LUCERA E IL SUO ANFITEATRO - Biblioteca Provinciale di ... · Lucera entrò in rapporti con Roma...

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LUCERA E IL SUO ANFITEATRO PREMESSA Qualsiasi città, antica o moderna, non può essere studiata al di fuori dell'ambiente geografico in cui si trova, perchè in quest'ottica deve proiettarsi la vita e la storia dei gruppi umani. E’ nota l'importanza che l'ambiente geografico può avere sull'uomo. La storia ci insegna che l'uomo reagisce in vario modo all'ambiente, modificandolo nel tempo o configurandolo con il tessuto antropico ed urbanistico. Perciò, parlando di Lucera dal punto di vista geografico, dobbiamo estendere la visuale a tutta la Daunia, tenendo conto delle considerazioni di carattere storico, soprattutto inerenti all'età romana. Lucera è al centro di un largo anfiteatro di terrazze subappenniniche, incise dal Salsola e dal Volgano. E’ posta a m. 240 sul livello del mare, ha una bella vista panoramica sulla Capitanata settentrionale, dal semicerchio delle colline subappenniniche al Gargano. Da tale posizione, naturalmente forte e strategica, ha tratto origine e importanza storica. Purtroppo dai testi greci e latini non possiamo dedurre nulla sulla posizione geografica di Lucera, in quanto le notizie riferiteci sono di ordine generale e non topografico-archeologico. Lucera è ubicata nella Daunia o generalmente nell'Apulia. Essa è ricordata per la prima volta nell'antichità dallo storico greco Polibio, che la pone nella Daunia, la piú settentrionale tra le province in cui si divide l'Apulia. Anche Plinio, Strabone ed Eliano, ubicano il nostro centro nella Daunia, anzi Strabone precisa: "Antica città dei Dauni". Appoggiano invece la tesi di Lucera Apula, Cicerone, Cesare, Livio, Diodoro Siculo, Aurelio Vittore. Anche in Tolomeo è sempre presente tale attribuzione, anche perchè egli riporta la forma errata "Nuceria" e, poichè esistevano altre città omonime, era necessario, per distinguerle, l'aggettivo che indicasse la regione in cui esse sorgevano. Come possiamo notare, le fonti latine e greche sono discordi a seconda delle tradizioni piú antiche a cui si riferiscono; occorre notare che gli autori latini, tranne Plinio e quelli greci di età posteriore al tempo della divisione augustea, citano Lucera come città dell'Apulia, ignorando il termine "Daunia". 135

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LUCERA E IL SUO ANFITEATRO

PREMESSA Qualsiasi città, antica o moderna, non può essere studiata al di fuori

dell'ambiente geografico in cui si trova, perchè in quest'ottica deve proiettarsi la vita e la storia dei gruppi umani.

E’ nota l'importanza che l'ambiente geografico può avere sull'uomo. La storia ci insegna che l'uomo reagisce in vario modo all'ambiente,

modificandolo nel tempo o configurandolo con il tessuto antropico ed urbanistico. Perciò, parlando di Lucera dal punto di vista geografico, dobbiamo estendere la visuale a tutta la Daunia, tenendo conto delle considerazioni di carattere storico, soprattutto inerenti all'età romana.

Lucera è al centro di un largo anfiteatro di terrazze subappenniniche, incise dal Salsola e dal Volgano. E’ posta a m. 240 sul livello del mare, ha una bella vista panoramica sulla Capitanata settentrionale, dal semicerchio delle colline subappenniniche al Gargano.

Da tale posizione, naturalmente forte e strategica, ha tratto origine e importanza storica.

Purtroppo dai testi greci e latini non possiamo dedurre nulla sulla posizione geografica di Lucera, in quanto le notizie riferiteci sono di ordine generale e non topografico-archeologico.

Lucera è ubicata nella Daunia o generalmente nell'Apulia. Essa è ricordata per la prima volta nell'antichità dallo storico greco

Polibio, che la pone nella Daunia, la piú settentrionale tra le province in cui si divide l'Apulia.

Anche Plinio, Strabone ed Eliano, ubicano il nostro centro nella Daunia, anzi Strabone precisa: "Antica città dei Dauni".

Appoggiano invece la tesi di Lucera Apula, Cicerone, Cesare, Livio, Diodoro Siculo, Aurelio Vittore.

Anche in Tolomeo è sempre presente tale attribuzione, anche perchè egli riporta la forma errata "Nuceria" e, poichè esistevano altre città omonime, era necessario, per distinguerle, l'aggettivo che indicasse la regione in cui esse sorgevano.

Come possiamo notare, le fonti latine e greche sono discordi a seconda delle tradizioni piú antiche a cui si riferiscono; occorre notare che gli autori latini, tranne Plinio e quelli greci di età posteriore al tempo della divisione augustea, citano Lucera come città dell'Apulia, ignorando il termine "Daunia".

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Evidentemente la tradizione a cui essi si rifanno prescinde dalle divisioni tribali dell'Apulia in Dauni, Peuceti, Messapi.

Tra gli autori moderni, che hanno accennato alla posizione geografica del nostro centro, dobbiamo ricordare il Mazzella, il Cluver, il Corcia, il Romanelli, il Lènormant, il Mommsen ed altri, i quali però non hanno descritto Lucera dal punto di vista topografico. Il D'Amelj ha illustrato con piú particolari le tre colline sulle quali sorge Lucera: questa descrizione è stata tenuta presente nelle trattazioni posteriori del Gifuni ed altri1.

In questa zona si ama rievocare, nel nome Daunia, quanto antichi siano i primi passi e in particolare i tempi nei quali la Grecia qui fu presente con le sue popolazioni progredite ed antesignane.

Come per Lucera, le piú antiche notizie della Daunia, si ritrovano nel passo citato da Polibio autore del III secolo a.C.. Questi, durante l'esposizione della seconda guerra punica, parlando di Annibale, che dai Frentani si dirige verso la Japigia, aggiunge che questa regione è divisa in due parti: Daunia a Nord e Messapia a Sud, senza precisare i confini e senza far menzione della Peucezia.

Come si vede, le fonti antiche sui confini della Daunia sono spesso discordi, forse perchè gli autori stessi non ne avevano un'idea chiara.

IL NOME DI LUCERA

Gli autori latini concordi nella citazione di "Luceria" sono: Cesare, Cicerone, Orazio, Livio, Lucano, Plinio, Tacito, Aurelio Vittore.

Seguono tale opinione il Cluver, il Wachsmut ed il Mommsen, nonchè altri autorevoli studiosi di storia antica e di toponomastica.

Aggiungiamo che, in molte iscrizioni rinvenute in Lucera, si legge sempre "Luceria".

Un valido aiuto circa tale affermazione, ci viene fornito dalle monete attribuite alla zecca di Lucera, dove si osserva una "L" arcaica.

1 - GIFUNI G.B., "Lucera", Urbino 1937.

CATAPANO G., "Lucera nei secoli" Lucera 1950, pag. 3. BRANCA F., "L'Antica Lucera", Napoli 1909, pag. 4-5. BERTACCHI C., "Puglia", Torino, pag. 132. MAIURI A., "La ricerca archeologica nell'Italia Meridionale", che chiama Lucera "perla della Daunia" intendendola localizzata in quella parte della Puglia limitata dal Fortore e dall'Ofanto, dall'acrocoro Sannitico -Lucano e dal Gargano, Napoli, 1960.

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In altre monete di tempi successivi si legge "Louceri". Il nome di Luceria, pur ignorando la leggenda monetale, ricorda la radice "luc" del nome di Giove Lucetius o Leucetius (Lucano), donde anche il nome osco dei Lucani. L'Helbig, seguito dal Pais, lo fa risalire appunto a Juppiter Lucetius, (una delle tante attribuzioni di Giove), che i Salii invocavano come apportatore di luce.

