente�spesso�la�formula�taoista�del�wu�wei�(non-fare�o�anche�non-:�agire),�o�più�appropriatamente�del�wei�wu�wei�(fare�il�non-fare�o�anche�agire�senza�agire)�è�stata�intesa�come�atteggiamento�fatalista,�lassista,�inerte.�Nasce�e�viene�proposta�invece�per�la�convinzione�che�soltanto�lasciandosi�andare�alla�spontaneità�ed�evitando�eccessi�e�privazioni�si�è�in�armonia�con�l'universo.�In�altre�parole,�«senza�preoccupazione�e�intenzione»,�«senza�forzare*�o�«senza�strafare»�(dove�wei�è�l'azione�umana�mirata�ad�uno�scopo)�significa�non�pretendere�di�mutare�il�corso�naturale�delle�cose,�ossia�«agire�ludicamente�o�esteticamente».�Allora�non�v'è�nulla�che�non�venga�realizzato.�Benché�tale�atteggiamento�realizzi�la�spontaneità�(ziran)�in�quanto�libertà�da�interferenze�esterne�e�da�preoccupazioni-calcoli�interni,�essa�è�il�frutto�di�sforzi�e�di�una�disciplina:�il�macellaio�Ding�è�in�grado�di�tagliare�«automati

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camente»�la�carne�insinuando�il�coltello�fra�legamenti�e�ossa,�ma�gli�sono�occorsi�più�di�tre�anni�per�padroneggiare�l'arte�di�«seguire�le�cose�come�sono».�Allora�«spontaneità»�è�libertà�ma�anche�«inevitabilità-necessità»,�in�quanto�quella�«scelta»�è�l'unica�possiE�la�«scelta�di�praticare�la�ripetizione�delle�tecniche�di�pressione�(guarda�caso�il�curriculum�proposto�dall'Accademia�Italiana�Shiatsu�do�-�come�del�resto�da�numerose�altre�scuole�di�shiatsu�-�è�proprio�triennale�come�per�il�macellaio�Ding)�per�costruire�la�spontaneità/automatismo�è�scelta�libera�ma�anche�inevitabilità-necessità».

Shiatsu�do,�tao�dello�shiatsuAlcune�riflessioni�sparse�su�alcune�conseguenze�operative�che�il�modello�taoista�ci�propone�e�che�entrano�in�conflitto�(antagonista�o�dialettico�sta�a�noi�decidere)�con�il�nostro�«buon�senso»�e�le�nostre�convinzioni,�o�meglio�le�nostre�caratteristiche�strutturali:nel�modello�taoista�è�impensabile�non�solo�un�predominio�della�teoria�sulla�pratica,�ma�anche�solo�una�separazione�teoria/pratica,�capisaldi�ambedue�indiscussi�dei�principi�formativi�nella�nostra�epoca;�non�esiste�nella�nostra�civiltà�insegnamento�o�esame�che�non�sia�spezzato�in�parte�teorica�e�parte�pratica�con�una�tendenza�più�o�meno�accentuata�a�dare�precedenza�e�«maggior�dignità»�alla�prima.�Persino�in�attività�concrete�come�la�guida�di�un'auto�o�la�pratica�dello�shiatsu�la�separazione�è�formalizzata�(nelle�scuole�guida�e�in�quasi�tutte�le�scuole�di�shiatsu�impera�questo�regime,�riportato�poi�negli�esami�di�guida�e�di�ammissione�ad�alcuni�albi�professionali�shiatsu).l'adesione�totale�e�diretta�(oggi�diremmo�in�presa�diretta�e�in�tempo�reale)�con�il�«fenomeno�uke»�da�parte�di�tori�e�con�il�«fenomeno�tori»�da�parte�di�uke�rende�impensabile�una�separazione�tra�diagnosi,�intervento�e�prognosi,�comunemente�adottata�in�tutte�le�medicine.�Nello�shiatsu�lo�stesso�concreto�gesto,�la�pressione,�contiene�stimolo�e�risposta,�contatto�e�comunicazione;�nella�totale�immediatezza�non�resta�spazio�per�momenti�e�fasi�differenziate�e/o�differenziabili.il�superamento�della�divisione�(almeno�come�stato�da�costruire,�working�in�progress�direbbe�il�colto�anglofono)�tra�«io�e�l'altro»�rende�impensabile�una�divisione�di�ruoli�tra�medico�e�paziente,�o�guaritore�e�malato,�e�quindi�l'uso�nel�linguaggio�di�termini�come�medicina,�terapia,�malato,�paziente,�guaritore�ecc.Più�radicalmente�rende�inutile�la�stessa�espressione�verbale�e�più�in�generale�il�linguaggio�verbale�stesso;�e�in�effetti�(lo�abbiamo�già�detto�e�ripetuto)�lo�shiatsu�si�è�imposto�negli�anni�Settanta�come�linguaggio�non�verbale�che�permetteva�(e�permette�ora)�una�adesione�totale,�o�quantomeno�più�intima�e�globale,�ai�fenomeni�di�cambiamento.Alla�luce�del�modello�taoista�molti�modi�di�osservare,�interpretare,�rapportarsi,�interagire�del�nostro�tempo,�della�nostra�cultura�(intesa�come�modo�di�vita),�mostrano�la�propria�estraneità�al�reale,�diventano�inutilizzabili�o�utilizzabili�con�molto�imbarazzo�e�disagio,�si�rivelano�come�assurdi,�non�coerenti�al�livello�di�percezione�e�di�comunicazione�tra�tori�e�uke�che�si�realizza�nello�shiatsu.Spesso�concludendo�un�trattamento,�uscendo�dallo�stato�alterato�di�coscienza�che�si�realizza�nella�pratica�del�«miglior�shiatsu»�(e�che�in�realtà�non�è�altro�che�una�momentanea�piena�realizzazione�della�nostra�capacità�di�utilizzare�tutti�i�sensi�al�loro�miglior�livello�di�sensibilità,�è�un�risveglio�dal�nostro�abituale�torpore)�si�vive�«il�dubbio�del�pensatore�taoista...»�nel�racconto�noto�del�sogno�di�Chuang-tzu�che�si�vede�trasformato�in�farfalla�e,�al�suo�risveglio,�non�sa�più�se�egli�sia�veramente�un�uomo�o,�invece,�una�farfalla�che�sta�sognando�di�essere�Chuang-tzu.Erano�reali�le�percezioni,�la�comunicazione,�la�condivisione�di�sensazioni�in�cui�eravamo�(tori�e�uke)�immersi�durante�lo�shiatsu�e�ora�siamo�ripiombati�nell'ottusità�quotidiana,�o�era�prima�la�situazione�irreale,�il�sogno,�la�condizione�di�allucinazione?Ci�si�sente�a�disagio�e�in�imbarazzo�nel�rispondere�alla�domanda�che�a�volte�uke�alle�prime�esperienze�fa,�«che�cosa�ho?»�oppure�«che�cosa�hai�trovato?»�Appare�vano�lo�sforzo�di�tradurre�nel�linguaggio�verbale�consueto,�di�tornare�a�descrivere�usando�modelli�inadeguati�e�non�condivisi;�notevoli�sono�lo�spaesamento�e�l'estraneità�che�portano�il�praticante�evoluto�a�chiedersi�«che�cosa�vuoi�che�ti�dica,�non�c'eri�anche�tu�dentro�al�fenomeno?»�Poi,�rassegnato,�il�pensiero�diventa:�«ti�devo�racc

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ontare�che�hai�questo�e�quello,�che�è�successo�questo�o�quello�quando�ciò�che�posso�esprimere�con�i�modelli�e�parole�abituali�è�lontano�mille�miglia�dalla�realtà�del�fenomeno�e�sarebbe�meglio�stare�zitti�e�ascoltare�e�ascoltarsi,�e�godere�dei�cambiamenti�che�sono�avvenuti�e�stanno�avvenendo�ed�accettare�il�fatto�che,�come�dice�il�saggio�Laozu:�«Colui�che�sa�non�parla,�e�chi�parla�non�sa».�Per�tutto�ciò�mi�sento�di�affermare�che�lo�shiatsu,�inteso�nell'accezione�e�praticato�nella�forma�proposta�dall'Accademia,�esprime�un�comportamento,�per�molti�versi,�profondamente�e�genuinamente�taoista.��

12°�Passo�Il�ritorno�all'incertezzaIl�modello�della�fisica�contemporanea,�del�caos�e�della�complessità

L'opzione�«non�esistono�possibili�modelli�della�realtà»�è,�in�effetti...�un�riconoscimento,�emergente�nella�civiltà�occidentale,�che�la�conoscenza�stessa�è�limitata...�il�riconoscimento�della�differenza�fra�conoscenza�e�saggezza.«L'opzione�«non�esistono�possibili�modelli�della�realtà»�è,�in�effetti,�l'interpretazione�di�Copenaghen�della�meccanica�quantistica.�Nel�1927,�la�più�famosa�adunata�di�fisici�della�storia�decise�che�potrebbe�non�essere�mai�possibile�costruire�un�modello�della�realtà,�per�spiegare�per�esempio�il�modo�in�cui�le�cose�«veramente�sono�dietro�le�quinte».�Nonostante�l'alta�marea�di�«conoscenza»�che�ci�ha�sommerso�per�quarant'anni,�il�Fundamental�Physics�Group�ha�ritenuto�necessario,�come�i�fisici�di�Copenaghen�cinquant'anni�prima�di�loro,�riconoscere�che�potrebbe�non�essere�possibile�costruire�un�modello�della�realtà.�Questo�riconoscimento�è�qualcosa�di�più�di�una�semplice�consapevolezza�dei�limiti�di�questa�o�di�quella�teoria.�È�un�riconoscimento,�emergente�nella�civiltà�occidentale,�che�la�conoscenza�stessa�è�limitata.�Detto�in�altre�parole,�è�il�riconoscimento�della�differenza�fra�conoscenza�e�saggezza».Paradossalmente�nella�sua�ricerca�di�scoprire�com'è�il�mondo�«dietro�le�quinte»,�com'è�fatto�dentro�l'orologio�newtoniano,�l'uomo�si�è�reso�conto�che�quella�conoscenza�dell'universo�e�dei�fenomeni�che�sembrava�trionfalmente�avviata�a�consegnare�all'uomo�il�dominio�della�natura,�sfuma,�si�annebbia,�si�perde�nel�mare�delle�nuove�acquisizioni�e�scoperte.A�ogni�nuovo�passo�«dentro»�i�fenomeni,�a�ogni�strumento�e�marchingegno�inventato�e�prodotto�per�vedere�nel�«sempre�più�piccolo»�e�nel�«sempre�più�grande»,�la�scienza�si�accorge�che�ogni�certezza�si�scioglie�e�che�la�pretesa�di�conoscere�la�realtà�si�allontana�sempre�di�più.Quella�frase,�«so�di�non�sapere»,�che�sembrava�solo�una�dichiarazione�di�socratica�umiltà�sulla�bocca�di�quello�che,�oltre�duemila�anni�fa,�era�sicuramente�tra�gli�uomini�più�sapienti�del�suo�tempo�e�della�sua�civiltà,�ora�suona�come�una�quotidiana�ammissione�di�«serena»�impotenza�che�smantella�anno�dopo�anno�l'arrogante�pretesa�dell'uomo�di�dominare�la�natura�(sconfiggere�la�morte�è�il�sogno,�di�più,�l'obiettivo�inconfessato�che�permea�l'impianto�etico�della�medicina�scientifica�contemporanea).Alla�ricerca�di�modelli�esaurienti�ed�esaustivi�che�rivelino�com'è�la�realtà�si�è�sostituita�pian�piano�l'adozione�di�una�molteplicità�di�punti�di�vista,�che�allarghi�la�visione,�o�meglio�le�visioni,�dei�fenomeni.Al�tentativo�di�determinare�leggi�predittive�di�eventi�si�sostituisce�l'osservazione�per�una�possibile�previsione�di�comportamenti�probabili.Alla�professionale�«presunta»�neutralità�dell'osservatore�che�analizza�il�fenomeno�oggettivo�abbiamo�dovuto�sostituire�l'inevitabilità�del�coinvolgimento�e�dell'influenza�dell'osservatore�nel�e�sul�fenomeno�osservato.All'analisi�riduzionista�delle�parti�da�comprendere�e�correlare�si�sostituisce�l'intuizione�(proprio�così�l'irrazionale�e�antiscientifica�intuizione�irrompe�prepotentemente�nell'universo�scientifico)�che�«ciò�che�è»�è�«una�totalità�priva�di�discontinuità»�m).«Noi�diciamo�comunemente,�per�esempio,�che�viene�rivelato�un�elettrone�nel�punto�A�e�poi�nel�punto�B,�ma�per�essere�precisi�ciò�non�è�corretto.�Secondo�la�meccanica�quantistica,�non�è�mai�esistito�nessun�elettrone�che�viaggiasse�dal�punto�A�al�punt

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o�B.�Vi�sono�solo�le�misure�che�abbiamo�fatto�nei�due�punti».La�fisica�moderna�sconvolge�e�muta�radicalmente�tutti�i�riferimenti�«di�buon�senso»�su�cui�si�basa�il�nostro�modo�consueto�di�vedere�le�cose�ed�interagire�con�esse.��per�misurare�la�portata�di�questi�mutamenti�basti�raffrontare�i�principi�guida�della�fisica�meccanicista�e�della�fisica�quantistica.

Nell'universo�della�fisica�meccanicistaSi�può�descrivere�Si�basa�sulla�normale�percezione�sensorialeDescrive�cose,�oggetti�singoli�nello�spazio�e�i�loro�cambiamenti�nel�tempo�Predice�eventiDà�per�scontata�una�realtà�oggettiva�«là�fuori»Possiamo�osservare�un�fenomeno�senza�cambiarlo�Afferma�di�basarsi�sulla�«verità�assoluta».�La�vera�essenza�della�natura�è�«dietro�le�quinte»

Nell'universo�della�fisica�quantisticaNon�si�può�descrivere�Si�basa�sul�comportamento�delle�particelle�subatomiche�e�su�sistemi�non�direttamente�osservabili�Descrive�il�comportamento�statistico�di�sistemiPredice�probabilità�Non�dà�per�scontata�una�realtà�oggettiva�separata�dalla�nostra�esperienza�Non�possiamo�osservare�un�fenomeno�senza�cambiarlo�Afferma�solamente�di�correlare�in�maniera�corretta�le�esperienze�recon�esse;�

Un�tuffo�nella�vitaSiamo�tornati�ad�essere�il�topolino�descritto�nel�5°�Passo,�affacciato�sul�bordo�del�cilindro�che�osserva�l'apparire�e�l'evolversi�delle�macchie�di�inchiostro,�che�talvolta�ha�l'impressione�di�notare�dei�fenomeni�ricorrenti�e�annota�le�esperienze�perché�sa�che�potranno�aiutarlo�ad�orientarsi�in�futuro.Ma�non�si�illude�di�poter�«capire»�e�tanto�meno�«dominare»�la�dinamica�di�cambiamento�delle�macchie�perché�sa�di�non�poter�penetrare�nell'«ordine�implicito»,�sa�che�non�è�sua�la�mano�che�manovra�il�contagocce.Ma�il�topolino�ha�un'altra�possibilità;�può�cessare�di�fare�lo�scienziato�che�osserva�dall'esterno�il�fenomeno�e�lo�valuta�e�scavalcare�il�bordo�del�cilindro�per�tuffarsi�nella�glicerina,�entrando�a�far�parte�del�fenomeno�in�maniera�attiva;�partecipare�al�fenomeno�e�interagire�con�tutte�le�altre�«energie»�che�lo�determinano.�È�quel�che�avviene�nello�shiatsu.Tori�non�si�pone�come�un�osservatore�esterno�a�uke�per�valutare�«come�funziona�e�come�farlo�funzionare�meglio»;�uke�non�giudica�tori�per�la�sua�conoscenza�teorico-formale�e�la�sua�credibilità�apparente.Nella�pratica�dello�shiatsu�i�due�protagonisti�si�immergono�in�un�processo�di�semplice�comunicazione�mediante�la�pressione,�di�elementare�condivisione�dello�stato�di�equilibrio/squilibrio�mediante�un�contatto�naturale,�di�essenziale�ricerca�di�risveglio�della�vitalità�che�non�nasce�da�modelli�precostituiti�e�procedure�obbligate,�ma�da�una�fusione�globale�«in�evoluzione»�della�vita�di�uke�e�della�vita�di�tori�nella�Vita�con�la�V�maiuscola,�la�vita�dell'universo.Descrivendo�l'incontro�tori-uke�(nel�contesto�reale�l'incontro�dell'agopuntore�e�del�suo�assistito)�un�testo�antico�cinese�recita:�«La�sua�mano�si�dirige�da�sola�verso�il�'luogo'�del�corpo�ove,�nell'incrociarsi�dei�soffi,�si�radicano�gli�Spiriti.�Abile�e�sicura,�questa�mano�è�abbandonata�all'ispirazione�degli�Spiriti�che�dimorano�in�lui».È�una�ricerca�e�un�incontro�tra�gli�«Spiriti»�di�uke�e�quelli�di�tori;�possiamo�usare�il�termine�«Vita»,�o�il�termine�«Vitalità»,�«Energia»,�il�termine�«xxxxxx»;�ognuno�metta�al�podi�«xxxxxx»�il�termine�che�la�sua�religione,�la�sua�filosofia,�la�sua�ideologia�gli�propone,�prescrive�e/o�consiglia�per�capire�meglio�ed�entrare�meglio�nell'evento;�penso�che�comunque�tutti�abbiano,�nella�loro�traduzione,�compreso�il�senso�della�cosa.

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Ma�in�cosa�si�tuffa�il�topolino,�qual�è�l'universo-glicerina�in�cui�va�ad�immergersi,�come�se�lo�figura�e�se�lo�descrive?�E�come�cercherebbe�di�descriverlo�ad�un�altro�topolino�per�invitarlo�a�seguirlo�nell'esperienza?�E�ritorna�il�problema�dei�modelli,�non�più�per�immaginarci�e�interpretare�i�fenomeni�«esterni�all'osservatore»�ma�per�immergerci�e�sguazzare�(possibilmente�nuotare�con�sicurezza�ed�eleganza),�partecipando�e�interagendo,�nel�fenomeno.Non�ci�convince�molto,�o�comunque�non�riconosciamo�molto�adatto�per�un�tuffo,�il�modello�dell'orologio;�una�macchina�non�ti�lascia�entrare�se�non�la�smonti�separandone�i�pezzi�e�d'altro�canto�non�ci�ritroviamo�più,�grazie�al�diverso�atteggiamento�che�la�pratica�shiatsu�ha�costruito�in�noi,�nell'atteggiamento�del�tecnico�che,�«estraneo�al�meccanismo»,�lo�ripara.�Gli�studiosi�e�i�ricercatori�hanno�trovato�una�promettente�via�di�evoluzione�nella�teoria�del�Caos�e�della�Complessità;�può�costituire�un�modello�utilizzabile�per�lo�shiatsu?

Più�che�sicuro,�probabileLa�scienza�attuale�distingue�due�grandi�classi�di�«modelli�di�evoluzione»:il�modello�deterministico,�in�cui,�dato�lo�stato�iniziale�del�sistema,�è�possibile�determinare�lo�stato�ad�ogni�istante�di�tempo�successivo;il�modello�probabilistico,�in�cui�quali�che�siano�le�condizioni�iniziali�è�possibile�solo�fornire�lo�stato�vicino�al�quale�è�probabile�trovare�il�sistema.�E'�facile�capire�la�differenza�e�capire�che�i�modelli�di�tipo�deterministico�sono�puramente�«teorici»�e�riproducibili�solo�in�condizioni�particolari�e�limitate�nel�tempo�e�nello�spazio.�Ma�è�su�questo�modello�che�si�è�costruita�la�scienza�nei�trecento�anni�tra�il�1600�e�il�1900,�e�che�ha�plasmato�il�punto�di�vista�collettivo�in�Occidente�e�che�determina�il�nostro�comune,�abituale�modo�di�pensare�e�interpretare�i�fenomeni.�Se�io�conosco�la�velocità�e�la�direzione�di�un�oggetto�al�momento�iniziale,�il�modello�deterministico�mi�consente�di�prevedere�dove�si�troverà�l'oggetto�dopo�un�dato�tempo.Nel�1846,�gli�astronomi�U.J.�Le�Verrier�e�J.C.�Adams,�basandosi�sulle�perturbazioni�del�moto�del�pianeta�Urano,�affermarono�che�esisteva�un�altro�pianeta,�esterno�all'orbita�di�Urano,�ed�indicarono�la�posizione�del�cielo�in�cui�esso�avrebbe�dovuto�trovarsi.�Il�23�settembre�dello�stesso�anno,�l'astronomo�J.G.�Galle�potè�osservare�con�il�telescopio�quel�pianeta�(poi�chiamato�Nettuno),�e�proprio�nella�posizione�che�era�stata�indicata.�Forte�di�questo�grande�successo,�Le�Verrier�tentò�di�spiegare�alcune�anomalie�del�moto�di�Mercurio�con�la�presenza�di�un�altro�pianeta,�che�egli�chiamò�Vulcano,�e�ne�indicò�la�posizione.�Esso,�però,�non�fu�mai�trovato,�poiché�non�esiste:�le�perturbazioni�del�moto�di�Mercurio�furono�poi�spiegate�applicando�la�teoria�di�Einstein.�Posso�applicare�questo�modello�ad�un�satellite�lanciato�nello�spazio�ed�aspettarmi�che�funzioni�perché�le�condizioni�di�possibile�variabilità�nel�vuoto�e�con�influenze�(l'attrazione�di�soli�e�pianeti)�sono�per�larghi�versi�prevedibili;�in�realtà,�nonostante�questo,�se�voglio�portare�il�satellite�in�un�punto�preciso�devo�prevedere�delle�correzioni�da�apportare�mediante�intervento�umano�(ricordate�l'intervento�divino�presupposto�dal�padre�del�meccanicismo,�Newton?).Ma�se�un�amico�parte�in�auto�da�Milano�diretto�a�Roma�posso�conoscere�la�cilindrata�del�mezzo,�le�abitudini�di�guida�(gli�piace�andar�forte�e�si�ferma�solo�per�far�pipì),�le�previsioni�del�traffico�nella�giornata�ecc.,�ma�non�sono�in�grado�di�andar�oltre�una�previsione�del�tipo�«probabilmente�ora�sarà�tra�Firenze�e�Arezzo».Ricordate�la�famosa�frase�di�Laplace�citata�nel�7°�Passo:...�Un'Intelligenza�che,�a�un�dato�istante,�conoscesse�tutte�le�forze�da�cui�è�animata�la�natura�e�la�situazione�rispettiva�degli�esseri�che�la�compongono;�se�per�di�più�fosse�abbastanza�profonda�per�sottomettere�questi�dati�all'analisi,�abbraccerebbe�nella�stessa�formula�i�movimenti�dei�più�grandi�corpi�dell'universo�e�dell'atomo�più�leggero:�nulla�sarebbe�incerto�per�essa�e�l'avvenire,�come�il�passato,�sarebbe�presente�ai�suoi�occhi.Quella�visione�appare�alla�luce�delle�conoscenze�attuali�non�solo�una�speranza�o�una�petizione�di�principio�(visto�che�è�irrealistico�pensare�di�«conoscere�tutte�le�forze�ecc.»)�ma,�alla�luce�delle�conoscenze�di�questo�secolo,�ingannevole.Già�nel�1908�Poincaré�scriveva:

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Una�causa�piccolissima�che�sfugga�alla�nostra�attenzione�determina�un�effetto�considerevole�che�non�possiamo�mancare�di�vedere,�e�allora�diciamo�che�l'effetto�è�dovuto�al�caso.�Se�conoscessimo�esattamente�le�leggi�della�natura�e�la�situazione�dell'universo�all'istante�iniziale,�potremmo�prevedere�esattamente�la�situazione�dello�stesso�universo�in�un�istante�successivo.�Ma�se�pure�accadesse�che�le�leggi�naturali�non�avessero�più�alcun�segreto�per�noi,�anche�in�questo�caso�potremmo�conoscere�la�situazione�iniziale�solo�approssimativamente.�Se�questo�cipermettesse�di�prevedere�la�situazione�successiva�conla�stessa�approssimazione,�non�ci�occorrerebbe�di�più�e�dovremmo�dire�che�il�fenomeno�è�stato�previsto,�che�è�governato�da�leggi.�Ma�non�è�così,�può�accadere�che�piccole�differenze�nelle�condizioni�iniziali�ne�producano�di�grandissime�nei�fenomeni�finali.�Un�piccolo�errore�nelle�prime�produce�un�errore�enorme�nei�secondi.�La�previsione�diventa�impossibile�e�si�ha�un�fenomeno�fortuito».Gli�scienziati�parlano�di�sistemi�a�numero�grande�(o�piccolo)�di�gradi�di�libertà;�per�«giocarci»�sceglieremo�come�più�adeguato�il�modello�deterministico�o�il�modello�probabilistico�sulla�base�sia�delle�caratteristiche�del�sistema�sia�degli�obiettivi�che�ci�si�propone;�non�è�un�problema�di�teorie,�ma�un�problema�di�situazioni�da�indagare,�di�questioni�da�risolvere,�di�obiettivi�da�raggiungere;�in�sostanza�non�di�fedi�si�tratta�ma�di�utilità�nella�vita�concreta.

Non�v'è�certezzaNello�shiatsu,�come�in�tutte�le�altre�discipline�che�si�rifanno�ad�un�modello�energetico,�ritengo�(probabilmente!)�che�il�numero�dei�gradi�di�libertà�sia�molto�elevato�per�cui�l'approccio�probabilistico�sia�più�produttivo;�invece�allo�shiatsu�(e�all'agopuntura�nell'ultimo�ventennio)�è�stato�messo�un�cappello�deterministico�in�conseguenza�dell'ideologia�imperante�e�si�sta�rischiando�di�calare�ulteriormente�tale�cappello�(fino�a�coprire�gli�occhi�e�a�perdere�qualsiasi�visione�originale)�in�ossequio�ai�rapporti�socio-istituzionali�con�la�scienza�e�le�istituzioni�deterministiche.Se�mi�si�perdona�l'esempio�maschilocentrico,�si�sono�imposte�(e�il�processo�procede�a�grandi,�e�preoccupanti,�passi)�allo�shiatsu�le�mutande�strette�del�determinismo,�disconoscendone�le�peculiarità�(comprimendone�gli�attributi),�e�provocando�un�declino�della�vitalità�(della�virilità)�del�fenomeno�shiatsu.Ciò�che�accade�durante�un�incontro�di�shiatsu,�ciò�che�vive�uke�e�che�tori�avverte�sotto�i�propri�pollici�non�è�interpretabile�e�descrivibile�secondo�un�modello�meccanicista�e�determinista�perché�è�sempre�una�cosa�nuova!La�meccanicista�stabilità�del�percorso�dei�meridiani�e�la�deterministica�fissità�dei�punti�non�ha�riscontro�nell'esperienza�pratica,�reale;�punti�e�percorsi�energetici�(non�«meridiani»,�termine�che�presume�un'astratta�immutabilità)�possono�essere�proposti�solo�come�ipotesi�di�lavoro,�secondo�un�modello�probabilistico,�perché�è�così�che�succede.La�vera�e�propria�fame�di�«punti�certi»�e�«canali�definiti»�una�volta�per�sempre�che�caratterizza�gli�apprendisti�shiatsu�di�tutte�le�età�e�i�livelli�di�esperienza�(la�nostra�è�l'epoca�dell'avere�preconfezionato�in�contrapposizione�al�fare�e�all'essere)�viene�alimentata�da�«cattivi�maestri»�che�per�ignoranza�o�calcolo�creano�presupposti,�anzi�preconcetti�il�cui�superamento�costerà�all'apprendista�anni�di�pratica�e�di�fatica.�Ancora�Poincaré�scriveva:Perché�i�meteorologi�hanno�tanta�difficoltà�a�prevedere�il�tempo�con�un�certo�grado�di�esattezza�?�Perché�i�rovesci�di�pioggia,�e�le�tempeste�stesse,�ci�sembrano�arrivare�a�caso,�tanto�che�molte�persone�trovano�del�tutto�naturale�pregare�per�avere�la�pioggia�o�il�bel�tempo,�mentre�riterrebbero�ridicolo�invocare�un'eclisse�con�la�preghiera?�Noi�vediamo�che�le�grandi�perturbazioni�si�producono�generalmente�nelle�regioni�in�cui�l'atmosfera�è�in�equilibrio�instabile.�I�meteorologi�sono�ben�consapevoli�che�questo�equilibrio�è�instabile,�che�un�ciclone�nascerà�da�qualche�parte,�ma�dove?�Non�sono�in�grado�di�dirlo;�un�decimo�digrado�in�più�o�in�meno�in�un�punto�qualunque�e�il�ciclone�scoppia�qui�e�non�là,�porta�la�sua�devastazione�in�contrade�che�sarebbero�state�risparmiate.�Se�si�fosse�conosciuto���questo�decimo�di�grado,�si�sarebbe�potuto�prevedere�in�anticipo,�ma�le�osservazioni�non�erano�né�abbastanza�ravvicinate�né�abbastanza�precise,�ed�è�per�questo�che�tutto�sembra�dovuto�all'intervento�del�caso.

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Le�dinamiche�energetiche�di�una�persona�(uke)�sono�sensibili�quanto�un�sistema�meteo;�il�numero�di�variabili�che�entrano�in�gioco�e�le�loro�interrelazioni�sono�pressoché�infinite�(cosa�ha�mangiato,�come�sta�respirando,�quali�pensieri�gli�passano�per�la�testa,�com'è�il�clima,�qual�è�l'allineamento�degli�astri,�che�persone�frequenta�ecc.)�e�qualsiasi�modello�determinista�che�pretenda�di�fissare�su�una�mappa�i�«meridiani�e�i�punti»�(i�flussi�e�le�concentrazioni�dell'energia),�in�altre�parole�i�comportamenti�energetici,�equivale�ad�una�mappa�che�pretenda�di�pronosticare�il�tempo�meteorologico�per�sempre.Nondimeno�esistono�le�carte�dei�monsoni;�è�possibile�prevedere�i�periodi�più�piovosi�in�ogni�regione;�sono�tracciabili�curve�di�andamento�delle�temperature�nelle�diverse�stagioni.�Sono�tutti�modelli�probabilistici�che�ci�dicono�cosa�è�più�probabile�che�succeda�lasciando�alla�«percezione�sul�campo»�la�verifica,�qui�e�ora,�del�fenomeno�reale.�

13°�Passo�L'ordine�nel�caos

Una�nuova�scienza�ha�origine�da�un'altra�che�è�venuta�a�trovarsi�in�un�vicolo�cieco.Una�nuova�medicina�nasce�dove�la�medicina�"in�esercizio"�evidenzia�la�sua�incapacità�a�risolvere�i�problemi�di�salute�in�generale,�o�in�un�determinatoambito�di�"sofferenza�umana".��<

«Spesso�una�rivoluzione�ha�carattere�indisciplinare:�le�sue�scoperte�centrali�provengono�non�di�rado�da�persone�che�si�spingono�oltre�i�normali�confini�della�loro�specialità.È�il�caso�di�Lorenz,�il�metereologo/matematico�cui�si�attribuiscono�le�prime�elaborazioni�di�modelli�di�caos.Prima�della�sua�esperienza,�«l'idea�fondamentale�della�scienza�occidentale�è�che�non�si�deve�tener�conto�della�caduta�di�una�foglia�su�un�qualche�pianeta�in�un'altra�galassia�quando�si�cerca�di�spiegare�il�movimento�di�una�palla�da�biliardo�su�un�tavolo�da�biliardo�sulla�Terra.�Le�influenze�piccolissime�possono�essere�trascurate.�C'è�una�convergenza�nel�modo�di�funzionare�delle�cose,�e�influenze�piccole�a�piacere�non�vengono�mai�ad�assumere�effetti�grandi�a�piacere».�Classicamente,�la�fede�nell'approssimazione�e�nella�convergenza�era�ben�giustificata.�Essa�funzionava».Lorenz�propose,�sulla�base�delle�esperienze�da�lui�fatte�negli�anni�Sessanta�su�un�computer�dell'epoca,�un�modello�matematico�che�simulava�«deterministicamente»�l'andamento�delle�condizioni�atmosferiche.Un�giorno,�nell'inverno�del�1961,�restò�colpito�sovrapponendo�i�dati�di�due�simulazioni�che�erano�partite�da�dati�apparentemente�uguali;�i�diagrammi�si�comportavano�inizialmente�con�piccole�differenze�ma�in�breve�tempo�assumevano�andamenti�completamente�diversi.�Si�rese�conto�che�i�dati�iniziali�non�coincidevano�esattamente�(i�dati�iniziali�della�seconda�simulazione�avevano�subito�degli�arrotondamenti�infinitesimi)�ma�l'esperienza�dimostrava�che�«l'idea�fondamentale�su�cui�si�basava�la�scienza�occidentale»�sopra�citata�era�falsa,�o�meglio�non�era�idonea�per�determinati�sistemi.«Può�il�batter�d'ali�di�una�farfalla�in�Brasile�provocare�un�tornado�in�Texas?�...�è�il�titolo�di�una�conferenza�tenuta�da�Lorenz...�e�la�risposta�è:�puòaccadere!�Piccole�incertezze�su�scale�di�qualche�centimetro�(il'batter�d'ali�della�farfalla!)�si�estendono�amplificate�su�scale�di�qualche�metro�e�così�via�fino�a�giungere�alla�scala�di�migliaia�di�chilometri�in�un�paio�di�settimane.�Pur�sembrando�contrario�all'intuizione�questo�non�è�altro�che�un�esempio�della�sensibilità�rispetto�alle�condizioni�iniziali.Nella�scienza,�come�nella�vita,�è�ben�noto�che�una�catena�di�eventi�può�avere�un�punto�di�crisi�in�cui�piccoli�mutamenti�sono�suscettibili�di�ingrandirsi�a�dismisura.L'effetto�farfalla�acquistò�un�nome�tecnico:�dipendenza�sensibile�dalle�condizioni

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�iniziali.�E�la�dipendenza�sensibile�da�condizioni�iniziali�non�era�una�nozione�del�tutto�nuova.�Essa�aveva�un�posto�nel�folklore:Per�colpa�di�un�chiodo�si�perse�lo�zoccolo;per�colpa�di�uno�zoccolo�si�perse�il�cavallo;per�colpa�di�un�cavallo�si�perse�il�cavaliere;per�colpa�di�un�cavaliere�si�perse�la�battaglia;per�colpa�di�una�battaglia�si�perse�il�regno.Ma�il�caos�significava�che�tali�punti�di�crisi�erano�dappertutto.Se�si�fosse�fermato�all'effetto�farfalla,�in�cui�la�nozione�di�prevedibilità�cedeva�il�posto�al�puro�caso,�Lorenz�non�avrebbe�prodotto�altro�che�una�bruttissima�notizia.�Ma�nel�suo�modello�del�tempo�egli�vedeva�assai�più�della�semplice�casualità.�Vi�vedeva�una�struttura�geometrica�fine,�dell'ordine�camuffato�da�casualità».Sarebbe�lungo�raccontare�come�Lorenz,�e�poi�altri�ricercatori,�abbiano�cercato�(e,�per�certi�versi,�trovato)�l'ordine�nel�caos;�sta�di�fatto�che�ricercatori�impegnati�in�settori�molto�diversi�ma�accomunati�dall'impossibilità�manifesta�di�applicare�al�loro�ambito�di�indagine�modelli�interpretativi�deterministici�abbiano�trovato�nella�teoria�del�caos�un�terreno�fertile�di�studio�per�analizzare�e�prevedere,�per�interpretare�e�comprendere.Fenomeni�come�le�dinamiche�economiche�(l'andamento�del�prezzo�di�una�merce�nel�tempo),�i�comportamenti�sociali�(le�reazioni�di�una�folla),�il�diffondersi�delle�epidemie,�il�funzionamento�delle�società�commerciali,�i�comportamenti�biologici�in�natura�(il�funzionamento�di�un�formicaio)�e�nel�corpo�umano�(le�dinamiche�di�formazione�e�vita�dei�pensieri),�e�in�generale�tutti�i�fenomeni�che�non�possono�essere�ridotti�«a�parti�semplici»,�fenomeni�per�i�quali�l'approccio�riduzionista�si�rivelava�inadatto�perché�il�loro�funzionamento�si�basa�sulle�relazioni�di�una�totalità,�hanno�trovato�nello�studio�del�caos,�e�poi�nello�studio�della�complessità,�una�possibilità�di�indagine�e�comprensione.

