Lotta Biologica in Agricoltura

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I CAPITOLO 1 1.1. - Introduzione La popolazione umana ha superato, nel 1999 i sei miliardi di individui e considerando il tasso odierno di crescita annuale, si prevede il suo raddoppiamento nei prossimi cinquant’anni (Weber, 1993). L’aumento incontrollato del numero mondiale di abitanti ha avuto delle ripercussioni molto serie sul problema dell’alimentazione e sulla necessità di aumentare le rese produttive delle colture agrarie al fine di garantire a tutti il fabbisogno minimo giornaliero di calorie. Stimolata da tale esigenza, l’agricoltura si è modificata abbandonando progressivamente le antiche tecniche di coltivazione per abbracciare un insieme di mezzi più moderni in grado di ottimizzare le produzioni agricole. Le nuove tecniche colturali, i fertilizzanti chimici, i fitofarmaci rappresentarono per i coltivatori strumenti agricoli fondamentali. Ma l’abuso di tali innovazioni creò non pochi problemi. L’eccessivo impiego di fertilizzanti per aumentare le rese (Palti, 1981), la somministrazione dei fitofarmaci sistemici, finalizzato all’eradicazione dei patogeni (Risch, 1987), l’omogeneità delle cultivar utilizzate (Altieri e Letourneau, 1982), e una non controllata gestione dell’irrigazione (Matta et al., 1996) portarono, ben presto, a nuovi e più gravi problemi di tipo fitopatologico e ad un aumento dell’inquinamento ambientale. Per combattere le malattie fu pressoché scontato il ricorso massivo a fitofarmaci. Per esempio l’uso ripetuto di fungicidi a meccanismo d’azione specifico, in particolare benzimidazoli, portò negli anni ’60 alla comparsa di popolazioni di patogeni resistenti (Gullino, 1987). Ciò spinse, in generale, i coltivatori ad aumentare le dosi di trattamento con evidenti effetti sull’ambiente: inquinamento delle falde acquifere per lisciviazione dei composti, effetti sulla salute legati alla tossicità dei principi attivi presenti come residui negli alimenti e lo squilibrio della microfauna utile del terreno. Le organizzazioni mondiali, l’opinione pubblica, le unioni di consumatori “aiutati” da dati sempre più sconfortanti riguardanti la situazione del pianeta terra, hanno avuto in passato e continuano ad avere, 1

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lotta biologica in agricoltura

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CAPITOLO 1

1.1. - Introduzione La popolazione umana ha superato, nel 1999 i sei miliardi di individui e

considerando il tasso odierno di crescita annuale, si prevede il suo

raddoppiamento nei prossimi cinquant’anni (Weber, 1993). L’aumento

incontrollato del numero mondiale di abitanti ha avuto delle ripercussioni molto

serie sul problema dell’alimentazione e sulla necessità di aumentare le rese

produttive delle colture agrarie al fine di garantire a tutti il fabbisogno minimo

giornaliero di calorie. Stimolata da tale esigenza, l’agricoltura si è modificata

abbandonando progressivamente le antiche tecniche di coltivazione per

abbracciare un insieme di mezzi più moderni in grado di ottimizzare le

produzioni agricole. Le nuove tecniche colturali, i fertilizzanti chimici, i

fitofarmaci rappresentarono per i coltivatori strumenti agricoli fondamentali. Ma

l’abuso di tali innovazioni creò non pochi problemi. L’eccessivo impiego di

fertilizzanti per aumentare le rese (Palti, 1981), la somministrazione dei

fitofarmaci sistemici, finalizzato all’eradicazione dei patogeni (Risch, 1987),

l’omogeneità delle cultivar utilizzate (Altieri e Letourneau, 1982), e una non

controllata gestione dell’irrigazione (Matta et al., 1996) portarono, ben presto, a

nuovi e più gravi problemi di tipo fitopatologico e ad un aumento

dell’inquinamento ambientale. Per combattere le malattie fu pressoché scontato

il ricorso massivo a fitofarmaci.

Per esempio l’uso ripetuto di fungicidi a meccanismo d’azione specifico, in

particolare benzimidazoli, portò negli anni ’60 alla comparsa di popolazioni di

patogeni resistenti (Gullino, 1987). Ciò spinse, in generale, i coltivatori ad

aumentare le dosi di trattamento con evidenti effetti sull’ambiente: inquinamento

delle falde acquifere per lisciviazione dei composti, effetti sulla salute legati alla

tossicità dei principi attivi presenti come residui negli alimenti e lo squilibrio della

microfauna utile del terreno. Le organizzazioni mondiali, l’opinione pubblica, le

unioni di consumatori “aiutati” da dati sempre più sconfortanti riguardanti la

situazione del pianeta terra, hanno avuto in passato e continuano ad avere,

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oggi, un ruolo cruciale nel denunciare tali pericoli. Non senza passaggi

intermedi, si è passati, da un modello di agricoltura che mirava all’eradicazione

del patogeno con una lotta tout court, ad un modello dinamico globale basato

sulla conoscenza, il più possibile completa, della coltivazione L’agricoltura

contemporanea si è cosi evoluta verso un modello di tipo gestionale integrato

(Fry, 1982). Gli agricoltori hanno a disposizione oggi programmi di gestione

integrata complessi. Nei disciplinari di difesa sono affiancati ai mezzi chimici, i

mezzi agronomici, genetici e biologici (Van Lenteren et al., 1992). La lotta

biologica si inserisce nell’ottica di un’agricoltura che salvaguardi maggiormente

l’ambiente.

1.2. - Lotta biologica

In passato la definizione di lotta biologica (biological control) era riferita al

contenimento biologico delle malattie; cioè limitata al solo organismo utilizzato

per combattere un patogeno. La definizione corrente è più complessa e si

estende a tutte le misure biologiche attuabili per limitare lo sviluppo di parassiti

animali e vegetali (Weber, 1993). Riguarda, escludendo l’uomo, l’impiego di

qualsiasi organismo, compresi i suoi prodotti: geni, enzimi, metaboliti,

componenti cellulari (Chet, 1987).

In questo capitolo tratterò la lotta biologica sottolineando maggiormente gli

aspetti legati alla difesa dalle malattie delle piante e alla lotta biologica condotta

con antagonisti microbici, ma è opportuno considerare che essa ha

caratteristiche più generali, che esplorano molteplici settori. Quindi

occorrerebbe, per chiarezza espositiva, riferirla e descriverla, di volta in volta, in

relazione ai differenti campi di interesse.

In patologia vegetale la lotta biologica è, più specificamente, rivolta al

contenimento dell’azione parassitaria di agenti batterici e fungini delle piante.

La malattia si può formalizzare come risultato interattivo tra pianta o suscetto

(S), patogeno (P) e ambiente (A) (Matta et al., 1996). Ma è più opportuno

includere nell’interazione anche il concetto di tempo, che rende il modello

dinamico. Gli antagonisti possono essere considerati come parte dell’ambiente

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e quindi capaci di influenzare la pianta e il parassita. Per sviluppare validi agenti

di lotta biologica è dunque importante, conoscere in modo completo il sistema

in cui si sviluppa la malattia. Occorre per cui conoscere non solo la biologia del

patogeno e della pianta, ma anche i meccanismi di azione dei microrganismi

antagonisti.

Storicamente, sono stati evidenziati tre meccanismi di interazione che sono

basilari per la comprensione della lotta biologica: l’antagonismo diretto,

l'antagonismo indiretto e l’ipovirulenza (Gullino, 1995).

Nell’antagonismo diretto un microrganismo si rapporta direttamente con un

altro. Sono tipiche di tale modello le interazioni di antibiosi, competizione, predazione e iperparassitismo. Un microrganismo può utilizzare una o più

modalità di antagonismo a seconda del sistema in cui si trova (Chet, 1987).

L’antibiosi, fenomeno che si può osservare spesso in natura, è la produzione

di metaboliti di origine microbica, capace di influenzare negativamente lo

sviluppo di un altro microrganismo. Tali metaboliti possono essere molecole

solubili in acqua, enzimi secreti, composti volatili (Fravel, 1988; Weller, 1988).

Possono essere selettivamente tossici o avere uno spettro di tossicità molto

ampio ed i siti di azione, di norma, possono essere molto eterogenei. E’ noto

che molti filtrati colturali di origine microbica, siano in grado, quando addirittura

non li prevengano, di attenuare i sintomi di una malattia. Pythium ultimum e

Rhizoctonia solani sono contenuti da P. fluorescens e da Gliocladium virens

(Howie e Suslov, 1986). L’antibiotico gliovirina sembra avere un ruolo

preminente in tale fenomeno. Infatti, mutanti gliovirina negativi perdono la loro

capacita antagonistica (Howell e Stipanovic, 1983).

Sono stati individuati molti antibiotici in Pseudomonas spp. aventi un ruolo attivo

nel contenimento di agenti patogeni (Fravel, 1988). Ceppi di P. fluorescens

isolati da terreni repressivi verso Gaeumannomyces graminis f. sp. tritici

riescono a contenere quest’ultimo grazie alla produzione di fenazina (PCA)

(Thomashow e Weller, 1988; Thomashow et al., 1990). Altri antibiotici giocano

un ruolo cruciale e sinergico, come l’oomycin A (Gutterson et al., 1986 e Howie

e Suslov, 1986), la pyoluteorina e il 2,4-diacetil fluoroglucinolo (Haas et al.,

1991 e Keel et al., 1992). B. subtilis utilizzato nel contenimento di Monilinia

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fructicola produce le iturine, peptidi ad attività antifungina, attivi contro il

“marciume bruno” delle pesche (Gueldner et al., 1988). P. cepacia produce

fenilpirroli, nel contenimento della “muffa grigia” delle mele (Roitman et al.,

1990). L’antibiosi è un meccanismo di contenimento molto interessante e

capace di conferire un elevato grado di contenimento nei confronti di

determinati patogeni, ma la capacità di produrre antibiotici è, per motivi

legislativi, una caratteristica negativa, discriminante in fase di autorizzazione al

rilascio nell’ambiente.

Il secondo meccanismo di antagonismo, osservabile in natura, è la

competizione. Essa può riguardare lo spazio, i siti di ingresso della pianta

(ferite), e le sostanze nutritive nel senso più ampio possibile. Un microrganismo

patogeno per svilupparsi deve poter occupare i siti di infezione e prendere

dall’esterno le molecole di cui necessita. Durante le prime fasi di infezione, se è

presente un microrganismo che occupa tali siti e compete con il parassita per

accaparrarsi le sostanze utili, lo sviluppo del patogeno e quindi il progredire

della malattia rallentano. Normalmente i microrganismi antagonisti si adattano

meglio dei patogeni alle variate condizioni ambientali. Si sviluppano più

rapidamente e in condizioni ambientali più critiche (temperatura, umidità, pH)

occupando più rapidamente i siti dove avviene la malattia. Ceppi di Fusarium

saprofiti isolati da terreni repressivi presenti nella piana di Albenga sono

altamente competitivi nel terreno con diverse forme speciali di Fusaria patogeni,

grazie alla grande capacità di colonizzare la rizosfera (Garibaldi et al., 1990)

In terreni americani sono stati isolati delle pseudomonadi che agirebbero contro

alcune forme speciali di F. oxysporum in virtù della capacità di chelare il ferro

grazie alla produzione di siderofori; in questo modo la germinazione delle

clamidospore dei patogeni è rallentata (Scher e Baker, 1982 ; Rovira et al.,

1992)

Nella lotta contro specie diverse di Penicillium, negli agrumi, Candida oleophila

sembra agire competendo per le sostanze nutritive (Droby e Chalutz, 1994). Il

ceppo US-7 di Pichia guilliermondii è attivo contro Penicillium digitatum grazie

allo stesso tipo di competizione. Nelle ferite sulle mele, Trichoderma compete

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per i substrati nutritivi con B. cinerea (Dubos, 1997), mentre Metschnikowa

pulcherrima compete specificamente per i nitrati (Piano et al., 1997).

Tra i fenomeni di antagonismo diretto, non meno diffusi, ma a cui si guarda, per

il futuro, con minore interesse c’è la predazione. Si tratta di un contenimento

biologico operato da organismi animali, quali insetti, nematodi, protozoi e

amebe. Nel pabulum alimentare di tali organismi rientrano a volte i parassiti

delle piante. Pythium spp, agente di marciumi radicali è limitato naturalmente

dal nematode Aphelenchus avenae (Rhoades e Linford, 1959). L’ameba

Arachnula impatiens si ciba del micelio di molti funghi fitopatogeni mentre

esistono funghi, quali Arthrobotrys, Dactylaria e Dactylella, che predano di

nematodi grazie alla capacità di intrappolare con il micelio o di formare cappi

costrittivi (Baker e Cook, 1974). In generale si può, tuttavia, affermare che i

fenomeni di predazione sono risultati poco sfruttabili dal punto di vista

commerciale e che difficilmente troveranno un efficiente applicazione pratica.

Una forma sui generis di predazione è il micoparassitismo, detto anche

iperparassitismo. Esistono micoparassiti biotrofi e necrotrofi: i primi instaurano

rapporti trofici tramite strutture austoriali senza uccidere la vittima, altri uccidono

la vittima e penetrano le ife del fungo fitopatogeno per cibarsi dei succhi

cellulari. Tra i primi sono conosciuti alcuni funghi appartenenti agli Zygomycota

(Piptocephalis, Dispira e Dimargalis spp.). Tra i micoparassiti necrotrofi sono

noti Trichoderma spp. e G. virens (Papavizas, 1992), Sporidesmium

sclerotivorum (Adams, 1990), Coniothyrium minitans (Whipps e Gerlagh, 1992),

Pythium spp. (Deacon e Berry, 1992) e Ampelomyces quisqualis (Sztejnberg et

al., 1989).

Gliocladium roseum che però sembra agire sia per contatto sia per antibiosi.

Talaromyces flavus invade gli sclerozi melanizzati di Verticillium dahliae

presenti nelle radici malate e poi sporula sulla superficie di queste strutture. T.

flavus produce l’antibiotico talarone ma la sua azione parassita sembra essere

promossa dall’enzima secreto glucoso-ossidasi, che genera perossido di

idrogeno (Kim et al., 1988). La maggior parte delle prove sperimentali, sul

meccanismo di parassitismo riguardano però Trichoderma spp.. Il

micoparassitismo può essere suddiviso in fasi successive: individuazione,

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riconoscimento, contatto, penetrazione, parassitismo e degenerazione della

vittima. All’inizio le ife del fungo si sviluppano orientandosi verso la vittima,

prendono contatto e formano degli appressori e si avvolgono all’ifa. In un

secondo momento vengono prodotte chitinasi e β(1,3)-glucanasi che

permettono la penetrazione attiva nell’ifa.

2. - STRATEGIE DI LOTTA BIOLOGICA

Una volta osservati i fenomeni naturali di contenimento biologico si possono

applicare diverse strategie perché questi risultino utili per la difesa delle colture.

E’ possibile, per interferire minimamente sull’ambiente, attuare strategie di

gestione dei fenomeni naturali di contenimento delle malattie all’interno

dell’agroecosistema. Si può sfruttare il fenomeno della resistenza indotta.

Laddove ci sia una malattia si può introdurre una componente microbica

antagonistica e aiutarne l’insediamento.

2.1. - Gestione dell’agroecosistema

La gestione degli equilibri presenti tra patogeni e microflora antagonistica

consente di limitare i danni seppure presenti di una malattia. I fenomeni naturali,

più studiati, di contenimento delle malattie sono: i terreni repressivi e

l’ipovirulenza.

I terreni repressivi sono terreni inospitali nei confronti di uno o alcuni patogeni

nonostante la coltivazione di ospiti suscettibili, le condizioni pedologiche e

ambientali siano favorevoli allo sviluppo della malattia (Garibaldi e Gullino,

1989). Il concetto di repressività è opposto a quello di conduttività: i terreni

conduttivi non presentano fenomeni naturali di contenimento biologico. Già dal

1892, negli USA era noto che la fusariosi del cotone portata da F. oxysporum

f.sp. vasinfectum si manifestava con gravità maggiore negli stati con terreni

sabbiosi piuttosto che in quelli con terreni argillosi.

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Il fenomeno della repressività venne inizialmente trascurato e solo all’inizio del

secolo successivo si incomiciò a intravedere un possibile sfruttamento. I primi

studi furono fatti su terreni resistenti alla fusariosi del banano, presenti in

America centrale, mettendo in correlazione la tessitura del terreno, la

popolazione del patogeno e la repressività. Il fenomeno del “take-all decline” la

diminuzione della gravità degli attacchi di G. graminis f. sp. tritici sul grano,

dopo alcuni anni di monocoltura fu messo in relazione con le componenti

microbiologiche presenti nel terreno (Cook, 1981). Il primo approccio verso lo

sfruttamento del fenomeno della repressività è rappresentato dalla possibilità di

rendere repressivo un terreno condutttivo.

Solo negli ultimi anni del secolo sono stati fatti studi mirati per identificare le

cause specifiche che danno luogo alla repressività. Le tipologie di terreni

repressivi sono molteplici ma, di base essa può essere legata a fenomeni biotici

o abiotici. Riferendosi all’azione dei microrganismi presenti nel terreno si può

definire una repressività di tipo generale, operata dall’azione della biomassa

presente nel terreno e una repressività di tipo specifico legata ad una

componente microbica specifica presente nel terreno. La repressività indotta da

fattori abiotici può essere legata dai valori di pH: in terreni della brughiera

francese vicino a Paimpout l’acidità del terreno correla con la riduzione dei

danni da Phytophthora infestans. La repressività di tipo biotico può essere

causata dall’alta concentrazione dell’antagonista: nella savana di Bogotà l’alto

titolo di propaguli di Trichoderma spp. (108/g) è responsabile della repressività

verso la rizottoniosi del garofano (Chet e Baker, 1981).

Le iniziali applicazioni pratiche dei terreni repressivi erano basate sulla aggiunta

di quote di terreno repressivo a terreni conduttivi. Tale pratica non si rivelò di

fatto perseguibile per la presenza relativamente limitata di terreni repressivi. E’

più attuabile l’isolamento dal terreno dei microrganismi responsabili della

repressività ed il loro inserimento in preparati commerciali allo scopo di

arricchire i terreni conduttivi di popolazioni microbiche utili.

L’ipovirulenza è un fenomeno naturale osservato in ambito forestale. Essa è la

ridotta capacità di parassitizzare la pianta ospite da parte di alcuni funghi

fitopatogeni.

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Cryphonectria parasitica è l’agente del cancro del castagno che colpisce in

Italia, Francia e Usa. Ad una esplosione endemica della malattia che aveva

decimato le popolazioni di castagno in Italia seguì una drastica diminuzione

della malattia. Il fenomeno fu in seguito spiegato grazie alla presenza di un

ipovirus (CHV1) a RNA a doppio filamento. L’azione del virus potrebbe agire

sulla subunità α delle G-protein eterotrimeriche dal momento che in seguito

all’infezione dell’ipovirus CHV1-EP713 si ha una diminuzione dei livelli di CPG-

1, una subunità α G-protein cruciale per il ruolo della cellula e in seguito a

mutazioni nel locus BDM-1 (beta disruption mimic factor-1),si ha la riduzione

postrascrizionale di CPG-1 (Kasahara, et al. 2000).

Ma la presenza di ipovirus non è il solo fattore coinvolto nell’ipovirulenza.

Recenti studi fatti su ceppi di C. parasitica esenti da virus hanno evidenziato il

trasferimento orizzontale sia tramite contatto ifale sia conidico tra ceppi

compatibili e incompatibili, seppure in maniera minore, di un DNA mitocondriale

plasmidico pCRY1, capace di dare sintomi di senescenza, diminuzione di

crescita, diminuzione della produzione conidica e alti livelli di respirazione

tramite la via ossidativa cianuro-resistente (Baidyaroy et al., 2000)

L’ipovirus si trasmette tra ceppi di C. parasitica infetti ai sani tramite contatto. Le

applicazioni tradizionali prevedevano l’inoculo nelle ferite di ceppi di ipovirus

purificati. Tale strategia ha avuto effetto solo quando l’ipovirus utilizzato

proveniente da gruppi di compatibilità europei veniva usato su funghi

compatibili: esso non aveva alcuna utilità su ceppi americani appartenenti a

diverso VCG. Le future applicazioni prevedono l’uso di ceppi chimerici che

abbiano un più ampio spettro d’azione anche laddove intervenga il fenomeno

dell’incompatibilità vegetativa tra funghi (Chen e Nuss, 1999).

3. - STRUMENTI PER LA PRODUZIONE

Quando un produttore possiede un microrganismo utile per la lotta biologica ha

due possibilità concrete per trarne profitto: la brevettazione e la registrazione.

Affinchè possa vendere il microrganismo come prodotto fitosanitario è obbligato

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a registrarlo. Mentre si può avvalere dell’istituto brevettuale quando voglia

proteggere il microrganismo come proprietà intellettuale. Le due vie non sono

alternative e la registrazione è una conditio sine qua non la vendita del prodotto

non sarebbe legalmente possibile.

4. - BREVETTAZIONE

Il brevetto è un documento tecnico-legale che descrive il contenuto di

un'invenzione della quale si intende proteggere l'utilizzazione finale. Tramite il

brevetto si concede un diritto esclusivo di utilizzo dell'invenzione e si assegna

all’inventore il privilegio di usufruire del profitto che ne deriva.

Chi voglia utilizzare tali diritti privativi brevettando un microrganismo può

seguire due strade: il Brevetto Nazionale (italiano, francese, tedesco, etc.) o il

Brevetto Europeo. I due brevetti sono molto simili, rifacendosi alle stesse

normative ma presentano differenze per quanto riguarda l’estensione territoriale

della protezione e i costi.

4.1. - Cenni storici sui brevetti riguardanti microrganismi L’Istituto brevettuale classico riguarda la “tutela giuridica della proprietà

intellettuali e delle invenzioni”. Occorre precisare la differenza tra invenzione e

scoperta. L’invenzione è “qualcosa di nuovo alla cui identificazione partecipa

l’attività inventiva dell’uomo”, mentre la scoperta si riferisce “al rinvenimento di

qualcosa di nuovo che già esiste in natura”.

Allo stato dell’arte giuridico per brevettare un microrganismo si deve fare

riferimento alla Convenzione di Monaco sul Brevetto Europeo (CBE) sancita il 5

ottobre 1973.

La concessione del brevetto può riguardare prodotti e procedimenti. La

convenzione di Monaco stabilisce, dall’articolo 52 al 57 l’oggetto del brevetto.

Esso riguarda ogni nuovo prodotto o procedimento in qualsiasi settore della

tecnica, esclusi procedimenti terapeutici sul corpo umano o animale e nuove

varietà animali e vegetali ottenute con metodi essenzialmente biologici.

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L'invenzione deve avere i caratteri di novità, attività inventiva, industrialità e

riproducibilità:

-NOVITA’: Essa deve essere assoluta, poichè ogni divulgazione anteriore alla

data di deposito della domanda di brevetto o alla data di priorità può rendere

nullo il brevetto

-ORIGINALITA’: è il requisito che considera l’attività inventiva; essa deve

sussistere al momento del deposito della domanda di brevetto a giudizio di un

esperto del ramo che è a conoscenza dello stato dell’arte.

-INDUSTRIALITA’: il risultato dell'invenzione deve poter essere oggetto di

applicazione industriale, cioè utilizzabile nell'industria, inclusi i settori dei servizi

e dell'agricoltura

-RIPRODUCIBILITA’ e DESCRIZIONE SUFFICIENTE: un qualsiasi tecnico

medio deve essere in grado di riprodurre il trovato, partendo dalla sua

descrizione.

Le invenzioni vengono suddivise in due categorie: invenzioni microbiologiche ed

invenzioni macrobiologiche. Prendendo spunto dalla Convenzione di

Strasburgo (24 marzo 1971) vengono dichiarati brevettabili i prodotti e i

procedimenti microbiologici (art.53). L’interpretazione di tale articolo è cambiata

col tempo, grazie anche all’influenza di decisioni brevettuali assunte negli USA,

aprendo la strada al brevetto su tecniche biotecnologiche, microrganismi isolati

in natura e microrganismi modificati geneticamente. Il trattato di Budapest del

28 aprile 1977, stabilisce in modo non equivoco il riconoscimento internazionale

del deposito dei microrganismi, presso enti di deposito internazionali.

4.2. - Modalità per la costituzione di un brevetto Ogni persona fisica o giuridica italiana o straniera, inventore o suo cessionario,

ha diritto a richiedere un brevetto europeo, presentando la domanda per la

concessione, indipendentemente dall'esistenza di un precedente brevetto

nazionale. La domanda va depositata presso una delle sedi dell'Ufficio Brevetti

Europeo di Monaco (RFT) o presso l'Ufficio Brevetti nazionale di uno Stato

aderente alla Convenzione Europea. Le lingue ufficiali, da utilizzare nella

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procedura di fronte all'Ufficio Brevetti Europeo sono il francese, l'inglese e il

tedesco.

L'Ufficio Europeo effettua una ricerca di novità sull'invenzione che viene messa

a disposizione del titolare e che serve di base per la successiva fase di esame,

attivata dallo stesso titolare. L'Ufficio Europeo può concedere o rifiutare la

concessione del brevetto e la sua decisione ha effetto in ciascuno Stato

membro. Contro il rifiuto di concessione si può fare ricorso ad una

Commissione di Appello interna all'Ufficio Europeo.

Il Brevetto Europeo è valido per vent’anni e ha validità territoriale negli Stati

membri a cui si vuole estendere la domanda. Il titolare della domanda dopo la

pubblicazione della domanda europea, cioè dopo 18 mesi dalla data di deposito

o di priorità, può conseguire la protezione provvisoria, negli Stati membri

designati, attivando la relativa procedura. Conseguentemente il titolare della

domanda può agire nei confronti di terzi secondo le leggi dei rispettivi paesi e

ha comunque diritto ad un equo compenso per l'attività di tali terzi che, nel

periodo tra la pubblicazione e la concessione del brevetto, comporti la

violazione dei diritti di brevetto.

Contro la concessione può essere presentata un'opposizione da parte di terzi

che viene discussa di fronte alle divisioni di opposizione dello stesso Ufficio

Europeo. Alla fine della procedura, l'Ufficio può confermare integralmente il

brevetto concesso, modificarne la portata, annullare il brevetto. Contro tale

decisione può essere proposto appello ad una Commissione di Appello interna

all'Ufficio Europeo.

Dopo la concessione del brevetto, il titolare deve procedere alla sua convalida

nazionale nei singoli Stati designati. Tale operazione in generale richiede una

traduzione nella lingua di tale stato. Dopo la convalida il brevetto europeo è

regolato in ciascuno stato dalla legge nazionale.

I documenti da presentare riguardano il testo della domanda di brevetto

nazionale di cui si rivendica la priorità e la notifica dei paesi che si vogliono

designare nella domanda di brevetto. Nel caso si tratti di un primo deposito si

devono presentare la bozza di descrizione dell'invenzione preparata

dall'inventore, l’indicazione dello stato della tecnica a partire dal quale

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l'invenzione è stata realizzata, la bozza dei disegni, se previsti, il nome e dati

anagrafici e fiscali del richiedente il brevetto e l’identità dell'inventore.

4.3. - Considerazioni

Il limite del Brevetto Europeo è quello di essere fondamentalmente un insieme

di brevetti valevoli nei 19 stati membri firmatari della Convenzione di Monaco.

Infatti tale istituto giuridico non offre una protezione omogenea in tutti gli stati. Il

brevetto, adottato nei singoli paesi, rientra nei diversi quadri normativi e genera

sperequazioni sulla protezione finale. Ad esempio, può essere diverso il

trattamento giuridico di chi trasgredisca alle norme di protezione, qualora alcuni

Stati membri abbiano, in materia, norme penali diverse. In più il procedimento è

molto costoso perché richiede la traduzione di tutto il fascicolo nelle lingue dei

paesi in cui si vuole estendere la validità del brevetto. Già da 1975 si è sentita

l’esigenza di creare uno strumento nuovo, più completo e più efficiente, per

disciplinare i brevetti a livello europeo. La Convenzione sul Brevetto Comunitario o Convenzione di Lussemburgo del 15 dicembre 1975, prevede

la concessione di un brevetto unico avente identica efficacia sul territorio di tutti

gli Stati membri dell'Unione Europea. Questa Convenzione nacque

dall'esigenza di creare un unico brevetto comunitario e per aiutare la

costituzione del mercato unico europeo, il quale, attraverso l'abbattimento di

qualsiasi barriera doganale, potesse aumentare il livello di concorrenza e

rendesse necessario tutelare le invenzioni al di là delle frontiere nazionali. Oggi

l’unione economica dell’Europa è una realtà ma la Convenzione di

Lussemburgo non è ancora entrata in vigore, nè si possono fare previsioni

attendibili circa i tempi necessari per la sua costituzione. In sua mancanza le

procedure previste dalle Convenzioni di Monaco e dal PCT acquistano quindi

una rilevanza ancor più significativa. Ciò soprattutto alla luce del sempre più

intenso processo di globalizzazione dell'economia che ormai coinvolge in modo

rilevante anche le piccole e medie imprese.