Il prof. Parlangèlo è concorde circa questa ipotesi, nell'accertare le radici osche "Luc" (lucus = bosco) ed "Eri" (sacro) cioè "bosco sacro", nome forse dato alla città, perchè circondata da fitte selve, come riferisce anche Orazio. Sul nome proprio di Lucera vi sono anche altre interpretazioni fatte da altri noti critici: una di queste è che deriverebbe da "Luce", sia perchè, nella posizione che occupa, è visibile tutto il territorio circostante, sia perchè, essendo la piú im-portante delle Puglie, era considerata la luce della regione.

Alcuni vi leggono un'abbreviazione di "Lux Cereris", per l'esistenza di un tempio dedicato a questa dea nell'antica città e perchè vi si raccoglieva grande abbondanza di frumento.

Altri fanno risalire il nome a Lucius, prenome di Dauno, mitico re della Daunia o a Leuceria, figlia di Diomede.

Altri ancora lo fanno derivare dall'ebraico Nocria (per cui tuttora, presso diversi scrittori, ritroviamo Nuceria al posto di Luceria).

Ed il contrasto fra gli storici non è cessato; la eventuale soluzione è affidata alla stessa definizione storica della città, che, solo il futuro, con ulteriori indagini, studi e scoperte, potrà dare.

LUCERA ROMANA. Cenni storici. Lucera entrò in rapporti con Roma durante le guerre Sannitiche. Le ostilità tra Romani e Sanniti sorsero perchè questi ultimi, nel loro

movimento di espansione dalle montagne del Sannio, facevano incursioni nelle pianure campane, per cui Roma temeva di vedersi chiudere le vie di comunicazione tra il Lazio e la Campania.

Contemporaneamente anche i rapporti tra Apuli e Sanniti non erano buoni, perchè i Sanniti tentarono di conquistare anche le ricche pianure della Daunia, per condurvi nella stagione invernale i loro greggi al pascolo.

Quando, nel 326 a.C., scoppiò la seconda guerra Sannitica, i Lucerini insieme agli Apuli ed ai Lucani, che vedevano malvolentieri la potenza sempre crescente dei vicini Sanniti, spontaneamente si offersero di aiutare i Romani; l'accordo venne concluso nel 326-325

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a.C.. Livio ci offre la notizia con le seguenti parole: "I Lucani e gli Apuli, con i quali popoli i Romani, sino a quel giorno non avevano avuto niente a che fare, vennero a devozione dell'Urbe, promettendo armi ed uomini per la guerra".

Il Senato e il popolo di Roma, dal canto loro furono favorevoli a tale alleanza con le città daune, perchè tutta la regione offrì non solo uomini, viveri ed animali, ma anche, con le sue pianure una base ideale e preziosa alle spalle del nemico per accerchiare ed isolare il territorio dell'avversario.

La difesa di questi lontani alleati Apuli costò ai Romani molto sangue. Infatti al triste annunzio divulgato tendenziosamente dai Sanniti della presa di Lucera, città Dauna molto importante dal punto di vista militare, notizia che comportava la perdita successiva di tutta l'Apulia, i consoli romani Spurio Postumio Albino e Q. Venturio Calvino, accampati nel 321 a.C. nei pressi di Caserta, mossero in fretta verso la Daunia.

Due vie conducevano a Lucera, una piú lunga e piú sicura che costeggiava il litorale marino, l'altra piú breve e piú pericolosa attraversava il Sannio in una zona montuosa ricca di boschi e per un tratto paludosa. I Romani preferirono la seconda, ma giunti a Caudio, all'improvviso furono accerchiati dai Sanniti in una località impervia e stretta, cadendo cosí nell'imboscata organizzata dall'abile capo Sannita G. Ponzio (321 a.C.).

Gran parte dell'esercito romano fu distrutto nella battaglia, i superstiti furono costretti non solo a lasciare il territorio sannita, ma a consegnare 600 ostaggi, ad abbandonare le armi al vincitore e passare sotto il giogo formato da tre lance, (tale giogo era detto "il passo della forca", da cui la storica denominazione di "Forche Caudine" per la località del combattimento) e quello che è piú grave, ad abbandonare al nemico Lucera, dopo aver firmato la pace.

I 600 ostaggi vennero rinchiusi nell'arx lucerina, caduta nelle mani dei Sanniti (321 a.C.).

In questa occasione le città daune mantennero fede all'alleanza pattuita con Roma, anche se, dopo la rotta e l'umiliazione delle Forche Caudine, dovettero sostenere per un certo periodo da sole, l'ostilità dei Sanniti, fino a quando cioè i Romani riuscirono di nuovo ad aprirsi una via verso la Daunia.

Infatti, solo qualche anno dopo, nel 319 a.C. si riaccese piú violenta la guerra.

Papirio Cursore e Q. Publilio Filone ripresero Lucera con l'aiuto degli Apuli.

Il Pais2 si ferma a considerare che Lucera non è "sita in plano",

2 - PAIS E., "Storia romana", Optima, Roma, 1925, vol. I, parte II.

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ma in altura e che i Lucerini caddero nel 315 a.C. nelle mani dei nemici non per la seconda volta ma per la prima.

Le due asserzioni del Pais sembrano poco felici perchè, non è da escludere che i Romani conquistassero al primo assalto la parte pianeggiante ad est di Lucera, e successivamente l'acropoli lucerina, dove erano rinchiusi gli ostaggi.

Se poi si ammette l'assedio e la capitolazione di Lucera, con grande strage dei cittadini, secondo Livio, dovremmo dire che la città fu presa e ridotta all'obbedienza dai Romani, che, trascurando il patto di alleanza, dovettero trattarla come una città conquistata.

Così il Senato di Roma era in dubbio se abbattere completamente la città o risparmiarla per mandarvi una colonia.

Prevalse la seconda sentenza e, nel 314 a.C. fu mandata a Lucera una colonia di 2500 cittadini, colonia "iuris latini", perchè città autonoma ed indipendente, con proprie leggi, (tra le quali va ricordata la "lex lucerina de luco sacro", che costituisce la piú antica testimonianza del culto dei boschi), e con diritto di battere moneta.

Nel corso del II secolo a.C. Lucera godette di un lungo periodo di tranquillità, per cui dovette rifiorire artisticamente, se si tiene conto della vasta produzione fittile, denominata "Stipe votiva di S. Salvatore".

Molto interessante è l'epigrafe del portale N.N.O. dell'anfiteatro di Lucera: M. VECILIUS M.F.L.N. CAMPUS PRAEF.FABR.TR.MIL.IIVIR.IUR. DIC.PONTIFEX AMPHITEATRUM. LOCO PRIVATO. SUO ET MA-CERIAM CIRCUM.IT.SUA PEC.IN.HONOR.IMP. CAESAR.AUGUSTI COLONIAQUE LUCERIAE.F.C.

Con dedica ad Augusto vivente, messa in luce dal Bartoccini nel 1935, perchè definisce la dibattuta questione di cronologia circa la costituzione di Lucera a colonia militare.

L'abbinamento del nome di Augusto e della colonia Lucerina sta a manifestare che la trasformazione del municipio romano di Lucera in colonia militare risale ad Augusto, che aveva voluto beneficiare la città, fedele a Roma, eguagliandola in tutti i diritti, alla metropoli e concedendo ai suoi cittadini la cittadinanza romana.

Lucera fu ascritta alla tribù Claudia, rimase fino al III sec. d.C. colonia romana e perciò ebbe il diritto di coniare moneta.

L'ANFITEATRO AUGUSTEO a) Notizie e caratteristiche generali

L'opera risale al I sec. a.C., quando il senato romano conferì ad

Ottaviano, con solenne decreto, il titolo di Augusto, ed egli nobilitò la città elevandola a colonia augustea.

