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in direzione ostinata e contraria senza perdere la tenerezza foto Laura Lezza Il nostro Luciano De Majo dalla parte degli invisibili 20 febbraio 2015 quarto anniversario della scomparsa

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Negli articoli di Luciano De Majo per Il Tirreno una galleria di storie, personaggi, drammi: per provare a dare un volto agli "invisibili"

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  • in direzione ostinata e contraria

    senza perdere la tenerezza

    foto Laura Lezza

    Il nostro Luciano De Majo

    dalla parte degli invisibili

    20 febbraio 2015 quarto anniversario della scomparsa

  • Dedicato

    Aveva ragione quel tizio livornese che cantava che lassenza un assedio. Lo lassenza di Luciano, del

    nostro Luciano De Majo. E ciascuno sa che pu rivendicare un pezzetto di quel nostro senza che nessun

    altro si sentisse impoverito o defraudato. Non era cos anche quandera fra noi ed era uomo capace di

    interconnettere un puzzle di mondi diversi?

    Quanto sarebbe stato prezioso quel grugno un po leggero e un po spavaldo con cui ti spiattellava che non

    mi hai mica tanto convinto: avrebbe adoperato quella dialettica mite e senza smargiassate - con quel filo

    dironia che va usata prima di tutto su s stessi per raccontarci un oggi cos disilluso e affannato, senza

    santi n eroi. Per provare a scandagliarlo: lottimismo non sarebbe stato semplicemente quello della volont

    bens quello duna bella persona, che insieme alla sua famigliona (con Valeria, con Teresa e Alessandro, con

    i genitori e i suoceri) non rinunciava a coltivare il sogno di costruire un noi, qui e ora. Con una microfisica

    delle relazioni personali che gi di per s una rivoluzione.

    Ecco perch non c piet pelosa n buonismo dolciastro quando Luciano racconta il mondo degli umili, dei

    diseredati, dei dannati della Terra: che si tratti del mondo o dun quartiere difficile. Questanno, nel quarto

    anniversario del giorno in cui Luciano se n andato da quaggi, abbiamo provato a riportare sotto i

    riflettori una serie di articoli in cui De Majo era andato con il cuore e il taccuino in mezzo agli ultimi. Pezzi

    normalissimi, quotidiani, feriali: non abbiamo badato a selezionare gli articoli migliori o quelli che ne hanno

    contrassegnato la carriera di cronista in modo indelebile. No, questa carrellata di cronache vuol restituire

    soprattutto il tono normale della sua voce sulla carta: storie ordinarie di ordinaria emarginazione,

    solitudine, disagio.

    E il segno anche di una attenzione a guardare lerba dalla parte delle radici, a ficcarsi dentro le cucine e le

    stive della societ. Senza farsi lillusione che i buoni siano fra i poveri cristi, ma certo provando lazzardo di

    dar loro una voce e un volto. E qui che troviamo le vicende dei piccoli rom bruciati nel rogo di Pian di Rota,

    gi abbondantemente rimossa dal nostro immaginario. E qui che troviamo i racconti del detenuto che

    simpicca per disperazione a 21 anni, del precario sbattuto da un posto allaltro senza speranza, dei

    volontari che saffannano a rimboccarsi le maniche anche quando le forze non ci sono pi. E qui che

    spuntano fuori il sieropositivo e il beb abbandonato. Il tipo che fugge da psichiatria per andare a

    confessarsi con il cronista, i matti che giocano con il sindaco, la ragazzina che si prostituisce per cinque euro,

    ladolescente capitombolato nella trappola delle slot, lex militare che si trover imprigionato dagli incubi di

    un passato che non passa

    Con quel taccuino se nera fatta una missione di vita: chiss se un giorno i povericristi avranno in mano il

    proprio destino davvero. Di sicuro il primo passo renderli meno invisibili di quello che sono adesso. E con la

    voce di Luciano quel che abbiamo fatto qui.

    Mauro Zucchelli

  • Prigioniero degli incubi nati in guerra In Libano guidava le ambulanze e gli spararono addosso

    28 ottobre 2009

    LIVORNO. Fabrizio morto mentre nel suo cuore era all'affannosa ricerca di un dopoguerra che non mai

    arrivato. La sua stata una vita segnata dalla sofferenza e dal dolore. Da quando torn da laggi, non

    pi stato lo stesso, dicono i familiari di Fabrizio Picchi. Quel laggi indica il Libano, terra di mezzo

    martoriata da anni di guerre, di vittime innocenti, di intricatissimi scontri fra diverse fazioni di popoli mai

    domi. Fabrizio ci arriv da militare di leva, appena terminato il Car, nell'ormai lontano 1983. Part

    volontario. Aveva diciannove anni e la voglia di vivere un'esperienza nuova, non sapeva davvero che cosa si

    sarebbe trovato di fronte.

    Era un Libano dilaniato come oggi, pi di oggi da un conflitto terribile. Era il Libano della strage di

    Sabra e Chatila, quello nel quale Fabrizio visse per lunghi mesi. Attravers la sua personale missione

    facendo un lavoro prezioso e terribile: guidava le ambulanze. Raccoglieva i feriti e li trasportava negli

    ospedali. Vide tutto quello che un ragazzo di vent'anni non ancora compiuti non avrebbe mai visto. E quei

    racconti di esplosioni improvvise, di poveri corpi lasciati sulle strade, di spari che ti arrivano addosso e non

    sai da dove, li ha ripetuti chiss quante volte ai familiari. Solo diverso tempo dopo venimmo a sapere che

    era finito sotto il fuoco dei cecchini raccontano i parenti e che era rimasto ferito. Ci diceva che parlava

    con un suo amico di guerra. Una persona che era morta fra le sue braccia. Non si sa se fosse un soldato,

    un suo commilitone o un civile visto e soccorso chiss dove. Ma quel periodo trascorso in Libano ha

    cambiato la vita di Fabrizio. Sconvolgendola in modo totale.

    Tornato in patria, alla fine della missione, continuava ad avere i comportamenti tipici della vita militare.

    Dormiva con un materasso per terra, anzich nel letto. Forse perch di letti di ospedali ne aveva visti

    tantissimi, a Beirut e negli altri centri libanesi dove era stato.

    Il disagio mentale, col passare degli anni, si fatto sempre pi forte. Ma lui, Fabrizio, che pure non aveva

    studiato, le sue grandi passioni ha saputo sempre coltivarle. Su tutte, quella per l'informatica. Da

    autodidatta era diventato un piccolo mago del computer. Ed era grazie a questa straordinaria capacit che

    riusciva a mettere insieme un po' di soldi, da mettere accanto alla piccola pensione con la quale viveva.

    Riparava i pc di amici e conoscenti, addirittura a volte veniva chiamato anche da persone che conosceva e

    che sono rimaste nelle forze dell'ordine.

    Cresciuto da ragazzo, nella sua numerosa famiglia, nella zona di villa Perti, vicino a quella che era la

    caserma della polizia stradale, abitava adesso in un alloggio pubblico assegnatogli da Casalp in pieno

    centro, sugli scali Finocchietti. Lo conoscevano in tanti, Fabrizio. Lo conoscevano gli autisti dell'Atl perch

    abbonato storico era solito usare il bus per spostarsi in citt. Un anno e mezzo fa, nell'aprile del 2008,

    fu anche protagonista del soccorso a una signora di 83 anni che in piazza Grande, appena scesa

    dall'autobus, inciamp e cadde a causa di una buca nella strada. Fabrizio Picchi chiam l'ambulanza e

    segnal il problema di un asfalto tutto da inventare. Lo conoscevano gli amici che negli anni si era fatto: era

    una persona generosa con quelli che gli volevano bene. Lo conoscevano alla Misericordia, perch fece per

    lungo tempo il volontario.

  • Quando torn dalla missione in Libano, con un bel po' di soldi da parte, ne spese tanti per comprare auto

    da rally, un altro dei suoi amori. Ma non seppe gestire le sue finanze e fin anche in un brutto giro, per

    qualche tempo, frequentando gente che si approfittava di lui, delle sue debolezze, del suo disagio che stava

    diventando sempre pi forte.

    Lo diceva, ai suoi fratelli e alle sue sorelle, che voleva morire. Lo diceva che stava male, che aveva qualcosa

    dentro pi forte di lui, che non poteva superare. Si rendeva conto che il male di vivere stava prendendo il

    sopravvento. E allora succedeva che poteva fracassare gli oggetti di casa. Ma senza mai arrivare a usare

    violenza contro se stesso o contro altrI.

    Dentro di s aveva la guerra. La guerra infinita di una coscienza inquieta, sempre divisa fra la serenit e il

    malessere. Ma anche la guerra vera, quella che fa centinaia di morti, vista troppo a lungo sul fronte

    libanese. E mai pi dimenticata.

    Luciano De Majo

  • Si prostituiva per cinque euro

    16 luglio 2010

    LIVORNO. Della sua esistenza il mondo si accorto solo quando un signore, sbalordito dall'offerta ricevuta,

    ha chiamato la polizia. Lei, la ragazza, gli si era avvicinata, proprio all'ingresso del Centro commerciale

    "Fonti del Corallo", zona Porta a terra, nel pomeriggio di mercoled, e gli aveva chiesto cinque euro. In

    cambio, sarebbe stata disposta a fare un giro con lui in macchina.

    Ma l'interlocutore in questione non deve essere di quelli abituati a considerare offerte del genere. E in un

    impeto di indignazione ha chiamato il 113. Anche perch, a vederla, la giovane protagonista dell'episodio,

    dimostra meno dei 17 anni che ha. Sembra davvero una ragazzina. E l'uomo al quale si era rivolta non aveva

    avuto dubbi: lei era l per prostituirsi, non avrebbe avuto senso altrimenti la disponibilit a salire in

    macchina con lui.

    La polizia non ha trovato la ragazza, ma ha informato il servizio di vigilanza interno al Centro commerciale

    affinch tenesse d'occhio la zona dell'ingresso, nel caso si fosse ripresentata. Puntuale, dopo meno di

    un'ora, la giovane tornata nello stesso posto. E i vigilantes l'hanno consegnata alla polizia.

    E' una storia tristissima, quella che la giovane si porta sulle spalle. Madre in carcere, padre che vive in un

    campo rom a Bari, lei fuggita dal capoluogo pugliese e agli agenti di polizia ha detto che vive

    prostituendosi, aggiungendo che il rapporto col padre non il massimo che ci si possa attendere dalla vita.

    E' in citt da un paio di mesi, insieme a un non meglio individuato fidanzato. Probabilmente bulgara di

    nascita, da una verifica all'altra la polizia ha scoperto che la ragazza ha la cittadinanza italiana. Impossibile

    restituirla al padre, che non sapeva come arrivare da Bari. Lo stesso genitore, per, ha detto alla polizia che

    la giovane poteva essere affidata ad alcuni parenti, o presunti tali, che sarebbero andati a prenderla in

    consegna direttamente in caserma. Si tratterebbe di persone appartenenti alla comunit degli Halilovic,

    rom di origine bosniaca che vivono in un campo nomadi ricavato su un terreno di loro propriet.

    Alla fine, per, la ragazza stata inserita in una struttura d'accoglienza, nella serata di mercoled. Poco

    dopo la mezzanotte, per, era gi fuggita anche da questo centro. Dove abbia trovato rifugio un mistero,

    magari avr ricominciato a prostituirsi: cinque euro per un giro in macchina, qualcosa di pi per una

    prestazione "tradizionale" quando le sar passato il ciclo mestruale che aveva nei giorni scorsi. Le

    telecamere del Centro commerciale l'hanno ripresa anche mentre elemosinava uno o due euro dai clienti

    che rimettevano a posto il carrello. Diciassette anni, una vita disgraziata e non saper come vivere. E la

    chiamano estate.

    lu.dem.

