Lorenzo Perilli, Conservazione dei testi e circolazione della conoscenza in Grecia

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Biblioteche del mondo antico Dalla tradizione orale alla cultura dell’Impero A cura di Angela Maria Andrisano Carocci editore

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A study in italian on the circulation of ancient philosophical and scientific thought

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Biblioteche del mondo anticoDalla tradizione orale alla cultura dell’Impero

A cura di Angela Maria Andrisano

Carocci editore

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a edizione, novembre © copyright by Carocci editore S.p.A., Roma

Realizzazione editoriale: Omnibook, Bari

Finito di stampare nel novembre dalla Litografia Varo (Pisa)

ISBN ----

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Senza regolare autorizzazione,è vietato riprodurre questo volume

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Il volume è realizzato con il contributo del MIUR e della Fondazione CARIFE

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Indice

Premessa di Angela Maria Andrisano

Elenco delle abbreviazioni

Riordinare una biblioteca orale: Omero ciclico, Omero giro-vago e il problema delle “doppie attribuzioni” di Federico Condello

Conservazione dei testi e circolazione della conoscenza inGrecia di Lorenzo Perilli

. Libri (e filosofi) in età prealessandrina . Il congegno di Eratostene . Il libro di Eraclito, «ein recht belesener Mann» . I casi di Abrocome e Antia, di Apollonio re di Tiro e di Cran-

tore di Soli . Il singolare caso dei testamenti dei filosofi . Lo scriba, il santuario, la città . Il maestro e l’allievo . La medicina e i santuari di Asclepio . Memorandum books . Un sapere riservato

Una ripresa semonidea nella Lisistrata di Aristofane: il mo-dello della “donna cavalla” di Elena Pavini

I banchetti di Temistocle di Maria Paola Funaioli

. Le fonti della Vita di Temistocle di Plutarco: Fania e Timo-creonte

. Timocreonte di Rodi contro Temistocle

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. Timocreonte e il banchetto di carni fredde . Erodoto e la mattanza delle pecore dell’Eubea . Aristofane e il pesce fresco del Pireo . Tucidide, i banchetti e la morte per fame di Pausania . Plutarco e la munificenza di Temistocle . Plutarco, Fania e il “cestino” per Architele . Fania e la funzione attualizzante dell’aneddoto: Midia . Fania e la funzione attualizzante dell’aneddoto: il sacrificio

umano e la proscinesi di Temistocle

Alceo, poeta giambico, nella biblioteca di Luciano (Adv.ind. -) di Angela Maria Andrisano

. Luciano e il suo doppio . Il superamento dei modelli . Gli exempla e il genere seriocomico . La rilettura di un racconto tradizionale . Neanto, figlio di Pittaco . La voce della testa mozzata . Threnos e lira . Un notturno grottesco . La strategia letteraria dell’Adversus indoctum

Lirici greci nella biblioteca di Virgilio: qualche appunto sul-la presenza di Saffo, Alceo e Stesicoro nell’Eneide di Leonardo Fiorentini

. Appunto su Saffo . Appunto su Alceo . Appunto su Stesicoro

Giuristi ed esperti di diritto nelle Notti attiche di Aulo Gellio di Serena Querzoli

Le Biblioteche dei volgarizzatori di Franco Longoni

Bibliografia

Indice dei passi discussi

Indice analitico

Gli autori

INDICE

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Conservazione dei testie circolazione della conoscenza in Grecia*

di Lorenzo Perilli

Libri (e filosofi) in età prealessandrina

Io credo che sul voralexandrinisches Buchwesen siano stati manifestati dubbi e so-spetti eccessivi. Certo non ha giovato, almeno in Italia, l’autorevolezza di un Pa-squali, quando nella voce Biblioteca dell’Enciclopedia Italiana () affermava,dismettendo l’ipotesi della presunta biblioteca di Pisistrato, che se pure fosse esi-stita non si vede «cosa avrebbe potuto contenere, tranne qualche poema epico».Le conclusioni ex silentio, data la scarsità delle notizie, hanno largamente predo-minato rispetto alla valutazione di quei segnali che pure le fonti forniscono.

Osservava Theodor Birt, nel suo vecchio ma ottimo Das Antike Buchwesen:«menzioni di biblioteche, commercio di libri e via dicendo sono rare, ma nonpiù delle opportunità che si offrivano a questi antichi autori di far menzione dicose così esteriori» (, p. , nota ) . Non si può che condividere. Del re-sto, è ancora una osservazione innegabile dello stesso Birt a dare un primoorientamento generale: se i testi poetici erano piuttosto pensati per la memo-rizzazione che per la lettura, il prosatore scrive invece per un lettore, e rag-giunge il proprio pubblico attraverso il libro. Ciò presuppone un commercio li-brario, un bibliopèlhj, figura attestata con questo nome a partire dalla finedel V secolo (in Aristomene comico), quando già esisteva un quartiere ad Ate-ne destinato alla vendita dei libri, se un personaggio della commmedia di Eu-poli poteva annunciare di esservi giunto (periÁlqon [...] oá ta\ bibl…' ênia, fr. K.-A.). Alla stessa epoca risale la prima attestazione della figura del bi-bliagr£foj (in Cratino, il più corrente bibliogr£foj è in Antifane, cfr. Pollu-ce, di cui subito). Non è qui la sede per riprendere l’intricata, e discussa, que-stione. Voglio riportare, però, almeno il passo ad essa dedicato nell’Onomasti-

* Del tema dei testi, soprattutto medici, e della loro conservazione e fruizione nell’antichità misono occupato in due precedenti interventi – Perilli ( e ) –, di cui questo rappresenta un ul-teriore sviluppo: che è stato molto agevolato da un soggiorno di ricerca a Londra nel presso ilWellcome Trust Centre for the History of Medicine at UCL, che qui desidero ringraziare vivamente,in particolare nella persona di Vivian Nutton. Sono inoltre debitore nei confronti di Amneris Roselliper le pertinenti osservazioni e le costruttive obiezioni a una prima stesura del lavoro, oltre che perl’abituale cortesia.