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5. - REGISTRAZIONE

Uno dei maggiori problemi da superare per commercializzare un prodotto

biologico è la fase di registrazione. Alla base della registrazione è la necessità

di identificare in modo univoco il prodotto così da differenziarlo da altri e per

poterne seguire il destino nell’ambiente una volta rilasciato. Le tecniche

utilizzabili sono molteplici e normalmente i criteri d’elezione sono la

economicità, rapidità di esecuzione e la complessità intrinseca della tecnica. Ad

oggi sono disponibili metodiche basate sull’analisi del DNA, delle proteine, degli

acidi grassi della membrana e di tutte quelle caratteristiche fisiologiche e

morfologiche che possano aiutare nella distinzione di un individuo microbico.

Ma per la registrazione devono esser tenute in conto requisiti di tipo

tossicologico.

La registrazione di un microrganismo deputato a svolgere il ruolo di antagonista

microbico segue differenti legislazioni a seconda che il prodotto venga

certificato in Europa o negli USA.

5.1.- Registrazione negli USA

Negli Stati Uniti, si attua una politica “case by case”, in cui cioè le analisi

richieste per la registrazione variano in base al microrganismo da immettere

nell’ambiente e allo scopo con cui viene rilasciato. Il primo requisito da stabilire,

per un prodotto fitosanitario la cui sostanza attiva sia un microrganismo, è la

unicità del ceppo utilizzato al fine di poter seguire il suo destino nello spazio e

nel tempo una volta rilasciato nell’ambiente. La “carta di identità” del

microrganismo può essere creata con strumenti eterogenei e che forniscono, in

ordine decrescente, un numero di informazioni inferiore:

-l’analisi del DNA -l’analisi proteica -la tipizzazione degli acidi grassi della membrana

13

Page 14: Lotta Biologica in Agricoltura

I

-lo studio dei metaboliti secondari (antibiotici, terpeni, fenoli, alcaloidi) -la caratterizzazione fisiologica e morfologica

Verranno trattate successivamente le diverse metodologie accennate per

tipizzare un microrganismo.

L’iter del prodotto durante la registrazione è scandito da diverse fasi la cui

importanza è valutata in base a criteri tossicologici. Ogni prodotto che manifesti

caratteristiche negative in fase 1 viene bloccato. I dati tossicologici, prodotti da

laboratori indipendente dal gruppo richiedente la registrazione, vengono inviati

all’EPA (U.S. Enviromental Protection Agency) per una valutazione

complessiva.

Per quanto riguarda la valutazione dei potenziali effetti dannosi sull’ambiente

l’EPA sottopone il prodotto a 4 fasi di studio. Tali prove comprendono gli effetti

tossici aspecifici e gli effetti patogenetici sulle piante e sull’uomo. E’ importante

sottolineare che in base al microrganismo da registrare il numero e il tipo di

analisi cambia. Tale procedura, particolarmente snella, ha portato ad un grande

divario tra il numero di microrganismi registrati negli USA e quelli registrati in

Europa.

5.2. - Registrazione nell’UE Per la registrazione di un prodotto fitosanitario contenente microrganismi con

capacità antagonistiche, ci si deve riferire alla Direttiva Comunitaria 91/414/CEE, applicata in Italia con il Decreto Legislativo numero 194 del 17/5/95. Tale decreto disciplina:

a) l'autorizzazione, l'immissione in commercio, l'utilizzazione ed il controllo dei

prodotti fitosanitari presentati nella loro forma commerciale;

b) l'immissione in commercio ed il controllo delle sostanze attive per l’uso cui

sono destinate

c) l'autorizzazione all'immissione in commercio di prodotti fitosanitari contenenti

o costituiti da organismi geneticamente modificati, per i quali l'emissione

14

Page 15: Lotta Biologica in Agricoltura

I

deliberata nell'ambiente sia già stata approvata in base al decreto legislativo 3

marzo 1993, n. 92.

Il decreto precisa la definizione del termine generale prodotto fitosanitario in

cui vengono comprese: “le sostanze attive ed i preparati contenenti una o piu'

sostanze attive, presentati nella forma in cui sono forniti all'utilizzatore e

destinati a: proteggere i vegetali o i prodotti vegetali da tutti gli organismi nocivi

o a prevenirne gli effetti, favorire o regolare i processi vitali dei vegetali, con

esclusione dei fertilizzanti, conservare i prodotti vegetali, con esclusione dei

conservanti disciplinati da particolari disposizioni, eliminare le piante

indesiderate, eliminare parti di vegetali, frenare o evitare un loro indesiderato

accrescimento” (art 2).

Vengono definite sostanze attive: le sostanze o i microrganismi, compresi i

virus, aventi un'azione generale o specifica sugli organismi nocivi o su vegetali,

su parti di vegetali o su prodotti vegetali.

Così pure il decreto precisa che per preparati si intendono: le miscele o le

soluzioni composte da due o piu' sostanze, delle quali almeno una sostanza

attiva, destinate ad essere utilizzate come prodotti fitosanitari.

Vengono elevati al ruolo di prodotto fitosanitario anche i microrganismi,

permettendo il loro l’utilizzo e disciplinando la loro registrazione e il controllo

dopo la loro immissione.

5.3. - Autorizzazione alla sperimentazione

La richiesta di autorizzazione alla sperimentazione deve essere inoltrata al

Ministero della sanità, almeno 90 giorni prima dell’inizio delle prove. Tale

richiesta è necessaria nel caso in cui le prove, comportino l’immissione di un

prodotto fitosanitario non ancora autorizzato o allo scopo di estendere

l’autorizzazione a nuovi impieghi di prodotti già autorizzati.

L’autorizzazione viene concessa, sentito il parere del Servizio Fitosanitario

Centrale e dell’Agenzia Nazionale per la protezione dell’ambiente, che devono

dare il loro parere entro 45 giorni. Dopo tale periodo il Ministero della sanità puo

procedere autonomamente. Il Ministero determina tutte le condizioni necessarie

15

Page 16: Lotta Biologica in Agricoltura

I

per la prevenzione dei rischi per l’uomo, gli animali e l’ambiente, fissando i

quantitativi massimi per l’applicazione sperimentale. Le derrate derivate dalle

sperimentazioni devono essere mantenute separate dalle altre, smaltite

secondo le normative vigenti o nel caso in cui si sia ottenuta l’autorizzazione

all’immissione al commercio, potenzialmente destinate all’alimentazione umana.

Tale decreto non si applica direttamente agli organismi geneticamente

modificati se quelli che abbiano ottenuto un provvedimento formale di assenso

per la sperimentazione e per l’autorizzazione all’immissione in commercio

(parte B e C della Direttiva 90/220 recepita con il D.Leg n.92 del 3/3/1993).

5.4. - Autorizzazione all’immissione in commercio

Il decreto presenta nella sua parte finale sei allegati a cui il testo rimanda per la

specifica dei singoli articoli della legge.

I prodotti devono sottostare a determinate condizioni per l’autorizzazione. Un

prodotto fitosanitario può essere autorizzato solo “se: (A) le sostanze attive in

esso contenute sono iscritte nell’allegato I e se soddisfa i principi uniformi di cui

all’allegato VI; (B) se è sufficientemente efficace; non produce effetti

inaccettabili sui vegetali o sui prodotti vegetali; non provoca sofferenze e dolori

inaccettabili ai vertebrati da combattere; non produce effetti nocivi in maniera

diretta o indiretta, sulla salute dell'uomo o degli animali o sulle acque

sotterranee; non produce effetti inaccettabili sull'ambiente, in particolare per

quanto riguarda il suo destino e la sua distribuzione ambientale, con riferimento

particolare alla contaminazione delle acque, comprese quelle potabili e

sotterranee, nonche' l'impatto sulle specie non bersaglio; (C) se e' possibile

determinare la natura e la quantita' delle sostanze attive in esso contenute e,

ove occorra, delle sue impurezze e degli altri componenti significativi dal punto

di vista tossicologico ed ecotossicologico, con adeguati metodi stabiliti in sede

comunitaria o, in mancanza, riconosciuti dal Ministero della sanita'; (D) se

possibile, con adeguati metodi di uso corrente, determinarne i residui di

rilevanza tossicologica ed ambientale derivanti da un impiego autorizzato; (E)

se le sue proprieta' fisico-chimiche sono state determinate e giudicate

16

Page 17: Lotta Biologica in Agricoltura

I

accettabili per garantire un'utilizzazione ed un magazzinaggio adeguati; (F) se

per i prodotti agricoli previsti dall'autorizzazione, i suoi residui non superano i

limiti massimi stabiliti ai sensi dell'articolo 19 (art. 4).

Il decreto disciplina il riconoscimento degli enti preposti allo svolgimento delle

prove necessarie. Le condizioni viste sono accertate dai centri di saggio secondo l’applicazione dei principi di “buona prassi di laboratorio”(GLP) descritti

dal decreto legislativo n°120 del 27 gennaio 1992. Le prove ed analisi compiute

dai centri di saggio devono ottemperare all norme previste nell’allegato III del

decreto.

L’autorizzazione viene rilasciata dal Ministero della sanità ed ha una durata di

dieci anni. Essa prescrive i requisiti di commercializzazione, di utilizzazione e di

quelli necessari per ottemperare alle condizioni previste dall’articolo 4.

Per richiedere l’A.I.C. per un prodotto fitosanitario un produttore deve

presentare la domanda di autorizzazione al Ministero della Sanità, un dossier che soddisfi i requisiti richiesti dall’allegato III e un dossier per ogni sostanza

attiva presente nel preparato, redatto secondo le modalità precisate

nell’allegato II. La domanda e i fascicoli allegati devono essere redatti in lingua

italiana.

La commissione consultiva (art. 20), è lo strumento che il Ministero utilizza per

verificare la conformità del prodotto con le condizioni stabilite dall’articolo 4.

Tale commissione valuta avvalendosi della cooperazione dei richiedenti la

domanda e procede al rilascio dell’autorizzazione entro e non oltre un periodo

di12 mesi dal momento in cui è disponibile un dossier completo dal punto di

vista tecnico.

L’A.I.C. viene notificata al titolare con il relativo numero di registrazione e

vengono pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana le etichette

dei prodotti fitosanitari autorizzati. Presso il Ministero della Sanità viene

conservata tutta la documentazione consegnata così da renderla disponibile

agli Stati membri e alla Commissione Europea.

L’A.I.C. può essere rinnovata al termine della sua durata se la domanda di

rinnovo viene presentata almeno un anno prima della sua scadenza, purchè il

17

Page 18: Lotta Biologica in Agricoltura

I

Ministero della Sanità accerti che non siano venute a mancare le condizioni

imposte dall’articolo 4 del decreto.

L’A.I.C. non è un’autorizzazione ”statica” ma può essere modificata, con o

senza il parere della commissione e sulla base della importanza delle

modificazioni richieste (art.5 comma 13, 14, 15, 16). Essa può essere

riesaminata e ritirata, anche su richiesta del titolare quando vengano a mancare

le condizioni viste all’articolo 4. L’informazione riguardante la riesamina e il ritiro

sono di competenza del Ministero che si deve occupare di darne ampia

pubblicità la titolare, agli organi di vigilanza e alle principali organizzazioni

professionali di rivenditori e agricoltori affinchè tutti gli operatori ne vengano a

conoscenza.

Dopo l’accettazione della domanda di autorizzazione all’immissione in

commercio, il prodotto fitosanitario autorizzato viene iscritto nell’allegato I (art.

6, comma1) per un periodo di dieci anni e ogni modifica viene stabilita dal

Ministero della Sanità.

L’iscrizione a tale allegato rimane vincolata “a: (A) assenza di effetti nocivi

sull’uomo, sugli animali, sull’ambiente e sulle acque sotteranee, (B) rispetto

della dose giornaliera per l’uomo, (C) livello ammissibile d’esposizione

dell’operatore, (D) stima del destino e della distribuzione nell’ambiente nonché

dell’impatto sulle specie non bersaglio

Ottenuta l’AIC è possibile per il titolare vendere il prodotto che prevedibilmente

verrà immesso nell’ambiente. Durante le fasi di registrazione la legislazione si

occupa di regolamentare le modalità di accertamento dei rischi.

5.5. - Valutazione dell’impatto ambientale

Il rilascio deliberato o accidentale nell’ambiente di un microrganismo ha delle

implicazioni ambientali molto importanti. Dal punto di vista giuridico il decreto

legislativo n.194 del 17/5/1995 definisce, all’articolo 4, le caratteristiche generali

che un microrganismo deve possedere per salvaguardare l’ambiente, mentre

nell’allegato II, con riferimento all’organismo e nell’allegato III, con riferimento al

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Page 19: Lotta Biologica in Agricoltura

I

prodotto fitosanitario, precisa le prove da effettuare prima che l’AIC venga

concessa.

La legge si occupa di definire quali siano il “destino e il comportamento

nell’ambiente” del prodotto, ponendo l’attenzione sulla sua diffusione, mobilità,

moltiplicazione e sulla persistenza nell’aria, nell’acqua e nel suolo. Dal punto

ecotossicologico si occupa delle possibili interazioni tossiche con pesci, uccelli,

lombrichi e insetti, così come i possibili effetti negativi sulle api da miele sulle

alghe, gli effetti su organismi utili, su altri organismi non bersaglio e sulla

microflora del suolo.

Tuttavia, il decreto legge non definisce, in modo preciso, un microrganismo

mentre il precedente decreto legislativo n.91 del 3 marzo 1993, dava questa

definizione di microrganismo: ogni entità microbiologica cellulare o non cellulare

capace di replicarsi e di trasferire materiale genetico; se da una parte tale legge

ammette che ci possa essere uno scambio di materiale genetico la legislazione

sulla registrazione di microrganismi come prodotti fitosanitari non ne fa

menzione, nel caso di microrganismi non modificati geneticamente, prevedendo

tale eventualità solo per i MOGM.

Dal punto di vista della stabilità genetica e del trasferimento orizzontale di geni

non viene precisato nulla, considerando il fatto che ci sia un rischio effettivo per

l'ambiente solo quando del materiale esogeno venga introdotto in un ospite o

quando siano applicate tecniche che creino nuove combinazioni di materiale

genetico ereditabile

Nel caso della registrazione, le prove di valutazione del rischio sono quindi

inferiori di numero e molto meno onerose perchè ricadono sotto una legge, da

questo punto di vista, più permissiva. Ciò ha una ricaduta pratica sulle strategie

di ricerca che le aziende mettono a punto per sviluppare un microrganismo

utile. Il produttore che si trovi di fronte la possibilità di migliorare un ceppo

antagonista, modificandolo geneticamente, deve quindi sottostare ad una prima

legge per l’impiego in ambiente confinato e quindi ad una seconda che si

occupa della sua immissione sul mercato. Le procedure tecniche diventano

onerose e il prodotto perde in economicità e di competitività. Esistono tuttavia

delle scappatoie legislative per migliorare l’attività antagonistica senza ricadere

19

Page 20: Lotta Biologica in Agricoltura

I

nella normativa sul rilascio in ambiente confinato di MOGM (Decr.leg. n.91 del

3/3/93). Si possono creare varianti genetiche tramite coniugazione, trasduzione,

trasformazione o qualsiasi altro processo naturale; e’ permessa induzione della

poliploidia, la mutagenesi per creare mutanti con caratteristiche nuove e la

fusione cellulare (compresa la fusione dei protoplasti) di cellule di piante che

possono essere ottenute mediante metodi tradizionali di riproduzione.

5.6. - Etichettature e controlli

Il problema dell’etichettatura ha assunto oggi una rilevanza cruciale. Il decreto

legislativo 194/95 regolamenta tale materia per i prodotti fitosanitari. Esso

prevede che siano apposte delle etichette, in lingua italiana, su tutti gli

imballaggi e contenitori. In generale l’etichetta deve portare notazioni

riguardanti il prodotto e il produttore. In modo specifico le etichette devono

contenere la denominazione commerciale del prodotto fitosanitario, con il nome

e l'indirizzo del titolare dell'autorizzazione, il numero e la data di registrazione,

nonche' i dati anagrafici del responsabile dell'imballaggio dell'etichettatura e

della distribuzione, qualora sia diverso dal titolare dell'autorizzazione, nonche'

l'indicazione del nome e della sede dello stabilimento di produzione. L’etichetta

deve inoltre contenere notazioni molto precise riguardanti il nome e la

concentrazione di ciascuna sostanza attiva presente nel prodotto fitosanitario,

(come da decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1988, n. 223); i

nomi delle sostanze attive devono essere indicate secondo la nomenclatura di

cui alla legge 29 maggio 1974, n. 256, (e successive modifiche), oppure, se la

sostanza non vi figura, essa può essere indicata con il suo nome comune ISO

o, in assenza, con la sua denominazione chimica IUPAC.

L’etichetta deve essere corredata anche dai dati sul tipo di azione del prodotto

fitosanitario, il tipo di preparazione, la quantita' netta del prodotto fitosanitario,

espressa in unita' di misure legali, il numero di partita del preparato o una

indicazione che ne permetta l'identificazione.

Con Decreto del Ministro della Sanità vanno indicate le frasi di rischio (R) riferite

all'uomo, gli animali o l'ambiente (allegato IV) e le complementari frasi di

20

Page 21: Lotta Biologica in Agricoltura

I

sicurezza (S) per la tutela dell'uomo, degli animali o dell'ambiente (allegato V) e

le indicazioni riguardanti i primi soccorsi da prestare.

Il comune utilizzatore del prodotto deve poter comprendere dall’etichetta le

possibilità di uso del “fitofarmaco”. A tale scopo devono essere indicati “gli usi

autorizzati le condizioni agricole, fitosanitarie ed ambientali specifiche nelle

quali il prodotto fitosanitario puo' essere utilizzato o, al contrario, deve essere

escluso” (art.16, comma 1, lettera k). Sono fondamentali le istruzioni per l'uso e

la dose, espressa in unita' metriche, per ogni diverso impiego autorizzato.

I prodotti fitosanitari, seppure autorizzati, possono presentare effetti fitotossici o

effetti tossici verso l’uomo; per tal motivo va indicato in etichetta, nel caso sia

necessario, l'intervallo di sicurezza, da rispettare, tra l'applicazione e la

semina, tra l'impianto della coltura da proteggere o di quelle successive, tra

l'applicazione e l'accesso dell'uomo o degli animali, tra l'applicazione ed il

raccolto e tra l'applicazione e l'uso o il consumo dei vegetali trattati.

L’etichetta appare molto simile a quella di un farmaco ad uso umano ed in fatti

contiene la dicitura "Prima dell'uso leggere le istruzioni sul foglio illustrativo"

qualora sia allegato un foglio illustrativo, la data di scadenza in normali

condizioni di conservazione del preparato, se la durata dello stesso e' inferiore

a due anni.

Non si possono apporre sull’etichetta notazioni quali innocuo o non tossico, in

riferimento, ad esempio, all’effetto verso insetti pronubi. Nel caso di trattamento

previsto in concomitanza di periodi critici per la presenza di api e permesso

indicare sull’etichetta frasi del tipo “utilizzabile in presenza di specie non

bersaglio".

I titolari hanno il compito di adeguare gli imballaggi, le etichette fatto salvo per le

scorte di prodotti etichettati ed imballati prima dell’entrata in vigore di tale

decreto.

I controlli effettuati dal legislatore prevedono misure a breve e media scadenza.

Il controllo ufficiale dei prodotti fitosanitari viene attuato con l’adozione di piani nazionali annuali per verificare la rispondenza ai requisiti per cui i diversi

prodotti sono stati messi in commercio e la loro utilizzazione conforme alle

indicazioni annotate sull’etichetta nel rispettto delle dei principi di buone

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Page 22: Lotta Biologica in Agricoltura

I

pratiche fitosanitarie e di lotta integrata. E’ compito delle regioni e delle

provincie autonome trasmettere, annualmente, i risultati ispettivi al Ministero

della sanità che deve presentare successivamente agli Stati membri e alla

Commissione europea una relazione in materia.

Il Ministero della sanità deve approntare, in accordo con il Ministero

dell’ambiente e sentito il parere della Conferenza permanente Stato-Regioni dei

piani nazionali triennali (art.17, comma 4)

In analogia con la Farmacopea Ufficiale dei farmaci destinati all’uso è stata

creata la Fitofarmacopea ufficiale. Il Ministero della sanità tramite il Servizio

Informativo Sanitario ne cura la pubblicazione. Essa comprende le monografie

delle sostanze attive autorizzati, il prontuario dei prodotti fitosanitari autorizzati e

i metodi di analisi per la verifica dei requisiti sanciti dall’articolo 4.

Il decreto stabilisce di adottare, riferendosi anche alla legge n.283 del

30/4/1962, i limiti massimi residuali definiti in sede comunitaria e qualora essi

non esistano di stabilirli, in via provvisoria con il parere della Commissione

consultiva.

5.7. - Considerazioni sulle differenti legislazioni

E’ evidente la grande differenza normativa che esiste tra Unione Europea e

USA in materia di registrazione di prodotti fitosanitari. In Europa l’obbligatorietà

di molte analisi anche quando il microrganismo sia palesemente innocuo, fa si

che le richieste di autorizzazione di prodotti fitosanitari presentate siano inferiori

di numero a quelle presentate negli USA. La laboriosità delle prove necessarie

nonché la difficoltà economica della registrazione, che in se non avrebbe tempi

di accettazione eccessivamente lunghi ha come effetto non solo la depressione

del mercato ma la comparsa di fenomeni di frode. E’ nota agli operatori

l’esistenza in commercio di prodotti non registrati come prodotti fitosanitari,

bensì come ammendanti, aventi come denominazione: "Additivi per terreni e

substrati di radicazione a base di sostanze naturali e attivanti biologici”

E’ quasi inevitabile che accada ciò, vista la grande massa critica, talora non

essenziale, che un produttore deve presentare per la registrazione. Sarebbe

22

Page 23: Lotta Biologica in Agricoltura

I

quindi auspicabile una riforma della legge che presti più attenzione al singolo

prodotto, intendendo ogni prodotto fitosanitario come “unico” così da esigere un

insieme di prove ed analisi adeguate e non standardizzate come numero. Lo

stesso si potrebbe dire per gli OGM e gli MOGM, campo in cui il divario con gli

USA è ancora più ampio.

6. - PRODUZIONE e COMMERCIALIZZAZIONE

Dopo la fase di isolamento di un microrganismo e lo studio delle sue

caratteristiche utili come agente di contenimento biologico, la tappa

fondamentale per il successo di un prodotto biologico è la cosiddetta “fase

industriale”. Essa studia la formulazione del prodotto e la sua produzione su

vasta scala. Spesso si ritrovano in fase di ricerca microrganismi utili e

promettenti, ma il passaggio alla produzione e alla commercializzazione non è

sempre facile e comunque di esito non scontato. La carenza sul mercato di

prodotti microbiologici è frequentemente da ascrivere ai costi di produzione

elevati e dai margini di profitto inadeguati, se riferiti all’investimento iniziale. Per

capire le ragioni di tale fenomeno occorre analizzare gli elementi caratterizzanti

la produzione di biomasse microbiche.

6.1. - Produzione su vasta scala

In una biofabbrica i costi che più incidono sono l’acquisto dei substrati e

l’energia elettrica richiesta per far funzionare gli impianti; a questi due fattori

primari si collegano l’efficienza del processo fermentativo, collegato alle diverse

esigenze di sviluppo dei microganismi e dal punto di vista del marketing, la

ridotta economia di scala che tali prodotti per la difesa riescono a raggiungere

sul mercato.

L’approvvigionamento di substrati economici per le fermentazioni è un fattore

cruciale. Le melasse di scarto, derivate dalla lavorazione della barbabietola da

zucchero e della canna da zucchero, gli scarti derivati dalla trasformazione

industriale del mais rappresentano un materiale di partenza assai economico

23

Page 24: Lotta Biologica in Agricoltura

I

ma qualitativamente eterogeneo nel tempo. In questo ambito si deve ricercare il

compromesso tra economicità dei fattori produttivi e qualità costante del

prodotto finale.

La produzione in grandi fermentatori è, di solito, il mezzo più comune per la

produzione di biomasse ingenti. Si utilizzano due tipi di colture: la coltura su

mezzo liquido e quella su mezzo solido. Sono molte di più le conoscenze sulla

fermentazione in liquido che non in solido, dal momento che essa è stata il

mezzo di produzione d’elezione di attinomiceti produttori di antibiotici. Tuttavia

occorre considerare ogni microrganismo come a se' stante e con caratteristiche

di sviluppo e ed esigenze nutrizionali differenti. Non sembra corretto privilegiare

un tipo di coltura rispetto ad un altro in modo aprioristico. La coltura in liquido

necessita alla del fine processo due fasi fondamentali: la separazione

dell’inoculo dal mezzo di coltura mediante filtrazione e la fase di concentrazione

dell’inoculo tramite processi di centrifugazione e di disidratazione. Quest’ultima

può alterare la capacita funzionale del microrganismo, specie se condotta

rapidamente tramite riscaldamento. Al contrario una coltura solida non richiede

separazione dell’inoculo né la disidratazione del prodotto; il micoparassita

Sporidesmium sclerotivorum viene prodotto, di routine, con una fermentazione

solida (Ayers e Adams, 1983) e anche per Trichoderma spp. è stata messa a

punto una strategia per la coltura solida su vasta scala (Roussos et al., 1991)

Per produrre una grande quantità di biomassa si devono ricercare i valori

adeguati non solo per il microrganismo di interesse ma per lo stadio vitale

desiderato (conidio, ascospora, clamidospora, spora). La temperatura,

l’ossigenazione, il pH, l’umidità, la fonte di carbonio nel substrato, i micro-

meso- e macro-elementi del substrato devono essere considerati per

raggiungere due obiettivi tra loro contrastanti: massimizzare le rese e contenere i costi. La temperatura influenza direttamente lo sviluppo dei microrganismi,

influenzando la cinetica delle reazioni enzimatiche. Avere a disposizione un

ceppo microbico che cresca a temperature relativamente basse rappresenta un

vantaggio economico poiché fa risparmiare energia. Il pH e la fonte di carbonio

influenzano la qualità dei metaboliti secondari prodotti nel mezzo: la produzione

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Page 25: Lotta Biologica in Agricoltura

I

di fenazina in P. fluorescens è altamente influenzata dalla composizione del

mezzo (Slininger e Shea-Wilbur, 1995). La necessità di ossigenare il mezzo di

coltura richiede energia per aumentare la velocità delle pale del fermentatore.

Talvolta la scarsa aerazione può' incrementare la formazione di clamidospore in

ceppi micoerbicidi di F. oxysporum (Hebbar et al., 1997).

Variare le condizioni di coltura per promuovere la formazione di strutture di

resistenza porta ad indubbi vantaggi di tipo commerciale. Un prodotto

microbiologico, infatti, richiede, oltre alle caratteristiche finali di elevato titolo,

una buona efficacia ed un’elevata stabilità commerciale (shelf life).

La vita commerciale del prodotto è tanto più elevata quanto più si

commercializzano le forme di resistenza del microrganismo. Ceppi di Fusarium

saprofiti vengono prodotti in forma di clamidospore (Hebbar et al., 1997); le

spore di Bacillus subtilis rappresentano la forma di resistenza più efficace per la

conservazione del prodotto. Talaromyces flavus presenta ascospore molto

resistenti preferibili ai conidi per la commercializzazione (Fravel et al., 1985);

alcuni batteri, come Agrobacterium radiobacter K84, sono facilmente

disidratabili (Kerr, 1980), altri, tra i batteri gram negativi, sono più difficili da

conservare, mancando di forme fisiologiche di resistenza.

6.2. - Formulazione

La formulazione di un prodotto fitosanitario è l’equivalente della forma

farmaceutica dei farmaci destinati all’uso umano che rende la sostanza attiva,

utilizzabile per le applicazioni. Spesso una corretta formulazione è il fattore

discriminante tra il successo e l’insuccesso di un prodotto. E’ pressoché inutile

avere a disposizione un microrganismo utile ed efficace se non si sono compiuti

studi adeguati sulla formulazione da adottare: il microrganismo rimane uno

strumento utile in potenza. Gli obiettivi della formulazione di prodotti fitosanitari

contenenti microganismi riguardano il mantenimento dell’efficacia, la durata

commerciale e la facilità d’uso, distribuzione completa sul sito da raggiungere,

la compatibilità con le normali pratiche agricole e i bassi costi di produzione. Un

fitofarmaco tradizionale rispetto ad un fitofarmaco microbiologico presenta

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Page 26: Lotta Biologica in Agricoltura

I

problemi peculiari che riguardano la stabilizzazione e la durata del prodotto;

spesso i produttori di formulati tendono a trascurare queste componenti rispetto

ai problemi, di più facile soluzione tecnica, di distribuzione, di assorbimento e di

sicurezza per l’operatore. Queste non devono mancare, ma dal momento che il

prodotto fitosanitario contiene microrganismi che devono svolgere una funzione

in campo diventa primario ed essenziale che essi arrivino vivi al sito di

applicazione.