La�complessità�che�semplifica«Caos�e�complessità�costituiscono�un�nuovo�approccio,�un�diverso�punto�di�vista�che�consente�di�scoprire�aspetti�della�realtà�che�la�tradizionale�analisi�riduzionista�non�permetteva;�realtà�che�si�presenta�come�complessa,�complessa�come�un�tessuto�che�è�costituito�da�parti�(i�fili,�l'ordito,�la�trama)�ma�che�nella�totalità�possiede�caratteristiche�e�comportamenti�che�le�singole�parti,�da�sole,�non�possiedono�e�che�non�possono�essere�comprese�riducendo�il�tessuto�in�fili.La�complessità,�intesa�come�irriducibilità,�molteplicità,�circolarità�(avremo�modo�di�riflettere�in�seguito�su�questi�aspetti)�è�dunque�stata�riportata�in�primo�piano�proprio�da�quella�scienza�che�era�deputata�a�sconfiggerla.�Lo�sviluppo�stesso�della�fisica,�che�doveva�definitivamente�rivelare�l'ordine�immutabile�del�mondo,�il�suo�determinismo�assoluto�e�perpetuo,�la�sua�obbedienza�a�leggi�unitarie�e�prive�di�eccezioni,�la�sua�costituzione�a�partire�da�una�materia�prima�semplice�e�immutabile,�ha�incontrato�la�complessità�del�reale.�Si�è�trovato,�innanzitutto,�che�nell'Universo�regnano�la�degradazione�e�il�disordine,�e�questo�è�problematico�da�conciliare�non�solo�con�un�immutabile�e�reversibile�determinismo,�ma�soprattutto�con�il�fatto�che�in�quello�stesso�Universo�si�ha�anche�organizzazione,�complessificazione,�sviluppo.�Poi,�là�dove�si�cercava�l'estrema�semplicità,�si�è�scoperta�una�estrema�complessità:�le�particelle�cosiddette�«elementari»�non�sono�mattoni�fondamentali,�ma�si�presentano�in�modo�multiforme�ed�enigmatico,�propongono�un�quadro�di�grande�complessità�relazionale.�La�materia,�dunque,�non�è�più�così�solida�come�si�credeva.�Per�di�più,�al�livello�microfisico,�la�realtà�non�è�indipendente�dal�soggetto�che�la�esamina,�il�quale�incontra�un�limite�nella�possibilità�di�misurarne,�e�addirittura�di�definirne�le�proprietà.�Ma�anche�a�livello�macrofisico�si�incontra�la�complessità:�per�esempio,�i�concetti�eterogenei�di�spazio�e�di�tempo�si�unificano�in�un�continuo�a�quattro�dimensioni,�e�dunque�anche�queste�nozioni�così�apparentemente�chiare�e�distinte�si�annebbiano».«Insomma,�il�semplice�non�esiste�più�nemmeno�nella�fisica.�"Gli�ormeggi�della�nostra�concezione�del�mondo�-�dice�Edgar�Morin�-�si�sono�spezzati�nell'impatto�con�i�due�infiniti;�nella�nostra�fascia�mediana�non�siamo�sulla�solida�terra�di�un'isola�circondata�dall'oceano,�ma�su�un�tappeto�volante".�Il�semplice,�dunque,�non�è�più�il�fondamento�di�tutte�le�cose,�ma�soltanto�un'articolazione�tra�complessità�diver

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se».L'ideale�riduzionistico�della�scienza�classica�(che�si�propone�di�spiegare�i�sistemi�riducendoli�alla�somma�delle�loro�parti)�viene�così�profondamente�ridimensionato,�e�con�esso�il�nostro�modo�abituale�di�pensare.Diviene�indispensabile�introdurre�il�concetto�di�«circolarità»�nella�relazione�(o�di�«sincronicità»,�altro�termine�introdotto�come�alternativa�al�rapporto�causa/effetto�sia�nell'universo�culturale�orientale�che�in�quello�occidentale).�Pensiamo�una�frase�qualunque,�ossia�un�enunciato�linguistico.�Che�cosa�«viene�prima»,�che�cosa�è�«più�fondamentale»,�in�termini�di�significato,�nella�frase�stessa?�Le�singole�parole�oppure�l'enunciato�nella�sua�globalità?�Cercando�di�rispondere�a�questa�domanda,�vediamo�immediatamente�che�risulta�problematico�individuare�una�struttura�gerarchica�corrispondente�a�una�casualità�lineare.�Le�parole,�infatti,�hanno�un�loro�significato�autonomo�(o�meglio,�una�molteplicità�di�significati�possibili),�ma�acquistano�un�senso�preciso,�relativamente�stabilizzato,�soltanto�nell'ambito�della�frase,�in�funzione�del�suo�significato�globale.�Ma�la�frase,�a�sua�volta,�è�costituita�di�parole:�altrettanto�legittimo,�dunque,�è�dire�che�quella�prende�significato�da�queste,�e�non�viceversa.�Lo�stesso�vale�per�il�rapporto�tra�la�frase�e�l'eventuale�testo�complessivo�di�cui�la�frase�fa�parte,�tra�tale�testo�e�il�suo�contesto.�In�una�prospettiva�semantica,�dunque,�non�si�può�definire�fondamentale�né�il�livello�corrispondente�ai�«mattoni»�che�costituiscono�l'edificio�complessivo,�né�(per�restare�nella�metafora)�il�livello�corrispondente�al�progetto�dell'edificio�stesso.Anche�il�rapporto�causa-effetto,�che�costituisce�un�pre-concetto�radicatonel�«nostro�modo�abituale�di�pensare»,�talmente�radicato�che�ci�risulta�impossibile�osservare�un�fenomeno�senza�andare�spontaneamente�con�la�mente�a�ricercarne�la�causa�«prossima�e�remota».Anche�la�medicina�«energetica»�è�stata�nel�nostro�universo�culturale�accettata�come�una�medicina�autorevole�in�quanto�riusciva�a�costruire�un�rapporto�causa/effetto�che�in�molte�situazioni�era�più�soddisfacente�(e�dava�migliori�risultati)�del�rapporto�causa/effetto�proposto�dalla�medicina�ufficiale.Infinite�volte�mi�sono�trovato�a�spiegare�ad�un�uke�preoccupato�che�il�suo�disturbo�agli�occhi�era�causato�da�un�vuoto�di�energia�del�Fegato�o�che�la�causa�dei�dolori�cervicali�che�lo�affliggevano�risiedeva�in�un�eccesso�energetico�del�Piccolo�Intestino,�mutuando�pari�pari�un�rapporto�di�causa/effetto�che�non�stava�nel�fenomeno�ma�solo�nella�mia�testa.

Causalità�o�casualitàIl�caso,�bestia�nera�di�ogni�approccio�scientifico�agli�avvenimenti�quotidiani,�cessa�di�essere�la�giaculatoria�esorcizzante�utilizzata�dalle�menti�razionali�a�fronte�di�tutti�i�fenomeni�che�non�obbediscono�alle�leggi�deterministiche�(«è�stato�un�caso»�è�la�frase�ricorrente),�ma�si�trasforma�in�una�chiave�interpretativa�adeguata�alla�complessità�della�vita�e�delle�sue�infinite�manifestazioni.Un�singolo�batterio,�la�più�antica�forma�di�vita,�ha�duemila�enzimi.�Gli�scienziati��hanno�calcolato�che�per�raccogliere�a�caso�questi�enzimi�da�un�brodo��primordiale�occorrerebbe�un�tempo�che�varia�da�40�a�100�miliardi�di�anni�(ma�la�terra�ne�ha�solo�-�sembra�-�quattro)...Il�problema�di�coordinazione.�Se�si�accetta�la�teoria�attuale,�allora�tutta�la�straordinaria�complessità�della�vita�altro�non�è�se�non�l'accumularsi�di�eventi�casuali...�una�serie�di�eventi�genetici�riuniti�insieme.�Ma�osservando�gli�animali�si�direbbe�che�molti�elementi�debbano�aver�avuto�un'evoluzione�simultanea.�Pigliamo�per�esempio�i�pipistrelli�che�sono�guidati�dall'eco�degli�ultrasuoni�da�loro�emessi.�Per�fare�una�cosa�simile,�molti�elementi�devono�evolversi.�I�pipistrelli�hanno�bisogno�di�un�apparato�speciale�per�emettere�i�suoni,�di�un�udito�speciale�per�udire��l'eco,�di�un�cervello�speciale�per�interpretare�i�suoni�e�di�un�corpo�capace�di�scendere�in�picchiata�per�catturare�gli�insetti.�Se�tutte�queste�cose�non�si�evolvono�contemporaneamente,�non�vi�è�alcun�vantaggio.�E�immaginare�che�tutto�questo�avvenga�per�puro�caso�è�come�immaginare�che�un�tornado�possa�abbattersi�su�un�cimitero�di�rifiuti�industriali�e�mettere�insieme�un�jumbo�jet�funzionante.«La�complessità�del�mondo�richiede�infatti�un�pensiero�capace�di�accettarla�e�di�dialogare�con�essa.�E�nel�cuore�della�novità�nel�modo�di�guardare�il�mondo�sta�la�pro

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spettiva�di�una�«causalità�complessa»,�che�amplia�e�addirittura�stravolge�la�visione�«semplice»�della�causalità:�quella�visione�nella�quale�la�causa�viene�sempre�prima�e�l'effetto�viene�sempre�dopo,�nella�quale�cause�piccole�producono�sempre�effetti�piccoli,�mentre�cause�grandi�producono�sempre�effetti�grandi.Per�ampliare�questa�prospettiva,�dobbiamo�innanzitutto�accettare�-�accanto�a�una�causalità�semplice,�lineare�e�intuitiva�-�anche�una�causalità�non�intuitiva�e�non�lineare,�che�ci�appare�spesso�inattesa�e�sorprendente.�Ma�soprattutto,�come�vedremo,�la�riflessione�sulla�complessità�del�mondo,�che�anche�la�scienza�ci�sollecita,�sottolinea�in�particolare�l'importanza�della�relazione�circolare�che�lega�tra�loro�quelli�che�forse�non�si�possono�nemmeno�più�chiamare�cause�ed�effetti,�ma�piuttosto�aspetti�diversi�e�interconnessi�della�realtà.In�altre�parole,�per�capire�i�fenomeni�complessi�bisogna�accettare�che�tra�la�causa�e�l'effetto�ci�possa�essere�una�relazione�circolare.�Rispetto�a�un�modello�di�pensiero�che�definirei�classico,�questa�non�è�una�spiegazione�adeguata,�e�può�risultare�addirittura�disturbante».

La�vita�è�autorganizzata«A�metà�degli�anni�ottanta�numerosi�scienziati�operanti�in�campi�diversi�(fisica,�economia,�biologia,�informatica�ecc.)�maturarono�la�convinzione�chesotto�la�complessità�del�mondo�si�celasse�un�ordine�sfuggito�alla�scienza�ma�che�sarebbe�stato�svelato�dalla�teoria�del�caos,�oggi�conosciuta�come�teoria�della�complessità.Studiando�il�comportamento�di�una�grande�varietà�di�sistemi�(grandi�società�per�azioni,�le�relazioni�tra�aggregati�di�neuroni�nel�cervello�umano,�le�serie�di�reazioni�catalizzate�dagli�enzimi�nell'ambito�di�una�singola�cellula,�il�comportamento�di��gruppi�degli�uccelli�migratori�ecc.)�talmente�complessi�da�non�poter�essere�analizzati�prima�dei�computer,�fecero�scoperte�nuove�e�sorprendenti.�Si�accorsero�in�primo�luogo�che�i�sistemi�complessi�mostrano�alcuni�comportamenti�comuni,�che�tendevano�a�presentarsi�come�tipici�di�tutti�i�sistemi�complessi.Ma,�e�qui�sta�la�novità�rivoluzionaria,�i�comportamenti�osservati�non�potevano�essere�spiegati�analizzando�le�componenti�dei�sistemi.�L'analisi�dei�singoli�meccanismi�semplici�operanti�durante�i�fenomeni�(il�metodo�scientifico�meglio�collaudato�e�più�affidabile,�l'equivalente�dello�smontare�l'orologio�per�vedere�come�funziona�-�pensiamo�all'approccio�«riduzionista»�che�ha�consentito�gli�eccezionali�progressi�nella�medicina�del�XIX�e�XX�secolo)�non�dà�risultati�apprezzabili�con�i�sistemi�complessi,�perché�il�comportamento�degno�di�nota�sembra�nascere�dall'interazione�spontanea�delle�componenti.Il�comportamento�non�è�né�pianificato,�né�pilotato:�si�verifica�e�basta;�si�tratta�di�un�comportamento�definibile�come�«autorganizzato».Tipico�comportamento�di�«autorganizzazione»�è�l'adattamento:�le�grandi�società�commerciali�e�industriali�si�adattano�al�mercato,�le�cellule�cerebrali�si�adattano�alla�trasmissione�dei�segnali,�il�sistema�immunitario�si�adatta�alle�infezioni,�gli�animali�si�adattano�alla�disponibilità�di�cibo�ecc».

Stabilità�e�mutamento«Un�altro�tipico�comportamento�dei�sistemi�complessi�è�costituito�dalla�dinamica�con�cui�trovano�un�equilibrio�tra�l'esigenza�di�ordine�e�la�necessità�di�mutamento.�I�sistemi�complessi�tendono�a�situarsi�in�un�punto�definibile�«il�margine�del�caos».�Si�può�immaginare�questo�punto�come�una�situazione�in�cui�vi�è�sufficiente�innovazione�da�dare�vitalità�a�un�sistema,�e�sufficiente�stabilità�da�impedirgli�di�precipitare�nell'anarchia.È�una�zona�di�conflitto�e�di�scompiglio,�dove�il�vecchio�e�il�nuovo�si�scontrano�in�continuazione.�Trovare�il�punto�di�equilibrio�è�una�faccenda�delicatissima:�se�un�sistema�vivente�si�avvicina�troppo�al�margine,�rischia�di�precipitare�nell'incoerenza�e�nella�dissoluzione;�ma�se�si�ritrae�troppo�diventa�rigido,�immoto,�totalitario.�L'eccessivo�cambiamento�è�letale�quanto�l'eccessivo�immobilismo.�

Chi�è�sano�è�caoticoLa�tradizione�medica�(confortata�dall'intuizione)�ha�sostenuto�fino�a�poco�tempo�fa�una�visione�dei�sistemi�fisiologici�in�cui�il�comportamento�periodico�e�rego

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lare�è�associato�a�uno�stato�di�buona�salute�mentre�ci�si�aspetta�comportamenti�irregolari�in�stati�patologici�e�nella�vecchiaia.�Se�si�ausculta�il�cuore�di�un�individuo�sano�a�riposo�ci�si�aspetta�un�battito�regolare�con�una�frequenza�di�pulsazione�costante�nel�tempo.L'idea�di�fondo,�dovuta�a�Cannon�di�Hatvard,�che�ha�dominato�la�scuola�medica�è�che�i�sistemi�fisiologici�si�comportano�in�modo�da�ridurre�al�minimo�la�variabilità�e�mantenere�costanti�le�funzioni�interne.�In�individui�sani�eventuali�variazioni�di�tale�equilibrio�(ad�esempio�affaticamento�per�uno�sforzo�improvviso)�dovrebbero�essere�rapidamente�riassorbite;�in�questo�schema�la�malattia�è�la�perdita�da�parte�dell'organismo�della�capacità�di�riportarsi�allo�stato�di�equilibrio...Questa�idea�generale,�che�più�o�meno�consciamente�ha�la�sua�origine�all'interno�di�una�visione�in�termini�di�sistemi�lineari,�non�ha�retto�all'analisi�dei�dati.�A�dispetto�della�tradizione�e�dell'intuizione�l'andamento�temporale�della�frequenza�cardiaca�di�un�soggetto�sano�a�riposo�non�è�affatto�regolare�(Mackey,�Glass,�1977).�Si�hanno�invece�delle�fluttuazioni,�apparentemente�irregolari,�in�cui�è�possibile�riconoscere�un�comportamento�caotico�a�bassa�dimensionalità.�Lo�stesso�comportamento�caotico�è�stato�individuato�nelle�variazioni�temporali�del�livello�ormonale�e�nell'encefalogramma�(May,�1991;�Goldberger,�Rigney,�West,�1991).Al�contrario�in�soggetti�malati�si�osserva�un�comportamento�molto�regolare,�o�addirittura�costante,�delle�funzioni�fisiologiche;�ad�esempio�poco�prima�di�un�arresto�cardiaco�la�frequenza�cardiaca�ha�un�andamento�periodico�o�costante.�Analogamente�in�soggetti�sani�il�numero�di�globuli�bianchi�varia�caoticamente�da�giorno�a�giorno,�mentre�in�certi�casi�di�leucemia�si�hanno�oscillazioni�periodiche.�Anche�l'attività�fibrillatoria�all'interno�del�cuore�appare�essere�un�fenomeno�sostanzialmente�periodico.In�assenza�di�un�quadro�di�riferimento�teorico�non�è�facile�spiegare�l'origine�di�questi�fenomeni.�Un'interessante�congettura�recentemente�avanzata�da�Goldberger�è�che�il�comportamento�caotico�consente�dei�vantaggi�funzionali�e�una�maggiore�flessibilità�di�quelli�periodici�e�questo�permetterebbe�all'organismo�sano�di�rispondere�ai�diversi�stimoli�esterni�senza�subire�danni.�È�difficile�dire�se�questa�congettura,�interessante�ma�altamente�speculativa,�possa�essere�messa�alla�prova�in�modo�stringente,�tuttavia�non�pochi�ricercatori�credono�che�lo�studio�del�caos�nei�sistemi�fisiologici�potrà�presto�fornire�metodi�più�sensibili�per�caratterizzare,�e�forse�per�curare,�le�disfunzioni.Non�solo�il�comportamento�caotico�non�è�per�nulla�disordinato,�ma�possiede�una�forma�di�ordine�che�non�nasce�dalla�conformità�ad�una�legge�«di�natura»�immutabile�ma�scaturisce�da�una�capacità�di�autorganizzazione,�una�sorta�di�«intelligenza»�interna�all'entità�(società�commerciale,�gruppo�sociale,�aggregato�di�cellule�o�ecosistema�locale�che�sia)�che�la�rende�«organismo�vivente»�o�comunque�aggregato�con�una�propria�vitalità,�in�cui�si�manifesta,�in�maniere�sempre�nuove�e�imprevedibili�ma�coerenti�con�se�stesse,�la�vita».Penso�che�sia�evidente�a�tutti�la�differenza�qualitativa;�la�stessa�differenza�che�intercorre�tra�un�oggetto�inerte�che�lanciato�nello�spazio�è�condannato�a�proseguire�il�suo�moto�inerziale�subordinato�all'attrazione�di�soli�e�pianeti�e�un'astronave�che�interagisce�con�i�fenomeni�gravitazionali�scegliendo�la�propria�rotta,�condizionata�dall'inerzia�e�dalla�gravità�ma�dotata�di�motore�e�quindi�libera�di�scegliere�l'obiettivo�del�viaggio�e�le�modalità�per�raggiungerlo,�cioè�di�determinare�la�propria�evoluzione.«Per�comprendere�i�sistemi�complessi�è�centrale�il�concetto�di�autorganizzazione,�ossia�di�organizzazione�che�emerge�anche�in�assenza�di�un�progetto.�Ma,�se�riflettiamo�un�attimo,�ci�si�presenta�anche�la�paradossalità�di�una�tale�autorganizzazione:�il�sistema�nel�suo�complesso,�infatti,�e�più�della�somma�delle�sue�parti�costituenti,�proprio�perché�si�ha�l'emergere�di�un'autorganizzazione,�ma�è�anche�meno�di�tale�somma,�perché�realizza�solo�una�particolare�organizzazione�tra�le�tante�possibili,�reprimendo�e�incanalando�le�molteplici�potenzialità�dei�singoli�elementi.In�natura,�ci�sono�moltissime�altre�situazioni�che,�osservate�da�questo�punto�di�vista,�si�rivelano�particolarmente�affascinanti.�Pensiamo�per�esempio�a�un�formicaio,�sistema�complesso�autorganizzato�che�ciascuno�di�noi�ha�incontrato�chissà�quante�volte�senza�fermarsi�a�riflettere.�Ma�forse�perché�non�l'abbiamo�mai�guardato�con�uno�sguardo�incantato�e�ammirato.�I�singoli�insetti�non�obbediscono�a�pres

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crizioni�organizzative�esplicite,�né�possiedono�informazioni�generali�sul�progetto,�ma�sembrano�piuttosto�muoversi�e�trasformare�i�propri�comportamenti,�e�addirittura�la�propria�struttura�fisica�individuale,�sulla�base�di�interazioni�locali.�Eppure,�nel�loro�comportamento,�il�formicaio�è�ben�presente:�quello�stesso�formicaio�che�è�costituito�di�singoli�comportamenti�irriducibili�a�un'unità.�Il�formicaio,�dunque,�è�costituito�di�formiche�che,�per�così�dire,�sono�«costituite»�di�formicaio.Alcuni�mirmecologi�(entomologi�specializzati�nello�studio�delle�formiche)�sono�arrivati�a�descrivere�il�formicaio�come�un�«superorganismo�composto�da�milioni�di�piccolissimi�corpicini�perfettamente�coordinati�tra�loro.�Un'enorme�ameba�che�si�stira,�si�allunga�e�si�contrae,�diventando�ogni�giorno�più�ampia,�più�voluminosa,�più�gigantesca.�Di�questa�grande�entità�la�regina�rappresenta�l'inesauribile�organo�riproduttivo,�mentre�le�operaie�rivestono�ognuna�ruoli�diversi:�la�bocca,�lo�stomaco,�gli�occhi,�il�naso.�I�pezzetti�di�cibo�che�corrono�dalla�periferia�al�cuore�del�formicaio�equivalgono�invece�al�sangue�del�superorganismo,�o�meglio,�alla�sua�emolinfa,�per�usare�il�termine�entomologico.�Ma,�se�riflettiamo�un�attimo,�ci�si�presenta�anche�la�paradossalità�di�una�tale�autorganizzazione:�il�sistema�nel�suo�complesso,�infatti,�è�più�dellasomma�delle�sue�parti�costituenti,�proprio�perché�si�ha�l'emergere�di�un'autorganizzazione,�ma�è�anche�meno�di�tale�somma,�perché�realizza�solo�una�particolare�organizzazione�tra�le�tante�possibili,�reprimendo�e�incanalando�le�molteplici�potenzialità�dei�singoli�elementi.��Un�sistema�complesso�è�dunque,�nello�stesso�tempo,�più�e�meno�della�somma�delle�sue�parti:�esso,�inoltre,�è�diverso�da�tale�somma,�perché�le�proprietà�e�i�comportamenti�collettivi�sono�inattesi».

Uke�e�tori,�un�incontro�oltre�le�partiRitengo�che�il�modello�sopra�descritto�sia�proficuamente�utilizzabile�all'interno�di�un�incontro�shiatsu.Uke�è�un�organismo�complesso�autorganizzato;�tori�è�a�sua�volta�un�organismo�complesso�autorganizzato;�nell'incontro�tra�tori�e�uke,�nel�corso�del�trattamento�shiatsu�tori�e�uke�diventano�una�nuova�entità,�un�nuovo�organismo�complesso�autorganizzato�all'interno�del�quale�i�processi�vitali�sono�nuovi�e�diversi�ed�esprimono�potenzialità�vitali�che�né�uke,�né�tori�da�soli�possiedono.La�madre�che�abbraccia�il�bambino,�il�rapporto�tra�la�donna�in�gravidanza�e�il�bimbo�in�formazione,�il�gruppo�di�cacciatori�preistorici�che�affronta�con�lance�rudimentali�il�mammuth�sono�tutti�esempi�della�«vitalità�addizionale»�che�l'incontro�armonico�(oggi�si�usa�il�termine�«sinergia»)�tra�due�o�più�entità�può�generare.Ma�penso�che�l'esempio�più�clamorosamente�evidente�sia�l'incontro�tra�un�uomo�e�una�donna�nell'unione�sessuale:�non�solo�produce,�se�vissuto�armonicamente,�maggior�intesa,�comprensione,�unità�(tutte�dimensioni�che�possono�nascere�solo�dall'incontro�tra�due�entità),�ma�la�vitalità�dei�due�organismi�complessi�autorganizzati�si�potenzia�al�punto�da�poter�generare�la�vita,�una�vitalità�in�grado�di�esprimersi�autonomamente,�un�nuovo�organismo�complesso�autorganizzato�(in�realtà�nasce�anche�una�quarta�entità,�quella�comunemente�chiamata�famiglia�ma�che�più�generalmente�possiamo�definire�rap-porto�stabile�tra�tre�o�più�organismi;�la�famiglia�ha�dinamiche�e�processi�interni�e�relazioni�esterne�che�la�rendono�a�tutti�gli�effetti�a�sua�volta�un�organismo�complesso�autorganizzato).I�maestri�giapponesi�non�hanno�mai�usato�questa�metafora�per�descrivere�l'incontro�shiatsu�(forse�per�inibizione�culturale�o�per�non�suscitare�curiosità�deviate�da�parte�dei�profani),�ma�penso�che�volendo�trovare�una�esperienza��semplice�e�immediata�che�richiami�alla�mente�dei�più�la�potenzialità�di�manifestazione�vitale�che�si�può�esprimere�in�un�incontro�shiatsu,�l'esempio�dell'atto�sessuale,�con�la�sua�necessità�di�essere�in�due,�con�la�sua�integrazione�fisica,�emozionale�e�mentale,�con�la�sua�possibilità�di�creare�benessere�e�nuova�vitalità�in�ambedue�e�con�l'apporto�di�ambedue,�con�i�suoi�rischi�di�superficialità,�disarmonia,�uso�strumentale�e�rapporto�conflittuale�e�di�potere,�con�la�sua�possibilità�di�divenire�atto�d'amore,�sia�il�più�fedele�e�con-creto.

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14°�Passo�Un�modello�che�nasce

Un�modello�che�nasca�da�una�pratica�shiatsu

...la�pressione�delle�mani�fa�scorrere�le�sorgenti�della�vita.Tokujiro�Namikoshi

Quanto�scritto�ci�permette�di�fare�alcune�considerazioni:a. è�dalla�(e�nella)�pratica,�dai�fatti�concreti,�dalla�vita�quotidiana�che�emerge�una�esigenza�di�organizzazione�delle�esperienze,�quindi�la�creazione�di�uno�o�più�modelli�interpretativi;b. è�dall'esigenza�di�definizione�e�di�comunicazione�che�nascono�segni,�nomi,�parole,�simboli�ecc.,�che�cioè�nasce�un�linguaggio;c. ogni�modello�e�ogni�linguaggio�scaturisce�«dalla�vita»,�dal�contesto�concreto�in�cui�si�verificano�e�si�interpretano�i�fenomeni;�modelli�e�linguaggi�diventano�griglie�che�filtrano�i�fenomeni�«rilevanti»�e�quindi�sono�determinanti�per�la�selezione�e�l'interpretazione�dei�fenomeni�stessi.In�sostanza�si�crea�un�rapporto�circolare�tra�osservazione�dei�fenomeni,�esigenza�di�interpretare�e�descrivere,�strumenti�di�osservazione�e�descrizione�in�cui�ognuno�genera�l'altro�in�una�continua�evoluzione�di�fenomeni,�modelli,�linguaggi�che�sono�funzionali,�indispensabili,�espressivi,�vincolanti,�insomma�un�tutt'uno�omogeneo�che�si�può�definire�cultura�di�un�gruppo�sociale,�etnico,�professionale�ecc.In�altre�parole�modelli�e�linguaggio�nascono�dall'esigenza�di�descrivere�«la�vita»,�nascono�per�interpretare�e�comunicare,�ma�appena�cominciano�a�strutturarsi�determinano�il�modo�in�cui�il�gruppo�che�fa�l'esperienza�seleziona,�osserva�e�organizza�le�esperienze,�quindi�diventano�qualificanti�(leggi�anche�vincolanti)�per�lo�sviluppo�dell'esperienza�stessa.Posso�dare�risposta�alla�mia�esigenza�di�«afferrare»�inventando�la�rete�da�pesca�e/o�inventando�la�pinza;�è�ovvio�che�se�la�mia�soluzione�è�la�rete�da�pesca�sarò�orientato�(leggi�anche�costretto)�a�puntare�la�mia�attenzione�sul�fenomeno�«acqua�e�pesci»�e�non�sul�fenomeno�«chiodi�e�legno»,�e�sarò�spinto�a�vivere�in�riva�al�mare�e�a�fare�il�pescatore�piuttosto�che�vivere�in�prossimità�di�una�foresta�e�fare�il�falegname;�e�a�proseguire�la�mia�ricerca�su�barche�e�remi�piuttosto�che�su�assi�e�seghe.Posso�inventare�sia�rete�che�pinza�e�sarò�in�grado�di�utilizzare�un�doppio�punto�di�vista,�ampliando�la�mia�capacità�di�osservare�e�interagire�con�il�fenomeno�«afferrare»,�ma�il�problema�si�riprodurrà�quando�mi�nascerà�l'esigenza�di�«afferrare»�un�cavallo,�un�atomo�o�un�concetto;�e�ogni�scelta�che�farò�orienterà�la�mia�visione�del�mondo�e�determinerà�la�mia�capacità�di�ricerca�e�di�comprensione�della�vita.Non�è�né�giusto�né�sbagliato,�è�nell'ordine�naturale�delle�cose�che�per�camminare�e�andare�da�qualche�parte�mi�trovi�costretto�ad�ogni�bivio�e�incrocio�a�scegliere�una�delle�strade�possibili�e�che�ogni�strada�scelta�diventi�determinante�per�il�mio�percorso�futuro.Nel�fare�shiatsu�ci�troviamo�nella�condizione�di�qualcuno�che�ha�a�disposizione�una�pinza�(ottima�per�i�chiodi),�una�rete�(ottima�per�i�pesci),�una�cavezza�(ottima�per�i�cavalli)�e�debba�afferrare�una�molecola,�o�un�bambino,�o�un'idea.Se�non�abbiamo�strumenti,�linguaggi,�simboli,�modelli�nati�dalla�pratica�dello�shiatsu,�possiamo�usare�i�modelli�a�disposizione�e�realizzare,�per�tornare�agli�esempi�di�prima,�una�rete�per�afferrare�la�molecola�o�la�cavezza�per�il�bambino�(e�in�effetti�le�membrane�osmotiche�sono�reti�fittissime�ed�esistono�«guinzagli»�per�bambini�-�adattare�una�pinza�per�afferrare�un'idea�è�forse�un�po'più�difficile).Ma�probabilmente�sono�soluzioni�di�ripiego�che,�proprio�perché�sono�adattate�a�situazioni�diverse�da�quelle�che�le�hanno�generate,�mal�si�prestano�ad�interpretare�ed�esprimere�e�producono�evoluzioni�poco�coerenti�con�le�origini�(cioè�producono�confusione�e�degenerazione).Tutt'altra�cosa�rispetto�al�fenomeno�che�avviene�quando�modelli�e�linguaggi�scaturiscono�da�un�punto�di�vista�«nuovo»�che�nasce�da�un�tipo�di�esperienza�originale.I�fenomeni�che�caratterizzano�lo�shiatsu,�come�sono�emersi�dal�contesto�dei�passi�precedenti,�e�come�sono�colti�da�un�praticante�che�riesca�a�mantenere�negli�an

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ni�«la�mente�del�principiante»,�la�capacità�di�stupirsi�ogni�volta�del�fenomeno�shiatsu�senza�cedere�alla�rassicurante�tentazione�di�calare�la�rigida�griglia�di�un�modello�interpretativo�preconfezionato�su�quanto�succede�durante�la�pratica,�sono�difficilmente�interpretabili�in�maniera�esauriente�all'interno�di�modelli�e�usando�linguaggi�e�strumenti�che�non�sono�nati�dalla�pratica�dello�shiatsu.Per�fare�un�solo�esempio,�una�esperienza�comune�verificata�con�numerosi�praticanti�shiatsu�di�provata�esperienza�(ma�anche�da�principianti�«percettivi»),�quando�un�punto�si�manifesta�sotto�il�pollice�in�pressione�e�non�ci�accontentiamo�di�giocarci�nel�«qui�e�ora»�seguendone�le�evoluzioni,�ma�vogliamo�«definirlo»�e�«comunicarlo»�a�uke�o�a�un'altro�praticante,�ci�troviamo�in�imbarazzo�su�quale�modello�e�linguaggio�adottare�perché�tutti�quelli�«in�commercio»�risultano�inadeguati.Possiamo�parlare�di�duro�e�molle,�o�di�caldo�e�freddo,�o�di�vuoto�e�pieno�prendendo�termini�in�prestito�da�modelli�energetici�o�materiali,�orientali�o�occidentali,�moderni�o�antichi,�ma�in�realtà�ci�accorgiamo�che�non�esprimono�quello�che�sentiamo;�si!�è�duro�ma...;�si,�mi�sembra�vuoto�ma...�c'è�sempre�qualcosa�di�più�che�non�si�riesce�ad�esprimere�con�il�linguaggio�o�i�linguaggi�in�uso.Per�fare�un�riferimento�storico,�non�è�un�caso�che�i�termini�che�permettevano�ai�medici�cinesi�di�definire�un�polso�erano�ben�28�e�spaziavano�da�termini�semplici�e�facilmente�riferibili�ad�un�fenomeno�di�battito�cardiaco�(intermittente�o�lento)�ad�altri�che�attingevano�all'esperienza�di�vita�quotidiana�(a�stelo�di�cipolla);�altri�ancora�erano�difficilmente�comprensibili�al�di�fuori�della�ristretta�cerchia�dei�praticanti�(melmoso,�rugoso).Ma�probabilmente�far�rientrare�nelle�28�definizioni�tutte�le�situazioni�e�le�sensazioni�provate�ascoltando�un�polso�costituiva�un�notevole�sforzo�di�semplificazione�e�schematizzazione.E�in�effetti�le�descrizioni�che�scaturiscono�da�un�tentativo�di�«comunicare»�ciò�che�succede�sotto�i�pollici�dà�regolarmente�vita�ad�espressioni�originali,�alcune�dal�significato�intuibile�da�chiunque�come�«vibrante»,�«pulsante»,�altre�meno�immediate�come�«che�frigge»,�«muro�di�gomma»,�altre�ancora�da�addetti�ai�lavori�come�«legnoso»,�«gorgo»,�«soffid'aria»�ecc.Ma�è�un�discorso�che�potremo�ampliare�ad�un�livello�più�avanzato�di�pratica,�nella�fase�in�cui�lavoreremo�sull'affinamento�della�percezione�(III�percorso).

Denaro�e�successoÈ�interessante�analizzare�quanto�è�successo�in�Italia�(ma�direi�e�oserei�affermare�che�nel�resto�dell'Occidente�è�andata�peggio)�negli�anni�settanta-novanta�nell'esperienza�collettiva�dei�praticanti�di�shiatsu.Dopo�un�decennio�esaltante�in�cui�la�novità�assoluta�dell'esperienza�(mi�piace�definirla�«eversiva»�rispetto�alla�mentalità�corrente,�e�non�ha�caso�una�grossa�componente�dei�plotoni�di�entusiasti-fanatici�dello�shiatsu�dell'epoca�proveniva�dalle�fila�dei�reduci�del�'68)�aveva�mosso�vivaci�e�ricche�energie�proprio�perché�rompeva�gli�schemi�interpretativi�ufficiali�e�in�particolare�gli�schemi�della�medicina�istituzionale,�si�è�avuta�una�sorta�di�«normalizzazione».�Se�in�un�primo�tempo�si�era�determinato�un�allargamento�tumultuoso�dell'esperienza�a�frange�sempre�più�consistenti�di�delusi�dal�«sistema»�e�in�particolare�di�persone�deluse�dall'incapacità�del�«sistema»�(leggi�medicina�allopatica)�di�dare�risposta�alle�loro�richieste�di�«salute,�benessere�e�felicità»,�pian�piano�si�è�avuto�un�progressivo�adeguamento�del�mondo�dello�shiatsu�ai�modelli�correnti.In�questo�un�grosso�ruolo�l'ha�giocato�la�possibilità,�impensabile�e�insperata�agli�inizi,�di�un�possibile�sbocco�professionale�(leggi�risvolto�economico)�della�pratica�shiatsu.Un�fenomeno�analogo�e�pressoché�contemporaneo�si�è�avuto�negli�anni�settanta�per�quanto�riguarda�le�arti�marziali;�i�più�anziani�ricordano�sicuramente�gli�anni�delle�palestre�di�judo�e�karaté�piene�e�di�cinema�affollati�per�i�film�di�kung�fu.�Ma�appena�è�apparso�chiaro�che�il�mito�dell'autodifesa�-�dieci�lezioni�e�ti�spezzo�in�due�-�si�è�rivelato�per�quello�che�era,�cioè�un�bluff,�e�l'arte�marziale�si�è�rivelata�ai�più�per�quello�che�realmente�è�(una�via�lenta,�graduale,�profonda,�ripetitiva�e�faticosa�di�evoluzione�personale�fisica,�mentale�e�spirituale),�nelle�palestre�sono�rimasti�i�praticanti-ricercatori�interessati�alla�via�-�do�-�proposta�dal�maestro.

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Non�è�proprio�così�purtroppo,�il�mito�dell'arte�marziale�per�diventare�invincibile�o�almeno�sapersi�difendere�resta�un�motore�che�spinge�molti�giovani�ad�affluire�nelle�palestre,�ma�il�fenomeno�si�è�fortemente�ridimensionato�(chi�andrebbe�più�oggi�a�vedere�quei�polpettoni�di�tecniche�assurde�e�vicende�strappalacrime�made�in�Honk�Kong�dai�titoli�come�«Cinque�dita�di�violenza»�o�«Dalla�Cina�con�furore»�al�di�fuori�di�una�stretta�cerchia�di�cinefili�appassionati?).Ma�il�fatto�rilevante�è�che,�mito�o�ricerca�che�muova,�nessuno�oggi�inizia�a�praticare�un'arte�marziale�pensando�di�farne�una�professione�sia�perché�non�si�usano�più�i�guerrieri�di�ventura,�sia�perché�la�possibilità�di�professionismo�in�questo�ambito�è�fortemente�ristretta�(per�diventare�un�maestro�credibile�occorrono�troppi�anni�e�troppa�fatica�e�la�professione�di�«gorilla»�non�è,�per�i�più,�appetibile�e/o�accessibile).Nell'ambito�dello�shiatsu�invece,�stante�la�grossa�e�crescente�richiesta�di�«benessere�e�salute»,�si�è�presto�formata�una�schiera�di�professionisti�che�ha�reso�credibile�e�concreta�la�possibilità�di�«vivere�di�shiatsu»�e�spesso�anche�«vivere�bene�di�shiatsu».�E'�cresciuta�quindi�una�seconda�motivazione�che�si�è�prima�aggiunta�alla�spinta�motivazionale�della�ricerca,�si�è�poi�sovrapposta�ed�oggi�tende�a�prevalere,�supportata�anche�dai�messaggi�ben�confezionati�dei�soliti�squali�che�hanno�fiutato�il�«business»;�da�qui�il�boom�dei�corsi�e�delle�scuole�professionali�di�shiatsu�(mi�è�capitato�tra�le�mani�a�Roma�recentemente�un�depliant�che�proponeva�corsi�professionali�per�elettrauto,�programmatore�informatico�e�operatore�shiatsu).Sondaggi�motivazionali�svolti�sulle�svariate�centinaia�di�allievi�che�ogni�anno�si�iscrivono�ai�corsi�professionali�dell'Accademia�hanno�mostrato�proprio�una�decisa�evoluzione�nel�senso�sopra�descritto,�anche�se�la�motivazione�della�ricerca�per�evoluzione�personale�mantiene�ancora�oggi�un�peso�consistente.Non�c'è�nulla�di�male�in�tutto�ciò�(anche�se�il�mio�consiglio�è�di�rivolgersi�a�scuole�fondate�e�dirette�o�ad�istruttori�che�si�sono�avvicinati�allo�shiatsu�prima�del�boom;�è�un�buon�criterio�di�scelta�anche�se�sicuramente�non�basta�o�non�possiede�valore�assoluto),�anzi�si�è�rivelato�un�elemento�di�forza�dello�shiatsu�rispetto�alla�sua�capacità�di�coinvolgere�in�un�processo�evolutivo�decine�di�migliaia�di�persone.Vi�è�però�il�rischio�di�determinare�una�perdita�di�prospettiva,�un�inaridimento�delle�potenzialità�di�«eversione/evoluzione»�che�tanta�forza�e�tanta�capacità�di�aggregazione�avevano�dato�allo�shiatsu�dei�primi�anni.In�soldoni�è�successo�che�il�risvolto�economico�ha�obbligato�il�praticante�shiatsu�a�privilegiare�il�terreno�del�risultato�immediato�rispetto�alla�ricerca�e�all'evoluzione,�ha�creato�il�bisogno�di�integrarsi�con�i�modelli�vincenti�e�dominanti,�o�anche�più�semplicemente�comuni�e�facilmente�comprensibili�dall'utente�medio.Quando�qualche�potenziale�«paziente»�telefona�in�Accademia�e�chiede�se�lo�shiatsu,�che�gli�ha�consigliato�il�cognato�per�esperienza�personale,�serve�per�«la�piripinpite�termospastica»,�e�invece�di�rispondere�un�rassicurante�«certo»,�cerco�di�spiegare�«che�lo�shiatsu�stimola�la�capacità�di�autoguarigione�ecc.�ecc.�ecc.»,�sento�spesso�l'imbarazzata�perplessità�del�potenziale�uke�che�si�trova�a�far�i�conti�con�un�modo�di�approcciare�il�suo�disagio�che�gli�è�estraneo,�che�rischia�di�complicargli�la�vita,�che�cerca�di�coinvolgerlo�in�un�processo�di�cambiamento�invece�di�permettergli�di�rifugiarsi�in�mani�autorevoli�e�sicure,�delegando�il�proprio�disagio.E�spesso�intuisco�(ma�non�ci�vuole�un�intuito�speciale�per�questo)�che�il�suo�«grazie,�ci�penso�e�poi�richiamo»�significa�che�si�guarderà�bene�dal�rifarsi�vivo�perché�lui�(o�lei)�cerca�soluzioni�e�invece�ha�l'impressione�di�trovare�problemi�nuovi;�e�vi�assicuro�che�non�rispondo�in�modo�scostante�e�con�tono�superiore;�metto�nelle�cose�che�dico�e�nel�modo�di�dirle�il�massimo�di�cordialità�e�di�calore�umano�e�molti,�anche�se�restano�perplessi,�vengono�lo�stesso�proprio�perché�sentono,�al�di�là�delle�cose�strane�(per�loro)�che�dico,�vicinanza�e�attenzione�al�loro�disagio�(questo�poi�me�lo�dicono�quando�ci�conosciamo�meglio�e�sono�entrati�anche�loro�nel�gioco�dello�shiatsu).