  • Affittasi monolocale ma non per immigrati

    16 settembre 2007

    LIVORNO. Il cartello pubblicato in foto qui sopra non un fotomontaggio. E' affisso (lo era, almeno, fino a

    ieri) sul portone d'ingresso di un palazzo di via Mayer. E ricorda quei cartelli che negli anni '60 si vedevano

    nelle metropoli del nord dove sbarcavano gli emigranti in cerca di un posto nelle grandi fabbriche: Non si

    affitta ai meridionali. Facile, troppo facile, affermare che i meridionali di oggi sono gli extracomunitari.

    Facile e neanche cos sbagliato.

    Ma in questo caso, hanno cura di spiegare i rappresentanti dell'agenzia incaricata dalla propriet di affittare

    l'appartamento in questione, non c' alcuna questione di razzismo. C', invece, una disavventura capitata

    ai proprietari qualche tempo fa, perch colui a cui era stato affittato quell'appartamento, un nordafricano,

    dopo tre mesi ha pensato bene di non pagare pi l'affitto (non solo, ma ha anche accolto il fratello caduto

    in giri poco leciti e finito agli arresti domiciliari e avrebbe pure danneggiato l'alloggio) e c' voluto quasi un

    anno e mezzo per liberare la casa. In precedenza, fra l'altro, quello stesso appartamento sarebbe stato

    affittato a filippini e iraniani (anche loro extracomunitari, dunque) senza che questi abbiano dato il minimo

    problema.

    Resta una domanda alla quale nessuno d risposta solo perch l'ipotesi non si verificata: se a non pagare

    l'affitto fosse stato un uomo di Gallarate piuttosto che di Rimini, Ancona o Latina, avremmo forse visto un

    cartello con su scritto no italiani?

    lu.dem.

  • Un tetto per il nostro bambino

    Lui e lei senza casa, e fra due mesi nascer anche un beb

    21 novembre 2007

    LIVORNO. Adolfo ha 37 anni, Stella uno di pi. Si sono lasciati alle spalle le storie d'una volta, ormai stanno

    insieme da tempo. Aspettano un bambino, nascer fra due mesi. Ma soprattutto vivono una situazione che

    ormai si trasformata in un incubo. Non hanno casa, finora hanno trovato sistemazioni di fortuna, ma

    sanno che cos non possono andare avanti. Ormai non ce la facciamo pi dicono e vorremmo che le

    nostre istituzioni si facessero carico del problema: se non altro, per darci una risposta che non abbiamo mai

    avuto.

    La coppia uscita dalla casa del centro, zona Origine, dove viveva, ormai un anno e mezzo fa. Sono stati

    sfrattati, nessuno riuscito a evitare che uscissero da quell'appartamento. Da quel momento, non ha mai

    pi abitato in una casa propria. Fra alberghi e amici ce la siamo cavata fino a oggi, dice lui. L'ultima

    sistemazione di una certa stabilit stata quella avuta a Tirrenia. Abbiamo lavorato come stagionali in uno

    stabilimento balneare del litorale pisano raccontano i due e la propriet del bagno ci ha dato un

    bungalow dove ci siamo stabiliti per tutta l'estate. I proprietari sono stati particolarmente disponibili: ci

    hanno consentito di rimanere l per qualche settimana in pi, poi per abbiamo dovuto andar via. Non

    volevamo metterli in difficolt, erano stati cos gentili....

    Cos ricominciato un girovagare pieno di difficolt. Stella e Adolfo dicono di essersi informati ovunque, di

    aver presentato domanda per l'inserimento nella graduatoria per le case popolari, di aver bussato alle

    porte del Comune e a quelle dello sportello per l'emergenza abitativa. Ma le cose, nel concreto, non sono

    cambiate. Sapevamo della possibilit di essere inseriti almeno nei centri multifamiliari che il Comune

    utilizza dicono perch comprendiamo che avere una casa cos, dall'oggi al domani, difficile. E' una

    soluzione che avremmo gradito: non una casa, ma pur sempre qualcosa. Ma anche su questo, nessuno

    ci ha risposto. Non ci hanno detto neppure di no: semplicemente, nessuno si fatto pi vivo. E via, ancora

    una volta, di amico in amico, di pensione in pensione, alla ricerca di una svolta che non mai arrivata.

    Vivere cos proseguono non pi possibile. Pian piano i soldi finiscono. Ora siamo arrivati al punto di

    non sapere come andare avanti. Ci hanno detto di andare alla mensa della Caritas per avere un pasto caldo,

    ma non di questo che abbiamo bisogno, perch bene o male ci siamo sempre arrangiati trovando il modo

    di mettere insieme qualcosa per mangiare. E non sarebbe giusto sottrarre un pasto a chi ne ha bisogno

    davvero.

    Una svolta, per, all'inizio del nuovo anno arriver comunque, indipendentemente dalla situazione

    abitativa della coppia. E sar la nascita del bambino che Stella porta in grembo. E' soprattutto per lui

    dice Adolfo che stiamo cercando di porre fine al nostro problema. Non vogliamo rassegnarci all'idea di

    non sapere dove crescere il nostro bambino: una preoccupazione che non ci fa dormire. Ci che

    chiediamo al nostro Comune non una villa con giardino, ma un tetto dove poter vivere con dignit. Siamo

    cittadini livornesi, crediamo di averne diritto.

    Luciano De Majo

  • Trenta famiglie in attesa delladozione

    18 febbraio 2010

    LIVORNO. L'arrivo di Jo, un meraviglioso bambino proveniente dall'Africa, sbarcato in citt insieme ai

    genitori adottivi pochi giorni prima di Natale, dimostra che si pu. Che ci vuole pazienza, ma che le adozioni

    internazionali si possono fare. E che con l'aiuto dello sportello di orientamento all'adozione della Provincia

    le coppie che intendono portare avanti un progetto adottivo sono meno sole davanti alle tante tappe da

    percorrere.

    Creato nel giugno del 2007 per impulso della Commissione pari opportunit della Provincia, allora

    presieduta da Graziella Pierfederici, lo sportello per l'adozione curato dall'avvocato Cristina Cerrai, madre

    adottiva di due bambini nati in Colombia, pronta a gettarsi anima e corpo in questo servizio che, col passare

    del tempo, stato utilizzato da un numero sempre maggiore di coppie.

    Anche da fuori. Ci sono 31 coppie che si sono rivolte al nostro sportello spiega Cristina Cerrai per

    avere informazioni di ogni genere. Coppie che abitano nel nostro territorio provinciale, ma ce ne sono

    alcune che arrivano anche da fuori, da Pisa e da Lucca. La responsabile dello sportello affronta con

    entusiasmo il compito che sta portando avanti ormai da quasi tre anni. L'adozione di questo bambino

    dice riferendosi al piccolo giunto in citt da poche settimane la prima completata fra tutte le coppie

    dalle quali siamo stati consultati. Le altre trenta coppie, dunque, sono tutte in attesa: alcune gi idonee

    all'adozione, alcune in attesa di ottenere il sospirato decreto. E' chiaro che lo sportello della Provincia non

    in condizione di influire sui tempi di completamento dell'adozione, che spesso dipendono da fattori

    imponderabili trattandosi di eventi che avvengono all'estero, in paesi dove il funzionamento delle istituzioni

    non paragonabile a quello degli Stati europei, e talvolta anche dal caso. Compito di quest'ufficio ,

    piuttosto, dare le informazioni fondamentali alle famiglie che vogliono adottare un bambino, prepararle al

    confronto che poi verr con gli uffici del tribunale dei minorenni e con i servizi sociali, nella fase che

    precede l'emissione del decreto di idoneit da parte del tribunale stesso.

    Come e quando. Contattare lo sportello per le adozioni della Provincia facile. Basta rivolgersi all'ufficio

    della Consigliera di parit, che cura la segreteria dello sportello, al numero 0586.257276, e concordare un

    colloquio. La collaborazione della dottoressa Gaia Suggi, che si occupa della gestione degli appuntamenti,

    sicuramente importante dice ancora l'avvocato Cerrai perch consente di dare alle coppie la

    possibilit di avere tutto il tempo che vogliono per parlare con lo sportello. Io ricevo ogni marted.

    Mediamente, ogni settimana riusciamo a fare tre colloqui.

    Domande frequenti. Lo sportello segue, dunque, le coppie che ne chiedono la consulenza durante tutto

    l'iter adottivo. Si inizia con le informazioni preliminari e la consegna del materiale aggiunge Cristina

    Cerrai e si prosegue con la preparazione dei documenti da consegnare al tribunale dei minorenni per

    inoltrare la domanda di adozione, che vanno da una serie di certificazioni ad alcuni esami di carattere

    medico. Al termine della prima parte del cammino c' il colloquio con il giudice: lo sportello della Provincia

    cura anche la preparazione della coppia a questo momento, che spesso genera apprensione soprattutto in

    chi non abituato a frequentare uffici giudiziari.

  • Dopo il decreto. Quando il tribunale dei minorenni ha notificato alla coppia il decreto di idoneit

    all'adozione, comincia la ricerca dell'Ente a cui affidare il mandato per effettuare l'adozione internazionale.

    Discorso diverso per l'adozione nazionale: in questo caso il tribunale a selezionare le coppie idonee, sulla

    base della disponibilit dei bambini adottabili. Chi, invece, deciso a portare avanti un'adozione

    internazionale, deve rivolgersi a un Ente accreditato presso la presidenza del Consiglio. In questo caso

    precisa l'avvocato Cerrai noi possiamo dare informazioni sui paesi nei quali i vari Enti lavorano, ma la

    decisione finale deve essere presa naturalmente dalle famiglie, che conferiscono un mandato

    all'associazione incaricata di gestire tutte le pratiche.

    Luciano De Majo

  • Due bambine sparite nel nulla

    6 dicembre 2009

    LIVORNO. Saida ha compiuto cinque anni a luglio, Amira ne far tre nel prossimo febbraio. Nate a Livorno,

    da madre livornese e padre tunisino, adesso non si sa dove si trovino. E la famiglia della mamma rivolge un

    appello alle istituzioni.

    Elio Dini e Cinzia Cipolli, i nonni delle due piccole, non sanno che cosa fare perch le bambine tornino alla

    madre, che ormai da un anno le sta cercando in Tunisia. Il padre di Amira e Saida si chiama Nabil Zakraoui.

    Nel 2001 spos Laura Dini. Poi, dopo la nascita delle figlie, il rapporto si logora e la donna chiede la

    separazione. Malgrado questo, nel novembre del 2008 decide di seguire Nabil a Tunisi, per un breve

    soggiorno, salvo poi scoprire, la notte prima della partenza, che lui e le bambine non sarebbero tornati in

    Italia il giorno seguente.