. «Erwähnungen von Bibliothek, Buchkauf u.s.f. sind selten, aber nicht seltener als die Gele-genheiten, die für Erwähnung so äusserlicher Dinge bei diesen älteren Autoren eintraten».

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co di Polluce (VII s.), perché per il tramite di una rassegna lessicale permet-te di riassumerne i termini:

†na de\ mhde\ tîn bibl…wn ¢mele‹n dokîmen, e‡poij ¨n b…bloi, bibl…on· para\ de\ 'Ari-stof£nei kaˆ b ibl id£rion . kaˆ c£rtaj de\ tou\ j gegramme/nouj Pl£twn e‡rhken okwmikÕj ta\ g rammate ‹a toÚj t e c£rtaj ™kfe/rwn. ™k de\ tîn ™nant…wn ™pˆ¢gr£fou tÕ bibl…on e‡rhken `HrÒdotoj, e„pën `gr£yaj ™n bibl…J'. kaˆ bibliopèlhnme\n para\ 'Aristome/nei eØr»seij ™n GÒhsin, b i bl iagr£fon de\ para\ Krat…nJ ™nCe…rosin, b i b l i o g r£fo j de\ para\ 'Antif£nei ™n Sapfo‹. para\ de\ tù newte/rJKrat…nJ ™n `Upobolima…J b ibl ioq»kh . 'Antif£nhj de\ ™n tù MÚlwni e‡rhke b i-bl i d … ou k Òllhma . `HrÒdotoj de\ tou\ j ”Iwn£j fhsi ta\ j b … b l ou j d i f q e/ ra jle/gein ¢pÕ toà palaioà . ta\ j de\ difqe/raj kaloàsi kaˆ „tte/laj.

Perché non sembri neppure che trascuriamo i libri, si può dire bibloi, biblíon. In Aristo-fane ricorre anche libercolo (biblidárion). E parlando di fogli (chartas) scritti Platone co-mico disse «pubblicando le tavolette e i fogli». Al contrario, a un foglio di papiro (biblíon)non scritto si riferisce Erodoto, quando dice «scrivendo nel biblíon». E libraio (bibliopó-len) si trova nei Goetes di Aristomene, scriba (bibliagráphon) nei Cheirones di Cratino, bi-bliográphon nella Saffo di Antifane. Nell’Hypobolimaios di Cratino il Giovane c’è “bi-blioteca”. Antifane nel Milone parlò di fogli incollati insieme a libretto (biblidíou kólle-ma). Erodoto sostiene che gli Ioni chiamano “pelli” (diphthéras) i papiri (biblous) secon-do un uso antico. Queste pelli le chiamano poi anche ittélas [pelli di capra].

Il testo meriterebbe estesa disamina, che si dovrà però rinviare. Esso attesta l’e-sistenza di un articolato lessico, che, come spesso, è la commedia a recepireprontamente e a mettere in gioco. Già nel V secolo si sono sviluppate professio-ni e attività commerciali che ruotano attorno all’oggetto scrittura/libro, e se del-le biblioteche di Pisistrato e Policrate non abbiamo se non notizie su cui è diffi-cile fare affidamento, altre fonti (Senofonte, poi Ateneo) elencano quelle di Eu-ripide, di cui sappiamo anche dalla parodia aristofanea e dallo stesso Ippolito (vv. s.: Ósoi me\n oân graf£j te tîn palaite/rwn / œcousin), e poi di Euclide, diNicocrato, e soprattutto di Eutidemo. Quest’ultima, di cui informa Senofonte(Mem. IV , s.), fu assemblata con libri acquistati sul mercato, ed è di partico-lare interesse sia per la quantità sia per il tipo di libri che conteneva.

Racconta infatti Senofonte che Socrate, incontrato Eutidemo, gli chiese sedavvero possedesse tutti quei libri di cui girava voce (e„pe/ moi, œfh, ð EÙqÚdh-me, tù Ônti, ésper ™gë ¢koÚw, polla\ gr£mmata sunÁcaj tîn legome/nwnsofîn ¢ndrîn gegone/nai;). Eutidemo non solo conferma, ma ribadisce che in-tende procurarsene ancora, «tutti quelli che mi riuscirà di comprare»: kaˆ œtige sun£gw, ›wj ¨n kt»swmai æj ¨n dÚnwmai ple‹sta. Socrate apprezza viva-mente il fatto che Eutidemo preferisse il sapere (sof…a) al denaro e avesse com-preso che l’uomo si arricchisce non con argento e oro, ma con quanto i sapien-ti avevano predicato (¢rgÚrion kaˆ crus…on oÙde\n belt…ouj poie‹n tou\ j¢nqrèpouj, ta\ j de\ tîn sofîn ¢ndrîn gnèmaj ¢retÍ plout…zein tou\ j kekth-me/nouj). Socrate pone poi una domanda più insidiosa: in quale dei mestieri dicui vai raccogliendo i libri, chiede, vuoi diventare esperto? (t… de\ dh\ boulÒme-noj ¢gaqÕj gene/sqai, œfh, ð EÙqÚdhme, sulle/geij ta\ gr£mmata;). La succes-sione che segue rende conto delle discipline su cui Eutidemo – che, non si di-

CONSERVAZIONE DEI TESTI E CIRCOLAZIONE DELLA CONOSCENZA IN GRECIA

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mentichi, era un giovane di neppure anni, se a causa dell’età non poteva an-cora frequentare l’agorà (cfr. II ,) – aveva costruito la propria personale bi-blioteca. La prima di queste discipline, e non sarà un caso, è la medicina. Chie-de infatti Socrate a Eutidemo se vuole forse diventare un medico, data la quan-tità di scritti di medicina raccolti: «ra mh\ „atrÒj; œfh: polla\ ga\ r kaˆ „atrîn™sti suggr£mmata. No, dice Eutidemo, non è questo il punto; e così via per glialtri mestieri, che corrispondono a un catalogo per argomenti della sua biblio-teca: architettura, geometria, astronomia, epica omerica – di cui possedeva l’e-dizione integrale, kaˆ ga\ r ta\ `Om»rou se/ fasin œph p£nta kektÁsqai.