Rinascono�le�fediIn�altre�parole,�il�praticante�alle�prime�armi�(diciamo�nei�primi�due�o�tre�anni),�o�il�praticante�più�anziano�che�ha�perso�la�capacità�di�stupirsi,�inizia�a�riferi

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re�i�fenomeni�che�incontra�nella�pratica�ai�modelli�culturali�della�propria�formazione�scolastica�o�professionale.Nella�seconda�metà�degli�anni�ottanta�si�è�iniziato�a�parlare�di�shiatsu�per�l'artrosi�e�i�problemi�mestruali,�per�il�nervo�sciatico�e�il�mal�di�schiena,�nonché�per�torcicollo,�stitichezza�e�cattiva�digestione.I�più�audaci�e�alternativi�(o�che�avevano�maturato�più�antagonismo�e/o�astio�nei�confronti�della�medicina�ufficiale)�hanno�compiuto�la�grande�scelta�storica�buttandosi�su�quel�simulacro�di�m.t.c.�che�«ci�risultava»�negli�anni�ottanta�(e�che�era�molto�di�più�-�come�aspettativa�e�sogno�-�e�molto�di�meno�-�come�reale�conoscenza�del�fenomeno�-�di�quanto�sia�oggi)�e�si�sono�aggrappati�alle�certezze�(sic!)�del�millenario�pensiero�orientale.Mi�ha�molto�consolato�e�rassicurato�nella�mia�analisi�degli�avvenimenti�che�sto�descrivendo�(e�che�è,�ovviamente,�solo�una�mia�libera�interpretazione�della�storia�dello�shiatsu)�ritrovare�una�ricostruzione�simile�nell'introduzione�ad�un�testo�breve�ma�redatto�da�autorevoli�conoscitori�ed�estimatori�della�medicina�cinese�e�dell'approccio�europeo�alla�stessa�che�scrivono:«L'incontro�con�la�cultura�cinese�e�la�sua�diffusione�in�Europa�ad�opera�di�studiosi,�missionari,�antropologi�non�è�sempre�stata�rispettosa�delle�peculiarità�dei�modi�di�vita�e�del�pensiero�di�questo�popolo.�Talora,�con�qualche�forzatura,�si�è�voluto�ritrovare�nella�cultura�cinese�il�paradiso�terrestre�privo�di�contraddizioni�dell'idealismo�illuminista.�Talora�si�è�voluto�ricercare�nelle�pratiche�mediche�tecniche�esoteriche�che�fossero�la�conferma�di�tradizioni�occidentali�analoghe.�Talora,�più�semplicemente,�la�Cina�è�servita�come�luogo�dell'inconscio�collettivo�in�cui�collocare�tutte�le�fantasie�e�le�stravaganze�che�la�bruta�realtà�occidentale�non�riusciva�a�contenere»(Larre�e�Berera,�Filosofia�della�medicina�tradizionale�cinese,�p.�7).Solo�che�l'uso�di�modelli�estranei�(e�per�molti�versi�antagonisti)�allo�shiatsu�non�è�stato�per�i�più�un�uso�provvisorio,�per�bisogno�di�codificazione�e�comunicazione,�in�attesa�che�dalla�pratica�pluriennale�di�centinaia�e�migliaia�di�appassionati�cominciasse�ad�emergere�un�nuovo�modo�di�osservare,�interpretare�ed�esprimere�ciò�che�succede�a�tori�ed�a�uke,�ma�il�modello�adottato�è�diventato�una�fede,�la�vera�spiegazione�di�ciò�che�succede�sotto�i�nostri�pollici.�Confesso�che�ci�sono�cascato�anch'io�per�parecchi�anni�e�solo�la�mia�grezza�estraneità�ai�circoli�culturali�alternativi�e�la�mia�ancestrale�diffidenza�contadino-montanara�per�la�sapienza�libresca�mi�ha�impedito�di�proseguire�sulla�brutta�china.Forse�è�tempo�di�cominciare�a�riconoscere�gli�elementi�costitutivi�dell'esperienza�shiatsu,�ad�enucleare�alcuni�fatti�riconoscibili�da�tutti�i�praticanti�che�vengano�a�costituire�i�germi�di�un�modello�e�di�un�linguaggio�originato�nella�pratica�shiatsu�su�cui�pian�piano,�tra�tentativi,�errori,�riprove,�vicoli�ciechi,�scoperte,�sbandate�e�recuperi�edificare�una�nuova�cultura,�non�intesa�come�edificio�teorico�astratto�di�massimi�sistemi,�ma�come�punto�di�vista�originale,�modo�concreto�di�procedere�nelle�esperienze�e�di�vivere�tutti�gli�aspetti�della�vita.

Dallo�shiatsu�e�per�lo�shiatsuMi�sembra�che�i�principi�base�originali�e�costituenti�il�nucleo�dell'esperienza�shiatsu�siano:a. Lo�shiatsu�si�fa�in�due,�cioè�nasce�dall'incontro�di�collaborazione�attiva�paritetica�tra�due�soggettività,�tori�e�uke.b. Nello�shiatsu�la�tecnica�di�contatto-comunicazione�è�una�sola:�la�pressione.c. Lo�shiatsu�è�realmente�una�disciplina�globale/olistica;�nello�shiatsu�non�esiste�separazione�o�distinzione�tra�fisico�e�mentale,�fra�teoria�e�pratica,�tra�fare,�avere�ed�essere.

Relazione�tra�«pari»a.�L'affermazione�«lo�shiatsu�si�fa�in�due»�può�sembrare�banale�ma�invece�si�rivela�(dopo�anni�e�migliaia�di�ore�di�pratica)�un�sovvertimento�radicale�di�tutti�i�nostri�comportamenti�e�modi�di�intendere�il�rapporto�con�noi�stessi�e�gli�altri.Nel�trattamento�shiatsu�tori�entra�in�tutta�la�sua�completezza,�unità,�autonomia�e�indipendenza�e�uke�entra�in�tutta�la�sua�completezza,�unità,�autonomia�e�indipend

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enza;�e�se�lo�shiatsu�funziona�(anzi�nella�misura�in�cui�funziona)�tori�e�uke�diventano,�mantenendo�la�loro�individualità�totale,�una�nuova�entità�che�costruisce�un�proprio�nuovo�assetto�di�completezza�ecc.�in�cui�sia�tori�che�uke�portano�attivamente�la�propria�parte�con�quanto�di�armonico�e�disarmonico�possiedono.Ma�incredibilmente,�se�l'approccio�è�corretto�(e�qui�ci�supporta�la�tecnica�evoluta),�ne�nasce�un�risveglio�vitale,�un�potenziamento�delle�facoltà,�una�esaltazione�delle�qualità�migliori�sia�in�uke�che�in�tori�che�genera�benessere�in�tutti�e�due.Rende�bene�l'idea�la�solita�immagine�della�madre�che�abbraccia�il�bambino,�ma�forse�ancor�più�l'immagine�del�risveglio�vitale�che�la�crescita�di�una�nuova�vita�produce�nell'organismo�della�donna�in�gravidanza,�dove�l'incontro�tra�madre�e�figlio�crea�un�crescendo�concatenato�di�vita�e�benessere�nell'uno�e�nell'altra.�È�il�risveglio�culturale�e�di�pensiero�(ma�anche�biologico)�che�nasce�dall'incontro�di�due�popoli,�due�culture,�due�tradizioni�quando�interagiscono�sinergicamente;�o�il�ruolo�concretamente�dinamico�nell'incontro�tra�le�specie�animali�e�vegetali�che�rende�preziosa,�anzi�indispensabile,�la�diversità�biologica.Si�può�obiettare�che�a�volte�la�gravidanza�ha�effetti�distruttivi�sulla�donna,�che�il�più�delle�volte�due�popoli�e�due�culture�non�si�incontrano�ma�si�scontrano�cercando�di�distruggersi�per�prevalere�ecc.;�ma�proprio�per�questo�che�è�l'incontro�nello�shiatsu�e�non�l'incontro�generico�(in�autostrada,�auto�contro�auto;�in�sala�operatoria,�bisturi�contro�pelle;�sul�ring,�guantone�contro�mascella�ecc.)�che�genera�questi�effetti.Perché�nello�shiatsu�la�tipologia�di�contatto�(pressione�statica),�la�tecnica�adeguata�(pressioni�rispettose�e�attente�alle�risposte�di�uke)�e�l'addestramento�della�parte�più�preparata�(il�praticante�shiatsu�lavora�per�anni�per�essere�adeguato�all'incontro,�anche�per�compensare�l'impreparazione�e�le�condizioni�particolari�di�uke)�sono�tali�da�garantire,�e�nella�stragrande�maggioranza�dei�casi�garantiscono,�che�l'incontro�sia�costruttivo�e�realizzi�il�miglior�risveglio�delle�energie�dei�due�«partecipanti�al�fenomeno».In�Accademia�diciamo�sempre�che�se�lo�shiatsu�non�fa�bene�contemporaneamente�sia�a�tori�che�a�uke,�c'è�qualcosa�di�importante�da�rivedere;�non�è�una�fede,�è�un'evidenza�sperimentale.E�non�c'è�una�parte�attiva�e�una�passiva,�una�ignara�e�l'altra�che�sa,�una�che�si�affida�e�l'altra�che�decide.Al�di�là�dell'apparente�movimento�di�tori�e�abbandono�di�uke,�se�allo�stimolo�di�tori�non�corrisponde�la�risposta�di�uke�non�c'è�incontro,�non�c'è�cambiamento,�non�c'è�shiatsu,�non�succede�niente.E'�solo�dall'incontro�tra�gli�stimoli�mirati�di�tori�e�la�risposta�vitale�puntuale�e�vivace�di�uke�che�nasce�il�cambiamento�e�il�benessere�di�ambedue.E�visto�che�in�genere�il�cambiamento�è�più�intenso�ed�evidente�in�uke,�se�volessimo�scegliere�una�parte�più�attiva,�dovremmo�nella�maggioranza�dei�casi�privilegiare�uke,�la�parte�apparentemente�inerte.Quanto�a�sapere�o�essere�ignari,�è�proprio�la�sapienza�dell'organismo�(nel�senso�più�profondo)�di�uke�che�sa�di�cosa�ha�bisogno�a�orientare�gli�effetti�e�i�risultati,�anche�sul�piano�sintomatico.Tutto�questo�è�clamoroso�nella�pratica�del�kata,�la�forma�codificata,�in�cui�a�trattamento�praticamente�uguale�per�tutti�gli�uke�rispondono�effetti�benefici�diversi:�lo�stressato�si�rilassa,�l'ipotonico�si�risveglia,�la�parte�dolorante�si�normalizza�(che�sia�un�piede,�una�spalla�o�la�testa)�anche�se�queste�situazioni�erano�ignote�all'operatore;�e�che�dire�quando�un�trattamento�richiestoper�il�mal�di�schiena�(e�mirato�a�questo)�ha�effetti�benefici�invece�sull'insonnia�che�non�era�stata�dichiarata?�o�quando�trattando�per�la�stitichezza�passa�l'emicrania,�aumenta�l'appetito�e�la�mattina�uke�si�ritrova�ad�andare,�dopo�anni�che�non�succedeva,�al�lavoro�canticchiando?E�infine�è�proprio�l'atteggiamento�passivo�del�«paziente»�e�la�posizione�di�potere�del�«terapeuta»�che�si�verifica�nelle�medicine�di�tutti�i�tempi�e�di�tutte�le�culture�(né�più�né�meno�come�nel�rapporto�tra�sofferente�e�stregone�delle�società�primitive),�in�cui�una�parte�ignora�cosa�gli�sta�succedendo�e�si�affida�a�colui�che�sa�ed�è�in�grado�di�interpretare�i�fenomeni�ed�intervenire,�che�è�estraneo�allo�shiatsu.Ambroise�Paré,�grande�clinico,�soleva�ripetere�«io�ho�curato,�Dio�ha�guarito»;��penso�che�nello�shiatsu�si�debba�affermare�«io�e�uke�siamo�entrati�in�comunicazione�attr

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averso�le�pressioni�e�la�nostra�vitalità�si�è�risvegliata».

Azione�e�reazioneb.�In�una�determinata�fase�dell'evoluzione�può�essere�utile�introdurre�alcuni�modelli�per�una�interpretazione�delle�manifestazioni�di�uke;�si�utilizzano�sia�i�fenomeni�riferiti�da�uke�(non�solo�manifestazioni�di�disagi�-�leggi�sintomi�-�ma�anche�di�caratteristiche�tipiche�della�persona�-�«preferisco�il�caldo,�sudo�raramente,�ottimista�di�carattere»),�ma�anche�e�soprattutto�le�manifestazioni�che�tori�scopre�«premendo»�punti�e�zone�di�uke.�Vengono�chiamati,�probabilmente�in�forma�impropria,�modelli�di�diagnosi.Ma�è�indispensabile�chiarire�(spesso�fino�alla�noia)�che�nello�shiatsu�non�esiste�la�possibilità�di�separare�il�momento�della�diagnosi�da�quello�del�trattamento,�in�pratica�non�esiste�separazione�fra�diagnosi�e�trattamento.La�modalità�in�cui�si�realizza�il�contatto,�la�comunicazione�nello�shiatsu�è�la�pressione;�nella�pressione�avviene�la�comunicazione�a�due�vie,�lo�scambio�tra�uke�e�tori�che�produce�il�cambiamento.È�impossibile�scindere�lo�stimolo�dato�dalla�pressione�di�tori�dalla�risposta�di�uke,�non�c'è�un�prima�e�un�poi,�non�c'è�una�causa�e�un�effetto,�non�c'è�una�azione�e�una�reazione.E'�la�strada�che�sostiene�il�pneumatico�o�il�pneumatico�che�preme�sulla�strada,�è�la�nave�che�galleggia�sull'acqua�o�l'acqua�che�sostiene�la�nave,�è�la�terra�che�ruota�nell'universo�o�l'universo�che�si�muove�attorno�alla�terra,�è�la�madre�che�ama�suo�figlio�o�il�bambino�che�ama�la�madre;�qualsiasi�separazione�nei�fenomeni�reali�si�può�operare�solo�nell'ambito�dei�differenti�punti�di�vista�o�delle�differenti�intenzioni.Nella�pressione�si�può�artificiosamente�(e�temporaneamente�all'interno�di�,�un�processo�formativo)�separare�la�pressione�per�«raccogliere�informazioni»dalla�pressione�per�«indurre�un�cambiamento»�solo�nella�soggettività�di�tori�giocando�sulla�sua�attenzione�e�sulla�sua�intenzione.In�altre�parole�tori�può�fare�delle�pressioni�su�punti�e�zone�particolari�soffermando�la�sua�attenzione�sulla�valutazione�del�punto�(per�esempio�è�duro�o�molle),�ma�mentre�fa�ciò�comunque�uke�risponde�sul�punto�premuto�e�usa�quello�stimolo�per�cambiare.Tori�può�fare�una�pressione�intenzionato�a�produrre�un�cambiamento�su�quel�punto�o�più�in�generale,�ma�la�risposta�che�gli�perviene�nello�stesso�atto�e�la�consapevolezza�di�cambiamento�in�atto�che�gliene�deriva�comunque�integra�il�suo�quadro�di�informazione�e�influenza�il�suo�comportamento�futuro�(le�pressioni�che�seguiranno).Se�questo�è�vero,�e�ritengo�che�tutto�ciò�sia�ovvia�esperienza�quotidiana�di�quanti�pratichino�almeno�due�o�tre�ore�al�giorno�da�almeno�dieci�anni,�l'introduzione�in�qualsiasi�modo�nella�pratica�shiatsu�di�distinzioni�tra�diagnosi,�terapia�e�prognosi�sia�una�banale�contraddizione�in�termini.L'uso�stesso�di�termini�come�diagnosi,�terapista,�prognosi,�anamnesi,�cura�non�hanno�ragione�di�essere�perché�l'evento�rilevante�nello�shiatsu�è�«il�cambiamento»�(preferirei�usare�il�termine�evoluzione�ma�forse�è�troppo�ambizioso�per�esprimere�il�comune�cambiamento�nella�maggioranza�degli�incontri�shiatsu).Tutto�ciò,�ripeto,�salvo�un�uso�temporaneo,�circoscritto�e�trasparente�(cioè�motivato�correttamente�fino�allo�sfinimento)�in�una�determinata�fase�di�formazione�in�cui�può�essere�produttivo�focalizzare�l'attenzione�dell'apprendista�su�aspetti�parziali�di�un�fenomeno�globale.Proprio�perché�il�termine�crea�(ed�è�creato�da)�l'immagine�e�l'immagine�influisce�sul�fenomeno,�in�Accademia�stiamo�procedendo�ad�una�radicale�«rieducazione»�personale�e�collettiva�tramite�l'adozione�di�termini�che�siano�adeguati�a�non�interferire�e�possibilmente�a�favorire�il�fenomeno�shiatsu,�scartando�invece�termini�(e�atteggiamenti�conseguenti)�nati�e�prosperanti�nel�mondo�della�medicina�o�in�altri�universi�diversi�dallo�shiatsu.Non�massaggio�shiatsu�o�terapia�shiatsu�ma�trattamento�o�forse�meglio�ancora�incontro�shiatsu;�non�diagnosi�e�prognosi�ma�analisi�delle�manifestazioni�e�scelte�per�il�trattamento;�non�terapista�e�paziente�ma�tori�e�uke�(colui�che�preme�e�colui�che�risponde);�non�sintomi,�malattia,�cura�e�guarigione�ma�manifestazioni�(s

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enza�valore�positivo/negativo),�ciclo�di�trattamenti�o�incontri,�cambiamento,�risveglio�vitale�ecc.Non�è�un�processo�né�rapido�né�facile�ma�pensiamo�che�sia�indispensabile�se�vogliamo�che�lo�shiatsu�torni�(o�cominci)�ad�essere�se�stesso�e�trovi�capacità�di�evoluzione�in�un�quadro�di�termini,�modelli�e�linguaggi�che�non�ne�tarpi�le�possibilità�e�non�ne�produca�la�degenerazione.�Qualsiasi�civiltà�costretta�ad�utilizzare�modelli�e�linguaggi�generati�in�altri�contesti�si�è�estinta�(o�grandemente�involuta�e�impoverita)�e�nessun�fenomeno�che�non�abbia�creato�nuovi�modelli�e�un�nuovo�linguaggio�è�mai�riuscito�a�progredire�e�maturare.�Credo�che�questo�sia�vero�anche�per�quel�nuovo�modo�di�accostarsi�alla�realtà,�quel�nuovo�universo�chiamato�shiatsu.Corollario�pratico:�se�volete�imparare�lo�shiatsu,�o�incontrare�lo�shiatsu�per�essere�aiutati�ad�affrontare�vostri�disagi,�evitate�scuole,�istruttori�e�praticanti�che�facciano�prevalentemente�agopuntura,�omeopatia,�bioenergetica,�macrobiotica�ecc.Il�tipico�e�diffusissimo�terapista�alternativo�che�vi�riceve�sottoponendovi�a�decine�di�domande,�analisi�con�strumenti�più�o�meno�complessi�(dal�bio-tensor�agli�apparati�che�fotografano�l'aura),�dedicando�poche�decine�di�minuti�alle�pressioni�e�concludendo�l'incontro�con�la�proposta�di�assumere�erbe,�farmaci�omeopatici�e/o�spagirici,�fiori�di�Bach,�aromi�e�chi�più�ne�ha�più�ne�metta,�comprese�tecniche�di�guarigione�con�pratiche�esoteriche,�cristalli,�apparecchi�elettronici�ecc.,�con�lo�shiatsu�ha�poco�da�spartire.Magari�è�bravissimo�in�altre�discipline,�ma�sicuramente�non�è�interessato�(e�probabilmente�neanche�in�grado)�a�collaborare�con�voi�per�una�reale�esperienza�di�shiatsu.Analogamente,�se�incontrate�una�scuola�o�un�istruttore�che�attribuisce�troppa�importanza�e�dedica�ore�e�ore�ad�introdurre�e�praticare�discipline�diverse�(anatomia�e�fisiologia�occidentale,�medicina�tradizionale�cinese,�macrobiotica,�bioenergetica,�yoga�nelle�sue�mille�forme,�mantra,�psicoanalisi�o�analisi�comportamentale,�reiki,�discipline�esoteriche�africane,�sudamericane,�nordamericane�o�di�altre�provenienze�ecc.)�probabilmente�è�meglio�iscriversi�da�un'altra�parte.Magari�sono�estremamente�professionali�nel�praticare�ed�insegnare�altre�discipline�interessanti�e�valide�ma�non�sono�una�via�adeguata�per�entrare�«direttamente»�(e�probabilmente�neanche�produttivamente)�nell'universo�dello�shiatsu.

Corpo�e�mentec.�Caratteristica�universale�e�vincente�di�tutte�le�discipline�orientali�è�la�dimensione�globale,�olistica.Un�primo�aspetto�di�questa�globalità�si�può�riconoscere�nella�«pari�dignità»�che�si�assegna�alla�dimensione�fisica;�di�più�all'inevitabile�processo�di�integrazione,�attraverso�la�pratica�fisica,�della�potenza�e�dell'equilibrio�del�corpo�nell'armonia�generale�dell'individuo.La�nostra�civiltà�tende�a�relegare�il�benessere�fisico�a�un�rango�di�secondo�piano,�a�una�cosa�per�giovani�(o�per�mantenere�la�giovinezza);�per�essere�poi�presentato�sul�mercato�nell'aspetto�«forma�fisica»�come�un�mito�da�raggiungere,�un�prodotto�da�comperare�(e�da�vendere)�per�apparire�e�primeggiare�in�qualche�modo.Si�arriva�al�paradosso�di�rovinarsi�e�distruggersi�la�salute�per�«apparire»�in�forma�con�l'assunzione�di�anabolizzanti,�le�diete�estreme�e�in�genere�le�pratiche�e�gli�allenamenti�esasperati�che�in�vista�di�un�risultato�creano�seri�scompensi�all'organismo.Nello�shiatsu�invece�esiste�una�pratica�fisica�che�è�indispensabile�costruzione�di�un�equilibrio�che�non�può�non�essere�globale;�la�scioltezza�articolare,�la�libertà�e�il�ritmo�nei�movimenti,�la�centratura�sul�baricentro�fisico�ed�energetico,�la�respirazione�che�rafforza�l'hara,�la�potenza�muscolare�e�il�controllo�spontaneo�del�peso�sono�tutti�aspetti�di�una�pratica�che�crea�benessere�in�perfetta�(progressiva)�sintonia�con�la�calma�della�mente�e�delle�emozioni�e�la�strutturazione�di�una�armonia�globale�(mi�azzarderei�a�definirla�spirituale�se�non�sapessi�che�la�parola�spirito�sottintende�nel�vissuto�di�molti�una�tal�miriade�di�significati�sui�quali�non�intendo�in�questa�sede�aprire�il�confronto).

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Bodhidharma�non�poteva�fare�a�meno�di�sorridere.�La�vista�dei�monaci�piegati�in�due�dal�freddo�che�cercavano�protezione�dai�morsi�del�vento�rannicchiandosi�nelle�loro�vesti�gli�causava�grande�ilarità.�Sembravano�pulcini�bagnati.�Ecco�qui�uomini�che�dedicavano�tutte�le�loro�forze�alla�ricerca�dell'illuminazione,�che�venivano�costretti�a�correre�ai�ripari�da�una�piccola�tempesta.�Aspiranti�santi�senza�la�forza�di�resistere�a�un�poco�di�freddo.�I�loro�spiriti�erano�il�riflesso�del�loro�fisico.�Deboli,�curvi,�sgraziati.�Avevano�dimenticato�che�nei�loro�corpi�c'erano�i�semi�di�quelle�stesse�forze�che�facevano�saltare�i�daini�sulle�montagne.�Le�stesse�forze�usate�dalle�tigri�in�combattimento�e�dagli�uccelli�in�volo.�Talmente�occupati�a�studiare�i�sutra�da�dimenticarsi�del�sutra�scritto�nel�corpo.�Come�potevano�pensare�di�diventare�dei�buddha,�uomini�che�camminavano�come�bibliotecari�acciaccati?�...il�mondo�non�sarebbe�stato�più�lo�stesso�se�uno�qualsiasi�fra�i�profeti�occidentali�fosse�stato�folgorato�dalla�stessa�intuizione�di�Bodhidharma...�Probabilmente�l'intera�cultura�occidentale�sarebbe�drasticamente�diversa.�Nessuna�rivalità�tra�spirito�e�corpo.�Nessuna�gara�di�tiro�alla�corda�tra�l'anima�che�anela�al�cielo�e�il�corpo�che�la�imprigiona�a�terra�invece�di�incattivirsi�il�carattere�litigando�con�il�nostro�fisico�e�con�il�mondo�naturale,�potremmo�lasciare�che�spiritualità�e�sensualità�danzino�guancia�a�guancia.�Non�penso�che�sia�un'esagerazione�dire�che�la�maggior�parte�dei�problemi�umani�ha�radici�in�un�cattivo�rapporto�con�il�corpo...�Nietzsche�aggiunge:�«una�mera�disciplina�educativa�di�sentimenti�e�di�pensiero�è�zero...�si�deve�prima�di�tutto�persuadere�il�corpo».�Tutto�il�potere�alla�mente�e�solo�le�briciole�al�corpo...�o�intellettuali�o�atleti,�o�creativi�o�pragmatici...�Cosa�di�buono�può�venire�da�una�filosofia�creata�da�individui�dalle�spalle�curve�e�dal�corpo�avvizzito?�Come�ci�si�può�fidare�delle�idee�di�chi�conosce�i�banchi�di�una�biblioteca�meglio�del�proprio�corpo?�Avere�un�corpo�perfetto�non�è�importante�quanto�saperne�ascoltare�la�voce.�Nel�momento�in�cui,�durante�un�allenamento,�la�mente�razionale�rallenta�il�ritmo�del�flusso�del�pensiero,�il�corpo�comincia�a�svelarci�i�suoi�segreti.�La�consapevolezza�è�libera�di�viaggiare�da�un�muscolo�all'altro�e�di�accedere�a�forze�sconosciute�a�chi�non�sa�andare�oltre�l'attività�cerebrale.�Per�qualche�minuto�o�per�qualche�ora,�l'identità�sociale�viene�lasciata�alle�spalle.�Il�nostro�nome,�la�nostra�professione,�le�nostre�idee�cessano�di�avere�importanza.�L'unica�cosa�che�conta�sono�i�fiumi�di�energia�che�ci�scorrono�dentro....Questa�non�è�solo�un'esperienza�fisica,�ma�spirituale.�Trasforma�non�solo�il�corpo�ma�anche�il�carattere.�La�personalità�di�chi�sa�entrare�in�contatto�con�questa�dimensione�cambia�anche�in�ogni�attimo�della�vita�di�tutti�i�giorni,�durante�lo�stato�ordinario�di�coscienza.�Cambia�il�modo�di�muoversi,�di�parlare.�Cambia�il�modo�di�affrontare�l'esistenza....�C'è�una�differenza�spaventosa�tra�chi�sperimenta�la�propria�forza�soltanto�attraverso�la�mente�e�chi�la�sperimenta�anche�nel�corpo».D.�Bolelli,�La�tenera�arte�del�guerrieroE�questo�non�teorizzando�come�possono�fare�i�cultori�della�medicina�psicosomatica�seduti�su�una�poltrona�o�ad�una�cattedra/scrivania,�ma�portando�il�praticante�shiatsu�ad�essere,�anche�in�età�non�più�verde,�sempre�in�rapporto�armonico�con�il�proprio�corpo.Non�mi�dilungo�sull'assenza�di�qualsiasi�possibilità�di�separazione�nello�shiatsu�tra�teoria�e�pratica.Ciò�è�vero�non�solo�perché�i�modelli�nello�shiatsu�non�possono�che�essere�strumenti�pratici�di�orientamento�nella�sequenza�delle�pressioni;�non�solo�gli�insegnamenti�degli�antichi�(o�anche�solo�dei�più�anziani)�non�possono�costituire�niente�di�più�che�indicazioni�per�la�ricerca�personale�del�praticante�visto�che�l'incontro�tra�tori�e�uke�è�sempre�diverso�e�costruisce�rapporti,�relazioni,�interdipendenze�ed�eventi�ogni�volta�nuovi.Ma�soprattutto�perché�è�proprio�nella�pratica�dello�shiatsu�che�si�supera�nel�vissuto�di�tori�la�separazione�tra�percezione�e�scelta�razionale,�tra�reazione�istintiva�e�applicazione�scolastica�di�modelli,�tra�visione�globale�e�immersione�nel�particolare;�una�esperienza�di�riunificazione�progressiva�insomma�di�quelle�che�vengono�comunemente�proposte�come�funzioni�distinte�e�attribuite�agli�emisferi�sinistro�e�destro�del�cervello.Non�so�se�e�quanto�nel�portare�il�pollice�a�premere�una�zona�sul�polpaccio�di�uke�sono�guidato�dagli�«spiriti�che�dimorano�in�me»�o�attratto�dal�«punto�che�chiama»,�com

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e�scrivono�gli�antichi�testi�di�medicina�cinese;�o�se�mi�guida�invece�l'intuizione�e�l'istinto�(ma�forse�è�la�stessa�cosa).Oppure�se�mi�guida�la�scelta�di�proseguire�lungo�un�percorso�energetico�conosciuto�che�ho�trovato�alterato�sulla�coscia,�o�ancora�l'indicazione�scaturita�da�un�sintomo�o�un�disturbo�dichiarato�poco�prima�da�uke�o�da�connessioni�anatomico-funzionali�che�ho�studiato�(lo�sciatico�è�legato�a...).Probabilmente,�anzi�sicuramente,�tutti�questi�elementi�sono�presenti�nelle�mie�scelte�operative�(ma�sono�poi�proprio�mie�le�scelte?�e�uke�che�ci�fa?�e�la�natura?�e�gli�spiriti?�e�Dio/Allah/Manitou/Tao/Inconscio�ecc.?).Anzi�probabilmente�le�mie�scelte�operative�nascono�da�un�guazzabuglio�armonico�di�tutto�quanto�elencato�sopra�che,�nella�misura�in�cui�entro�nel�vero�incontro�shiatsu,�si�somma,�anzi�si�fonde�in�quell'altro�guazzabuglio�armonico�che�è�uke�e�ne�nasce�un�nuovo,�più�evoluto�e�più�armonico�guazzabuglio.Mi�riservo�di�ampliare�più�avanti�un�discorso�sull'articolazione�di�tutte�le�esperienze,�e�in�particolare�dell'immersione�nello�shiatsu,�nella�dimensione�del�fare,�dell'avere�e�dell'essere;�alcune�considerazioni�pratiche�mi�scaturiscono�spontanee.�Un�caro�amico,�praticante�shiatsu�da�oltre�vent'anni,�ripete�sempre:�l'impegno�fisico�(e�la�vera�e�propria�fatica�nel�training�di�apprendimento�e�di�prima�evoluzione)�nella�pratica�dello�shiatsu�non�lascia�spazio�alle�masturbazioni�mentali�degli�esoteristi,�ai�deliri�di�onnipotenza�dei�guaritori,�ai�voli�fantastici�dei�mistici,�alle�ansie�di�affermazione�degli�arrivisti,�ai�calcoli�monetari�degli�affaristi;�e�in�effetti�in�genere�gli�esoteristi,�i�guaritori,�i�mistici,�gli�arrivisti�e�gli�affaristi�hanno�la�schiena�fragile�e�i�pollici�delicati.Mi�viene�difficile�immaginare�il�primario�di�un�ospedale,�l'erborista�del�negozio�sotto�casa,�il�parroco�del�quartiere,�l'intellettuale�di�sinistra�o�il�salumiere�del�mercato�rionale�impegnato�in�un'ora�di�pressioni�su�uke�disteso�a�terra�traendone�e�donando�benessere.Ho�un�sostanzioso�e�reale�rispetto�per�primari,�erboristi,�parroci,�intellettuali�e�salumieri�(ammiro�svisceratamente�tutte�le�persone�che�svolgono�con�competenza�e�passione�la�loro�professione,�qualunque�essa�sia),�ma�sono�convinto�che�lo�shiatsu�(e�poche�altre�discipline)�abbia�una�marcia�in�più.E'�una�pratica�che�ricostruisce�una�sostanziale�unità�tra�tutti�gli�aspetti�dell'uomo,�che�non�separa�e�contrappone�dimensione�mentale,�emozionale,�razionale,�psichica,�spirituale,�(ho�messo�alla�rinfusa�tutti�gli�aggettivi�che�utilizziamo�quando�intendiamo�alludere�a�qualcosa�di�non�fisico)�e�dimensione�fisica.

Segnali�preoccupantiDiffidate�da�chi�vi�propone�un'esperienza�di�shiatsu�mostrando�di�sottovalutare�la�fisicità�(propria�e�degli�altri)�e�articolando�l'esperienza�in�teoria�e�pratica.Se�volete�un'incontro/trattamento�shiatsu�e�vedete�che�«il�terapista»�vi�riceve�afflosciato�in�una�comoda�poltrona,�si�dilunga�in�lunghi�conversari�annotando�(magari�su�computer)�la�vostra�scheda�segnaletica;�consulta�libri�e�mappe�per�documentarsi�sui�vostri�sintomi,�vi�fa�una�breve�sequenza�di�pressioni�su�un�lettino�più�o�meno�alto�(perché�altrimenti�suda,�o�gli�fa�male�la�schiena�o�le�ginocchia),�e�vi�congeda�con�una�serie�di�prescrizioni�di�prodotti�«alternativi»,�se�è�lo�shiatsu�che�vi�interessa�è�probabilmente�meglio�che�cancelliate�quel�numero�di�telefono�dalla�vostra�agenda.Se�iscrivendovi�a�un�corso�di�shiatsu�vi�è�consegnato�un�programma�fitto�di�argomenti�«teorici»�(magari�diligentemente�separati�dalle�esercitazioni�pratiche�anche�come�monte�ore),�vi�trovate�di�fronte�un�«docente»�in�giacca�e�cravatta�e�lavagna�(magari�luminosa)�o�comunque�non�in�«abiti�da�lavoro»�adatti�a�inginocchiarsi�e�muoversi�a�terra;�se�vi�trovate�tra�le�mani�una'circostanziata�dispensa�che�vi�illustra�le�migliori�e�più�sofisticate�teorie�orientali�e�occidentali�sulla�malattia,�anatomia,�patologia,�fisiologia,�eziologia�e�altre�parole�che�finiscono�in�«ia»�o�spaventosamente�attraenti�per�la�vostra�dimensione�razionale�(come�omeostasi,�propriocezione�ecc.);�se�infine�entro�un'ora�dall'inizio�del�corso�non�avete�ancora�visto�il�«docente»�in�ginocchio�a�dimostrare�concretamente�la�prima�forma�o�tecnica�invitandovi�a�fare�altrettanto;�anche�se�avete�già�pagato�la�caparra�e�la�prima�rata,�vi

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�consiglio�vivamente�di�alzarvi�e�cambiare�aria�(chiudendo�la�porta�senza�sbatterla�per�favore).�Restando�buttereste�solo�via�le�vostre�energie�e�il�vostro�tempo,�oltre�che�altro�denaro.