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Il duoviro e tribuno dei soldati M. Vecilio Campo, per tramandare nei secoli i fausti eventi, costruì a sue spese questo pregevole monumento di arte latina, dedicandolo al suo imperatore, acclamato Augusto e alla colonia di Lucera.

Soprattutto negli splendidi portali (fig. 1 e 2), adorni di snelle colonne di ordine ionico e di un elegante timpano dentellato, simili ai contemporanei archi trionfali augustei, è evidente l'intento celebrativo.

La pianta è ellittica, misura diametralmente all'incirca m. 130 per m. 100, mentre l'arena, piú bassa di m. 9 rispetto al piano di campagna, è lunga m. 75,20 e larga m. 43,20 (fig. 3).

Profondi cunicoli, ricettacolo d'acqua piovana, e locali sotterranei, ossia depositi interinali di macchine e gabbie di fiere per gli spettacoli si aprono al centro della spaziosa arena.

Sull'asse maggiore, ai piedi delle scalinate, sono visibii spoliaria, rifugi cioè per gladiatori feriti o morti; gli accessi all'arena dividono la cavea in quattro settori, che erano ripartiti a loro volta in sezioni minori, "moeniana", delimitate da praecinctiones, ossia corridoi orizzontali; insegne di corporazioni adornavano le gradinate, mentre sculture litiche e marmoree erano profuse nell'ambulacro esterno.

Dalle epigrafi dei portali viene confermato che l'intero corpo architettonico era recinto da una maceria, un'alta muraglia che, probabilmente, sorreggeva il velario, suddiviso in tanti spicchi di tela, scorrenti fra lunghe antenne oblique, per mezzo di un sistema di corde ed anelli.

A destra dell'ingresso N.N.O. si ammirano i ruderi della palestra e delle celle gladiatorie, messi in luce nel 1966 dalla dott.ssa Tinè Bertocchi.

L'anfiteatro, che inizialmente era adibito a lotte di gladiatori, venationes o cacce alle fiere, esecuzioni capitali, invio di cristiani "ad bestias" e naumachie, ossia finte battaglie navali, in seguito col trionfo del Cristianesimo, perse la sua iniziale importanza e cadde in abbandono.

Addirittura, intorno al 663, quando Lucera fu devastata, fu in parte demolito dalle truppe di Costante II, e, man mano nei secoli i suoi blocchi di pietra squadrati furono depredati e usati come cava di materiale già pronto per l'uso.

L'anfiteatro, come sarà spiegato in seguito, è stato rimesso in luce dal prof. Q. Quagliati, che, nel 1932 cominciò i lavori e dal prof. R. Bartoccini, che li continuò, ricomponendo gli identici portali dei due ingressi maggiori e identificò grosso modo gran parte delle strutture.

I restauri si conclusero nel 1945 sotto la direzione dell'arch. F. Schettini.

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Fig. 1 - Portale all'ingresso N.N.O. dell'Anfiteatro.

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Fig. 2 - Portale all'ingresso S.S.E. dell'Anfiteatro.

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b) Strutture architettoniche emerse con le opere di scavo Nella colta città della Capitanata non sono mai mancati studiosi e scrittori

di cose patrie, i quali hanno lasciato poche ma precise testimonianze sull'esistenza di un anfiteatro a Lucera e sulle condizioni in cui era ridotto ai tempi loro.

Cosí ne era stata accertata la parziale costruzione in opera laterizia, e, Giambattista d'Amelj ne ha fatto una descrizione3, che merita di essere riprodotta per la sua non comune esattezza "All'oriente della città sono ancora visibili avanzi dell'anfiteatro, comunque l'agricoltore l'avesse da lungo tempo solcato con l'aratro e vi ci seminasse sopra. Alla fine del secolo scorso era piú marcato, e non ancora totalmente distrutti erano gli avanzi dei fabbricati.

Ora l'occhio dello spettatore non vi scorge che pochi ruderi rimasti l'uno dall'altro distante, e vi guarda il luogo fatto di figura ovale o ellittica, un poco piú rilevata ove sorgeva d'intorno il duplice muro, ed il terreno che scoscende simmetricamente vi presenta la figura di una grande vasca.

Il signor Francesco da Paola Lombardi, amatore tenerissimo delle cose patrie, che volle studiare su quanto vi era ai tempi suoi, fece di esso la seguente descrizione nell'anno 1788: "L'Anfiteatro era della lunghezza di palmi quattrocento ottanta e della larghezza di palmi trecento venti, situato ora fuori della città; ma nella sua reale esistenza era nel centro, come dalle mura vecchie (così detto volgarmente l'antico perimetro della medesima) si può scorgere.

Le due mura che lo circondavano avevano la spessezza di palmi cinque tutti di mattoni.

Due sole porte presentava; l'una di prospetto all'altra, nè si è potuto conoscere se altre ve ne fossero state. Nel mezzo eravi un pozzo con gradini in dentro per darsi agio a coloro che avessero dovuto attingervi acqua. A qualche distanza verso settentrione gli avanzi di altro fabbricato ravvisano, forse destinato ai gladiatori o alle fiere".

Alcuni dati di quelli sopra contenuti ricevevano piú tardi con- 3 - d'AMELJ G.B., Storia della città di Lucera, Scepi, Lucera, p. 113. Il prof. G.B.

Gifuni segnalò anche un foglio manoscritto, incompleto, di pugno di Francesco da Paola Lombardi, conservato nella biblioteca "R. Bonghi" di Lucera, contenente l'inizio di un capitolo sull'anfiteatro: da esso si scorge la evidente derivazione, invero non taciuta, dal testo del d'Amelj.

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ferma da altri cronisti locali4, infatti il signor G.B. Gifuni, bibliotecario della "R. Bonghi" di Lucera, aggiunse ad essi un interessante brano tratto dalla bozza di una lettera segnata Civis (Emanuele Cavalli), forse destinata ad un quotidiano di Capitanata - tra il 1886 ed il 1887 - conservata appunto presso la biblioteca lucerina, nell'archivio di Alessandro Cavalli.

Eccolo integralmente: "Un antico manoscritto ci assicura che, lorquanto fu costruito il prospetto del convento e della chiesa dei PP. Cappuccini (come si vede tuttora) vi sono adoperati tutti quei pezzi di travertino, che ivi nell'anfiteatro erano incastrati in forma di sedili".

Aveva dunque ben ragione il Vigilanti5 di deplorare la "rnano avara del colone ignorante", ma tutto ci induce a pensare che fosse condotta e stimolata da menti piú colte, se pure non meno vandaliche, nel sistematico saccheggio di un monumento, che pure doveva essere giunto agli inizi del secolo scorso ancora in discreto stato di conservazione, ma che era considerato ormai solo come un'ottima cava di materiale già bello e squadrato.

Sollecitato da studiosi del luogo e della stessa Amministrazione Civica, il defunto Soprintendente Prof. Quagliati iniziava il 13 Ottobre 1932 una campagna di scavo nell'area dell'anfiteatro.

Il 24 Novembre si scoprirono i frammenti del primo portale in corrispondenza dell'accesso S.S.E. all'arena, sull'asse maggiore dell'edificio. Il rinvenimento acquistava grande interesse per il fatto che l'architrave recava sul fregio una lunga iscrizione in tre righe, col nome del costruttore, mutila però di un terzo circa sulla destra6.