Un’adeguata formulazione deve rendere stabile la sostanza attiva, sia durante

la conservazione, sia nell’esposizione agli agenti abiotici, una volta applicata

alla coltura: anche in questo caso esistono formulati specifici e più idonei al

differente utilizzo finale di un prodotto. Sono molto usate paste a base di talco,

pirofillite, kaolinite utilizzati come veicoli della sostanza attiva; altre volte sono

usati substrati veicolanti quali torba, vermiculite, lignite (Kloepper e Schroth,

1981; Vidhyasekaran et al., 1997). Gli alginati si prestano molto alla

veicolazione del microrganismo nell’ambiente ma dal momento che occorre

studiare, prodotto per prodotto, l’adatta formulazione hanno un costo finale

eccessivo. Il “Pesta” (Connick et al., 1991) è un formulato granulare che è

costituito utilizzando la tecnologia della “pasta fatta in casa”. Si prepara un in

impasto con la farina di semola e la kaolinite cui viene aggiunta la sospensione

conidica di interesse; si lavora l’impasto fino a creare una palla umida di pasta,

si tira in sfoglia e si producono degli spaghetti. Gli spaghetti seccati vengono poi

frammentati in granuli di 3-4 mm di lunghezza e 1-2 mm di diametro. Tale

formulato viene usato per prodotti micoerbicidi, per G. virens e per Trichoderma

spp. pur essendo molto efficace è molto costoso applicato a produzioni su vasta

scala, per l’elevato costo della kaolinite. Un ulteriore miglioramento verrà

apportato sostituendo la kaolinite con substrati più a buon mercato come la

bentonite. Gli amidi pregelatinizzati vengono utilizzati per formulare G. virens e

T. hamatum (Lewis et al., 1995); in tal caso l’amido viene gelatinizzato

aggiungendo 10 ml ogni 100 g di farina di mais creando delle maglie in cui

vengono intrappolati i microrganismi. Tale sistema garantisce una buona

sopravvivenza all’inoculo, è facile da produrre ed economico. I biopolimeri

sfruttano il medesimo principio degli amidi gelatinizzati per incapsulare il

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Page 27: Lotta Biologica in Agricoltura

I

microrganismo (Bok et al., 1996). Alcuni formulati sono costituiti da emulsioni

invertite in cui il microrganismo è nella fa se dispersa, circondata dalla fase

continua oleosa: tale forma garantisce una buona protezione dagli UV.

Si può influire sull’efficacia di un prodotto microbiologico grazie a additivi che

alterino lo stato nutrizionale della sostanza attiva. L’azione di Trichoderma e

Gliocladium spp. è migliore se si aggiunge crusca di grano al formulato (Elad et

al., 1980; Elad e Hadar, 1981; Lewis e Papavizas, 1985). Sono noti casi, come

per T. flavus, in cui una formulazione “povera” garantisce risultati migliori

(Fravel et al., 1995) ed altri in cui una formulazione con sostanze nutritive

specifiche come additivi avvantaggiano l’antagonista sul patogeno (Chun et al.,

1997).

La durata di un prodotto è essenziale per garantire la qualità del prodotto nel

tempo. E’ importante ridurre il tenore di ossigeno nel preparato aggiungendo

delle sostanze adsorbenti l’ossigeno, o mediante formulati sotto vuoto. E’ utile

ridurre il tenore di acqua (Connick et al., 1996) così come si possono

aggiungere agenti osmoprotettori e UV protettori (Shapiro, 1992; Shapiro e

Robertson, 1992). L’abbassamento della temperatura non sembra essere la

giusta via da perseguire, dal momento che occorrerebbe creare sistemi quali

“catene del freddo” nei canali distributivi e ciò porterebbe, con tutta probabilità,

a problemi logistici specie in un sistema a basso profilo tecnologico come quello

agricolo italiano, rappresentato da una moltitudine di piccole aziende.

7. - GENERALITA’ SU Fusarium oxysporum

7.1. – Tassonomia

Il genere Fusarium rappresenta un gruppo ubiquitario ed eterogeneo di

patogeni responsabili di numerose malattie di piante, agenti di marciumi in

numerosi ospiti e di micosi in uomini ed animali (Liddell, 1991). Il genere

Fusarium è conosciuto in tutto il mondo da fitopatologi e micologi come uno dei

generi più difficili da distinguere in specie (Snyder e Hansen, 1939) per la

elevata instabilità dei caratteri morfologici e fisiologici influenzati dall’ambiente e

27

Page 28: Lotta Biologica in Agricoltura

I

della scarsa corrispondenza tra caratteristiche morfologiche e patogenetiche

(Goidanich, 1964).

La prima pubblicazione riguardante Fusarium risale al 1809 (Link) e da allora le

classificazione sono state molte. La prima classificazione prevedeva la divisione

delle circa mille specie di Fusarium allora conosciute, in 16 sezioni

(Wollenweber e Reinking, 1935). I criteri di classificazione usati per suddividere

le sezioni riguardano la presenza o assenza dei microconidi e la loro forma, la

presenza o assenza di clamidospore, la loro disposizione sull'ifa (intercalare o

terminale), la forma dei macroconidi e la forma della cellula basale dei

macroconidi. Inoltre in ogni sezione si distinguono: specie, varietà e forme sulla

base del colore dello stroma, dell'assenza o presenza di sclerozi, del numero di

setti nei macroconidi, e delle dimensioni dei macroconidi. Il sistema di

Wollenweber e Reinking (1935) risulta oltremodo complesso se si pensa che

vengono considerati anche le differenti modalità di crescita su differenti

substrati (pura influenza ambientale) come fattore per evidenziare differenze

significative.

Sono stati successivamente sviluppati dei sistemi tassonomici alternativi quali

quello di Gerlach e Nirenberg (1982, 78 specie), di Raillo (1950, 55 specie), di

Bilai (1955, 26 specie) e di Joffe (1974, 33 specie) di Snyder e Hansen (1940, 9

specie), Messiaen e Cassini (1968, 9 specie), Matuo (1972, 10 specie) di

Gordon (1952, 26 specie), di Booth (1971, 44 specie) e di Nelson et al. (1983,

30 specie). Attualmente si fa riferimento al sistema tassonomico proposto da

Snyder e Hansen ed illustrato da Toussoun e Nelson (1976) basato sulla

suddivisione in una decina di specie. In ogni specie la “cultivar” rappresenta

l’entità morfologicamente distinta e in ogni specie vengono raggruppate insieme

in forme speciali gli individui che hanno una capacità comune di aggredire il

medesimo ospite. Nell’ambito delle forme speciali si possono ancora

distinguere le razze fisiologiche o patotipi distinguibili per la selettività

cultivarietale.

I Fusaria, di cui sia nota la forma perfetta, appartengono alla sottodivisione

Ascomycotina e all’ordine Hypocreales. Possiedono dei periteci a parete

soffice, flessibile o membranosa, e di solito brillantemente colorata. I periteci

28

Page 29: Lotta Biologica in Agricoltura

I

hanno inoltre un ostiolo ben definito (Pyrenomycetes). Sono assenti vere

parafisi libere, ma parafisi apicali che crescono verso il basso dal centro sono

state osservate in varie specie nei primi stadi di sviluppo; gli aschi sono

unitunicati, tipicamente clavati e monoamiloidi; le ascospore sono di solito

mono- o trisettate. Le specie hanno spesso due stati conidici, conosciuti come

microconidi e macroconidi; le loro modalità di formazione sono prevalentemente

enteroblastiche (o fialidiche), ma i macroconidi possono essere generati anche

in modo oloblastico. Una terza forma conidica è rappresentata dalla

clamidospora: una spora tallica dalla parete poco ispessita, presente in molte

specie e avente funzione di resistenza nell’ambiente.

Nella classificazione di Wollenweber e Reinking (1935) una delle 16 divisioni è

la Elegans in cui si ritrova la specie chiamata F. oxysporum Schlect: Fr. (Snyder

e Hansen, 1939).

Il F. oxysporum è presente in natura come saprofita e come agente di fitopatie

(tracheomicosi). Tra i F. oxysporum sono state descritte più di 120 formae

speciales, ognuna delle quali è specifica per una specie vegetale. Nell’ambito

delle diverse forme speciali si distinguono numerose razze fisiologiche o

patotipi (Armstrong e Armstrong, 1981). La divisione in forme speciali e patotipi

(Snyder e Hansen, 1940) ha un origine fisiologica basata su criteri patogenetici

e non evidenzia in modo corretto i rapporti genetici tra isolati patogeni diversi.

Sono entrambe valide le teorie secondo cui un patogeno si evolva da una

precedente forma speciale patogena o da un insieme di funghi ad attività

saprofitica. In natura si possono trovare isolati che possiedono la medesima

specificità d’ospite ma distanti geneticamente; è il caso di un Fusarium

patogeno del banano che presenta molte similitudini con F. oxysporum f. sp.

lycopersici: il fenotipo virulento, che viene acquisito in maniera indipendente dai

due isolati evidenzia un’origine polifiletica. Diversamente sono noti casi in cui i

Fusaria patogeni delle cucurbitacee sembrano derivare tutti da un unico

progenitore (Gordon e Martyn, 1997). Per studiare l’origine monofiletica o

polifiletica di una forma specializzata o di una nuova razza si devono valutare i

diversi casi con metodiche differenti.

29

Page 30: Lotta Biologica in Agricoltura

I

La comparsa di una nuova infezione in una nuova area, o di un nuovo patotipo

(razza fisiologica), può essere spiegata con il fatto che il patogeno sia stato

introdotto o che sia generato localmente. L'introduzione, non deliberata, di un

patogeno in una nuova area è disciplinata da regole di quarantena severe che

in un momento di libero scambio come quello odierno spesso vengono

superate. Spesso, l'ampia distribuzione di un isolato patogeno è da ricondurre

alla dispersione clonale di un singolo genotipo, accidentalmente introdotto; tale

ipotesi è facilmente verificabile tramite l'analisi comparativa dei VCGs: se il

nuovo patogeno è stato introdotto accidentalmente o deriva da uno preesistente

in quell’area allora, verosimilmente, non sarà compatibile con le specie

indigene.

La seconda ipotesi, invece, trova la sua spiegazione nella derivazione da una

forma preesistente o nella selezione di un individuo proveniente dalle

popolazione di isolati non patogeni di F. oxysporum. Le analisi filogenetiche

condotte con tecniche di ibridazione dimostrano, a questo riguardo, che le varie

razze di F. oxysporum f. sp. conglutinans possono essere ricondotte ad un

comune antenato (Kistler et al., 1991). Le razze fisiologiche 1, 2 e 3 di F.

oxysporum f. sp. lycopersici, tutte appartenenti al VCG 0030 (Elias e Schneider,

1991), sottoposte ad analisi con RFLP sul DNA nucleare permettono di

confermare l'associazione al VCG 0030 e di ipotizzare una derivazione delle

diverse razze, l’una dall’altra. Per F. oxysporum f. sp. dianthi l’applicazione delle

diverse tecniche di caratterizzazione molecolare (VCG, RFLP, cariotipi

elettroforetici, distribuzione degli elementi trasponibili impala e Fot1, PCR) ha

permesso di ipotizzare l'evoluzione della razza 8 a partire dalle razza 1 per la

perdita di un fattore di avirulenza (Chiocchetti et al., 1999).

7.2. - Malattie causate da Fusarium oxysporum

Sotto il nome di tracheomicosi si annoverano malattie caratterizzate dalla

prevalente localizzazione del patogeno di natura fungina nel sistema vascolare

legnoso delle piante. Molte forme speciali di F. oxysporum sono i più comuni e

diffusi agenti di tracheomicosi delle piante (tracheofusariosi). Le forme speciali

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Page 31: Lotta Biologica in Agricoltura

I

di F. oxysporum diffondono i loro propaguli per via aerea e penetrano nell'ospite

di solito attraverso il sistema radicale. F. oxysporum non presenta la forma

perfetta, ma produce tre tipi di spore asessuate: macroconidi, microconidi e

clamidospore. Queste ultime sono la forma di resistenza del patogeno che, in

presenza degli essudati radicali delle piante ospiti e delle condizioni ottimali,

rompono la quiescenza e germinano.

I sintomi tipici delle malattie vascolari includono: nanismo, appassimento,

clorosi, scolorimento vascolare, necrosi e morte della pianta. I diversi sintomi

possono comparire contemporaneamente, in successione o prevalere gli uni

sugli altri in funzione dell'ospite, del patotipo del parassita e delle condizioni

ambientali. La caratteristica più evidente e costante è l'imbrunimento

dell'apparato vascolare legnoso, che deve essere assunto come indizio

diagnostico di primo ordine. Possono essere interessate da tracheofusariosi

piante in qualsiasi stadio di sviluppo, ma sono le infezioni contratte

precocemente quelle che causano danni economici più rilevanti. Il patogeno

penetra nell'ospite attraverso le micro-ferite dell’apparato radicale, provocate da

nematodi o nelle operazioni di trapianto, i meristemi apicali e la zona di

allungamento delle giovani radici, dove la suberificazione dell'epidermide è

ancora incompleta, e la sua diffusione è di tipo intercellulare (Brandes, 1919;

Smith e Walker, 1930; Ullstrup, 1937). Durante la colonizzazione dei tessuti il

patogeno si sposta verso i vasi legnosi e una volta raggiunto l'interno del

sistema vascolare, il patogeno rimane confinato negli elementi dei vasi

xilematici, e si diffonde verticalmente nella pianta in queste cellule (Brandes,

1919; Pennypacker e Nelson, 1972; Tisdale, 1917; Ullstrupp, 1945). In un

secondo momento, il fungo penetra nelle cellule del parenchima xilematico

circostante, attraversando le punteggiature areolate sulla parete dei vasi stessi

(Pennypacker e Nelson, 1972; Phipps e Stipes, 1976). La colonizzazione del

sistema vascolare dell'ospite da parte del fungo è rapida e si osserva la

produzione di conidi liberi di muoversi nella corrente xilematica, fino a che non

incontrano i setti trasversi punteggiati, posti fra due elementi dei vasi. Non

potendo superare l’ostacolo a causa delle loro dimensioni, i conidi germinano,

superando il setto con i sottili tubuli germinativi. Oltre l’elemento xilematico il

31

Page 32: Lotta Biologica in Agricoltura

I

fungo produce conidiofori e conidi che vengono trasportati al setto successivo

dal flusso xilematico. Il processo di colonizzazione dell’ospite verso l’alto

procede “a salti”.

I Fusaria agenti di tracheomicosi, nel processo di colonizzazione dell'ospite

producono enzimi degradativi (Deese e Stahmann, 1962 e 1962, Gothoskar et

al., 1953 e 1952). Gli enzimi prodotti da questi patogeni sono in prevalenza di

tipo pectolitico con effetti di macerazione cellulare e di ostruzione dei vasi.

Le piante ospiti generalmente hanno approntato sistemi di difesa nei riguardi

della maggior parte delle forme speciali di F. oxysporum patogene. Sono in

grado di produrre gel, gomme e tille all’interno degli elementi dei vasi xilematici

(Pennypacker, 1981) e nelle cellule dell'epidermide, ipodermide e cortex delle

radici, la presenza del patogeno stimola l’ispessimento della parete in

corrispondenza dei punti di penetrazione, che possono evolvere in papille,

caratteristiche formazioni coniche, con base poggiante sull'interno della parete

cellulare, che crescono tra parete e plasmalemma in seguito a deposito di

calloso (ß-1,3-glucano) e di lignina attorno all'ifa del patogeno. Il deposito di gel

e gomme di natura pectica ed emicellulosica, che accompagna la

colonizzazione dello xilema, inizia dapprima a livello dei setti trasversi e

procede, quindi, sulle pareti laterali dei vasi. La produzione di tille nei vasi

legnosi da parte delle cellule parenchimatiche annesse ai vasi stessi, è un

ulteriore ostacolo alla diffusione del parassita vascolare. La loro formazione

sembra essere ospite-dipendente, ed è state rilevata solamente durante

l'infezione del banano (Beckman, 1969; Beckman e Zaroogian, 1967), melone e

patata dolce (Matta et al., 1996). Nel caso del banano la formazione delle

sostanze gelatinose incomincia dalla superficie superiore dei setti trasversi ed è

causata dall'ingrossamento degli stessi setti e della porzione terminale della

parete dei vasi.

Le gomme, le tille e le pareti dei vasi possono essere impregnate sia da

composti antibiotici, come i tannini, sia da altri composti fenolici rapidamente

ossidati in chinoni: questi ultimi, rilasciati dalle cellule associate ai vasi, rendono

i vasi impermeabili all'acqua e, frapponedosi negli spazi intercellulari,

32

Page 33: Lotta Biologica in Agricoltura

I

impediscono gli scambi di tossine e nutrienti tra il patogeno ed i tessuti

circostanti (Matta et al., 1996).

La formazione di gomme può dipendere da gelificazione dei prodotti di

degradazione della parete di vasi, operata dagli stessi enzimi pectolitici del

patogeno, o da enzimi della stessa pianta, attivati in risposta all'infezione. Si

ritiene che possano giocare un ruolo importante nel contenimento del patogeno

le cellule annesse ai vasi xilematici con ipertrofie, che si traducono in tilosi, con

iperplasie, in grado di delimitare e sostituire vasi o interi gruppi di vasi infetti e

tramite fenomeni degenerativi irreversibili come imbrunimenti e gommificazioni

(Matta et al., 1996).

Nella comparsa della malattia è fondamentale la velocità relativa con cui

avvengono i fenomeni di colonizzazione del patogeno e di difesa della pianta.

Se le difese sono attivate rapidamente e in modo persistente i conidi si ritrovano

in “sacche d'invasione”: gel e gomme rilevate nel garofano (Pennypacker e

Nelson, 1972), nella mimosa (Phipps e Stipes, 1976), nella patata dolce

(McClure, 1950), nel cotone (Bugbee, 1970) e nell'anguria (Nishimura, 1971),

giocano un importante ruolo nel limitare la diffusione del patogeno,

intrappolando i conidi fra gli elementi dei vasi. Tuttavia se il gel persiste

solamente per un limitato lasso di tempo, se le tille ritardano a formarsi o se non

si formano affatto, i conidi sono liberi di diffondere oltre l'occlusione vascolare, e

l'infezione si traduce in blocchi via via più estesi del trasporto xilematico

(Beckman, 1966). In virtù delle molteplici anastomosi tra vasi, che consentono il

facile aggiramento delle occlusioni, la disfunzione di una parte anche rilevante

dell'apparato vascolare del fusto non necessariamente è seguita da sintomi

esterni evidenti di appassimento e di avvizzimento. Essi diventano irrimediabili

ed evidenti quando il patogeno colonizza il sistema xilematico dei piccioli e delle

nervature fogliari, non ridondante e privo di anastomosi laterali (Matta et al.,

1996).

33

Page 34: Lotta Biologica in Agricoltura

I

7.3. - Tecniche di lotta contro le fusariosi

Le tracheomicosi ad opera di F. oxysporum arrecano danni gravi, legati

all’avvizzimento della porzione epigea della pianta, in numerosissime colture,

tra cui basilico, garofano e ciclamino. Le principali strategie di lotta alle

tracheofusariosi prevedono l’uso di fungicidi sistemici quali i benzimidazoli

(Garibaldi et al., 1986). Tale approccio porta a due tipologie di problemi che ne

limitano l’efficacia: i residui, dannosi per l’ambiente, e l’insorgenza di ceppi

resistenti, come peraltro già evidenziato per Botrytis cinerea su di versi ospiti

(Gullino e Garibaldi, 1987), a causa della specificità del meccanismo d’azione di

questi fungicidi. La fumigazione con il bromuro di metile è il mezzo più utilizzato

per l’eradicazione dei patogeni agenti di tracheomicosi e malattie telluriche

fungine. Il Protocollo di Montreal e le sue successive modificazioni recepite

dall’UE, in materia di limitazioni di impiego, hanno sancito l’anno 2005 come

data ultima, nei paesi industrializzati, per attuare l’eliminazione di tale pratica,

dannosa per lo strato di ozono atmosferico (Garibaldi e Gullino, 1995; Ristaino

e Thomas, 1997). La solarizzazione o pacciamatura riscaldante del terreno è

stata messa a punto nel 1976 in Israele (Katan, 1987). Essa si basa sul

riscaldamento del terreno nei periodi più caldi, mediante copertura con un film

plastico trasparente, così da raggiungere temperature letali per i parassiti. L’uso

della resistenza genetica (verticale e orizzontale) rappresenta lo strumento più

sicuro ed economico. Esso si basa sull’impiego di cultivar resistenti in cui il

patogeno non si insedia o non riesce a completare il ciclo di patogenicità

(Johnson, 1992).

I mezzi biologici rappresentano un ausilio, in una logica di lotta integrata, per il

contenimento delle malattie. Gli agenti di tracheofusariosi possono essere

limitati sfruttando il fenomeno naturale dei terreni repressivi. Tali fenomeni di

repressività, verso patogeni diversi, sono naturalmente presenti in terreni italiani

(Garibaldi et al., 1980) e in terreni francesi (Alabouvette et al., 1980).

L’attività antagonistica di isolati antagonisti è stata dapprima riprodotta in vitro,

con l’isolamento degli agenti antagonisti (Callegarin e Cugudda, 1983) e poi

saggiata in vaso dando risultati incoraggianti (Garibaldi et al., 1985). E’ ormai

34

Page 35: Lotta Biologica in Agricoltura

I

noto che trattamenti come la concia dei semi con Fusarium spp. antagonisti o

l’applicazione, al trapianto, a livello dell’apparato radicale di preparati a base di

clamidospore di Fusarium spp. serva per contenere, entro le soglie di danno, le

fusariosi vascolari (Minuto et al., 1997). Studi sul contenimento delle formae

speciales dianthi (Garibaldi et al., 1985), cyclaminis (Minuto et al.,1995) e

basilici (Minuto et al., 1997) di F. oxysporum sono stati compiuti dando risultati

soddisfacenti, se pure non paragonabili a quelli ottenuti con la lotta chimica. Le

strategie future sono comunque proiettate verso l’applicazione e della lotta

biologica integrandola con le altre risorse di difesa delle colture.

8. - CARATTERIZZAZIONE DI Fusarium spp. ANTAGONISti L’identificazione univoca di un microrganismo al fine di differenziarlo da altri è

una condizione essenziale per la registrazione, per la brevettazione e per

poterne seguire il destino una volta rilasciato nell’ambiente. Le tecniche

utilizzabili sono molte e, per essere efficaci ed efficienti, devono rispondere ai

requisiti di: economicità, rapidità di esecuzione e la facilità di esecuzione. Tra i

metodi utilizzati in diagnostica fitopatologica e in particolare per l’analisi dei

Fusarium spp. saprofiti sono state sviluppate: l’analisi dei gruppi di compatibilità

vegetativa, l’analisi di proteine, l’analisi isoenzimatica, la sierodiagnosi e l’analisi

degli acidi nucleici.

I Fusarium spp. possono essere suddivisibili in gruppi di compatibilità vegetativa

(VCG). La compatibilità vegetativa è la capacità dei funghi di formare

eterocarion, in seguito ad anastomosi ifale. La base genetica è normalmente

monogenica poliallelica o regolata da più loci (Leslie, 1993). Il fenomeno della

compatibilità si verifica, tra due funghi se possiedono i medesimi alleli vic

(vegetative incompatibility).

Per identificare i diversi VCG è possibile usare la diretta identificazione della

formazione dell'eterocarion tramite la complementazione fra marcatori auxotrofi,

ovvero si può verificare l’incapacità formare l'eterocarion, grazie alla formazione

di linee di "barrage" o verificando modalità di crescita caratteristiche di isolati

35

Page 36: Lotta Biologica in Agricoltura

I

parzialmente diploidi ed eterozigoti per uno o più loci vic. Nel primo caso isolati

auxotrofi, compatibili, formano un eterocarion prototrofico. Se gli isolati

appartengono a VCG differenti, non si avrà crescita prototrofica. In genere, si

usano mutanti nit spontanei isolati su substrato a base di clorato. Tale tecnica si

è rivelata particolarmente efficiente per la caratterizzazione del genere

Fusarium. Al contrario, si può utilizzare il “barrage” come criterio di

individuazione di non appartenenza ad uno specifico VCG. La metodica

prevede l’accrescimento in piastra di funghi appartenenti a VCG diversi e la

formazione di una linea di demarcazione tra i due miceli, in cui le ife, nel punto

di contatto delle due colonie, crescono una all'interno dell'altra. La comparsa del

fenomeno richiede comunque la fusione ifale, e nella zona interessata al

fenomeno ci saranno tracce della fusione “letale”. Il "barrage" consiste quindi in

una zona centrale di contatto fra ife contenente cellule morte o morenti; si può

evidenziare una linea di pigmento che si deposita in tale zona (Newhouse e

MacDonald, 1991).

La determinazione di parentela tra isolati esclusivamente tramite VCG si presta

ad errori se non viene affiancata da altre analisi. Spesso si è evidenziato che

due isolati non sono chiaramente collocabili in un VCG se questi non sono

identici. Sono stati fatti studi complementari affiancando i VCG ad analisi

biometriche (Butcher et al., 1972) a marker molecolari (Bosland e Williams,

1987; Rosewich et al., 1999). Si è quindi evidenziato che isolati appartenenti

allo stesso VCG tendono ad essere più simili fra loro di altri, appartenenti a

VCG differenti.

Nell’ambito della specie F. oxysporum sono state distinte 122 formae speciales

e per ognuna diverse razze (patotipi) in base alla capacità di infettare diverse

specie di piante. Affiancate alle formae speciales, ne esistono molte, non

patogenetiche, che non sono in grado di causare fitopatie; si tratta in genere di

isolati saprofiti, oppure di formae speciales avirulente, o isolati scarsamente

patogeni (Gordon e Okamoto, 1992; Gordon e Martyn 1997).

Se per gli isolati patogeni si riscontra una grandissima variabilità per differenza

di ospite, lo stesso non si verifica per gli isolati saprofiti difficilmente distinguibili

su base morfologica. Per quanto riguarda i VCG i Fusarium spp. saprofiti

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Page 37: Lotta Biologica in Agricoltura

I

possono essere considerati entità microbiche ecologicamente distinte in cui la

differenziazione con i VCGs sostituisce, per mancanza di specificità d’ospite il

criterio di distinzione basato sulle formae speciales. Isolati non patogeni di F.

oxysporum, colonizzanti le radici del sedano, appartengono a soli due VCG

principali (Correll et al., 1986). In base all’analisi correlata tra capacità

patogenetica e VCG si è ipotizzato che: isolati patogeni vegetativamente

compatibili possano avere un’origine monofiletica, anche se provenienti da aree

geografiche distinte e, di contro, che isolati con capacità patogeniche simili

appartenenti a VCG diversi possano avere un’origine polifiletica, cioè si siano

evoluti indipendentemente l’uno dall’altro. E' questo il caso, ad esempio, della f.

sp. dianthi, per la quale sono stati individuati ben 6 VCG diversi, tutti patogeni

su garofano (Baayen et al., 1997). L’applicazione dei VCG e l’analisi dei relativi

loci vic hanno dei risvolti negli studi di popolazione e servono come strumento

ausiliario dell’analisi molecolare. L’ipotesi di studio che sta alla base della

validazione dei VCG come strumento diagnostico riguarda l’evidenza che isolati

dello stesso gruppo di patogenicità, forma speciale, razza appartengano ad uno

o pochi VCG. Utilizzati come strumento unico possono non essere

completamente esaustivi, ma affiancati a studi di variabilità genetica con

marcatori RFLP o RAPD possono concorrere a precisare le correlazioni tra

patogenicità e filogenesi (Correll, 1991).

8.1.- Analisi delle proteine

L’analisi delle componenti biochimiche di organismi fungini è stata all’inizio

condotta sulla matrice proteica per evidenziare differenze specifiche e

subspecifiche considerando che isolati fungini coltivati in vitro producono, in

condizioni standard e in assenza di stress, le medesime proteine, a meno della

variabilità indotta a livello somaclonale. Le analisi vengono fatte normalmente

sulle proteine totali e sulle diverse frazioni proteiche presenti nei diversi

scomparti cellulari e nei diversi ambiti analizzare proteine strutturali o funzionali

(Hawksworth, 1988). L’analisi delle proteine procede per fasi distinte

riassumibili in a) concentrazione del campione fungino di partenza, b) lisi del

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Page 38: Lotta Biologica in Agricoltura

I

materiale meccanica e mediante detergenti, c) separazione delle diverse

componenti proteiche, d) separazione elettroforetica o mediante diversi tipi di

cromatografie, e) colorazione e confronto.

a) Normalmente è bene partire da micelio liofilizzato e sminuzzato per avere

una buona quantità di materiale su cui lavorare.

b) Si procede alla lisi in presenza di detergenti SDS e mediante l’aggiunta di

inibitori di proteasi come la pepstatina, l’aprotinina e la leupeptina.

c) Si effettua una prima separazione precipitando con soluzioni saline le

proteine dalle altre frazioni cellulari (membrane, pareti etc.).

d) Si carica su matrici di composizione opportuna a seconda dello scopo il

campione proteico e lo si separa in base alla carica, al pH, al peso molecolare.

e) Si colora con coloranti come il Blue Coomassie, il nitrato d’argento o si

evidenziano le proteine con reazioni immuno-colorimetriche.