Le�vertiginiVale�forse�la�pena�di�fare�un�caso�concreto,�reale,�che�permetta�una�facile�comprensione�di�cosa�succede�quando�«uke»�chiama.Nei�primi�giorni�di�agosto�(pochi�giorni�prima�della�stesura�di�questo�testo)�rientrando�a�Milano�ricevo�la�telefonata�di�un�amico.Mi�dice�che�la�moglie�è�a�letto�da�una�settimana�e�non�riesce�a�muoversi�perché,�come�accenna�ad�alzarsi�o�anche�solo�a�girare�la�testa,�viene�presa�da�violente�vertigini,�le�gira�tutto�attorno�e�vomita.Nel�corso�della�settimana�era�stata�vista�da�due�medici,�ricoverata�in�ospedale,�curata�in�varie�maniere�ma�non�era�cambiato�nulla�ed�era�fortemente�preoccupato;�si�rivolgeva�a�me�perché,�visti�i�buoni�risultati�registrati�recentemente�con�la�madre�(dolori�alla�schiena,�pressione�alta�e�glaucoma)�e�su�una�figlia�(postumi�di�frattura�di�una�vertebra�per�incidente�stradale),�si�chiedeva�se�avrei�potuto�far�qualcosa�per�la�«vertiginosa».Essendo�l'amico�che�chiamava�ormai�un�veterano�(per�interposta�persona)�nella�compartecipazione�in�trattamenti�shiatsu,�ho�potuto�saltare�le�precisazioni�che�abitualmente�faccio�a�chi�mi�interpella�per�telefono:�che�lo�shiatsu�non�è�una�medicina�(né�alternativa,�né�convenzionale,�né�naturale�ecc.)�e�quindi�non�si�pone�in�alternativa�alle�cure�mediche,�che�non�cura�questo�o�quel�malanno,�ma�che�è�uno�stimolo�alla�vitalità�di�uke�affinché�ritrovi�un�proprio�miglior�equilibrio�ecc.Per�cui�mi�sono�limitato�a�chiedere�qualche�altra�informazione�e�ho�promesso�che�sarei�andato�a�trovarli.A�questo�punto,�nei�fatti,�si�è�posto�il�problema�di�quale�approccio�avrei�dovuto�«scegliere»,�quale�modello�avrei�adottato�come�referente�per�il�trattamento�shiatsu�che�andavo�a�fare.Il�fatto�che�avessi�appena�scritto�e�stessi�scrivendo�le�pagine�precedenti�a�queste�mi�rendeva�particolarmente�consapevole�dell'alternativa,�ma�è�un'alternativa�che�in�realtà�qualunque�operatore�shiatsu�si�trova�ad�operare�ogni�volta�che�fa�un�trattamento.Primo|possibile�approccio:�avrei�potuto�puntare�l'attenzione�sul�sintomo�principale�-�vertigini�-�e�gli�altri�sintomi�(modello�riduzionista);�riepilogare�le�indicazioni�sintomatiche�accumulate�nella�memoria�e�nell'esperienza�in�vent'anni�di�onorato�servizio;�eventualmente�integrarle�sfogliando�qualche�prontuario�di�agopuntura�e�shiatsu�(il�mondo�ne�è�pieno�e�anche�la�mia�libreria)�e�arrivare�dalla�«vertiginosa»�con�baldanzosa�sicurezza�e�un�nutrito�bagaglio�di�punti,�zone�e�canali�da�trattare1.Secondo�possibile�approccio:�avrei�potuto�invece�ragionare�sulla�base�delle�mie�(scarse)�conoscenze�scientifico-anatomico-patologiche�riconducendole�ai�massimi�sistemi�della�m.t.c.;�ragionamenti�del�tipo:�le�vertigini�-�l'organo�dell'equilibrio�-�l'orecchio�interno�-�nei�cinque�movimenti�orecchio/reni�-�canali�sulle�gambe�-�Triplice�Riscaldatore�che�circola�in�zona�orecchio,�Masunaga�cita�il�Fegato�ecc.;�questo�approccio�mi�avrebbe�portato�a�«sentire»�sulla�persona�sofferente�le�zone�di�«analisi�energetica»�con�le�pressioni�per�stabilire�se�le�ipotesi�elucubrate�trovavano�conferma�e�via�con�il�trattamento�conseguente;�in�questo�caso�avrei�usato�un�approccio�in�cui�ponevo�in�mutua�collaborazione�il�modello�scientifico�occidentale�e�il�modello�m.t.c.|�Un�terzo�tipo�di�approccio�sarebbe�stato�possibile�arrivando�dalla�«sofferente»�senza�alcuna�idea�precostituita�e�«tuffarmi�nella�glicerina»�come�il�solito�topolino;�avrei�potuto�iniziare�ad�operare�pressioni�attente�e�rispettose�nelle�zone�raggiungibili�nella�posizione�più�comoda�per�uke�e�sulla�base�delle�risposte�percepite,�procedere�nel�trattamento�in�un�dialogo�senza�pretese�curative�ma�accompagnando�la�persona�sofferente�ad�una�condizione�di�miglior�benessere�e�piena�vitalità.Erano�i�giorni�in�cui�stavo�scrivendo�il�Passo�sul�taoismo�e,�potenza�dell'autosuggestione,�ovviamente�ho�scelto�il�terzo�approccio;�anche�se�nell'operare�mi�accorgevo�che,�taoismo�o�non�taoismo,�le�mie�mani�erano�da�un�lato�guidate�dall'intuizione,�dalla�comunicazione�intima�che�si�creava�con�uke,�dagli�«spiriti�che�dim

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orano�in�me»�che�flirtavano�con�«gli�spiriti�radicati�e�i�soffi�che�si�incrociavano»�nella�signora,�ma�dall'altro�spesso�ciò�che�orientava�il�mio�agire�nasceva�dalle�conoscenze�e�dalle�esperienze�positive�fatte�nei�molti�anni�di�pratica�sulla�base�di�modelli�ormai�incorporati,�ormai�divenuti�per�me�un�tutto�inscindibile�e�un�riflesso�spontaneo�inevitabile.�Per�fare�un�esempio,�poteva�succedere�che�premendo�con�un�pollice�sotto�l'orecchio�e�trovando�un�punto�«interessante»,�lampeggiasse�nella�mia�mente�una�spia�luminosa�con�scritto�«Triplice�Riscaldatore»�e�l'altra�mano�si�spostasse�spontaneamente�a�premere�sul�braccio�per�sentire�se�c'era�qualche�risposta;�o�che�se�uke�mi�comunicava�che�la�sera�prima�aveva�vomitato�un�bicchiere�di�liquido�verdastro,�la�mano�andasse�spontaneamente�a�«sentire»�lo�yu�della�Vescicola�Biliare�e�così�via.Non�sempre�avveniva�ciò,�per�lunghi�minuti�le�mani�si�muovevano�spontaneamente,�ma�di�tanto�in�tanto�la�mente�(e�i�modelli�ivi�subdolamente�annidati)�si�metteva�in�mezzo�e�collaborava�all'opera.Non�per�nulla�una�delle�costruzioni�più�affascinanti�della�pratica�dello�shiat-�su�do�è�una�progressiva�interazione,�collaborazione,�integrazione,�oserei�dire�unità�mente/corpo1.1�Forse�al�lettore�sarà�sorta�la�curiosità�di�sapere�l'esito�dei�trattamenti�shiatsu�nella�situazione�descritta;�ovviamente�i�risultati�sono�stati�notevoli�(un�miglioramento�generale�progressivo�con�totale�scomparsa�del�disturbo�e�dei�disturbi�collaterali�in�nove�giorni�con�cinque�trattamenti);�dico�ovviamente�perché�non�avrei�portato�ad�esempio�un�caso�di�insuccesso.

Ma�vi�garantisco�che�gli�insuccessi�non�sono�infrequenti,�anche�nello�shiatsu;�ma�in�genere�il�professionista�ben�addestrato�trova�modo�di�dare�la�colpa�al�comportamento�incoerente�e�non�collaborativo�di�uke.Per�me�resta�invece�sempre�un�mistero,�sia�quando�funziona�che�quando�non�funziona�(e�qui�mi�rifaccio�al�modello�della�complessità);�rifacendomi�invece�al�modello�della�fisica�quantistica,�a�richiesta,�mi�limito�a�dire�che�è�molto�probabile�che�lo�shiatsu�funzioni.�La�frase�tipo�che�adopero�è:�«in�base�alle�esperienze�passate,�posso�affermare�che,�in�genere,�funziona».

��Nota�importante,�anche�il�nominare�la�persona�allettata�la�«vertiginosa»�è�tipico�dell'approccio�riduzionista�-�spesso�negli�ospedali�le�persone�sono�chiamate�per�numero�di�letto�-�il�24�-�o�in�maniera�più�umana�con�la�patologia�che�affligge�la�persona�in�oggetto�-�l'ulcera�del�24.

15°�Passo�L'Accademia�Italiana�Shiatsu�do,�una�esperienza�originale

Una�corretta�postura�per�sciogliere�la�respirazione;�una�respirazione�profonda�per�un�giusto�atteggiamento�mentale;�una�concentrazione�rilassata�per�liberare�e�muovere�l'energia...�e�con�ciò�raggiungere�la�tecnica�corretta,�il�contatto�profondo,�l'unione�con�la�vitalità�della�persona�trattata.

Quando�nel�gennaio�del�1985�invitai�a�Milano�per�un�incontro�tutti�i�praticanti�shiatsu�«anziani»�che�conoscevo�e�a�cui�riconoscevo�un�sincero�coinvolgimento�in�un�processo�di�evoluzione�nello�shiatsu,�avevo�un'idea�precisa�su�cosa�poteva�aiutarci�e�aiutare�lo�shiatsu�nella�crescita.Era�un�momento�in�cui�lo�shiatsu�stava�da�un�lato�esaurendo�la�sua�spinta�originaria�«puramente»�dilettantistica.Esistevano�ancora�circoli�in�cui�ci�si�incontrava�per�il�semplice�scopo�e�gusto�di�praticare�shiatsu�assieme�«gratis�et�amore»;�esistevano�alcuni�gruppi�con�connotazioni�più�o�meno�dichiaratamente�«religiose»�in�senso�lato�(dai�movimenti�macrobiotici,�ai�dojo�zen,�agli�arancioni�ecc.)�che�avevano�inserito�lo�shiatsu�come�pratica�complementare�sia�come�possibilità�ulteriore�di�attrazione�nei�confronti�di�nuovi�adepti,�sia�come�attività�integrativa�economica.Ma�si�stava�aprendo�la�fase�del�professionismo,�sulla�base�del�successo�economic

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o�di�numerosi�(si�fa�per�dire�perché�si�trattava�di�poche�decine�di�persone)�praticanti�e�iniziavano�a�sorgere�le�prime�«scuole�professionali».L'ipotesi�di�lavoro�su�cui�mi�muovevo�era�semplice:�è�possibile�creare�un�ambito�di�collaborazione�tra�le�esperienze�più�avanzate�di�shiatsu�in�Italia�per�dar�vita�a�una�realtà�di�insegnamento?Eravamo�interessati�a�costruirla?Ci�confrontammo�su�un�progetto�strutturato�sull'obiettivo�di�proporre�una�via�evolutiva�attraverso�lo�shiatsu�(shiatsu�do)�che�fosse�in�grado�di:�a.�Valorizzare�e�presentare�le�radici�originali�dell'esperienza.�In�altre�parole�di�attingere�la�spinta�evolutiva�nella�pratica�dello�shiatsu�senza�ridurlo�ad�una�tecnica�ancillare�rispetto�ad�altre�pratiche�o�fedi�(macrobiotica,�za-�zen,�bioenergetica,�la�via�proposta�da�questo�o�quel�maestro�ecc.).b. Esprimere�livelli�tecnici�elevati,�costruiti�in�una�ricerca�rispettosa�della�tradizione�e�protesa�ad�una�evoluzione�che�nascesse�nella�pratica�assidua,�tali�da�rispondere�alle�richieste�di�«professionalità»�che�scaturivano�dal�sociale�senza�perdere�contatto�con�le�radici�più�autentiche;�in�una�frase�«senza�vendere�l'anima»,�ma�al�contrario�sviluppando�coerentemente�le�radici�più�essenziali.c. Costruire�un�metodo�di�apprendimento�capace�di�valorizzare,�mutuando�dalle�tradizioni�più�autentiche�orientali�e�occidentali,�le�caratteristiche�«universali�e�umane»�degli�apprendisti�che�si�sarebbero�avvicinati,�prevedevamo��numerosi,�al�mondo�dello�shiatsu.d. Puntare�a�far�tutto�ciò�senza�«un�maestro»,�costruendo�un�ambito�in�cui�l'interazione�tra�i�soggetti�coinvolti�creasse�un�organismo�«intelligente»�in�cui�si�esprimesse�l'autorevolezza�e�non�il�potere;�il�gioco�quindi�di�funzioni,�ruoli,�organismi,�responsabilità�individuali�e�di�gruppo�che�diventasse�ambito�di�sempre�maggior�consapevolezza�e�capacità�di�collaborazione�per�«nuovi»�ed�«anziani».I�due�anni�«costitutivi»�che�seguirono,�fatti�di�incontri,�dibattiti,�sperimentazioni,�scontri,�avvicinamenti�di�nuovi�praticanti�e�«porte�sbattute»�da�anziani�in�dissenso,�penso�costituiscano�tuttora�una�esperienza�unica�e,�per�quanti�l'hanno�vissuta,�eccezionale.La�scelta�di�non�avere�«maestri»,�in�un�ambito�che�creasse�all'esperienza�dell'anziano�modi�autorevoli�di�esprimersi�senza�togliere�spazio�alla�sperimentazione�del�più�giovane,�ha�creato�dinamiche�assolutamente�inedite�e�originali�ed�ha�costituito�una�potente�spinta�alla�ricerca,�al�confronto�e�all'evoluzione.Un�esempio�per�tutti:�tradizionalmente�la�pratica�del�maestro�dava�vita�alla�forma�codificata,�il�kata,�che�veniva�riproposto�al�neofita�come�pratica�per�l'apprendimento;�il�kata�veniva�proposto�come�forma�immutabile�e�si�stratificava�nella�pratica�del�maestro�e�cresceva�con�lui,�si�evolveva�per�diventare�poi�patrimonio�di�una�scuola�per�venire�ripreso�e�interpretato�dal�nuovo�maestro�e�così�via.Nell'Accademia�la�scelta�della�pratica�del�kata�come�veicolo�privilegiato�di�apprendimento�ha�dovuto�fare�i�conti�con�dinamiche�totalmente�diverse;�questo�perché�la�forma�è�scaturita�e�si�è�evoluta�non�nella�pratica�omogenea�di�un�singolo,�ma�nel�confronto,�oserei�dire�nella�sovrapposizione�dell'esperienza�di�decine�di�praticanti�anziani.A�dodici�anni�dai�primi�rissosi�confronti�sulla�forma�della�«passeggiata»�in�un�monastero�vicino�a�Siena,�possiamo�dire�che�l'esperienza�è�stata�ampiamente�positiva�se�è�vero,�come�è�vero,�che�l'unica�esperienza�di�kata�nati�dalla�pratica�dello�shiatsu�in�Occidente�e�per�opera�di�occidentali�è�costituita�dai�kata�dell'Accademia�Italiana�Shiatsu�do.E�si�tratta�di�forme�che�esprimono�tecniche�e�contenuti�profondamente�innovativi�e�proficuamente�evolutivi�rispetto�alle�forme�sviluppate�in�Giappone.Ma�entreremo�nel�merito�in�maniera�esauriente�nella�parte�tecnica�e�ancor�più�nel�II�percorso,�il�prossimo�testo�sul�«fare».

Mille�iniziativeNei�primi�anni�novanta�la�diffusione�delle�scuole�professionali�(o�sedicenti�tali)�e�la�vasta�divulgazione�della�moda�dello�shiatsu�rischiavano�di�spazzare�anche�la�memoria�dello�shiatsu�delle�origini,�quello�libero�dai�condizionamenti�economici,�lo�shiatsu�praticato�per�pura�passione.I�praticanti�nell'Accademia�hanno�scelto�di�preservare�e�rivalutare�lo�shiatsu�a

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matoriale,�dando�vita�alle�sedi�locali,�luoghi�(e�ne�sono�sorte�una�quindicina�in�pochi�anni�nelle�principali�città�d'Italia)�in�cui�l'aggregazione�nasce�dal�puro�e�semplice�piacere�di|praticare�e�apprendere�lo�shiatsu)Sono�un�luogo�fisico�in�cui�tutti�i�protagonisti�dell'evento�shiatsu�(uke�desiderosi�di�miglior�benessere,�praticanti�apprendisti�in�formazione,�diplomati�in�tirocinio,�istruttori�anziani�impegnati�nella�ricerca,�insomma�tutti�i�livelli�e�le�espressioni�della�pratica�shiatsu)�trovano�spazio�di�espressione�e�di�crescita.Ma�non�basta;�l'esigenza�di�confrontarsi�sulle�esperienze�che�scaturiscono�dalla�partecipazione�comune�all'evento�shiatsu�ha�dato�vita�a�momenti�culturali�nelle�sedi�(dibattiti,�conferenze,�gruppi�di�studio)�e�ad�una�rivista�a�larga�diffusione.E�ancora�a�momenti�aggregativi�per�costruire�sbocchi�lavorativi�comuni:�(i�centri�incontro�shiatsu�«Shin�Wa»);�strutture�di�formazione�e�aggiornamento�per�quanti�sono�impegnati�nell'insegnamento�dello�shiatsu;�strutture�per�la�tutela�assicurativa,�fiscale�ecc.L'Accademia�Italiana�Shiatsu�do�è,�in�una�sola�immagine,�il�tentativo�di�creare�lo�spazio�perché�la�dirompente�forza�innovativa�del�modello�shiatsu�possa�esprimersi�nel�vissuto�del�singolo,�del�gruppo�e�nel�sociale.In�questo�sta�l'originalità�e�la�forza�della�nostra�esperienza.�

16°�Passo�La�scuola�del�«fare»

Chi�sa�non�parla,�chiparla�non�sa.Lao�Tzu

Qual�è�il�giusto�approccio,�o�meglio�l'approccio�più�produttivo�allo�shiatsu�per�apprenderlo,�qual�è�la�via�più�diretta�ed�essenziale�al�cuore�dello�shiatsu�do?Sono�tre�i�poli�che�costituiscono�i�riferimenti�tra�cui�si�gioca�qualsiasi�processo�educativo-formativo,�in�un�rapporto�ben�definito�(e�consapevole�nel�caso�dell'Accademia)�scelto,�verificato�corso�per�corso�ed�evoluto�introducendo�varianti�e�diverse�articolazioni�fino�ad�ottenere�un�«prodotto�ben�confezionato»,�un�processo�che�produce�realmente�apprendimento�(shiatsu)�ed�evoluzione�(shiatsu�do).Possiamo�denominare�e�rappresentare�in�modo�diverso�e�vario�questi�tre�poli,�ma�in�sostanza�consistono�in:a. dimensione�tecnica,�cioè�dimensione�del�fare;b. dimensione�scientifica,�cioè�dimensione�del�sapere�o�dell'avere;c. dimensione�artistica,�cioè�dimensione�dell'essere.Faccio�un�esempio:�se�propongo�agli�allievi�una�tecnica�respiratoria�(ad�esempio�la�respirazione�quadrata)�dicendo�loro�che�produce�un�determinato�effetto�(per�esempio�rafforza�il�carattere�e�aumenta�la�potenza�sessuale)�sto�operando�nella�dimensione�dell'avere,�cioè�consegno�un'informazione�che�l'allievo�incorpora�nel�suo�bagaglio�di�conoscenze.�Se�poi�l'allievo�pratica�la�tecnica�descrittagli�entra�nella�dimensione�del�fare;�se�poi�effettivamente�il�suo�carattere�si�rafforza�entra�nella�dimensione�dell'essere.Questo�tipo�di�approccio�si�denomina�comunemente�metodo�deduttivo;�la�centralità�in�questo�metodo�sta�nell'enunciazione�della�regola,�modello,�legge�ecc.�data�come�vera�per�definizione�(per�lo�meno�fino�ad�evidente�prova�contraria).�Normalmente�nell'insegnamento�deduttivo�è�poco�rilevante�il�fatto�che�poi�l'allievo:a.�ci�provi,�entrando�nella�dimensione�del�fare,�e�ci�provi�con�l'atteggiamento�del�ricercatore�che�parte�dall'esperienza�altrui�per�costruire�la�propriaesperienza�e�non�fidandosi�ciecamente�dello�schema�proposto�(è�l'unico�tipo�di�esperienza�formativa�non�vanificata�e�svuotata�dai�preconcetti);�b.�ottenga�realmente�un�rafforzamento�del�suo�carattere�e�realizzi�un'evoluzione�proiettandolo�nella�dimensione�dell'essere�(condizione�perché�si�possa�esprimere�in�modo�nuovo�e�creativo�-�dimensione�artistica).�È�questo�il�modo�in�cui�siamo�st

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ati�abituati�ad�imparare�nella�scuola�occidentale�dei�nostri�giorni�(e�in�Oriente�probabilmente�in�questa�epoca�è�ancora�peggio,�anche�se�il�prolungarsi�in�quelle�terre�del�medioevo�ha�meno�stravolto�e�sradicato�le�tradizioni�di�apprendimento�induttivo).Non�sto�a�disquisire�sulle�cause�e�sui�presupposti�che�hanno�condotto�a�questa�situazione,�ma�l'insegnamento�attuale�(e�nostro�malgrado�ne�siamo�profondamente�impregnati)�è�tutto�incentrato�sulla�dimensione�dell'avere�perché�ai�tempi�nostri�non�c'è�tempo�di�provare,�sperimentare,�cercare,�cambiare,�evolvere;�tutti�hanno�fretta�di�imparare�subito�e�in�questo�modo�imparare�significa�trovare�verità�preconfezionate,�o�tecniche�riproducibili�subito�e�senza�fatica,�che�si�possano�sintetizzare�in�appunti,�dispense,�manuali.Ed�è�il�modo�in�cui�gran�parte�delle�scuole�e�degli�istruttori�insegna�shiatsu,�ed�è�il�modo�in�cui�spontaneamente�gli�allievi�si�predispongono�ad�imparare�lo�shiatsu.�Al�centro�la�teoria,�la�parte�più�importante,�che�viene�fornita�da�libri�e�dispense.�La�pratica�è�relegata�alle�ore�di�corso�che�restano,�svolta�la�teoria�e,�fuori�dal�corso,�se�e�quando�rimane�del�tempo;�tanto�le�cose�importanti�si�sono�capite.L'introduzione�nel�curriculum�dell'Accademia�della�pratica�obbligatoria�(oltre�le�ore�di�corso�e�in�altro�ambito)�ha�determinato�un�grosso�salto�di�qualità,�obbligando�gli�allievi�ad�uscire�dalla�logica�«prendo�gli�appunti�e�così�imparo,�quando�avrò�tempo�ci�provo»�o�peggio�ancora�«non�serve�neanche�che�prenda�gli�appunti,�tanto�poi�c'è�la�dispensa».Nel�metodo�induttivo�invece�si�parte�dal�fare,�dalla�pratica�orientata�dal-l'istruttore.�La�funzione�fondamentale�dell'istruttore�consiste�nel:1. far�vedere�come�pratica�lui;2. proporre�esperienze�«produttive»�all'apprendista�in�base�alla�propria�esperienza�e�in�base�alla�rivisitazione�consapevole�della�propria�esperienza;3. trasmettere�attraverso�la�pratica�quello�che�è�(lui�l'istruttore)�.�In�questo�senso�l'anzianità�di�servizio�(leggi�esperienza)�è�un�requisito�indispensabile�-�non�sufficiente�ma�indispensabile�-�per�esprimere�qualità,�e�quindi�un�istruttore�giovane,�per�quanto�intelligente,�furbo�e�tecnicamente�evoluto,�non�può�esprimere�alti�livelli�qualitativi,�se�non�come�portatore�di�un�metodo�prodotto�da�un'esperienza�collettiva�(al�cui�interno�l'anzianità�si�esprima�autorevolmente).Il�rapporto�tra�il�fare�e�l'avere�(per�esempio:�...�i�canali�energetici�passano�di�qui...)�si�basa�su�due�presupposti:a. viene�proposto�un�sapere�già�definito�solo�come�struttura�di�servizio�per�il�fare;b. il�sapere�già�strutturato�viene�proposto�come�ipotesi�di�lavoro�che�nasce�dal�fare�di�chi�ha�praticato�prima,�da�verificare�nella�pratica�personale�per�progredire�nella�conoscenza�(ogni�generazione�sale�sulle�spalle�della�generazione�precedente,�diceva�Einstein).Fare,�avere�ed�essere�sono�strettamente�intrecciati�in�qualsiasi�processo�formativo,�ma�possiamo�identificare�nel�curriculum�formativo�proposto�dall'Accademia�una�accentuazione�di�ciascun�polo�in�ciascuna�fase:�1�fase:�dimensione�tecnica,�del�fare.2�fase:�dimensione�scientifica,�dell'avere�(o�del�sapere�in�quanto�equivalente�di�avere�nozioni�e�informazioni).�3fase:�dimensione�artistica,�dell'essere.

Praticar�la�teoriaÈ�indispensabile�partire�dal�«fare».Lo�shiatsu�do,�lo�shiatsu�come�via�di�evoluzione�che�costruisce�(superando�la�frattura�teoria-pratica�imperante�nel�mondo�attuale�e�determinante�nella�nostra�formazione�di�uomini�del�nostro�tempo)�una�nuova�unità�mente-corpo,�all'interno�della�quale�anche�i�modelli�«teorici»�sono�recuperati�a�un'utilità�concreta,�formativa.Resta�però�determinante,�per�una�reale�crescita�nello�shiatsu�e�attraverso�lo�shiatsu,�il�momento�in�cui�si�colloca�l'acquisizione�della�conoscenza�dei�modelli�elaborati�da�chi�ha�praticato�prima�di�noi.E'�affascinante�vedere�gli�atleti�di�alto�livello�che�si�cimentano�nelle�gare�di�atletica;�l'azione�del�velocista�o�del�lanciatore,�potente�e�spontanea,�sicuram

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ente�è�carica�di�tecnica�e�di�scienza;�tecnica�e�scienza�che�si�sono�incorporate�nelle�caratteristiche�globali�dell'atleta,�sono�diventate�parte�del�suo�modo�di�correre,�di�lanciare,�di�essere.La�tecnica�acquisita�e�la�scienza�appresa�non�è�più�disgiungibile�nella�sua�complessa�e�complessiva�capacità�di�esprimersi�dalle�caratteristiche�fisiche,�dall'istinto�di�gara,�dall'intelligenza�tattica,�dal�senso�della�posizione�e�del�movimento�nello�spazio.Analizziamo�per�esempio�lo�stile�e�i�movimenti�di�un�corridore�sugli�ostacoli,�sintesi�di�doti�fisiche,�allenamento�e�tecnica�raffinata;�possiamo�valutare�quando�ha�iniziato�a�integrare�conoscenze�e�tecniche�nel�suo�movimento?�Quando�l'allenatore,�o�l'istruttore,�o�il�direttore�tecnico�ha�iniziato�ad�intervenire�sulla�sua�formazione�proponendogli�modelli�di�comportamento,�di�azione,�di�riferimento;�in�parole�di�uso�comune,�quando�ha�iniziato�ad�affrontare�la�«teoria»�della�sua�disciplina?Non�credo�al�primo�approccio�con�il�movimento�delle�gambe,�ai�primi�salti,�alle�prime�corse;�come�tutti,�il�futuro�campione�ha�imparato�prima�a�camminare�imitando�gli�adulti�che�vedeva,�ha�provato�i�primi�salti�per�gioco�e�le�prime�corse�per�rincorrere�la�palla,�avendo�come�unico�modello�pratico�qualcuno�che�stava�in�piedi,�camminava,�correva,�saltava.Solo�quando,�dopo�anni�e�anni�di�pratica,�aveva�consolidato�le�proprie�tecniche�elementari,�qualcuno�si�è�azzardato�a�parlargli�di�tecniche�per�migliorare�il�suo�movimento,�a�proporgli�nuove�conoscenze�«teoriche»�che,�integrate�con�altri�anni�di�pratica�nel�suo�stile,�potevano�migliorare�i�suoi�risultati�agonistici.Non�si�capisce�perché�nell'apprendimento�dello�shiatsu�non�debba�essere�così;�perché�qualcuno�pensi�che�si�debba�prima�«spiegare�la�teoria»�e�poi�applicarla�nella�pratica.Nell'Accademia�il�processo�di�crescita�proposto�si�svolge�in�armonia�con�il�naturale�crescere�della�persona�in�qualsiasi�ambito�e�forma�di�espressioneumana.

La�nostra�propostaNelle�prime�esperienze�la�proposta�è�l'imitazione�pratica�e�giocosa�(giocosa�in�quanto�libera�nella�sua�espressione,�senza�la�preoccupazione�di�perseguire�un�obiettivo�professionale)�perché�il�gioco�è�il�veicolo�privilegiato�di�apprendimento�nelle�esperienze�elementari.�Senza�per�questo�essere�superficiale�o�poco�serio�per�il�bambino�il�gioco�è�una�cosa�estremamente�seria,�ci�si�impegna�con�la�massima�applicazione,�appunto�per�questo�divertendosi.I�bambini�non�si�stancano�mai�di�ripetere�e�ripetere�finché�non�acquisiscono�pienamente.�Analogamente�al�centro�della�prima�fase�è�posta�l'imitazione�dell'istruttore�nell'eseguire�e�ripetere�posizioni�e�movimenti�elementari�ma�essenziali�nella�pratica�dello�shiatsu,�codificati�in�forme�da�ripetere.Nel�secondo�momento�si�tratta�di�fare,�con�la�mente�sgombra�e�il�corpo�che�si�muove�sempre�più�libero�e�spontaneo�eseguendo�correttamente�una�tecnica�mostrata�dall'istruttore;�ancora�una�volta�poche�sono�le�parole�perché�si�tratta�di�imitare�una�azione�codificata�nel�kata�(una�forma�finalizzata�all'acquisizione�dell'automatismo�nelle'secuzione�della�tecnica).Il�gioco�lascia�il�posto�all'accuratezza�della�pratica�e�al�perfezionamento�della�tecnica�perché�in�questa�fase�l'obiettivo�dichiarato�diviene�la�capacità�di�creare�benessere�in�uke.�I�primi�modelli�proposti�sono�solo�tracce�per�orientare�la�pratica.Nel�terzo�momento,�costruita�ad�un�livello�accettabile�la�condizione�di�pratica�spontanea,�di�tecnica�immediata,�siamo�pronti�per�acquisire�dei�modelli,�quelli�più�utili�e�adatti�alla�pratica�dello�shiatsu,�da�integrare�nell'universo�di�pressioni�immediate�che�ci�stiamo�costruendo.Si�tratta�di�continuare�a�fare�le�pressioni�e�nel�contempo�costruire�le�condizioni�per�avere�uno�o�più�quadri�di�riferimento,�schemi�che�ci�orientino�nell'interpretazione�di�quanto�succede�e�nella�scelta�di�dove�e�come�premere.�I�modelli�adottati�sono�idonei�a�focalizzare�l'attenzione,�nel�corso�dellapratica,�su�ciò�che�succede�durante�le�pressioni,�per�sviluppare�la�percezione�della�risposta�di�uke;�lo�shiatsu�diventa�interazione�a�due,�consapevolmente

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vissuta.Nel�quarto�momento�si�comincia�a�costruire�l'integrazione�globale�delle�esperienze�fatte;�come�descritto�nell'esempio�di�«incontro�shiatsu»�del�14°�Passo,�le�conoscenze�acquisite�praticando�con�la�guida�dei�modelli�adottati�si�fondono�nell'azione�spontanea�e�si�apre�la�fase�dell'essere�shiatsu;�la�pratica�non�è�più�ripetizione�grezza�di�modelli�codificati,�e�neppure�applicazione�pedissequa�degli�schemi�appresi,�ma�libera�espressione�creativa�e�consapevole,�immediata�e�capace�di�far�tesoro�delle�esperienze.Sconsìglio�vivamente�di�iscriversi�ad�una�scuola�di�shiatsu�gestita�da�istruttori�ai�primi�anni�di�esperienza;�come�e�successo�a�tutti,�devono�farsi�un�minimo�(almeno�una�decina�d'anni)�di�esperienza�prima�di�padroneggiare�le�dinamiche�di�apprendimento.Ci�siamo�passati�tutti�ma�non�è�necessario�ricominciare�sempre�da�zero;�e�soprattutto,�perché�dovete�essere�voi�a�fare�da�cavie�per�giovani�istruttori�che�non�hanno�la�pazienza�e�l'umiltà�di�attingere�conoscenze�e�farsi�un�tirocinio�collaborando�con�istruttori�di�provata�esperienza?��

17°�Passo�Noiosamente�ripetitivo�ma..

Repetita�juvantdetto�latino

"Cosa�vuol�dire�praticare?�Quale�parte�della�propria�esistenza�bisogna�destinare�alla�pratica?�Tutti�i�giorni?"�Tutto�il�tempo,�sì,�bisogna�allenarsi�tutto�il�tempo,�ma�allora�la�parola�allenamento�acquista�un�nuovo�senso.�E'�sviluppare�la�coscienza�del�propriocorpo�che�diventa�l'essenziale�dell'allenamento.�Non�è�soltanto�muoversi�intensivamente,�ripetendo�e�sudando.

Certamente,�all'inizio�dell'apprendimento,�occorre�passare�attraverso�la�ripetizione�delle�tecniche�e�dei�movimenti.�Ma�a�partire�dal�momento�in�cui�siprende�coscienza�della�pratica�energetica�attraverso�la�respirazione,�l'immagine�del�corpo,�ecc,�quando�si�è�acquisita�una�disponibilità�nella�percezionedel�proprio�corpo�e�dell'esterno,�tutto�quel�che�si�fa�può�divenire�un�allenamento.

Vivere�bene�diventa�l'allenamento."�K.Tokitsu,�"L'arte�del�combattere".

Un�tempo�si�usava�dire�«lo�shiatsu�non�si�impara,�si�diventa»�e�con�ciò�si�voleva�manifestare�la�globalità�di�coinvolgimento�e�trasformazione�che�la�pratica�dello�shiatsu�induceva�«necessariamente»�nelle�persone�che�si�accostavano�e�si�immergevano�nell'universo�shiatsu.Quando�poi�il�mercato�si�è�aperto�alla�professione�shiatsu�e�si�sono�creati�spazi�lavorativi�che�chiedevano�operatori,�la�necessità�di�essere�(o�apparire)�credibili�agli�occhi�dei�potenziali�allievi,�dei�futuri�clienti�e,�dulcis�in�fundo,�delle�istituzioni,�ha�indotto�nei�primi�anni�ottanta�tutti�coloro�che�insegnavano�shiatsu�a�istituire�corsi�«professionali»,�modellandoli�(chi�più,�chi�meno)�sull'esempio�della�scuola�di�stato.�Ed�era�impossibile�che�avvenisse�diversamente.Nel�nostro�universo�culturale�la�serietà�scientifica�di�una�disciplina�(e�quindi�la�sua�credibilità�sociale)�si�basa:a. su�una�teoria�solidamente�strutturata�che�regga�l'esame�critico�della�«così�autodefinitasi»�comunità�scientifica,�o�quanto�meno�che�convinca�e�gratifichi�sufficientemente�la�«voglia�di�sapere»�dell'aspirante�iscritto�ai�corsi.b. sull'applicabilità�pronta�e�immediata�della�teoria�mediante�la�riducibilità�in�indicazioni,�procedure,�prontuari,�protocolli�di�attuazione�che�possano�guidare�l'apprendista�prima,�l'operatore�poi�nell'uso�della�tecnica,�scienza�o�arte�nella�realtà�concreta�della�professione.

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Ma�l'universo�shiatsu�è�un'altra�cosa!Nella�pratica�dello�shiatsu�il�nodo�centrale�è�la�comunicazione�tra�le�due�persone�poinvolte�nell'incontro;�e�l'incontro�tra�le�due�«soggettività»�di�uke�e�tori�si�gioca�ogni�volta�in�modo�nuovo�e�irripetibile;�«accade»�in�modo�imprevedibile�e�creativo�nella�ricerca�di�contatto,�di�risposta�agli�stimoli�della�pressione,�di�risonanza�tra�la�vitalità�di�uke�e�di�tori.Il�successo�dell'evento�shiatsu�non�nasce�dall'applicazione�pratica�di�un�prontuario�di�punti�da�premere�basato�su�una�teoria�(fisiologia�e�anatomia,�medicina�cinese�ecc.),�ma�dalla�capacità�del�praticante�di�realizzare�un�contatto�profondo�ed�efficace�con�la�vitalità�della�persona�trattata.L'apprendimento�dello�shiatsu,�o�meglio�l'evoluzione�nello�shiatsu�non�si�gioca�nella�dimensione�del�sapere�o�dell'avere�(conoscere�le�teorie�o�avere�un�prontuario)�ma�del�fare�e�dell'essere.Lo�shiatsu�non�si�impara�ma�siprogredisce�nello�shiatsu�attraverso�la�praticaSiamo�stati�tratti�clamorosamente�in�inganno�dai�primi�libri�dei�maestri�giapponesi�che�hanno�posto�al�centro�della�nostra�attenzione�l'approccio�sintomatico,�indicandoci�protocolli�operativi�o�interpretazioni�energetiche�(�per�il�torcicollo,�per�l'impotenza�premere�qua�e�là,�pancia�gonfia�e�piedi�freddi�uguale�milza�kyo�ecc.),�inserendo�lo�shiatsu�a�pieno�titolo�nell'universo�patologico�dominante�nella�nostra�epoca;�prontamente�imitati�da�pressoché�tutti�gli�epigoni�occidentali.Alla�faccia�delle�enunciazioni�di�principio�tipo�«lo�shiatsu�è�il�contatto�della�madre�che�abbraccia�il�bambino»�o�«lo�shiatsu�stimola�la�capacità�di�autoguarigione�della�persona�trattata».Quando�mai�la�madre�abbraccia�il�bambino�per�curargli�il�nervo�sciatico,�o�che�mostro�di�mamma�abbraccia�il�bambino�solo�per�curargli�un�malanno?�oppure�se�è�la�capacità�di�autoguarigione�di�uke�che�interviene�in�risposta�alla�pressione,�come�faccio�a�«dirigere»�la�sua�capacità�di�autoguarigione�verso�l'obiettivo�che�mi�propone�il�prontuario?�Se�premo�i�punti�per�l'insonnia�e�invece�la�sua�capacità�di�autoguarigione�regolarizza�il�ciclo�mestruale,�come�la�mettiamo?�Dove�lo�butto�il�prontuario?

Un�fatto�che�ritengo�incontrovertibile�perché�appartiene�all'esperienza�di�tutti�i�praticanti�è�che�lo�stesso�kata�eseguito�su�dieci�persone�produce�dieci�effetti�diversi,�anzi�produce�effetti�diversi�anche�se�praticato�in�momenti�diversi�sulla�stessa�persona.Ma�questo�non�stupisce,�anzi�appare�banalmente�ovvio�se�lo�shiatsu�viene�visto�come�incontro�tra�due�soggetti�in�perenne�evoluzione.Non�so�perché�i�primi�maestri�giapponesi�abbiano�divulgato�in�questa�forma�lo�shiatsu;�forse�per�stimolare�curiosità�e�interesse,�forse�per�facilitare�la�pratica�ai�[neofiti,]�o�forse�perché�erano�essi�stessi�immersi�fino�al�collo�nella�cultura�patologica�della�nostra�epoca.Appare�però�certo�che�lo�shiatsu�in�questa�cultura�della�teoria�distinta�dalla�pratica,�del�sintomo�come�obiettivo�del�trattamento,�del�prontuario�come�guida�all'evoluzione,�ci�sta�stretto.

Quanti�anni�ci�vogliono�per�parlare�bene�l'inglese?A�una�domanda�del�genere�è�evidentemente�impossibile�rispondere.�Chiunque�abbia�un�minimo�di�buon�senso�non�potrebbe�rispondere�altro�che�«dipende�dalla�pratica�che�uno�si�trova�a�fare».Se�uno�fa�un�corso�serale�del�Comune�di�due�ore�alla�settimana�probabilmente�dopo�tre�anni�sta�ancora�imparando�le�regolette�di�grammatica�e�i�primi�cento�vocaboli;�se�uno�si�trasferisce�in�Australia�in�mezzo�a�persone�che�parlano�solo�inglese�e�che�lo�impegnano�in�lunghi�dibattiti�sui�massimi�sistemi�e�in�assidue�letture�in�lingua,�oltre�che�a�dover�provvedere�da�solo�a�tutte�le�incombenze�quotidiane,�sono�certo�che�in�sei�mesi�consolida�una�notevole�padronanza�della�lingua.Analoga�risposta�si�otterrebbe�con�la�domanda:�«quanti�anni�ci�vogliono�per�guidare�bene�un'automobile?»�(Il�caso�di�colui�che�guida�tutto�il�giorno�in�mezzo�al�traffico�perché�fa�il�tassista�e�guida�sui�tornanti�andando�in�montagna�tutte�le�domeniche�è�diverso�da�quello�del�guidatore�della�domenica�che�per�unica�pratica�compie�il�tragitto�casa-chiesa�e�chiesa-casa).�Lo�stesso�si�può�rispondere�a�tutte�le�d

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omande�simili�relative�a�discipline�che�non�siano�«teorie�astratte»�ma�che�costituiscano�momenti�di�vita�reale.È�rimasta�comunque,�nella�nostra�cultura�e�nel�nostro�modo�di�pensare,�una�stima�della�pratica�come�prova�di�competenza�-�«sono�vent'anni�che�faccio�questo�mestiere!»�-�anche�a�livello�istituzionale,�basti�pensare�alle�«ore�di�volo»�come�base�minima�per�valutare�la�competenza�e�l'affidabilità�di�un�pilota.Eppure�le�scuole�professionali�di�shiatsu�hanno�deciso�che�per�imparare�lo�shiatsu�ci�vogliono�tre�anni�(o�due�o�quattro)�a�prescindere�dalla�quantità�di�pratica�e�dal�contesto�in�cui�tale�pratica�si�svolge.�Nella�stragrande�maggioranza�dei�casi�(e�sicuramente�per�tutte�le�scuole�professionali�dell'ultima�generazione)�è�successo�che�prima�è�stato�deciso�che�il�curriculum�era�triennale�e�poi�ci�si�è�messi�a�pensare�come�riempire�dignitosamente�(e�magari�utilmente)�quei�tre�anni.Si�è�posto�il�curriculum�come�filo�conduttore�di�un�processo�evolutivo�e�non�la�quantità�e�la�qualità�della�pratica�come�elemento�centrale�di�un�progresso�a�cui�il�curriculum�è�subordinato�e�finalizzato.Sintomi�precisi�di�questo�capovolgimento�delle�priorità�sono�i�programmi�delle�scuole�stracolmi�di�«argomenti�affascinanti»�per�il�potenziale�iscritto,�la�priorità�e�la�separatezza�della�teoria�dalla�pratica,�in�alcuni�casi�il�divieto�a�praticare�al�di�fuori�del�corso�durante�i�primi�anni�e,�coronamento�del�processo,�l'esclusione�delle�ore�di�pratica�dal�monte�ore�degli�Albi�Professionali�(contano�solo�le�ore�in�cui�qualcuno�-�l'istruttore�-�spiega�e�conduce�il�gruppo).