Dal punto di vista architettonico, vennero a mancare anche dati precisi per una esatta ricostruzione del cimelio; durante lo scavo non si erano osservate tutte le cautele necessarie ed erano cosí sfug-

4 - FRACCACRETA M. fu CARLO, "Teatro storico -poetico della Capitanata,

ecc.", Napoli, 1828, vol. I, p. 179: "all'est di là dall'anfiteatro, la cui sol'arena dietro il salnitro scorgesi col piede del perimetro a fior di terra lunga piedi 50, larga 42, hanno scavi e terrapieni fino alla città di Foggia". COLASANTO B., Storia dell'antica Lucera, Lucera, 1894, p. 60: "Non molto discosto dal Circo al nord vi era il teatro, dove si è rinvenuta una monca lapide, in cui si legge questa iscrizione: " ... THEATRUM HOC..." Non lungi dal teatro al nord si osserva l'ambito dell'anfiteatro, ove sono gli avanzi di un duplice muro che circondava l'arena, e di due porte d'ingresso l'una di fronte all'altra.

5 - VIGILANTI T., Vita del Ven. Servo di Dio Fr. Francesco Antonio Fasano da Lucera, Lucera, 1848, p. 36. Dopo l'invettiva ha parole di viva ammirazione per l'impo-nenza dei ruderi dell'anfiteatro ancora visibili ai giorni suoi.

6 - GIFUNI G.B., L'anfiteatro romano, in "Il Foglietto", Foggia, a. XXXV (1932), n. 43 del 27 Ottobre.

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gite alcune caratteristiche costruttive, indispensabili per una esatta comprensione dei rispettivi rapporti tra i materiali.

Questo rilevava già in un rapido sopralluogo l'arch. Carlo Ceschi, recatosi a Lucera per conto della Soprintendenza di Puglia, ricostituitasi dopo la morte del titolare nella nuova sede di Bari, il 26 Settembre 1933, successivamente, con il concorso dell'Amministrazione Comunale, si riprendevano gli sterri, operando nuovi saggi in corrispondenza dei punti che piú importava mettere in luce per fissare la conformazione dell'edificio.

Una misurazione piú accurata permise finalmente di circoscrivere le ricerche in una piccola zona, proprio sul limite delle colture, e allora, ridotti a pochissimo gli indennizzi, nel Giugno del 1935 si dette il via per un nuovo sondaggio. Il 13 Luglio, appena un metro e mezzo sotto il livello della campagna circostante, apparvero i primi grandi blocchi di calcare del secondo portale.

Gli scavi furono condotti dal prof. Bartoccini, che ebbe il merito di ricomporre, come è stato in precedenza accennato, gli identici portali dei due ingressi maggiori.

Puliti ed isolati senza rimuoverli, si riscontrava subito che erano presenti quasi tutti i blocchi; soprattutto non mancava il pezzo piú importante: l'iscrizione.

Però essa era capovolta e l'estremità, che nell'altro portale mancava, in questo era nascosta proprio sotto il cumulo piú alto dei frammenti precipitati.

L'epigrafe era la seguente: M. VECILIUS M.F.L.N. CAMPUS PRAEF.FABR.TR.MIL. IIVIRIUR.DIC.PONTIFEX (alt. lett. 0,09) AMPHITHEATRUM LOCO PRIVATO SUO ET MACERIAM CIRCUMIT. SUA PEC. IN HONOR.IMP. CAESARIS AUGUSTI (alt. lett. 0,07) COLONIAEQUE LUCERIAE F. C. (alt. lett. 0,065) che integrata viene: M(arcus Vecilius, M(arci) f(ilius), L(ucii) n(epos), Campus, praef(ectus) fabr(uum), tr(ibunus) mil(itum), (duo)vir iur(e) dic(undo), pontifex, amphitheatrum loco privato suo et maceriam circum(davit) it(em), sua pec(unia) in honor(em) Imp(eratoris) Caesaris Augusti coloniaeque Luceriae f(aciundum) c(uravit). e tradotta: Marco Vecilio Campo, figlio di Marco, nipote di Lucio, prefetto deì fabbri, tribuno militare, duoviro giusdicente, pontefice, curò dì erigere l'anfiteatro in sua proprietà privata e lo circondò di una recinzìone monumentale, con suo denaro in onore dell'imperatore Cesare Augusto e, della colonia di Lucera.

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Significato particolare di alcuni vocaboli: Prefetto dei fabbri: comandante di quel reparto dell'esercito che aveva il compito di fare le armi, oppure capo del collegio degli artigiani Duoviro iure dicundo: sindaco e giudice della città Tribuno: generale odierno dell'esercito Pontefice: capo dei sacerdoti

Il dedicante era dunque Marco Vecilio Campo, figlio di Marco e nipote di Lucio, nato da una famiglia già iscritta nell'ordine equestre, egli fu avviato agli onori del "natio loco". Lì iniziò con una funzione sacerdotale, quella di pontefice. Essa gli aprì la strada al duumvirato iure dicundo, cioè alla massima carica nell'amministrazione di una colonia, ben distinta da quella dei duoviri aedilicia potestate, di grado subalterno.

Ci tiene infatti a specificarlo, il nostro Vecilio, dato che, come costruttore di un anfiteatro, avrebbe facilmente potuto essere preso per uno di questi secondi.

In seguito ci dice di avere disimpegnato un incarico di carattere transitorio, prefetto dei fabbri, cioè capo del collegio degli artigiani.

Così era sboccato al tribunato militare, che di diritto lo ammetteva tra i cavalieri: la mancanza però della precisa menzione di una legione, nella quale avrebbe dovuto prestare servizio fa dubitare che di quest'ultimo titolo fosse stato investito solo pro forma; sappiamo infatti che il tribunato ebbe appunto all'inizio un carattere piú amministrativo che militare.

Possiamo quindi senz'altro pensare ad un modesto cursus che si svolse e si concluse entro le mura della città d'origine, con l'unico scopo di far conseguire al titolare il rango di eques.

Si intende che egli doveva già possedere il censo prescritto per tale grado sociale e in tal modo si spiega il conseguente gesto munifico.

Il nome gentilizio di Vecilius è piuttosto raro, ma proprio a Volturara, a 35 Km. da Lucera, un'altra iscrizione si conserva per l'appunto a memoria di un Lucius Vecilius7, che potrebbe anche essere stato il nonno del nostro; il fatto di trovarlo compreso in una lista di III viri, magistratura municipale straordinaria o piuttosto particolare del luogo, fa presumere che anch'egli appartenesse all'ordine equestre.

Marco Vecilio Campo, ci dice inoltre l'epigrafe, costruì a spese proprie, in un fondo di sua privata proprietà, l'anfiteatro e vi eresse

7 - Corpus Inscriptionum Latinarum, IX, 936; in 5905 (Ancona) è menzionata

una Vecilia Leva.

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anche intorno un muro di recinzione (maceria), che probabilmente sorreggeva tutto il sistema di copertura degli spunti e dell'arena.

Di questo muro c'è notizia nelle relazioni di vari cronisti; oggi, invece, non ne appare piú il minimo segno.

Viene infine specificato il motivo della munifica elargizione. Essa è fatta "in onore dell'Imperatore Cesare Augusto e della colonia di Lucera".

Bisogna rammentare quanto fosse discussa la precisa cronologia della costituzione della città in colonia, per comprendere come questo nuovo preciso documento, che è venuto a togliere di mezzo ogni ulteriore dubbio, sia stato accolto con grande favore.

La questione era stata molto bene riassunta da Francesco Branca8, il quale però, sull'autorità del Mommsen9 e del Pais10, concludeva accettando l'opinione di costoro, che, cioè, Lucera fosse divenuta colonia soltanto al tempo di Vespasiano o poco prima.

Veniva cosí indicato il noto elenco pliniano (N.H., III, 46), dove in realtà il numero delle colonie citate è notevolmente superiore a quello di 28, indicato nello stesso testamento di Augusto, inciso sui muri del tempio di Ancyra, e in un tentativo di sceveramento Lucera veniva senz'altro scartata.