Le tappe cruciali una volta ottenuto l’estratto proteico sono quelle di

separazione.

La cromatografia è stata storicamente la prima tecnica di separazione di

macromolecole anche se inizialmente veniva utilizzata per separare i pigmenti,

di natura saccaridica, estratti dai vegetali.

Esistono parecchi tipi di cromatografie ed esse sono divisibili, sulla base dei

diversi principi di separazione e sulla base dei diversi supporti. Si può utilizzare

il principio della ripartizione delle molecole in diversi solventi (polari, apolari) tra

queste si possono utilizzare supporti quali la carta o matrici composte da gel di

silice su strato sottile (TLC). Ma è possibile sfruttare i principi della

cromatografia a scambio ionico e di affinità. Normalmente le matrici per questi

due tipi di separazione vengono impaccate all’interno di colonne di

cromatografia.

Nella cromatografia su carta la fase stazionaria liquida è legata alle fibre di

cellulosa di un foglio di carta, la fase mobile passa sul foglio di carta per gravità

oppure per capillarità (Lehninger et al., 1979). ll foglio è fatto permeare, a

partire da un bordo, da una miscela di solventi ed al passaggio del liquido, le

molecole del campione proteico si separano secondo la loro solubilità relativa

nei solventi. E' una delle forme più vecchie di cromatografia e attualmente viene

38

Page 39: Lotta Biologica in Agricoltura

I

utilizzata in biochimica per dimostrare i principi cromatografici più che per vere

applicazioni.

Nella cromatografia su strato sottile la fase stazionaria, legata ad una matrice

adatta, si trova stratificata su una superficie di vetro, plastica o metallo e la fase

mobile liquida passa, per capillarità, sul sottile strato di materiale in posizione

orizzontale o verticale. Questo metodo ha il vantaggio di poter analizzare

simultaneamente più campioni.

Nella cromatografia su colonna, la fase stazionaria è attaccata ad una matrice

adatta (un supporto inerte ed insolubile), impaccata all'interno di una colonna di

vetro o di metallo, e la fase mobile viene fatta passare nella colonna per gravità,

tramite un sistema di pompe, oppure applicando gas sotto pressione. E' il

metodo cromatografico più usato.

Le diverse proteine sono in questo caso ritardate in base alle loro interazioni

con la matrice. Possono essere usati diversi principi in base alla matrice scelta,

le proteine possono essere separate in base alla carica (cromatografia a

scambio ionico), alle dimensioni (cromatografia su gel) e alle loro capacità di

legarsi a gruppi chimici particolari (cromatografia per affinità; Dean et al., 1985).

Il limite delle cromatografia era la risoluzione ma oggi, grazie anche ai nuovi

materiali disponibili, è possibile ottenere alte risoluzioni usando l’HPLC

(cromatografia liquida ad alte prestazioni; Gilbert, 1987). Si utilizzano per la

ripartizione del campione elevate forze di pressione ottenute da pompe. Le

colonne sono di metallo così da resistere alla forze di pressione usate per

risolvere i campioni. Rispetto alla cromatografia convenzionale presenta indubbi

vantaggi, oltre che in risoluzione anche nei tempi di analisi, dal momento che la

pressione velocizza il processo di separazione. Oltre alla cromatografia le

proteine possono essere separate e analizzate mediante l’elettroforesi. Questa

metodica sfrutta la differente mobilità delle macromolecole all’interno di un

campo elettrico.

La tecnica elettroforetica più utilizzata per analizzare le proteine è l’SDS-PAGE

(Hames e Rickwood, 1981). La matrice in cui avviene la separazione è un gel di

poliacrilammide, derivato dalla polimerizzazione in presenza di catalizzatori di

acrilammide e bis-acrilammide. Questo tipo di gel agisce come un setaccio

39

Page 40: Lotta Biologica in Agricoltura

I

molecolare, rallentando la migrazione delle proteine proporzionalmente alla loro

massa molecolare (Lehninger et al., 1979). I campioni proteici sono di norma

preparati in un tampone contenente SDS (sodio-dodecil solfato) e β-

mercaptoetanolo; il primo è un detergente capace di legarsi alle porzioni

idrofobiche delle proteine in maniera proporzionale alla massa, in un rapporto di

una molecola di SDS ogni due aminoacidi. Tale legame conferisce una carica

netta negativa alla proteina rendendo trascurabile la carica propria della

proteina. Il β-mercaptoetanolo è un agente riducente in grado di scindere tutti i

legami S-S, intra e inter-molecolari. L’SDS e il β-mercaptoetanolo

contribuiscono a denaturare le proteine alterandone la conformazione nativa. In

definitiva le proteine, tutte cariche allo stesso modo e linearizzate migreranno,

poste in un campo elettrico, solo in base alla differenza di peso molecolare e

verso l’anodo.

Il risultato è la separazione in bande nette del campione proteico. Le proteine

principali sono visualizzate tramite la colorazione con blu di Coomassie, mentre

le proteine meno rappresentate vengono evidenziate con il nitrato d’argento

(silver staining), che permette di visualizzare una banda contenente soltanto 10

ng di proteina. E’ possibile in tal modo confrontare i profili proteici di isolati

fungini diversi e discriminarli sulla base della presenza differenziale di proteine

specifiche.

Possono emergere profili identificativi di una specie e si possono valutare

affinità e differenze a fini tassonomici e diagnostici.

L’analisi fine delle proteine può essere migliorata purificando mediante

immunoprecipitazione con anticorpi (monoclonali o policlonali). Si effettua,

quindi, un SDS-PAGE il trasferimento su una membrana di nitrocellulosa

(Western blot) e si rileva con sistemi di chemioluminescenza. Tale metodologia

è usata di routine in ricerca di base quando si vuole studiare una proteina e le

sue associazioni con altre all’interno della cellula. Essa presuppone la

produzione a monte di un antisiero di tipo policlonale. E’ una tecnica che

richiede qualche giorno di tempo e come tale non utilizzabile per analisi

diagnostiche massali.

40

Page 41: Lotta Biologica in Agricoltura

I

Le prime applicazioni dell'analisi elettroforetica delle proteine miceliari per

l'identificazione di funghi risalgono agli anni '60. Clare (1963) analizzò gli estratti

miceliari di sei specie di Pythium dimostrando che ciascuna di esse aveva un

profilo proteico caratteristico. Lo stesso metodo fu usato per distinguere isolati

di Phytophthora cinnamomi, P. citrophthora e P. palmivora e si evidenziò isolati

diversi della stessa specie mostravano profili identici o simili tra loro,

indipendentemente dell'area geografica o dall'ospite di provenienza (Clare e

Zentmyer, 1966).

La analisi esterasica dei medesimi profili elettroforetici su P. cinnamomi, P.

citrophthora e P. palmivora, confermati essere molto simili, dimostrò un'elevata

variabilità intraspecifica (Hall et al., 1969).

Sono stati eseguiti numerosi studi comparativi su organismi dello stesso genere

o di generi strettamente correlati sulle proteine ribosomali (Adouvette-Panvier et

al., 1980; Delaunay et al., 1973; Gotz e Arnold, 1980), dimostrando che,

generalmente le proteine strutturali presentano un alto grado di conservazione

(Delaunay et al., 1973).

Numerosi estratti ribosomiali di specie di Fusarium sono stati sottoposti a SDS-

PAGE, evidenziando la presenza di circa 40 bande distinte per ogni estratto

proteico ribosomiale (Partridge, 1991). I ribosomi eucarioti, oltre gli acidi

ribonucleici, sono costituiti da 70 proteine strutturali, alcune con diversi gradi di

fosforilazione. Tali dati hanno permesso di concludere che esistono proteine

apparentemente comuni a tutte le specie di Fusarium e che un numero

maggiore di bande in comune è rilevabile in quelle specie che presentano fasi

sessualmente compatibili. La ricerca di proteine specifiche utili ai fini diagnostici

ha dato esiti positivi in F. moniliforme. dove è stato possibile caratterizzare

proteine ribosomiali specifiche (Marshall e Partridge, 1981).

L’analisi di proteine solo sulla base del peso molecolare non sempre permette

di evidenziare differenze utili ai fini diagnostici. L’analisi di proteine funzionali di

tipo isoenzimatico ha permesso di superare controversie tassonomiche, si è

rivelata utile per l’identificazione di patogeni, per analizzare la variabilità

genetica di popolazioni o la segregazione di loci genetici, in studi epidemiologici

41

Page 42: Lotta Biologica in Agricoltura

I

per monitorare la diffusione dei patogeni ed identificarne la condizione nucleare

o il livello di ploidia (Burdon e Marshall, 1983; Tooley et al., 1989)

Gli isoenzimi sono proteine con identica funzione enzimatica, ma aventi

struttura primaria differente perché codificate da alleli diversi di uno stesso

locus (allozimi), da loci genetici diversi che controllano la produzione dello

stesso enzima, oppure in seguito a modifiche post trasduzionali. Le differenze

nella struttura primaria si riflettono sulla struttura secondaria, terziaria e

quaternaria e possono essere sfruttate per discriminare sulla base della carica

e dimensione i diversi isoenzimi.

Il profilo elettroforetico di molti isoenzimi per campione definisce una “impronta

digitale” (fingerprint) e la differenziazione di un organismo da un altro si basa,

sul confronto dei fingerprint ottenuti (Micales et al., 1986). Si può esemplificare

considerando che, nell’analisi isoenzimatica, la funzione catalitica, per ogni

enzima considerato, sia la “costante” mentre la struttura sia la “variabile”. Sulla

base di differenze strutturali, direttamente correlata con la sequenza genica, si

riesce a collocare un individuo “incognito” in una specie, di cui siano noti il

fingerprint isoenzimatici.

L'analisi isoenzimatica si è rivelata utile per confermare l'appartenenza di isolati

di F. oxysporum f.sp. lycopersici (Elias e Schneider, 1992) e per isolati di F.

oxysporum f.sp. conglutinans (Bosland e Williams, 1987) a determinati gruppi di

compatibilità vegetativa. In studi tassonomici gli isoenzimi sono stati usati per

caratterizzare isolati delle razze 0, 1 e 2 di F. oxysporum f.sp. niveum, isolati di

F. oxysporum f.sp. cucumerinum, isolati di F. oxysporum f.sp. vasinfectum e F.

solani. Gli enzimi utilizzati sono stati: glucosio-6-fosfato deidrogenasi, shikimato

deidrogenasi, esterasi e fosfoglucosio isomerasi, (Biles e Martyn, 1988).

L’analisi dei profili delle α−esterasi e della β-D-glucosilasi è stata utilizzata per

diagnosticare la presenza di infezioni di Fusarium ff.spp. in piante di ciclamino e

garofano, (Kerssies et al., 1994). La aril esterasi è stata usata per, distinguere

le razze fisiologiche di F. oxysporum f.sp. dianthi (Granada et al., 1999)

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Page 43: Lotta Biologica in Agricoltura

I

8.2. – Sierodiagnosi La sierodiagnosi è una tecnica diagnostica che prevede l’accertamento della

presenza/assenza in un campione di analisi di un patogeno, in base alla

reazione di riconoscimento antigene-anticorpo.

L’anticorpo è una proteina con peso molecolare di circa 200 kD, chiamata

immunoglobulina. Le Ig utilizzate in ricerca e a scopo diagnostico sono le IgG.

Esse sono tetrameri omodimerici formati da due catene pesanti tra loro

collegate da due ponti disolfuro e due catene leggere legate ognuna ad una

catena pesante con un ponte disolfuro.

L’antigene (“anticorpo-generatore”) è una molecola che può avere

composizione chimica molto variabile e che è in grado, se inoculata in un

organismo dotato di sistema immunitario (uomo e animali), di stimolare una

reazione di tipo immunitario che sfocia nella produzione massiva da parte dei

linfociti B di IgG. Gli anticorpi hanno la caratteristica peculiare di legarsi in modo

specifico con alta affinità di legame agli antigeni che li hanno indotti. Questa

peculiarità che viene utilizzata per riconoscere determinanti specifici dei

patogeni al fine di evidenziarli.

La sierodiagnosi presenta diversi vantaggi: il basso costo, la rapidità di

esecuzione, la specificità delle reazioni e l'assenza di rischi biologici. Tra gli

svantaggi ci sono: la difficoltà, in alcuni casi, di produrre antisieri di buona

qualità, la sensibilità non sempre paragonabile a quella di altre metodiche e la

necessità di decidere ancor prima di effettuare la prova quale patogeno cercare

e di dover disporre a priori, di numerosi anticorpi diversi (Matta et al., 1996).

Gli anticorpi contro microrganismi vengono prodotti iniettando estratti fungini in

sistemi animali (topo, ratto, coniglio, gallina), con richiami ogni settimana per un

periodo di un mese, (periodo variabile nei diversi animali). Al termine di tale

trattamento si preleva il sangue, si purifica separa il siero mediante

coagulazione e si utilizza “crudo” o si sottopone a purificazione mediante

matrice cromatografica. Il siero così ottenuto è detto policlonale perché gli

anticorpi in esso contenuti riconoscono molteplici epitopi dell’antigene ed epitopi

di molecole non di interesse. Questo grado di aspecificità è stato superato

migliorando la qualità e la specificità dell’antigene utilizzato per l’inoculo; sono

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Page 44: Lotta Biologica in Agricoltura

I

stati utilizzati.precipitati proteici o estratti miceliari delle colture fungine (Gleason

et al., 1987; Gerik et al., 1987; Barker e Pitt, 1987; Mohan, 1988), sono stati

approntati antisieri contro specifiche frazioni del fungo, rappresentate da bande

specie specifiche evidenziate tramite SDS-PAGE (Poupard et al., 1991;

Sundaram et al., 1991) o da carboidrati solubili (Notermans et al., 1987;

Notermans e Kamphuis, 1990; Newton e Reglinski, 1993). La scarsa uniformità

e costanza qualitativa tra antisieri policlonali preparati a partire dallo stesso tipo

di antigene ma purificato in momenti diversi rende i risultati di una sierodiagnosi

non sempre ripetibili. Questo inconveniente può essere superato con l’adozione

di sieri monoclonali. Un antisiero è l’insieme di molecole anticorpali derivate da

diversi linfociti B. La tecnica messa a punto da Kohler e Milstein (1975) ha

permesso di ottenere ibridomi, cioè linee cellulari clonali produttrici di un singolo

anticorpo specifico. Tale metodica si avvale della fusione mediata da

polietilenglicole di linfocita B con cellule di plasmacitoma di topo mutate per la

via di salvataggio dei nucleotidi incapaci di crescere su terreno HAT (ipoxantina,

aminopterina, timidina). I linfociti B non si moltiplicano in vitro in maniera

indefinita ma sopravvivono nel terreno HAT, le cellule di mieloma si moltiplicano

indefinitamente ma non sopravvivono in terreno HAT. Gli ibridomi ottenuti con la

fusione sopravvivono su terreno HAT e si moltiplicano a dismisura. Occorre poi

selezionare, previa diluizione limite, in presenza dell’antigene il clone desiderato

utilizzando il sistema ELISA in micropiastra.

Gli ibridomi ottenuti sono propagabili come cloni individuali, ciascuno dei quali

in grado di produttore in maniera stabile e permanente un singolo tipo di

anticorpo per un unico antigene. La specificità degli anticorpi monoclonali li

rende molto più utili degli antisieri convenzionali per la maggior parte degli

scopi. Le prove sierologiche, eseguite con anticorpi monoclonali, possono

essere usate sia per diagnosi di tipo massale sia per discriminare in modo fine

sulla base di differenze proteiche intraspecifiche o tra sottospecie (Dewey e

Thornton, 1995; Dewey, 1992).

Sono state messe a punto molte tecniche usando il principio del riconoscimento

antigene-anticorpo. Tra le più datate vi sono i saggi di precipitazione o

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Page 45: Lotta Biologica in Agricoltura

I

agglutinazione che sono però stati messi a punto in patologia vegetale in un

secondo momento rispetto al campo medico.

Nella precipitazione gli anticorpi e gli antigeni, si legano e formano aggregati,

dando luogo ad un precipitato opalescente, visibile ad occhio nudo.

Per l'identificazione di ceppi di Aspergillus e Penicillium, sono state utilizzate

sferette di lattice sensibilizzate, adsorbite con anticorpi specifici per

polisaccaridi fungini extracellulari (Notermans e Kamphuis, 1990).

L'immunomicroscopia e l’analisi immunoenzimatica sono più recenti della

precipitazione e più utilizzate in diagnostica fitopatologica.

L’immunomicroscopia si avvale dell’uso di anticorpi per localizzare un patogeno

nei tessuti di una pianta colpita. Si può applicare alla microscopia ottica e a

quella elettronica.

Si deve disporre di anticorpi coniugati molecole fluorescenti, quali la

fluoresceina isotiocianato o la rodamina isotiocianato (Brayton e Colwel, 1987),

o coniugati con particelle, come sfere di oro colloidale opache agli elettroni.

Utilizzando l'immunofluorescenza, si è riusciti a distinguere clamidospore,

conidi e frammenti miceliari della razza 4 di F. oxysporum f.sp. cubense da

quelli prodotti dalla razze 1 e 2 (Wong et al., 1988).

Il limite delle tecniche immunologiche e legata all’interazione stechiometrica di

un anticorpo con un epitopo dell’antigene. Spesso il riconoscimento avviene ma

non è rilevabile: la metodologia presenta una scarsa sensibilità.

L’avvento delle tecniche immunoenzimatiche ha aumentato molto la sensibilità

dello strumento sierodiagnostico. Si utilizza un anticorpo secondario, coniugato

con un enzima, che riconosca la porzione costante (Fc) dell'anticorpo primario

usato per riconoscere l’antigene. La reazione immunologica è rivelata da una

reazione enzimatica, associata alla prima. Viene comunemente utilizzato

l'enzima fosfatasi alcalina che, in presenza di appropriati reagenti, produce

fosfato inorganico e porta alla formazione locale di un precipitato colorato. Il

precipitato rivela la posizione dell'anticorpo secondario accoppiato all'enzima e,

quindi, la posizione del complesso antigene-anticorpo a cui l'anticorpo

secondario è complessato. L’amplificazione del riconoscimento è dovuto alla

45

Page 46: Lotta Biologica in Agricoltura

I

caratteristica dell’enzima che agendo cataliticamente genera un eccesso di

prodotto visibile.

Il test ELISA (enzyme linked immunosorbent assay) è stata la tecnica originale.

Essa prevedeva l’assorbimento dell’antigene su un supporto e la sua

rivelazione con il sistema dell’anticorpo primario e del secondario coniugato.

Sono state successivamente sviluppate varianti più efficienti.

Uno dei metodi più usati è il DAS-ELISA (double antibody sandwich - enzyme

linked immunosorbent assay), che utilizza l’anticorpo primario adsorbito su una

micropiastra per legare nel pozzetto l’antigene (se presente) e il sistema

primario-secondario per la rivelazione (Vruggink e Van Vuurde, 1990). L’uso

delle micropiastre permette un’analisi dei dati mediante colorimetri e

l’elaborazione con software adeguati agevola nel caso di prove con molti

campioni

I primi anticorpi monoclonali prodotti nei confronti di spore di F. oxysporum non

permettevano di distinguere specifiche formae speciales o razze fisiologiche

(Iannelli et al.,1983). Grazie alla tecnica della tolleranza immunologica

successivamente gli stessi ricercatori produssero un antisiero capace di

distinguere, tramite ELISA, isolati di F. oxysporum f.sp. lycopersici da isolati di

F. oxysporum f.sp. dianthi (Del Sorbo, 1993). Sono stati messi a punto due

saggi, uno per il riconoscimento specifico di F. oxysporum f.sp. cucumerinum

ed un altro per tutte le specie di Fusarium (Kitagawa et al., 1989). Un’altra

applicazione dell’ELISA è stata messa a punto sviluppando un antisiero verso

F. culmorum che riconosce tutte le specie di Fusarium ma non reagisce con

altre patogeni del colletto e può essere usato per determinare la biomassa

totale delle specie di Fusarium che attaccano la regione basale dello stelo

(Beyer et al., 1993)

Il DIBA (dot immunobinding assay) è un saggio derivato dall’ELISA. Si

utilizzano membrane di nitrocellulosa come matrice adsorbente su cui si

pongono gocce dei campioni estratti. Gli antigeni contenuti nei campioni si

legano all’anticorpo legato alla matrice. Per la rivelazione si utilizzano reazioni

enzimatiche che dopo l’idrolisi di substrati opportuni liberano prodotti insolubili,

solo nei campioni positivi (Alberts et al., 1995). Arie et al. (1993) ha messo a

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Page 47: Lotta Biologica in Agricoltura

I

punto un metodo che combina la coltura fungina con i saggi immunologici per

l'identificazione dei patogeni nel terreno. Una membrana viene posta sul

substrato nutritivo contenuto in una capsula Petri, quindi viene cosparsa da una

diluizione del campione di terreno. Dopo 20 ore, si recupera la membrana che

viene sottoposta messa in contatto con l'anticorpo specifico. I propaguli dei

funghi che si sono sviluppati durante l'incubazione hanno rilasciato gli antigeni

che si sono fissati alla membrana, e possono così essere rilevati. Questa

metodica di rilevamento indiretto è stata utilizzata per rilevare F. oxysporum

f.sp. narcissi (Dewey e Thornton, 1995) e altre specie di Fusarium (Arie et al.,

1993)

8.3. - Analisi degli acidi nucleici Le metodiche descritte sino ad ora hanno l’obiettivo di evidenziare differenze tra

due o più individui per lo studio filogenetico o per l’identificazione del

microrganismo coinvolto nell’infezione e quindi presente in un determinato

campione.

La fonte di biodiversità è per definizione il DNA e tutte le tecniche diagnostiche

viste fino ad ora si basavano sull’interpretazione di differenze fenotipiche

collegate in ultima analisi a differenze intrinseche del genoma. E’ evidente che

disporre di metodologie di indagine che scrutino la “fonte di informazione”

permette di fare delle analisi più precise e maggiormente esaustive. L’analisi

degli acidi nucleici, di fatto, incominciò il suo corso nel 1944, quando Avery e i

suoi collaboratori individuarono nel DNA il materiale genetico universale e

definitivamente quando Watson e Crick scoprirono la sua struttura

tridimensionale. Da quelle prime analisi, l’indagine del DNA ha avuto

innumerevoli evoluzioni ed è entrato in modo innovativo in ogni settore della

ricerca. La diagnostica fitopatologica, con un certo ritardo, si è adeguata

adottando le moderne tecniche molecolari con rapidità crescente e

affiancandole alle tecniche già di uso corrente.

I vantaggi della diagnostica mediante analisi degli acidi nucleici risiedono nelle

caratteristiche di elevata sensibilità, specificità, nella rapidità relativa di

esecuzione e nella capacità predittiva precoce. Gli svantaggi sono legati

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Page 48: Lotta Biologica in Agricoltura

I

fondamentalmente ai costi di sviluppo delle tecniche al settore di interesse e la

mancanza di sistemi diagnostici applicabili in condizioni di campo. In un settore

come la difesa delle colture queste qualità hanno un importanza superiore agli

altri settori perché ci si trova ad operare in un ambiente fortemente condizionato

da agenti interferenti (biotici ed abiotici), in cui la disponibilità finanziaria è

spesso limitata e in cui la conoscenza tecnica media degli operatori agricoli

spesso non è sufficiente. La ricerca e l’evoluzione delle tecniche molecolari sta

progressivamente orientandosi verso la soddisfazione dei criteri ottimali di

riduzione dei costi e facilità d’uso.

Di seguito verranno considerati i principali sistemi di diagnosi fitopatologica

basati sugli acidi nucleici e le loro applicazioni per il riconoscimento di funghi

fitopatogeni.

8.3.1. - Cariotipizzazione elettroforetica L’analisi del cariotipo negli organismi fungini è possibile tramite lo studio al

microscopio ma è tecnicamente complessa per le piccole dimensioni dei

cromosomi. La mappatura genica è possibile ma presenta dei problemi legati

alla disponibilità di marcatori molecolari adeguati allo studio con incroci e

ricombinazione parasessuale (Skinner et al., 1991).

Tuttavia oggi sono disponibili tecniche per l’analisi del cariotipo basate sulla

separazione elettroforetica dei cromosomi. L’elettroforesi in campo pulsato

(PFGE: Pulsed Field Gel Electrophoresis) hanno aperto nuove prospettive per

l'analisi genetica dei microrganismi. Uno dei problemi principali, superato con il

PFGE, è stata la separazione di macromolecole (cromosomi) di dimensioni

variabili da circa 100 kb a oltre 10 Mb, non separabili in un campo elettrico

unidirezionale, in quanto la loro velocità non è più proporzionale alla lunghezza.

Le notevoli dimensioni delle molecole, inoltre, non ne consentono la migrazione

elettroforetica attraverso pori molecolari del gel di agarosio. Con l'elettroforesi in

campo pulsato si riescono a separare le macromolecole sottoponendole a

campi elettrici che si alternano in due o più direzioni (Vollrath e Davis, 1987).

Poiché, in un campo elettrico, il tempo necessario per una molecola per

48

Page 49: Lotta Biologica in Agricoltura

I

cambiare il suo orientamento spaziale in seguito è proporzionale alla sua

dimensione è possibile, separare molecole di diversa dimensione variando

l'intensità di campo la concentrazione di agarosio, il numero di vettori che si

alternano, l'angolo tra essi compreso, ed altre variabili (Mills e McCluskey,

1990).

Le evoluzioni tecniche del PFGE hanno dato origine all OFAGE (Orthogonal

Field Alternation Gel Electrophoresis) di Carle e Olson (1985), alla FIGE (Field

Inversion Gel Electrophoresis) di Carle et al. (1986) ed alla TAFE (Tranverse

Alternating Field Electrophoresis) di Gardiner et al. (1986). La tecnica, derivata,

più utilizzata per l’analisi elettroforetica del cariotipo è il CHEF (Contour-

clamped Homogenous Electric Field; Chu et al. 1986) che, utilizza 24 elettrodi

disposti attorno al gel di agarosio a formare un esagono. Tale tecnica di

migrazione permette la risoluzione delle grandi molecole cromosomiche

variando l'orientamento dell'angolo di campo fra 60° e 120°. I geli di agarosio

possono essere colorati con bromuro di etidio e le bande di DNA, osservabili

mediante l’irraggiamento con UV formano per ciascun campione il cariotipo elettroforetico. Il CHEF è stato inizialmente applicato per analizzare i cromosomi di

Saccharomyces cerevisiae (Schwartz e Cantor, 1984), ma è stata poi estesa

all’analisi di numerosi altri funghi (Mills e McCluskey, 1990). Si è potuta

evidenziare la notevole variabilità nel numero e nel peso molecolare dei

cromosomi fungini riscontrabile anche tra isolati appartenenti allo stesso

genere, specie, forma specialis e razza (Mills e McCluskey, 1990). Gli svantaggi

della tecnica sono principalmente legati ai tempi molto lunghi di separazione

elettroforetica e alla esperienza richiesta per la preparazione dei campioni. Da

un punto di vista diagnostico massale è di fatto scarsamente applicabile. E’

pero una tecnica altamente informativa se accoppiata con sonde molecolari

cromosoma-specifiche, utili per la caratterizzazione di funghi fitopatogeni.

49

Page 50: Lotta Biologica in Agricoltura

I

8.3.2. - Analisi dei profili di restrizione Le endonucleasi di restrizione sono enzimi batterici purificati che riconoscono

specificamente una sequenza, variabile da quattro a otto nucleotidi, sul DNA e

la tagliano in due frammenti. Oggi sul mercato sono disponibili oltre cento

tipologie di enzimi di restrizione ed è possibile utilizzarli come ausilio nell’analisi

a scopo diagnostico. Il numero e le dimensioni dei frammenti di restrizione

originati dal taglio di un campione di DNA riflettono direttamente la sequenza

del DNA. Si può, analizzando i profili ottenuti, separati mediante elettroforesi,

ottenere informazioni di tipo diagnostico (Magnano di San Lio et al., 1995).

L’RFLP (Restriction Fragment Length Polymorphism), si basa sul principio che

mutazioni sulla sequenza del DNA possano alterare i siti di riconoscimento degli

enzimi di restrizione e quindi generare profili elettroforetici diversi (Nathans e

Smith, 1975). L'RFLP ha permesso lo studio dei polimorfismi a livello genomico

solo nei batteri, dotati di genoma ridotto (E. coli.: 3 x 104 bp). Le elevate

dimensioni del genoma fungino, al contrario, non consentono la risoluzione di

tutti i frammenti di restrizione generati e si ottiene un profilo non informativo

(smear).

Per superare questo inconveniente si è ricorso all’analisi di frammenti digeriti

provenienti dal DNA mitocondriale o ribosomiale. Si devono comunque

utilizzare enzimi a bassa frequenza di taglio (rare cutters), per creare un ridotto

numero di bande, facilmente risolvibili per via elettroforetica.