Socrate mirava, nel dialogo con il giovane che sarebbe diventato suo segua-ce, a dimostrargli che il vero sapere non va ricercato nei libri e nelle singole di-scipline, ma nel “conoscere se stessi” delfico: ciò che a noi interessa è invece pro-prio quell’aspetto che Socrate disdegna, cioè la possibilità, e l’abitudine (se nonla facilità), di raccogliere libri da utilizzare per acquisire un sapere tecnico. Aparte infatti gli obbligati poemi omerici, Eutidemo sembra aver raccolto nonopere letterarie – vale a dire, per quell’epoca, essenzialmente poetiche – ma te-sti tecnici, in prosa. Lo stesso Socrate non solo disponeva di libri, ma aveva l’a-bitudine di commentarli e di farne excerpta, cfr. Xen. Mem. I ,: kaˆ tou\ j qh-saurou\ j tîn p£lai sofîn ¢ndrîn, oÞj ™ke‹noi kate/lipon ™n bibl…oijgr£yantej, ¢nel…ttwn koinÍ su\ n to‹j f…loij die/rcomai, kaˆ ¥n ti orîmen¢gaqÕn ™klegÒmeqa. Era usuale quindi leggere e commentare insieme le dot-trine degli antichi sapienti, quali essi stessi avevano lasciato scritte nei libri. Unatradizione che già allora, nella seconda metà del V secolo, vantava una lunga tra-dizione. Di quelle più significative, poi, si facevano estratti (™kle/gein).

Mentre Eutidemo possedeva una raccolta di testi tecnici, ad uso degli inse-gnanti di scuola erano invece disponibili, come è da aspettarsi, le opere poeti-che, da Orfeo a Omero, Esiodo, Cherilo, Epicarmo, le tragedie, sebbene nonmancassero scritti d’altro genere, come manuali di tecnica culinaria – una di-sciplina sulla quale la manualistica antica abbondava e che ebbe un nesso con la

LORENZO PERILLI

. L’informazione è fornita dal comico Alesside (fr. K.-A.), che parla di un tal Lino (il nomeè quello dell’inventore della musica), insegnante, che tenta di educare il riluttante Eracle: bibl…on /™nteàqen Ó ti boÚlei proselqën ga\ r labe/, / œpeit' ¢nagnèsei p£nu ge diaskopîn / ¢pÕ tîn ™pi-gramm£twn ¢tre/ma te kaˆ scolÍ. / 'Orfeu\ j œnestin, `Hs…odoj, tragJd…ai, / Coir…loj, “Omhroj,† 'Ep…carmoj, suggr£mmata / pantodap£. dhlèseij ga\ r oÛtw th\ n fÚsin, / ™pˆ t… m£lisq' érmhke.:: toutˆ lamb£nw. / :: de‹xon ti ™stˆ prîton. :: Ñyartus…a, / éj fhsi toÙp…gramma. :: filÒsofÒjtij ei’, / eÜdhlon, Öj pareˆj tosaàta gr£mmata / S…mou te/cnhn œlabej, ktl. («di libro, / va’ e pren-di da lì quello che vuoi, / poi leggi ad alta voce, facendo bene attenzione, / l’indice dei titoli, con cal-ma, tranquillamente. / Ci sono Orfeo, Esiodo, le tragedie, / Cherilo, Omero, ... Epicarmo, ogni ge-nere / di scritti. Così darai a vedere la tua natura, / in che direzione soprattutto ti spinge. :: Prendoquesto qui. / :: Fa’ vedere che cos’è, innanzitutto. :: Arte culinaria, / così dice il titolo. :: Sei un filo-sofo, / si vede: hai tralasciato scritti come questi, / e hai preso l’Arte di Simo»). Il passo di Alessideè indicativo di una serie di aspetti relativi all’antica produzione libraria, per i quali cfr. Birt (, p.) e il commento di Arnott (, ad l.), con i rinvii bibliografici ivi addotti. Si osserverà qui sol-tanto che dal frammento si ricava che ciascun rotolo (bibl…on) doveva essere munito di un indice delcontenuto. Molto dipende dal significato che si attribuisce a ™pigr£mmata in questo caso, che va daquello più comune di “titoli” (così spesso gli interpreti, da LSJ ad Arnott) a quello di librorum indi-ces (Birt, Kassel, Austin, ad l.). Arnott ipotizza che tali titoli si trovassero scritti sul retro delle co-lonne d’apertura e non ancora su etichette applicate ai rotoli.

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medicina e un ruolo nell’evoluzione dei metodi di classificazione degli animalifino ad Aristotele .

La circolazione di tali opere, a sua volta, non era limitata ad Atene e dintor-ni, se il carico delle navi dei commercianti prevedeva anche b…bloi gegramme/noi,secondo quanto informa Xen. An. VII ,, per un rapido commercio transmari-no, che spiega anche la sorprendente diffusione delle dottrine dei filosofi da unestremo all’altro del mondo greco, dalla Ionia alla Magna Grecia, tanto che unParmenide e un Eraclito potevano, a stretto giro, rispondere l’uno alle elucu-brazioni dell’altro. Per questo Platone poteva presupporre l’ignoranza, o l’anal-fabetismo (¥peiroj gramm£twn), di chi non conoscesse l’opera di Anassagora:nell’Apologia (d -e ), ribattendo alle accuse di Meleto che lo accusava di nonriconoscere gli dèi, Socrate afferma che tali dottrine sono in realtà di Anassago-ra e che attribuirle a lui equivaleva a dare dell’ignorante ai giudici, che certo leconoscevano: kaˆ oÛtw katafrone‹j tînde kaˆ o‡ei aÙtou\ j ¢pe…roujgramm£twn ei’nai éste oÙk e„de/nai Óti ta\ 'AnaxagÒrou bibl…a toà Klazo-men…ou ge/mei toÚtwn tîn lÒgwn; . Non solo quindi le opere filosofiche eranofacilmente accessibili, ma si presuppone che fossero anche conosciute dai più,ciò implicando anche, almeno per le classi agiate, un significativo grado di alfa-betizzazione. Così nel Fedone ( ss.) si racconta di quando Socrate, incuriositoda una pubblica lettura dell’opera di Anassagora, subito andò a procurarseneuna copia, per approfondirne lo studio.