    Nostra figlia - raccontano Elio e Cinzia - non sapeva cosa fare. Torn in Italia, ma prima contatt la nostra

    ambasciata a Tunisi. E una settimana dopo riprese l'aereo per andare nuovamente in Tunisia. E' in questo

    momento che Laura Dini comincia la sua battaglia. Una battaglia difficile, che per dopo una lunga serie di

    vicissitudini riesce a vincere: tanto la giustizia italiana quanto quella tunisina, nella quale non ha mai

    smesso di avere fiducia, le affidano le bambine. Ma tutto inutile, perch lei le figlie non le vede da otto

    mesi. L'8 aprile 2009 il padre preleva Saida e Amira dall'asilo dove vanno, a Rades, nella zona di Tunisi. Lo fa

    con le maniere spicce, aggredendo le insegnanti e portandole via di forza. Da quel giorno, Laura non sa pi

    dove siano le sue figlie. Anche perch, nel frattempo, Nabil viene arrestato.

    Nessuno sa dove siano le nostre nipoti - dicono addolorati Elio Dini e Cinzia Cipolli - perch lui non parla,

    dice soltanto che le bimbe stanno bene ma non vuol dire dove si trovino. Nostra figlia ha dovuto sopportare

    di tutto: per alcuni giorni stata perfino segregata in casa dal marito, i lucchetti alle finestre, e solo

    l'intervento della polizia ha potuto farla uscire nuovamente.

    Saida e Amira, finch hanno vissuto a Livorno, avevano amici e amiche. La prima frequentava l'asilo "I

    girasoli" di viale Marconi, l'altra il nido di Salviano, in via Haiphong. Erano felici con la madre, il padre, i

    nonni che le coccolavano. Adesso la loro assenza ha lasciato un vuoto enorme nella famiglia della mamma,

    che aspetta con ansia il momento di rivederle. Un'ansia che spesso lascia spazio all'angoscia: Noi

    chiediamo aiuto alle istituzioni, tutti coloro che possono fare giustizia ci diano una mano. Intanto del caso

    si occupa il programma televisivo di Raitre "Chi l'ha visto?".

    Luciano De Majo

  • Lamministratore delegato della Speranza spa

    23 novembre 2009

    LIVORNO. Per piglio e determinazione un amministratore delegato. Di un'impresa tutta particolare. E

    forse proprio per questo pi vera. Elena Melani, pistoiese doc, 33 anni, in realt l'amministratore

    delegato della speranza. Due lauree, in lettere e in psicologia, e una vita che non si pu raccontare se non la

    si vive. Perch lei ha lasciato al di qua del Mediterraneo, nel cuore della Toscana, il suo passato e il suo stile

    da occidentale per abbracciare un altro grande cuore: quello dell'Africa.

    Il cuore in Africa. Non lascia niente alla retorica, Elena. E davanti alla domanda sul chi te l'ha fatto fare, si

    limita a rispondere: Se non vai in Africa, puoi anche pensare di aver visto tutto, ma in realt ti manca

    qualcosa. L'Africa di Elena Melani non quella degli strateghi dell'alta finanza. Un mese e mezzo vissuto in

    Madagascar, poi il ritorno in Italia e una telefonata dal Benin. Ora la sua casa l, fra i piccoli che insieme

    alle suore salesiane cerca di strappare alla tratta.

    Il progetto salesiano. Laggi, in quella sorta di "fungo" di terra stretto fra Togo, Nigeria e Burkina Faso, uno

    dei pochi paesi di quell'area dove comunque ci sono libere elezioni e la democrazia ormai un fatto

    compiuto, la battaglia per fermare l'esportazione di bambini passa per la speranza di una loro

    emancipazione prima di tutto economica. E il progetto di cui le suore salesiane sono protagoniste mette al

    centro la lotta allo sfruttamento dei minori. In Benin un bambino costa dai 15 ai 20 euro, dice Elena, che

    ha trovato in suor Maria Antonietta Marchese, responsabile del progetto, una presenza vulcanica pi che

    dinamica. Anto, come la chiamo io, una persona straordinaria, aggiunge la giovane pistoiese. Ma lei

    non da meno, visto che si dedica ai pi piccoli praticamente 24 ore al giorno, fra attivit scolastiche,

    lavorative e di assistenza di vario genere.

    Vidomegon. E' difficile comprendere, con gli occhi e con il modo di ragionare di un occidentale, quello che

    succede in Benin. Eppure basta girare per le strade di Cotonou, la capitale economica del paese (oltre

    800mila abitanti, di gran lunga la citt pi popolosa), per imbattersi in una realt che per la popolazione

    locale non ha niente di straordinario. Eppure ci sono, secondo statistiche come al solito assai prudenti e

    quasi ottimistiche, circa 500mila ragazzi dai 6 ai 14 anni che lavorano senza interruzione, senza diritti, senza

    la possibilit di conoscere l'infanzia. Una volta in Benin esisteva una pratica - racconta Elena Melani -

    chiamata "vidomegon", che significa bambino in lingua fon. Secondo questa tradizione, era possibile

    affidare i piccoli a famiglie che vivevano in condizioni migliori di quelle nella quale erano nati. In cambio, i

    genitori avrebbero ottenuto per i propri figli un'educazione altrimenti impossibile.

    Regna il traffico. Oggi il "vidomegon" diventato un'altra cosa. Le spinte solidali si sono trasformate in

    situazioni assai differenti e in Benin c' la corsa ad accaparrarsi bambini e bambine. Soprattutto le

    ragazzine sono ambite -prosegue il racconto di Elena -perch sono particolarmente docili e sono in grado di

    fare lavori domestici, ma anche le venditrici. I maschi, invece, trovano facile collocazione facendo lavori di

    fatica in veste di apprendisti, portando sacchi di cemento nei cantieri aperti in diversi centri del paese. C'

    bisogno di tutto, per i piccoli del Benin. Elena Melani, nelle settimane scorse, tornata per qualche giorno

    in Italia per motivi di studio e ha fatto visita anche in Toscana, dove ha cercato anche contatti con

    associazioni di volontariato e enti benefici locali (a Livorno ha incontrato i rappresentanti del Rotary,

    dell'Arci, del Centro mondialit e la stessa cosa ha fatto in altre citt).

  • Prodotti doc. I bambini del Benin non chiedono soltanto aiuto. Offrono anche qualcosa: i frutti del loro

    lavoro, delle complesse attivit del progetto cui collabora anche Elena. Producono saponi che possono

    essere commercializzati e che cercano sbocchi sui nostri mercati: l'obiettivo sondare il terreno con il

    mondo della cooperazione di consumo. Stanno mettendo su, in Benin, ristoranti e attivit alberghiere che

    potranno diventare davvero, in futuro, un lavoro reale e non solo un modo per sopravvivere fra un

    espediente e l'altro. A Porto-Novo, la capitale, dove vivono poco meno di 250mila persone, c' il progetto

    dell'apertura di una fattoria.

    Guerra alla tratta. L'attivit delle salesiane fa lo slalom fra una tragedia quotidiana e un'altra. Curano

    decine di bambine ogni mese sotto il profilo dell'assistenza sanitaria e combattono la guerra pi difficile,

    quella contro il traffico internazionale di bambini. Perch se la degenerazione del "vidomegon" ormai

    entrata nell'uso comune del Benin, solo quando i piccoli varcano le frontiere nazionali c' un po' di rumore

    in pi. Ci sono bimbi che vengono portati in Gabon, altri sono destinati alla Nigeria, alla Costa d'Avorio. E a

    volte - dice Elena Melani - anche il Benin accoglie bambini stranieri, dal Togo e dalla Nigeria. Basta un

    compenso di una ventina di euro per strappare un figlio ai genitori. E le conseguenze, sul piccolo, sono

    facilmente immaginabili: maltrattamenti, violenze psicologiche e fisiche. Strapparne anche uno a questo

    traffico un'impresa difficile, capace di regalare una soddisfazione straordinaria.

    Luciano De Majo

  • Meno posti per i giovani cos il governo uccide il servizio civile

    14 settembre 2009

    LIVORNO. Trasportano - o meglio, trasportavano - gli ammalati, aiutano gli anziani, sono di prezioso ausilio

    per chi svolge compiti di protezione civile. Oppure li vedi - pardon, li vedevi - nelle scuole, a contatto coi

    bambini. E' giusto usare l'imperfetto e non il presente, perch i giovani che fanno servizio civile ormai

    rischiano di essere una rarit. Non per loro volont, ma per i tagli che arrivano dal governo e che non

    risparmiano questo settore. In Italia, per 100mila domande ci sono soldi per accoglierne 25mila. E in citt i

    progetti approvati sono pochissimi.

    Caritas e Svs a secco. Figurarsi che un gigante come la Caritas, che nel mondo del servizio civile - fin da

    quando era legato all'obiezione di coscienza - ha fatto scuola in tutta Italia e naturalmente anche in citt,

    per il secondo anno consecutivo non avr giovani da utilizzare nei propri centri d'ascolto o alle mense per i

    poveri. Il suo progetto, che prevedeva di inserire 10 giovani volontari (perch di volontari si tratta: lo Stato

    concede loro un rimborso, ma di 460 euro appena), non stato finanziato. E cos succede alla Svs: lo scorso

    anno aveva avuto 20 posti e in 15 avevano concretamente risposto all'appello. Nel 2010, invece, non ne

    avr pi.

    Il Comune attacca. Si salvano, almeno in parte, Misericordia e Comune, ma non senza affanni. La

    confraternita scende da 20 posti a 8, palazzo Civico ne conserva 20 rispetto ai 28 dell'anno scorso, ma se si

    pensa che solo due anni fa ne aveva in servizio ben 73, ecco delineato il tenore dei tagli imposti dal

    governo. Con queste scelte che vengono compiute dal governo si penalizzano i giovani - dice l'assessore

    comunale Mario Tredici, della cui delega fa parte anche il servizio civile - e in special modo quelli che

    decidono di dedicare un anno della loro vita agli altri. Non dimentichiamo che adesso che il servizio civile

    davvero una scelta volontaria, visto che la leva militare non pi obbligatoria, una scelta che ha un valore

    ancora maggiore rispetto al passato. Senza contare il danno che viene prodotto all'amministrazione e ai

    servizi. Ci che colpisce l'assessore il fatto che rispetto allo scorso anno la spesa pubblica corrente in

    Italia salita di 35 miliardi di euro, proiettando il paese fuori da ogni parametro di stabilit, e poi si tagliano

    questi progetti. Mi chiedo - conclude Tredici - dove finiscano tutti questi soldi spesi in pi.... I 20 giovani

    che saranno inseriti in Comune andranno a occuparsi di progetti nel mondo della scuola.

    Volontariato nei guai. Ancora pi forte il grido di dolore delle associazioni di volontariato. E' un bel guaio -

    ammette il direttore della Pubblica assistenza, Fabio Cecconi - perch inevitabilmente l'assenza di questi

    giovani in servizio civile si ripercuoter sui servizi. Noi li impegnamo di solito nel trasporto ordinario, in

    minima parte sul soccorso e sui servizi di protezione civile. Di questo argomento abbiamo parlato anche col

    presidente Pastore: i tagli ai finanziamenti hanno fatto rimanere fuori il nostro progetto.

    Giovanni Giannone, che guida la Misericordia, pu consolarsi col fatto che almeno 8 giovani da ottobre

    torneranno in servizio alla confraternita di via Verdi. Ma sono meno della met rispetto ai 20 dello scorso

    anno. Ecco, dobbiamo capire bene - dice il preposto - che il servizio civile rappresenta una risorsa

    insostituibile per le associazioni di volontariato, che non possono contare su una dotazione di personale

    come altri soggetti, a cominciare dalle istituzioni pubbliche. Io penso che sarebbe giusto almeno riflettere

    sulla possibilit di riservare l'accesso al servizio civile al mondo del volontariato, soprattutto in una fase

    come questa, nella quale i tagli sono pesanti.