Il DNA mitocondriale dei funghi è una molecola di DNA a doppio filamento

circolare, lunga meno di 100 kb. E’ una molecola che presenta regioni

altamente conservate e regioni altamente variabili. E', quindi una molecola che

si presta facilmente all’analisi delle relazione filogenetiche tra isolati e

popolazioni strettamente correlate (Kimura, 1968; Taylor, 1986). Nel caso

specifico di F. oxysporum (Kistler et al., 1987; Kim et al., 1990, 1991 e 1992;

Jacobson e Gordon, 1990) si è potuto organizzare isolati provenienti dalla

stessa area geografica o aventi lo stesso spettro di ospiti in gruppi

geneticamente omogenei.

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Page 51: Lotta Biologica in Agricoltura

I

I limiti applicativi dell’analisi RFLP, seppure ristretta al mtDNA, risiedono nella

scarsa sensibilità del metodo e nell’assenza di predittività: occorre sempre

coltivare il fungo in purezza per disporre di DNA altamente purificato (Magnano

di San Lio et al., 1995).

8.3.3. - Ibridazione degli acidi nucleici L’ibridazione degli acidi nucleici è un fenomeno di interazione, con diversi gradi

di specificità, tra due singoli filamenti di DNA o RNA, che costituiscono una

doppia elica stabile. E’ un fenomeno influenzato da fattori, quali l’omologia di

sequenza (complementarietà), la temperatura e la concentrazione salina: la

formazione dell’ibrido è promossa tra sequenze altamente complementari, dalle

basse temperature e bassa concentrazione salina (Schildkraut et al., 1961;

Wetmur, 1991). Il DNA bersaglio viene deposto direttamente su una membrana

di nylon o di nitrocellulosa (dot blot), o in seguito a separazione elettroforetica

su gel di agarosio di frammenti di restrizione viene trasferito alla membrana

facendolo assorbire ad essa per capillarità (Southern blot; Southern, 1975). Il

DNA, fissato alla membrana mediante irraggiamento con radiazioni U.V.,

denaturato e posto a contatto con una soluzione contenente la sonda

nucleotidica marcata a singolo filamento.

Dopo l’ibridazione si eliminano con dei lavaggi i residui di sonda che non si è

legata al DNA bersaglio. La rivelazione è condotta ponendo una lastra

autoradiografica sulla membrana che si impressiona laddove è avvenuta la

formazione dell’ibrido. La sonda ideale deve essere particolarmente specifica

con l’organismo da analizzare e non rilevare in maniera aspecifica campioni

non bersaglio. In patologia vegetale si deve porre attenzione al tipo di sequenza

scelta per costituire la sonda perchè sequenze del patogeno potrebbero

coesistere nelIa pianta, seppure a minor grado di omologia e questo potrebbe

andare a detrimento del risultato finale di analisi. La scelta può ricadere su

frammenti clonati a caso dal DNA del microrganismo da identificare, come

dimostrato in Fusarium spp. (Manicom et al., 1987), Pythium spp. (Martin, 1991)

e Ophiosphaerella herpotricha (Sauer et al., 1993), o può essere rappresentare

51

Page 52: Lotta Biologica in Agricoltura

I

sequenze altamente ripetute nel genoma bersaglio, così da permettere di

evidenziare la presenza di un numero esiguo di propaguli fungini. E’ stata

costituita una sonda costituita da un frammento di DNA mitocondriale di F.

oxysporum f.sp. niveum per distingure in F. oxysporum agenti di fusariosi

vascolari delle Cucurbitaceae, isolati appartenenti a cinque diverse formae

speciales (Kim et al., 1993). La marcatura “fredda” delle sonde ha agevolato e

reso più sicuro il lavoro dell’operatore: è stato sviluppato un sistema di sonde

marcate con fluorocromi per l'identificazione di alcune formae speciales di F.

oxysporum (Nonomura et al. 1996). In base allo scopo si possono impiegare

sonde di origine diversa: le sonde possono derivare dallo stesso organismo

(sonde omologhe) o da organismi appartenenti a specie, o in senso lato, ad

organismi diversi (sonde eterologhe; Michelmore e Hulbert, 1987). Possono

essere usate come sonde per l’ibridazione di sequenze di DNA genomico,

rDNA, mtDNA e cpDNA. Le sonde specifiche per il DNA ribosomiale, sono

particolarmente utili per l’analisi filogenetica fra gli eucarioti perché individuano

sequenze altamente conservate e presenti in centinaia di copie. Esse sono in

grado di distinguere individui a livello specifico o subspecifico (Kasuga e

Mitchelson, 1994). I minisatelliti sono sequenze genomiche ripetute in tandem,

impiegabili per differenziare isolati della stessa specie ma provenienti da

diverse aree geografiche o aventi differente attitudine parassitaria (Jeffreys et

al., 1985). Pur essendo una tecnica altamente specifica all’atto pratico le

tecniche di ibridazione molecolare si rivelano inadeguate per analisi

diagnostiche rapide e su molti individui.

L’ibridazione con sonde a DNA è spesso collegata con la tecnica PCR PCR

(Polymerase Chain Reaction). Mediante PCR è possibile fornire sequenze

nuove da utilizzare come sonde negli esperimenti di ibridazione: per

l'identificazione del fungo ectomicorrizico Tuber magnatum, è stata sviluppata

una sonda, a partire da un frammento specifico di DNA, ottenuto con

l’amplificazione RAPD (Lanfranco et al. 1993). Recentemente è stata messa a

punto una sonda specifica per rilevare F.oxysporum f. sp. basilici agente di

tracheofusariosi sul basilico (Chiocchetti et al., 1999).

52

Page 53: Lotta Biologica in Agricoltura

I

8.3.4. - PCR e applicazioni

La PCR (Polymerase Chain Reaction; Saiki et al., 1988) è un metodo

enzimatico per la sintesi in vitro di sequenze specifiche di DNA. La reazione

enzimatica ricalca, in parte, il fenomeno della replicazione del DNA nucleare: un

filamento di DNA viene ricopiato a partire da uno originale. Poichè le DNA

polimerasi, generalmente necessitano di inneschi oligonucletidici per iniziare la

sintesi si utilizza questi per determinare la specificità della reazione. Nella

miscela di reazione vengono posti a contatto in un tampone di reazione

adeguato: il DNA bersaglio (target o template), due sequenze oligonucleotidiche

di riconoscimento specifico (primer), i nucleotidi fosforilati (dNTPs), una DNA

polimerasi termostabile (Taq, isolata dal batterio termofilo Thermophilus

aquaticus). La reazione consiste in una successione di cicli composti da tre fasi

distinte in base alla temperatura di reazione: 1) denaturazione. 2) ibridazione,

3) polimerizzazione. Essa viene condotta in un ciclatore termico capace di

modificare la temperatura di reazione in modo programmato e molto

rapidamente.

1) La fase di denaturazione permette di rendere le molecole a singolo

filamento e rendere così possibili le successive fasi; di norma la temperatura

utilizzata è 94°C per un tempo variabile con le caratteristiche del DNA bersaglio

e dello scopo di analisi.

2) L'ibridazione (annealing) è la fase in cui gli oligonucletidi complementari si

possono appaiare alle sequenze del DNA bersaglio, qualora esse siano

presenti. La temperatura di questa fase è critica e varia da 35° a 68° C nelle

diverse tipologie di PCR. La temperatura di annealing viene calcolata sulla base

della temperatura di fusione dei primer.

3) La polimerizzazione avviene a 72° C, temperatura alla quale la polimerasi

è in grado di sintetizzare, incorporando nucleotidi a stampo, una catena

complementare al DNA bersaglio, creando un doppio filamento.

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Page 54: Lotta Biologica in Agricoltura

I

Queste tre fasi vengono ripetute per un numero di cicli successivi variabile tra i

30 e 45 (n) della durata ognuno di 2-5 minuti. Il risultato netto è la sintesi di 2n

copie (amplificazione) del DNA bersaglio delimitato come sequenza dai due

primer: a partire da 1 pg-25 ng di DNA bersaglio si possono produrre masse di

DNA pari a 1 µg di prodotto finale (McPherson et al., 1992; Henson e French,

1993). La reazione condotta avvalendosi di primer specifici produce un

prodotto specifico se è presente la sequenza bersaglio nel campione

analizzato se essa non è presente non si ottiene alcun prodotto amplificato.

La scelta dei primer è fondamentale ai fini diagnostici e va effettuata seguendo

gli stessi principi usati per scegliere le sonde molecolari (Oliver, 1993). Per la

scelta dei primer oggi sono disponibili dei programmi appositi che tengono

conto delle caratteristiche ottimali affinché un oligonucleotide sia adeguato dal

punto di vista termodinamico. Il grado di omologia con regioni del DNA

bersaglio è inversamente proporzionale alle dimensioni del primer, quindi è

opportuno scegliere la lunghezza del primer adottando, nel caso di omologia

massima, dimensioni di 18-30 bp. Il contenuto in guanina e citosina (G+C) deve

essere pari ad almeno il 50% del totale e particolare riguardo va posto sulle

interazioni intramolecolari e intermolecolari: le prime generano dei duplex interni

mentre le seconde formano dei duplex tra i due primer ed entrambe

sottraggono all’equilibrio gli oligonucleotidi rallentando o bloccando la reazione

(Henson e French, 1993). Le reazione di ibridazione specifiche e quelle intra- e

intermolecolari sono caratterizzate da una energia di associazione/

dissociazione che è influenzata dalla temperatura. Si può quindi conosciuti tutte

le variabili, determinare la temperatura di fusione del primer: la temperatura alla

quale il 50% degli oligonucleotidi è appaiata al DNA bersaglio.

In letteratura si ritrovano moltissimi casi di applicazioni diagnostiche della PCR

e come per tutte le tecniche sin qui discusse, anch’essa ha fatto il suo ingresso

in diagnostica fitopatologica in tempi più recenti rispetto al suo utilizzo in campo

biomedico.

La PCR è stata applicata all’amplificazione di DNA genomico e proveniente da

organelli. Nell’ambito dell’amplificazione di frammenti genomici, gli studi

filogenetici sui geni ribosomali hanno avuto grande successo per le loro

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Page 55: Lotta Biologica in Agricoltura

I

caratteristiche intrinseche di conservazione e variabilità nell’ambito degli stessi

loci e dal punto di vista tecnico per la loro abbondanza: sono presenti in copie

multiple nel genoma, il che li rende facilmente amplificabili (White et al., 1990;

Bruns et al., 1991; Lee et al., 1992; Ward et al., 1993).

I geni ribosomali negli eucarioti sono presenti in unità trascrizionali ripetute in

tandem 60-200 volte per una lunghezza complessiva di 2-30 Kb (Bruns et al.,

1991). Sono presenti nell’ordine una sequenza 18 S, una 5,8 S e una 28 S

intervallate da regioni ITS (Internal Transcribed Spacer). Nelle regione trascritte

si ritrovano regioni spaziatrici non trascritte NTS (Non Transcribed Spacer e tra

le unità trascrizionali si ritrovano le regioni IGS (Inter Genic Spacer). Tutte

queste tipologie presentano differenti gradi di conservazione, utilizzati per studi

filogenetici.

Si può utilizzare la PCR, amplificando con primer universali designati sulla

base del gene codificante l’rDNA 16S nei procarioti e il 18S per gli eucarioti: in

particolare, si sono dimostrati efficaci per la classificazione dei fitoplasmi

(procarioti), patogeni del sistema floematico (Lee et al., 1993; Gundersen e Lee,

1996). Primer disegnati sulle sequenze del rDNA 18S ha permesso

l’amplificazione del DNA di funghi endomicorrizici vescicolo-arbuscolari (VAM)

da estratti complessi, comprendenti DNA di piante e altri funghi (Simon et al.

1992).

Le regioni ITS (Internal Transcribed Spacer) permettono di ottenere maggiori

informazioni sulla variabilità genetica (White et al., 1990; O'Donnell, 1992). Le

regioni NTS e le regioni spaziatrici intergeniche (IGS) presentano un grado di

variabilità ancora maggiore. Quindi da un lato è possibile amplificare con primer

universali sequenze appartenenti a specie anche molto differenti e con le

diverse regioni spaziatrici discriminare nell’ambito della stessa specie.

Popolazioni patogene e non patogene di F. oxysporum associate alle radici

sono state distinte grazie all’analisi mediante PCR applicata alle regioni IGS

(Edel et al., 1997; Appel e Gordon, 1996). L’uso della PCR applicata alle

sequenze ribosomali è stata di aiuto nella sistematica di Fusarium e numerose

specie sono state catalogate con la PCR: F. sambucinum (O'Donnell 1992).

Sono stati messi a punto sistemi di primer per la diagnosi in tempi brevi e il

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Page 56: Lotta Biologica in Agricoltura

I

riconoscimento di tre patogeni F. culmorum, F. graminearum e F. avenaceum,

difficilmente distinguibili tra loro se presenti contemporaneamente sulla pianta

infetta (Schilling et al., 1996).

Partendo da precedenti sonde molecolari specifiche per F. oxysporum f.sp.

canariensis, agente della fusariosi della palma da dattero, da cui sono stati

disegnati primer specifici da utilizzare in analisi PCR (Plyler et al., 1999). Anche

lo studio approfondito della distribuzione dei trasposoni in F. oxysporum ha

permesso di trovare marcatori specifici. Usando le giunzioni degli elementi

trasponibili, come marcatori amplificabili mediante PCR, sono stati sviluppati

primer specifici per F. oxysporum f.sp. dianthi (Chiocchetti et al., 1999), che

consentono la distinzione delle principali razze fisiologiche del patogeno e per

F. oxysporum f.sp. albedinis, agente di fusariosi delle palme (Fernandez et al.,

1999).

La tecnica di base della reazione polimerasica a catena ha subito numerose

varianti che ne hanno ampliato l’utilizzo per ogni genere di studio. Vedremo nei

prossimi paragrafi le principali varianti a questa tecnica.

8.3.4.a. - RAPD (Random Amplified Polymorphic DNA)

Tale tecnica, con opportune variazioni, è anche chiamata AP-PCR (Arbitrarily

Primed PCR; Welsh e McClelland, 1990). Essa è utile nel caso in cui non si

abbiano informazioni preliminari sul polimorfismo genetico di un organismo e si

vogliano confrontare molti individui (Williams et al., 1991).

Si basa sull'impiego di un solo primer, in genere di 7-10 nucleotidi, per

amplificare casualmente in corrispondenza di regioni omologhe nel DNA

bersaglio. I prodotti di amplificazione che si ottengono sono imprevedibili nel

numero e nel peso molecolare ma, ottenibili con notevole ripetitività a parità di condizioni sperimentali. Gli amplimeri possono essere analizzati mediante

elettroforesi su gel di agarosio o su gel di poliacrilammide. Le condizione di

reazione sono meno stringenti che per una PCR tradizionale e prevedono:

denaturazione a 94° C, annealing a 36° C ed estensione a 72° C. I singoli cicli

sono di circa 1-2 minuti ma sono molto più elevati di numero (Williams et al.,

1990).

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Page 57: Lotta Biologica in Agricoltura

I

Nei funghi fitopatogeni, l'utilizzo dei RAPD ha consentito di differenziare razze

diverse di Cochliobolus carbonum (Jones e Dunkle, 1993), C. orbiculare (Correll

et al., 1993), P. herpotrichoides (Nicholson e Rezanoor, 1994), F. solani f.sp.

cucurbitae (Crowhurst et al., 1991), F. oxysporum f.sp. pisi (Grajál-Martín et al.,

1993), f.sp. dianthi (Manulis et al.,1994; Migheli et al., 1994 e 1996), f.sp.

vasinfectum (Assigbetse et al., 1994), f.sp. ciceris (Kelly et al., 1994) e f.sp.

basilici (Chiocchetti et al., 1999).

La tecnica RAPD può essere applicata nella sua variante SCARs (Sequence

Characterized Amplified Region; Paran e Michelmore, 1993; Gressoff, 1995).

Essa consente di risalire, tramite il clonaggio e le procedure di sequenziamento,

alla sequenza di un amplimero valutato come specifico sulla base di confronti

con altri individui. Sulla base della sequenza possono poi essere disegnati

primer specifici, come è stato fatto per la distinzione specie-specifica di isolati di

F. culmorum, F. graminearum e F. avenaceum (Schilling et al., 1996) e per la

distinzione della forma specialis basilici da altri isolati patogeni di F. oxysporum

(Chiocchetti et al., in preparazione).

8.3.4.b. - DAF (DNA Amplification Fingerprinting)

Si basa sull'uso di oligonucleotidi molto corti di 5-7 residui come primer per la

reazione di amplificazione (Caetano-Anollés et al., 1995). La probabilità che

questi primer incontrino regioni complementari sul DNA bersaglio è molto alta e

vengono quindi generate miscele di amplimeri assai più complesse. Per la

separazione dei frammenti è consigliabile l’elettroforesi su gel di

poliacrilammide ed un’analisi con programmi analizzatori di immagine per

l’identificazione delle bande. Per tale motivo questa variante della PCR non è

stata ancora applicata su larga scala per il riconoscimento di funghi

fitopatogeni, ma rappresenta un sistema di identificazione ad alta qualità

informativa, che nel caso dell’uomo è capace di discriminare tra individui

consanguinei (Caetano-Anollés et al., 1995).

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Page 58: Lotta Biologica in Agricoltura

I

8.3.4.c. - REP-PCR Essa utilizza primer specifici disegnati su sequenze ripetute e conservate nel

genoma (Versalovic et al., 1991). Le sequenze usate sono palindromiche

extrageniche ripetute (REP), le sequenze intergeniche di consenso ripetute

degli enterobatteri (ERIC) e gli elementi BOX.

I primer sono disegnati tra due elementi ripetuti adiacenti in modo da

amplificare il DNA tra loro compreso. Non sono pero da escludere fenomeni di

appaiamento con sequenze omologhe non bersaglio (Gillings e Holley, 1997).

La collezione di primer (REP, ERIC e BOX) è stata utilizzata per analizzare

diversi specie di batteri e specificamente batteri delle piante Gram positivi e

Gram negativi (Clark et al., 1998; deBruijn, 1992; Louws et al., 1994 e 1998;

Sadowsky et al., 1996). La presenza di sequenze ERIC-simili è stata ritrovata

anche in funghi quali Aspergillus: ciò ha permesso la differenziazione di isolati

strettamente correlati. In F. oxysporum è stata ritrovata la presenza di elementi

ERIC e grazie all’analisi della sua distribuzione, 60 isolati non patogeni sono

stati raggruppati in 27 tipi: risultati analoghi erano stati ottenuti con analisi RFLP

e RAPD (Edel et al.,1995).

8.3.4.d. - AFLP (Amplified Fragment Length Polymorphism)

Le potenzialità della PCR possono essere aumentate, laddove la specificità dei

primer non sia sufficiente a distinguer due o più isolati, accoppiando ad essa la

digestione enzimatica con endonucleasi di restrizione (Louws et al., 1999).

Questa tecnica è stata utilizzata con successo nel fingerprint di batteri

fitopatogeni (Bragard et al., 1997; Clerc et al., 1998; Janssen et al., 1996).

La tecnica AFLP prevede tre passaggi: 1) la digestione del DNA genomico; 2)

l’aggiunta alle estremità digerite di adattatori (linker) con sequenza

complementare al primer della successiva reazione; 3) l’amplificazione del

frammento usando due primer complementari all’adattatore e in parte, 1-2 bp,

alla sequenza bersaglio (Vos et al., 1995).

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Page 59: Lotta Biologica in Agricoltura

I

8.3.4.e. - ARDRA (Amplified Ribosomal DNA Restriction Analysis)

E’ analoga all’AFLP ma viene utilizzata per amplificare regioni di rDNA,

successivamente digerite con enzimi ad alta frequenza di taglio per determinare

la diversità e per identificare isolati dello stesso genere o specie (Louws et al.,

1999). È utilizzata nello studio della filogenesi batterica (Manceau e Horvalis,

1997; Nesme et al., 1995; Ponsonnet e Nesme, 1994; Vaneechoutte et al.,

1992) ed in diagnostica fitopatologica, dove viene usata per l'identificazione e la

classificazione di fitoplasmi (Lee et al., 1993; Schneider et al., 1993). Alcune

specie di Fusarium sono state identificate tramite l’ARDRA (Edel et al., 1996).

L’evoluzione delle tecniche di PCR ha portato ad integrare con buoni risultati le

tecniche immunodiagnostiche con quelle molecolari.

8.3.4.f. - Immunocapture Essa utilizza anticorpi monoclonali per concentrare il potyvirus del vaiolo della

prugna isolato da piante infette: in un secondo tempo il virus viene amplificato

mediante primer specifici disegnati su sequenze di RNA delle particelle virali

(Wetzel et al., 1992).

Per l’identificazione di Salmonella in alcuni campioni sono state utilizzate

particelle magnetiche adsorbite con anticorpi, al fine di concentrare il batterio e

quindi è stata eseguita l’amplificazione con primer specifici (Widjojoatmodjo et

al., 1991).

8.3.4.g. - Immuno-PCR L’individuazione del patogeno è legata all’anticorpo. La sensibilità della

reazione immunologica viene aumentata coniugando l’anticorpo con una

sequenza di DNA mediante un ponte molecolare proteina A-streptavidina-

biotina (Sano et al., 1992). Viene effettuata una reazione di PCR sulla

sequenza etichetta (Henson e French, 1993). La sensibilità della reazione è

aumentata anche di 250 volte rispetto ad un’amplificazione diretta dei virus

vegetali (Wetzel et al., 1992). L’immuno-PCR oltre alla potenzialità intrinseca

della tecnica non richiede la conoscenza di una specifica sequenza del

patogeno ma richiede solo che si disponga di un anticorpo specifico.

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Page 60: Lotta Biologica in Agricoltura

I

I vantaggi in termini di sensibilità della PCR non sono comparabili nessun’altra

tecnica oggi a disposizione. La PCR presenta, però, determinati difetti che

possono precluderne un uso corretto.

Pur essendo altamente specifica si presta ad evidenziare dei falsi positivi, in

genere legati a problemi di contaminazione da acidi nucleici derivate da

precedenti manipolazioni nell’ambiente di lavoro. La presenza di inibitori della

reazione può generare falsi negativi. Per ovviare alle contaminazioni è

necessario seguire una serie di pratiche di laboratorio che tendano a

minimizzare questi eventi e approntare sistemi di decontaminazione da DNA di

tipo preventivo. Per il problema degli inibitori occorre mettere a punto metodi di

estrazione del DNA bersaglio rapidi, puliti e di facile attuazione a partire da

tessuti vegetali infetti o dal terreno.

Il problema che forse più limitava l’utilizzo della PCR su vasta scala era la

disponibilità di sistemi di automazione, come avvenuto per l’ELISA, per analisi

di un gran numero di campioni. Sono noti da tempo ed ora reperibili sul mercato

dei sistemi automatici di amplificazione che permettono l’analisi degli amplificati

senza ricorrere all’elettroforesi su gel d’agarosio che mediante l’uso di

fluorocromi.

8.3.4.h. - Automatizzazione della PCR Le tecnologie disponibili riguardano la polarizzazione in fluorescenza (Gibson

et al., 1997), il sistena TaqMan™ (Holland et al., 1991; Livak et al., 1995) e i

Molecular Beacons (Tyagi e Kramer, 1996; Tyagi et al., 1998). I molecular

beacons sono sonde oligonucleotidiche coniugate alle due estremità con un

fluoroforo ed una molecola "quencher". Quando la sonda non è ibridata al DNA

bersaglio, adotta, in soluzione, una conformazione a forcina; e cosi strutturata il

fluoroforo ed il "quencher" vengono a trovarsi appaiati: quest’ultimo assorbe la

radiazione del fluoroforo. In questo modo la sonda è incapace di emettere

fluorescenza. Quando, invece, la sonda incontra la molecola bersaglio, si forma

un ibrido più stabile della forcina, la cui rigidità e lunghezza precludono

l'appaiamento dei terminali ed il fluoroforo, non più appaiato al quencher, può

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Page 61: Lotta Biologica in Agricoltura

I

emettere la radiazione luminosa, che aumenta fino a 100 volte (Bonnet et al.,

1999).

I "molecular beacons" hanno finora trovato ampio utilizzo in campo biomedico e

in genetica umana (Tyagi et al., 1998; Kostrikis et al., 1998 e 1998), nello studio

di retrovirus (Vet et al., 1999), in ecologia (Schofield et al., 1997) e nella

localizzazione di specifico RNA all'interno di cellule viventi (Matsuo, 1998).

Il sistema antagonista del TaqMan™ è il sistema LightCycler™ messo a punto

dalla Roche. Esso sfrutta la fluorescenza emessa da un agente intercalante, il

SYBR® Green I, che è in grado di legarsi al solco minore della doppia elica del

DNA. Questa molecola, intercalandosi al DNA, emette un segnale che diviene

sempre crescente finche la reazione di PCR prosegue e nuove molecole

diventano disponibili per il marcatore. Permette quindi di seguire in tempo reale

una reazione di PCR e di fornire, previa costituzione di curve di taratura, un

risultato quantitativo.

9. - ELEMENTI TRASPONIBILI La prima prova di esistenza dei trasposoni risale al 1956. Barbara McClintock

(1956), una studiosa statunitense, osservando delle pannocchie di mais, scoprì

che alcune cariossidi che erano prive di colore, o che erano colorate a macchie

ritornavano al fenotipo iniziale dopo un certo periodo di tempo. Suppose che si

il fenotipo revertante fosse indotto da geni che si spostavano, e li battezzò

“jumping genes”. All’inizio il fenomeno non venne compreso in termini

molecolari e solo molti anni dopo, con l’isolamento dellelemento Ac in mais

nell’allele wx-n7, si riusci a spiegare il ruolo dei trasposoni in quella bizzarra

mutazione (Behrens et al., 1984).

I trasposoni sono sequenze discrete di DNA capaci di spostarsi direttamente da

un locus ad un altro del genoma. “Il salto” del trasposone è in genere un evento

raro ma può aumentare di frequenza sotto stimoli ambientali che inducano

stress nella cellula. L’effetto dello spostamento di un elemento mobile è una

mutazione che interessa grandi regioni del genoma. In seguito ad un salto si

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Page 62: Lotta Biologica in Agricoltura

I

possono creare inserzioni, delezioni, duplicazioni, inversioni, traslocazioni e

riarrangiamenti genici e cromosomici. La mutazione più frequente si verifica

quando un trasposone viene escisso e si integra in un locus genico,

alterandolo. Tale cambiamento può portare ad attivazione o inattivazione di

allelica a seconda del punto di inserzione dell’elemento mobile. Tuttavia sono

stati fatti studi che dimostrano un ruolo attivo dei trasposoni nel riarrangiamento

genico e nell’evoluzione (Berge e Howe, 1989).

Dai tempi della prima scoperta (McClintock, 1956), i trasposoni sono stati

oggetto intenso di studio per le potenziali capacità mutagene e di veicolazione

di DNA. Fin'ora, sono stati ritrovati trasposoni in tutti gli organismi viventi in cui

si sono cercati.

9.1. - Tipologie di elementi trasponibili Gli elementi trasponibili sono stati divisi in tre classi da Finnegan (1989) sulla

base del loro differente meccanismo di trasposizione. La classe I comprende

tutti gli elementi che si traspongono mediante un la trascrizione inversa di un

intermedio a RNA. La classe II comprende tutti gli elementi che si traspongono

mediante trasposizione con intermedio a DNA (trasposoni di tipo batterico).

Esistono tuttavia elementi mobili che non rientrano in tali modelli e rientrano

nell’insieme degli elementi non classificabili. Nei paragrafi seguenti se ne

darà una breve descrizione.

9.2. -Elementi mobili di classe I Tali elementi si traspongono tramite un intermedio a RNA che viene trascritto in

una copia di DNA (cDNA) tramite una trascrittasi inversa il cui gene è spesso

codificato dallo stesso elemento mobile. Per tale modalità sono chiamati più

semplicemente retrotrasposoni. Essi sono divisibili in base alla caratteristiche

strutturali primarie in: retrotrasposoni con LTR (A) e retrotrasposoni sprovvisti di

LTR (B).

A) I retrotrasposoni con LTR si distinguono dagli altri perché portano

sequenze alle estremità di 334 bp orientate nello stesso verso. Le sequenze

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Page 63: Lotta Biologica in Agricoltura

I

LTR (long terminal repeats) hanno la funzione di promotori forti. Sono note due

tipologie di retrotrasposoni: la famiglia Ty3 e la famiglia Ty1/copia. Gli elementi della famiglia Ty3 presentano i domini codificanti per la

poliproteina pol in un ordine simile a quello ritrovato nei retrovirus e

generalmente presentano una cornice di lettura supplementare che codifica per

una proteina simile a env dei retrovirus (Finnegan, 1994). Tra i più noti v’è il

retrotrasposone gipsy, oggi considerato un retrovirus.