Il congegno di Eratostene

Verso la metà del III secolo a.C., Eratostene fu chiamato ad Alessandria dal terzodei Tolemei, l’Evergete. Vi sarebbe rimasto per cinquant’anni, acquisendo i meri-ti che sappiamo. Tra le sue straordinarie competenze era quella nelle matematiche,dimostrata, tra l’altro, dalla soluzione che egli propose per uno dei tre grandi pro-blemi della matematica greca: la duplicazione del cubo. In termini più generali, sitrattava di trovare una soluzione a un problema di teoria delle proporzioni, un me-todo che permettesse cioè di ingrandire (o ridurre) dei solidi in scala, ovvero di ga-

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. Cfr. in proposito Perilli (, pp. s.), con bibliografia.. La frase che segue, riferita in genere al commercio librario, è di dubbia interpretazione, seb-

bene questo non sia riconosciuto dalla maggior parte degli interpreti. Recita: kaˆ dh\ kaˆ oƒ ne/oi taà-ta par' ™moà manq£nousin, § œxestin ™n…ote e„ p£nu polloà dracmÁj ™k tÁj Ñrc»straj pria-me/noij Swkr£touj katagel©n; Si intende, in genere: «inoltre, i giovani imparerebbero da me que-ste dottrine quando possono comprarsele a dracma a dir tanto, nell’orchestra, e farsi beffe di So-crate?». Per orchestra si intende non la parte del teatro così chiamata, ma quella zona dell’agora cheportava lo stesso nome. Mentre gli interpreti sembrano più o meno concordi, un vecchio interventodi Egger (, p. ) segnalava come con kaˆ dh\ ka… si aggiungesse evidentemente ai bibl…a qual-cos’altro, che si poteva comprare per una dracma, mentre l’™n…ote sarebbe ulteriormente problema-tico, ed è in effetti generalmente trascurato nelle rese in altre lingue. Mi chiedo se Socrate non inten-desse qui riferirsi piuttosto alla possibilità, che si presentava di tanto in tanto, di ascoltare (pagando?)quelle dottrine, tanto più che la dracma a cui spregiativamente fa riferimento non sembra certo unprezzo verosimile per una copia dell’opera di Anassagora, sebbene notizie precise sui prezzi dei libria quest’epoca non se ne abbiano (D.L. IV parla di talenti per gli autografi di Speusippo).

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rantire l’invarianza della forma al variare delle dimensioni . Con la questione si era-no già confrontati matematici del calibro di Ippocrate di Chio e di Archita, Eu-dosso, Menecmo, con soluzioni talora geniali, ciascuna diversa dall’altra.

Si può presumere che il più specifico riferimento al cubo si generalizzò a se-guito della vicenda narrata da Eratostene in un’epistola indirizzata a Tolemeo.Egli, con fare letterario, racconta di «quel poeta tragico» (si pensò a Euripide, acui il frammento fu attribuito: è ora un adéspoton, fr. N.) che aveva antica-mente rappresentato il re Minosse nell’atto di far costruire una tomba per il figlioGlauco, morto, secondo la leggenda, annegando in una giara di miele mentre ten-tava di trovare la via d’uscita dal labirinto. Erano previsti, per la tomba, pie-di per lato. Minosse ritenne tuttavia le dimensioni troppo ridotte, e ingiunse, inun tristico a lui attribuito, di farle di grandezza doppia, raddoppiando ciascun la-to, dipl£sioj œstw [...], / d…plaz' ›kaston kîlon: ci si rese subito conto, però,che qualcosa non andava. Raddoppiando ciascun lato di un cubo, infatti, questosarebbe diventato in realtà non due, ma otto volte più grande. Lo stesso proble-ma, prosegue Eratostene, si pose agli abitanti di Delo, impegnati a raddoppiarele dimensioni di un altare, per esaudire la richiesta dell’oracolo.

Seguendo un’intuizione di Ippocrate di Chio, che aveva compreso che, perrisolvere il problema, era necessario anzitutto individuare due medi proporzio-nali tra due segmenti di retta, in cui il più grande fosse il doppio del più picco-lo, Eratostene propose una sua personale soluzione, di tipo geometrico, che pre-sentava una peculiarità: era possibile tradurla, ed era stata di fatto tradotta, inun congegno meccanico (ÑrganikÒn) di legno, avorio o bronzo, costituito da trepinak…skouj, tre tavolette sottili e uguali una all’altra, una fissa al centro, le dueesterne in grado di spostarsi convenientemente. Il congegno meccanico, infor-ma Eratostene (,), era modulare: ™a\ n de\ ple…ouj me/saj ™pitacqÍ eØre‹n, ¢eˆ˜nˆ ple…ouj pinak…skouj katasthsÒmeqa ™n tù Ñrgan…J tîn lhfqhsome/nwnme/swn: h de\ ¢pÒdeixij h aÙt». Vale a dire, chi abbia l’esigenza di individuare unnumero maggiore di medi proporzionali potrà moltiplicare a piacimento le ta-volette, avendo cura che siano sempre in numero maggiore di uno rispetto ai me-di considerati: la dimostrazione rimarrà la stessa.

Precisa, poi, Eratostene: ™n de\ tù ¢naq»mati tÕ me\n ÑrganikÕn calkoàn™stin kaˆ kaq»rmostai Øp' aÙth\ n th\ n stef£nhn tÁj st»lhj prosmemolubdo-cohme/non, Øp' aÙtoà de\ h ¢pÒdeixij suntomèteron frazome/nh kaˆ tÕ scÁma,met' aÙtÕ de\ ™p…gramma. Insomma, del congegno fu fatta un’offerta votiva(¢n£qhma), saldata (prosmolubdocoe/w è solo qui in greco) sotto la cornice su-periore della stele; sotto di essa fu trascritta una redazione concisa della dimo-strazione, accompagnata da una figura (scÁma) e seguita infine da un epigram-ma di versi rivolto a Tolemeo (come si ricava dal v. ), nel quale si rifà la sto-ria del problema, esaltando la semplicità della soluzione, rispetto ai cilindri diArchita o alle altre proposte. Infine, in conclusione dell’epigramma, la firma:

LORENZO PERILLI

. Attingo a Zellini (, pp. ss.). Il tema della duplicazione del cubo è ora ampiamente il-lustrato e indagato da Huffmann (, pp. -), con particolare riferimento ad Archita.