Rimettere�al�centro�l'incontro�tra�i�due�soggetti�che�praticanoÈ�nel�momento�della�pratica�a�due,�tori-uke,�che�avviene�la�reale�esperienza�di�shiatsu;�e�se�vogliamo�quantificare�(ma�lo�si�può�fare�solo�in�modo�del�tutto�indicativo�perché�ogni�persona�è�diversa)�un�processo�di�apprendimento�dello�shiatsu,�lo�si�può�fare�solo�in�termini�di�ore�di�pratica,�di�numero�di�persone�trattate,�non�di�anni�di�corso�o�di�monte�ore�di�lezione.In�quante�ore�di�pratica�si�può�formare�un�buon�operatore?�Quante�ore�di�pratica�sono�necessarie,�mediamente,�per�costruire�una�buona�pressione,�per�sviluppare�una�percezione�della�risposta,�per�indurre�l'automatismo�nella�pratica�di�un�kata,�per�edificare�le�condizioni�di�una�comunicazione�proficua�tra�tori�e�uke?E�ancora�quale�è�il�contesto�in�cui�la�pratica�è�più�produttiva,�quali�sono�le�basi�essenziali�da�costruire�per�non�disperdere�le�energie�in�tentativi�frustranti,�quale�è�il�curriculum,�cioè�la�sequenza�di�esperienze�che�ricreano�in�ogni�fase�attraversata�dal�praticante�la�situazione�migliore�per�una�pratica�evolutiva?"�Riportare�l'insegnamento�(e�l'istruttore)�al�suo�ruolo�di�servizio�attivo�alla�pratica�dentro�e�fuori�il�corso�(ma�soprattutto�fuori,�nella�vita�reale),�scandendo�curriculum,�esperienze,�proposta�di�modelli�teorici,�monte�ore�in�funzione�dell'unico�momento�di�reale�vita�shiatsu:�l'incontro�a�due,�la�pratica�shiatsu.Questo�è�il�messaggio�centrale�che�voglio�passare,�e�che�l'Accademia�vuole�passare�in�questa�prima�proposta�di�esperienza�shiatsu;�che�il�procedere�nello�shiatsu�sarà�scandito�dall'impegno�nel�moltiplicare�le�ore�di�pressioni�ripetute,�il�numero�di�persone�trattate,�gli�eventi�shiatsu�vissuti.�Al�di�là�di�qualsiasi�stile�e�metodo,�la�comunicazione�trasmette�ciò�che�siamo�(se�respiro�profondo,�uke�approfondisce�la�sua�respirazione)�e�l'essere�si�costruisce�con�il�fare;�nello�shiatsu�l'evoluzìone�non�nasce�ascoltando�una�dotta�lezione�ma�cresce�nell'incontro�tra�pressione�e�risposta.Il�maestro�non�è�davanti�alla�lavagna�ma�sotto�il�mio�pollice,�è�la�vita.Buon�lavoro�!�

18°�PassoLa�pratica:�i�kata�

Kata�=�modello,�matrice,�stile,�formaKata�significa�"forma�giusta"�o�meglio�ancora�"la�forma"�e�consiste�nella�codificazione�di�una�serie�di�atti�da�parte�di�un�maestro�e/o�da�una�scuola;�esiste�ed

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�è�utilizzata�in�tutte�le�pratiche�orientali�che�assurgono�alla�dignità�di�do,�cioè�di�pratica�finalizzata�a�trascendere�la�tecnica�per�divenire�vie�di�evoluzione�globale:�ju-do,�aiki-do,�cha-do,�shiatsu-do.La�pratica�del�kata�assume�una�grande�importanza�nell'apprendimento�dello�shiatsu:�si�tratta�di�praticare�e�praticare�decine,�centinaia,�migliaia�di�volte�la�stessa�forma,�fino�all'istaurazione�dell'automatismo�nell'esecuzione;�la�condizione�di�esecuzione�automatica�crea�quello�stato�di�"scavalcamento"�del�controllo�razionale�che�costituisce�la�condizione�migliore�per�una�espressione�diretta,�spontanea,�creativa�che�porta�al�contatto�profondo�ed�efficace,�ad�una�comunicazione�tra�tori�e�uke�che�coinvolga�realmente�la�vitalità�di�entrambi.Non�intendiamo�in�questa�sede�approfondire�un�discorso�sulla�"sostanza"�dei�kata�perché�riteniamo�che�i�kata�siano�fatti�per�essere�praticati,�non�per�essere�discussi;�la�loro�validità�emerge�dopo�almeno�qualche�centinaio�di�ore�di�pratica;�rimandiamo�l'approfondimento�ad�una�prossima�occasione.L'Accademia�ha�codificato�alcuni�kata�attorno�ai�principi�base�dello�shiatsu:�la�pressione�con�il�peso�abbandonato,�la�perpendicolarità,�la�doppia�pressione�ecc.;�sono�"forme"�di�semplice�esecuzione�e�di�sicura�efficacia.Nelle�pagine�seguenti,�dopo�aver�proposto�le�posizioni�base�che�verranno�adottate�nel�corso�della�pratica,�presentiamo�i�primi�due�kata�che�il�praticante�incontra�nell'esperienza�all'interno�dell'Accademia:- Hokò�no�kata�-�kata�del�camminare�- Tai�ju�no�kata�-�kata�del�peso�portato�

Perquanto�riguarda�la�sequenza�delle�pressioni,�le�illustrazioni�sono�esaurienti;�per�quanto�riguarda�l'intensità�delle�pressioni,�rimandiamo�a�quanto�espresso�nelle�pagine�precedenti.Restano�da�definire�il�ritmo�(la�durata�di�ciascuna�pressione)�e�il�numero�di�pressioni�che�vanno�eseguite�in�ciascun�tratto�di�percorso.Non�è�il�caso�di�dare�regole�fisse;�riferimenti�validi�a�questo�proposito�possono�essere�i�seguenti�criteri:a) è�opportuno�che�ogni�incontro�shiatsu�non�superi�la�durata�di�un'ora.b) per�rispettare�tale�tempo�il�numero�dei�punti�premuti�su�un�tratto�di�percorso�energetico�non�può�essere�alto,�a�meno�che�le�pressioni�non�diventino�molto�rapide.c) in�generale�un�ritmo�più�lento�tende�ad�avere�un�effetto�più�rilassante�e�decongestionante;�un�ritmo�più�veloce�tende�ad�avere�un�effetto�più�stimolante.Ma�nella�prima�fase�di�apprendimento�una�esecuzione�con�ritmo�veloce�rischia�di�diventare�imprecisa�e�maldestra�e�di�creare�agitazione�e�ansia�sia�in�tori�che�in�uke.Consigliamo�pertanto,�anche�per�l'effetto�benefico�che�concentrarsi�sul-�la�respirazioné�ha�su�tori,�di�eseguire�una�pressione�per�ogni�espirazione�di�tori�stesso;�può�essere�utile�però�talvolta�esercitarsi�a�fare�pressioni�molto�ravvicinate�sui�tratti�di�percorso�energetico�che�si�stanno�studiando�per�una�migliore�"conoscenza�tattile".�Per�quanto�riguarda�il�tracciato�dei�percorsi�energetici,�consigliamo�il�praticante�di�non�preoccuparsene�eccessivamente�in�questa�fase�essendo�finalizzata�essenzialmente�ad�acquisire�una�buona�tecnica�di�pressione.Non�val�la�pena�di�preoccuparsi�anche�perché�il�tracciato�esatto�dei�percorsi�energetici�è�stato�e�continuerà�ad�essere,�credo�e�spero,�oggetto�di�indagine,�dibattito,�confronto�e�scontro�nei�secoli,�e�solo�lo�sviluppo�della�percezione,�del�"tatto�interno"�nel�praticante�potrà�fornire�un�riferimento�certo�(in�senso�soggettivo�e�oggettivo)�nell'identificare�su�ciascun�uke�i�"reali�percorsi�energetici".Forniamo�comunque�in�appendice�una�serie�di�mappe�che�potranno�rassicurare�i�praticanti�più�desiderosi�(e�bisognosi)�di�indicazioni.�

Le�PosizioniQueste�sono�le�posizioni�base�che�sono�proposte�nei�kata�e�che�è�indispensabile�assumere�e�tenere�a�lungo�senza�difficoltà�per�una�buona�pratica�dello�shiatsu.�Consigliamo�il�praticante�di�studiarle�bene�e�di�allenarsi�anche�al�di�fuori�della�pratica�shiatsu�(leggendo,�guardando�la�televisione,�giocando�con�i�bambini�ecc.)�fino�a�che�non�diventino�posizioni�agevoli,�anzi�comode.

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Posizione�"seiza"È�la�posizione�di�base,�utilizzata�come�posizione�iniziale�o�posizione�di�riposo�(figg.�a�e�b).Le�gambe�sono�piegate,�parallele�tra�loro�e�appoggiate�al�suolo�lungo�la�linea�ginocchio�-�stinco�-�dorso�del�piede-dita-unghie�(fig.�c).�Cosce�e�glutei�poggiano�su�polpacci�e�piedi.�I�talloni�sono�leggermente�divaricati�in�modo�da�accogliere�e�circondare�i�glutei�(fig.�d).��Le�ginocchia�possono�essere�chiuse�(a�contatto�l'una�con�l'altra�-fig-�e)�o�aperte�(fig.�f);�in�genere,�per�ottenere�una�buona�stabilità,�si�adotta�una�posizione�con�una�apertura�delle�ginocchia�uguale�alla�larghezza�del�bacino�o�delle�spalle.La�colonna�vertebrale�è�distesa�(allungata�senza�forzature);�la�posizione�è�eretta,�la�fronte�alta�e�il�mento�chiuso�(fig-�b).Gli�avambracci�e�le�mani,�in�posizione�di�riposo,�sono�appoggiati�sulle�cosce�con�le�palme�aperte�verso�il�basso�(favorisce�la�concentrazione,�fig.�g)�o�verso�l'alto�(favorisce�il�rilassamento,�fig.�h).

Posizione�"seiza"�puntatoCome�la�posizione�"seiza"�con�i�piedi�puntati,�cioè�appoggiati�a�terra�solo�sulle�dita�(fig.�j);�le�dita�sono�piegate�in�avanti�(appoggiano�la�parte�carnosa�e�sono�piegate�a�90°�rispetto�l'asse�del�piede,�fìg-k).

L'asse�del�piede�dita-tallone�è�verticale�e�i�glutei�appoggiano�sui�talloni�(fig.�i).�La�colonna�è�allungata�e�verticale,�la�testa�eretta.�È�una�posizione�più�attenta�e�vigile�rispetto�a�seiza,�pronta�all'azione.

Posizione�in�ginocchioÈ�una�posizione�instabile,�idonea�alle�tecniche�in�cui�è�necessario�portare�un�peso�abbandonato�(fig.�l).Il�peso�è�appoggiato�sulle�ginocchia�(principalmente)�e�sui�piedi�nelle�due�varianti�a)�dorso�del�piede�(fig.�m)�e�dita�dei�piedi�piegate�(fig.�n).�Sulle�differenze�tra�le�2�varianti�posizioni�valgono�le�considerazioni�già�fatte.���Posizione�del�gattoÈ�una�posizione�molto�stabile�ma�che�comporta�una�limitata�discrezionalità�nell'uso�del�peso,�essendo�le�mani�costantemente�impegnate�nel�sostegno�della�persona;�ottima,�viceversa,�per�abbandonare�il�peso�senza�tensioni�muscolari�(vedi�passeggiata).Le�ginocchia�e�i�piedi�sono�appoggiati�al�suolo�come�nella�posizione�in�ginocchio�(nelle�due�varianti�con�piedi�puntati�e�piedi�distesi�-figg.�o�ep).Le�braccia�sono�distese,�le�mani�con�palme�e�dita�allungate�appoggiate�a�terra;�le�coscie�e�le�braccia�sono�parallele�tra�loro�e�perpendicolari�al�suolo�nella�tipica�posizione�dei�quadrupedi.�Le�dita�delle�mani�sono�in�genere�rivolte�in�avanti�o�verso�l'esterno,�ma�tendono�ad�adattarsi�in�modo�avvolgente�(cercando�il�massimo�contatto)�alle�superfici�di�appoggio.Il�tronco�risulta�orizzontale�e�parallelo�al�suolo;�la�colonna�vertebrale�è�rilassata.�Posizione�"samurai"È�la�posizione�più�usata�nello�shiatsu,�stabile�e�dinamica,�solida�e�attiva�(figg.�q,re�s).Consente�una�gestione�evoluta�del�peso.Una�gamba�è�piegata�a�90°�con�il�ginocchio�e�il�piede�appoggiato�al�suolo;�l'asse�ginocchio-�anca-colonna-testa�è�verticale.�Il�piede�può�essere�appoggiato�al�suolo�con�la�superficie�dorso�del�piede-dita-unghie�(posizione�più�rilassata�come�in�seiza,fig.�t),�poggiare�sulle�dita�piegate�(posizione�più�vigile�e�dinamica,�come�in�seiza�puntato�(fig.�u).L'altra�gamba�è�sollevata,�con�il�piede�che�appoggia�sulla�pianta,�il�ginocchio�piegato�a�90°�e�la�coscia�parallela�al�suolo.�Coscia�della�gamba�sollevata�e�gamba�appoggiata�al�suolo�sono�parallele.

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�I�punti�d'appoggio�(ginocchio�e�piede)�sono�su�linee�parallele�più�o�meno�discoste�(figg.�v�e�w).�In�altre�situazioni�il�piede�appoggiato�sulla�pianta�e�il�ginocchio�e�le�dita�appoggiate�dell'altra�gamba�possono�disegnare�un�triangolo�(fig.�x).�Sono�variazioni�sul�tema�che�consentono�di�conferire�alla�posizione�samurai�condizioni�di�maggior�stabilità�o�agilità�che�la�rendono�adatta�a�gestire�il�peso�in�ogni�condizione�di�lavoro.�La�posizione�base�(ed�è�anche�la�più�usata)�vede�le�due�gambe�allineate�su�due�direttrici�parallele�ad�una�distanza�pari�all'apertura�del�bacino�o�delle�spalle(fig-�y)-Varianti�nella�posizione�del�piedeCome�sopra�descritto�la�variante�principale�all'interno�delle�posizioni�consiste�nell'atteggiamento�del�piede�che�può�essere�puntato�nella�classica�posizione�"a�martello"�(dorso�del�piede�sollevato,�appoggio�sulla�parte�carnosa�delle�dita�piegate�in�avanti,�asse�dita-tallone�verticale�rispetto�il�suolo,�fig.�z1),�oppure�disteso�(linea�mediana�del�dorso�del�piede�e�faccia�superiore�delle�dita�-�sul�lato�delle�unghie�per�intenderci�-�a�contatto�con�il�suolo,�fig.�z2).Sulla�base�di�quanto�specificato�in�relazione�alle�varie�pposizioni,�in�genere�si�preferisce�il�piede�puntato�in�quanto�conferisce�maggior�presenza�e�controllo,�in�una�parola�una�gestione�più�consapevole�di�posizione�e�movimento.�Pertanto�nella�descrizione�dei�kata�(pagine�seguenti)�quando�non�è�specificata�la�posizione�dei�piedi,�è�preferibile�la�posizione�a�"piedi�puntati".

Hoko�no�kata�(Kata�del�camminare)

Kata�=�modello,�matrice,�stile,�formaHokò�no�kata,�il�kata�del�camminare,�conosciuto�e�divulgato�anche�come�"la�camminata"�o�"la�passeggiata",�è�il�primo�esercizio�di�avviamento�allo�shiatsu�previsto�nel�curriculum�dell'Accademia;�si�tratta�di�un�allenamento,�proposto�agli�albori�dello�shiatsu�"italiano"�dal�M.�Yahiro,�su�cui�hanno�iniziato�a�formarsi�centinaia�di�operatori.È�un�esercizio�fondamentale�in�quanto�costituisce�un�addestramento�al�primo�livello�di�pressione�corretta.�Attraverso�la�pratica�di�Hokò�no�kata�l'apprendista�impara�a�portare�la�pressione�perpendicolare,�costante�e�rilassata.In�questa�pratica�la�pressione�viene�portata�sfruttando�il�peso�corporeo�dell'operatore,�abituandolo�ad�evitare�rigidità�e�contratture�muscolari.Costruire�un�automatismo�sulla�pressione�senza�contratture�muscolari�è�fondamentale�nello�shiatsu;�rigidità�e�disagi�di�tori�inducono�in�uke�forme�di�chiusura�difensiva�e�la�conseguente�impossibilità�di�creare�quella�comunicazione�tori-uke�che�costituisce�l'essenza�stessa�dello�shiatsu.È�il�primo�livello�di�pressione�corretta,�determinante�nel�consentire�un'accettabile�qualità�del�contatto�e�di�conseguenza�una�adeguata�efficacia�dello�stimolo.�Il�secondo�livello,�la�pressione�rilassata-concentrata,�si�costruisce�gradualmente�rafforzando�l'hara,�il�baricentro�energetico�con�un�lavoro�di�anni;�a�tale�fine�sono�preziosi�esercizi�posturali,�respiratori�e�di�positivizzazione�del�pensiero�che�vengono�proposti�in�una�fase�successiva�della�formazione.L'opera�potrà�essere�proseguita�e�completata�muovendosi�anche�in�altre�direzioni:�rafforzamento�del�carattere,�studio�sull'alimentazione,�crescita�in�consapevolezza�ecc.�in�un�rapporto�complessivo�di�tendenziale�ricostruzione�dell'unità�corpo,�mente�e�spirito.Per�dirla�in�poche�parole,�maggiore�armonia�tori�crea�in�se�stesso�più�la�pressione�diventa�corretta�e�profonda,�più�lo�shiatsu�"personale"�di�tori�funziona.E,�se�mi�è�consentito�dirlo,�è�questo�il�motivo�fondamentale�per�cui�lo�shiatsu�mi�piace,�lo�pratico�e�lo�propongo�come�esperienza�eccezionale.�La�ricerca�per�migliorare�la�qualità�della�pratica�shiatsu,�migliora�l'armonia�del�praticante�e�la�sua�capacità�di�comunicazione�con�l'altro.In�definitiva�la�pratica�dello�shiatsu�diventa�un�training�che�produce�una�evolu

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zione�globale�in�ambedue�i�soggetti�coinvolti�nel�fenomeno.Tornando�a�Hokò�no�kata,�riassumiamo:�la�corretta�pressione�shiatsu�è�costante,�perpendicolare,�rilassata-concentrata�e�la�passeggiata�è�training�iniziale,�semplice�e�fondamentale�per�imparare,�capire�e�praticare�il�contatto�costante,�perpendicolare�e�rilassato�(senza�uso�dei�muscoli);�la�concentrazione�verrà�poi�conquistata�con�la�pratica�di�altre�tecniche.���POSIZIONE�PRONAUke�sdraiato�prono,�le�braccia�rilassate�appoggiate�con�le�mani�oltre�la�testa,�vicine�una�all'altra,�gomiti�flessi�in�modo�naturale.�Tori�è�accanto�in�posizione�seiza�con�le�mani�sulle�proprie�cosce,�con�il�bacino�alla�stessa�altezza�del�bacino�di�uke�e�la�gamba�"a�contatto�"�con�il�corpo�sdraiato�(fig.�1a).�Tori�appoggia�la�mano�destra�sulla�zona�lombare�di�uke�all'altezza�dei�reni,�orientata�perpendicolarmente�rispetto�alla�colonna,�e�compie�alcune�respirazioni�profonde,�"cercando�"�il�contatto�con�uke�(fig.�1b).Tori�appoggia�la�mano�destra�trasversale�sul�sacro�di�uke�e�porta�la�sinistra�nella�zona�tra�le�scapole,�perpendicolarmente�alla�colonna�(fig.�2a);�mantenendo�i�punti�di�appoggio�si�solleva�in�ginocchio�e�arretra�le�ginocchia�all'altezza�del�bacino�di�uke�(fig.�2b).Tori�ruota�la�mano�sinistra�e�la�posiziona�al�lato�della�colonna�vertebrale�di�uuke,�nella�zona�sotto�la�scapola�sinistra;�porta�la�mano�destra�alla�stessa�altezza�sul�lato�destro�(Fig�3a).�Le�mani�sono�aperte�e�le�quattro�dita,�rilassate,�sono�rivolte�verso�l'esterno�e�aderiscono�alla�gabbia�toracica�in�modo�avvolgente�(Fig�3.b).�La�linea�spalla-gomito-polso�delle�braccia�di�uke�forma�un�angolo�retto�con�il�piano�della�schiena�trattata;�è�importante�che�spalle,�gomiti�e�polsi,�risultino�rigorosamente�allineati,�senza�però�entrare�in�tenzione.Prima�di�muoversi�tori�attende�che�la�propria�schiena�si�rilassi�e�la�spina�dorsale�si�distenda,�immaginando�che�sia�una�catena�sospesa�alle�due�estremità�-�bacino�e�spalle�-;�rilassa�le�spalle,�il�collo�e�tutto�il�corpo�fino�a�sentirsi�"appeso�"�ai�quattro�"piloni�di�sostegno�le�braccia�e�le�gambe.�Le�braccia�sono�distese,�le�spalle�a�perpendicolo�sui�polsi;�la�linea�delle�spalle�di�tori�è�rigorosamente�parallela�alla�linea�delle�spalle�di�uke�e�pertanto�il�bacino�di�tori�risulterà�proiettato�(senza�tensioni)�sopra�il�corpo�di�uke�(fig.�4).Tori�valuta�se�il�peso�esercitato�sulla�schiena�di�uke�risponde�al�bisogno�reale,�oppure�se�è�eccessivo�o�scarso.�Se�necessario�corregge�il�peso�portato.�Per�aumentare�il�peso�allontana�le�ginocchia�dalle�proprie�mani�fino�che�il�peso�residuo�sembri�adeguato�(fig.�5a).�Se�il�peso�sembra�eccessivo,�avvicina�le�ginocchia�fino�a�che�la�pressione�su�uke�non�risulti�sufficientemente�alleggerita�(fig.�5b).�Importante:�in�ambedue�i�casi�non�si�deve�alterare�la�perpendicolarità�delle�braccia�rispetto�la�schiena�di�uke,�né�il�parallelismo�della�linea�delle�spalle.Dopo�aver�dosato�il�peso,�rilassato�il�corpo�e�regolarizzata�la�respirazione,�tori�inizia�il�movimento.�Porta�tutto�il�peso�del�tronco�sulla�mano�sinistra�e�inspirando�sposta�la�mano�destra�di�alcuni�centimetri,�risalendo�lungo�i�muscoli�paravertebrali.�Poi�la�appoggia�nuovamente,�con�presa�salda�e�avvolgente,�e�riporta�il�peso,�bilanciandolo�tra�le�due�mani,�espirando�a�fondo,�(fig.�6)�[Tori�ripete�l'operazione�portando�il�peso�sulla�mano�destra�e�risalendo�con�la�mano�sinistra�lungo�la�schiena�(fig.�7),�fino�a�portarla�allo�stesso�livello�della�mano�destra.�Tori�deve�ricordare�(e�verificare�ad�ogni�movimento:�a)�di�mantenere�la�perpendicolarità�della�linea�spalla-polso�rispetto�al�piano�schiena-pavimento,�portando�avanti�le�spalle�man�mano�che�le�mani�procedono,�b)�di�controllare�che�il�peso�portato�non�diventi�eccessivo�o�insufficiente,�compensando�quando�si�renda�necessario�con�un�adeguato�spostamento�delle�ginocchia�(vedi�il�punto�4).�c)�di�mantenere�la�linea�delle�spalle�parallela�alla�linea�delle�spalle�di�uke.Giunto�con�entrambe�le�mani�al�margine�superiore�delle�scapole�(fig.�8),�tori�inizia�un�movimento�di�ritorno�verso�il�bacino,�retrocedendo�con�la�stessa�procedura.�Importante:�mentre�procede�verso�la�parte�alta�della�schiena�di�uke,�tori�muove�

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prima�la�mano�destra�per�poi�riportarsi�a�livello�con�la�sinistra;�invece�nel�muoversi�verso�il�bacino�tori�muove�prima�la�sinistra;�tale�procedura�favorisce�il�mantenimento�del�parallelismo�tra�la�linea�delle�spalle�di�uke�e�di�tori�con�la�conseguente�proiezione�del�bacino�di�tori�verso�l'asse�centrale�di�uke�(importante�per�abituarsi�ad�abbandonare�il�peso).��Tori�scende�poi�lungo�la�schiena�(fig.�9a)�fino�a�che�le�mani�trovano�sostegno�sulla�gabbia�toracica�(fig.�9b).Mantenendo�la�pressione�sulla�gabbia�toracica�(attenzione�al�peso!)�con�la�mano�sinistra,�tori�porta�la�mano�destra�sul�bacino�sullo�stesso�lato�(sulla�porzione�superiore�esterna�del�gluteo�sinistro)�con�le�dita�rivolte�all'esterno;�tori�ruota�nel�movimento,�facendo�perno�sulle�ginocchia�(fig.�10a),�fino�a�trovarsi�con�la�linea�delle�spalle�parallela�alla�spina�dorsale�di�uke�(fig.�10b�e�10c).Tori�completa�la�rotazione�portando�la�mano�sinistra,�con�le�dita�rivolte�all'esterno,�sulla�porzione�alta�del�gluteo�destro�di�uke�(fig.�11a).�A�questo�punto�tori�si�trova�con�la�testa�rivolta�verso�i�piedi�di�uke�e�le�colonne�vertebrali�di�tori�e�uke�sono�tornate�parallele�(figg.�11b�e�11c).Dopo�una�breve�pausa�per�riassestare�posizione�e�respirazione,�tori�riprende�il�movimento�scendendo�progressivamente�su�glutei�con�le�5�dita�unite�(fig.�12a)�e�cosce�con�la�mano�a�V�(fig.�12b);�ogni�movimento�inizia�con�la�mano�sinistra�che�avanza�di�5�-�10�centimetri�e�prosegue�con�la�mano�destra�che�si�riporta�allo�stesso�livello.�La�mano�avvolge�la�coscia�a�V�con�il�pollice�all'interno�e�le�4�dita�all'esterno�cercando�il�massimo�contatto�ma�senza�stringere�con�forza;�l'intensità�del�contatto�è�originato�dalla�pressione�portata�con�il�peso�di�tori.Tori�prosegue�il�movimento�portando�le�pressioni�con�la�medesima�tecnica�sulle�gambe�(fig.�13a�e�13b)�fino�alla�parte�bassa�dei�polpacci�(fig.�13c).�Evitare�la�pressione�sul�cavo�popliteo�(parte�posteriore�del�ginocchio)�e�attenuarla�(avvicinando�le�ginocchia)�sui�polpacci�se�la�gamba�resta,�portando�il�peso,�sollevata�da�terra.�E'�possibile�evitare�l'eventuale�disagio�di�uke�inserendo�un�cuscino�basso�o�una�coperta�piegata�nello�spazio�vuoto�tra�gamba�e�pavimento�(fig.�13d).Mantenendo�la�pressione�sulla�gamba�sinistra�di�uke�con�la�mano�destra�(in�tutte�queste�pressioni�la�mano�avvolge�l'arto�cercando�il�massimo�contatto�evitando�di�stringere�con�forza),�tori�porta�la�mano�sinistra�a�fare�una�pressione�con�il�palmo�sulla�pianta�del�piede�destro�di�uke�(escludendo�il�tallone),�dita�della�mano�allineate�e�sovrapposte�alle�dita�del�piede�(fig.�14a�e�14b).Tori�conclude�il�percorso�verso�il�basso�portando�ambedue�le�mani�a�premere�sulle�piante�dei�piedi�nella�modalità�descritta�(fig.15a);�attenzione�a�mantenere�la�perpendicolarità�spalle-�mani�(fig.�15b).�La�fig.�15c�corrisponde�alla�posizione�errata.Tori�risale�a�ritroso�dai�piedi�lungo�gli�arti�inferiori�fino�ai�glutei�(figg.�16a�e�16b);�nella�fase�ascendente�tori�muove�per�prima�la�mano�destra.Tori�ripete�in�senso�inverso�l'operazione�di�rotazione�descritta�ai�punti�10)�e�11),�portando�prima�la�mano�sinistra�sulla�gabbia�toracica�di�uke�(coste�inferiori�sinistre)�e�completando�il�movimento�nel�corso�della�respirazione�successiva,�fino�a�trovarsi�nuovamente�allineato�con�il�corpo�di�uke�e�rivolto�verso�la�sua�testa,�con�ambedue�le�mani�sulla�gabbia�toracica.Tori�sposta�la�mano�destra�sulla�spalla�destra�di�uke,�circondando�l'articolazione�(senza�stringerla)�(fig,19a)�e�portando�ilpeso.�Attenzione�alla�conformazione�e�alle�rigidità�dell'articolazione�della�spalla�di�uke;�se�lo�spazio�tra�spalla�e�pavimento�è�tale�da�rendere�impressione�fastidiosa�o�dolorosa,�è�meglio�inserire�sotto�la�spalla�un�cuscino�basso�o�una�coperta�o�asciugamano�ripiegato�(fig.�19b).Quindi�tori�porta�anche�la�mano�sinistra�sulla�spalla�corrispondente�di�uke�(fig.�19c).�Importante:�talvolta�la�conformazione�delle�spalle�di�uke�è�tale�che�anche�l'inserimento�di�supporti�a�sostegno�sotto�le�spalle�non�evita�un�notevole�disagio�quando�il�peso�è�portato�sul�tratto�spalle-gomiti;�in�questi�casi�tori�passa�direttamente�dalla�schiena�agli�avambracci,�saltando�spalle�e�braccia.Tori�procede�portando�le�pressioni�con�mano�avvolgente�lungo�le�braccia�(figg.�20a�e�20b)�fino�ai�gomiti�inclusi,�muovendo�per�prima�la�mano�destra.�Per�non�perdere�il�controllo�del�peso�è�necessario�che�le�mani�di�uke�non�siano�eccessivamente�distanti�tra�loro.�La�fig.�20c�corrisponde�ad�una�posizione�con�perpendicolari

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tà�errata�in�quanto�"obliqua".�La�fig.�20d�corrisponde�ad�una�posizione�errata�delle�mani�di�uke�(troppo�distanti�tra�loro).Superando�il�gomito�tori�procede�allo�stesso�modo,�circondando�con�le�mani�gli�avambracci�(fig.�21a);�conclude�appoggiando�sul�dorso�della�mano�destra�di�uke�la�propria�mano�destra�distesa�(dita�sovrapposte�in�pressione)�(fig.�21�b)�e�portando�infine�anche�la�mano�sinistra�in�identica�posizione�(fig.�21c).Tori�ripercorre�le�braccia�a�ritroso�muovendo�prima�la�mano�sinistra�per�riportarsi�poi�allo�stesso�livello�con�la�destra�(fig.�22a),�passo�dopo�passo,�respirazione�dopo�respirazione,�fino�al�tornare�sulla�schiena,�nella�zona�sotto�le�scapole�(fig.�22b).Ripetere�questa�parte�di�Hokó�no�kata�per�centinaia�di�volte�fino�a�che�non�risulterà�facile�e�disinvolto�per�tori,�piacevole�e�rilassante�per�uke.�

POSIZIONE�SUPINA�Uke�viene�posizionato�supino�con�le�braccia�sollevate�sopra�la�testa,�appoggiate�al�pavimento�a�gomiti�flessi�e�mani�affiancate�(fig.�23a).�Tori,�in�posizione�seiza�puntato,�appoggia�la�mano�destra�sull'addome�di�uke�(centro�della�mano�sull'ombelico�e�dita�rivolte�verso�il�viso)�e�ascolta�la�respirazione�(fig.�23b).Tori�appoggia�le�mani�aperte�sulla�parte�medio-bassa�della�gabbia�toracica�di�uke�(sotto�i�seni�se�uke�è�una�donna),�con�le�quattro�dita�rivolte�verso�l'esterno;�tori�controlla�la�propria�posizione�come�ai�punti�4)�e�5);�ovviamente�il�peso�sarà�calibrato�tenendo�conto�della�minor�solidità�del�torace�rispetto�alla�schiena,�(fig.�24).Tori�controlla�posizione�e�respirazione;�inizia�quindi�a�procedere�verso�l'alto�(fig.�25a)�fino�a�raggiungere�il�limite�superiore�dello�sterno�(palmi�sui�muscoli�pettorali,�dita�nell'incavo�ascellare)�(fig.�25b).�La�mano�che�si�muove�per�prima�è�la�destra;�quando�la�destra�è�saldamente�posizionata,�la�sinistra�si�porta�al�medesimo�livello.�Se�uke�è�donna,�tori�evita�di�comprimere�il�seno,�passando�direttamente�al�punto�26).Tori�scende�portando�le�pressioni�con�le�mani�fino�posizionarsi�sul�margine�inferiore�della�gabbia�toracica�di�uke,�con�le�stesse�precauzioni�descritte�al�punto�9�(fig.26).Tori�inizia�la�rotazione�portando�il�peso�(attenuato�avvicinando�le�ginocchia)�sulla�mano�sinistra�e�spostando�la�mano�destra�sulla�spina�iliaca�destra�(sporgenza�ossea�sul�lato�destro�del�bacino�di�uke)�(fig.�27a).��In�questa�fase�la�linea�delle�spalle�di�tori�risulterà�parallela�alla�colonna�di�uke�(fig.�27b).Tori�completa�la�rotazione�portando�la�mano�sinistra�sulla�spina�iliaca�sinistra�di�uke�sull'altro�lato.�(Figg.�28a�e�28b)Tori�porta�il�peso�con�la�mano�sinistra�sulla�coscia�sinistra�di�uke,�con�le�4�dita�all'esterno�(fig.�29a)�e�scende,�pressione�dopo�pressione�lungo�le�cosce(fig.�29b)�di�uke,�muovendo�per�prima�la�mano�sinistra�e�riportandosi�allo�stesso�livello�con�la�destra;�le�mani�cercano�il�massimo�contatto�avvolgendo�l'arto�a�V�senza�stringere�con�forza.�Tori,�scavalcando�il�ginocchio�di�uke�con�la�mano�sinistra,�porta�la�pressione�sulla�gamba�sinistra�di�uke�(fig.�30a);�utilizzando�la�stessa�tecnica�prosegue�poi�con�le�pressioni�lungo�ambedue�le�gambe�fino�alle�caviglie�escluse�(fig.�30�b).�.Mantenendo�l'appoggio�sulla�mano�destra�tori�esercita�una�pressione�sulle�dita�del�piede�sinistro�di�uke�(dita�della�mano�che�si�sovrappongono,�avvolgendole,�alle�dita�del�piede)�determinando�uno�stiramento�di�dita,�dorso�del�piede�e�caviglia�(fig.�31a).�Lo�stiramento�è�effettuato�senza�correggere�forzatamente�l'angolo�di�apertura�assunta�spontaneamente�dai�piedi�di�uke.�Tori�ripete�la�stessa�manovra�con�le�dita�del�piede�destrosostenendosi�con�la�mano�sinistra�appoggiata�sulla�gamba�sinistra�di�uke�(fig�31b).Tori�risale�retrocendendo�lungo�gambe�e�cosce�(Fig�33a)�muovendo�per�prima�la�mano�destra�(Fig�33b),�fino�a�posizionarsi�nuovamente�ai�lati�del�bacino,�sulle�spine�iliache.�(Fig�30c).�

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Tori�effettua�nuovamente�la�rotazione�in�senso�inverso�(Fig�34a)�riportandosi�alla�posizione�iniziale�sul�torace�(Fig�34b).Tori�riprende�a�salire�lungo�la�gabbia�toracica�come�descritto�al�punto�25)�fino�ad�appoggiarsi�sulla�porzione�superiore�della�gabbia�toracica�(sui�pettorali)�con�le�dita�in�prossimità�dei�cavi�ascellari�(fig.�3�5�a).�Tòri�concentra�tutto�il�peso�sulla�mano�sinistra�e�sposta�la�mano�destra�sulla�spalla�sinistra�di�uke�insinuando�le�quattro�dita�nel�cavo�ascellare;�la�linea�indice-pollice�circonda�l'articolazione�(fig.�35b).�Attenzione:�se�uke�è�una�donna�tori�passa�direttamente�dalla�zona�sotto�il�seno�alle�spalle�(fig.�35c).Tori�porta�ambedue�le�mani�sulle�spalle�di�uke�(figg.�36a�e�36b).Tori�prosegue�lungo�le�braccia,�con�presa�salda�e�avvolgente�(figg.�37a�e�37b),�muovendo�prima�la�mano�destra�(evitando�la�posizione�errata�illustrata�in�fig.�20d).�A�volte�la�condizione�rigida�delle�articolazioni�rende�disagevole�la�pressione�descritta;�in�questo�caso�tori�ricorre�all'uso�della�coperta�o�asciugamano�piegato�inserito�sotto�le�spalle�(fig.�37c).Tori�porta�le�pressioni�su�gomiti�ed�avambracci,�sempre�muovendo�per�prima�la�mano�destra�(fig.�38a�e�38b);�conclude�la�risalita�portando�in�pressione�prima�la�mano�destra�allungata�sulla�mano�sinistra�di�uke�(palmo�su�palmo,�dita�sovrapposte)�(fig.�38c);�poi�anche�la�mano�sinistra�sulla�mano�destra�di�uke�allo�stesso�modo�(fig.�38d).�Attenzione�alla�perpendicolarità�spalle-mani.Muovendo�prima�la�mano�sinistra�tori�retrocede�ripercorrendo�avambracci,�braccia,�spalle�(figg.�39a�e�39b)�e�torace�fino�a�ritrovarsi�nella�posizione�iniziale�(fig.�39c).Ripetere�Hokò�no�kata�una�quantità�infinita�di�volte�fino�ad�ottenere�una�efficacia�benefica�e�rilassante�su�uke;�anche�tori�deve�sentirsi,�a�fine�passeggiata,�più�sciolto�e�rilassato,�senza�zone�contratte,�doloranti�e/o�stanche�(in�particolare�la�schiena);�in�caso�contrario�"farsi"�un'altra�passeggiata�per�trovare�una�condizione�di�maggior�benessere.�

Riassumo�brevemente�i�pprincipi�da�rispettare�per�una�corretta�esecuzione�di�Hokò�no�Kata:a. Curate�in�ogni�posizione�e�ogni�passaggio�la�perpendicolarità�delle�braccia�rispetto�al�pavimento.�Controllate�che�spalle,�gomiti�e�polsi�siano�sulla�stessa�lineaLe�braccia�sono�distese,�(non�piegare�i�gomiti)�ma�non�rigide.�Se�la�presione�perde�perpendicolarità�l'effetto�risulterà�fastidioso�e�non�benefico�su�uke�e�creerà�tensione�in�voi.b. Curate�che�il�passaggio�del�peso�da�una�mano�all'altra�sia�netto�e�pulito;�non�sollevare�una�mano�prima�che�sia�completamente�scaricata�dal�peso;�così�pure�non�spostate�un�ginocchio�senza�un�saldo�appoggio�sugli�altri�tre�punti�di�appoggio.c. Curate�che�la�linea�di�congiunzione�delle�vostre�spalle�sia�sempre�parallela�alla�linea�delle�spalle�di�uke,�sia�quando�siete�rivolti�verso�la�sua�testa,�sia�quando�siete�rivolti�verso�i�suoi�piedi.�Le�uniche�eccezioni�sono�previste�(e�descritte)�nelle�fasi�di�"rotazione"�all'altezza�del�bacino.d. Curate�che�la�schiena�(e�ogni�parte�del�corpo)�sia�sempre�completamente�rilassata;�ogni�tanto�fermatevi�a�controllare�che�non�si�siano�prodotte�tensione�o�rigidità.�Un�sintomo�che�vi�deve�mettere�in�allarme�sono�la�stanchezza�o�le�dolenzie�a�schiena,�spalle�o�braccia�perché�denunciano�stati�di�tensione.�Se�la�posizione�e�il�movimento�sono�rilassati�e�sciolti,�al�termine�della�pratica�sarete�più�riposati�e�privi�di�tensioni.�L'unica�parte�anatomica�che�siete�autorizzati�ad�avere�dolorante�se�non�siete�allenati�sono�i�polsi.e. Curate�la�respirazione;�dev'essere�profonda,�rilassata�e�lunga;�vi�verrà�spontaneo�sincronizzare�la�respirazione�con�il�movimento,�inspirando�quan¬do�sollevate�una�mano�ed�espirando�nel�riportare�il�peso.�Nei�primi�esercizi�cercate�di�fare�un�movimento�ogni�respirazione�(od�ogni�due�o�tre�respirazioni�se�sono�brevi)�finché�non�si�realizzerà�un�sincronismo�spontaneo.f. Dosate�il�peso�complessivo�portato�su�uke�avvicinando�o�allontanando�le�ginocchia�dal�suo�corpo.�Nei�primi�tempi�evitate�il�rischio�di�eccessi�sottodimensionando�la�pressione.�Cercate�di�tenere�le�ginocchia�parallele,�compatibilment

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e�con�la�stabilità�della�posizione.�Nelle�fasi�in�cui�ritenete�opportuno�muovere�le�ginocchia�per�variare�l'intensità�del�peso�portato,�garantitevi�di�avere�le�mani�saldamente�appoggiate�per�evitare�contraccolpi�su�uke.g. Osservatevi�o�fatevi�osservare�durante�la�pratica;�se�la�tecnica�è�corretta,�non�è�osservabile�un�movimento�di�"va�e�vieni"�del�bacino;�in�altre�parole�il�peso�non�viene�tolto�e�portato�muovendo�il�bacino�ma�passa�da�una�mano�all'altra.��

TAI�JU�NO�KATA�(kata�del�peso�portato)A�questo�punto�possiamo�iniziare�la�pratica�di�Tai�ju�no�kata,�illustrato�nel�testo�riportato�nelle�pagine�seguenti.�Ci�tengo�a�precisare�che�questo�kata�non�è�stato�elaborato�da�me�a�tavolino�ma�è�nato�dalla�pratica�e�dalla�scienza�di�tutti�gli�istruttori�dell'Accademia,�che�per�oltre�10�anni�hanno�guidato�i�primi�passi�nello�shiatsu�di�intere�generazioni�di�appassionati�e�professionisti.�Una�stima�approssimativa�e�prudente�mi�permette�di�valutare�che�su�questo�kata�si�siano�formati�almeno�diecimila�praticanti�e�che�sia�stato�praticato�su�almeno�duecentomila�uke�per�svariati�milioni�di�ore.�Possiamo�quindi�considerarlo�uno�dei�kata�più�praticati�al�mondo�e,�nel�proporlo,�sono�certo�del�suo�valore�sia�relativamente�alla�sua�idoneità�a�formare�i�nuovi�apprendisti,�sia�rispetto�la�sua�capacità�di�produrre�benessere�nelle�persone�che�lo�ricevono.Nel�corso�degli�anni�ha�subito�delle�evoluzioni�e�delle�modifiche�per�renderlo�sempre�più�adatto�agli�scopi�per�cui�è�nato,�mantenendo�comunque�la�sua�struttura�e�le�sue�caratteristiche�fondamentaliAnche�la�presente�stesura�è�frutto�di�un�lavoro�collettivo�che�ha�coinvolto�numerosi�istruttori�dell'Accademia.