Gli elementi Ty1/copia prendono il loro nome dai due retrotrasposoni identificati

in per la prima volta in lievito e presentano, rispetto a Ty3, una diversa

organizzazione dei domini del gene pol

B) I retrotrasposoni sprovvisti di LTR non possiedono sequenze promotori forti

alle estremità ma presentano al 3' di una sequenza di poly A o poly A/T. Sono

stati ritrovati nella maggior parte degli organismi eucarioti e sono presenti nel

genoma in migliaia di copie. Tra i retrotrasposoni privi di LTR ci sono il gruppo

dei SINEs, dei LINEs e gli pseudogeni I SINEs (Short Interspersed Elements) sono elementi mobili di piccola taglia

che hanno perso la di codificare proteine (Deininger, 1989). Tra i SINEs le

sequenze AluI sono quelle più presenti nel genoma dei primati (Houck et al.,

1979).

I LINEs (Long Interspersed Elments) sono sequenze identificate per la prima

volta nei mammiferi (Hutchinson, 1989). Contengono frequentemente due

cornici di lettura aperte simili ai geni gag e pol dei retrovirus.

Gli pseudogeni sono geni non funzionali con sequenza strettamente correlata

ai normali geni funzionali. Essi mancano di sequenze regolatrici non presentano

introni e presentano una coda di polyA al 3’. Sono probabilmente legati

all’integrazione nel genoma di mRNA, ricopiato in cDNA, per trascrizione

inversa.

9.3. - Elementi di classe II Si traspongono con un meccanismo DNA/DNA e possiedono alle estremità 5’ e

3’ sequenze terminali ripetute e invertite di lunghezza variabile a seconda

dell’elemento (ITR). Tra le sequenze ripetute terminali si ritrova un gene per

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Page 64: Lotta Biologica in Agricoltura

I

necessario la trasposizione, codificante per l’enzima trasposasi. Sono stati i

primi trasposoni ad essere scoperti e sono tipici degli organismi procarioti.

Esistono le sequenze di inserzione (IS) identificate analizzando mutazioni

spontanee e i trasposoni Tn implicati nella trasmissione di resistenza agli

antibiotici.

La struttura delle sequenze IS è formata da una regione centrale codificante

(trasposasi), e due regioni terminali ove sono poste due sequenze ripetute e

invertite (ITR).

I trasposoni batterici posseggono o una struttura semplice simile a quella delle

IS ad eccezione della presenza di geni supplementari (ad esempio Tn3;

Sheratt, 1989), oppure una struttura più complessa (trasposoni composti) dove

la regione centrale codificante è fiancheggiata da due IS. Il Tn10 presenta alle

estremità due copie di IS10 (Kleckner, 1989).

Negli eucarioti sono presenti un gran numero di trasposoni di classe II e la loro

struttura è simile a quella delle IS dei batteri. Possono essere suddivisi in due

sottoclassi: gli elementi contenenti il dominio DDE o non contenenti il dominio

DDE (Capy et al., 1998).

Il dominio DDE è la sequenza codificante per una proteina indispensabile allo

svolgimento della funzione catalitica della trasposasi. Il dominio presenta tre

aminoacidi invarianti, due acidi aspartici (D) distanti 90 aminoacidi e un acido

glutammico (E) separato dall' ultimo aspartato di 34 o 35 residui aminoacidici.

E’ un dominio abbastanza conservato e lo si ritrova in alcune famiglie di IS e

nelle integrasi dei retroelementi (Fayet et al., 1990; Kulkosky et al., 1992).

Nell’ambito degli elementi provvisti di dominio DDE si ritrova la superfamiglia

degli elementi Tc1-mariner. Ad essa appartengono gli elementi di tipo Tc1

(TLE) scoperti in Caenorhabditis elegans (Emmons et al., 1983) e gli elementi

mariner (MLE), ritrovati per la prima volta in Drosophila mauritiana (Jacobson

et al., 1986). Sono elementi ubiquitari e rappresentati in tutti i tipi di organismi

nei protozoi, nell'uomo, nei funghi e recentemente sono stati identificati in una

pianta (Jarvik e Lark, 1998). Hanno una lunghezza limitata e si inseriscono in

sequenze in cui è presente un dinucleotide specifico (TA). Codificano

generalmente per la sola trasposasi di circa 350 aminoacidi. Gli elementi

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Page 65: Lotta Biologica in Agricoltura

I

mariner hanno motivi terminali variabili ma la lunghezza delle ITR è costante

(24-30 bp).

Tra gli elementi con dominio DDE sono state ritrovate sequenze raggruppabili

nella superfamiglia Pogo:

Sulla base della similitudine delle sequenze nella regione del dominio DDE,

Smit e Riggs (1996) hanno recentemente raggruppato in una sola famiglia gli

elementi pogo di D. melanogaster (Tudor et al., 1992), tiggers1 e 2 nell' uomo

(Smit e Riggs , 1996; Robertson 1996), Tc4 e Tc5 dei nematodi (Moermann e

Waterson, 1989) e l' elemento Fot1 del fungo F. oxysporum (Daboussi et al.,

1992),

La seconda categoria di elementi di Classe II sono quelli senza DDE. Tra

questi, la superfamiglia hAT che proviene dal raggruppamento degli elementi

hobo di Drosophila, Ac di mais e Tam3 della bocca di leone (Calvi et al., 1991).

Sono elementi ubiquitari presenti nelle piante, negli insetti, nei pesci, nei

nematodi, nei funghi (Kempken e Kuck, 1996). Tutti hanno delle sequenze ITR

corte e motivi subterminali ripetuti, un sito di inserzione duplicato di 8 bp, e

omologia di sequenza nella regione C-terminale della trasposasi (Calvi et al.,

1991).

La superfamiglia degli elementi P prende il nome dal primo elemento

identificato in Drosophila. E’ lungo 2,9 Kb, presenta ITR di 31bp e possiede 4

esoni codificanti per la trasposasi (Engels, 1989). L'elemento è attivo solo nelle

cellule della linea germinale dell’insetto. Attualmente sono stati trovati in

drosofilidi e in qualche altro dittero (Kidwell, 1994)

La superfamiglia CACTA è presente solo nelle piante. Questi elementi hanno

ITR che iniziano con la sequenza CACTA. Fino ad oggi sono stati ritrovati En

(Spm) in mais (Gierl, 1996), Tam1 nella bocca di leone (Nacken et al., 1991),

Tgm in soia (Vodkin et al., 1996), nel pisello Pis1 (Shirsat, 1988), Tnr3 nel riso

(Motohashi et al., 1996).

L'elemento Mu è stato identificato in una linea particolarmente instabile di mais

(Robertson, 1978), questa famiglia comprende più sottofamiglie composte di

elementi attivi e inattivi che presentano tra loro omologie delle ITR di circa 200

bp (Young et al., 1994).

65

Page 66: Lotta Biologica in Agricoltura

I

9.4. - Elementi non classificabili

Questi elementi non sono chiaramente classificabili perché non ci sono

sufficienti informazioni sulla loro modalità di trasposizione. Possiedono ITR più

o meno lunghe e ciò suggerisce una similitudine con gli elementi trasponibili di

classe II.

Tra i diversi gruppi ci sono i Foldback (FB) che, identificati in Drosophila,

costituiscono una famiglia eterogenea nella struttura. Hanno lunghe ripetizioni

terminali invertite, costituite da numerose ripetizioni in tandem di sequenze da

10 a 31 bp (Bingham e Zachar, 1989). Sono presenti nel riccio di mare

(Liebermanne et al., 1983), nei nematodi (Yuan et al., 1991), nelle piante

(Oosumi e Belknap, 1997). La grande diffusione suggerisce che siano ubiquitari

tra gli eucarioti.

Gli elementi MITE (Miniature Inverted Transposable Elements) sono stati

identificati per la prima volta in pianta (Bureau e Wessler, 1992). Hanno una

sequenza relativamente breve, non hanno capacità codificante e non esistono

prove dirette e indirette della loro trasposizione. Presentano, tuttavia come gli

elementi di classe II, delle ripetizioni terminali invertite di circa 20 bp, sono ricchi

in TA (Bureau et al., 1996). Sono stati trovati nei funghi filamentosi (Yeadon e

Catcheside, 1995), nell' uomo (Morgan, 1995) e nella mosca della febbre gialla

(Tu, 1997).

10. - GLI ELEMENTI TRASPONIBILI IN FUSARIUM OXYSPORUM Nel genoma di F. oxysporum sono state trovate almeno sei famiglie diverse di

elementi mobili appartenenti alla classe dei trasposoni batterici e dei

retrotrasposoni. Sono stati identificati mediante il clonaggio in sequenze ripetute

(elementi Foret1 e Palm) e mediante l’inserzione nel gene per la nitrato riduttasi

(elementi Fot1, Fot2, impala e Hop)

Foret1 è un retrotrasposone provvisto di LTR e possiede sequenze interne alle

LTR omologhe ai geni retrovirali pol. L’elemento isolato è difettivo per la

66

Page 67: Lotta Biologica in Agricoltura

I

trasposizione e sequenziato ha evidenziato una sequenza mutata con molti

stop codon e mutazioni “frameshift” (Julien et al., 1992)

L’elemento Palm è un retrotrasposone con LTR di tipo LINE isolato da un F.

oxysporum f.sp. elaeidis che attacca la palma da olio, durante un analisi di

popolazioni per fingerprinting (Mouyna et al., 1996). Nel genoma di F.

oxysporum sono presenti inoltre i trasposoni di tipo batterico Fot1, Fot2, impala

e Hop. Hanno la stesa struttura formata da due ITR lunghe da 27 a 96 bp e una

regione centrale che codifica in modo putativo per una trasposasi. Si possono

distinguere per la modalità di duplicazione del sito di inserzione in due gruppi:

Fot1, Fot2 e impala duplicano un dinucleotide TA mentre Hop si distingue dagli

altri.

Fot1 è presente in circa 100 copie in alcuni genomi di isolati di campo. E’ lungo

1928 bp possiede ITR di 44 bp e la regione centrale codifica per una trasposasi

il cui mRNA misura 1.6 kb. E’ una famiglia molto omogenea di trasposoni e fa

parte della superfamiglia degli elementi Tc1 di Caenorhabditis elegans.

Fot2 è presente in circa 100 copie in alcuni genomi di isolati di campo. E’ lungo

2.1 kb e possiede ITR di 66 bp. Le ITR hanno 25 bp che sono omologhe con

quelle di Fot1 e si verosimilmente tra loro correlati.

L’elemento impala è stato isolato, per la prima volta, in due mutanti niaD

(Langin et al., 1995); E’ lungo 1280 bp, ha ITR di 27 bp ed ha una regione

centrale contenente una ORF priva di introni. Il polipeptide dedotto dall'analisi

dell’ORF rivela delle similitudine con le trasposasi degli elementi della

superfamiglia Tc1-mariner, come pure le sequenze ITR. Le copie di impala

presentano spesso polimorfismo di dimensioni e di profilo di restrizione,

identificabili nelle tre sottofamiglie E, D, F che raggruppano al loro interno le

differenti strutture degli elementi impala finora caratterizzati (Hua-Van et

al.,1998). La famiglia di impala presenta poche copie sparse per il genoma (1-

6).

L’elemento Hop è lungo 3.5bp ed ha ITR di 96 bp. Durante i fenomeni di

escissione-integrazione produce una duplicazione di 7 bp, ritrovata nel gene

niaD.

67

Page 68: Lotta Biologica in Agricoltura

I

11. - SCOPO DEL LAVORO

Sono ormai in aumento gli agenti di contenimento biologico messi in

commercio, tra i quali anche isolati attivi di F. oxysporum. Come è stato

discusso nel capitolo precedente, un microrganismo, usato per la lotta

biologica, è assimilabile ad un prodotto fitosanitario e come tale deve essere

sottoposto alla legislazione vigente valevole per i fitofarmaci (Decreto

Legislativo numero 194 del 17/5/95). Uno dei requisiti principali per un

microrganismo è la sua identificabilità e distinguibilità da quelli presenti

nell’ambiente o immessi dall’uomo in maniera deliberata, nonché la sua

rintracciabilità, così da poter seguire il suo destino nello spazio e nel tempo. A

tal fine è stata provata la strada dell’etichettatura genica, con geni codificanti

per la resistenza all’antibiotico igromicina e al fungicida benomyl, inserite

mediante processi di trasformazione. Il ricorso alla modificazione genica ha

fornito le possibilità di individuare un isolato anche molti mesi dopo il suo

rilascio (Gullino et al., 1995; Gullino e Migheli, 1999). I funghi così modificati

rientrano però sotto la disciplina del Decreto Legislativo 91/93 e sono, quindi,

sottoposti a molteplici restrizioni che ne limitano lo sfruttamento economico. Si è

pensato, quindi, di adottare una strategia non modificativa per i ceppi

antagonisti con più elevata capacità di contenimento biologico. Per le sue

potenzialità di sensibilità, economicità e rapidità si è scelto di adottare la PCR

(Saiki et al., 1988).

In questo lavoro si è voluto caratterizzare un insieme di isolati antagonisti di F.

oxysporum per poterli distinguere, in maniera univoca, ai fini della registrazione

o di un eventuale protezione brevettuale. L’identificazione mediante l’analisi

degli acidi nucleici rende più efficienti e agevoli le procedure di valutazione del

rischio, richieste dalla legge a seguito dell’immissione deliberata nell’ambiente

di un microrganismo. A questo proposito, è stata fatta, dapprima, un’analisi

mediante la tecnica RAPD per caratterizzare tutti gli isolati antagonisti e

successivamente si è cercato di isolare una sequenza caratteristica per gli

isolati 233/2 e 245 wt, dotati di buona attività antagonistica.

68

Page 69: Lotta Biologica in Agricoltura

I

L’analisi RAPD non ha permesso l’individuazione di una banda unica e non si è

potuto applicare la strategia SCAR per gli isolati prescelti (vedi il paragrafo

8.3.4.a., cap.1). Si è quindi optato per la costituzione di primer specifici

disegnati sulle regioni fiancheggianti di inserzioni uniche degli elementi

trasponibili impala e Fot1, come nei lavori precedenti su Fusarium oxysporum f.

sp. albedinis (Fernandez et al., 1999) e su Fusarium oxysporum f.sp. dianthi

(Chiocchetti et al., 1999). Si scelto di concentrarsi maggiormente sul trasposone

impala analizzandone la distribuzione nei diversi isolati per evidenziare bande

specifiche e distinte da quelle presenti nelle diverse forme speciali così da

usarle per costruire gli oligonucleotidi specifici.

69

Page 70: Lotta Biologica in Agricoltura

II

CAPITOLO 2

2. - MATERIALI E METODI.

2.1. - Isolati fungini utilizzati Per l’analisi tramite Southern blot, la PCR inversa, le prove di PCR e i RAPD, è

stata usata una collezione di F. oxysporum saprofiti, isolati da terreni repressivi

liguri e dotati attività antagonistica verso diverse formae speciales di F.

oxysporum. Sono stati inclusi nel lavoro anche i singoli rappresentanti di F.

oxysporum ff.spp. basilici, canariensis, cepae, cyclaminis, gladioli, lilii,

lycopersici, melonis, pisi, radicis-lycopersici e tulipae.

La collezione è mantenuta presso il Di.Va.P.R.A.- PatoIogia Vegetale, Facoltà

di Agraria di Torino su agar patata-destrosio (PDA) sotto olio minerale a 12°C

(Tabella 1).

2.2. - Coltura degli isolati fungini e liofilizzazione

Con un’ansa sterile, lavorando sotto cappa a flusso laminare orizzontale, si

preleva un frammento di micelio da un tubo contenente PDA (vedi «Soluzioni e

Terreni»), e Io si trasferisce in capsule Petri contenenti idrolizzato di caseina. Le

colture liquide vengono mantenute a temperatura ambiente o in incubatore a

24°C senza agitazione per un periodo di 5-7 giorni. Il micelio viene

successivamente filtrato, per eliminare residui di terreno di crescita e di acqua,

trasferendolo in un filtro di porcellana del diametro di circa 10 cm, contenente

sul fondo una membrana di nylon con pori del diametro di 100 µm (entrambi

precedentemente autoclavati) e adagiato su una beuta collegata ad una pompa

a vuoto (BioRad). Dopo l'operazione il micelio ottenuto viene trasferito su carta

bibula sterile e quando è ben asciutto viene messo in una capsula Petri sterile e

congelato mediante azoto liquido (-196°C, vedi «Soluzioni e Terreni»). Le

capsule vengono conservate a -80°C per 15 minuti, quindi si trasferiscono nel

70

Page 71: Lotta Biologica in Agricoltura

II

liofilizzatore (Heto) per 2-3 giorni. Il micelio liofilizzato viene conservato in tubi

da 4 ml a -20°C.

2.3. - Estrazione di DNA genomico

2.3.1. - Estrazione di DNA genomico da micelio liofilizzato Si preleva circa 0,5 g di micelio liofilizzato che viene frammentato tramite un

pestello in microprovette eppendorf da 2 ml; si risospende in 1 ml di soluzione

di lisi (vedi «Soluzioni e Terreni»), quindi viene incubato a 37°C per 30 minuti in

un bagnetto termostatico (VELP Scientifica). Dopo l'incubazione e l'inattivazione

dell'enzima a 70 °C per 15 minuti, vengono aggiunti 100 µl di acetato di

potassio 5M, miscelati con l'aiuto del vortex e posti in un bagno di ghiaccio per

30 minuti. I campioni vengono poi centrifugati a 13000 r.p.m. per 15 minuti in

una microcentrifuga (Sanyo), il surnatante viene estratto con un volume di

fenolo : cloroformio : isoamilalcool (25:24:1) (Sigma) e i tubi vengono posti su

un agitatore basculante (Platform shaker STR6, Stuart Scientific) per almeno 15

minuti, centrifugati a 13000 r.p.m. per 15 minuti sotto cappa chimica; il

surnatante prelevato viene posto in una nuova eppendorf cui viene aggiunto

mezzo volume di acetato di ammonio 7,5 M (vedi «Soluzioni e Terreni»). Dopo

15 minuti in un bagno di ghiaccio e la centrifugazione a 13000 r.p.m. per altri 15

minuti, al sumatante prelevato viene aggiunto un volume di isopropanolo

(Merck). Il DNA, sotto forma di gomitolo biancastro, viene trasferito in una

nuova eppendorf contenente 1 ml di etanolo (Merck) 75% freddo e centrifugato

per 5 minuti a 13000 r.p.m.. Viene aspirato il surnatante e lasciato asciugare il

pellet, quest'ultimo viene risospeso in 200 µl di TE pH 8 (vedi «Soluzioni e

Terreni») e incubato a 65°C per una più rapida risolubilizzazione. Il DNA viene

poi conservato a 4 °C per ulteriori manipolazioni.

2.3.2. - Estrazione di DNA rapida da impiegare in reazioni di PCR E' possibile ottenere un'amplificazione di DNA mediante la PCR partendo da

poche copie di DNA stampo; è perciò utile disporre di un metodo di estrazione

71

Page 72: Lotta Biologica in Agricoltura

II

rapido. Si preleva un cm quadrato di micelio da isolati cresciuti su PDA e si

frantuma con un pestello in una microprovetta, cui era stata aggiunta un volume

di 300 µl di soluzione L (vedi «Soluzioni e Terreni»). La microprovetta viene poi

passata in azoto liquido, quindi in acqua per alcuni istanti: tale procedimento

viene ripetuto per tre volte, per facilitare l’estrazione del DNA. Si procede alla

bollitura per 10 minuti del campione e alla sua centrifugazione per 5 minuti a

13000 r.p.m. Vengono prelevati 200 µl di surnatante che viene poi utilizzato

come DNA-stampo per le reazioni di PCR.

2.3.3. - Preparazione di un gel di agaroso I DNA estratti vengono separati su un gel di agaroso (Sea Kem) 0,8% ottenuto

sciogliendo, nelle adeguate proporzioni, agaroso in TAE 1X (vedi «Soluzioni e

Terreni») ed aggiungendo 1 µl/100 mI di bromuro di etidio (10 mg/ml, Sigma).,

Si utilizzano 5 µl di 1 kb Ladder (GibcoBRL), avente bande di peso molecolare

comprese tra 500 bp e 12000 bp, così da quantificare visivamente il DNA

estratto Si aggiunge ad ogni campione il tampone di carica 6X (vedi «Soluzioni

e Terreni»), quindi si caricano i pozzetti del gel, già posto nella vaschetta

elettroforetica contenente TAE 1X, con 1µl di campione. Si applica una

differenza di potenziale tra gli elettrodi pari a circa 100 V e si effettua la

migrazione del DNA. Alla fine della corsa elettroforetica le immagini sono

rilevate con il Gel Doc 1000 Molecular Analyst (Bio-Rad). La quantificazione del

DNA estratto avviene confrontando l'intensità della banda di DNA estratto con il

segnale del Ladder di taglia 1.6 kb (50 ng)

2.4. - Southern blot 2.4.1. - Digestione del DNA genomico e precipitazione

Vengono digeriti circa 10 µg di DNA genomico con 50 U di Xho I o Bgl II a 37

°C per 16 ore in un volume di 100-200 µl. Un'aliquota di 5 µl viene prelevata al

termine del tempo di incubazione e controllata su gel di agaroso per verificarne

l’avvenuta digestione. Il DNA viene successivamente precipitato con 1/10 di

72

Page 73: Lotta Biologica in Agricoltura

II

volume, della reazione di digestione, di sodio acetato 3M pH 5,2 (vedi

«Soluzioni e Terreni») e 2 volumi di etanolo 96% pre-refrigerato a –20 °C. Le

microprovette vengono mantenute a –80 °C per 30 minuti e poi centrifugate a

13000 r.p.m. per 15 minuti a 4 °C. Viene effettuato un lavaggio del pellet con 1

ml di etanolo 70% e di nuovo un passaggio in centrifuga a 13000 r.p.m. per 5

minuti a 4 °C. Viene aspirato il surnatante e il pellet viene seccato all’aria per

qualche minuto. Il DNA viene risospeso in 10 µl di TE.

Il DNA così preparato viene separato per elettroforesi su gel di agaroso allo

0.8% in tampone TAE 1X (vedi Appendice "Soluzioni e terreni”). La separazione

sulla base della taglia molecolare dei diversi frammenti di digestione viene

eseguita lentamente per 12 ore a 35 V in una camera elettroforetica

(Pharmacia).

2.4.2. - Trasferimento su membrana dei DNA genomici digeriti

I campioni di DNA genomico digerito e separato per elettroforesi sono stati

trasferiti su una membrana di del tipo Nylon Transfer Membrane "Hybond N"

(Amersham): un supporto più maneggevole per i successivi esperimenti di

marcatura. Per il trasferimento si è utilizzato un sistema a depressione (Bio-

Rad) e come protocollo quello fornito dalla ditta. Vengono preparati dei

rettangoli di carta 3M (Whatman) dello spessore di 3 mm e la membrana di

trasferimento entrambi tagliati delle dimensioni del gel e poi imbibiti in acqua

milliQ (Millipore) sterile. Si dispongono nell’ordine sul supporto di trasferimento

la carta, la membrana, la finestra con guarnizioni, il gel, il coperchio di tenuta.

Viene poi applicata una depressione di 15 mm Hg mediante una pompa a vuoto

(Vacuum pump, Biorad). Si ricopre il gel con una soluzione di depurinazione

(vedi Appendice "Soluzioni e terreni”) per 4 minuti ripetendo l'operazione per 2

volte. Si lava il gel con acqua sterile e poi lo si ricopre con una soluzione di

denaturazione (vedi Appendice "Soluzioni e terreni”) per 20 minuti. Si ricopre

poi con una soluzione di neutralizzazione per 5 minuti (vedi Appendice

"Soluzioni e terreni”). Si termina ricoprendo con una soluzione di trasferimento

(vedi Appendice "Soluzioni e terreni”) per 30 minuti. Al termine la pompa a

73

Page 74: Lotta Biologica in Agricoltura

II

vuoto viene spenta e smontato l’apparato si preleva la membrana che viene

mantenuta per 5 minuti su carta bibula imbibita di SSC 2X orientata verso l’alto

(vedi Appendice "Soluzioni e terreni”). Viene fatta asciugare rapidamente e poi

fissata mediante raggi UV a 260 nm per 5 minuti tramite un trans-illuminatore

(2011 MACROVUE transilluminator, LKB). La membrana può essere utilizzata

subito per diverse manipolazioni o conservata a –20 °C avvolta in una pellicola

per alimenti (I.DI. Torino)

2.4.3. - Marcatura delle sonde a DNA con digossigenina

Per la marcatura delle sonde si è adottato kit “DIG DNA Labeling Kit” (Roche). Il

DNA viene marcato usando la digossigenina-11-dUTP, usando come metodo di

marcatura il "Random Primed DNA Labeling": la reazione di marcatura è in

grado di produrre una sufficiente quantità di sonda marcata in breve tempo.

Durante La reazione di marcatura una molecola di digossigenina è incorporata

ogni 20-25 nucleotidi della sonda di interesse. Previa separazione e

purificazione da gel di agaroso dei prodotti di PCR mediante kit Jet-quick

(Genomed) 1 µg DNA viene marcato secondo il protocollo della ditta: le provette

contenenti il DNA da marcare vengono fatte bollire per 10 minuti per

denaturarlo e repentinamente poste in ghiaccio per 5 minuti al fine di evitarne la

rinaturazione. Vengono poi aggiunti i componenti della miscela di reazione nelle

giuste proporzioni: in un volume finale di reazione di 20 µl si utilizzano 2 U

enzimatiche del frammento Klenow, esanucleotidi e dNTP. Viene fatta avvenire

la reazione a 37°C, in un bagnetto termostatico, per tutta la notte. Il risultato

finale è una sonda marcata non radioattiva.

2.4.4. - Precipitazione del DNA marcato con digossigenina

Il DNA marcato viene precipitato aggiungendo 1/10 di volume di 200 mM EDTA

pH 8 (vedi «Soluzioni e Terreni»), 1/10 di volume di 4 M cloruro di litio (Merck) e

3 volumi di etanolo 96% freddo, pre-refrigerato a –20°C.Le microprovette

vengono mantenute a –80 °C per 30 minuti e poi centrifugate a 13000 r.p.m.

74

Page 75: Lotta Biologica in Agricoltura

II

per 15 minuti a 4 °C. Viene effettuato un lavaggio del pellet con 1 ml di etanolo

70% e di nuovo centrifugate a 13000 r.p.m. per 5 minuti a 4 °C. Viene aspirato il

surnatante e il pellet viene seccato all’aria per qualche minuto. Il DNA marcato

viene risospeso in 20 µl di TE pH 8 (vedi Appendice "Soluzioni e terreni”). Si

procede poi alla quantificazione della sonda marcata mediante il kit di controllo

annesso a quello di marcatura (Roche) I primer impiegati ed i relativi pesi

molecolari dei frammenti, con cui sono state ottenute le sonde utilizzate, sono

elencati nelle tabelle 2 e 4.

2.4.5. - Controllo del DNA marcato Per verificare una corretta marcatura delle sonde e per quantificarle si è

utilizzato il DNA di controllo fornito con il kit “DIG DNA Labeling Kit” (Roche).

Vengono eseguite cinque diluizioni del DNA di controllo (stock [20 ng/µl]): (A)

1:20, (B) 1:10 della diluizione A, (C) 1:100 della diluizione B, (D) 1:1000 della

diluizione C, (E) 1:10000 della diluizione D. Il DNA marcato viene portato alla

medesima concentrazione della diluizione A di controllo (1 ng/µl); una volta

ottenuta questa concentrazione, si effettuano le medesime diluizioni del DNA di

controllo (A’, B’,C’, D’, E’).Le diluizioni vengono fatte in un tampone fornito nel

kit. Si pone un 1 µl di ogni diluizione su una frammento di membrana Nylon

Transfer Membrane "Hybond N" (Amersham), si lascia asciugare alI'aria e

successivamente si pone per 5 minuti sul transilluminatore a U.V., per fissare il

DNA all membrana. Il filtro viene reidratato con MBS 1X (vedi Appendice

"Soluzioni e terreni), e poi incubato con BR 1% (vedi «Soluzioni e Terreni») in

agitazione a 37°C per 30 minuti. In seguito vie mantenuto in agitazione su un

piano basculante (Platform shaker STR6, Stuart Scientific) a temperatura

ambiente alla presenza di anticorpo anti-digossigenina (1:10000 in BR 1%).

Dopo due lavaggi di 10 minuti ciascuno in MBS 1X, si trasferisce la membrana

in una vaschetta con il tampone AP (vedi «Soluzioni e Terreni») e si lascia

basculare per 5 minuti. Si sostituisce il tampone AP con il substrato lumigeno

CSPD (Roche) (1:100 in tampone AP, (vedi Appendice “Soluzioni e terreni”), al

buio, e si lascia basculare per 5 minuti. Si pone la membrana a contatto con

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Page 76: Lotta Biologica in Agricoltura

II

una lastra autoradiografica (Kodak) e si effettua una esposizione di per 30

minuti a 37°C. Si sviluppa la lastra in camera oscura ponendola per 2 minuti

nella soluzione di sviluppo (vedi Appendice “Soluzioni e terreni"), per qualche

secondo in acqua e per 2 minuti nella soluzione di fissaggio (vedi Appendice

“Soluzioni e terreni"). Si confrontano sulla lastra ottenuta il DNA di controllo con

il DNA marcato e si stabilisce la quantità di sonda ottenuta.