Solo lo Zumpt11, basandosi su Plinio, la riteneva augustea; ed ora l'epigrafe gli dà ragione.

Lucera era dunque una di quelle colonie delle quali l'Imperatore Augusto fece particolare menzione nel suo testamento12 aggiungendovi uno speciale cenno di commento da cui traspare l'intima soddisfazione per la dimostrata oculatezza del suo provvedimento e per gli effetti benefici che ne risentirono subito le città fattene oggetto: "Italia autem, - egli dice - XXVIII (colo)nias, quae viv(o me celeberrimae) et frequentissimae fuerunt, me(is auspicis) deductas h(abet)".

Marco Vecilio Campo, da buon cavaliere romano, sentì tutta l'importanza di questo atto che legava piú intimamente la propria città all'Urbe, e ritenne che il modo migliore per manifestare il pro-

8 - BRANCA F., L'Antica Luceria. Notizie e Monumenti, estr. da "Rivista di Scien-

ze e Lettere", Napoli, 1909, p. 23 e segg. 9 - Die italischen Burgercolonien von Sulla bis Vespasian, in Hermes XVIII, 1883.

p. 171 segg. (Gesamm. Schriften, vol. V). 10 - Le colonie militari dedotte in Italia dai Triumviri e da Augusto ed il catalogo

delle colonie italiane di Plinio, in Museo Italiano di Antichità Classica I, 1884, p. 38 (Nuceria), 45, 50.

11 - De coloniis romanorum militaribus, in Comm. Epigr., Berlino, 1850 p. 349. 12 - Res gestae divi Augusti, V, 35; SUET., Aug., 46; "Italian duodetriginta colo-

niarum numero deductam ab se frequentavit". Sull'argomento vedasi ancora: Hollander, De militum coloniis ab Augusto in Italia deductis, Halle, 1880; Beloch, Deritalische Bund unter Rom's Hegemonie, Lipsia, 1880.

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TAV. II - Tomba del III sec. a.C. presente nell'area dell'Anfiteatro.

prio compiacimento fosse quello di compiere un gesto di munificenza, che nella grandiosità dell'opera concepita riuscisse degno di Cesare Augusto e della sua Lucera, creata colonia dalla volontà dell'Imperatore13.

Sorse così l'anfiteatro. 13 - Snaturata nel suo significato e nell'attribuzione alla sola Lucera è la storiella

riferita dal d'Amelj, op. cit., p. 109, intorno alla disperazione in cui la notizia del provvedimento avrebbe gettato la cittadinanza, desumendola da Appian., Bell. Civ., IV, 3; VI, 12. Oltre al gesto di M. Vecilio, l'epigrafia Lucerina annovera anche un altro atto di omaggio reso alla memoria dell'Imperatore da due membri della gens Lutatia, i quali eressero un tempio ad Apollo e al divus Augustus (CIL. IX, 783).

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Prima dei recenti scavi, esso poteva ormai identificarsi solo attraverso una specie di cratere ellittico aperto nella pianura ad oriente della città (Tav. I). I primi saggi sul margine superiore della cavea rilevarono la sommità dei muri di sostegno dei moeniana piú alti, costituiti di grossi ciottoli legati con malta di calce. L'ingannevole struttura delle murature trascinò anzi per caso il piccone degli sterratori piú in basso del necessario, perchè il sottofondo della zona di breccia alluvionale sotto un lievissimo strato di cappellaccio, con ganga poverissima di calcare e facilmente friabile, poco differisce, per un superficiale osservatore, dal tipo di costruzione sopra accennato; in quell'occasione vi fu cosí scoperta una tomba, subito sotto le gradinate a sud14, ed accanto un pozzo, o meglio una "foggia" (Tav. II).

Un rinvenimento simile induce a trarne come conseguenza che già prima esistesse sul luogo una depressione, o di origine alluvionale o artificiale per uno sfruttamento ad uso di cava, allargata poi ancora per estrarne il materiale necessario alla fabbrica dell'anfiteatro e al tempo stesso per adeguarla alle esigenze planimetriche ed altimetriche di esso.

L'ipotesi di una cavità preesistente troverebbe conferma nella profondità della tomba, rispetto all'attuale piano di campagna (circa m. 0,85 al sommo) che, nei confronti con le murature antiche, non sembra aver subito notevoli modificazioni.

Il materiale rinvenuto in essa può assegnarsi all'inizio del III sec. a.C.. Esso consiste in due epichyses e due oinochoai a decorazione policroma del tipo detto di Gnathia ed in uno skiphos a vernice nera con una fascia rossastra presso il piede.

La forma esatta dell'anfiteatro è una ellissi costituita da due calotte, di poco inferiori a semicerchi, collegate da due settori curvi, i cui centri, dal centro dell'arena, si trovano ad una distanza di m. 132,40. Le misure massime esterne dell'edificio risultano così di m. 131,20 in lunghezza e di m. 99,20 in larghezza.

Del circuito dell'anfiteatro si sono rintracciati solo i tre muri perimetrali di fondazione, disposti a scalare come se preparassero l'andamento della cavea; i piú esterni sono resi solidali con muretti trasversali che, forse solo incidentalmente, si presentano oggi inclinati verso il centro.

Si ha cosí un sistema cellulare di otto vani per settore, comple- 14 - La tomba è a forma di calotta sferica irregolare, con un diametro massimo di

m. 2,40; l'ingresso è alto circa un metro. La lastra di chiusura, di profilo irregolare, misura pressappoco m. 0,19 x 0,62 ed ha uno spessore di 8-10 cm. Lo strato di cappellaccio, come risulta da un saggio praticato nelle adiacenze del pozzo, è alto cm. 13, si che è probabile che la lastra suddetta sia stata ricavata durante la stessa escavazione della tomba.

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TAV. IV - Planimetria generale dell'Anfiteatro.

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tamente chiusi, all'infuori di quelli adiacenti agli ingressi sull'asse minore, adoperati come locali di servizio.

Il muro esterno, piú spesso degli altri, presenta a sua volta, in ogni settore, una serie di quattro contrafforti aggettanti, di dimensioni varie, per quanto ciò possa dipendere dal loro maggiore o minore stato di degradazione.

Lo spessore costante di questa zona murata è di m. 8,90 nei punti corrispondenti ai contrafforti e di m. 7,40 nei tratti intermedi. L'arena, piú bassa del terreno circostante di m. 9,00, è lunga m. 75,20 e larga m. 43,20. Il corridoio S.S.E. di accesso, ha la soglia a m. 4,50 sotto l'attuale piano di campagna.

Esso è lungo m. 27,00; in periodo indeterminabile fu lastricato con blocchi di varie forme e spessore, provenienti da altri edifici, se non dallo stesso anfiteatro, dopo una sua prima rovina.

Sotto il suolo (Tav. III) corre una fognatura con due tombini rotondi di ispezione; il declivio delle acque va verso l'esterno, ad est. Lo speco, scavato nella breccia alluvionale, stretto ed alto (m. 0,60 x 1,20) in corrispondenza del corridoio, si allarga fino ad un metro al termine di questo, cioè al margine dell'arena, nel qual punto riceve da ambo i lati le acque perimetrali a mezzo di fognoli con doppio piano di raccolta; invece la sua altezza si riduce gradatamente via via che procede verso il centro dell'arena, per giungere a sorpassare la voltina del cunicolo sotteraneo mediano.

In questo secondo tratto, nei punti in cui il conglomerato naturale presenta delle lacune, i fianehi hanno qua e là delle riprese in opus reticulatum.

Sulla parete destra del corridoio, scendendo, si apre una stanza - A - (Tav. IV), di m. 2,95 X 4,13; di fronte vi era forse un'altra simile, di cui si è messa in luce solo la porta, larga m. 1,50, la quale con la sua soglia, per quanto rimaneggiata, segna il piano di calpestio.