Taiju�no�kata�(Kata�del�peso�portato)Non�so�se�sia�possibile�giungere�ad�una�pratica�soddisfacente�del�kata�senza�l'insegnamento�diretto�di�un�buon�istruttore;�spero�comunque�che�si�riveli�uno�strumento�valido�per�chi�vuol�conoscere�meglio�lo�shiatsu,�visto�che�solo�la�pratica�può�far�progredire�la�conoscenza�e�il�kata�è�il�modo�più�semplice�e�più�essenziale�di�praticare.�Se�la�pratica�sarà�produttiva�sono�convinto�che�il�neo-�appassionato�troverà�poi�le�occasioni�e�i�gli�insegnamenti�che�gli�consentiranno�di�proseguire�la�sua�strada.�Va�comunque�precisato�che�nel�proporre�Hokò�no�kata�e�Tai�ju�no�kata,�all'interno�del�curriculum�dell'Accademia,�viene�sviluppato�un�lavoro�più�generale�che�comprende�uno�studio�pratico�di�elementari�tecniche�respiratorie,�posturali�e�di�scioglimento�articolare;�nonché�una�pratica�finalizzata�alla�formazione�del�pollice�e�all'acquisizione�dei�principi�fondamentali�della�pressione.Il�kata�illustrato�offre�una�possibilità�di�evoluzione�che,�a�partire�dalla�corretta�posizione�del�proprio�corpo�porta�alla�ricerca�di�un�contatto�corretto.�Nello�stesso�tempo�permette�di�eseguire�un�trattamento�di�carattere�"familiare"�sufficientemente�completo,�che�può�recare�un�reale�beneficio�alla�persona�trattata.Abbiamo�scelto�di�non�utilizzare�termini�complessi�ed�eccessivamente�tecnici�anatomici�e/o�fisiologici�perché,�anche�se�a�volte�consentono�una�precisione�maggiore,�sono�in�genere�ostici�per�il�grande�pubblico�non�specializzato.�L'insegnamento�dell'Accademia�non�vuole�essere�riservato�ai�tecnici�ma�è�rivolto�alle�persone�comuni�e�adotta�pertanto�un�linguaggio�accessibile�alle�persone�comuni.�Troverete�quindi�termini�come�"scapola",�o�"osso�pubico",�non�troverete�espressioni�come�"cingolo�scapolo-omerale"�o�"articolazione�coxo¬femorale".�Qualora�ci�trovassimo�ad�utilizzare�termini�di�"uso�comune�ma�non�troppo"�in�quanto�difficilmente�evitabili�nelle�descrizioni�(come�cresta�iliaca�o�cavo�popliteo),�riporteremo�contestualmente�una�riduzione�volgare�tipo�"cresta�iliaca�=�il�bordo�superiore�delle�ossa�del�bacino"�oppure�"cavo�popliteo�=�la�parte�retrostante�il�ginocchio".�Ci�scusiamo�per�lo�scandalo�che�potremo�creare�nei�puristi�ma�lo�scopo�sociale�dell'Accademia�è�la�divulgazione�dello�shiatsu,�non�la�divulgazione�del�lessico�specialistico.

POSIZIONE�PRONA�

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Tori�è�in�seiza,�colonna�diritta�e�distesa,�mani�abbandonate�sulle�cosce�con�i�palmi�rivolti�in�basso,�respirazione�lenta�e�profonda;�la�sua�gamba�destra�è�a�contatto�con�il�fianco�sinistro�di�uke.�Uke�è�sdraiato�in�posizione�prona,�braccio�sinistro�disteso�leggermente�al�di�sotto�della�linea�delle�spalle�(circa�80°-85°�rispetto�l'asse�del�corpo),�con�la�mano�aperta,�palmo�a�terra�e�viso�rivolto�alla�propria�destra;�l'altro�braccio�è�disteso,�leggermente�discostato�dal�fianco�in�una�posizione�comoda�e�naturale�per�uke,�(mediamente�l'angolo�asse�del�corpo-braccio�risulta�di�30°)�(figg.�1a�e�1b).�Tori�si�porta�in�seiza�puntato�e�appoggia�la�mano�destra�sulla�zona�lombare�di�uke�trasversalmente;�la�linea�spalla-gomito-polso�è�perpendicolare�rispetto�al�suolo�ed�il�braccio�allineato�al�fianco�(figg.�2a�e�2b).�Tori�porta�la�sua�attenzione�all'area�di�contatto�con�uke�e�controlla�mentalmente�la�propria�postura�(spalle�rilassate,�colonna�vertebrale�allungata)�e�la�respirazione.Tori�appoggia�la�mano�destra�trasversalmente�sull'osso�sacro�di�uke,�porta�la�mano�sinistra�sulla�zona�infrascapolare,�trasversalmente�alla�colonna�e�si�solleva�sulle�ginocchia�(figg.�3a�e�3b).Tori�solleva�lagamba�sinistra�assumendo�la�posizione�samurai;�il�ginocchio�destro�è�all'altezza�dell'H'anca�di�uke,�il�piede�sinistro�scavalca�il�braccio�disteso�di�uke�collocandosi�all'altezza�del�gomito�(fig.�4a).�appoggia�la�mano�destra�»�sulla�colonna�vertebrale�longitudinalmente�nella�zona�tra�le�scapole�(4-6a"�vertebra�dorsale)�e�le�sovrappone�la�mano�sinistra�trasversalmente(fig�4b�e�4c).�Le�mani�risultano�incrociate�(Fig�4d).�In�tutti�i�movimenti�precedenti�le�dita�delle�mani�di�tori,�compreso�il�pollice,�sono�naturalmente�accostate�(non�serrate).Tori�porta�perpendicolarmente�il�peso�sulle�mani�effettuando�una�pressione�prolungata�(una�espirazione�lunga�e�profonda);�inspirando�toglie�il�peso�(riportandolo�su�ginocchio�e�piede�appoggiati�al�suolo)�e�sposta�le�mani�incrociate,�sfiorando�la�colonna,�di�qualche�centimetro�verso�il�bacino�di�uke.�Riporta�quindi�il�peso�sulle�mani�ed�effettua�una�pressione�prolungata�(fig.�5).�Tori�tratta�in�questo�modo�la�colonna�scendendo�fino�al�margine�inferiore�della�gabbia�toracica�(�9-10�vertebra�dorsale).Tori�torna�ad�appoggiare�saldamente�la�mano�destra�sull'osso�sacro�e�la�mano�sinistra�sulla�zona�infrascapolare�di�uke;�arretra�la�propria�posizione�(verso�i�piedi�di�uke)�ritraendo�il�piede�sinistro�oltre�il�braccio�disteso�di�uke�e�facendo�scorrere�verso�il�basso�il�ginocchio�destro�in�corrispondenza�alla�coscia�di�uke�(figg.�6a�e�6b);�riporta�le�mani�incrociate�sulla�colonna�di�uke�nel�punto�in�cui�aveva�effettuato�l'ultima�pressione�e�riprende�a�trattare�conla�stessa�tecnica�la�colonnascendendo�fino�all'osso�sacro�incluso�(fig.6c).Tori�risale�utilizzando�la�stessa�procedura�(mani�saldamente�appoggiate�su�osso�sacro�e�zona�infrascapolare�prima�di�muovere,�uno�alla�volta,�i�punti�di�appoggio�al�suolo�-�ginocchio�e�piede�-)�fino�a�riportarsi�alla�stessa�altezza�della�colonna�in�cui�aveva�iniziato�le�pressioni;�il�piede�sinistro�di�tori�si�riporta�oltre�il�braccio�di�uke�all'altezza�del�gomito.�Le�mani�incrociate�di�tori�si�appoggiano�a�sinistra�della�colonna�sui�muscoli�paravertebrali�(i�fasci�muscolari�che�corrono�parallelamente�alla�colonna�vertebrale)�in�una�posizione�tale�che�il�mignolo�della�mano�destra�(mano�sottostante)�sfiori�la�colonna�vertebrale�senza�sovrapponisi�(figg.�7a�e�7b).Tori�tratta�a�mani�sovrapposte�tutta�la�fascia�dei�muscoli�paravertebrali�sulla�sinistra�della�colonna�scendendo�fino�a�portarsi�a�contatto,�senza�sovrapporsi,�con�le�ossa�del�bacino�di�uke�(cresta�iliaca)�(fig.�8).�A�metà�percorso,�con�la�procedura�descritta�al�punto�6),�arretra�la�posizione.Tori�si�appoggia�con�le�due�mani�nel�modo�descritto�al�punto�6)�e�risale;�poi�appoggia�i�pollici�sovrapposti�sul�muscolo�paravertebrale�nella�consueta�posizione�iniziale�(5a�-�6a�vertebra);�la�mano�destra�è�allargata�e�disposta�parallelamente�alla�colonna�vertebrale�di�uke�(in�pratica�la�linea�pollice-�mignolo�è�parallela�alla�colonna�e�segue�il�percorso�dei�paravertebrali�mentre�le�altre�3�dita�vanno�ad�appoggiarsi�sull'altro�lato�della�schiena�scavalcando�la�colonna).�Il�pollic

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e�sinistro�si�appoggia�trasversalmente�sul�pollice�destro�mentre�le�altre�dita�della�mano�sinistra,�accostate�una�all'altra�e�rivolte�verso�l'esterno,�si�appoggiano�sulla�scapola�sinistra�di�uke�(figg.�9a�e�9b).Tori�porta�la�pressione�con�i�pollici�sovrapposti�sul�punto�descritto;�si�sposta�poi�verso�il�basso�di�qualche�centimetro�(più�o�meno�lo�spazio�corrispondente�alla�dimensione�di�una�vertebra�dorsale)�muovendosi�lungo�i�fasci�muscolari�paravertebrali�e�ripete�la�pressione;�continua�a�ripetere�le�pressioni�con�i�pollici�sovrapposti�scendendo�fino�ad�uscire�dalla�zona�infrascapolare�(8a-9a�vertebra�dorsale)�(fig.�10).�Tori�arretra�la�posizione�utilizzando�la�procedura�indicata�alpunto�6).�Non�più�limitato�dalla�scapola,�tori�può�disporre�le�mani�"afarfalla�"�portandole�simmetricamente�alpunto�dipressione�amie�4�dita�di�ambedue�le�mani,�leggermente�divaricate�per�allargare�la�base�di�appoggio,�orientate�in�direzioni�opposte�verso�i�fianchi�di�uke.�Ipollici�sono�sovrapposti�a�45°,�con�il�pollice�sinistro�sopra�il�destro�(fìgg.�11a�e�11b).Tori�porta�la�pressione�sul�punto;�sposta�poi�il�punto�di�contatto�di�qualche�centimetro�verso�il�basso�e�ripete�la�pressione;�continua�a�spostarsi�e�a�portare�la�pressione�a�brevi�intervalli�con�le�mani�a�farfalla,�trattando�tutti�i�punti�sulla�fascia�paravertebrale�(fig.�12a),�proseguendo�poi�anche�sul�sacro�fino�<�seconda�depressione�(forame)�compresa�(fig.�11b).Tori�risale�nuovamente�utilizzando�la�consueta�tecnica�e�appoggia�la�mano�sinistra�con�il�palmo�sulla�scapola�di�uke�(le�4�dita�accostate�sono�rivolte�verso�la�nuca),�sostenendo�il�gomito�sinistro�con�il�ginocchio�sinistro.�Porta�la�pressione�con�il�pollice�destro�sul�muscolo�paravertebrale�in�corrispondenza�alla�consueta�zona�iniziale�(4"�-�5"�vertebra�dorsale)�(figg.�13a�e�13b).�La�mano�destra�tiene�pollice�e�mignolo�allineati�alla�colonna�come�al�punto�9);�le�altre�dita�ben�distese�ed�appoggiate�(fig.�13c).Tori�ripete�le�pressioni�con�il�pollice�destro�con�gli�stessi�intervalli�descritti�al�punto�10),�fino�alla�8"-9"�vertebra�dorsale�(fig.�14).Tori�appoggia�le�mani�su�sacro�e�zona�infrascapolare,�ritira�il�piede�sinistro�sotto�il�braccio�di�uke�(fig.�15a);�solleva�il�braccio�sinistro�di�uke�prendendolo�con�la�mano�sinistra�al�polso�e�sostenendolo�con�la�mano�destra�alla�spalla;�posiziona�il�braccio�di�uke�appoggiandolo�a�terra�disteso�verso�l'alto�(fig.�15b)�e�arretra�con�il�ginocchio�destro.Tori�appoggia�la�mano�sinistra�con�il�palmo�sul�dorso�di�uke,�subito�sotto�la�scapola;�le�4�dita�sono�distese�verso�l'ascella�accostate�al�bordo�inferiore-esterno�della�scapola�mentre�il�pollice�ne�segue�il�profilo�interno;�il�gomito�è�sostenuto�dal�ginocchio.�Il�pollice�destro�si�posiziona�sul�muscolo�paravertebrale�nella�posizione�raggiunta�con�le�pressioni�descritte�al�punto�14),�mentre�le�4�dita�(naturalmente�dischiuse)�si�distendono�oltre�la�colonna�(figg.�16a�e�16b).�Tori�porta�la�pressione�con�il�pollice;�ripete�le�pressioni�a�brevi�intervalli�spostando�il�pollice�destro�sulla�fascia�paravertebrale�fino�al�secondo�forame�dell'osso�sacro�(fig.�17).Tori�appoggia�il�palmo�destro�sull'osso�sacro�e�la�mano�sinistra�trasversalmente�sulla�zona�infrascapolare�e,�muovendo�un�arto�per�volta,�si�porta�in�ginocchio�con�uke�di�fronte�(fig.�18a);�quindi�nuovamente�in�samurai�ma�in�direzione�invertita�(viso�rivolto�verso�i�piedi�di�uke)�(fig.�18b).Tori�appoggia�il�palmo�della�mano�sinistra�trasversalmente�sul�sacro�e�tratta�con�il�palmo�destro�la�parte�posteriore�della�coscia�sinistra�di�uke�fino�al�cavo�popliteo�(zona�posteriore�del�ginocchio)�escluso;�le�pressioni�sono�portate�con�la�mano�che�circonda�la�coscia�tenendo�il�pollice�all'interno�e�le�4�dita�accostate�(unite�senza�tensioni,�non�serrate)�all'esterno�della�coscia�stessa�(mano�a�V)�(figg.�19a�e�19b).Mantenendo�la�mano�fissa�sul�sacro,�tori�ripete�il�passaggio�sulla�coscia�trattando�con�il�pollice�destro�la�linea�centrale�dell'arto�(figg.�20a�e�20b).�Il�pollice�è�perpendicolare�all'asse�della�coscia�e�le�4�dita�sostengono�la�coscia�dall'esterno.Tori,�con�le�mani�saldamente�appoggiate�al�sacro�e�alla�coscia�di�uke,�sposta�il�ginocchio�a�terra�verso�i�suoi�piedi;�porta�la�mano�sinistra�in�appoggio�a�metà�coscia�di�uke�e�la�mano�destra�in�appoggio�sul�polpaccio;�conclude�il�movimento�p

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ortando�il�piede�destro�all'altezza�della�caviglia�(fig.�21a);�con�il�palmo�destro�tratta�tutta�la�gamba�fino�alla�caviglia�(pressione�con�la�mano�a�V�con�il�pollice�interno);�la�presa�delle�due�mani�riproduce�la�tecnica�descritta�al�punto�19)�(mano�che�circonda�l'arto)�(fig.�21b).Mantenendo�la�pressione�sulla�coscia�con�la�mano�sinistra,�tori�percorre�la�linea�centrale�della�gamba�portando�le�pressioni�con�il�pollice�destro�perpendicolare�all'asse�della�gamba;�le�4�dita�della�mano�destra�sostengono�dall'esterno�il�polpaccio�(fig.�22).�Il�ginocchio�destro�di�tori�costituisce�un�solido�punto�d'appoggio�per�il�gomito�i�il�braccio.Tori,�appoggiandosi�con�le�due�mani�su�coscia�e�polpaccio,�si�sposta�ancora�verso�i�piedi�di�uke�mantenendo�la�posizione�samurai�fino�ad�allineare�il�proprio�ginocchio�a�terra�al�ginocchio�di�uke;�porta�la�mano�sinistra�sul�polpaccio�sinistro�di�uke�e�si�appoggia�avvolgendolo�(mano�a�V�con�pollice�esterno);�avanza�con�il�piede�destro,�portandolo�all'altezza�del�piede�di�uke�e�con�la�mano�destra�effettua�una�pressione�con�il�palmo�sulla�pianta�del�piede�di�uke�(escluso�il�tallone)�(fig.�23).�Le�dita�della�mano�sono�orientate�nella�stessa�direzione�di�quelle�del�piede�di�uke.��Tori,�mantenendo�la�pressione�sul�polpaccio,�porta�una�serie�di�pressioni�con�il�pollice�destro�sulla�linea�centrale�della�pianta�del�piede�di�uke�muovendo�verso�le�dita�(fig.�24);�il�pollice�è�perpendicolare�all'asse�del�piede�che�risulta�sostenuto�dalle�altre�4�dita;�il�gomito�dì�tori�è�appoggiato�al�ginocchio�o�alla�gamba.Tori�appoggia�ambedue�le�ginocchia�a�terra�e,�muovendosi�in�posizione�gatto,�ruota�in�direzione�della�testa�di�uke�e�si�sposta�verso�il�suo�torace,�procedendo�con�movimenti�spontanei�tali�però�da�consentirgli�un�continuo�contatto;�conclude�il�movimento�trovandosi�nella�posizione�iniziale�in�seiza�come�al�punto�2)�rivolto�verso�il�braccio�sinistro�di�uke�che�solleva�e�posiziona�(accompagnandolo�con�le�due�mani�come�indicato�al�punto�15)�disteso�leggermente�al�di�sotto�della�linea�delle�spalle�con�il�palmo�appoggiato�al�suolo.�Torna�nella�posizione�del�gatto�e�trova�un�solido�appoggio�con�la�mano�destra�sulla�scapola�sinistra�di�uke�(fig.25a),�con�le�4�dita�rivolte�verso�la�spalla�e�il�pollice�che�contorna�il�bordo�esterno�della�scapola�rivolto�verso�il�cavo�ascellare;�con�la�mano�sinistra�circonda�il�braccio�di�uke�e�porta�la�pressione�(fig.�25b).�Molte�persone�hanno�una�conformazione�delle�scapole�(molto�"spioventi"�verso�l'esterno)�che�rende�difficoltoso�un�solido�appoggio�della�mano�nella�modalità�sopra�descritta.�In�questi�casi�la�mano�di�tori�dovrà�necessariamente�essere�appoggiata�in�posizione�più�centrale,�"a�cavallo"�del�bordo�interno�della�scapola�di�uke.�Si�tratta�in�sostanza�di�trovare�comunque�una�base�solida�di�appoggio�che�permetta�a�tori�di�muoversi�con�disinvoltura�e�portare�pressioni�efficaci.Tori�ripete�le�pressioni�utilizzando�la�stessa�tecnica�(mano�a�V�con�il�pollice�sotto,�cioè�sulladirettrice�ascella-mignolo)�spostando�progressivamente�la�mano�sinistra�verso�la�mano�sinistra�di�uke�(fig.�26a).�Termina�con�una�pressione�a�palmo�aperto�sul�dorso�della�mano�aperta�di�uke�(dita�rivolte�nella�stessa�direzione)�(fig.�26b).Tori�avvicina�il�proprio�ginocchio�all'ascella�di�uke�e�porta�la�mano�sinistra�in�appoggio�sulla�mano�destra�(le�mani�di�tori�risultano�quindi�incrociate�e�appoggiate�saldamente�sulla�scapola�di�uke),�solleva�il�ginocchio�sinistro�e�porta�il�piede�sinistro�oltre�il�braccio�di�uke�in�corrispondenza�del�polso�assumendo�la�posizione�samurai�(fig.�27a);�facendo�perno�sulla�scapola�di�uke,�appoggia�il�ginocchio�sinistro�in�modo�da�trovarsi�in�seiza�[�puntato�a�cavalcioni�del�braccio�di�uke�(fig.�27b);�completa�il�movimento�sollevando�il�ginocchio�destro�e�ruotando�il�corpo�in�modo�da�ritrovarsi�nuovamente�in�samurai�sul�lato�opposto�del�braccio�sinistro�di�uke�(fig.�27c).Tori�sfila�la�mano�destra�da�sotto�la�sinistra�che�si�appoggia�sulla�scapola�sinistra�di�ùke�con�le�dita�rivolte�verso�il�sacro�e�il�pollice�che�contorna�il�bordo�esterno�della�scapola�stessa;�tori�tratta�braccio�(fig.�28a)e�avambraccio�sinistro�di�uke�fermandosi�in�prossimità�del�polso�portando�le�pressioni�con�la�mano�destra�a�V�(con�il�pollice�sopra,�cioè�sulla�direttrice�spalla-pollice�di�uke)�(fig.�28b).�Valgono�qui�le�considerazioni�svolte�al�punto�25)�per�

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i�casi�dipersone�con�le�scapole�"spioventi*.�Anche�in�questa�tecnica�e�in�quelle�seguenti,�qualora�sia�necessario�per�trovare�un�solido�appoggio,�la�mano�di�tori�può�spostarsi�"a�cavallo�"�del�bordo�interno�della�scapola�di�uke.Tori�ripercorre�la�linea�centrale�di�braccio�e�avambraccio�di�uke�portando�le�pressioni�con�il�pollice�della�mano�destra;�le�4�dita�sostengono�e�avvolgono�il�braccio�da�sotto,�cioè�lungo�la�direttrice�ascella-mignolo,�il�pollice�risulta�perpendicolare�alla�lìnea.Tori�sovrappone�la�mano�destra�alla�sinistra�sulla�scapola�sinistra�di�uke�e,�appoggiandosi,�ritrae�il�piede�destro�portandosi�in�seiza�puntato�(fig.�30a)..Riposiziona�il�braccio�sinistro�di�uke�lungo�il�fianco�(simmetricamente�all'altro�braccio),�afferrandolo�con�due�mani�nel�consueto�modo�(fig.�30b).�Poi�riporta�la�mano�destra�sulla�scapola�sinistra�di�uke�e�cerca�appoggio�con�la�mano�sinistra�sulla�sua�scapola�destra;�si�sposta�verso�la�testa�di�uke�e�completa�il�movimento�portando�il�ginocchio�sinistro�oltre�la�testa�(le�ginocchia�di�tori�sono�ora�in�linea�con�le�spalle�di�uke)�(fig.�30c);�si�porta�in�seiza�e�appoggia�le�mani�sulle�scapole�di�uke,�con�i�palmi�appoggiati�al�bordo�superiore�e�le�4�dita�rivolte�verso�il�bacino�(fig.�30d).Tori,�piegando�leggermente�i�gomiti,�porta�dalla�posizione�descritta�una�pressione�con�i�palmi�sul�bordo�superiore�delle�scapole.�Poi,�spostate�le�mani�in�una�presa�avvolgente�sulle�spalle�di�uke�(ipalmi�si�spostano�sull'articolazione�della�spalla�e�i�pollici�si�posizionano�sul�bordo�superiore�delle�scapole,�i�mignoli�nella�cavità�ascellare),�tori�appoggiando�i�gomiti�sulle�proprie�coscie�effettua�una�pressione�sulle�spalle�in�direzione�del�bacino�di�uke�(fig.�31a);�se�la�presa�e�la�direzione�della�spinta�sono�corrette,�la�pressione�produrrà�un�effetto�"stiramento�"�verso�l'esterno�sulle�spalle�di�uke(fig.31b).Tori,�appoggiando�le�mani�sulle�spalle�di�uke,�si�porta�in�seiza�puntato;�sovrappone�le�mani�(destra�sotto)�con�le�dita�allineate�sulla�colonna�vertebrale�nella�zona�infrascapolare�e�porta�la�pressione�(fig.32a);�la�posizione�seiza�puntato�deve�essere�calibrata�in�modo�che�la�pressione�risulti�perpendicolare�alla�schiena�di�uke�nella�zona�di�contatto�(fig.�32b).�Quindi�tori�effettua�una�serie�di�pressioni�con�i�due�pollici�mossi�alternativamente�(prima�il�destro)�suiparavertebrali�iniziando�dalla�sommità�della�schiena�verso�il�collo,�poi�il�sinistro.Riportando�l'appoggio�sulle�mani,�tori�torna�in�seiza�e�effettua�una�serie�di�pressioni�con�i�due�pollici�(pollice�destro�sopra�la�scapola�sinistra,�pollice�sinistro�sopra�la�scapola�destra)�sulla�linea�orizzontale�che�corre�superiormente�al�bordo�delle�scapole;�tori�porta�le�pressioni�muovendo�un�pollice�alla�volta�dall'interno�(angolo�superiore�interno�della�scapola)�verso�l'esterno�fino�all'articolazione�della�spalla�(figg.�33a�e�33b).�Le�4�dita�sono�accostate�e�rivolte�verso�il�sacro.Tori�solleva�delicatamente�(insinuando�la�mano�destra�sotto�il�capo�e�appoggiando�la�sinistra�sopra�l'orecchio)�la�testa�di�uke�e�la�ruota�portando�il�viso�ad

�_�essere�rivolto�verso�la�spalla�sinistra�(fig.�34).Tori�si�sposta,�appoggiando�le�mani�sulle�spalle�di�uke�(fig.�35a),�con�la�stessa�tecnica�descritta�al�punto�30)�(ovviamente�in�direzione�opposta),�fino�a�trovarsi�con�ambedue�le�ginocchia�in�posizione�superiore�alla�spalla�destra�di�uke;�solleva�il�braccio�destro�di�uke�e�lo�porta�in�posizione�leggermente�al�di�sotto�della�linea�delle�spalle�(come�descritto�al�punto�1�).Prosegue�quindi�il�movimento�fino�atrovarsi�in�posizione�gatto�con�la�mano�destra�sulla�scapola�destra�di�uke�(posizione�speculare�a�quella�descritta�al�punto�28)�e�la�mano�sinistra�che�circonda�il�braccio�destro�di�uke,�vicino�all'articolazione�della�spalla�(fig.�35b).�Tori�mantiene�la�pressione�con�la�mano�destra�sulla�scapola�di�uke�e�porta�con�la�mano�sinistra�(presa�avvolgente�con�mano�a�V�e�pollice�sopra)�una�serie�di�pressioni�su�braccio�e�avanbraccio�di�uke,�spostandosi�dalla�spalla�verso�la�mano�(fig.�36a);�conclude�il�percorso�sovrapponendo�la�mano�sinistra�alla�mano�destra�di�uke�e�portando�la�pressione�(fig.�36b).Tori�appoggia�la�mano�sinistra�incrociata�sulla�mano�destra�e�ripete�specularmente�la�procedura�descritta�al�punto�27)�(figg.�37a�e�37b)�in�modo�da�trovarsi�in�samurai,�a�fianco�di�uke�con�il�piede�destro�che�scavalca�il�braccio�destro�di�uke�allineato�al�suo�polso;�la�mano�sinistra�di�tori�trova�appoggio�sulla�scapola

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�destra�di�uke�e�la�mano�destra�circonda�il�suo�braccio�destro�vicino�alla�spalla�(fig.�37c).Tori�riporta�la�mano�destra�vicino�alla�spalla�e�effettua�una�serie�di�pressioni�con�il�pollice�destro�sulla�linea�centrale�di�braccio�e�avambraccio�di�uke�(le�4�dita�sostengono�l'arto�da�sopra,�cioè�lungo�la�direttrice�spalla-pollice);�il�pollice�è�perpendicolare�al�percorso�energetico�sul�braccio�(fig.�39a)�e�parallelo�sull'avambraccio�(fig.�39�b).�La�mano�destra�mantiene�l'appoggio�sulla�scapola�di�uke.Tori�si�appoggia�con�le�due�mani�rispettivamente�sul�sacro�e�sulla�zona�infrascapolare�di�uke;�avvicina�il�piede�destro�al�gomito�di�uke,�mantenendolo�oltre�il�braccio�come�descritto�al�punto�7)�(fig.�40a);�porta�le�mani�sovrapposte�incrociate�sui�muscoli�paravertebrali�di�uke�sulla�destra�della�colonna�vertebrale�in�corrispondenza�alla�zona�infrascapolare�(fig.�40b)�di�uke�e�ripete�specularmente�tutti�i�movimenti�e�le�pressioni�descritte�dal�punto�8)�al�punto�24),�trattando�il�lato�destro�di�schiena,�bacino�e�gamba�di�uke.�

POSIZIONE�SUL�FIANCOTori�chiede�ad�uke�di�posizionarsi�sul�fianco�destro�(fig.�41�a),�ponendo�un�cuscino�sotto�la�sua�testa;�il�braccio�destro�di�uke�è�steso�in�avanti�a�90°�rispetto�all'asse�del�corpo�con�il�palmo�verso�l'alto,�il�braccio�sinistro�è�allineato�e�appoggiato�lungo�il�suo�fianco;�la�gamba�destra�è�piegata�(coscia�e�gamba�al�ginocchio�formano�un�angolo�di�90°�tra�loro�e�di�45°�rispetto�l'asse�del�corpo)�e�sostiene�la�gamba�sinistra�allungata�in�modo�tale�da�appoggiare�il�ginocchiO.Tori�accompagna�i�movimenti�di�uke�mantenendo�sempre�il�contatto�con�le�mani;�nel�contempo�si�riporta�alla�posizione�iniziale�con�uke�a�contatto�del�suo�lato�sinistro�(fig.�41�c).Tori�insinua�mano�e�avambraccio�sinistro�sotto�l'avambraccio�sinistro�di�uke�(che�si�piega�a�90°,�pendente�davanti�al�suo�corpo)�e�ricrea�la�presa�descritta�al�punto�42)�(fig.�43a);�ripete�la�trazione�con�la�stessa�tecnica,�tenendo�però�il�gomito�sinistro�piegato�in�modo�che�il�suo�avambraccio�risulti�parallelo�al�fianco�di�uke�(fig.�43b).Tori�si�pone�in�seiza�dietro�la�schiena�di�uke;�le�ginocchia�sono�all'altezza�delle�spalle�di�uke,�il�ginocchio�destro�viene�allargato�per�migliorare�la�stabilità,�la�colonna�diritta�e�distesa,�le�spalle�rilassate.�Tori�pone�la�mano�sinistra�sulla�spalla�di�uke�e�completa�la�presa�sovrapponendo�la�mano�destra,�in�modo�tale�che�le�due�mani�avvolgano�anteriormente�e�posteriormente�l'articolazione�della�spalla�stessa�(fig.�42a);�con�ambedue�le�mani�effettua�una�trazione�portando�leggermente�indietro�il�tronco,�in�modo�da�creare�un�effetto�di�stiramento�su�spalla�e�collo�di�uke,�utilizzando�il�peso�del�proprio�corpo�"senza�sforzo�muscolare"�(fig.�42b).�Tori�con�la�mano�sinistra�mantiene�in�trazione�la�spalla�di�uke�e�con�la�mano�destra�effettua�una�pressione�appoggiando�il�palmo�della�mano�alla�base�del�cranio�di�uke�sul�lato�della�testa.�La�trazione�e�pressione�realizzate�rispettivamente�con�la�manO�sinistra�e�destra�in�questa�tecnica,�sono�originate�a�livello�dell'addome�di�tori�da��una�torsione�verso�sinistra�del�bacino;�la�mano�destra�di�tori�appoggia�la�parte�inferiore�del�palmo�(eminenze�tenar�ipotenar)�alla�base�del�cranio,�il�pollice�e�le�altre�4�dita�della�mano�passano�rispettivamente�davanti�e�posteriormente�all'orecchio�senza�schiacciarlo.�La�direzione�della�pressione�è�verso�la�sommità�del�capo�di�uke�(figg.�44a�e�44b).�Mantenendo�lo�stiramento�della�spalla,�tori�preme�con�il�pollice�destro�un�punto�retrostante�l'angolo�della�mandibola�(sul�prolungamento�della�linea�orizzontale�della�mandibola�stessa)�(figg.�45a�e�45b);�le�4�dita�avvolgono�la�parte�posteriore�del�collo�esercitando�una�presa-pressione�sostenuta;�il�semicerchio�formato�da�indice�e�pollice�di�tori�è�a�contatto�con�collo�di�uke�senza�lasciare�vuoti�(fig.�45c).Tori�porta�poi�le�pressioni�con�il�pollice�destro�su�una�serie�di�punti�ravvicinati�su�una�linea�che�dalla�zona�retromandibolare�si�dirige�verso�la�7a�cervicale�(la�vertebra�alla�base�del�collo,�in�corrispondenza�alla�linea�orizzontale�che�congiunge�le�spalle).Mantenendo�lo�stiramento�della�spalla,�tori�porta�pressioni�ravvicinate�con�il�p

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ollice�destro�lungo�la�linea�che�dalla�cavità�sotto�l'occipite�si�dirige�versol'articolazione�della�spalla,�procedendo�fino�a�che�è�possibile�un�contatto�avvolgente�sul�collo�(fig.�48a�e�fig.�48b).interrompe�la�serie�di�pressioni�nel�punto�in�cui�verifica�l'impossibilità�a�mantenere�il�contatto�avvolgente�mano-collo�descritto�al�punto�45)�(fig.�46).Tori�riporta�la�mano�destra�alla�base�del�cranio�e�ruota�lievemente�la�testa�di�uke,�rivolgendone�il�viso�verso�il�pavimento�in�modo�da�poter�appoggiare�il�palmo�della�mano�destra�nell'avvallamento�sotto�il�bordo�dell'occipite�(la�zona�di�minor�tensione�sotto�la�base�del�cranio�tra�i�fasci�muscolari�laterali�-�inserzione�del�trapezio�-�e�quelli�posteriori�del�collo�-�muscoli�paravertebrali);�il�pollice�si�unisce�alle�altre�dita�disponendosi�sul�cranio�passando�dietro�l'orecchio�di�uke�(fig.�47a).�Tori�porta�la�pressione�eseguendo�la�torsione�del�bacino�già�descritta�al�punto�44)�(fig.�47b).Tori�prende�con�la�mano�sinistra�il�polso�sinistro�di�uke�e�ne�riporta�il�braccio�sinistro�ad�appoggiarsi�sul�fianco;�dispone�la�mano�aperta�di�uke�a�palmo�basso�sulla�parte�alta�della�coscia�e�sovrappone�la�propria�mano�sinistra�(con�le�dita�rivolte�verso�l'addome)�sul�polso-dorso�della�mano�di�uke.�Appoggia�la�mano�destra�sulla�spalla�sinistra�di�uke�(dita�rivolte�verso�il�petto)�e,�utilizzando�i�due�punti�di�appoggio�così�costituiti�(spalla�sinistra�e�anca�sinistra�di�uke)�(fig.�49a)�si�porta�in�ginocchio�ruotando�su�se�stesso�in�modo�da�trovarsi�rivolto�nella�stessa�direzione�di�uke�(la�linea�delle�spalle�di�tori�è�parallela�alla�colonna�vertebrale�di�uke).�Dispone�le�ginocchia�allargate�in�modo�da�appoggiare�alle�proprie�coscie�sinistra�e�destra�rispettivamente�il�bacino�e�le�scapole�di�uke�(fig.�49b).Tori,�curando�di�mantenere�il�sostegno�a�uke�con�la�parte�anteriore�delle�proprie�cosce,�ruota�le�mani�in�modo�da�rivolgere�le�dita�rispettivamente�verso�la�testa�e�i�piedi�di�uke�e�porta�la�pressione�con�ipalmi�sui�punti�di�appoggio�(spalla�e�polso-anca�di�uke);�in�genere,�essendo�i�punti�di�appoggio�ad�una�distanza�tra�loro�superiore�alla�larghezza�delle�spalle�di�tori,�la�pressione�correttamente�portata�genera�uno�stiramento�del�braccio�e�del�fianco�sinistro�di�uke�(fig.�50).Tori�distende�il�braccio�sinistro�di�uke�sollevandone�il�polso�con�la�mano�sinistra�fino�alla�posizione�verticale,�sostenendo�con�la�mano�destra�l'articolazione�della�spalla�di�uke�(fig.�11a).�Giunto�alla�verticale,�tori�effettua�uno�scambio�di�mani�prendendo�il�polso�di�uke�con�la�mano�destra�e�proseguendo�nel�movimento�fino�a�portare�il�braccio�di�uke�in�estensione�oltre�il�capo�sullo�stesso�asse�della�colonna;�la�mano�sinistra�sostiene�l'articolazione�della�spalla�accompagnando�il�movimento�(fig.�12b).Tori�appoggia�il�centro�del�palmo�della�mano�destra�sulla�prominenza�dell'articolazione�della�spalla,�circondandola�con�la�linea�pollice-indice;�riporta�la�mano�sinistra�sull'anca�(palmo�sulla�prominenza�dell'articolazione�-�gran�trocantere)�e�ripete�la�pressione�stirando�il�fianco�di�uke�(fig52).Tori�mantiene�la�pressione�con�la�mano�destra�sull'articolazione�della�spalla,�sposta�la�mano�sinistra�sulla�gabbia�toracica�di�uke�ed�effettua�alcune�pressioni�con�il�palmo�scendendo�lungo�il�fianco;�le�pressioni�vanno�portate�con�la�mano�a�V�(le�4�dita�verso�il�petto,�il�pollice�verso�il�dorso�di�uke),�delicatamente�sulla�zona�"solida�"�della�gabbia�toracica�(evitando�le�costole�fluttuanti)�(figg.�53a�e�53b).�Tori�accompagna�il�braccio�sinistro�di�uke,�reggendo�la�spalla�con�la�mano�destra�e�il�gomito�con�la�mano�sinistra�a�distendersi�nella�stessa�direzione�del�destro�con�il�gomito�piegatoe�il�palmo�appoggiato�a�terra�(fig-�54).Tori�posiziona�prima�la�mano�sinistra�e�poi�la�destra�sull'anca�di�uke�e�sposta�leggermente�il�ginocchio�sinistro�verso�i�piedi�di�uke;�accosta�poi�il�ginocchio�destro�al�sinistro;�l'appoggio�delle�mani�è�sui�palmi,�le�dita�sono�parallele�tra�loro�e�rivolte�verso�il�pube�di�uke�(fig.�55).Tori,�appoggiandosi�sulle�mani�e�sostenendo�il�bacino�di�uke�con�la�coscia�destra,�assume�la�posizione�samurai�sollevando�il�ginocchio�sinistro�e�portando�il�piede�oltre�la�gamba�sinistra�di�uke,�vicino�al�suo�ginocchio�destro�sul�prolungamento�della�linea�della�coscia�(fig.�56).