2.4.6. - Preibridazione e ibridazione

La membrana, su cui è stato trasferito il DNA digerito, viene incubata a 65°C

con un soluzione di preibridazione (vedi Appendice “Soluzioni e terreni”), per un

tempo variabile da 2 a 6 ore secondo la dimensione della membrana. La

membrana viene successivamente posta in una soluzione di ibridazione (vedi

Appendice Soluzioni e terreni). La sonda viene fatta bollire per 10 minuti e

subito posta in ghiaccio per 5 minuti per evitare la rinaturazione, quindi unita

alla quantità di liquido di preibridazione necessaria e sufficiente a ricoprire la

membrana, aggiungendo un 1 µl di sonda (stock 20ng/µl) per ogni mI di liquido

di preibridazione. Viene eseguita una ibridazione per tutta la notte.

2.4.7. - Sviluppo della chemioluminescenza

Si recupera il liquido di preibridazione con la sonda, che può essere congelata e

riutilizzata più volte per un periodo di circa sei mesi. La membrana viene

sottoposta a 4 lavaggi (due con la soluzione 1 e due con la soluzione 2: vedi

«Soluzioni e Terreni») di 10 minuti ciascuno a 65°C, pre-riscaldando le soluzioni

a 65°C. La membrana viene poi posta su carta bibula sterile e mantenuta a

basculare per 5 minuti nella soluzione di lavaggio (vedi «Soluzioni e Terreni»).

Si incuba poi in BR 1% filtrato tramite della carta bibula, a 37°C in agitazione

per 1 ora. Viene sostituito il BR 1% con una soluzione di BR 1% più mAb anti-

digossigenina (Roche) in proporzioni di 1:10000, Incubando per 1 ora a

temperatura ambiente in agitazione. La membrana vie poi trattata con la

soluzione di lavaggio per quattro volte, ciascuna di 10 minuti, in agitazione a

76

Page 77: Lotta Biologica in Agricoltura

II

temperatura ambiente. La membrana è trasferita in una vaschetta pulita e

lasciata basculare per 5 minuti in tampone AP. Viene poi incubata in una

soluzione contenente lumigeno CSPD® (Roche) diluito 1:100 in tampone AP, in

agitazione per 5 minuti al buio. Si preparano due lucidi e si pone tra loro la

membrana, poi si mette il tutto a contatto con una lastra autoradiografica

(Kodak) e si effettua una esposizione di 1 ora a 37°C. Si sviluppa la lastra in

camera oscura ponendola per 2 minuti nella soluzione di sviluppo (vedi

Appendice .Soluzioni e terreni"), per qualche secondo in acqua e per 2 minuti

nella soluzione di fissaggio (vedi Appendice “Soluzioni e terreni").

2.5. - Reazione di pcr inversa (IPCR) 2.5.1. - Digestione del DNA genomico e precipitazione

Si digerisce una aliquota di DNA genomico pari a 5 µg con 20 U di Bgl II

(BioLabs), alla presenza di tampone “Sure cut buffer” (BioLabs), in un volume

finale di reazione di 100 µl. Si incuba a 37°C per tutta la notte. Si precipita il

DNA digerito aggiungendo 1/10 di volume di 3M sodio acetato pH 5.2 (vedi

«Soluzioni e Terreni») e poi 2 volumi di etanolo 96%, pre-refrigerato a –20 °C.

Le microprovette vengono mantenute a –80 °C per 30 minuti e poi centrifugate

a 13000 r.p.m. per 15 minuti a 4 °C. Viene effettuato un lavaggio del pellet con

1 ml di etanolo 70% e di nuovo centrifugate a 13000 r.p.m. per 5 minuti a 4 °C.

Viene aspirato il surnatante e il pellet viene seccato all’aria per qualche minuto.

Il DNA viene risospeso in un volume di 10 µl di acqua milliQ sterile.

2.5.2. - Autocircolarizzazione dei DNA digeriti Si procede alla circolarizzazione dei singoli frammenti di digestione su loro

stessi. Per facilitare la auto ligazione ed evitare la formazione di concatameri, si

esegue la reazione in un volume relativamente ampio pari a 100 µl e a bassa

temperatura. Si utilizza tutto il DNA precedentemente digerito aggiungendo 1 U

di T4 DNA ligasi (Roche) nel tampone di reazione specifico per l’enzima. Si

incuba la reazione per tutta la notte a 4°C. Il DNA viene poi precipitato con 1/2

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Page 78: Lotta Biologica in Agricoltura

II

volume di ammonio acetato 7.5 M e 3 volumi di etanolo 96%, lavato e

centrifugato con le modalità precedentemente descritte. Si risospende il

campione in 10 µl di acqua milliQ sterile.

2.5.3. - Reazione di IPCR

Si utilizzano come DNA stampo una quantità variabile tra 100 ng e i 500 ng di

DNA circolarizzato. Vengono preparate due miscele di reazione. La prima

contiene: 350 nm di ciascun nucleotide (Roche), 500 nm di sequenze

oligonucleotidiche IMP1 con IMP2 disegnati sulle porzioni terminali di impala,

diretti verso l’esterno e utilizzati per isolare le regioni fiancheggianti il

trasposone (Figura 1), 5 µl di DNA e acqua fino ad un volume di 25 µl. La

seconda contiene: 5 µl di tampone di reazione e 0.75 µl di Taq (predisposti dal

kit: Expand® long template PCR system, Roche). Viene aliquotata la prima

miscela in un tubo di reazione a parete sottile (Thin walled PCR tube, Roche),

vengono aggiunti 50 µl di olio minerale (Sigma) sterile. Il tubo viene posto poi

nel blocchetto del termociclatore Perkin Elmer Cetus 9600 (Emeryville, CA).

Quando la temperatura raggiunge i 94 °C si aggiungono 25 µl della seconda

miscela di reazione (Chow et al., 92). Le reazioni sono soggette a 35 cicli di

denaturazione a 94°C per 10 secondi, all'appaiamento dei primer sulle regioni

omologhe con un passaggio di temperatura da 68°C a 60°C (2 cicli a 68°C, 2

cicli a 65°C, 1 ciclo a 63°C e 30 cicli a 60°C) per 1,5 minuti, alI'estensione a

68°C per 2 minuti ed un autoestensione di 10 secondi per i restanti 30 cicli. Le

reazioni sono completate con un'incubazione a 68°C per 7 minuti. I prodotti di

amplificazione vengono controllati tramite elettroforesi su gel di agaroso (Sea

Kem). Qualora l'amplificazione non dia un risultato apprezzabile su gel si

esegue una PCR annidata con gli oligonucleotidi IMP5 e IMP6 posizionati più

esternamente su impala rispetto a IMP1 e IMP2 (Figura 1).

78

Page 79: Lotta Biologica in Agricoltura

II

2.6. - Clonaggio dei prodotti dell'IPCR

2.6.1. - Separazione delle bande su gel L'intero volume di reazione della PCR inversa viene caricato su un gel di

agaroso all'1%. Le bande di interesse vengono tagliate con un bisturi, ponendo

il gel sul transilluminatore a raggi U.V. (LKB).

2.6.2. - Estrazione del DNA da gel

Si esegue una purificazione da gel di agaroso mediante il kit Jet-quick

(Genomed). Si pesa il frammento tagliato dal gel cui si aggiungono 300 µl di

soluzione L1 (predisposta dal kit) per ogni 100 mg di banda e si pongono le

microprovette eppendorf in un bagno ad acqua calda a 50°C per almeno 15

minuti, agitandole ogni 3 minuti, così da favorire la solubilizzazione del gel. Si

trasferiscono 700 µl di tale sospensione sulla colonnina fornita dal kit e si

centrifuga immediatamente a 13000 r.p.m. per 1 minuto. Si aggiungono 700 µl

di soluzione L2 (predisposta dal kit) e si lascia riposare per 5 minuti. Si

eseguono due centrifugate a 13000 r.p.m. di 1 minuto ciascuna e si trasferisce

la colonnina su un tubo sterile da 1,5 mI; Si aggiungono 50 µl di acqua milliQ

sterile preriscaldata a 50°C, quindi si centrifuga per 2 minuti. Il DNA così

ottenuto è controllato su un gel di agaroso all'1 % mediante elettroforesi.

2.6.3. - Ligazione del DNA nel vettore

Il DNA purificato da gel è stato successivamente clonato nel vettore plasmidico

pGEM-T (Promega). L'enzima Taq polimerasi (Expand® long template PCR

system, Roche) utilizzato per la PCR inversa aggiunge, una volta su due, alle

estremità di ogni amplimero una coda di adenina (tail). Si è utilizzato, per il

clonaggio, pGEM-T (Fig. 2), un vettore avente una lunghezza di 3 Kb (50 ng/µl).

Tale plasmide viene venduto già linearizzato e provvisto di una timina pendula

all'estremità 5' e al 3'. Il sito di clonaggio è stato generato, all'interno del gene

codificante per il peptide α del cistrone lacZ, mediante un taglio con l'enzima

79

Page 80: Lotta Biologica in Agricoltura

II

EcoRV e successiva aggiunta di una coda di timina (tailing). La frequenza di

ligazione del frammento di IPCR è stata così notevolmente aumentata. La

reazione di ligazione avviene in un volume di reazione di 10 µl. Si prepara una

miscela contenente: 5 µl di tampone 2X della T4 DNA ligasi, 1 µl di T4 DNA

ligasi, 1 µl di vettore pGEM-T (reagenti predisposti dal kit), 1 µl di prodotto di

IPCR. La reazione viene fatta avvenire a 4 °C per tutta la notte, così da evitare

la richiusura su se stesso del plasmide e quindi massimizzare, dopo la

trasformazione, il numero di trasformanti positivi.

2.6.4. - Trasformazione

Il prodotto della reazione di ligazione viene utilizzato, senza ulteriori

manipolazioni, per trasformare un ceppo di E. coli competenti JM109 (JM109

High Efficiency Competent Cells, Promega). Tali cellule sono state manipolato

in maniera da contenere l'episoma F', che reca i geni proAB, complementanti la

auxotrofia per la prolina di tale ceppo. Lo stesso plasmide porta la porzione

lacIqZ∆M15, richiesta per la selezione "blu/bianco" delle colonie trasformate. Si

fanno scongelare le cellule competenti in ghiaccio (circa 5 minuti). Si centrifuga

per pochi secondi a 13000 r.p.m. il prodotto di ligazione, per raccoglierlo sul

fondo del tubo. Si trasferiscono 2 µl della miscela in una nuova microprovetta

pre-raffreddata in un bagno di ghiaccio. Ad essi si aggiungono 50 µl di cellule e

si agita gentilmente. Si incuba in ghiaccio per 20 minuti. Si esegue uno shock

termico a 42 °C per 45-50 secondi e si rimette la provetta in ghiaccio per 2

minuti. Si aggiunge successivamente un volume di 950 µl di terreno di coltura

SOC (vedi «Soluzioni e Terreni») e si incuba a 37°C, in agitazione, per 90

minuti. Si piastra un volume di 100 µl di reazione di trasformazione su terreno

LBA supplementato con ampicillina (Merck), con 30 µl, rispettivamente, di IPTG

100 mM (indolilpropil-tio-beta-galattoside, BioRad) e di X-gal 50 mg/ml (5-

bromo-4-cloro-3-indolil-beta-galattoside, Promega) (vedi «Soluzioni e Terreni»).

L'IPTG è un induttore stabile che si lega al repressore dell'operone lattosio,

determinando una attiva trascrizione dei geni Z, Y e A. L'X-GAL è un analogo

sintetico del lattosio che viene metabolizzato dalla β galattosidasi, dando come

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Page 81: Lotta Biologica in Agricoltura

II

prodotto di reazione un pigmento blu. La selezione viene fatta sfruttando il

fenomeno della mancata complementazione del α lacZ con il lac operon. Le

cellule trasformate con il vettore auto richiuso daranno colonie blu, per la

capacità di complementare l'operone. Le cellule trasformate con il plasmide e

l'inserto appariranno bianche, dal momento che l'inserto lede la funzionalità del

lacZ, che incapace di dare complementazione produrrà un enzima inattivo

incapace di metabolizzare l'X-GAL. Vengono prelevate le colonie bianche

mediante uno stuzzicadenti sterile e vengono fatte crescere in 3 ml di terreno

LB con ampicillina (vedi «Soluzioni e Terreni»), in agitazione a 37°C per tutta la

notte.

2.6.5. - Protocollo per estrazione dl DNA plasmidico dalle cellule batteriche trasformate Le colonie batteriche accresciutesi vengono utilizzate per l'estrazione del DNA

plasmidico, così da verificare l'avvenuta trasformazione. Si trasferisce in una

eppendorf sterile un volume pari a circa 1.5 ml di coltura batterica, lo si

centrifuga per 30 secondi a 13000 r.p.m. e si elimina il surnatante. Vengono

aggiunti 100 µl di soluzione R (vedi «Soluzioni e Terreni»), si risospende il pellet

batterico aiutandosi con un vortex (VELP Scientifica), si aggiungono 100 µl di

soluzione L di lisi (vedi «Soluzioni e Terreni»), si agita con il vortex, indi si

aggiungono 400 µl di soluzione N (vedi «Soluzioni e Terreni»), per precipitare la

parete batterica, agitando nuovamente. Si centrifuga per 5 minuti a 13000 r

p.m., si recupera il surnatante in un eppendorf sterile da 1,5 mI e si aggiungono

600 µl di etanolo 96 %, miscelando per inversione. Si centrifuga per 10 minuti a

13000 r. p.m., si aspira il surnatante e si aggiunge 1 mI di etanolo 75%,

miscelando per inversione. Si centrifuga per altri 10 secondi, si elimina il

surnatante e si lascia asciugare all'aria il pellet di DNA. Si risospende il pellet

con 20 µl di TE (pH 8) (vedi «Soluzioni e Terreni»).

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Page 82: Lotta Biologica in Agricoltura

II

2.6.6. - Digestioni di controllo

Per verificare che i cloni batterici, derivati una colonia bianca, presentino

l'inserto di interesse si eseguono delle digestioni differenziali del DNA

plasmidico estratto. Si utilizzano gli enzimi di restrizione Nco I e Pst I che sono

in grado di riconoscere siti unici di restrizione sul polylinker di pGEM-T,

rispettivamente a sinistra e a destra del punto di clonaggio dell'inserto. Si

prepara una miscela di reazione, in un volume di 20 µl, contenente: 5 µl di DNA

plasmidico estratto, 1 U di Nco I e Pst I, 2 µl di tampone specifico per gli enzimi

e acqua milliQ sterile. Si incuba a 37°C per 1 ora in un bagnetto termostatico. Si

evidenziano i prodotti di digestione su un gel di agaroso all'1% mediante

elettroforesi in tamponeTAE 1X (vedi «Soluzioni e Terreni»).

2.6.7. - Protocollo di estrazione di DNA plasmidico da cellule batteriche in media scala Per la estrazione plasmidica è stato utilizzato un protocollo predisposto dalla

ditta fornitrice il kit di purificazione Nucleobond AX100 (Macherey-Nagel). Per le

soluzioni utilizzate consultare l'Appendice "Soluzioni e terreni". Viene inoculata

una colonia batterica in 100 ml di terreno LB (vedi «Soluzioni e Terreni») con

ampicillina in una beuta da 250 ml. Si mantiene in agitazione a 37°C per tutta la

notte fino al raggiungimento di una densità di coltura adeguata. Per conservare

i cloni si preparano degli strisci su piastra di LBA più ampicillina e si preparano

anche delle provette con glicerolo: si miscelano 400 µl di glicerolo sterile con

600 µl di coltura batterica (Sworder et al., 1976).

La restante coltura viene centrifugata a 5000 r.p.m. a 4°C per 5 minuti, in

contenitori (Sorvall) sterili. Il surnatante viene eliminato ed il pellet risospeso in

4 mI di tampone S1 (vedi «Soluzioni e Terreni»), cui viene preventivamente

addizionata100 µg/ml di RNAsi A (Roche). La sospensione batterica viene

trasferita in tubi più piccoli (Beckman) resistenti alla centrifugazione. Si

aggiunge un volume di 4 ml di tampone S2 (vedi «Soluzioni e Terreni»), quindi

si miscela con cautela e si incuba a temperatura ambiente per 5 minuti. Si

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Page 83: Lotta Biologica in Agricoltura

II

aggiungono, poi, 4 mI di tampone S3 (vedi «Soluzioni e Terreni»), si agita

delicatamente, mediante inversione dei tubi per 6-8 volte, al fine di ottenere una

sospensione omogenea. Si pongono, successivamente i tubi in un bagno di

ghiaccio per 5 minuti e si centrifugano a 9500 r.p.m. a 4°C per 38 minuti. Nel

frattempo si equilibra la colonnina NUCLEOBOND AX 100 (Macherey-Nagel)

con 2 mI di tampone N2 a pH 6.3 (vedi «Soluzioni e Terreni»). Terminata la

centrifugazione, si rimuove il surnatante con cura evitando di aspirare il

precipitato bianco, lo si filtra con una garza sterile e lo si carica sulla colonnina.

Si lava la colonnina per 2 volte con 4 mI di tampone N3 a pH 6.3 (vedi

«Soluzioni e Terreni»). Il DNA plasmidico viene eluito con 3 mI di tampone N5 a

pH 8.5 (vedi «Soluzioni e Terreni»), trasferendo la colonnina su un nuovo tubo.

Il DNA plasmidico viene poi precipitato aggiungendo 0,7 volumi ( con

riferimento al volume di eluizione) di isopropanolo, preequilibrato a temperatura

ambiente. La soluzione è centrifugata a 9500 r.p.m. per 15 minuti a 4°C. Viene

eliminato il surnatante e il DNA viene lavato con una adeguata quantità di

etanolo 70%, girando il tubo un paio di volte. Dopo aver nuovamente eliminato il

surnatante, il pellet è risospeso con 200 µl di TE (vedi Appendice .Soluzioni e

terreni"). Vengono successivamente compiuti dei controlli, mediante restrizione

con enzimi, per confermare la positività del clone.

2.7. - Sequenziamento del DNA

Il sequenziamento dei DNA è stato fatto dal Servizio di Sequenziamento del

Dipartimento di Biologia-LIMA presso il BIOINDUSTRY PARK CANAVESE S.r.l.

(Colleretto Giacosa). La reazione di sequenza viene ottenuta utilizzando

termociclatori PCR PTC-100 MJ Research e PCR Express Thermal Cycler della

Hybaid. Il sequenziamento viene effettuato su CEQ 2000 Analysis System

(Beckman Coulter). Il sistema CEQ 2000 si basa su un processo di elettroforesi

capillare completamente automatizzato, ideato per determinare la sequenza in

basi di DNA mediante l'uso di un kit specifico "4 color-labeled". Il rilevamento

avviene tramite fluorescenza laser-indotta in quattro canali spettrali distinti. I

dati grezzi sono archiviati in formati compatibili con le applicazioni più diffuse.

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Page 84: Lotta Biologica in Agricoltura

II

Le sequenze sono state analizzate con il programma Chromas 1.45 (Mc

Carthy). Le sequenze delle regioni fiancheggianti impala, identificate nei cloni

ACQ1 e ACQ2 sono state depositate presso la GenBank (numeri di accesso:

DA REGISTRARE, rispettivamente).

2.8. - Reazione di PCR 2.8.1. - Amplificazione RAPD-PCR L'analisi molecolare tramite RAPD è stata condotta con 7 ceppi di F. oxysporum

antagonisti isolati da terreni repressivi liguri, (Tabella 1), per valutare

l'omogeneità dei profili di amplificazione, utilizzando il DNA estratto da micelio

liofilizzato e da rappresentanti di ff.spp. di Fusarium oxysporum.

Le amplificazioni sono state realizzate in 15 µl di miscela di reazione, contenenti

10 mM Tris-HCl, pH 9,0, 1,5 mM MgCl2, 50 mM KCl, 0,1% Triton X-100, 0,01%

(w/v) gelatina, 60 µM di ciascun dATP, dCTP, dGTP e dTTP (Promega), 5 pM

di primer, circa 0,1 ng di DNA bersaglio e 0,75 U di SuperTaq DNA polimerasi

(HT Biotechnology). Trenta oligonucleotidi di 10 basi ognuno (Operon

Technologies Inc.; Tabella 3 ) sono stati provati come primer. Tutti i reagenti

(tranne il DNA) sono stati preventivamente miscelati e le aliquote distribuite in

tubi Eppendorf di reazione da 0,5 ml, prima dell'aggiunta del DNA bersaglio e

dell'olio minerale sterile per PCR (Sigma), per ridurre il rischio di

contaminazione.

La quantità di DNA è stata valutata attentamente per migliorare la specificità e

ripetibilità della reazione RAPD secondo i criteri suggeriti da Davin-Regli et al.

(1995)

La reazione di amplificazione è stata effettuata nel Cetus Gene Amp PCR

System 9600 (Perkin-Elmer). E' stato usato un programma di amplificazione di

45 cicli che prevedeva un ciclo di denaturazione di 2 minuti e 30 secondi

seguito da 30 secondi di denaturazione a 94°C, 1 minuto a 36°C e 2 minuti a

72°C.

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Page 85: Lotta Biologica in Agricoltura

II

2.8.2. - Utilizzo di primers specifici per il ceppo antagonista 233/2

Gli oligonucleotidi specifici sono stati disegnati sulle sequenze fiancheggianti

utilizzando il programma Input3 (prodotto da Richard Resnick, http://www-

genome.wi.mit.edu/cgi-bin/primer/primer3_www.cgi). Per le reazioni di PCR si è

utilizzato DNA genomico fungino purificato da micelio liofilizzato, in quantità da

1 µl a 5 µl corrispondenti a 100 ng- 500 ng. Per ciascuna coppia di primer sono

tate approntate reazioni di PCR in condizioni diverse: (Tabella 5). E' stata

messa a punto una reazione di PCR "hot start", per fare in modo che l'enzima

entri in contatto con gli altri reagenti solo alla temperatura adeguata. Per ciò

vengono preparate due miscele di reazione. La prima contiene: 350 nm di

ciascun nucleotide (Fynzymes), 500 nm di sequenze oligonucleotidiche

disegnate, rispettivamente sulla sequenza fiancheggiante di ACQ1 e di ACQ2

(Tabella 4) e sulla porzione terminale di impala, diretti verso l’esterno acqua fino

ad un volume di 11,5 µl. La seconda contenente: 2,5 µl di tampone di reazione

(vedi Appendice “Soluzioni e terreni") e 0,75 µl di Taq Polimerasi (vedi

Appendice “Soluzioni e terreni") e acqua fino ad un volume di 11,5 µl. . Viene

aliquotata la prima miscela in un tubo di reazione, viene aggiunto il DNA, indi

vengono aggiunti 25 µl di olio minerale (Sigma) sterile. Il tubo viene posto poi

nel blocchetto del termociclatore Perkin Elmer Cetus 9600 (Emeryville, CA).

Quando la temperatura raggiunge i 94 °C si aggiungono 12,5 µl della seconda

miscela di reazione (Chow et al., 92). Le reazioni sono soggette ad un primo

ciclo di denaturazione di 5 minuti a 94°C e successivamente a 30 cicli di

denaturazione a 94°C per 10 secondi, di appaiamento dei primer sulle regioni

omologhe con un passaggio di temperatura da 70°C a 64°C (2 cicli a 70°C, 2

cicli a 68°C, 2 cicli a 66°C e 30 cicli a 64°C) per 30 secondi, alI'estensione a

64°C per 1 minuto. Le reazioni sono completate con un'incubazione a 68°C per

5 minuti. I prodotti di amplificazione sono controllati dopo l'amplificazione

caricando 10 µl delle reazioni su un gel di agaroso (Sea Kem) al 2%, mediante

separazione elettroforetica e acquisizione dell'immagine mediante il Gel Doc

1000 Molecular Analyst (Bio-Rad).

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Page 86: Lotta Biologica in Agricoltura

II

2.9. - "SOLUZIONI E TERRENI"

2.9.1. - Coltura degli isolati fungini

ldrolizzato di caseina (HC):

Pesare 1 g estratto di lievito (Merck), 2 g di idrolizzato di caseina, 1,5 g di

fosfato di potassio monobasico (Merck), 1 g di solfato di magnesio (Sigma), 15

g di glucosio (Merck), 10 ml di A-Z soluzione. Solubilizzare le polveri in 1 litro di

acqua distillata in un becher agitando con un ancoretta magnetica, su un

agitatore magnetico. Aggiungere un volume di circa 70 ml in beute da 200 mI.

Autoclavare, per 10 minuti a 121°C a due atmosfere di pressione, la beute

tappate con tappi di cotone.

Soluzione elementi A-Z in tracce:

Disciogliere in 3 litri di acqua distillata: 0,93 g di cloruro di litio (Merck), 0,166 g

di solfato di rame pentaidrato (Sigma), 0,166 g di solfato di zinco, 1,83 g di

acido borico (Sigma), 0,166 g di solfato di alluminio, 0,083 g di cloruro di stagno

diidrato, 1,17 g di cloruro di manganese tetraidrato, 0,166 g di solfato di nichel

esaidrato, 0,166 g di nitrato di cobalto esaidrato, 0,166 g di biossido di titanio,

0,083 g di ioduro di potassio (Sigma), 0,083 g di bromuro di potassio (Sigma) .

Potato dextrose agar (PDA, Merck):

Sciogliere 39 g di polvere in un litro di acqua distillata. Sterilizzare in autoclave,

per 10 minuti a 121°C a due atmosfere di pressione, ed aliquotare con dosatore

sterile, 9 mI per capsula Petri.

Azoto liquido:

fornito da AIR LIQUIDE ltalia Srl-Grugliasco-Torino

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Page 87: Lotta Biologica in Agricoltura

II

2.9.2. - Estrazione di DNA genomico

2.9.2.a. - Estrazione di DNA genomico da micelio liofilizzato Soluzione di lisi:

50 mM EDTA, 0,2% sodio dodecil solfato (Merck), 100 µg/ml di proteinasi K.

EDTA 0,5 M: Sciogliere in un becher 186,1 g di disodioetilendiaminoacetato diidrato (Sigma)

in 800 mI di acqua distillata, agitare con ancoretta magnetica e rettificare il pH a

8-8.5 con pastiglie di idrossido di sodio (BDH); portare al volume di 1 litro.

Dispensare in aliquote di 50 ml e sterilizzare in autoclave.

SDS 10%:

Sciogliere in un becher 100 g di SDS (Merck) in 900 mI di acqua distillata

sterile, riscaldando a 68°C. Rettificare il pH a 7,2 con qualche goccia di acido

cloridrico fumante (Merck) e portare il volume a 1 litro; Dispensare in aliquote e

conservare a temperatura ambiente.

Proteinasi K:

Sciogliere 100 mg di proteinasi K (Roche) in 10 ml di acqua distillata sterile;

dispensare in aliquote da 1 ml (10 mg/ml).

Potassio acetato 5M:

Sciogliere, in un becker, 490,66 g di potassio acetato (Merck) in 1 litro di acqua

milliQ; Facilitare la dissoluzione con l'aiuto di un'ancoretta magnetica, su un

agitatore magnetico. Sterilizzare in autoclave.

Fenolo cloroformio isoamilalcool (Sigma):

disponibile nella formulazione 25:24:1.

Ammonio acetato 7,5 M:

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Page 88: Lotta Biologica in Agricoltura

II

Sciogliere, in un becker, 578,1 g di ammonio acetato (Merck) in 1 litro di acqua

distillata; facilitare la dissoluzione con l'aiuto di un'ancoretta magnetica, su un

agitatore magnetico. Sterilizzare mediante filtrazione, con membrana porosa

0.22 µm (Millipore).

lsopropanolo: (Merck)

Etanolo 96%:(Merck)

Etanolo 75%:

Preparare una soluzione con 75 ml di etanolo 96% (Merck) e 25 ml di acqua

milliQ sterile.

TE:

Preparare una soluzione acquosa contenente 10 mM tris-

idrossimetilaminometano (Merck) e 1 mM EDTA pH 8 (Sigma).

2.9.2.b Metodo rapido di estrazione del DNA per PCR

Soluzione L:

Preparare una soluzione acquosa contenente 0,1 mM EDTA (Sigma), 10

mM Tris-HCI pH 8.

Tris 1M:

Sciogliere, in un becker, 121,1 g Tris base (Bio Rad) in 1 litro di acqua

milliQ sterile; facilitare la dissoluzione con l'aiuto di un'ancoretta

magnetica, su un agitatore magnetico, rettificando il pH con acido

cloridrico fumante (Merck).

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Page 89: Lotta Biologica in Agricoltura

II

2.9.3. - Southern blot

2.9.3.a. - Trasferimento su membrana dei DNA genomici digeriti. Soluzione di depurinazione:

Preparare una soluzione 0,25 M di acido cloridrico fumante (Merck).

Soluzione di denaturazione:

Preparare una soluzione 0,5 M di idrossido di sodio (BDH), 1,5 M di cloruro di

sodio (Merck).