. La fonte è il matematico del VI secolo d.C. Eutocio, commentatore di Archimede, cfr. In Ar-chim. de sphaera et cyl. ,-,, che trascrive l’intera epistola. A prescindere dall’attendibilità del-la fonte, che in ogni caso registra materiali precedenti, la vicenda è comunque indicativa.

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le/goi de/ tij ¥nqema leÚsswntoà Kurhna…ou toàt' 'Eratosqe/neoj.

Dica chi osserva quest’offertache è di Eratostene di Cirene.

Non è detto dove la stele fosse collocata: in un tempio o in un santuario, si è sup-posto, sebbene non si possano escludere altre possibilità (il Museo ad Alessan-dria?). Si notino alcune caratteristiche del testo. Terminata la sezione introduttivacon la menzione dei predecessori, aggiunta la propria dimostrazione geometricacon tutti i necessari dettagli, segnalate le caratteristiche del relativo congegno mec-canico, si aggiunge ex abrupto la frase sopra riportata: ™n de\ tù ¢naq»mati ktl.Vale a dire che, piuttosto che informare di come al tutto fosse stata data quella spe-cifica collocazione, viene dato per scontato che siffatta spiegazione geometrica coni suoi dettagli tecnici, corredata di un disegno e del congegno che ne era derivato,fosse esposta in pubblico. Si ritiene che si tratti di un’offerta votiva alla divinità.

C’è forse qualcosa di più. Le caratteristiche ora richiamate, e con esse la con-clusiva rivendicazione del copyright, inducono infatti a ritenere che Eratostenevolesse piuttosto rendere di pubblico dominio la propria scoperta, garantendo-si il riconoscimento della paternità. È evidente che la spiegazione, il disegno, ilmarchingegno bronzeo dovevano essere accessibili, in particolare a chi fosse ingrado di intenderli. È altresì noto che l’insegnamento delle matematiche eratutt’altro che diffuso nell’antichità, in età classica, ellenistica e ancora imperiale,limitandosi generalmente ai rudimenti della computazione : era dunque daescludere un destinatario generico. L’¢n£qhma, seguendo presumibilmente unuso più antico, era affidato a una struttura, e a del personale, in grado non di cu-stodirlo gelosamente, ma, al contrario, di renderlo accessibile a chi volesse frui-re (leÚsswn) della scoperta e apprendere il nuovo metodo di soluzione di unproblema antico. Eratostene aveva “pubblicato” la sua scoperta e fornito cosìuno strumento con valenza sia promozionale che didattica, come si evince daltono delle osservazioni di commento contenute nel testo discusso fin qui.

Siamo, si diceva, nella seconda metà del III secolo.

Il libro di Eraclito, «ein recht belesener Mann»

Uno dei casi più noti di rapporto tra santuari e opere dell’ingegno è quello di Era-clito: quasi tre secoli prima. Egli avrebbe «affidato alla protezione dell’Artemidedi Efeso» la sua opera, depositandola nel tempio della dea come offerta votiva: co-sì, almeno, la più diffusa delle interpretazioni di una notizia riportata anche daDiogene Laerzio (IX ). Recita: ¢ne/qhke d' aÙtÕ [scil. tÕ bibl…on] e„j tÕ tÁj 'Ar-te/midoj ƒerÒn, æj me/n tinej, ™pithdeÚsaj ¢safe/steron gr£yai, Ópwj oƒdun£menoi <mÒnon> (Diels) pros…oien aÙtù kaˆ mh\ ™k toà dhmèdouj eÙkata-frÒnhton Ï. Tre i dati da rilevare: il libro viene «esposto» (¢ne/qhke) nel tempio di

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. Rinvio qui soltanto alla nuova edizione, con specifiche aggiunte sul tema, di Hadot ().. La definizione si deve a Schmid, Stählin (, p. ).

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Artemide; l’opera deve essere accessibile (pros…oien); destinatario è chi sia com-petente e dunque in grado di intenderla (oƒ dun£menoi), e a questo scopo la diffi-coltà della scrittura (¢safe/steron) doveva sottrarre lo scritto agli abusi del volgo.

Colpiscono le analogie con il caso di Eratostene: il termine che indica il “de-posito” dell’opera nel tempio è il medesimo tecnicismo ¢nat…qhmi, in Eratostenepertinentemente associato a una stele, in Eraclito traslato in riferimento a un’o-pera scritta (ma il termine sarà qui dovuto a Diogene Laerzio, o più probabilmentealla sua fonte): si trattava, evidentemente, di una prassi, come tale caratterizzatada un lessico tecnico o comunque convenzionale. Mi sembra dunque restrittivointendere qui «set up as a votive gift» (LSJ). L’opera viene resa poi accessibile: alpros…oien usato in riferimento a Eraclito risponde il leÚsswn di Eratostene. Lacomplessità dell’oggetto esclude una fruizione generalizzata, indirizzando piutto-sto verso un’utenza specialistica (Eratostene) o comunque dotata di adeguata pre-parazione (Eraclito). Il mÒnon integrato da Diels, e per lo più accolto dai succes-sivi editori, appare superfluo se non fuorviante. Non si tratta di restrizioni: il li-bro, in quanto è affidato al santuario, resta accessibile a tutti; chi saprà intender-lo penetrando la cripticità della scrittura (oƒ dun£menoi), intenderà.