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Tori,�appoggiando�il�gomito�sinistro�alla�propria�coscia�sinistra,�porta�con�il�palmo�della�mano�sinistra�(dita�rivolte�in�avanti)�una�serie�di�pressioni�sul�lato�esterno�della�coscia�di�uke,�scendendo�fino�al�ginocchio�escluso�(fig.�57a�e�57b).�Mantenendo�l'appoggio�con�la�mano�destra�sull'anca�di�uke,�tori�ripercorre�il�lato�esterno�della�coscia�(linea�centrale)�portando�le�pressioni�con�il�pollice�perpendicolare�al�percorso�energetico�fino�al�ginocchio�escluso;�le�4�dita�sostengono�la�parte�posteriore�della�coscia�(fig.�57c).�La�gamba�sinistra�di�tori�continua�a�servire�da�appoggio.Tori�si�porta�sull'altro�lato�di�uke�e�gli�chiede�di�posizionarsi�sul�fianco�sinistro;�si�dispone�(mantenendo�sempre�il�contatto�con�le�mani)�con�il�fianco�destro�a�contatto�di�uke.�Ripete�specularmente�il�trattamento�sull'altro�fianco,�ripercorrendo�i�punti�da�41)�a�57).�

POSIZIONE�SUPINATori�chiede�a�uke�diportarsi�in�posizione�supina�e�lo�accompagna�nel�movimento,�perfezionandone�la�posizione.�Tori�è�in�seiza�puntato,�colonna�diritta�e�allungata,�spalle�rilassate,�respirazione�lenta�e�profonda;�a�contatto�con�la�sua�gamba�destra�uke�è�in�posizione�supina,�braccio�destro�aperto�su�una�direttrice�leggermente�al�di�sotto�della�linea�delle�spalle,�braccio�sinistro�lungo�il�fianco�aperto�nella�posizione�spontanea�(circa�30°)�(fig.�59a).�Tori�porta�la�mano�destra�a�contatto�con�l'addome�di�uke;�il�centro�della�mano�di�tori�(l'articolazione�metacarpo-falange�del�dito�medio)�si�sovrappone�all'ombelico�di�uke;�la�linea�spalla-gomito-�polso�di�tori�è�perpendicolare�al�pavimento�e�allineata�al�fianco�di�tori�stesso;�le�dita�di�tori�sono�rivolte�verso�il�torace�(lo�sterno)�di�uke�(fig.�59b).Tori�porta�la�pressione,�distribuita�su�tutta�la�mano,�sull'addome�di�uke;�è�una�pressione�estremamente�prudente�e�controllata,�attenta�alle�reazioni�di�fastidio�o�di�dolore�che�uke�può�manifestare�alterando�la�respirazione�o�irrigidendo�i�muscoli�(fig.�60).Tori�sposta�la�mano,�sfiorando�la�superficie,�e�porta�la�punta�delle�4�dita�nella�zona�dell'addome�sotto�allo�sterno�(sotto�l'appendice�ensiforme)�senza�toccare�la�struttura�ossea.�Porta�una�pressione�attenta�e�controllata�(fig.�61�)�in�direzione�del�pavimento.Tori,�facendo�perno�sulla�punta�delle�dita�leggermente�appoggiate,�ruota�la�mano�verso�la�propria�sinistra�(fig.�62a)�e�poi�verso�destra�(fig.�62b);�la�mano�sfiora�la�gabbia�toracica�(l'indice�nello�spostamento�a�sinistra�-�il�pollice�si�appoggia�senza�pressione�sopra�le�coste�-�e�il�mignolo�nello�spostamento�a�destra),�portando�in�ambedue�le�posizioni�una�pressione�controllata.Tori�sposta�poi�la�mano�sull'addome�in�basso�in�posizione�centrale,�con�l'attaccatura�del�polso�(eminenza�tenar�ipotenar)�che�sfiora�l'osso�pubico,�portando�la�pressione�(fig.�63).Facendo�perno�su�questo�punto,�tori�ruota�prima�a�destra�poi�a�sinistra�la�mano�fino�a�sfiorare�le�ossa�del�bacino�(cresta�e�spina�iliaca)�e�in�ambedue�le�zone�ripete�la�pressione�controllata�(figg.�64a�e�64b);�anche�in�questo�caso�il�mignolo�va�a�sfiorare�la�struttura�ossea�nello�spostamento�a�destra�e�l'indice�nello�spostamento�a�sinistra�(ilpollice�si�appoggia�sull'osso�senza�premere).Tori,�appoggiandosi�sulla�mano�destra�si�solleva�in�ginocchio�ruotando�fino�a�trovarsi�rivolto�verso�uke�(la�linea�delle�sue�spalle�è�parallela�alla�colonna�di�uke);�poi�sposta�la�mano�destra�più�in�basso�sulla�coscia�di�uke�(vicino�al�ginocchio)�(fig.�67a)�e�si�porta�in�samurai�con�il�viso�rivolto�verso�i�piedi�di�uke,�mentre�la�mano�sinistra�va�ad�appoggiarsi�a�sua�volta�sulla�coscia�destra�di�uke�in�posizione�centrale�(appoggiata�a�V,�pollice�esterno)�(fig.�67b);Tori�riporta�la�mano�al�centro�dell'addome�e�ripete�la�pressione�(fig.�65).�La�pressione�sull'addome�deve�essere�dolce�e�controllata�ma�intensa;�deve�dare�a�uke�la�precisa�sensazione�di�un�contatto�rispettoso�ma�stimolante.�Tutte�le�pressioni�sono�portate�con�la�spalla�a�perpendicolo�sulla�mano�rispetto�il�pavimento.�La�mano�è�sostenuta�senza�rigidità.�Tori�porta�la�mano�sinistra�sulla�mano�destra,�incrociata�(fig.�66a);poi�sfila�la�mano�destra�e�la�appoggia,�con�una�torsione�del�braccio�in�senso�orario,�sulla�coscia�di�uke�(circa�a�metà)�con�il�pollice�all'interno�e�le�4�dita�all'esterno.

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�La�mano�sinistra�resta�a�contatto�trasversalmente�sull'addome�di�uke�(fig.�66b).�si�sposta�infine�verso�il�basso�avanzando�con�il�piede�destro�e�appoggiando�la�mano�destra�sulla�gamba�di�uke�(�mano�a�V,�pollice�intemo)�(fig.�67c).�Quindi�prende�la�gamba�di�uke�(con�la�mano�sinistra�sopra�il�ginocchio�all'interno�della�coscia�e�con�la�mano�destra�vicino�alla�caviglia)�e�la�piega�ruotando�all'esterno�il�ginocchio�(fig.�67d)�in�modo�tale�che�l'alluce�destro�di�uke�si�collochi�in�corrispondenza�del�suo�malleolo�sinistro�(fig.�67e).�Tori�riporta�la�mano�sinistra�sull'addome�di�uke�e�appoggia�il�palmo�sulla�sporgenza�ossea�sul�suo�fianco�sinistro�(spina�iliaca)�con�le�dita�all'esterno;�con�la�mano�destra�effettua�un�progressivo�stiramento�premendo�sul�ginocchio�destro�aperto�di�uke�(palmo�e�dita�avvolgono�la�parte�anteriore�del�ginocchio�-�rotula),�valutando�senza�forzature�la�mobilitàdell'articolazione�(fig.�68a);�quindi�colloca�sotto�il�ginocchio�un�supporto�di�dimensioni�adeguate�a�sostenerlo�mantenendo�lo�stiramento�(fig.�68b).tori�risultano�parallele�alla�coscia�di�uke;�le�linee�delle�gambe�di�tori�non�sono�parallele�ma�risultano�convergenti�verso�il�piede�più�arretrato�(vedi�punto�g�nelle�note�finali).Tori�cerca�con�il�pollice�destro�e�porta�la�pressione�su�un�punto�sensibile�e/o�doloroso�che�si�colloca�sulla�linea�in�stiramento�in�prossimità�dell'articolazione�del�ginocchio�(sul�bordo�esterno�del�muscolo);�effettua�poi�una�serie�di�pressioni�sulla�stessa�direttrice�con�il�pollice�sinistro�percorrendo�tutto�il�muscolo�in�stiramento�fino�a�pochi�centimetri�dal�punto�fisso;�il�pollice�è�perpendicolare�al�muscolo�e�al�percorso�energetico;�le�altre�4�dita�sono�rivolte�verso�l'esterno,�(fig.�70).Tori�prende�la�gamba�di�uke�nel�modo�descritto�al�punto�67)�e�la�posiziona�in�modo�che�il�tallone�destro�si�collochi�in�corrispondenza�al�ginocchio�sinistro�di�uke�(fig.�71).Tori�riporta�la�pressione�con�la�mano�destra�sul�ginocchio�destro�di�uke�ed�effettua�con�il�palmo�della�mano�sinistra�alcune�pressioni�sulla�fascia�centrale�-�superiore�della�coscia�(quella�più�vicina�a�tori�in�questa�posizione,�sul�muscolo�che�risulta�stirato)�con�le�dita�verso�l'esterno�nella�parte�superiore�(fig.�69a),�con�il�pollice�verso�l'esterno�e�le�4�dita�all'interno�nella�porzione�inferiore�(fig.�69b).�Tori�riporta�la�mano�destra�in�pressione�avvolgente�sul�ginocchio�destro�di�uke�come�descritto�al�punto�68)�e�con�la�mano�sinistra�effettua�una�serie�di�pressioni�palmari�sulla�linea�centrale�della�faccia�interna�della�coscia,�nell'avvallamento�tra�il�fascio�muscolare�trattato�al�punto�69)�e�i�fasci�muscolari�sottostanti�-�adduttori��;�le�dita�sono�rivolte�all'esterno�nella�prima�pressione�palmare�(fig.�72a),�poi�verso�l'interno�nelle�pressioni�successive�(fig-�72b).Tori�cerca�un�punto�sensibile�e/o�doloroso�sulla�linea�trattata�in�prossimità�del�ginocchio�e�vi�porta�e�mantiene�la�pressione�con�il�pollice�destro;�tratta�con�il�pollice�sinistro�la�linea�nell'avvallamento�già�descritto�lungo�tutta�la�coscia�fino�in�prossimità�del�punto�fisso;�le�4�dita�della�mano�sinistra�sono�all'esterno�e�il�pollice�perpendicolare�al�percorso�energetico�nel�tratto�alto�(fig.�73a),�all'interno�della�coscia�e�il�pollice�parallelo�al�percorso�nel�tratto�inferiore�(fig.�73�b).Tori�torna�ad�avvolgere,�premendo,�il�ginocchio�destro�di�uke�con�la�mano�destra�e,�senza�variare�la�posizione,�preme�con�il�palmo�della�mano�sinistra�la�faccia�interna�della�gamba�di�uke�fin�quasi�alla�caviglia;�le�dita�sono�a�V�(pollice�sul�polpaccio,�4�dita�sullo�stinco�-�cresta�della�tibia)�(figg¦�74a�e�74b);�Tori�afferrando�la�gamba�di�uke�alla�caviglia�e�al�ginocchio�nel�solito�modo,�la�riporta�in�posizione�distesa�(fig.�74c).�Poi,�appoggiandosi�su�coscia�e�gamba,�si�porta�in�ginocchio�rivolto�verso�uke�(spalle�di�tori�parallele�alla�colonna�di�uke)�(fig.�75d).�Tori�porta�le�mani�a�V,�con�il�pollice�esterno,�rispettivamente�sulla�zona�centrale�della�coscia�(mano�sinistra)�e�sotto�il�ginocchio�(mano�destra);�si�porta�in�seiza�puntato�mantenendosi�in�posizione�frontale�rispetto�alla�gamba�di�uke.�Le

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�ginocchia�di�tori�sono�aperte,�con�il�ginocchio�destro�posizionato�più�in�basso�rispetto�al�ginocchio�di�uke�(fig.�75).Tori�con�la�mano�destra�ruota�leggermente�verso�l'interno�la�gamba�di�uke�in�posizione�tale�che�l'asse�centro�del�tallone�-�5°�dito�risulti�verticale,sostenendola�poi�in�quella�posizione�mediante�l'appoggio�del�ginocchio�destro�(fig.�76a).Con�il�pollice�destro�cerca�e�preme�un�punto�sensibile�e/o�doloroso�sulla�gamba�di�uke�sotto�il�ginocchio;�il�punto�in�questione�si�colloca�all'incirca�4�dita�sotto�il�ginocchio�(rotula)�ed�esterno�(1�dito)�alla�sporgenza�ossea�anteriore�della�gamba�(cresta�della�tibia);�le�4�dita�della�mano�destra�sostengono�la�parte�interna�della�gamba�di�uke�(fig.�76b).Tori�mantenendo�la�pressione�con�il�pollice�destro�sul�punto�sotto�il�ginocchio�di�uke�(ilpolso�di�tori�è�solidamente�appoggiato�al�suo�ginocchio�destro),�porta�la�mano�sinistra�ad�appoggiarsi,�premendo�con�il�palmo,�sulla�parte�superiore�della�coscia�di�uke�(adiacente�all'articolazione)�con�le�5�dita�all'esterno�(fig.�77a).�Poi�porta�una�serie�di�pressioni�palmari�sulla�parte�superiore�esterna�della�coscia,�lungo�il�bordo�del�muscolo�centrale�(retto�femorale),�con�le�dita�rivolte�all'esterno�nella�parte�superiore�(fig.�77b),�portando�le�4�dita�all'interno�da�metà�coscia�al�ginocchio�escluso�(figg.77ce77d).Tori�mantenendo�il�pollice�destro�sul�punto�sotto�il�ginocchio;�effettua�una�pressione�con�il�pollice�sinistro�sulla�linea�centrale�della�coscia�sotto�l'articolazione�dell'anca�(nel�punto�di�sovrapposizione�del�sartorio�e�del�retto�femorale);�le�4�dita�sono�orientate�verso�l'esterno�dell'anca�(fig.�78).Tori�ripete�le�pressioni�con�il�pollice�sinistro�perpendicolare�al�percorso�energetico�sulla�linea�superiore-esterna�della�coscia�(bordo�esterno�del�retto�femorale)�e�con�le�4�dita�orientate�verso�l'esterno�nel�tratto�superiore�(figg.�79a�e�79b);�con�il�pollice�parallelo�al�percorso�eie�4�dita�orientate�verso�l'interno�nella�parte�inferiore�fino�al�ginocchio�escluso�(fig.�79c).Tori�appoggia�le�mani�su�coscia�e�gamba�di�uke�(come�al�punto�75)�e�si�risolleva�in�posizione�gatto;�risale�poi�lungo�il�corpo�di�uke�con�la�consueta�tecnica�fino�a�collocarsi�in�gatto�di�fronte�al�braccio�di�uke�disteso,�palmo�aperto�verso�l'alto,�su�una�linea�leggermente�al�di�sotto�dei�90°�rispetto�l'asse�del�corpo;�la�mano�destra�di�tori�è�in�appoggio�con�il�palmo�sui�muscoli�pettorali�(piccolo�pettorale)�e�le�dita�^�avvolgono�l'articolazione�della�spalla�destra�di�uke�(pollice�nel�cavo�ascellare);�la�mano�sinistra�circonda�e�preme�il�braccio�di�uke�(mano�a�V�con�pollice�sotto,�sulla�direttrice�ascella-mignolo).Mantenendo�la�pressione�con�la�mano�destra,�tori�sposta�la�mano�sinistra�portando�le�pressioni�lungo�il�braccio�fino�alla�mano,�dove�preme�palmo�contro�palmo�con�le�dita�sovrapposte�e�allineate�(figg.�81�a�e�81�b).Tori�avvicina�il�ginocchio�destro�all'ascella�di�uke�appoggia�la�mano�sinistra�incrociata�sopra�la�destra�(fig.�82a)�e�facendo�perno�sulle�mani�sovrapposte�ripete�il�movimento�in�tre�tempi�descritto�al�punto�27)�trovandosi�in�samurai�sopra�il�braccio�disteso�di�uke�(dalla�parte�della�testa,�piede�allineato�al�polso),�con�il�palmo�della�mano�sinistra�appoggiata�al�piccolo�pettorale�di�uke�e�le�dita�a�V�che�circondano�l'articolazione�della�spalla�(le�4�dita�si�insinuano�nella�cavità�ascellare)�(fig.�82b);�la�mano�destra�a�V�circonda�il�braccio�con�il�pollice�sopra,�sulla�direttrice�spalla-pollice�(fig.�82c).Tori�sposta�la�mano�destra�e�porta�una�serie�di�pressioni�con�il�palmo�(mano�a�V�con�pollice�sopra)�lungo�braccio�(fig.�83a)�e�avambraccio�di�uke�fino�al�polso�(fig.�83b).Tori,�mantenendo�la�pressione�con�la�mano�sinistra�sui�pettorali,�effettua�una�serie�di�pressioni�con�il�pollice�destro�lungo�la�linea�centrale�del�braccio�(fig.�84a)�e�avambraccio�di�uke�(fig.�84b);�le�4�dita�sostengono�il�braccio�da�sotto,�cioè�lungo�la�direttrice�ascella-mignolo;�il�pollice�è�perpendicolare�al�percorso�energetico�trattato�sul�braccio,�parallelo�sull'avambraccio.Tori�appoggia�le�mani�su�spalla�e�polso�di�uke�e�ritrae�il�piede�portandosi�in�seiza�sopra�il�braccio�di�uke;�sovrappone�poi�la�mano�destra�alla�sinistra�(fig.�85a)�e�ripete�la�sequenza�di�movimenti�descritta�al�punto�30)�fino�a�trovarsi�in�seiza�con�le�ginocchia�accanto�alle�spalle�di�uke�(la�testa�di�uke�risulta�collocata�tra�le�ginocchia�di�tori)�(fig.�85b).

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Tori�si�solleva�in�seiza�puntato�con�le�mani�appoggiate�sui�muscoli�pettorali�di�uke,�le�4�dita�insinuate�nel�cavo�ascellare�e�ipollici�aperti�verso�lo�sterno�(il�centro�della�gabbia�toracica)�ed�effettua�una�pressione�sulla�zona�superiore�del�petto�di�uke�(fig.�86).Tori�sostituisce�la�mano�destra�alla�mano�sinistra�sul�pettorale�sinistro�di�uke,�con�le�dita�in�direzione�dell'ascella.�Con�la�mano�sinistra�afferra�il�braccio�sinistro�di�uke,�portandolo�in�posizione�distesa�su�una�linea�leggermente�inferiore�a�90°�rispetto�l'asse�del�corpo�(fig.�87a).�Porta�la�sua�mano�sinistra�ad�appoggiarsi�a�V�sul�braccio�sinistro�di�uke,�pollice�lungo�la�direttrice�spalla-�pollice,�fa�scivolare�all'indietro�il�ginocchio�destro,�evitando�la�testa�di�uke�e�si�porta�nella�posizione�del�gatto�(fig.�87b).Tori�porta�una�serie�di�pressioni�con�la�mano�sinistra�(pressioni�col�palmo,�dita�a�V�con�pollice�sopra),�su�braccio�e�avambraccio�sinistro�di�uke�(fig.�88a)�fino�alla�pressione�palmo�contro�palmo�a�dita�parallele�sulla�mano�(fig.�88b).Tori�appoggia�la�mano�sinistra�incrociata�sulla�destra�e�ripete�la�manovra�in�3�tempi�descritta�al�punto�27)�fino�a�trovarsi�in�posizione�samurai�con�la�mano�sinistra�in�appoggio�sui�pettorali�a�sinistra�di�uke�(la�linea�pollice-indice�circonda�l'articolazione�della�spalla),�il�ginocchio�sinistro�a�terra�e�il�piededestro�oltre�il�braccio�di�uke,�all'altezza�del�polso.�La�mano�destra�è�a�V�(pollice�sotto)�sul�braccio�sinistro�di�uke�vicino�alla�spalla�(fig.�89).Tori�mantiene�la�pressione�con�la�mano�sinistra�sui�pettorali�di�uke�e�porta�una�serie�di�pressioni�su�braccio�e�avambraccio�di�uke�con�il�palmo�della�mano�destra�fino�al�polso;�la�mano�è�a�V�con�il�pollice�sotto�(fig.�90).Mantenendo�la�pressione�con�la�mano�sinistra,�tori�porta�una�serie�di�pressioni�con�il�pollice�destro�sulla�linea�centrale�di�braccio�e�avambraccio�di�uke�sostenendo�il�braccio�con�le�4�dita�da�sopra,�cioè�lungo�la�direttrice�spalla-pollice;�il�pollice�è�perpendicolare�al�percorso�energetico�sul�braccio�(fig.�91�),�parallelo�sull'avambraccio.Tori�appoggia�le�mani�su�pettorale�e�avambraccio�e�ritrae�il�piede�fino�a�portarsi�in�posizione�gatto�sotto�il�braccio�di�uke;�appoggia�quindi�la�mano�destra�sulla�sinistra�(fig.�92)�e�senza�perdere�il�contatto�con�uke�si�porta�nella�posizione�descritta�al�punto�67c);�quindi�ripete�il�trattamento�della�gamba�sinistra�secondo�le�indicazioni�dei�punti�da�68)�a�79).�

TRATTAMENTO�DEL�VISOTori�si�porta�in�posizione�seiza�sopra�la�testa�di�uke,�con�le�ginocchia�vicine�alle�sue�spalle�e�la�testa�di�uke�tra�le�ginocchia.�Le�braccia�di�uke�sono�posizionate�nella�posizione�più�naturale�e�comoda�formando�un�angolo�di�circa�30°�rispetto�l'asse�del�corpo�(fig.�93).Tori�insinua�le�mani�(sinistra�sotto�la�destra)�ad�avvolgere�la�parte�alta�posteriore�del�collo�e�la�nuca;�i�pollici�si�appoggiano�senza�stringere�sotto�le�mandibole;�la�linea�pollice-palmo-mignolo�di�ambedue�le�mani�sostiene�la�testa�a�contatto�con�la�struttura�ossea�(mandibola�-�base�cranica),�le�altre�dita�sostengono�il�collo�(fig.�94a).�Tori�spostaindietro�il�tronco�usando�il�proprio�peso�per�effettuare�una�trazione-stiramento�su�tutta�la�colonna�vertebrale�di�uke�(fig.�94b).�Attenzione�!�non�premere�con�i�pollici�sulla�gola!Tori�appoggia�la�testa�di�uke�su�un�supporto�basso�(un�asciugamano�ripiegato);�poi�effettua�una�leggera�pressione�avvolgente�con�il�solo�peso�delle�mani�sui�lati�del�viso,�i�pollici�dolcemente�appoggiati�sui�globi�oculari;�le�4�dita�son�distese�e�accostate�(fig.�95).�Tori�appoggia�le�4�dita�sotto�il�bordo�della�mandibola�ed�esercita�una�trazione�spostando�leggermente�indietro�il�peso�del�tronco;�i�pollici�sono�appoggiati�sul�mento�e�si�spostano�contemporaneamente.Tori�sposta�le�4�dita�ai�lati�del�collo�e�appoggia�i�pollici�sul�bordo�anteriore�della�mandibola�(sul�mento).�Allargando�i�gomiti�porta�una�serie�di�pressioni�dal�centro�verso�l'esterno�su�tutta�la�linea�della�mandibola�fino�all'angolo�(figg.�97a�e�97b).�I�pollici�premono.�Tori�appoggia�le�4�dita�arcuate�di�ciascuna�mano�sulla�guancia�sotto�lo�zigomo�corrispondente�e�i�pollici�sulla�fronte;�si�ancora�alla�sporgenza�dello�zigomo�per�effettuare�una�trazione�verso�l'alto,�ottenu

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ta�mediante�un�leggero�spostamento�del�peso�del�tronco�all'indietro�(fig.�98).�Tori�porta�i�pollici�a�premere�due�punti�sotto�gli�zigomi�di�uke,�ai�lati�delle�narici�(in�linea�con�le�pupille�degli�occhi);�le�4�dita�sono�allargate�ai�lati�della�testa,�i�gomiti�di�tori�sono�allargati�(fig.�99).Tori�riporta�le�4�dita�sui�lati�del�viso�di�uke�e�con�ipoilici�effettua�una�serie�di�pressioni�sulle�sopracciglia�dall'interno�verso�l'esterno;�ipoilici�si�spostano�e�premono�contemporanea¬mente,�orientati�a�45°�gradi�rispetto�l'asse�del�corpo�(fig.�101).Tori�appoggia�i�polpastrelli�delle�4�dita�sul�bordo�inferiore�dell'arco�sopraccigliare�(i�pollici�sono�appoggiati�sulla�fronte)�ed�esercita�con�la�consueta�tecnica�una�trazione�verso�l'alto�(fig.�100).Tori�ripete�le�pressioni�con�la�stessa�tecnica�dall'interno�all'esterno�sulla�linea�dell'attaccatura�dei�capelli�(fig.�102);�in�queste�tecniche�e�nelle�tecniche�seguenti�(da�101�a�106)�man�mano�che�i�punti�di�pressione�si�spostano�dalle�sopracciglia�verso�la�testa,�l'inclinazione�dei�pollici�nelle�pressioni�varia�dai�45°�ai�90°�rispetto�l'asse�del�corpo�per�adattarsi�naturalmente�alla�posizione�dei�gomiti�e�alla�conformazione�del�viso.Tori�porta�il�pollice�sinistro�sulla�linea�mediana�della�fronte,�leggermente�sopra�la�linea�delle�sopracciglia�(sul�terzo�occhio);�con�il�pollice�destro�preme�la�fossetta�al�centro�del�mento�(fig.�103a)�e,�con�delicatezza,�nello�spazio�tra�naso�e�labbro�superiore.�Le�4�dita�si�appoggiano�delicatamente�sotto�la�mandibola�diuke.�(fig.�103b).

''''�Mantenendo�fisso�il�pollice�sinistro,�tori�preme�con�il�pollice�destro�la�radice�del�naso�(al�centro�tra�gli�occhi)(fig.�104a);poi�tratta�la�linea�centrale�della�fronte�fino�all'attaccatura�dei�capelli�(fig.�104b).�Tori�tratta�con�ambedue�ipoilici,�muovendoli�alternativamente,�due�linee�parallele�che�dal�margine�interno�delle�sopracciglia�salgono�all'attaccatura�dei�capelli�(figg.�105a�e�105b).�In�tutte�queste�tecniche�le�4�dita�sono�leggermente�divaricate�e�sostengono�in�modo�avvolgente�la�testa�di�uke.Con�la�stessa�tecnica�tori�tratta�due�linee�parallele�dal�centro�dell'arco�sopraccigliare�(fig.IOóa)�all'attaccatura�dei�capelli�(fig.IOób).Tori�solleva�il�capo�di�uke�passando�entrambe�le�mani�sotto�la�nuca;�toglie�il�supporto�e�accosta�le�proprie�gambe�fino�a�portarle�a�contatto�tra�loro,�appoggiando�la�testa�di�uke�sopra�le�cosce.�Pone�il�pollice�sinistro�sulla�linea�centrale�della�fronte�(fig.�107a)�in�corrispondenza�all'attaccatura�dei�capelli�e�con�il�pollice�destro�porta�una�serie�di�pressioni�lungo�la�linea�centrale�fino�alla�sommità�del�capo�(fig.�107b).Tori�appoggia�i�pollici�paralleli�all'attaccatura�dei�capelli�e�riprende�le�linee�trattate�al�punto�105)�proseguendo�le�pressioni�fino�alla�sommità�del�capo�(fino�a�dove�resta�possibile�una�pressione�perpendicolare�senza�forzature)�(fig.�108).�Le�4�dita�sostengono�la�testa�come�descritto�al�punto�105).���Tori�appoggia�per�qualche�secondo�(una�o�due�respirazioni)�le�mani�accostate�sulla�fronte�di�uke�con�le�dita�distese�che�vanno�a�coprire�ed�a�esercitare�una�leggera�pressione�sugli�occhi�(fig.�109).Tori�termina�il�trattamento�riportandosi�in�seiza�puntato�a�fianco�di�uke�sul�lato�destro,�con�la�mano�destra�appoggiata�sull'addome�come�al�punto�59)�(fig.�111).�

Tori�porta�le�mani�a�sostenere�da�sotto�la�nuca�la�testa�di�uke�e,�allargando�le�coscie,�la�appoggia�a�terra,�posizionandola�in�modo�tale�che�le�vertebre�cervicali�risultino�distese;�conclude�appoggiando�per�qualche�secondo�le�mani�ai�lati�del�viso�di�uke�come�al�punto�95)�(fig.�110).Tori�si�rilassa�in�seiza,�mantenendo�il�contatto�con�la�mano�destra�sull'addome�di�uke�(fig.112).��Uno�di�fronte�all'altro�in�seiza,�con�le�proprie�mani�appoggiate�palmo�contro�palmo�all'altezza�degli�occhi�(spalle,�gomiti�e�polsi�alla�stessa�altezza),�tori�e

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�uke�si�ringraziano�a�vicenda�per�la�collaborazione,�piegando�leggermente�il�busto�l'uno�verso�l'altro�e�ritornando�in�posizione�eretta.�La�respirazione�è�lenta�e�profonda.�

Nel�testo�descrittivo�del�kata�non�è�ovviamente�possibile�precisare�tutte�le�indicazioni�che�permettono�di�perfezionare�la�tecnica;�riteniamo�che�la�partecipazione�ad�un�corso�con�un�istruttore�in�carne�ed�ossa�sia�indispensabile�(gli�istruttori�abilitati�ad�insegnare�il�corso�di�introduzione�dell'Accademia�Italiana�Shiatsu-do�sono�attualmente�una�quarantina�in�tutta�Italia�ed�è�possibile�organizzare�un�corso�di�introduzione�in�qualsiasi�centro);�ciononostante�la�pratica�eseguita�seguendo�le�indicazioni�del�testo�e�delle�immagini�può�sicuramente�costituire�una�prima�esperienza�utile�e�positiva,�creando�le�premesse�e�una�base�corretta�per�esperienze�successive.�Le�avvertenze�a�seguito�completano�i�criteri�base�per�una�pratica�proficua.a. È�buona�norma,�nella�prima�fase�di�apprendimento,�non�portare�pressioni�direttamente�sulle�articolazioni,�salvo�quando�non�è�espressamente�indicato;�pertanto�saltate�nella�sequenza�delle�pressioni�gomiti,�ginocchia�ecc.�b. L'indicazione�delle�zone�del�tronco�in�cui�iniziare�le�pressioni�e/o�cambiare�posizione�o�tecnica�è�volutamente�imprecisa�(es.�4a�o�5a�vertebra�dorsale)�in�quanto�la�diversa�conformazione�della�struttura�ossea�e�muscolare�di�uke�obbliga�a�lasciare�limitati�margini�discrezionali.Una�schiena�più�pronunciata,�l'inclinazione�del�piano�di�appoggio�obbligherà�tori�a�iniziare�le�pressioni�più�in�basso�(5a�dorsale),�una�schiena�più�piatta�consentirà�di�iniziare�lepressione�più�in�alto�(4a�dorsale).c. Nel�portare�le�pressioni,�evitate�di�avvicinare�eccessivamente�le�mani�tra�loro�se�ciò�crea�linee�di�pressione�troppo�inclinate,�cioè�poco�perpendicolari�al�corpo�di�uke;�per�esempio�nel�premere�con�il�palmo�o�il�pollice�la�linea�sulla�coscia�come�descritto�al�punto�70)�è�bene�fermarsi�sopra�il�ginocchio�di�quel�tanto�(5-10�cm)�che�non�obbliga�a�posizioni�scomode�e�dubbie�perpendicolarità.d. Salvo�indicazioni�contrarie,�le�pressioni�con�il�pollice�vanno�effettuate�avendo�cura�di�porre�l'asse�del�pollice�stesso�parallelo�al�percorso�energetico�trattato�quando�questo�percorre�un'avvallamento�o�il�bordo�di�un�muscolo,�perpendicolare�al�percorso�energetico�quando�corre�sulla�prominenza�di�un�muscolo.e. Nelle�tecniche�di�pressione�con�il�pollice,�le�altre�4�dita�sono�normalmente�accostate�(non�serrate)�e�parallele;�si�aprono�leggermente�a�ventaglio�(senza�forzature)�quando�si�pone�il�problema�di�ampliare�la�base�di�appoggio�o�per�bilanciare�il�peso�sui�pollici�(esempio:�le�pressioni�a�pollici�sovrapposti�sul�dorso�con�mani�a�farfalla)�o�per�sostenere�controllando�la�parte�sottoposta�a�pressione�(esempio:�il�sostegno�della�testa�durante�le�pressioni�sulla�fronte�o�sul�mento).f. Il�gomito�del�braccio�che�porta�le�pressioni�può�essere�leggermente�piegato,�anzi�è�meglio�che�lo�sia�per�evitare�posizioni�troppo�rigide;�importante�che�ciò�non�induca�nella�tentazione�di�contrarre�i�muscoli;�ciò�non�succederà�se�avrete�praticato�sufficientemente�a�lungo�lo�Hoko�no�kata�(pas¬seggiata).�Quando�il�gomito�invece�è�piegato,�di�norma�si�usa�il�supporto�del�ginocchio�o�della�coscia�per�premere�in�modo�corretto�senza�contratture�muscolari.g. Le�posizioni�samurai�proposte�in�questo�kata�sono�quasi�tutte�a�gambe�parallele;�esistono�situazioni�in�cui�è�possibile�(anzi�necessario)�derogare�da�questa�norma,�ma�per�il�momento�allenatevi�a�mantenere�questa�condizione�di�parallelismo�tra�la�gamba�a�terra�e�la�coscia�sollevata�orizzontale,�salvo�in�quelle�situazioni�in�cui�sia�espressamente�indicato�un�modo�diverso�di�posizionare�le�gambe�(es.�al�punto�67).�h.�Il�principio�base�e�è�quello�di�realizzare�in�ogni�zona�il�maggior�contatto�possibile;�per�cui�nelle�pressioni�con�il�palmo�e/o�con�le�dita,�la�presa�è�avvolgente;�ciò�non�significa�stringere�l'arto�oggetto�di�pressioni�con�forza;�l'idea�è�quella�di�avvolgere,�abbracciare,�sostenere,�non�afferrare�conforza.