Soluzione di neutralizzazione:

Preparare una soluzione 1,5 M di cloruro di sodio (Merck), 0,5 M di Tris-HCI pH

7.5, e 1 mM EDTA (Sigma).

SSC 20X:

Preparare una soluzione sciogliendo 175,3 g/I di cloruro di sodio (Merck), 88,2

g/I di sodio citrato (Merck) in acqua milliQ sterile; portare a pH 7 con qualche

goccia di acido cloridrico fumante (Merck).Dispensare in aliquote e autoclavare.

SSC 2X

Preparare una soluzione diluita 10 volte della soluzione madre SSC 20X

2.9.3.b Marcatura delle sonde a DNA con digossigenina.

“DIG DNA Labeling Kit” (Roche):

Sistema costituito da: esanucleotidi, dNTPs, enzima Klenow 2 U/µl

2.9.3.c. - Controllo del DNA marcato

Il kit di controllo “DIG DNA Labeling Kit” (Roche) contiene:

DNA di controllo:

marcato con digossigenina (20ng/µl)

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Page 90: Lotta Biologica in Agricoltura

II

Tampone di diluizione:

contenente 50µg/ml di DNA di sperma di aringa in 10mM Tris-HCl e 1mM EDTA

a pH 8.

Anti-DIG-AP conjugate:

Frammenti Fab di anticorpi policlonale prodotti in pecora (150 U/µl), coniugati

con l’enzima fosfatasi alcalina.

Blocking reagent (BR) 10%:

Sciogliere 50 g di BR in 500 ml di MBS 1X

Blocking reagent (BR) 1%:

Preparare una soluzione diluita 10 volte in MBS 1X di BR 10%; filtrare su carta

bibula.

MBS 1X:

Preparare una soluzione 0,1 M acido maleico (Sigma), 0,15 M cloruro di sodio

(Merck); rettificare con idrossido di sodio (BDH) a pH 7.5.

Tampone AP:

Preparare una soluzione 0,1 M di Tris-HCI pH 9,5 e 0,1 M di cloruro di sodio

(Merck) in acqua milliQ sterile.

Lumigeno:

Preparare una soluzione acquosa con CSPD® 25 mM (Roche).

Soluzione di sviluppo:

GBX Developer (Sigma) concentrato da diluire in acqua milliQ (103 mI in 370

mI di acqua).

90

Page 91: Lotta Biologica in Agricoltura

II

Soluzione di fissaggio:

GBX Fixer (Sigma) concentrato da diluire in acqua milliQ.

2.9.3.d. - Preibridazione e ibridazione

Liquido di preibridazione:

Preparare una soluzione con blocking reagent 1%, 0,1% N-laurylsarcosine

(Sigma), 2% sodium dodecil solfato (Merck).

2.9.3.e. - Sviluppo chemioluminescenza

Soluzione 1:

Preparare una soluzione 2X SSC, 0,1% sodio dodecil solfato (Merck).

Soluzione 2:

Preparare una soluzione 0,1% di SSC, 0,1% sodio dodecil solfato (Merck).

Soluzione di lavaggio:

Preparare una soluzione 0,3% Tween-20 (Merck) in MBS 1X.

Per il Blocking reagent 1%,l’anticorpo, l’AP buffer, il lumigeno, e le

soluzioni di sviluppo (vedi il paragrafo: “Controllo del DNA marcato).

2.9.4. - Reazione di IPCR

2.9.4.a. - Digestione del DNA genomico e precipitazione Enzima utilizzato: BglII: 10U/ml (BioLabs)

Sodio acetato 3 M:

Sciogliere, in un becker 408,1 g sodio acetato triidrato (Merck) in 800 mI di

acqua milliQ, rettificando il pH a 5,2 con acido acetico glaciale (Merck) e

portando a volume di 1 litro. Dispensare in aliquote e autoclavare.

91

Page 92: Lotta Biologica in Agricoltura

II

Etanolo 96% (Merck):

Conservato alla temperatura di –20°C.

Etanolo 75%:

Preparare una soluzione con 75 ml di etanolo 96% (Merck) e 25 ml di acqua

milliQ sterile. Conservare a –20°C.

2.9.4.b. - Autocircolarizzazione del DNA digeriti

Tampone di ligazione:

66 mM Tris-HCI pH 7.5, 5 mM cloruro di magnesio (Carlo Erba), 1 mM

ditiotritolo (Sigma), 1 mM ATP (Roche).

Cloruro di magnesio 1 M:

Sciogliere, in un becher, 203,3 g di cloruro di magnesio esaidrato (Carlo Erba)

in 1 litro di acqua milliQ; sterilizzare in autoclave.

Ditiotritolo (DTT) 1 M:

Sciogliere 3,09 g di DDT in 20 mI di 0,01M di sodio acetato (Merck) a pH 5,2;

sterilizzare per filtrazione, dispensare in aliquote da 1 mI e conservare a –20°C.

ATP 0,1 M:

Sciogliere 60 mg di ATP (Roche) in 0,8 mI di acqua milliQ sterile, portando a pH

7 con 0,1 M di idrossido di sodio (BDH); portare al volume finale di 1 mI con

acqua milliQ sterile. Dispensare in aliquote e conservare a -70°C.

Ligasi T4:

1 U/µl (Roche)

92

Page 93: Lotta Biologica in Agricoltura

II

2.9.4.c. - Reazione dl IPCR

dNTP:

predisposti dal kit: “Expand Long Template PCR System” (Roche, Mannheim),

usati alla concentrazione di 350 µM per ogni nucleotide.

Oligonucleotidi IMP1,IMP2, IMP5, IMP6 (Life technologies):

usare 300 nm di ogni sequenza primer.

TamponeTaq: (buffer 3)

tampone predisposto dal kit “Expand Long Template PCR System” (Roche,

Mannheim), con 22.5 nM MgCl2

Taq:

miscela enzimatica contenente un enzima Taq termostabile e la DNA polimerasi

Pwo: usare 0,75 µl per o gni reazione di amplificazione.

2.9.5. - Clonaggio dei prodotti di PCR

2.9.5.a. - Separazione elettroforetica del DNA Gel agaroso (Sea Kem) 0.8 %:

Sciogliere 0.4 g di agaroso in 50 ml di tampone TAE 1X

TAE 50X:

Sciogliere 242g Tris (Bio Rad), in acqua milliQ sterile, aggiungere 57,1 mI di

acido acetico glaciale (Merck), 100 mI di 1,5 M EDTA (Sigma) pH 8; portare ad

un volume finale di 1 litro di acqua distillata e autoclavare.

Marcatore del peso molecolare (Gibco BRL):

Sono caricati su gel 10 µl del marcatore avente concentrazione 1 µg/µl: la

banda a 1.6 kb è quantificata dalla ditta 100 ng (10% della massa totale).

93

Page 94: Lotta Biologica in Agricoltura

II

Tampone di carica TIPO Il:

Preparare una soluzione contenente 0.25% blu di bromofenolo (Sigma), 0,25%

xilene cianolo, 15% Ficoll tipo 100, in acqua milliQ sterile. Conservare a

temperatura ambiente.

2.9.5.b. - Reazione di ligazione del DNA nel vettore

Tampone ligasi:.

10X concentrato (Roche).

Ligasi T4:

1U/ µl (Roche)

2.9.5.c. - Trasformazione

LBA (Luria-Bertani addizionato di agar):

Sciogliere in una becher 10 g/I di triptone (Difco), 5 g/I di estratto di lievito

(Merck), 10 g/I di cloruro di sodio (Merck), aggiungere 10 mM di cloruro di

magnesio (Carlo Erba); portare a pH 7.5 aggiungendo idrossido di sodio (BDH)

10 N; versare un volume di di 500 ml in una bottiglia da 1 litro e aggiungere 15

g/I agar (Merck). Autoclavare. Attendere che il substrato, ancora liquido si sia

raffreddato, aggiungere eventuali molecole termolabili (ampicillina, IPTG, X-

GAL, etc.) e aliquotare in capsule petri.

Ampicillina sale sodico

Preparare una soluzione, in acqua sterile milliQ, alla concentrazione di 100

mg/ml (Merck) lavorando in ambiente sterile.

lsopropiltiogalactoside (IPTG):

Preparare una soluzione, in acqua sterile milliQ, alla concentrazione di 100 mM

di IPTG (BioRad) .

94

Page 95: Lotta Biologica in Agricoltura

II

5-bromo 4-cloro-3-indolil-βgalattoside (Xgal):

Preparare una soluzione, in acqua sterile milliQ, alla concentrazione di 50

mg/ml di X-GAL (Promega)

2.9.5.d. - Protocollo per l’estrazione di DNA plasmidico da cellule batteriche trasformate

Soluzione R:

Preparare una soluzione 20 mM Tris-HCI pH 8, 5, 1M NaEDTA (Sigma) pH 8,

10µg/ml RNAsi (Roche).

Soluzione L:

Preparare una soluzione all’1% di SDS (Merck) e 0,2 M di idrossido di sodio

(BDH).

Soluzione N:

Preparare una soluzione 4 M cloruro di sodio (Merck) e 100mM acido acetico

(Merck).

2.9.5.e. - Protocollo di estrazione di DNA plasmidico da cellule batteriche su larga scala (MIDI preparation)

Tampone S1:

Preparare una soluzione 50 mM Tris-HCI pH 8, 10 mM EDTA (Sigma), 100

µg/ml RNAsiA (Roche) .

Tampone S2:

Preparare una soluzione 200 mM idrossido di sodio (BDH), 1% SDS (Merck).

Tampone S3:

Preparare una soluzione 2,8 M potassio acetato (Merck) pH 5,2 .

95

Page 96: Lotta Biologica in Agricoltura

II

Tampone N2:

Preparare una soluzione 100 mM Tris (Bio Rad), 15% etanolo (Merck), 900 mM

cloruro di potassio (Carlo Erba), rettificato con acido fosforico (Merck) a pH 6,3.

Tampone N3:

Preparare una soluzione 100 mM Tris (Bio Rad), 15% etanolo (Merck), 1150

mM cloruro di potassio (Carlo Erba), rettificato con acido fosforico (Merck) a pH

6,3 .

Tampone N5:

Preparare una soluzione 100 mM Tris (Bio Rad), 15% etanolo (Merck), 1000

mM cloruro di potassio (Carlo Erba), rettificato con acido fosforico (Merck) a pH

8,5

2.9.6. - Reazione di PCR

Tampone:

10 mM Tris-HCI pH 8,8, 1,5 mM cloruro di magnesio (Carlo Erba), 50 mM

cloruro di potassio (Carlo Erba), 0,1% Triton X-100 (Merck), 0.01% (w/v)

gelatina.

dNTP (Finzymes):

rispettivamente 200 mM di dATP,dCTP, dGTP, dCTP.

Oligonucleotidi:

0,05 mM di ciascuno.

Taq polimerasi: preparata seguendo il protocollo di Desai e Pfaffle

(1995).

96

Page 97: Lotta Biologica in Agricoltura

II

2.10. - Reazioni di RAPD PCR

Tampone:

10 mM Tris-HCI pH 8,8, 1,5 mM cloruro di magnesio (Carlo Erba), 50 mM

cloruro di potassio (Carlo Erba), 0,1% Triton X-100 (Merck), 0,01% (w/v)

gelatina.

dNTP (Finzymes):

rispettivamente 200 mM di dATP,dCTP, dGTP, dCTP.

Oligonucleotidi:

0,05 mM di ciascuno.

97

Page 98: Lotta Biologica in Agricoltura

III

CAPITOLO 3

1. - RISULTATI 1.1. - Analisi dei profili RAPD-PCR Per valutare il polimorfismo dei Fusaria antagonisti sono stati fatte 25 analisi

RAPD, utilizzando 25 primer (Tabella 3). Sono stati ottenuti degli amplificati

contenenti da uno a cinque frammenti; le dimensioni delle bande, variabili da

isolato a isolato, sono comprese tra 0.3 Kb e 3 Kb. I diversi isolati di Fusarium

antagonisti sono stati confrontati con diverse formae speciales di Fusarium

oxysporum (Tabella 1).

Per l’analisi dei dati è stato usato il programma “Statistica” (Starsoft); si è scelto

come algoritmo, per costruire il dendrogramma, l’UPGMA (unweighted pair-

group method using arithmetic averages). Le distanze tra i diversi

raggruppamenti sono state valutate in distanze euclidee per evidenziare meglio

le differenze.

L’analisi ha evidenziato una sostanziale differenza tra le forme speciali e tra

queste ultime e gli antagonisti. Si sono riscontrate similitudini tra gli isolati

233/2, 245 wt e MSA 32 che formano un gruppo a se' stante rispetto alle forme

speciali e agli isolati 152, 257 e 251, e MSA 35 (Figure 1A e 1B).

1.2. - Analisi dei polimorfismi dell' elemento trasponibile impala

Per analizzare il polimorfismo del trasposone impala è stato eseguito un

Southern blot dei medesimi isolati utilizzati per l’analisi RAPD (Tabella 1). Il

DNA genomico estratto da ciascun campione è stato digerito con l’enzima di

restrizione BglII, che non riconosce siti di taglio nella sequenza di impala. Tali

frammenti sono stati separati tramite elettroforesi, trasferiti su una membrana di

nylon e quindi fissati tramite irraggiamento con raggi UV. La membrana è stata

ibridata con le sonde impala R1 e impala 245. impala R1 è stata ottenuta

amplificando il trasposone da un isolato di Fusarium oxysporum f. sp. dianthi

razza 1, mediante PCR e successiva marcatura con digossigenina mentre

98

Page 99: Lotta Biologica in Agricoltura

III

impala 245 è stata ottenuta dall’isolato 245 wt con le medesime procedure.

L’analisi con le due diverse sonde ha evidenziato dei profili diversi: il profilo

ottenuto con la sonda impala 245 è poco polimorfico, ma sovrapponibile

interamente a quello, altamente polimorfico, ottenuto con la sonda impala R1

(figure 2A e 2B)

Il Southern blot ha permesso di evidenziare dei polimorfismi di inserzione

dell’elemento trasponibile impala. Utilizzando impala R1 si ottengono profili

delle forme speciali molto diversi tra loro e polimorfici rispetto agli antagonisti in

generale. Utilizzando la sonda impala 245 si ottiene, in tutti gli isolati, eccetto

che in 245 wt, 233/2 e MSA32, un doppietto delle dimensione di 3.6 kb e 4 kb

(Figura 2A). Con entrambe le sonde gli isolati 233/2, 245 wt e presentano un

profilo unico analogo formato da inserzioni del trasposone a 2.8 kb, a 3.3 kb, un

doppietto a 4.3-4.5 kb e a 12 kb mentre MSA 32 ha lo stesso profilo eccetto per

la banda a 3.3 kb (corsia 14, 15, 18, Figure 2A e 2B).

1.3. - Isolamento delle regioni fiancheggianti (“giunzioni”) del trasposone impala nell’isolato 233/2

Per isolare le giunzione del trasposone ci si è avvalsi della tecnica della PCR

inversa (Chiocchetti et al., 1999). Con i primer IMP1 e IMP 2 è stato ottenuto un

amplimero di circa 3.8 kb, corrispondente all'inserzione a 4.3 kb sul Southern

blot. Si risale alla dimensione della banda sul Southern aggiungendo 567 bp al

frammento di IPCR ottenuto, dal momento che i primer cosi disegnati (Figura 3)

su impala, escludono una zona di 567 bp.

E stata provata sul primo ciclo di amplificazione con IMP1 e IMP2 un secondo

ciclo con i primer IMP5 e IMP6 disegnati più esternamente (Figura 3). Questa

PCR annidata non ha mai dato origine ad alcun amplificato quando si partiva da

un DNA stampo derivato dal primo ciclo. Al contrario si è ottenuto un prodotto di

2.2 kb quando sono stati utilizzati direttamente IMP5 e IMP6 sul prodotto di

ligazione. Tale frammento corrisponde ad una banda sul Southern blot di 3.2

kb. In realtà la sequenza di questo prodotto di PCR ha evidenziato un

99

Page 100: Lotta Biologica in Agricoltura

III

trasposone tronco alle estremità; L’amplimero a 2.2 kb dovrebbe corrispondere

sul Southern blot alla banda a 2.8 kb.

I prodotti di PCR inversa sono stati chiamati ACQ1 (3.8 kb) e ACQ2 (2.2kb)

1.4. - Sequenziamento dei cloni ACQ1 e ACQ2

Sono state ottenute le sequenze parziali (circa 500 bp per lato) delle regioni

fiancheggianti impala, identificate nei cloni ACQ1 e ACQ2. Di seguito vengono

riportate le sequenze:

ACQ1 sp6 AATCCTATAGAGAATCTGTGGGCGTTGATGAAGGCAGAGATCTGCGACTCGCTGAGGTTCTCTATCTTGTAACGTT

ATAGCGTTGTTAACGAGAGCAGGCCAGCGGCTGAGCCATTTATCGAGACTGGTGTTGCTAAGGCCCTTCTTAAGCT

TTTCAAACTCAGTCCTAACATTCTGCTTCTGGTCTTTCGCGGTGGGTTGGATGCTATCAGCCAGCGCGATGAGTTAC

CGCGGACGTCATGGATTCCGAGGTAGTGCTGCTTGAACTCCCTGACACACTGTGAGGTCAATGCGATCAGAGACC

TTGTCGTAT

ACQ1 T7 GCGGATCGGTTATGACGGTATCATAAATCTGATCCCGTTGCTCTTCTGTAAGCTTACGTGGCGCGCCTGATCGCGG

CAGGGATATGTTATCGGCTCCACGTTGTGCCTCGCGGCGTAGGGTCGTTATTGATCGTGCCGAGAGGGATATCAG

GGAAATGCTTCTTGATCTGTGAGTGCGTAAGCCCTTGCCTACGTAATTCACATATACGAGACCGTAATGACGGCGA

TAATTCCTTGCCTCGAGGCATCGTCATGGTGTNGTGATGTGTGTTGTGGGGAACAGGGGCTGCCGTCAGATCAATC

AAATCAGATTAGGGCGTAAATCTGAACTGAACTGATACTTTACCCTCTGCATCTGATCTGATTGATTGATTGATAGAT

ATCTGATATATAATAGGTCACGTGGAGCTATNCCCAGCCCTCACGATTCTGCCCCGTGGGATCTGACTGCCCTTGT

TNGCTTAAGCNTACGC

ACQ2 sp6 GTGAGACTATGCCGAACCGTGTTACTGCTGTAATTACTGCAGAAGGTTGGTATACAAAGTACTGAAGCTGTTCTAAT

TGACCTTGTTAGGTCATAAATTACAATATCACAGCAGCAGCATAACAGCTGCCCGTTTCGGCTAGCCTCGATCGTC

GGTACCTCTTGGTGTCTTCAAACTTATTGCACCCCACTGTATGTCCATCGTATTCGCCTTGAGCTTAGGTTAAGACG

GAGAGGCAAGCCGGTCTCGGCTTGCGCATAGAGCCTTAGAGGAACGAAGTTTAGAGGTCGGAGGCAGATGGGTT

GCACGTTCTCTAGAGTAAAGTGGCATTTCCNTTTTATAGCTAGATAATACGGCTAATTTGGTCNGGGTTNACTNTTTT

CCCACNCTGAGANNTATTTGCGGACTGATAA

ACQ2-T7 TTGTGTTGTGTGTGTGGAGGAGGAAGAAAGAGCGGCATCGAAACGCGGTCCCGCTCGGGTTAGGCCGGACCGAG

ATACCTGCAGATGTATTCAAACTTATTGCACCCCACTGTATTACGATATATCCTGTAGCACGTGCCGAGAAATGTCA

GTGTCCACGGATAAGCGGCACAATATGACCTTACGTCATTTTCCTACGACCCCAATAATATCCCGAAACTCTGTTAC

CCGGCTTATGAACACAAAGTATCGGTACCGCTTCCGGTCGTCGGGTGAACGGCTTCCGAACGGCTTCAAGAACGG

100

Page 101: Lotta Biologica in Agricoltura

III

CTTTACTGATCCGAAAGTGTGTCGTAGTGTGTGTATACAGTATTGAGCAAGCAGCGATGCTTATAAATACTGACAAA

TCATATGCTTACCANGTAGAGCCATGTACCCNAAAGGTCTCCACCCCTAGACTTTACAAAAGAGCATG

1.5. - Amplificazione dei ceppi antagonisti 233/2 e 245 wt

Per ottenere degli amplimeri corrispondenti ad ogni sequenza fiancheggiante

clonata, sono state eseguite quattro diverse reazioni di PCR con quattro coppie

di primer. Ogni reazione prevedeva l’uso di un oligonucleotide disegnato sulla

sequenza fiancheggiante e l’altro su un estremità del trasposone impala (Figura

3).

Le reazioni sono state eseguite analizzando gli antagonisti e le diverse forme

speciali di F. oxysporum. Come stampo è stato utilizzato DNA genomico

estratto da micelio liofilizzato. Le coppie A2I/IMP5 e A2F/IMP6 hanno dato

l’amplificazione, rispettivamente, di un amplimero di 313 bp e di 305 bp in tutti

gli antagonisti, seppure con intensità diverse e amplificati di diversa taglia

molecolare per le forme speciali. La coppia A1I/IMP1 ha dato un amplimero di

439 bp nei ceppi 233/2, 245 wt. MSA32, MSA35 e dei prodotti a diverse taglie

molecolari per gli altri ceppi. La coppia A1F/IMP2A non ha dato amplimeri.

2. - DISCUSSIONE I ceppi antagonisti di Fusarium, isolati da terreni repressivi liguri rappresentano

un valido strumento di lotta biologica alle malattie causate da F. oxysporum

patogeni. La loro immissione nell’ambiente andrebbe controllata in tempi diversi

per evidenziare l’entità della popolazione, la sopravvivenza nel terreno e la

dispersione nel suolo. Le strade perseguite in passato sono state la

mutagenesi, la fusione di protoplasti e la trasformazione genetica. Studi di

valutazione dell’impatto ambientale riguardanti ceppi di Fusarium dotati di

capacità antagonistica erano già stati compiuti utilizzando ceppi

opportunamente trasformati con il gene per la resistenza all’igromicina (Migheli

et al.,1996), mutanti colorati ottenuti per mutagenesi e ceppi ibridi derivati dalla

fusione di protoplasti (Gullino et al.,1995).

101

Page 102: Lotta Biologica in Agricoltura

III

Nel corso di questa tesi, si è cercato di sviluppare un mezzo diagnostico esente

da restrizioni di tipo normativo. L’obiettivo del lavoro era quello di sviluppare dei

marcatori molecolari, utilizzando i trasposoni naturalmente presenti nel genoma,

al fine di “etichettare” gli isolati 233/2 e 245 wt senza ricorrere a sistemi di

trasformazione genica nè di mutagenesi. La modificazione genetica avrebbe

fatto rientrare i ceppi antagonisti 233/2 e 245 wt nel gruppo degli OGM e ciò

avrebbe, di fatto, rallentato il processo di registrazione a causa del grande

numero di prove richiesto dalla direttiva 90/219. La mutagenesi avrebbe invece

potuto pregiudicare la funzionalità dei funghi come agenti di contenimento

biologico e creare della variabilità non prevedibile a priori.

A tale scopo è stato studiato, prima, il profilo RAPD degli antagonisti per

ampliare i dati sul polimorfismo presente tra gli antagonisti e la distribuzione

dell’elemento trasponibile impala nel genoma degli isolati 233/2 e 245 wt

confrontandolo con altri isolati di Fusarium saprofiti e con diverse forme

speciali. Dall’analisi mediante Southern blot è emersa una grande diversità di

distribuzione di impala tra 233/2 e 245wt rispetto a tutti gli altri isolati patogeni e

saprofiti. L’isolato MSA32 ha mostrato un profilo simile ma non identico a 233/2

e 245 wt, mancando della banda a 3.3 kb e la banda alta del doppietto 4.3-4.5

kb.

Ipotizzando che la giunzione di una copia di impala inserita in una posizione

unica nel genoma sia anch’essa unica, si è pensato di poterla amplificare

mediante una reazione di PCR che utilizzasse un primer disegnato sul

trasposone, diretto verso l’esterno e un primer disegnato sulla regione

fiancheggiante diretto verso il trasposone (Figura 3).

Per rendere più semplice il clonaggio delle regioni fiancheggianti Fot1 o impala,

senza bisogno di costruire una libreria genomica per gli isolati di F. oxysporum

233/2 e 245 wt, è stata adottata la tecnica di PCR inversa (IPCR; Ochman et

al., 1988; Silver e Keerikatte, 1989; Triglia et al., 1988). Essa prevede una

preliminare digestione del DNA con un enzima che non tagli all’interno della

sequenza desiderata, una auto-ligazione dei frammenti e l’amplificazione

mediante PCR utilizzando due primer “inversi” che fossero disegnati orientati

verso l’esterno delle sequenza di appaiamento.

102

Page 103: Lotta Biologica in Agricoltura

III

Tale amplificazione dà origine potenzialmente ad un insieme di amplimeri pari

al numero di inserzioni del trasposone nel genoma. Esiste però un limite tecnico

rappresentato dalla capacità della Taq polimerasi di generare frammenti non

troppo lunghi. L’enzima utilizzato nella IPCR era in realtà una miscela di Taq

polimerasi e Pwo DNA polimerasi che garantiva caratteristiche di efficienza e

fedeltà molto elevate. Sono stati ottenuti amplimeri di 3.8 kb e 2.2 kb

corrispondenti a inserzioni specifiche nel genoma di 233/2 e 245 wt.

L’utilizzo di elementi trasponibili come marcatori molecolari ha in se' il pericolo

dello “salto del trasposone” e come conseguenza la perdita del marcatore nella

posizione originale; ciò potrebbe portare a dati non costanti nel tempo e quindi

non più attendibili. Da analisi mediante Southern blot, ripetute in tempi diversi,

su isolati patogeni e saprofiti di F. oxysporum è stata riscontrata una pressochè

nulla mobilità dell’elemento impala. Per ovviare, comunque, a questo potenziale

inconveniente è possibile studiare le copie del trasposone, troncate all’estremità

e quindi prive delle sequenze ITR, necessarie per la trasposizione (Fernandez

et al., 1999).

Nonostante le sequenze clonate coincidessero le giunzioni caratteristiche degli

isolati 233/2 e 245 wt gli esperimenti di PCR messi a punto per amplificare le

giunzioni hanno mostrato una assenza di specificità assoluta. Le amplificazioni

hanno fornito amplimeri delle dimensioni attese in 233/2 e 245 wt ma

contemporaneamente anche in altri isolati e amplimeri di taglie molecolari

diverse in Fusarium oxysporum patogeni (Figura 4).

L’analisi mediante Southern blot, compiuta utilizzando come sonde gli

amplimeri derivati dall’IPCR su impala, ha dato origine a profili di ibridazione

molto complessi, dimostrando che questo elemento è inserito in regioni ripetute

nel genoma di F. oxysporum. Questo dato era già stato messo in evidenza per i

differenti patotipi di F. oxysporum f.sp. dianthi (Chiocchetti et al.,1999). Dati

ottenuti, con lo stesso approccio, su un nuovo isolato di Fusarium agente di

tracheofusariosi nella margherita confermano tale tendenza anche per il

trasposone Fot1 (Pasquali et al., in preparazione).

La tendenza a trasporsi di questi elementi trasponibili in zone ripetute e quindi

non attive dal punto di vista trascrizionale, potrebbe essere spiegata

103

Page 104: Lotta Biologica in Agricoltura

III

ipotizzando che un salto in tali regioni genomiche non apporti alcuna mutazione

letale o selezionante in senso negativo rendendo l’evento di trasposizione

compatibile con la sopravvivenza del fungo. Alcune copie potrebbero essersi

accumulate in tali siti genomici e rappresentare una fonte di variabilità di cui tali

funghi dispongono per l’adattamento nell’ambiente. Si potrebbe dimostrare

l’inserzione preferenziale in regioni ripetute mediante l’isolamento di tutte le

regioni fiancheggianti e con l’analisi di regioni fiancheggianti più estese.

L’ibridazione con sonde ricavate da regioni fiancheggianti su cariotipi ottenuti

mediante elettroforesi su campo pulsato e l’ibridazione in situ su cromosomi

purificati potrebbe fare comprendere la localizzazione preferenziale di questi

elementi trasponibili nei diversi cromosomi.

3. - CONCLUSIONI

La tecnica della PCR inversa, che fino ad oggi ha dato risultati abbastanza

soddisfacenti, non si è dimostrata applicabile, in modo efficace, al campo dei

funghi antagonisti. Non si è riuscito, infatti, a discernere tra i diversi isolati di

Fusarium antagonisti in maniera univoca. Cio' deve portare a considerare

questo approccio in modo più realistico e a concludere che la tecnica della PCR

inversa è potenzialmente utile, seppure non deve essere sopravvalutata, e che

l’utilizzo di tale metodo applicato ai trasposoni presenta dei pericoli intrinseci

legati alla distribuzione e localizzazione degli elementi trasponibili nei diversi

genomi.

104

Page 105: Lotta Biologica in Agricoltura

IV

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