Alla prima stanza fa seguito un altro piccolo ambiente - B -, di m. 1,33 x 2,35, forse ricavatovi piú tardi (Tav. IV).

Tali locali potevano essere tanto gli "Spoliaria", per il provvìso rio deposito dei gladiatori morti o gravemente feriti, come dei magazzini per l'attrezzamento necessario agli spettacoli.

Il rivestimento parìeta le del corridoio è nella sua costruzione originaria in mattoncini di terracotta alti cm. 4, con cm. 2 di malta interposta; nella stanza -A- ricorre per tutta l'altezza opus reticulaturn di imperfetta esecuzione, diviso in due zone da una fila orizzontale di tegoloni messi di costa; la copertura con volta a botte, ricostruita in base ad elementi ancora a posto, aveva in chiave un'altezza di m. 3,20.

Allo sbocco di questo passaggio le murature mostrano di essere state in tarda epoca profondamente rimaneggiate; esse infatti sono

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non solo di struttura diversa, ma hanno anche una direzione leggermente divergente rispetto all'asse dell'edificio. In ogni modo, per quanto avariate, esse raggiungono però sempre la linea originaria del podio.

Elemento di antica data è il fognolo che corre appunto tutto in giro all'anfiteatro alla base del podio; costituito con un doppio ordine orizzontale di tegoloni, i quali formano il fondo e la copertura di uno speco di m. 0,48 X 0, 15, esso è limitato da due cordoli in pietrame dello spessore medio di cm. 15, emergenti di pochi centimetri sia dal piano della cunetta che da quello dell'arena.

In tal modo il piano superiore dei tegoloni raccoglieva anch'esso quell'acqua che vi defluiva da una serie di canali verticali (m. 0,30 X 0,32) ricavati per tre lati nel nucleo murario del podio e per il quarto, l'anteriare, chiusi ed occultati da blocchi di pietra del rivestimento.

Queste condutture, nello spessore della risega (elemento di cui parleremo fra poco) e al livello del cordolo interno, avevano per pia-

TA V. V - Prima ricostruzione grafica della planimetria dell'Anfiteatro.

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no di caduta dell'acqua un tegolone in leggera pendenza verso il fognolo; la massa liquida così raccolta veniva quindi quasi filtrata nello speco sottostante attraverso gli interstizi appositamente lasciati in opera tra le testate dei tegoloni di copertura, ed eliminata nella fogna principale15.

Girando dall'angolo destro del passaggio S.S.E. nell'arena, dopo m. 3,14 si incontra l'accesso ad un altro breve corridoio ricavato nel nucleo di fondazione della cavea (largh. m. 1,06), quasi parallelo a quello precedente; la soglia (m. 1,37 x 0,43), in due pezzi, corrisponde per spessore e curvatura alla risega del podio ed emerge dal vicino cordolo del fognolo di cm. 15.

Su detta soglia si notano due fori quadrati per l'imperniatura dei blocchi sovrastanti, costituenti gli stipiti; di seguito allo spazio che essi avrebbero dovuto occupare, a destra è ancora in sito un

TAV. VI - Planimetria dell'Anfiteatro dopo il restauro. 15 - Un elemento simile è stato rilevato nell'anfiteatro di Arles: Durrn, Die Bau-

kunst der Romer, 1905, fig. 764.

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grosso blocco di calcare, mentre sulla sinistra ha invece inizio una parete di varia struttura: essa è infatti per il primo tratto in mattoni, poi mostra incastrato un grande blocco di pietra, nella curva è ad intonaco segnato simulante una cortina in laterizio e poi torna ad essere di vero cotto.

Questo corridoio ascende leggermente, curvando al tempo stesso sulla destra. Senonchè, mentre si nota sul suo piano una doppia traccia che indica come un tempo girasse a gomito in direzione dell'ambientino B (che nello stato attuale non mostra di essere stato mai con esso in rapporto diretto, sia perchè sul muro di fondo non c'è soluzione di continuità, sia perchè il corridoio, che, come si è detto, sale, raggiunge in corrispondenza ad esso una quota superiore a quella del pavimento dell'ambiente stesso), il passaggio fu invece poi alquanto raddrizzato e prolungato in modo da raggiungere una certa grossezza D di breccia alluvionale, rimasta racchiusa fra le pareti dei due locali - A e B - contigui, ma non adiacenti (Tav. IV).

Dato che questi locali erano coperti da una volta a botte (per il primo esistono tracce sicure) ed erano così in grado di contraffortare l'eventuale spinta di una terza volta che avesse coperto un ambiente qualsiasi posto fra di loro, possiamo presumere che qui si sviluppasse una scala a squadro col corridoio, al disopra del nucleo geologico - D - di breccia alluvionale, conservato intatto, la quale scala, coperta con una volta rampante, si suppone che conducesse al di sopra del passaggio S.S.E., cosí da costituire un collegamento diretto e rapido fra l'arena e i posti riservati ivi collocati.

Dal canto loro, questa scala e quella che doveva corrisponderle dal lato opposto, potevano benissimo controbilanciare la spinta dell'arco terminale del corridoio S.S.E., arretrato, come sempre, rispetto alla curva marginale della cavea.

Probabile prova che in questo punto esso venisse a coincidere sarebbe data, oltre che dai robusti piedritti mezzo naturali e mezzo artificiali dei quali poteva qui disporre, dal rinvenimento nel luogo corrispondente di due blocchi di calcare, sia pure alquanto scostati dal sito originale, con i fori per i bilichi di una chiusura, forse un cancello.

Un altro accesso all'arena esisteva in corrispondenza dell'asse minore dell'edificio. Esso aveva inizio poco sotto l'attuale piano di campagna, precisamente a m. 1,80, con una larghezza di m. 3,08, che, dopo m. 7,20 di percorso, si restringeva a m. 1,75.

Nel primo tratto si apriva a sinistra una porta di m. 1,90, per la quale si accedeva ad un ambiente di m. 2,35 x 7,30, con le pareti in leggera curva, poichè seguono lo stesso andamento della cavea.

Fino a tutta questa porta si arrivava in piano; poi aveva inizio una rampa di discesa, che si interrompeva alla strozzatura suddetta, per riprendere, dopo un dislivello di cm. 40, con la stessa pen-

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denza del primo tratto, calcolata al 34,90%. A m. 16,35, sempre dalla solita strozzatura, di fronte a chi scende si sono trovate le spallette di una porta, ma subito dietro di essa si vedeva sporgere il nucleo geologico originario in sabbione e breccia alluvionale; era quindi da escludere l'accesso ad un ambiente a livello della soglia e tanto meno piú ìn basso.

Lo sviluppo del rilievo portò alla spiegazione piú logica del fatto, conforme del resto ad altri casi analoghi, in quanto, dimostrando che la soglia di questa porta era già a m. 0,80 sopra il livello della arena, non ammetteva altra soluzione che l'ipotesi dell'inizio di una gradinata per salire ad un passaggio scoperto sul podio16.

Questo era certamente parecchio piú alto del rudero che si rinvenne durante questo saggio di scavo, consistente in un muro di mattoni, di sostegno al taglio nella breccia alluvionale, contro il quale doveva appoggiarsi un rivestimento in blocchi di pietra, di cui si sono rinvenuti frammenti; questo insisteva sopra una grossa risega di fondazione emergente dal suolo e quindi certo anch'essa rivestita dinanzi, così da formare un gradone.

Detto gradone rivestito doveva a sua volta costituire il parapetto verso l'arena, creando al tempo stesso il necessario dislivello tra l'arena e i meniani piú bassi, per la protezione degli spettatori dai lanci delle belve.