  • Recuperi, un sogno? C' chi spera nella pubblicazione di bandi di recupero, magari da parte della Regione,

    per cercare di veder finanziato qualche suo progetto. Ma l'impressione che ben difficilmente la situazione

    cambier: l'operazione di smantellamento del servizio civile (uno dei pochi modelli di volontariato concepiti

    e sviluppatisi tutti in Italia) andr avanti. E 21 enti, riuniti in una Consulta a livello nazionale, hanno avviato

    una campagna per salvare questa esperienza. E' un peccato quello che sta succedendo - dice Luca Tinghi,

    direttore della Fondazione Caritas Livorno - perch le nostre associazioni, grazie al servizio civile,

    rappresentano strumenti essenziali per dare una chance ai giovani. Siamo il tramite per favorire percorsi ed

    esperienze che altrimenti questi ragazzi non potrebbero mai fare. Non cerchiamo operatori per garantire i

    nostri servizi, ma favoriamo l'incontro fra i giovani e il mondo della marginalit.

    Meno 75%. A fronte di 100mila domande presentate in tutta Italia, sono stati accolti e finanziati progetti

    per 25mila posti. Ventuno sono gli enti che fanno parte della Consulta: da essi partita la campagna "Dare

    un futuro al servizio civile", fra loro, Arci, Acli, Anpas, Misericordie, Caritas, Wwf.

    Luciano De Majo

  • Violentata per 10 anni, gli zii a giudizio

    6 marzo 2008

    LIVORNO. Per lei, la ragazza vittima di questa storia, che oggi ha 23 anni, non sar facile mettersi alle spalle

    una decina d'anni d'inferno. Ci che ha raccontato alla polizia, e poi alla magistratura, vincendo paure e

    pudori pi che comprensibili, ha dell'incredibile: sarebbe stata violentata e maltrattata dallo zio, a carico

    del quale ieri iniziato il processo (che riprender il primo ottobre). L'incubo inizi che lei aveva appena

    otto anni. Ed finito solo con il raggiungimento della maggiore et.

    La bimba (della quale ovviamente omettiamo il nome, cos come dello zio e della zia imputati, per tutelare

    la riservatezza della vittima) venne affidata agli zii paterni dopo alcune disavventure familiari (il padre era

    morto, la madre invece era alle prese con problemi che le impedivano di provvedere alla figlia). Nessuna

    scelta sembrava migliore di questa: lo zio un imprenditore di 63 anni molto conosciuto. Ha un'attivit ben

    avviata nel territorio di Collesalvetti: un uomo insospettabile, e soprattutto lontano dai cosiddetti ambienti

    della marginalit, caratterizzati dal disagio e dalle difficolt di carattere economico.

    Il guaio, per, almeno stando alle accuse che la Procura della Repubblica rivolge agli imputati, che la

    ragazza sarebbe stata a lungo molestata e violentata. E ancora, maltrattata e costretta a lavorare

    nell'impresa di famiglia. Ed questo l'aspetto nel quale entra in gioco anche la zia della ragazza (che oggi ha

    52 anni), imputata soltanto di maltrattamenti, mentre il marito deve rispondere al collegio giudicante

    (presidente Antonio Del Forno, giudici a latere Giovanni Zucconi e Ottavio Mosti) anche di violenza sessuale

    e lesioni gravissime. Non solo e non tanto per gli infortuni rimediati dalla giovane durante il suo lavoro,

    quanto per le conseguenze sulla psiche, che ancora sarebbero ben visibili, nei suoi attuali comportamenti.

    La ragazza si costituita parte civile, assistita dagli avvocati Vanessa Luperi e Giacomo Passigli. Si era tenuta

    tutto dentro, fino a quando non fu protagonista di quello che sembr un incidente stradale: fin in auto

    contro un albero. In realt, fu un tentativo di suicidio, che aveva fatto seguito ad altri episodi di

    autolesionismo, segno evidente che qualcosa non andava. A quel punto, la ragazza vuot il sacco con un

    poliziotto che le ispirava fiducia. Scatt la denuncia e la giovane dovette raccontare in Procura, nei

    particolari, quello che le era accaduto negli anni precedenti. Il terribile film della sua vita le ripass davanti

    durante le ore nelle quali parl con i magistrati livornesi. Poi, compiuti i 18 anni, la ragazza ha lasciato la

    casa degli zii andando a vivere fuori citt, a Lucca.

    D'improvviso, le pesanti attenzioni dello zio sono diventate un ricordo. La costringeva ad avere rapporti con

    lui, secondo quanto ricostruito dagli invesigatori, ricattandola anche attraverso qualche piccolo dono. La

    zia, invece, pensava a farla rigare dritta nelle ore pomeridiane quando, finita la scuola, doveva lavorare

    sodo, anzich giocare come fanno tutti i bambini. La offendeva e la maltrattava, arrivando a picchiarla

    anche col manico della scopa. Logico, ovvio, che la ragazza una volta terminate le medie abbia salutato per

    sempre i libri, magari indotta all'abbandono, come ipotizza l'accusa, dalla coppia di imputati, difesi

    dall'avvocato Mario Maggiolo. Quando il quadro stato chiaro anche alla Procura, il pubblico ministero

    Antonio Giaconi ha chiesto e ottenuto il rinvio a giudizio dei due. Da ottobre il processo entrer nel vivo,

    con le prime testimonianze, la pi importante delle quali sar naturalmente quella della ragazza

    protagonista di questa vicenda.

    Luciano De Majo

  • Piove anche sulle salme

    30 luglio 2010

    LIVORNO. Sembrava un film di Carlo Verdone: a un certo punto della mattinata, la pioggia l'ha avuta vinta

    anche alla camera mortuaria dell'ospedale, dove dapprima alcune gocce d'acqua e poi infiltrazioni sempre

    pi consistenti hanno cominciato a bagnare anche una salma esposta in una delle stanze della morgue, la

    numero 1. Ai familiari, davanti a una situazione davvero inaspettata, non rimasto che prendere il

    coperchio della bara e appoggiarlo sopra, a protezione della salma, per poi segnalare subito la situazione

    all'infermiere in servizio.

    Non c'erano altre soluzioni, naturalmente, al trasferimento della salma in un'altra delle stanzette che si

    aprono ai lati della chiesa della camera mortuaria, chiesa anch'essa invasa dall'acqua. E trasferimento

    stato, non prima di un intervento della direzione dell'Asl un cui tecnico arrivato sul viale Alfieri e ha

    constatato l'entit delle infiltrazioni d'acqua: col passare del tempo, ormai l'acqua aveva cominciato a

    cadere in tutta la stanza.

    Cos, la salma stata messa in un altro ambiente, dove ha dovuto dividere lo spazio con un'altra salma che

    era gi stata sistemata l. Un po' contrariati i familiari, che al momento della prima chiamata effettuata

    all'Asl si sono sentiti rispondere in modo per loro poco ortodosso, considerando la particolarit del

    momento. Poi, per, la soluzione trovata ha soddisfatto tutti.

    Rimane il problema di un edificio, quello della morgue, che evidentemente presenta problemi strutturali

    di notevole entit: non solo la cappella numero 1 stata chiusa dall'Asl con tanto di cartello inagibile, ma

    anche la chiesa era in gran parte allagata. Perfino ieri pomeriggio, quando ormai era tornato a splendere il

    sole, le panche pi vicine alla porta erano bagnate.

    Luciano De Majo

  • Le mie prigioni in quel collegio

    3 aprile 2003

    LIVORNO.Giuseppe Apolloni ha 58 anni. Baffi malandrini e il pi tipico degli accenti livornesi, nato ad

    Antignano e ha vissuto sei anni della sua vita al "Ricovero" di via Galilei, ora complesso della

    Gherardesca. Rimasto orfano di padre, la madre che lavorava decise di farlo entrare in collegio. Rientrare

    ora in quell'edificio, dopo i lunghi anni del restauro che hanno recuperato la struttura, gli suscita emozioni

    particolari. "Eh, s - dice - guarda l come bello ora questo complesso. E' un bene che sia stato

    ristrutturato, ma un po' mi dispiace. Chiss, forse avrei voluto che fosse tutto come l'ho lasciato io".

    Ma da allora sono passati quarant'anni...

    "Quarantuno, per l'esattezza. Sono entrato nel 1956, sono uscito nel 1962. Sei anni passati l dentro sono

    tanti".

    E' banale chiederle di ricordare qualcosa: episodi, storie, aneddoti...

    "Storie ce ne sono tantissime. Prima per fatemi dire una cosa".

    Prego.

    "Sentite come si sta bene ora, il calduccio che c' qui. Riscaldamento dappertutto: ecco, a quell'epoca c'era

    un freddo cane. L'abbiamo sofferto tutti. E qualcuno ha pure sofferto la fame".

    Anche lei?

    "No, io no. Ma alcuni dei miei compagni s. Non so perch, ma non riuscivano a mangiare. Che pena per

    loro, che sofferenze per tutti".

    Sofferenze di che genere?

    "Nei rapporti con le suore, per esempio. Ce n'era una di cui poi fu accertata la pazzia. Faceva di tutto ai

    bambini. Li angariava in mille modi. Li umiliava davanti a tutti, li picchiava fino a farli sanguinare, imponeva

    punizioni severissime".

    Come si chiamava?

    "Suor Gabriella, se non sbaglio. Era il terrore di tutti noi".

    Lei entr in collegio nel 1956. Cosa ricorda di quell'epoca?

    "I fatti di Ungheria, per esempio. Le suore ci portarono nella camerata una radio per sentire le notizie

    dell'Armata rossa che entrava a Budapest. E ci dicevano di seguire, per capire quanto fossero cattivi i

    comunisti. Non solo: ci raccontavano che a Livorno c'era una brava persona, un'anima pia che comprava

    tutte le copie de "l'Unit" per impedire che la gente leggesse la stampa cattiva".

    E voi ci credevate?

    "Non lo so dire con esattezza. Certo, eravamo diversi dai bambini di oggi. Pi timidi, pi paurosi, meno

    sicuri. Figuriamoci se oggi sarebbero ammessi certi metodi, diciamo cos, "educativi". Eppure cos che si

    comportavano queste suore".

    Ma erano proprio tutte cattive?

    "No, qualcuna era buona. Quelle che stavano con la sezione femminile, per esempio. Ma le migliori

    venivano mandate via, chi lo sa perch. Una di loro usc dal collegio incinta, che scandalo...".

    Chi era?

    "Suor Maddalena, mi pare. Era una buona suora. E anche molto bella, s, bella davvero".

    Ricorda anche altre persone, che non fossero suore?

    "Una donna anziana. Aveva con s un album di foto vecchissime, che ritraevano lei vestita da ballerina con

    le piume. Diceva di essere del Moulin Rouge. Ma che potevamo saperne, noi del Moulin Rouge? Non

    eravamo mai usciti dalla citt".

  • Per, a suo modo, questo stare in collegio era una scuola di vita...

    "Di sopravvivenza, direi. Posso dire di essere entrato qui dentro santo, e di esserci uscito demonio.

    Bisognava arrangiarsi, mostrarsi forti anche con le suore, perch prendevano di mira i pi deboli".

    Le vostre giornate come si svolgevano?

    "A parte la domenica, quando ci portavano a fare un giro in citt, i nostri giorni erano questi: sveglia

    all'alba, bagno nelle vasche di marmo con l'acqua fredda, quindi tutti alla Messa. Poi colazione e a scuola.