Soprattutto, la prassi del deposito nel tempio, o meglio nel santuario, con isuoi molteplici edifici, non necessariamente consacrati, implica che vi fosserostrutture destinate a contenere tali realizzazioni dell’ingegno e che l’accesso allestesse fosse garantito, fors’anche la possibilità di farne trascrizioni, almeno parzia-li. Si trattava verosimilmente di una fase essenziale nella trasmissione del sapere.

Quando nel II secolo d.C., dunque prima di Diogene Laerzio, l’apologeta cri-stiano Taziano scrive il terzo capitolo della sua Oratio ad Graecos con l’intenzio-ne di ridicolizzare gli antichi filosofi, il primo di cui riferisce è Eraclito. Scopo del-l’aver affidato al tempio di Artemide il suo libro, lui arrogante autodidatta, sa-rebbe stato quello di renderlo inaccessibile (katakrÚyanta), per assicurargli inseguito l’aura di uno scritto misterico. Ecco il testo (Tatian. Ad Graecos, ,):

tÕn ga\ r `Hr£kleiton oÙk ¨n ¢podexa…mhn ™mautÕn ™didax£mhn e„pÒnta dia\ tÕaÙtod…dakton ei’nai kaˆ Øper»fanon oÙd' ¨n ™paine/ saim i katakrÚyantath\ n po …hsin ™n tù tÁj 'Arte/ m idoj naù , musthr iwdîj Ópwj Ûsteron htaÚthj œkdosij g…nhtai. kaˆ ga\ r oŒj me/lon ™stˆ perˆ toÚtwn, fasˆn EÙrip …dhnt Õ n t ra gJd op o i Õ n ka t i Ò n ta ka ˆ ¢ nag i nèsko n ta dia\ mn»mhj kat'Ñl…gon tÕ `Hrakle…teion skÒtoj to ‹j spouda…o ij paradedwke/nai.

io non posso approvare Eraclito che dice, lui autodidatta e arrogante, «ho istruito me stes-so», né apprezzarlo per aver nascosto il suo poema nel tempio di Artemide, alla manieradei misteri, perché fosse pubblicato in seguito. Infatti, chi si occupa di queste cose diceche il tragico Euripide è andato laggiù e ha letto e a memoria ha trasmesso poi l’oscuritàeraclitea alle persone più interessate.

Il preteso katakrÚptein è dunque contraddetto dal libero uso del testo da par-te di Euripide, al punto da poterlo mandare a memoria, ottenendone una copiasecondo quanto tramandato da altre fonti . Il katiÒnta usato da Taziano per di-

LORENZO PERILLI

. D.L. II (= Heracl. A D.-K.) informa che Euripide avrebbe dato a Socrate il libro di Era-clito: fasˆ d' EÙrip…dhn aÙtù [scil. tù Swkr£tei] dÒnta tÕ `Hrakle…tou sÚggramma ktl.

Page 12: Lorenzo Perilli, Conservazione dei testi e circolazione della conoscenza in Grecia

re l’accostarsi di Euripide allo scritto eracliteo rinvia al pros…oien di DiogeneLaerzio, volendosi indicare, in entrambi i casi, il diretto e personale accesso al-l’oggetto.

Senza dubbio, consegnare un’opera agli addetti di un santuario o di un tem-pio ne avrà assicurata la conservazione e, assieme con essa, la fruibilità. Non èda trascurare l’ipotesi di Schmid e Stählin (, p. e nota ), che il libro era-cliteo fosse stato affidato al tempio di Artemide a seguito di una disposizione te-stamentaria. Sappiamo infatti che i cosiddetti testamenti dei filosofi da Platonein poi, della cui autenticità non v’è motivo di dubitare, rappresentavano un la-scito importante per i successori, in termini di eredità sia materiale (offrendouno straordinario sguardo sul “privato” di personaggi da noi lontani, in ognisenso) sia spirituale (con disposizioni relative ad esempio alla successione nel-l’attività filosofica). Essi comprendevano spesso specifiche, e talora appassiona-te istruzioni relative proprio ai libri, distinti in un caso in ¢negnwsme/na e¢ne/kdota, questi ultimi essendo testi rimasti “inediti” . La œkdosij posticipa-ta (Ûsteron) di cui in Taziano potrebbe allora rinviare proprio a una disposi-zione da eseguirsi successivamente alla scomparsa dell’autore.

È a proposito di Eraclito, del resto, che Rodolfo Mondolfo poteva sottoli-neare la straordinaria diffusione dell’opera prima di Platone, scrivendo che

così vasta propagazione è senza dubbio un indizio significativo del fatto che molteplicicopie dello scritto eracliteo dovevano essersi sparse per tutto il mondo greco, dalla Ionianativa alla Magna Grecia, passando per il centro culturale di Atene nell’epoca del suo fio-re, in cui, secondo la tradizione raccolta da Aristone e Diogene Laerzio (II e IX ), Eu-ripide avrebbe recato a Socrate uno di tali esemplari. Il fatto dunque di questa diffusio-ne, storicamente documentata, dell’opera di Eraclito nell’età preplatonica è già una con-futazione anticipata di tutti i dubbi critici e ipercritici, che tendono a negare una cono-scenza del testo completo di Eraclito a studiosi come Platone e Teofrasto, appartenentiproprio all’epoca che prepara e vede poi compiersi, per iniziativa di Aristotele, la primacreazione di una biblioteca sistematica di cui si abbia notizia per il mondo occidentale .

La disponibilità del testo in una struttura importante come l’Artemision di Efe-so poté contribuire alla sua diffusione e conoscenza .

CONSERVAZIONE DEI TESTI E CIRCOLAZIONE DELLA CONOSCENZA IN GRECIA

. I testamenti sono trascritti in Diogene Laerzio, ciascuno nel libro concernente l’autore divolta in volta in questione. Studio di riferimento sul tema fu ed è rimasto Bruns (). Sul tema deilasciti librari in essi menzionati, per dimostrare che si trattava di biblioteche private e non di scuo-la, si sofferma Gomperz (). Dei testamenti si dirà più avanti.