Fissato questo punto, torniamo un poco indietro ad esaminare ancora la

rampa. Dopo m. 15,10 dal dislivello detto sopra (quindi prima di raggiungere la

porta della quale abbiamo poc'anzí detto) essa finisce con la traccia di un presumibile scalino, alto m. 0,27; poi il piano diventa orizzontale.

A m. 0,31 dallo scalino si apre sulla destra del corridoio (che in questo punto conserva tracce della sua copertura a botte, impostata a m. 1,85 dal livello della risega di fondazione) un vano - E - (Tav. IV) largo un metro, il quale, mediante un breve tratto di m. 1,30 in leggero pendio, immetteva direttamente ad una scaletta d'accesso agli ambienti sotterranei.

Essa, infatti, manca di un vero e proprio pianerottolo, gíacchè gli scalini, col loro sviluppo, invadono quell'area che a ciò avrebbe dovuto servire.

La scala si divide in tre parti: inizia con un gruppo di quattro scalini (cm. 27 di alzata e cm. 32 di pedata); seguita con un declivio

16 - Ad esempio quello del Colosseo: DURM, op. cit. fig. 745.

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lungo m. 3, largo all'ultimo scalino m. 0,95 e da questo, dopo m. 0,84, restringetesi a circa m. 0,80, con un pendio del 16% lastricato tutto in grandi quadroni di cotto di cm. 43,05 per lato, e termina con un secondo gruppo di quattro scalini, delle stesse misure dei precedenti, in corrispondenza dei quali la sezione del corridoio si riallarga a m. 1,10.

Da qui sembra che abbia inizio un cunicolo, il quale, e per l'inclinazione dei suoi muri rispetto all'asse minore dell'ellissi e per il livello raggiunto dagli scalini, coinciderebbe con uno simile - F - rinvenuto al centro dell'arena.

Devesi anche notare in proposito che la stessa altezza riscontrata all'inizio e alla fine della seconda rampa di scalini le consente di passare sotto il muro del podio con una voltina a botte.

Anche in questa parte dell'anfiteatro si notano parecchi segni di rimaneggiamento dei muri; per una certa altezza essi sono arretrati rispetto a quelli soprastanti e per di piú presentano una discreta differenza di orientamento.

Nella costruzione di questi muri è costante l'impiego di tegoloni messi di costa, così che se ne vede solo il bordo; la stessa tecnica abbiamo visto che ricorre nell'ambiente maggiore - A - e si ripete negli ambienti che ora esamineremo, ricavati al centro dell'arena.

Appunto qui, seguendo lo speco della fognatura assiale, in uno dei saggi si raggiungeva un cunicolo di (m. 1,15 x 1,68 di altezza), normale e sottostante ad esso e quindi coperto per un tratto con una voltina ancora a posto; subito dopo, verso sud, si nota però che sulle pareti non si imposta nessun arco, ma che esse s'innalzavano a piombo verso il piano dell'arena, come se in quel punto si aprisse una botola.

Verso nord il piedritto occidentale della voltina del cunicolo era in comune con quello di un arco di diametro maggiore (m. 2,80) delimitante una parete piena. Di detto arco si conserva solo un buon tratto del fianco meridionale; esso, si vedrà poi, costituiva il lato di un vano quadrato.

La parete cosí incorniciata era arretrata di m. 0,55 rispetto alla linea principale di un ambiente maggiore corrente parallelamente all'asse maggiore dell'anfiteatro, subito a nord della fognatura.

Di questo ambiente si può seguire il perimetro per un breve tratto verso ovest dall'imposta dell'arco piú grande, di cui si è detto ora, e per m. 6,61 verso est; dopo volge a squadro verso nord per circa m. 3, per riprendere poi equidistante dal primo tratto descritto.

Dato che le misure del lato minore, rinvenuto in stato di forte deterioramento, coincidono abbastanza con quelle del tratto arretrato circoscritto dell'arco, si può presumere che, immaginato questo ripetuto di fronte, il vano che veniva a costituirsi al centro del piú grande ambiente rettangolare (abbiamo visto che questo si svi-

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luppava anche verso ovest), risultando quadrato, potesse essere coperto con una volta a padiglione o a crociera.

In questo vano centrale sarebbe venuto a sboccare quel tale cunicolo che abbiamo visto iniziarsi dal corridoio - E - di accesso al podio e ai sotterranei sull'asse minore settentrionale.

Sia nel cunicolo - F - che nell'arcata adiacente sono state rinvenute tracce del pavimento in cotto. Siccome però esso mancava nel resto dell'ambiente centrale, si approfondì il saggio nel punto - H -, per accertare se eventualmente vi fosse un dislivello. In questa occasione, dopo circa cm. 40 di scavo, si rinvenne uno strato di argilla dal quale cominciò a filtrare acqua; frammisti all'argilla apparivano anche numerosi frammenti di ceramiche. Fu perciò proseguita la ricerca fino alla profondità di un metro.

Si sono in tal modo recuperati cocci ad impasto grezzo, rossastro o nero, di recipienti lavorati a mano, insieme con altri di vasi torniti, a fondo chiaro per lo piú con decorazioni a fasce brunorossastre e in un caso a spiralette e fiori di loto intercalati, di tipo ionicizzante.

Essi fanno pensare a materiali di rifiuto, gettati là e stipati nello strato argilloso per costituire un sottofondo solido ed impermeabile.

Di fronte al riscontrato impiego di cortine in laterizio, non sono mancati segni sicuri di uso della pietra per le gradinate della cavea e per il rivestimento del podio, lo stesso possiamo presumere per il perimetro esterno dell'anfiteatro.

E’ qui che si presenta un delicato quesito, data la depredazione subita dall'edificio di tutte le sue parti in materiali solidi (Tav. VII).

Accertati infatti i quattro accessi, che possiamo chiamare di servizio, in corrispondenza delle estremità dell'asse maggiore e di quello minore, viene spontaneo domandarsi come il pubblico accedesse alla cavea.

L'unica soluzione che allo stato attuale delle cose appare plausibile è quella di una serie di doppie gradinate appoggiate da un lato e dall'altro degli ampi contrafforti che vediamo sporgere dal perirnetro esterno dell'ellisse.

Esse dovevano essere celate dall'anello in pietra (o in laterizio) costituente il prospetto archítettonico dell'edificio, giacchè di un elemento simile, anche se finora non è stata trovata traccia, non si può però escludere l'esistenza.

Queste scale avrebbero avuto una larghezza di circa m. 1,30, piú che sufficiente quindi per lo smaltimento rapido e ordinato degli spettatori.

Una sistemazione simile trova un certo riscontro, tenuto conto dell'imperfetto modo di esprimersi del lontano artista, nella nota pittura pompeiana del conflitto tra gli abitanti della città e i Nuceri-

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TAV. VII - Alcuni particolari architettonici dell'Anfiteatro.

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ni nei dintorni appunto dell'anfiteatro17 in certo qual modo confermata dai rilievi fatti nei ruderi del monumento.

Nell'anello in pietra esterno, dovevano aprirsi anche i due portali dei quali s'è fatto già cenno, collocati agli sbocchi dei corridoi corrispondenti all'asse maggiore dell'anfiteatro, sfuggiti per puro caso al saccheggio del rimanente.

Essi, come già detto, non sono però stati trovati nel posto dovuto, ma a terra, scomposti o meglio sconvolti in maniera tale, che si può attribuire solo all'opera dell'uomo.

Pensare però che essi siano stati demoliti dagli stessi individui che depredarono tutte le parti in pietra del monumento, è un poco difficile, giacchè non si spiegherebbe come essi solo sarebbero sfuggiti alla loro avidità e come nessun dotto lucerino ne avesse avuto o tramandato notizia.