    Quindi pranzo e studio, fino alla cena. E anche alla Messa...".

    Che succedeva alla Messa?

    "Che eravamo insieme noi e le femmine. Divisi rigorosamente, gli uni a destra e le altre a sinistra. E guai a

    chi guardava il settore opposto. Gli occhi dovevano essere rivolti verso l'altare".

    Altrimenti?

    "Altrimenti botte. Non andavano per il sottile, questo si sar capito. Una volta arrivarono a punirmi perch

    svenni durante la funzione religiosa. Mi dissero che mi ero sentito male alla Messa e che dovevo pentirmi di

    questo, a pensarci ora...".

    Ma contatti con le ragazze, davvero mai? Non se ne ricorda qualcuna?

    "Contatti no, impossibile averne. Loro le ricordo, eccome. Avevano la nostra et ma erano gi donne. Per

    noi erano bellissime: i loro seni, le loro forme... ho ancora tutto in mente".

    Niente sesso, allora?

    "Solo "fai da te", non so se mi spiego".

    E le suore?

    "Se ti vedevano, eri rovinato. Finiva a bacchettate. Ma ti bacchettavano anche se avevi i geloni alle mani.

    Strano modo per curare... Quanto al sesso, una volta, a tavola, quattro ragazzi si misero d'accordo per farlo

    tutti insieme, coperti dalla tovaglia. Solo che questa tovaglia si muoveva un po' troppo, la suora si accorse

    di tutto e la sollev mentre loro erano in piena "azione"... e fu il patatrac".

    Metodi parecchio spicci...

    "Ve ne racconto un'altra: oggi si dice che quando un bambino fa pip a letto ha problemi psicologici, con

    tutte le conseguenze del caso. Ecco, se succedeva a uno di noi, gli veniva fatto fare il giro dell'istituto con il

    lenzuolo sulla testa, additato a tutti. Altro che psicologia".

    Umiliazioni terribili per un bambino...

    "Tremende. Una volta, mia madre mi mand due panini con la carne. E lo stesso fece la madre di un altro

    mio compagno, che si sapeva essere una prostituta. La suora mi dette i miei dicendo: "Mangiali, tua madre

    se li guadagnati". E all'altro disse: "Questi sono comprati con i soldi del peccato", e li distrusse davanti a

    tutti.

    Vi controllavano dal punto di vista medico?

    "Mai visto un medico all'istituto. Ci davano l'olio di fegato di merluzzo, questo s, e tutti con lo stesso

    cucchiaio. Di cima a fondo alla camerata, il solito cucchiaio. Malattie gravi non ne ricordo. L'epidemia di

    asiatica s".

    La prese anche lei?

    "S, quando gli altri erano gi guariti. Ho un ricordo preciso di quell'asiatica: sentivo alla radio Harry

    Belafonte che cantava la sua "Banana boat" appena lanciata. Fate un po' il conto voi, di quanto tempo

    passato".

    Ascoltavate la radio. Ma la televisione c'era?

    "S, ma nella sezione dei ragazzi pi grandi. Noi potevamo vedere solo i telefilm di Rin Tin Tin, poi tutti a

    letto".

    Ha detto che qualcuno ha sofferto la fame. Perch?

  • "Non ci davano molto da mangiare. Ci impedivano anche di prendere i formaggini Ferrero, quelli che

    avevano le figurine. Le suore, davvero crudeli, ci chiamavano per staccare le figurine e riempire l'album,

    cos prendevano i premi, loro. Ma ci vietavano di prendere anche un solo formaggino. Io una volta decisi di

    farne sparire alcuni, ma li misi in tasca. Che errore...".

    Perch?

    "Eh, perch con il calore si sciolsero. Mi scoprirono, indovinate cosa mi successe".

    Possiamo immaginarlo. Della scuola ha qualche ricordo?

    "La mia aula. Dalla finestra si vedeva il campanile di Sant'Andrea. Guardandolo per ore e ore, ho imparato a

    leggere l'orologio. Quello da polso non ce l'avevo davvero, allora la maestra mi disse di imparare a contare

    le ore dalle lancette che si muovevano sul campanile".

    Almeno un ricordo positivo. Solo quello?

    "No: ne ho un altro. Un anno dopo l'uscita dal collegio, mia madre mor in un incidente stradale. Rimasi solo

    a diciott'anni. Ai funerali si present anche Suor Gabriella".

    Quella cattiva?

    "Gi. Si vede che qualche lato positivo l'aveva anche lei. Per doveva essere parecchio nascosto...".

    Luciano De Majo

  • Disabili, esercitate i vostri diritti L'appello di Ennio Succi: la vita pu sorriderci

    20 giugno 2002

    LIVORNO. Due stampelle possono essere molto di pi di un supporto per camminare. Possono

    rappresentare un angolo assolutamente particolare dal quale si vede la vita. Senza piangersi addosso, e

    soprattutto senza voler sentire tutto il mondo contro. Ennio Succi ha 47 anni, dipendente Enel, e la sua

    disabilit non gli ha impedito di coltivare hobby e passioni. La politica per esempio ( segretario della

    sezione Colline-Coteto-Di Vittorio dei Ds, una delle pi grandi della citt) ma anche altre attivit come il

    teatro.

    Ed proprio dalla mancata partecipazione ad un corso per sceneggiatori al Teatro delle Commedie, a causa

    di una scala piuttosto tortuosa che gli impediva l'accesso al piano superiore, sede della lezione, che Succi

    apre la sua riflessione. Un pretesto che per non vuole utilizzare come leva per una bacchettata contro

    qualcuno. Quella acqua passata, su cui non voglio fare polemiche, anche perch ho avuto modo di

    chiarire con la stessa amministrazione comunale ci che accaduto. E d'altra parte sarebbe ingeneroso dire

    che il Comune non sensibile a questi temi.

    L'episodio per, servito. S, perch quando accadono cose del genere - dice - impossibile non pensare a

    cosa possibile fare per evitare che certe situazioni si ripresentino. A me oppure ad altre persone. Al

    tempo stesso penso sia necessario un approccio nuovo e diverso da parte di tutti a questa sfera. La sfera

    di cui parla Succi fra le pi delicate: quella dei diritti fondamentali della persona. Il punto esattamente

    questo: innegabile che negli ultimi anni le istituzioni, ad ogni livello, abbiano fatto passi avanti, a

    cominciare da una legislazione pi avanzata e dai conseguenti programmi per abbattere le cosiddette

    barriere architettoniche. Ma noi, noi diretti interessati, che cosa abbiamo da comunicare in modo positivo?

    Io dico che i diritti non si rivendicano, ma si esercitano. Ed proprio per questo che non esito a parlare di

    diritti naturali, quelli alla realizzazione, alla libert di decidere come trascorrere il proprio tempo libero.

    Sono diritti di libert, ecco che cosa sono.

    Perfino la parola disabilit, da questo punto di vista, appare usurata. Occorre intenderci bene e dare

    forse un significato diverso - la tesi di Succi - al termine disabile. Disabile non significa non abile,

    casomai vuol dire diversamente abile, questo s. Ma un concetto che vale per ciascuno di noi: tutti

    quanti siamo abili in modo differente l'uno dall'altro. Se prendo il mio esempio, io per fare il mio lavoro

    sono perfettamente abile. Per fare altre cose evidentemente no. Ma un concetto che non posso

    accettare: va tutto bene finch posso lavorare, poi quando sono io ad avere delle esigenze, allora devo

    fermarmi davanti a qualche impedimento? E evidente che cos non pu essere: quale societ quella che

    accetta di trasmettere un messaggio come questo?. E un suggerimento Ennio Succi lo d anche ai pi

    giovani che sono nelle stesse sue condizioni: Un tempo si diceva che era necessario imparare a convivere

    con la propria disabilit, ma anche questo un concetto datato. Pensiamo a ci che siamo noi, a ci che

    abbiamo dentro. E mettiamo in pratica le nostre idee: la vita potr sorriderci.

    lu.dem.

  • 17 anni, muore con lo scooter

    17 maggio 2008

    COLLESALVETTI. Mamma Simonetta stava in pensiero. Non sapeva perch Luis, suo figlio, non era ancora

    rientrato a casa. E non avrebbe mai immaginato di doverlo scoprire in un torrentello, ormai morto dopo

    essere uscito di strada col suo scooter.

    Luis Alfredo Ciuti morto a 17 anni appena. Viveva al Crocino, in una frazione di Collesalvetti, insieme ai

    genitori Claudio e Simonetta, che l'avevano adottato in Colombia, quando aveva appena cinque anni e

    aveva gi perso la madre naturale da almeno due. Un giorno voglio andare laggi a vedere la sua tomba,

    aveva detto di recente a pap Claudio. Attorno a lui e alla moglie ieri si sono stretti i parenti e gli amici.

    La dinamica dell'incidente, avvenuto sulla strada 206 (un tempo statale, oggi regionale), che collega Pisa a

    Cecina, a poche centinaia di metri dal Crocino, ancora tutta da ricostruire. Non chiaro se il ragazzo sia

    finito nel fosso per una distrazione, oppure per un malore, o magari perch un animale gli ha attraversato

    la strada all'improvviso. Quello che certo che il suo scooter giaceva nell'erba, sull'argine del piccolo

    torrente, il Rio dell'inferno, che proprio l confluisce nel torrente Morra, mentre lui era nell'acqua,

    probabilmente dopo aver sbattuto nella parte in cemento del ponticello. E l rimasto per quattro ore

    almeno, fino a quando la magistratura non ha disposto la rimozione del cadavere.

    C' anche chi sostiene che non possa aver fatto tutto da solo, e che Luis in quel maledetto fiumiciattolo ci

    sia finito a causa di un contatto, anche leggero, con un'auto o con un mezzo pesante, visto che su quella

    strada passano ogni giorno migliaia di camion. Sar l'autorit giudiziaria a cercare di accertare la dinamica

    dell'incidente. Ieri sul posto c'erano i carabinieri e i vigili urbani di Collesalvetti.

    L'incidente avvenuto nel primo pomeriggio. Luis era appena uscito dal lavoro e stava andando verso casa.

    Da poco tempo aveva lasciato gli studi, voleva trovarsi un lavoro e ce l'aveva fatta: lavorava al caseificio

    Busti, ad Acciaiolo, vicino a Fauglia, ma anche come cameriere in un ristorante-pizzeria vicino a casa.

    Giocava anche a calcio, nella squadra allievi dell'Intercomunale Collesalvetti. E proprio a Collesalvetti ieri

    sera avrebbe dovuto giocare una partita in un torneo in programma al campo Lami contro il

    Montecalvoli. Ma i suoi compagni di squadra ieri non sono scesi in campo. Le partite sono state sospese in

    segno di lutto. Il minimo per ricordare un ragazzo di cui tutti dicono un gran bene.

    Luciano De Majo

  • E' solo un povero ragazzo da curare

    3 settembre 2008

    LIVORNO. Non un maniaco da film, tanto meno un mostro, un giovane da assistere e da curare. E' un

    ragazzo che deve compiere ancora 17 anni, con alle spalle un carico di disagio familiare, la cui situazione

    stata segnalata, naturalmente, alla Procura presso il tribunale dei minorenni di Firenze, ma anche ai servizi

    sociali di Livorno, da parte dei carabinieri che l'hanno identificato e fermato. Pochi dubbi, ormai, sul fatto

    che sia stato lui a molestare alcune donne.