. Mondolfo, Tarán (, p. LXXXIV).. La funzione qui ipotizzata per il deposito di opere nei santuari, a scopo cioè di accessibilità,

trova conferma nell’episodio narrato a proposito del faraone egiziano Amenophis, il quale, standoalla storia del cosiddetto “oracolo del vasaio”, «depositò il libro [che ne conteneva le rivelazioni] neltesoro del tempio, rendendolo accessibile munificamente a tutti gli uomini» (PRainer G. col.II s.: th\ n de\ b…blion kaq…drusen ™n ƒero‹j tame…oij aÙtoà kaˆ p©sin ¢nqrèpoij pare/deixen¢fqÒnwj, ed. L. Koenen, , p. ). Cfr. Henrichs (, p. s. nota ). Il greco tam(i)e‹on,riferito all’Egitto, designava la cosiddetta “Casa della vita”, lo scrittorio dei templi egizi destinato al-la stesura degli scritti correlati con la religione e con le attività del santuario. Qui erano evidente-mente conservati anche testi accessibili non solo agli addetti ma anche agli esterni, come è ipotizza-bile per i templi greci. Sulla “Casa della vita” e i termini greci che la indicavano cfr. Burkard ();qualche cenno sul tema in Perilli (, ).

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Il tempio di Artemide a Efeso, però, non avrà costituito un’eccezione. Essodovette avere una funzione ufficiale come luogo di conservazione e consultazio-ne del materiale librario, intendendo con ciò non solo i “libri” veri e propri, mamateriali eterogenei, dai rotoli contenenti opere letterarie, scientifiche, filosofi-che, a materiali d’archivio, documenti, atti, ad esempio di tipo giuridico. Cheleggi e decreti venissero depositati ed esposti in templi e santuari non è del re-sto una novità, e così iscrizioni celebrative, commemorative e d’altro genere. Adanaloga pratica fa verosimilmente riferimento un passo di Eschilo (Suppl. ss.), dove il re Pelasgo ribadisce all’araldo venuto dall’Egitto che la decisioneunanime del popolo di non consegnare le donne è fissata a un chiodo ben saldo,non scritta su tavolette né «suggellata nelle pieghe di un papiro» (quindi affida-ta a un papiro ripiegato e protetto da sigillo): toi£de dhmÒpraktoj ™k pÒlewjm…a / yÁfoj ke/krantai [...] / [...] tînd' ™f»lwtai torîj / gÒmfoj diamp£x, æjme/nein ¢rarÒtwj. / taàt' oÙ p…nax…n ™stin ™ggegramme/na / oÙd' ™n ptuca‹jb…blwn katesfragisme/na. Il chiodo che attraversa il decreto del popolo staràa significare la pratica dell’esposizione dei decreti e dei documenti pubblici ingenere, mentre la contrapposizione con tavolette e papiri indica supporti desti-nati, a differenza dei primi, all’archiviazione .

Se le testimonianze, letterarie o epigrafiche, per l’età arcaica scarseggiano,ciò non può valere come argomento ex silentio per negare l’esistenza di pratichenon solo attestate, sia pur flebilmente, ma che soprattutto permettono, esse so-le, di intendere una serie di fenomeni altrimenti sorprendenti, relativi alla tra-smissione del sapere, all’insegnamento, alla pratica di discipline come la medi-cina. Il sistema visse col tempo una significativa evoluzione, ma i tratti fonda-mentali dovettero conservarsi: anche le informazioni di età posteriore possonoaiutare la comprensione del fenomeno.

LORENZO PERILLI

. Il richiamo eschileo al chiodo che attraversa il decreto, inteso qui come simboleggiante lostrumento per fissare il testo al supporto destinato a sostenerlo, potrebbe assumere forse un ulte-riore significato e indicare la forza e la saldezza della parola del re, affidata allo strumento del de-creto e al supporto scrittorio a questo adeguato. Si può richiamare un sorprendente testo sumero,in cui Enmerkar – mitico sovrano di Uruk risalente alla prima dinastia, quella immediatamente suc-cessiva al diluvio, dunque intorno al a.C. –, intenzionato a ottenere la sottomissione del re-gno di Aratta, dapprima invia un araldo a riferire le sue parole, poi, constatato l’insuccesso, le met-te per iscritto: è la prima volta che ciò accade, è l’invenzione della scrittura. L’araldo consegna alre di Aratta la tavoletta di argilla con le parole di Enmerkar, e «Il signore di Aratta, dall’araldo, /prese la tavoletta lavorata artisticamente, / il signore di Aratta scrutò la tavoletta: / – la parola det-ta ha forma di chiodo, la sua struttura trafigge – / il signore di Aratta scruta la tavoletta lavorata ar-tisticamente» (ll. -). Riferita alla forma tipica della scrittura cuneiforme, l’immagine del chio-do è di immediata trasparenza: ma, al di là di questa analogia formale, l’intento è anche quello disottolineare come la parola scritta, rispetto a quella “detta”, possieda una maggiore capacità di“trafiggere”, di giungere in profondità nell’animo del destinatario. Siamo, nel caso sumero, al mo-mento del primo passaggio da una comunicazione orale a quella scritta, il caso è ben diverso daquello di Eschilo: dove tuttavia non mi sembra impossibile, e anzi suggestivo, ritrovare una lonta-na risonanza dell’immagine orientale. Il testo sumero citato è il poema epico Enmerkar e il signo-re di Aratta, cfr. Cohen (). La traduzione qui riportata è di Pettinato (, p. ). Cfr. Boffo(). Più in generale, sulla scrittura e l’impulso da essa dato alla configurazione di alcune disci-pline, tra cui ad esempio la geometria, la cartografia, il diritto, cfr. Detienne (), nonché per lacircolazione dei testi almeno Cavallo ().