Parrebbe invece piú probabile l'ipotesi di un danno anteriore, originato da altre cause; potrebbe allora rientrare nel novero di quelli prodottisi durante la bestiale devastazione che nel 663 Lucera, al pari di altre città della Puglia, subì per opera delle truppe di Costante II, la quale avrebbe soprattutto preso di mira e messo a terra le sole parti su cui spiccavano dediche ad un imperatore pagano e romano.

I due portali, identici, in pietra di Apricena, hanno un'inquadratura aggettante da una parete a grandi blocchi, lavorati a superfici piane nel settore cui si appoggiano le colonne e a bugnato basso verso l'esterno, secondo una perpendicolare che infila l'aggetto massimo della trabeazione (tra quelli superstiti ve ne sono che vanno da una lunghezza massìma dì m. 2,52 ad una altezza massima di m. 0,97); il contrasto fra le diverse tecniche del fondo e delle parti sporgenti doveva produrre così un gradevole effetto coloristico (Tav. VIII).

Il frontale consta di due colonne, le quali sorreggono una trabeazione con timpano; l'altezza totale è di m. 6,09 e la maggiore larghezza di m. 4,75.

Le colonne non sono interamente circolari, giacchè vennero un poco spianate contro la parete cui si addossavano; il loro fusto liscio, alto m. 3,20, ha un diametro all'imoscapo di m. 0,49 ed una rastremazione di cm. 9,1.

I capitelli, ionici, sono alti m. 0,25; le ampie volute massicce recano la sola traccia di una spirale appena graffita, come se preparata da uno scalpellino, che poi non compí l'opera.

Le basi sono alte m. 0,22 e poggiano sopra uno zoccolo di m.

17 - MAU A., Pompeji im Leben und Kunst, Lipsia 1900, p. 196 e segg.

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0,31 un poco sporgente dal filo delle bugne, in modo da far supporre che ricorresse lungo tutto l'edificio.

La trabeazione, il cui fregio reca l'epigrafe, sopporta un timpano triangolare che ha scolpito al centro uno scudo rotondo, umbilicato, del diametro di m. 0,49, attraversato a tergo in diagonale da un giavellotto.

Sul culmine del timpano era impostata un'antefissa in pietra (alta m. 0, 18-0,14) (Fig. 4), munita di un incasso inferiore a V capovolta per potere adattarsi ai due spioventi, e adorna di un rilievo a protome di Medusa dalle ampie sopracciglia corrugate, piccole ali sulla fronte, i capelli raggianti e due serpenti annodati sotto il mento.

I cassettoncini delle cornici sono quasi tutti decorati con fioroni, ma non vi mancano, intercalati, una Sfinge accovacciata (Fig. 5), con una delle zampe anteriori appoggiate sopra un cranio di animale, e, in quelli alle estremità inferiori, un'aquila che lotta col serpente18 ed un'altra con il fulmine sul portale S.S.E., mentre nell'opposto a N.N.E. ritornano, nello stesso punto, delle aquile in volo ed altrove un bucranio.

La scultura è sobria, a rilievo poco accentuato; nulla piú di una modesta espressione di maestanze locali.

I pezzi d'angolo della cornice su cui s'imposta il timpano presentano due orecchie sporgenti rispetto a tutto il resto del profilo, sì che può supporsi che una fascetta aggettante di quell'altezza (m. 0,30), corresse tutto intorno all'edificio, a guisa di marcapiano.

Sulla faccia inferiore dell'architrave si notano all'estremità due linee di rassetto per l'adattamento in opera di esso sui capitelli, elemento tornato poi utile ai fini dell'esatta ricostruzione dei portali.

Il fornice vero e proprio di questi, rettangolare (m. 2,94 x 3,83), ha una piattabanda costituita di sette conci alti m. 0,78 (oltre le spallette alte m. 0,87, solidali col blocco di bugna allo stesso livello), dai quali, per costituire quasi un appoggio dell'architrave monolitico, sporge un dente alto nella parte visibile m. 0,15 e con un aggetto di cm. 5, che aumenta a cm. 11 nel concio di mezzo, il quale quindi sopravvanza rispetto agli altri laterali.

Dei grossi portoni a due ante, che dovevano chiudere i passaggi, si hanno tracce sui blocchi superstiti, già facenti parte delle fiancate; in essi (m. 0,66 x 0,90, alti 0,32) è un incasso rettangolare di cm. 28 x 23, nei quali si può ragionevolmente supporre che alloggiassero i ritti lignei dell'infisso.

18 – BARTOCCINI R., Le terme di Lepcis (Leptis Magna), Bergamo, 1929, p. 44,

115 nota 1.

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TAV. VIII - Ricostruzione fatta dallo Schettini del portale N.N.O.

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Fig. 4 - Antefissa in pietra, con portone di Medusa sul portale N.N.O.

Fig. 5 - Frammento di cornice del portale S.S.E. con fioroni e sfinge.

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Fig. 7 - Corridoio di accesso N.N.O.

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Fig. 9 – Corridoio che porta agli ambienti sotteranei detti “carceres”.

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CONCLUSIONE Dalla descrizione fatta in queste pagine emerge con chiarezza

l'importanza storica e monumentale dell'anfiteatro lucerino. L'edificio è infatti ritenuto il piú vasto anfiteatro romano dell'Italia Meridionale. Nei suoi confronti, quindi, sarebbe lecito attendersi un'attenzione adeguata da parte delle autorità competenti e da parte dei cittadini. La situazione attuale, invece, è tutt'altro che soddisfacente: l'anfiteatro di Lucera si trova infatti in uno stato di semiabbandono.

Vi è innanzitutto da lamentare che l'espansione edilizia della città, avvenuta a partire dalla fine degli anni Cinquanta nelle consuete forme caotiche, si sia arrestata solo a pochi metri dai ruderi dell'edificio, che in precedenza era sufficientemente isolato rispetto a costruzioni moderne. A tale proposito va ricordato che, durante lo scavo per le fondamenta delle nuove costruzioni, sarebbe stato rinvenuto (almeno cosí assicura la vox populi) un cospicuo materiale archeologico, che o è andato distrutto o ha alimentato il mercato clandestino.

Sarebbe inoltre necessario ripulire il monumento dalle erbacce che vi crescono indisturbate; e ciò non solo per evidenti ragioni estetiche, ma anche per evitare il pericolo di un ulteriore deterioramento delle strutture murarie. E ancora, sarebbe opportuno compiere altri sondaggi nelle vicinanze dell'anfiteatro, visti gli esiti incoraggianti dei lavori effettuati nel 1966 dalla dott.ssa Tinè Bertocchi.

Solo se il problema della conservazione dell'anfiteatro lucerino verrà risolto in modo soddisfacente, si potrà avviare in concreto il discorso sulla sua possibile utilizzazione per iniziative culturali: si parla infatti di tanto in tanto (ma le difficoltà da risolvere non sarebbero certo indifferenti) di far svolgere nell'anfiteatro degli spettacoli teatrali.

In effetti, otto anni fa è stato elaborato un progetto di restauro, inviato, per la necessaria approvazione, alla Sovrintendenza di Taranto. E’ significativo però, che di tale progetto non sia conservata alcuna copia presso il Comune di Lucera: ricerche effettuate in tal senso non hanno portato ad alcun risultato.

Nelle pagine precedenti si è visto come il monumento abbia subito devastazioni e saccheggi, servendo come vera e propria riserva di materiale da costruzioni. Nè si tratta di un caso isolato, in quanto sorte analoga è toccata nei secoli scorsi anche alla fortezza Svevo-Angioina di Lucera.

Ci si augura che non si continui su questa strada, tanto piú che, se per gli autori di quelle devastazioni si possono invocare delle

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parziali attenuanti (assenza di vincoli e di strumenti di controllo, insufficiente senso del valore culturale delle testimonianze del passato), queste non valgono certamente per noi.

RAFFAELLA BARONE

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BIBLIOGRAFIA

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