    Anche perch ieri arrivata un'altra conferma - la quinta - da parte di una vittima delle molestie, che lo ha

    riconosciuto sfogliando la serie delle foto che le sono state mostrate.

    Il passato. A guardarlo in faccia, spiegano gli stessi carabinieri, sembra che abbia qualche anno di pi. In

    passato aveva i capelli biondi, ossigenati. Ora se li rasati. Ma ci che pesa maggiormente, nel suo passato,

    pi che il modo di portare i capelli, sono i problemi di carattere psicologico che ha avuto. Era stato

    denunciato perch aveva sfasciato una cabina del telefono, ha riferito il comandante provinciale dei

    carabinieri, il colonnello Pasquale Santoro. Ed era stato in cura da uno psicologo.

    Le ammissioni. Sulle prime, appena fermato, il ragazzo rimasto senza parlare, quasi a voler confermare il

    suo essere tipo di poche parole. Poi, inchiodato dai riconoscimenti che - uno dietro l'altro - sono arrivati da

    alcune delle vittime delle sue imprese, ha cominciato ad ammettere. E ha detto che quando beve perde il

    controllo, che non gli capita cos di rado.

    I riconoscimenti. Ieri c' stato l'ultimo riconoscimento, il quinto della serie. E' stato quello di una testimone

    della scena accaduta il 10 agosto, alle 9 della sera, sul viale Mameli. Non hanno avuto dubbi, invece, oltre

    alla protagonista dell'ultimo episodio, che ha portato all'individuazione del giovane, la signora di 65 anni

    che ha subito l'approccio alle 2 del mattino del 10 agosto in Borgo Cappuccini, la donna di 61 anni aggredita

    a mezzogiorno del 12 agosto in via dei Pensieri e la donna di 37 anni che, sempre il 12 agosto ma alle 21,

    stata avvicinata dal giovane in via Maestri del lavoro, proprio a due passi dal comando dei carabinieri. Altre

    conferme non ce ne sono. Neanche l'ucraina aggredita, con maggiore decisione e violenza, la mattina del 12

    agosto, una ventina di minuti prima del fatto di via dei Pensieri, ha detto di essere sicura che l'autore delle

    molestie sia lui.

    Il reato. Il giovane stato denunciato per atti osceni in luogo pubblico. Altri reati di cui potrebbe essersi

    reso responsabile sono perseguibili su querela. Ma il segnale che i carabinieri mandano alla citt, a

    cominciare dalle strutture socio-sanitarie, chiarissimo: il ragazzo andava fermato, perch questi episodi

    finissero. Ma provare a recuperarlo possibile. Ed un dovere per tutte le istituzioni del territorio.

    Luciano De Majo

  • Tanti giovani nella trappola del gioco

    In citt boom dei baby scommettitori

    4 dicembre 2006

    LIVORNO. Da occasione di divertimento a malattia vera e propria. Il gioco d'azzardo non fa sconti,

    soprattutto ai pi giovani. Per alcuni un business: il giro d'affari in Italia, fra scommesse e lotterie varie e

    slot machines d'ogni genere, supera i 32 miliardi di euro all'anno. N pi n meno, una legge Finanziaria.

    Per altri, ovvero le vittime che entrano nella spirale del gioco come ragione di vita, un fattore di rovina

    assoluta, capace di spaccare in due le famiglie e di mandarle sul lastrico.

    In citt l'associazione San Benedetto ha aperto, ormai un anno fa, un centro di sensibilizzazione su quello

    che viene chiamato Gap, ovvero gioco d'azzardo patologico. E nelle pieghe della sua attivit ha svolto

    un'indagine dalla quale emerge che molti giovani livornesi, dai 16 ai 20 anni di et, hanno comportamenti a

    rischio.

    Un terzo dei 679 ragazzi i cui dati sono stati elaborati e ritenuti utili ai fini dell'indagine si divide fra i

    giocatori problematici e quelli patologici. I patologici ormai sono entrati nella fase della dipendenza da

    gioco, i problematici non sono ancora alla malattia ma sono fortemente a rischio. Particolarmente

    interessante la zona dove abitano i soggetti patologici: si concentrano nei quartieri nord e nei quartieri

    sud della citt, il che conferma le teorie degli studiosi che approfondiscono questo argomento e che

    spiegano come le patologie da gioco colpiscano l'lite di chi possiede denaro in grande quantit e il gruppo

    sociale di chi invece non lo possiede affatto, e che affida al gioco la possibilit di procurarselo in modo tutto

    sommato facile. Un altro dato da non sottovalutare che chi cede al vortice delle scommesse ammette di

    non far parte di particolari gruppi: chi pi solo, insomma, gioca di pi.

    Attualmente il nostro centro dice la dottoressa Simona Bianchi, psicologa dell'associazione San

    Benedetto ha otto giocatori in trattamento, sei dei quali di Livorno citt, uno della provincia e uno della

    provincia di Lucca. Alcuni di loro sono arrivati a giocarsi e a perdere qualcosa come 250 mila euro, fra

    puntate sui cavalli e su avvenimenti sportivi diversi, dal calcio al basket. Chi si avvicina a una struttura

    come quella della San Benedetto, per, ha gi superato la dimensione pi difficile, perch si rende conto

    comunque della necessit di affidarsi a operatori sociali che lo aiutino a uscire da un tunnel in tutto simile a

    quello della dipendenza da sostanze. I loro sono racconti fotocopia dice ancora Simona Bianchi tutto

    comincia da una grossa vincita inaspettata. Ed quello l'episodio che ti frega, perch credi che vincere soldi

    scommettendo sia esattamente un gioco.

    Un gioco da ragazzi, si direbbe guardando i dati dell'indagine. Perch quelli nati nel 1987, '88 e '89 hanno

    confessato di giocare abitualmente. Gioco consentito, niente di clandestino ma tutto alla luce del sole, fra

    sale corse, agenzie di scommesse e macchinette mangiasoldi. Solo che la legge proibisce ai minorenni di

    accedere a queste strutture. Ed qui che scatta un altro guaio, che fa dannare gli operatori sociali:

    difficile, per non dire impossibile, che i gestori facciano rispettare questa norma. Tanto, per piangere

    lacrime di coccodrillo il tempo non manca mai.

    Luciano De Majo

  • Sieropositivi, raddoppiano i nuovi casi

    29 novembre 2006

    LIVORNO. Il virus hiv circola ancora, l'Aids non stata ancora sconfitta. Sar pure fuori luogo continuare a

    parlare di peste del Duemila, perch le terapie consentono ormai di prolungare con buon successo la

    sopravvivenza di chi affetto da questa malattia, ma le infezioni, i casi di sieropositivit, aumentano in

    modo piuttosto preoccupante. E' questo il quadro del territorio livornese, nei giorni che precedono la

    giornata mondiale per la lotta all'Aids, indetta per venerd 1 dicembre.

    Da un lato il primario del reparto malattie infettive dell'ospedale, Spartaco Sani, dall'altro la presidente

    dell'associazione P24 Susanna Barsotti, tornano a puntare il dito contro l'aumento delle infezioni e

    predicano, una volta di pi, la necessit di praticare comportamenti sessualmente corretti.

    Pi sesso che droga. Ormai, infatti, i casi di sieropositivit vengono determinati, per oltre l'85 per cento dei

    casi, da rapporti sessuali non protetti. Dal 1999 a oggi il territorio provinciale di Livorno ha assistito a 192

    nuovi casi di infezione da virus hiv (140 uomini e 52 donne): 109 di questi sono contagi dovuti a rapporti

    eterosessuali (il 57%), 57 (il 30%) a rapporti omosessuali o bisessuali. I contagi per tossicodipendenza si

    sono abbassati, in percentuale, arrivando a sfiorare il 12 per cento appena. E' per questo che l'uso del

    profilattico assume una importanza decisiva per evitare il contagio. Perch, come dice Susanna Barsotti,

    vero che le terapie hanno fatto passi da gigante, ma i modi per non essere contagiati esistono, bene

    saperlo. Di questi 192 sieropositivi, 51 erano gi in Aids, al momento del test, mentre 28 erano casi di

    sieroconversione, ovvero di persone che hanno visto mutare l'esito delle loro analisi.

    Aumento preoccupante. A novembre non ancora terminato, i nuovi sieropositivi del 2006 sono 33. Sono

    quasi il doppio dei 19 registrati nel 2005. Il picco, nella storia recente dell'Asl livornese, datato 2003: in

    quell'anno furono 36 i sieropositivi. Un dato che potrebbe essere avvicinato, se non superato, alla fine

    dell'anno in corso. E' per questo che il dottor Sani insiste a rimarcare il fatto che il virus circola ancora e ci

    sono sempre nuovi contagi. Diverso il discorso dei nuovi casi di Aids conclamata. Qui il riferimento non

    sono i 192 casi di sieropositivit degli ultimi sette anni, ma il totale dei 458 casi accertati dal 1985 a oggi.

    Dal 1999 a oggi sono stati 109 gli ammalati di Aids scoperti: di questi, 79 sono uomini e 30 donne.

    Si muore perch... 67 persone sieropositive sono morte dal 1998 a oggi. Il 2006 ha fatto registrare 10 di

    questi decessi, tanti quanti furono nel 2001 e nel 1999, mentre nel 2005 erano stati soltanto 3. La maggior

    parte di queste morti stato determinato da insufficienze epatiche, ben 17. Erano pazienti - spiega il

    primario Spartaco Sani - che presentavano problemi assai gravi al fegato, come la cirrosi. In 16 casi invece

    sono sorti neoplasie, ovvero tumori che hanno condotto al decesso e altre 16 sono state le infezioni a

    provocare la morte.

    Cure costose. Attualmente l'ospedale di Livorno segue oltre 350 sieropositivi. Le terapie danno risultati

    molto migliori rispetto al passato - dice Sani - ma presentano effetti collaterali di un certo peso, anche dal

    punto di vista estetico: spesso c' un dimagrimento del volto che porta al cambio sostanziale dei tratti

    somatici e altre volte c' un maggior accumulo di grasso al torace e all'addome. Poi aumenta il rischio

    cardio-vascolare e si pi esposti alle malattie al fegato.

    Senza contare i costi, economici oltre che sanitari e sociali, che queste cure comportano: l'ospedale spende

    qualcosa come 1,8 milioni di euro ogni anno per l'acquisto dei farmaci, assai costosi, necessari per

  • effettuare queste cure. Anche da qui parte l'appello, l'ennesimo, per la prevenzione. E' il modo migliore

    per rimanere al riparo da questo virus - conclude Sani - bastano piccoli accorgimenti, sul fronte dei

    comportamenti da seguire in caso di rapporti sessuali. Cos come bene superare, una volta per tutte,

    quegli odiosi pregiudizi che sono fonte di emarginazione e di esclusione dai circuiti sociali, per i

    sieropositivi. Il virus non si trasmette con una stretta di mano, dice la presidente della P24. E' il caso di

    non dimenticarlo mai.

    Luciano De Majo

  • Ma io vivo con mia nonna invalida

    7 agosto 2010

    LIVORNO. Vivo con mia nonna da vent'anni, lei l'assegnataria dell'alloggio. Ma invalida al 100 per

    cento, malata di Alzheimer da due anni. Si tratta di condizioni che devono essere valutate con grande

    attenzione da parte del Comune, prima di agire. Chi parla uno dei destinatari delle lettere di diffida. Ha

    38 anni e abita fra Colline e la Stazione, in una casa dove paga oltre 500 euro di affitto.