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Appendice�1�Ipercorsi�energeticiLa�prima�serie�di�mappe�è�tratta�da�testi�antichi;�le�mappe�sono�significative�di�come�i�cinesi�di�allora�intendessero�i�percorsi�energetici.�Due�sono�gli�elementi�salienti:a. la�figura�dell'uomo�è�sempre�intera�anche�quando�il�canale�da�rappresentare�consiste�in�un�breve�tratto�su�un�solo�arto;�probabilmente�ciò�è�dovuto�al�fatto�dell'uomo,�visto�sempre�come�unità�indivisibile.b. ì�percorsi�energetici�sono�totalmente�avulsi�da�strutture�anatomiche,�come�muscoli,�ossa�ecc.)�quasi�a�sottolineare�la�natura�"sottile"�e�quindi�libera�da�°�vincoli�material-strutturali�della�circolazione�energetica.�Probabilmente�il�percorso�dei�canali�non�appariva�nelle�illustrazioni�definito�con�precisione�proprio�perché�le�mappe�volevano�essere�"strumenti�di�ricerca"�e�non�codificazioni�rigide�uguali�per�tutti.�Potrebbe�anche�essere�semplicemente�per�una�scarsa�conoscenza�dell'anatomia�degli�estensori.�A�ognuno�la�spiegazione�che�preferisce.La�seconda�serie�di�mappe�si�riferisce�ad�una�codificazione�recente,�di�trenta�anni�fa,�ottenuta�tramite�un�grosso�lavoro�di�specialisti�di�illustri�istituti,�che�hanno,�cercato�di�uniformare�i�percorsi�"differenti"�in�uso�presso�scuole�diverse�in�Giappone,�Cina,�Corea�ecc.I�tratti�salienti�sono:a) l'uso�di�sezioni�del�corpo�umano,�sia�trasversali�che�longitudinali,�con�utilizzo�della�stessa�sezione�per�raffigurare�il�tracciato�nella�zona�in�oggetto�di�diversi�canali;�evidentemente�il�criterio�principale�affermato�è�quello�della�chiarezza�e�della�praticità.b) il�tracciato�è�definito�in�modo�rigoroso,�ancorato�a�strutture�materiali�identificabili�in�modo�non�equivoco;�anche�in�questo�caso�il�messaggio�appare�diametralmente�opposto�a�quello�emergente�dalle�mappe�antiche.�L'ultima�mappa�raffigurata�è�frutto�del�lavoro�svolto�dal�M°�Masunaga�negli�anni�sessanta�e�settanta.Per�quanto�mi�risulta�è�l'unica�mappa�nata�nell'ambito�di�una�pratica�shiatsu.�Come�si�può�vedere�i�percorsi�sono�raddoppiati;�su�tutti�gli�arti�i�tracciati�sono�dodici,�e�non�sei�sulle�braccia�e�sei�sulle�gambe�come�nelle�mappe�precedenti.�Non�conosco�spiegazioni�"formali"�a�questa�codificazione�fuori�dal�coro.�Nei�suoi�scritti�il�M°�Masunaga�ribadisce�più�volte�e�in�epoche�diverse�che�quelli�tracciati�nella�mappa�sono�i�percorsi�come�sono�emersi�nella�sua�pratica�di�decenni�.Essendo�la�serietà�e�la�credibiltà�del�M°�Masunaga�fuori�discussione�(sicuramente�aveva�sviluppato�un�alto�livello�di�tatto�interno),�viene�da�pensa¬re�che�in�realtà�i�percorsi�energetici�siano�non�solo�molteplici,�ma�anche�suscettibili�di�diverse�interpretazioni;�siano�variabili�in�relazione�all'epoca,�alla�zona�geografica,�alla�tipologia�fisica�della�popolazione�ecc.E�in�effetti�l'esperienza�di�molti�praticanti�pluridecennali�ed�evoluti�tende�a�concordare�con�questa�ipotesi;�del�resto�anche�nei�classici�antichi,�oltre�ai�quattordici�canali�principali,�venivano�codificate�numerose�altre�serie�di�canali,�diramazioni�ecc.�fino�a�costituire�una�rete�analoga�a�quella�formata�da�vene�e�arterie.Nel�kata�proposto�dall'Accademia�ai�principianti�viene�utilizzato�un�solo�percorso�energetico�tratto�dalla�mappa�del�M°�Masunaga.Nel�testo�a�descrizione�della�pratica�del�kata�abbiamo�volutamente�omesso�di�denominare�i�percorsi�energetici�proposti�per�la�pratica.Questo�sia�perché�non�riteniamo�rilevante�in�questa�fase�focalizzare�l'attenzione�su�un�termine�che�resta�astratto,�sia�per�evitare�che�l'utilizzo�della�nomenclatura�più�in�uso,�riferita�e�corrispondente�ai�dodici�organi�codificati,�secondo�le�interpretazioni�moderne,�nella�medicina�tradizionale�cinese,�tragga�in�inganno�il�praticante;�è�comune�infatti,�ed�inevitabile,�che�nei�praticanti�occidentali�l'uso�di�termini�come�"fegato,�stomaco,�cuore�ecc."�crei�indebite�associazioni�tra�i�percorsi�energetici�premuti�e�gli�organi�come�sono�conosciuti�e�individuati�nella�nostra�cultura�scientifica.Il�significato�di�Fegato�o�Cuore�infatti�nella�medicina�tradizionale�cinese�è�prof

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ondamente�diverso�da�quello�attribuito�da�un�occidentale�allo�stesso�termine,�come�pure�diverso�è�il�significato�di�organo�e/o�viscere.�

SHIATSU�MERIDIAN�CHART�

By�Shizuto�Masunaga�©1970

DIAGNOSIS�&�TREATMENT

�Appendice�2�BibliografiaHo�utilizzato�molti�brani�tratti�dai�libri�elencati�in�questa�bibliografia�per�il�semplice�motivo�che�esprimevano�bene�(meglio�di�quanto�non�sarei�riuscito�a�fare�con�la�mia�prosa)�le�idee�e�i�fatti�che�mi�premeva�esprimere.Tranne�poche�occasioni,�normalmente�in�relazione�a�brevi�citazioni�attribuibili�a�personaggi�famosi�defunti�da�secoli,�non�ho�volutamente�riportato�la�fonte.Questa�scelta�vuol�costituire�un�duplice�invito.Il�primo�è�un�invito,�nel�leggere�il�libro�ma�anche�in�generale,�a�non�valutare�la�validità�di�un'idea�o�di�un'esperienza�in�base�alla�fonte�ma�per�la�sua�intrinseca�forza;�in�altre�parole�una�cosa�non�è�vera,�giusta�e�convincente�perché�l'ha�detta�tizio�o�caio,�ma�perché�è�tale;�e�risuona�positivamente�nella�mia�esperienza�e�nei�miei�intenti.Il�secondo�è�quello�di�invitarvi�ad�approfondire�i�temi�che�maggiormen-te�vi�hanno�interessato�e�colpito�leggendo�il�testo�integrale�e�non�accontentandovi�dello�"scampolo"�riportato.A�questo�scopo�riportiamo�tutti�i�testi�da�cui�abbiamo�tratto�brani.�Per�quanti�fossero�realmente�interessati�a�questo�o�quel�brano,�a�questo�o�quell'argomento,�resto�disponibile�a�segnalare�con�precisione�le�fonti;�scrivete�a�Claudio�Parolin,�Accademia�Italiana�Shiatsu�Do,�via�Settembrini�52,�20124�Milano.

Ruggero�Bacone,�La�scienza�sperimentale,�Rusconi�editore,�1990.�Daniele�Bolelli,�La�tenera�arte�del�guerriero,�Castelvecchi,�1996.�Fritjof�Capra,�Il�Tao�della�fisica,�Adelphi,�1982.J.�Louis�Cavalan,�Hervé�Vernay,�Matteo�Luteriani,�L'arte�del�combattere,�intervista�a�Kenji�Tokitsu,�Luni�Editrice,�1993,�19973.André�Cognard,�Aikido,�Luni�Editrice,�1997.�Deng�Ming�Dao,�Il�Tao�della�vita�quotidiana,�Guanda,�1996.�Jostein�Gaarder,�Il�mondo�di�Sofia,�Longanesi�&�C.,�1996.�James�Gleick,�Caos,�Biblioteca�Scientifica�Sansoni,�1996.�J.�Guardi,�La�medicina�sufi,�Xenia,�1997.A.�Rupert�Hall,�Marie�Boas�Hall,�Storia�della�scienza,�Il�Mulino,�1991.�Pierre�Huard,�Ming�Wong,�La�medicina�cinese,�Luni�Editrice,�1994.�Haruto�Kinishita,�Illustration�of�Acupoints,�Ido�No�Nippon�Sha.�Huldrych�M.�Koelbing,�Storia�della�terapia�medica,�Ciba�Geigy�Edizioni,�1989.�Claude�Larre,�Fabrizia�Berera,�Filosofia�della�medicina�tradizionale�cinese,�JacaBook,�1997.Claude�Larre,�E.�Rochat�de�la�Vallèe�(a�cura�di),�Dal�"Huangdi�Neijing�ling-shu",�JacaBook,�1994.�Claude�Larre,�E.�Rochat�de�la�Vallèe�(a�cura�di),�Huangdi�Neijing�Suwen,�Ja-�caBook,�1994.Jacques�Lavier,�Storia,�dottrina�e�pratica�dell'agopuntura�cinese,�Mediterra¬nee.Roberto�Maiocchi,�Storia�della�scienza�in�occidente,�La�Nuova�Italia.�Naboru�Muramoto,�Il�medico�di�se�stesso,�Feltrinelli,�1975-1986.�Sherwin�Nuland,�I�figli�di�Ippocrate,�Oscar�Mondadori,�1994.�Elio�Occhipinti�(a�cura�di),�La�grande�medicina�cinese,�Jaca�Book,�1993.�Manfred�Porkert,�La�medicina�cinese,�Armenia�Editore,�1984.�Paolo�Santangelo,�Storia�del�pensiero�cinese,�Tascabili�economici�Newton,�1995.�Jean�Schatz,�Claude�Larre,�E.�Rochat�de�la�Vallèe,�Agopuntura,�Giunti,�1987.�Sissa-Isas,�Laboratorio�interdisciplinare,�laboratorio�dell'ImmaginarioScientifico,�Caos�e�complessità,�Cuen,�1996.�Shunryu�Suzuki,�Mente�zen�mente�di�principiante,�Ubaldini�editore,�1976.�Aldo�Tagliaferri,�Il�Taoismo,�Tascabili�economici�Newton,�1996.�René�Thom,�Parabole�e�catastrofi,�II�Saggiatore,�1980.�Tuiavii�Di�Tiavea,�Papalagi,�Stampa�Alternativa,�1995.�Fausto�Tomassini�(a�cura�di),�Ch

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Appendice�3�La�rivistaSHIATSU-D�OLa�rivista�"Shiatsu�do�è�la�realizzazione�di�un�progetto�comune�che,�par-tendo�dalla�centralità�dello�shiatsu,�intende:- creare�collettivamente�una�cultura�che�nasca�dalla�pratica;- dare�voce�al�movimento�attraverso�confronto,�informazione�e�scambio;- essere�polo�di�aggregazione�e�promozione�culturale�aperto,�senza�vincoli�burocratici�od�istituzionali.Uno�spazio�ricettivo�che�possa�accogliere�la�creatività�ed�essere�fecondo.�DALLA�REDAZIONE!

SHIATSu�DOUNAVOCE�PER�IL�MOVIMENTO�

��Il�mondo�dello�shiatsu�è�in�notevole�e�continua�espansione.�Lo�shiatsu�è�partito�da�una�premessa�comune:���la�pressione,�un�certo�tipo�di�pressione,�fa�bene�'���il�contatto�e�la�comunicazione�fanno�bene.�Subito�dopo�sono�apparse�le�diversificazioni:�modalità�di�trattamento,�sistemi�teorici�di�riferimento,�pratiche�collaterali,�metodi�didattici,�dinamiche�dei�ruoli,�rapporti�con�le�istituzioni...�Oggi�nel�mondo-shiatsu�c'è�tutto�e�di�tutto.Questa�confusione�è�indice�di�vitalità:�l'energia�messa�in�movimento�dal�fenomeno�shiatsu�è�stata�tale�da�scorrere�in�molteplici�e�diverse�direzioni�nel�terreno�della�realtà.Ma�c'è�il�rischio�di�eccessiva�dispersione�e�di�perdita�di�radici�e�identità.�Esiste�la�necessità�di�un�momento�e�dìuno�spazio�di�riflessione�comune,�di�narrazioni�e�ascolti�reciproci,�di�condivisione�dell'esperienza,�della�ricerca�e�del�pensiero.�Esiste�la�necessità�di�uno�strumento�di�aggregazione�e�confronto�che�si�rivolga�a�tutto�il�mondo-shiatsu�e�che�ne�sia�espressione.�Le�diversità�vanno�confrontate,�le�divergenze�vanno�esplicitate,�ma�questo�non�deve�portare�alla�nascita�di�barriere�e�di�antagonismi�infruttuosi.Shiatsu-do�è�ed�intende�essere�uno�spazio�non-istituzionale�che�possa�dare�voce�al�movimento,�cioè�a�tutti�i�praticanti:�studenti,�operatori�ed�istruttori�appartenenti�a�diverse�scuole,�operatori�liberi�professionisti,�amatori�e�fruitori�dello�shiatsu.Senza�un�momento�di�aggregazione�e�di�espressione�collettiva,�la�varietà�e�la�vitalità�del�mondo-shiatsu�si�possono�tradurre�in�una�infausta�ignoranza�reciproca,�in�un�beato�compiacimento�o�in�un�miope�rafforzamento�degli�argini�del�proprio�fiume�per�evitare�concorrenti.�La�varietà�e�l'isolamento�possono�portare�ad�una�dispersiva�ramificazione�in�ruscelletti�in�balìa�di�correnti�più�potenti�che�andranno,�o�a�confluire�in�bacini�istituzionali,�o�ad�insabbiarsi�in�prossimità�di�piccoli�orticelli�personali,�buoni�al�massimo�per�la�propria�verdura.Shiatsu-do�vuole�essere�uno�spazio�aperto�che�renda�pubblico�il�dibattito�e�che�faccia�circolare�l'informazione.Non�pensiamo�di�"dare�soluzioni"�sulla�nostra�rivista,�ma�di�rendere�note�le�realtà�e�di�esplicitare�le�problematiche,�riportando�le�diverse�idee,�proposte�e�posizioni�ed�offrendo�strumenti�di�conoscenza�e�di�presa�di�coscienza�che�favoriscano�la�riflessione�e�l'elaborazione�dei�singoli.�Pensiamo�infatti�che�"fare�cultura"�non�significhi�fornire�risposte,�ma�offrire�strumenti,�quali�un'informazione�documentata�e�tempestiva,�l'apertura�alla�pluralità�delle�opinioni,�lo�scambio�delle�esperienze�e�dei�contenuti�della�ricerca�e�tutto�ciò�che�possa�aiutare�all'elaborazione�del�pensiero�sulle�questioni�che�sono�sul�tappeto�e�che�si�affrontano.

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L'ipotesi�in�discussione�è:�lo�shiatsu�è�in�grado�di�conservare�e�riproporre�la�radicalità�e�la�novità�del�suo�apparire,�oppure�è�destinato�ad�essere�una�delle�infinite�novità�"altre",�dove�di�veramente�"altro"�non�c'è�che�l'eterna�e�straordinaria�capacità�del�sistema�di�introiettare�qualunque�fenomeno�e�di�risputarlo,�riverniciato,�come�sua�ultima�proposta?�Vogliamo�creare�collettivamente�un�territorio-shiatsu�e�far�vivere�una�cultura�che�nasca�dall'esperienza�e�dalla�pratica�e�che�proponga�i�valori�che�le�sono�propri.�La�caratteristica�dello�shiatsu�consiste�nella�possibilità�concreta�che�due�persone�s'incontrino�e�che�al�di�là�di�contesti�razionali,�verbali,�"terapeutici",�gerarchici,�possano�vivere�una�comunicazione�profonda�per�il�reciproco�benessere.DALLA�REDAZIONE�

��IIM�QUESTO�IM�U�IVI�ERO�

��Apriamo�il�confronto.Oggi�il�movimento-shiatsu�è�probabil-mente�in�grado�di�elaborare�una�propria�cultura�ed�è�in�grado�di�farlo�unendo�le�forze�e�le�esperienze.�Se�da�un�lato�si�tratta�di�recuperare�e�riproporre�le�radici,�l'essenzialità�e�l'identità�dello�shiatsu,�dall'altro�si�potrebbero�integrare�i�frutti�della�ricerca�degli�ultimi�vent'anni�nei�quali�lo�shiatsu�si�è�diffuso�nella�realtà�occidentale,�nel�contatto�con�i�bisogni�e�le�capacità�creative�dei�praticanti.�L'autonomia�creativa�della�proposta-�shiatsu�non�deve�essere�soffocata�da�alcun�processo�di�burocratizzazione�e�istituzionalizzazione,�pena�la�perdita�del¬l'identità.

Shlatsu-do�vuole�porre�in�primo�piano�il�confronto�culturale,�aprendo�l'orizzonte�anche�al�di�là�della�realtà�ita-liana.�Cosa�succede�nelle�scuole�di�shiat¬su�all'estero?�Stiamo�prendendo�i�primi�contatti�e�pensiamo�di�dédicare�uno�spa¬zio�alle�scuole�estere�per�instaurare�rap¬porti�di�scambio�e�conoscenza.�Confronto�culturale�significa�per�noi�apertura�non�solo�all'interno�del�territo¬rio�shiatsu,�ma�anche�all'esterno,�ad�altre�dimensioni�di�esperienza�e�di�sapere,�sia�quelle�legate�alle�nostre�radici�occidenta¬li�che�quelle�proprie�di�tradizioni�di�conoscenza�e�saggezza�di�tutta�l'uma¬nità.�Ampliare�l'orizzonte�senza�perdere�"il�centro":�lo�shiatsu,�la�ricerca,�la�tra¬sformazione.EDITORIALEMONDO�SHIATSUStoria�del�mondo�Shiatsu:

a�colloquio�con�il�maestro�Kazunori�Sasaki33 Associazione�Italiana�Shiatsu

Intervista�a�F.�Palombini34 Incontro�scuole:�Tabiano,�3/4�febbraio�199837 Sorpresa!41 Shin�WaMADE�IN�JAPAN8 HaikuTATAMI9 Lo�Shiatsu�e�l'arte�di�imparare�facendoPERCORSI12 Sulla�centratura14 La�seduzioneHAIKU15 Haiku�di�primavera/estateOPCIT16 Prego,�vuol�ballare�con�me...SHIATSU�E�MODELLI18 Percorsi�energetici:�MilzaTATZEBAO21 Bello�e�impossibile23 Riflessioni�spettinate

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PAESAGGI25 Sul�taoismo:�intervista�a�Leonardo�ArenaLA�VOCE�DELL'ESPERIENZA28 My�manifestoLA�MAPPA�DELLO�SHIATSU29 La�ricerca�del�KyoSPIZZICHI�E�BOCCONI44 Il�cimento�dell'armonia�e�della�cottura

48 Facciamo�anche�noi�un�albo�professionale50 Seminari�finali54 Sedi�locali59 Programmi�estivi

La�ruota�di�medicina

��di�Claudio�Parolìn

IL�POPOLO�DELLO�SHIATSU�Una�settimana�fa�mi�trovavo�a�Cagliari�per�un�corso�di�shiatsudi�terzo�anno.�Ascoltavo�le�esperienze�e�le�"situazioni�di�pratica"�dei�partecipanti.�Il�quadro�che�si�andava�delineando,�intervento�dopo�intervento,�mi�ha�dap-prima�stimolato�alcune�riflessioni,�infine�"folgorato"�con�un'�immagine.Ognuno�dei�partecipanti�era�al�centro�di�un�"giro"�di�persone�che�cercava�nello�shiatsu�una�possibilità�di�benessere,�di�maggior�salute,�di�vita�migliore.Qualcuno�trattava�settimanalmente�5�persone,�qualcuno�7,�qualcuno�15;�chi�praticava�la�sera�dopo�otto�ore�di�lavoro,�chi�nel�pomeriggio�in�quanto�insegnan¬te,�chi�la�mattina�perchè�casalinga�con�figli�a�scuola,�chi�a�tempo�pieno�o�quasi;�chi�in�uno�studio�o�all'ospedale�all'inter¬no�o�ai�margini�di�un'attività�sanitaria;�alcuni�in�un�quartiere�della�città,�altri�in�un�paesino�dell'interno�o�in�una�cittadi¬na�sulla�costa...�situazioni�disparatissime.�Attorno�a�ciascuno�di�loro�si�era�comun¬que�formato,�in�un�raggio�di�5,�10,�30�chilometri,�un�gruppo�di�persone�coin¬volte,�più�o�meno�stabilmente,�più�o�meno�consapevolmente,�in�un�processo�di�cambiamento�grazie�allo�shiatsu.Una�realtà�analoga�ho�trovato�la�setti-mana�dopo�a�Roma,�lo�stesso�a�Milano...�Ho�allora�cercato�di�valutare�la�dimen-sione�del�fenomeno:�se�l'Accademia�ha�formato�in�questi�anni�tot�praticanti�esperti�ai�vari�livelli,�le�altre�scuole�ne�avranno�all'incirca�formati�tot,�una�per-centuale�x�probabilmente�ha�smesso�di�praticare�per�cui...�diciamo�10.000�(e�probabilmente�è�una�valutazione�inferio¬re�alla�realtà)�persone�che�praticano�atti¬vamente�lo�shiatsu,�ciascuno�con�un�"giro"�di�30,�50,�100�persone�e�più�ogni�anno.Perdonate�l'accostamento�ambizioso�e�irriverente,�ma�l'immagine�che�mi�è�sorta�spontanea,�che�mi�ha�"folgorato"�lascian-domi�per�un�istante�senza�fiato,�è�stata�"mio�Dio,�abbiamo�ricreato�una�realtà�tipo�cinese�e�non�ce�ne�siamo�neanche�resi�conto!"

n�tessuto�dai�10.000�nodiPoche�set-siiimiwii�1Mi�spiego�meglio.�Sappiamo�che�nella�società�cinese�sono�sempre�coesistiti�due�livelli�di�pratica�per�la�salute:�il�livello�erudito�dei�sapienti�e�dei�dotti�che�eser-citavano�presso�le�corti�dei�feudatari,�dei�nobili,�dei�funzionari�di�alto�rango;�e�il�livello�popolare�dei�"praticanti"�ricchi�solo�dell'esperienza�costruita�e�traman¬data,�che�operavano�nei�villaggi�e�nei�quartieri�popolari,�tra�contadini,�operai�e�artigiani,�spesso�contadini,�operai�e�arti¬giani�loro�stessi�(semiprofessionisti,�ope¬ratori�part-time,�si�direbbe�oggi).Probabilmente�una�realtà�analoga�esi-steva�anche�in�occidente�ma,�parados-salmente

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,�ne�sappiamo�di�meno�per�l'opera�di�sradicamento�delle�"superstizioni�popolari"�che�la�medicina�"seria"�ha�compiuto�nell'ultimo�secolo.Ho�avuto�la�visione�di�un�tessuto�dif¬fuso�e�ramificato�che�si�sta�costituendo�e�che�ha�via�via�coinvolto�decine,�poi�cen¬tinaia,�poi�migliaia�di�persone�che�hanno�cercato�e�trovato�un�modo�nuovo�e�diverso�di�rapportarsi�con�la�propria�salute,�di�rigenerare�la�propria�vitalità,�di�coinvolgersi�in�prima�persona�in�un�pro-cesso�di�cambiamento.Un�processo�di�cambiamento�che�è�reale�e�concreto,�anche�se�a�volte�con-traddittorio,�appena�abbozzato,�magari�subito�congelato�ma�che�potrà�riprende¬re�alla�prima�occasione,�al�prossimo�"acciacco",�al�seguente�incontro�(perchè�oramai�la�strada�l'hanno�imparata�e�sanno�da�chi�andare�per�rinnovare�l'e¬sperienza�positiva).I�nodi�di�questo�tessuto�sono�i�10.000�praticanti,�professionisti,�semiprofessio-nisti�o�amatori�che�operano�in�tutti�i�quartieri�delle�città,�in�tutti�i�paesi,�da�soli�o�riuniti�in�associazioni,�in�uno�stu¬dio,�in�casa,�a�domicilio,�in�ambulatorio,�in�ospedale,�presso�ospizi,�associazioni�di�volontariato,�centri�salute,�in�tutte�le�situazioni�in�cui�due�o�più�persone�si�possono�incontrare�nella�pratica�shiatsu.�La�società�"patologica"Capitava�sovente,�nelle�sale�d'attesa�dei�medici�mutualistici,�di�assistere�divertiti�alle�nobili�gare�tra�le�vecchiette�in�coda�a�chi�avesse�più�malanni�e�prendesse�più�farmaci�("pensi�che�io�devo�prende¬re�tutti�i�giorni�3�pastiglie�e�1�supposta"�"io�anche�2�iniezioni",�"ma�io�ho�anche�l'esaurimento"�ecc.);�oggi�sembra�che�un�tale�"atteggiamento�patologico"�sia�diventato�vissuto�comune�della�stragran¬de�maggioranza,�opportunamente�divul¬gato�e�indotto�da�trasmissioni�radiotele¬visive�e�riviste�ad�hoc�(avete�fatto�caso�all'incredibile�proliferare�di�pubblicistica�sul�tema�salute�di�tutte�le�reti�e�case�edi¬trici?�"trentatré,�elisir,�come�stai,�star�bene,�salve�ecc.�ecc.")Nella�società�dei�nostri�giorni,�in�occi-dente�come�in�oriente,�ogni�momento�della�vita�viene�trattato�come�"situazione�a�rischio".i�che�è�Ée�con-�,�magari.�e�ire�l'e¬ssi,�da�>stu-�Jatorio,�zioni�:�le�me�siI�momenti�delicati�o�di�transizione,�come�la�gravidanza,�il�parto,�la�meno¬pausa,�la�pubertà�ecc.�sono�trattati�come�malattie�da�curare�o�malanni�da�preveni¬re;�analisi,�controlli�periodici,�cure�pre¬ventive�("faccia�questi�esami�e�prenda�queste�pastiglie�perchè�non�si�sa�mai...�siamo�più�sicuri...�esiste�il�rischio�di...�ecc,);�i�discostamenti�dai�valori�statistici�medi�di�pressione,�colesterolo,�tempera¬tura,�peso,�ecc.�hanno�cessato�di�essere�caratteristiche�specifiche�del�singolo�individuo�diventando�"situazioni�a�rischio"�da�coprire�con�interminabili�terapie�appropriate;�anche�il�normale�naturale�rapporto�con�il�cibo�è�uscito�dalla�gestione�individuale�(ho�fame�man¬gio,�ho�sete�bevo�)�ed�è�entrato�nelle�competenze�di�medici,�dietologi,�dietisti�ecc.�perchè�"bere�tanto�fa�bene"�e�"biso¬gna�studiare�il�giusto�apporto�calorico�e�il�fabbisogno�energetico";�si�è�creato�il�mondo�artificiale�e�artificioso�delle�"intolleranze�alimentari",�della�bulimia�e�dell'anoressia;�per�non�parlare�della�gestione�dell'insoddisfazione�e�delle�"angosce�esistenziali"�ricorrenti�nella�vita�di�ciascun�essere�senziente�che�con�l'eti¬chetta�di�"depressione"�si�sono�trasfor¬�

mate�in�terribili�patologie�da�tamponare�con�quintali�di�psicofarmaci.�Potremmo�andare�avanti�a�lungo�di�questo�passo.Oggi�siamo�diventati�talmente�estranei�a�noi�stessi�e�lontani�da�qualsiasi�capa¬cità�di�ascoltarci,�sentirci,�comunicare�con�il�nostro�"interno",�che�per�tutti�è�normale�abdicare�alla�propria�capacità�di�autogestirsi�e�rivolgersi�sempre�e�comunque�allo�specialista,�affidandogli�la�gestione�di�qualsiasi�situazione�di�crisi,�di�cambiamento,�di�evoluzione,�di�vita.Per�questo�lo�shiatsu,�che�semplice-mente�riannoda�i�fili�della�comunicazio¬ne�con�noi�stessi�e�con�l'altro�attraverso�una�pratica�concreta�di�contatto�fisico,�diventa�una�strada�evolutiva�che�"rompe"�1'�"universo�patologico"�sopra�descritto,�una�tendenza�opposta�a�quel�progressivo�distacco�dalla�naturale�ed�essenziale�u

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nità�ed�armonia�con�noi�stessi�e�con�l'universo�che,�nel�nostro�tempo,�è�chiamato�malattia."Lo�shiatsu�si�fa�in�due"�e�"nella�prati¬ca�dello�shiatsu�sia�uke�che�tori�esprimo¬no�la�propria�vitalità�e�ricostruiscono�equilibrio�e�armonia"�son�frasi�che�ripro¬pongono�il�fatto�che�nella�pratica�dello�shiatsu�nessuno�cura�le�malattie�di�nes¬suno,�ma�uke�e�tori�"risuonano"�assieme�ed�è�dalla�risonanza�delle�rispettive�vita¬lità�che�ambedue�traggono�benessere.SHIATSn-DOPer�questo�è�un�crimine�voler�ridurre�la�pratica�dello�shiatsu�a�"medicina�alter-nativa";�perchè�nelle�terapie�alternative,�complementari,�naturali,�non�convenzio-nali,�o�comunque�le�si�voglia�chiamare,�il�rapporto�è�identico�a�quello�che�si�instaura�nella�medicina�convenzionale;�c'è�uno�che�sa�e�l'altro�che�è�estraneo�a�sé�stesso,�uno�che�decide�e�l'altro�che�subisce,�uno�che�gestisce�e�l'altro�che�si�affida.La�forza�dello�shiatsu�è�nella�sua�capa¬cità�di�rompere�queste�dinamiche,�di�stravolgere�questi�rapporti�e�per�questo�la�pratica�dello�shiatsu�può�costituire�e�già�costituisce�una�"rivoluzione�cultura¬le",�l'affermazione�di�un�altro�punto�di�vista,�la�proposta�per�una�ricerca�di�vita¬lità�personale�e�risveglio�energetico�reci¬proco�che�scardina�la�"cultura�della�malattia"�imperante.Il�popolo�dello�shiatsuQuesti�10.000�sono�il�"popolo�dello�shiatsu";�un�popolo�che�cresce�ogni�anno�di�500,�di�1000�unità,�che�ogni�giorno�coinvolge�centinaia�di�persone�nuove�che�"cercano"�in�una�esperienza�che,�poco�o�tanto,�cambia�il�loro�atteg¬giamento,�il�loro�modo�di�pensare,�la�loro�cultura,�la�loro�vita.Nel�"nostro"�mondo�dello�shiatsu�organizzato�in�associazioni,�scuole,�fede-razioni,�albi�professionali�ecc.�circolano�poche�centinaia�di�persone,�due-trecen¬to,�a�voler�essere�ottimisti�cinquecento;�ma�gli�altri�9-500�ci�sono�e�sono�loro�il�reale�tessuto�sociale�dello�shiatsu,�il�"popolo�dello�shiatsu".Ed�è�sul�loro�bisogno�di�essere�informati,�sul�loro�diritto�ad�accede¬re�alle�notizie�di�prima�mano�e�ai�documenti�originali,�sulla�loro�voglia�di�approfondire�ed�aggiornarsi�tecni¬camente�e�culturalmente,�sul�loro�desiderio�di�esprimere�il�loro�parere�e�partecipare�al�dibattito�sui�temi�che�li�riguardano,�sulla�loro�necessità�di�trovare�strumenti�giuridici,�legali,�fiscali,�organizzativi�per�tutelare�la�propria�attività,�su�tutte�le�esigenze�e�le�aspettative�che�il�"popolo�dello�shiatsu"�esprime�che�questa�rivista�vuole�misurarsi.Su�questi�presupposti�e�con�questi�obiettivi�stiamo�cercando�di�strutturare�"Shiatsu-do"�per�costruire�uno�strumento�per�il�"popolo�dello�shiatsu"�e,�se�ci�aiuterete,�con�il�"popolo�dello�shiatsu".�«�

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UNA�VOCE�per�ILMOVIMENTOSPAZIO�CULTURALE�APERTO�PER:IL�CONFRONTO,�IL�DIBATTITO�L'INFORMAZIONE

Luni�Editrice.�Per�ulteriori�informazioni:�Luni�Editrice�Srl,�Corso�Monforte,�15�-�20122�Milano.�Tel�02/79.60.40,�Fax�02/780384��IndiceLe�scuse�dell'autore 13I�protagonisti:�Tori�e�Uke 15L'incontro 171°�Passo�Lo�shiatsu�e�l'arte�di�imparar�facendo� 232°�Passo�Eppur�accade 263°�Passo�...�là�dove�si�incontrano�pressione�e�risposta 304°�Passo�Approccio�scientifico�o�«fede»�nella�scienza? 385°�Passo�Godersi�il�sole 456°�Passo�Afferrare�la�realtà 517°�Passo�La�Grande�Macchina 578°�Passo�La�scienza�si�morde�la�coda 65

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9°�Passo�Ricerca�e�illusione 7110°�Passo�Ricerca�e�speranza 9011°�Passo�Senza�modello�e�senza�intento 10412°�Passo�Il�ritorno�all'incertezza 11513°�Passo�L'ordine�nel�caos � 12214°�Passo�Un�modello�che�nasce � 13115°�Passo�L'Accademia�Italiana�Shiatsu�do,�una�esperienza�originale14816°�Passo�La�scuola�del�«fare» 15117°�Passo�Noiosamente�ripetitivo�ma 15618°�Passo�La�pratica:�i�kata 161- Le�posizioni 163- Hokò�no�kata�(Kata�del�camminare) 169- Tai�ju�no�kata�(Kata�del�peso�portato) 191Appendice�1:1�percorsi�energetici 249Appendice�2:�Bibliografia 275Appendice�3:�la�rivista�«Shiatsu-do» � 277Appendice�4:�le�sedi�dell'Accademia�in�Italia 284�

SEDE�NAZIONALEVia�Settembrini,�52�20124�Milano�Tel.�02-29404011�r.a.�Fax�02-29510134SONO�IN�FASE�DI�COSTITUZIONE�NUOVE�SEDI�LOCALI�E�NUOVI�CENTRI�AUTORIZZATII�SOCI�INTERESSATI�A�PARTECIPARE,�POSSONO�TELEFONARE�IN�SEDE�PER�INFORMAZIONI.SEDI�LOCALIBOLOGNAVia�Jacopo�della�Quercia,�1�40128�Bologna�Tel.�051-470818�-�776713�CAGLIARIVia�Diaz,�29�-�09100�Ca-gliariTel.�070-651195�-522728�FIRENZEVia�Manfredo�Fanti,�139�50137�Firenze�Tel.�e�Fax�055-603954�GALLARATE�Via�Sommariva,�14�21013�Gallarate�(VA)�Tel.�0331-796717�GENOVA�OVEST�Via�Sampierdarena,�77�int.�3�16149�Genova�Tel.�010-6458730�GENOVA�CENTRO�Vico�Della�Casana,�9�int.�4�16123�Genova�Tel.�010-2467236�MILANOC.so�C.�Colombo,�11�20144�Milano�Tel.�02-58102191�MESTRE�Via�Torino,�63/A�30171�Mestre�(VE)�Tel.�041-5319328�PARMAVia�Pini,�13�-43100�Parma�Tel.�0521-983449�RIMINIVia�Giordano�Bruno,�28�47037�Rimini�Tel.�0451-74038�Fax�0451-53471ROMAViale�Castro�Pretorio,�116�int�7�00185�Roma�Tel.�e�Fax�06-491144�TORINOVia�M.�Cristina,�51�-10125�Torino�Tel.�e�Fax�011-658978CENTRI�AUTORIZZATIAREZZO:L'Altro�MeridianoVia�Vittorio�Veneto,�33/10ArezzoTel.�0575-905284�COMO:IlMelogranoVia�Anzani,�9�-�22100�ComoTel.�031-242532LECCE-CentmllSoleVia�Taranto,�4073100�LecceTel�0832-243015Fax�02-29510134MONZA:Centro�"Sbantì"Via�Boito,�12�-�20052�MonzaTel.�039/386536S.�GIORGIO�DI�NOGARO:Centro�Shiatsuda

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Via�Giovanni�da�Udine,�2633058�S.�Giorgio�di�Nogaro�(UD)Tel�0431/621585S.�GIOVANNI�ROTONDO:Centro�L'AironeVia�Cadorna,�971013�S.�Giovanni�Rotondo�(FG)Tel0882-413235SIRACUSA:Accademia�di�Medicina�Naturale�Via�Dei�Mille,�18�96100�Siracusa�TeL�0931-462920�UDINE:Associazione�Culturale�Sonam�Via�Planis,�48�Udine�Tel.�0432-547285�

Nelle�collaneLe�Vie�dell'Armonia�-�Quaderni�Tecnici1. Suen�Koei-li,�Qi�Gong.�Storia�e�metodo�dell'Arte�del�respiro2. Kenji�Tokitsu,�Storia�del�Karaté.�La�via�della�mano�vuota3. James�Kou,�Tai�Chi�Chuan.�Armonia�del�corpo�e�dello�spirito4. John�Stevens,�Ueshiba.�La�biografia�del�fondatore�dell'Aikido5. André�Cognard,�Aikido.�Il�corpo�cosciente6. K.�Tawm,�Gli�Esercizi�Superiori�dei�Monaci�Taoisti7. Jigoro�Kano,�Fondamenti�del�Judo8. Chuck�Norris,�Il�segreto�del�mio�successo9. Claudio�Parolin,�Shiatsu-do10. André�Cognard,�Aikido.�Il�corpo�filosofo11. John�Stevens,�Lo�zen�e�la�spada12. Kenji�Tokitsu,�Shaolin-Mon13. Yamamoto�Tsunetomo,�Il�codice�segreto�dei�Samurai14. Tiziano�Grandi,�I�fondamenti�del�Tai�Chi�Chuan15. Flavio�Daniele,�I�tre�poteri�del�Taiji�Quan«Scuola�della�Respirazione»:�Opera�completa�di�Itsuo�Tsuda1. Itsuo�Tsuda,�Il�dialogo�del�Silenzio2. Itsuo�Tsuda,�Il�Triangolo�instabile3. Itsuo�Tsuda,�Anche�se�non�penso,�Sono4. Itsuo�Tsuda.,�Di�fronte�alla�scienza5. Itsuo�Tsuda,�La�Via�degli�Dei6. Itsuo�Tsuda,�Il�Non-Fare7. Itsuo�Tsuda,�La�via�della�spoliazione8. Itsuo�Tsuda,�La�scienza�del�particolare9. Itsuo�Tsuda,�UnoPer�ordinare�i�volumi�indicare:Nome,�Cognome,�indirizzo�completo,�numero�telefonico,�volumi�che�si�desiderano�e�inviare�il�tutto�al�fax�02.78.03.84�o�in�busta�chiusa�a:�LUNI�EDITRICE�SRL�Corso�Concordia,�5�-�20129�Milano�Tel.�02796040I�volumi�verranno�inviati�in�contrassegno�postale