    Insieme a noi - dice - c' anche una badante che cura mia nonna e tutto questo lo sanno sia il Comune che

    Casalp. Mi sembra un po' strano che tocchi proprio a noi essere fra i primi tre "agiati" della citt. E' vero che

    il nostro reddito complessivo supera quello stabilito dalla legge, perch nel 2007 e nel 2008 fra me e mia

    nonna eravamo fra i 60 e i 70mila euro lordi, ma quando abbiamo visto questa lettera noi siamo caduti

    dalle nuvole: mai c'era stata una comunicazione precedente da parte dell'amministrazione o dell'ex Istituto

    case popolari.

    Questa famiglia adesso provveder a presentare le sue controdeduzioni al Comune. S, lo faremo -

    conclude - con tanto di documentazione sulle condizioni di mia nonna e anche sul mio reddito, visto che

    negli anni successivi al 2008 anche la mia condizione lavorativa, e quindi di reddito, cambiata.

    lu.dem.

  • Nonna Lina, 112 anni pensando a Chopin

    23 novembre 2008

    LIVORNO. Vi voglio bene, voglio bene a tutti. Rotto il muro dell'emozione e anche del disorientamento,

    nel vedersi la casa invasa da giornalisti e telecamere e Lina Grotta ha vissuto un bel compleanno, il numero

    112. Ha sorriso e scherzato, ha ripensato al film della sua straordinaria vita, accettando di buon grado il

    ruolo di nonna della citt di Livorno.

    Il bacio dell'assessore. Nella casa di via Ravizza, a due passi dal mare d'Ardenza, entra l'assessore al sociale

    del Comune, Alfio Baldi. Lei, nonna Lina, parla a lungo con lui e poi gli chiede un bacio. Che naturalmente

    arriva. L'assessore sorride ed visibilmente emozionato. La signora Lina domanda anche notizie sul primo

    cittadino. Sta bene il sindaco?, dice. E Baldi risponde: S, la saluta e le manda questo, ovvero un mazzo

    di fiori con un biglietto d'auguri. Ma che cos'ho fatto per meritarmi tutta questa attenzione? Io non ho

    fatto proprio niente.... Ma l'assessore prontissimo: Siamo tutti qui perch le vogliamo bene. La citt le

    vuole bene.

    Il pianoforte. Attorno a nonna Lina ci sono i figli Paolo e Giuliana, con i rispettivi coniugi. Poi arriva Carlo,

    uno dei nipoti. E' a lui che la nonna chiede, ogni settimana, quale sia il risultato del Livorno. Fino a qualche

    anno fa riusciva a seguire meglio le partite, soprattutto quelle della nazionale, ora si limita a chiedere

    notizie, ma l'amore per la maglia amaranto sempre lo stesso. Nonna Lina in vena di rivivere l'epoca in

    cui suonava il pianoforte. Il compositore che amavo di pi? Chopin. I suoi notturni erano pieni di

    sentimento, dice tutto d'un fiato, col sorriso di chi in un attimo torna indietro di decenni. Davanti a

    queste parole - commenta l'assessore Baldi - vorr dire che anch'io comincer ad ascoltare Chopin.

    Le origini. Da quel 1896 nel quale Lina Grotta vide la luce sono passati 112 anni. Lei ha attraversato tre

    secoli: l'ultimo scorcio dell' 800 e questo primo spezzone del terzo millennio. Ma soprattutto non si persa

    neanche un attimo del grande e terribile '900. Ha vissuto la tragedia delle due guerre, ha fatto la fila

    insieme alle altre donne che per la prima volta votavano nel 1946 (Votai per la monarchia, dichiar due

    anni fa), ha fatto parte di una famiglia livornese molto importante, quella dei Ciano. Sua madre era Maria

    Ciano, sorella di quello zio Costanzo che fu un ras del regime fascista. Lina nacque in via del Convento

    (oggi via Quilici), nel cuore di Borgo Cappuccini. Il celebre zio a pochi metri, in via della Vecchia Casina. Lei ci

    pensa, dice che la vita fatta di tante cose belle e di tante cose brutte. E chiede solo di pregare per lei.

    Perch il Signore possa accogliere la mia anima: quella che conta, non il mio corpo, precisa. Tanti

    auguri, cara nonna Lina. E arrivederci: quota 113 non poi cos lontana.

    Luciano De Majo

  • Cardosi rompe il lucchetto della sua ex casa

    13 marzo 2010

    LIVORNO.In casa mia non entra nessuno. L'ex vigile urbano Giampaolo Cardosi ieri si presentato in

    quella che era la sua ex abitazione poi venduta all'asta giudiziaria, in via Brigata Garibaldi, spaccando il

    lucchetto con una mazzetta e uno scalpello che si era procurato poco tempo prima. Quando entrato

    nell'appartamento, si accorto che i nuovi proprietari hanno fatto piazza pulita di tutto quello che c'era ed

    andato su tutte le furie: Hanno portato via tutto, anche oggetti preziosi. C'erano soldi e gioielli che

    appartengono a me.

    A quel punto, alcuni degli abitanti del condominio hanno avvertito i carabinieri che hanno trovato sul posto

    lo stesso Cardosi, il quale ha ripetuto anche a loro la sua intenzione di non voler far entrare nessuno in

    quella che considera ancora la sua abitazione. Io ho ragione - ha detto ancora una volta Cardosi - perch la

    casa non doveva essere venduta all'asta. Se finita cos, per colpa di un avvocato pistoiese che ritiene di

    vantare un credito nei miei confronti, ma lui non dice la verit. Non mi ha mai assistito.

    Cardosi stato accompagnato dai carabinieri, che intanto avevano avvertito anche il suo difensore, a fare

    un giro nella zona, per calmarsi un po', mentre nel frattempo qualcuno ha provveduto a rimettere un altro

    lucchetto per chiudere l'abitazione. La vicenda, almeno per ieri, si chiusa qui. Ma Cardosi ha avvertito

    anche i carabinieri che per lui la battaglia non ancora terminata. Far di tutto - ribadisce - perch quella

    casa mia e non doveva essere venduta. Chi l'ha comprata non potr entrarci.

    lu.dem.

  • Gorgona resta carcere aperto

    7 maggio 2005

    LIVORNO. Esperienze come quella di Gorgona vanno esportate, non eliminate. Perch il carcere

    rieducazione. Reprimere una scorciatoia, che serve a poco. Salvatore Iodice, il nuovo direttore del

    carcere di Gorgona, si presenta cos alla sua prima uscita a Palazzo Civico, seduto accanto all'assessore Alfio

    Baldi per presentare le giornate ecologiche che si svolgeranno sull'isola. Iniziative nient'affatto banali,

    proprio perch segnano il ritorno alla normalit un anno e passa dopo i due omicidi che insanguinarono

    Gorgona, quelli dei detenuti Martino Vincenzo Zoroddu e Francesco Lo Presti. Anche nella gestione di un

    carcere pu capitare la stessa cosa di una partita di calcio: che puoi giocare bene ma incassare uno o due

    gol - spiega Iodice - ecco perch dico che il mio predecessore Carlo Mazzerbo ha svolto un lavoro

    importante e molto positivo. Quelli sono stati eventi dolorosi e imprevedibili.

    Iodice ha messo piede a Gorgona a gennaio. Direttore del carcere di Massa, incarico che mantiene tuttora,

    sull'isola trov una situazione all'insegna dell'incertezza: Appena 25 detenuti e un grande punto

    interrogativo sul futuro. Punto interrogativo che sembra risolto, da qualche tempo a questa parte: la

    popolazione carceraria tornata a salire (siamo a quota 70), l'amministrazione penitenziaria ha

    ricominciato ad assegnare detenuti a Gorgona. Ne la prova il trasferimento dei trenta detenuti da

    Sollicciano, avvenuto di recente.

    E' un segnale importante - dice il direttore - anche perch questi detenuti rispondono tutti a criteri ben

    precisi. Nessuno di loro ha a carico infrazioni disciplinari negli ultimi tre anni e tutti possono stare in un

    luogo come Gorgona, che ha senso se continua ad essere un carcere aperto come sempre stato. La lunga

    marcia verso il ripristino di una situazione di serenit, insomma, partita da tempo e comincia a far segnare

    i primi risultati. Iodice mostra volont di grande determinazione nel dare nuova forza a quello che ormai

    era noto come modello Gorgona: Riabilitare chi finisce in carcere possibile solo attraverso il

    trattamento penitenziario. Le leggi repressive sono fumo negli occhi, servono a tacitare l'emotivit delle

    persone. Io la penso cos. D'altra parte, penso che per fare un lavoro come il mio serva un pizzico di

    incoscienza e molto entusiasmo.

    I progetti per rilanciare Gorgona passano da quello che l'assessore Baldi chiama turismo consapevole allo

    svolgimento di corsi professionali per riscoprire i mestieri contadini, che sull'isola si traducono

    nell'allevamento di animali e nella produzione di olio, vino e formaggi. Attivit che sono andate avanti -

    conclude Iodice - grazie all'impegno degli agenti di polizia penitenziaria anche nella fase pi difficile della

    vita di Gorgona. Oggi noi siamo in grado di vendere il formaggio e alcuni tipi di carni che produciamo, ma in

    futuro contiamo di poter anche allargare la commercializzazione del pesce. Anche questo il futuro di

    Gorgona.

    Luciano De Majo

  • Mario Tuti si scopre attore nei difficili panni di Giuda

    16 giugno 2002

    LIVORNO. Fa un certo effetto vedere Mario Tuti nei panni di Giuda, il traditore per eccellenza. Vista la

    notoriet del personaggio, attorno a questo fatto potrebbe perfino nascere un caso.Ma non ci sono

    allusioni da fare: tutto dovuto ad esigenze sceniche. E' accaduto alle Sughere, dove i detenuti del

    laboratorio teatrale hanno rappresentato proprio "Giuda", un dramma in tre atti scritto da Lucio Vannucchi,

    che ha curato anchela regia insieme ad Adriana Tabarracci e Gianfranco Venturi.

    Si trattato di una collaborazione fra il carcere e gli studenti dell'Itc Vespucci che frequentano il corso

    sperimentale Sirio-Mercurio, con il sostegno di Arci Solidariet e Caritas. Musiche del laboratorio

    multimediale e costumi e scenografia curate dalla sezione femminile del carcere. Un lavoro costato

    impegno e fatica, apprezzato dal pubblico che ha riempito la sala polivalente del penitenziario livornese.

    In prima fila, accanto al direttore delle Sughere Oreste Cacurri, il ministrodell'ambiente Altero Matteoli, ma

    anche altri rappresentanti delle istituzioni, a cominciare dall'assessore al sociale del Comune di Livorno

    Alfio Baldi e dal consigliere comunale Marco Solimano.

    Mario Tuti ha recitato proprio nel ruolo del protagonista, Giuda, diviso per la verit con un altro attore,

    Antonino Carollo.Il lavoro ha ripercorso la Passione di Ges e si dipanato seguendo, per i primi due atti, la

    traccia dei Vangeli, con l'aggiunta di un ipotetico dialogo tra Giuda e Ges durante l'ultima cena. Il finale

    invece frutto della fantasia dell'autore. Pura "dissertazione", la definisce lo stesso Vannucchi presentando

    l'opera. Ovvero, l'ipotesi di quello che pu essere stato il "dopo", sia per Ges che per Giuda, destinato per

    il suo atto al fuoco perenne dell'inferno, senza mai poter vedere la luce di Dio. Barba bianca e portamento

    distinto, Mario Tuti non ha perso neppure in occasione di questa recita il suo tipico accento toscano. Sulla

    scena parso a suo agio. D'altra parte "Giuda" non la prima esperienza di questo tipo per il carcere

    livornese, che da anni collabora con le istituzioni locali e con numerose associazioni per progetti culturali e

    di spettacolo.

    La presenza di un ministro, per giunta con profonde radici nel territorio livornese, ha dato alla giornata

    un'importanza ancora maggiore. E prima dell'aprirsi del sipario, Matteoli non ha mancato di dire parole

    significative sulla positivit di attivit culturali all'interno dei penitenziari, nell'ottica del reinserimento

    graduale dei detenuti nella societ, anche attraverso la semilibert. Magari - ha detto Matteoli - si

    commettono errori, ma pu capitare. Se si sbaglia per uno e se ne recuperano mille credo sia importante

    praticare questo percorso, indipendentemente dalle posizioni politiche di ognuno di noi.

    lu. dem.

  • Si impicca in cella a 21 anni

    3 maggio 2009

    LIVORNO. Si tolto la vita, forse schiacciato dal rimorso per essersi macchiato di un reato odioso come una

    violenza sessuale. O forse l'ha fatto perch, innocente, non sopportava l'idea di dover rispondere a

    un'accusa cos infamante. Ion, questo il suo nome, si impiccato, la sera del primo maggio, nella sua cella

    del carcere delle Sughere, dove era rinchiuso da un giorno.

    L'alone di mistero che ancora circonda la morte di questo giovane detenuto - 21 anni appena, residente da

    alcuni anni a Livorno - si dirader probabilmente quando sar chiarito il contenuto dei biglietti che Ion ha

    lasciato, scritti nella sua lingua, il rumeno. I foglietti sono stati ritrovati in cella e sono stati sequestrati.

    Era finito dietro le sbarre delle Sughere gioved, per le accuse della fidanzata, che lo aveva denunciato

    dicendo di essere stata oggetto di violenza sessuale da parte sua, un caso sul quale sta indagando la

    squadra mobile della polizia. Nei giorni scorsi, il gip del tribunale di Livorno Rinaldo Merani aveva firmato

    l'ordinanza che disponeva la custodia cautelare in carcere del rumeno. Il giovane si tolto la vita

    impiccandosi con un lenzuolo: si accorto del fatto un agente di polizia penitenziaria, che non vedendo il

    detenuto in cella entrato e l'ha trovato nel bagno, ormai privo di vita.

    Le operazioni di soccorso sono partite subito: arrivata anche un'ambulanza della Misericordia, ma non c'

    stato niente da fare. Vasiliu ormai era gi morto, la sola cosa da fare stato constatarne il decesso.

    Adesso la questione , naturalmente, all'attenzione della magistratura. Non ci sono dubbi sul fatto che si

    tratti di suicidio: Ion si trovava in una cella singola e per non essere visto, al momento di mettere in atto il

    suo proposito suicida, andato nel bagno. Questo sembra emergere anche dal sopralluogo effettuato in

    carcere dagli uomini della polizia scientifica.

    Il sostituto procuratore Antonella Tenerani, magistrato di turno, ha disposto l'autopsia, che sar effettuata

    domani dal medico legale Alessandro Bassi Luciani, aprendo un fascicolo sull'accaduto. Il giovane aveva

    avuto a che fare con la giustizia alcuni mesi fa e aveva scontato due mesi e 20 giorni agli arresti domiciliari

    per un furto in un negozio di abbigliamento. Della vicenda, per conto della famiglia del giovane, si sta

    occupando l'avvocato Nicola Giribaldi.

    Luciano De Majo

  • E il sindaco gioca coi matti

    17 ottobre 2007

    LIVORNO. Una volta lo chiamavano lo scudetto dei matti. Ma pi che irriverenza era l'affetto genuino che

    i livornesi avevano per questa particolarissima competizione, sportiva ma dal significato sociale

    straordinario. Era un torneo nato per gioco, come sempre succede in casi come questo, grazie all'amore di

    certi operatori per il proprio lavoro, perch lo sport un fatto importante per coloro che hanno problemi

    psichiatrici. In certi casi rappresenta un elemento terapeutico di non poco conto. E il fatto che l'idea, ormai

    una quindicina d'anni fa, sia venuta al servizio di salute mentale di Livorno tutt'altro che casuale, perch

    testimonia un livello di intervento e di elaborazione, sui temi della psichiatria, che per lungo tempo ha

    avuto in citt un punto di eccellenza a livello nazionale.

    L'appuntamento con questa particolare competizione si rinnova oggi, al campo di calcio di Monterotondo,

    quello del dopolavoro dei dipendenti Asl. Stamani alle 9,30 il torneo fra i Dipartimenti di salute mentale

    vivr un appuntamento d'eccezione. Perch per la prima volta, insieme alle squadre formate da utenti e

    operatori dei servizi, parteciper alla manifestazione anche una rappresentativa del Comune di Livorno. Ne

    fanno parte, fra gli altri, il sindaco Alessandro Cosimi, l'assessore alla protezione civile Emiliano Chirchietti, i

    consiglieri Dechecchi, Tamburini, Ghiozzi, Ciacchini, Carovano, Ceccarini, il direttore generale Riccardo

    Pucciarelli e altri dirigenti dell'amministrazione. In panchina, a dirigere le strategie del team di palazzo

    Civico, il consigliere Gabriele Cant, nelle insolite, ma non certo meno divertenti, vesti di mister.

    Gli incontri del torneo andranno avanti per tutto il giorno. Nel pomeriggio, intorno alle 17, la premiazione

    dei partecipanti sul campo di gioco o, in caso di maltempo, nella vicina direzione aziendale. Anche la

    premiazione avr un ospite d'onore: Igor Protti, che almeno per la squadra del dipartimento livornese

    stato un idolo indiscusso.

    lu.dem.

  • Fugge da psichiatria: non sono pazzo Poi parla col cronista e rientra in ospedale

    10 febbraio 2008

    LIVORNO. Io non sono matto, ve lo assicuro. Francesco ha addosso un k-way rosso, mentre guarda dalla

    finestra di casa sua, al primo piano di un piccolo stabile di via Cambini, a due passi dal passaggio a livello del

    Rombolino, i vigili del fuoco, i vigili urbani e i volontari della Misericordia. Sono tutti l che lo aspettano, per

    riportarlo all'ospedale da dove si allontanato senza autorizzazione, pur essendo sottoposto a un

    trattamento sanitario obbligatorio.

    Perch sono andato via dall'ospedale? Perch non volevano farmi fumare neanche una sigaretta. E' l'unico

    vizio che ho, per quale motivo mi hanno detto di no?. Francesco ripensa alla sua storia, si commuove e fa

    anche commuovere. Prima di tornare in ospedale chiede ai vigili di poter parlare con un cronista del

    Tirreno. E quando arriviamo nella casa popolare dove vive, nel cuore di Salviano, ci rassicura. Venite, io

    non ho mai fatto male a nessuno. No, non abbiate paura di questo coltello. E' solo da cucina, dice mentre

    lo consegna al vigile urbano che ci accompagna e che gli mette un braccio sulla spalla, quasi fosse un

    fratello maggiore che ha bisogno d'aiuto. Ma insomma - gli dice il vigile - perch ti sei affacciato con

    questo coltello? Poi la gente ha paura....

    Io sono arrivato a Livorno tanti anni fa - racconta Francesco, originario della Puglia - e tutto quello che ho

    fatto l'ho fatto da solo. Avevo una moglie e una ditta di costruzioni. Poi per quest'impresa fallita, mi

    hanno messo di mezzo. Da quel momento non ho pi avuto una famiglia, mia moglie se n' andata e per

    me iniziata la depressione. Ma lui non si d pace quando pensa al tempo trascorso nei reparti di

    psichiatria dell'ospedale: Sapeste quant' dura stare l, io so di non essere matto.

    Francesco ha un lavoro che lo impegna per gran parte dell'anno. Lavora per la Labronica corse cavalli,

    l'ippodromo il suo mondo. Curo la pista del Caprilli, durante le stagioni di corse, cos che mi guadagno

    da vivere. Con quei soldi riesco a pagare l'affitto e le bollette, oggi non facile mantenersi, dovrei trovare

    qualcosa da fare anche quando le corse sono ferme.

    Ha lasciato l'ospedale pur sapendo di non doverlo fare: Ho chiesto le sigarette due volte, mi hanno detto

    di s ma poi non le ho ricevute. Un medico mi ha anche risposto male, per quello che sono uscito. Ma se

    volete eccomi qua, io sono pronto a tornare in ospedale. Francesco esce di casa per primo, lo seguiamo

    noi e il vigile urbano che era salito fino in casa. E mentre la porta si chiude, i volontari della Misericordia che

    ormai lo conoscono bene sono pronti a riaccompagnarlo al decimo padiglione.

    Luciano De Majo

  • Amianto, qui la strage silenziosa

    23 settembre 2007

    LIVORNO. Negli ultimi diciott'anni, sono morti 646 lavoratori dipendenti di aziende che hanno sede in

    Toscana per il mesotelioma causato dall'esposizione all'amianto. Di questi, 193 vivevano nella nostra

    provincia. Una percentuale del 25,2 per cento che sale al 31 se consideriamo che 25 lavoratori non erano

    toscani: sui 621 morti toscani, insomma, poco meno di un terzo erano livornesi. Per la gran parte operai e

    tecnici del Cantiere navale e ferrovieri.

    Il Centro toscano per lo studio e la prevenzione oncologica pubblicher nell'arco di un paio di mesi queste

    cifre, che ieri sono state anticipate durante il convegno Lavoro da morire, promosso da Magistratura

    democratica e svoltosi alla Cgil.

    Stefano Silvestri, che lavora in questo stesso centro e che ieri mattina intervenuto nel confronto, ha

    squadernato dati che non ammettono repliche: siamo noi la capitale toscana dell'esposizione all'amianto.

    Firenze e Prato, le province che seguono quella livornese in questa triste classifica, superano a malapena il

    10 per cento dei casi.

    L'amianto un materiale usato a piene mani per tanti anni. Un killer che non lascia scampo e che, da noi,

    ha colpito soprattutto i dipendenti del vecchio Cantiere Orlando e i ferrovieri. Questi ultimi fanno

    registrare, sempre secondo le ricerche del Centro per la prevenzione oncologica, un tempo di

    sopravvivenza pi elevato, a dimostrazione che nella cantieristica l'esposizione all'amianto era

    maggiormente costante e continua. Da segnalare anche che fra i morti per amianto nella cantieristica, sono

    inseriti anche tre familiari: si tratta delle mogli degli operai che, lavando a casa le tute da lavoro dei coniugi,

    hanno subito anch'esse l'aggressione della fibra assassina.

    Lunghi, lunghissimi, sono anche i cosiddetti tempi di latenza: i tumori affiorano a decine di anni di distanza.

    Quando cio molti dei dirigenti e dei responsabili delle imprese sono addirittura morti. Circostanze che ci

    fanno affermare - ha detto Silvestri - che siamo davanti a una serie infinita di mesoteliomi impuniti.

    Luciano De Majo

  • Maria piange: a 15 anni ha perso tre fratelli

    12 agosto 2007

    LIVORNO. Lei, Maria, stringe fra le mani il giornale che riporta la notizia della tragedia. Si mangia le pagine

    con gl