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I casi di Abrocome e Antia,

di Apollonio re di Tiro e di Crantore di Soli

Alla fine del romanzo di Senofonte di Efeso intitolato Ephesiaka e risalente al IIsecolo d.C., i due innamorati Abrocome e Antia (modello di Shakespeare perRomeo e Giulietta) tornano felicemente a Efeso. Essi offrono allora al tempio diArtemide preghiere e oggetti votivi, a cui aggiungono poi un’offerta inconsueta:il racconto scritto delle proprie vicende. Recita il testo: ™pˆ tÕ ƒerÕn tÁj 'Ar-te/midoj Éesan kaˆ polla\ hÜconto kaˆ qÚsantej ¥lla <te> ™n e/ q esan¢naq»mata kaˆ dh\ kaˆ [ th\ n ] grafh\ n tÍ qeù ¢ne/ qesan p£ntaÓsa te œpaqon kaˆ Ósa œdrasan («si recarono al tempio di Artemide e prega-rono a lungo, offrendo sacrifici e altri doni votivi, e poi in aggiunta a ciò dedi-carono alla dea anche il racconto scritto di quanto avevano patito e di quantoavevano fatto»). È, questo, il modello di successive rielaborazioni, la più diffusadelle quali fu la storia di Apollonio re di Tiro, destinata a vasta fortuna nella tar-da antichità e nel Medioevo, nella quale il re Apollonio affida al tempio della deala sua biografia: alla conclusione della storia (XXXIX) si narra che egli mise periscritto le proprie vicende in due esemplari e ne affidò uno al tempio di Diana aEfeso (nel quale aveva avuto luogo il finale ricongiungimento con la moglie, nel-la veste di sacerdotessa) e uno a una non meglio precisata biblioteca . Il kaˆ dh\ka… di Senofonte mette in risalto la consegna anche dello scritto, oltre a più con-suete offerte; sottolineando che se da un lato quella del deposito di libri in unluogo sacro era operazione non insolita, tuttavia non andava considerata allastregua di una comune offerta votiva, ma aveva peculiare significato.

Non si vuole considerare gli Ephesiaka senofontei come fonte storica: sì, in-vece, come riflesso letterario di una pratica consueta per l’intero corso dell’an-tichità, che testimonianze le più diverse di epoche lontane, da Eraclito in poi, siincaricano di ribadire.

Indicativo è il caso di Crantore di Soli, che riporta di nuovo molto più in-dietro. Costui, filosofo accademico di spicco tra la seconda metà del IV secoloa.C. e l’inizio del III, si dice avesse scritto, oltre a trentamila righe di commenti,anche delle poesie: che infine avrebbe affidate al tempio di Atena, nella terra na-tia, dopo avervi apposto la propria sphragís. Recita il testo (D.L. IV = Antigo-no Caristio, i.e. III secolo a.C.): le/getai de\ kaˆ poi»mata gr£yai kaˆ ™n tÍ pa-tr…di ™pˆ tù tÁj 'Aqhn©j ƒerù sfragis£menoj ¢naqe‹nai (aÙta\ qe‹nai codd.edd.: ¢naqe‹nai recte Wilamowitz) («si narra anche che scrisse poesie e che leoffrì, apposto il proprio sigillo, nel tempio di Atena, nella sua patria»). Sulla va-lenza di ¢naqe‹nai in riferimento al deposito di opere scritte si è già detto perEratostene ed Eraclito. Il termine suona, anche in questo caso, come un tecnici-

CONSERVAZIONE DEI TESTI E CIRCOLAZIONE DELLA CONOSCENZA IN GRECIA

. Si ritiene che la storia di Apollonio risalga a un perduto originale greco del III secolo d.C. esia stata fin d’allora volta in latino, fino a diventare il cap. dei Gesta Romanorum, compilazionerisalente alla fine del XIII secolo destinata a vasto successo ed enorme popolarità. Fu considerato ilpiù noto romanzo del Medioevo e la traduzione in inglese antico conta come il primo romanzo inlingua inglese, conservato in un manoscritto risalente alla metà dell’XI secolo. Cfr. Kortekaas ().

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smo (se si accetta la congettura di Wilamowitz). Eloquente è lo sfragis£menoj,che qui vale evidentemente come autenticazione e rinvia all’apposizione delcopyright da parte di Eratostene. Nel momento in cui le opere venivano affida-te a un repositorio pubblico, esse dovevano per necessità essere identificabili,non solo a scongiurare il rischio per l’autore di essere dimenticato, ma anche perconsentire l’univoca individuazione del testo e la sua catalogazione con gli altri.Un inventario di qualche sorta vi sarà pur stato: inventari dei beni dei santuarisono in effetti ampiamente attestati, e lo stesso si dovrà supporre per i libri .

La biografia di Crantore consente di fare un passo ulteriore. È illuminante,infatti, quanto si racconta di una sua malattia e del conseguente soggiorno nelsantuario di Asclepio. Dice la medesima fonte, poche righe prima: oátojnos»saj e„j tÕ 'Asklhpie‹on ¢necèrhse k¢ke‹ periep£tei: oƒ de\ pantacÒqenprosÇesan aÙtù, nom…zontej oÙ dia\ nÒson, ¢lla\ boÚlesqai aÙtÒqi scolh\ nsust»sasqai («ammalatosi, si ritirò nell’Asclepieo, e lì passeggiava: da ogniparte si recarono da lui, pensando che si trovasse lì non per una malattia, ma per-ché intendeva fondarvi una scuola»). Orbene, con ogni naturalezza si dice cheCrantore, malato, si reca non da un medico, ma al santuario di Asclepio; e chelì – verosimilmente nella stoà annessa al tempio propriamente detto, come ipo-tizza Wilamowitz – egli passava il tempo passeggiando, un esercizio frequentetra i pazienti, insieme con bagni e altre pratiche.

Soprattutto singolare è la successiva annotazione. Gli scolari, nell’idea cheil maestro si trovasse nell’Asclepieo per istituirvi una “scuola”, lo raggiungonocolà: informandoci di una funzione del luogo sacro per noi forse sorprendente,per gli antichi invece consueta, vista la naturalezza con la quale viene evocata. Isantuari come centro per lo svolgimento di iniziative legate al lavoro intellettua-le: la vicenda di Crantore e dei suoi seguaci informa che le strutture annesse altempio già nel IV secolo servivano per attività diverse, eventualmente connessenon solo alla conservazione, ma anche alla trasmissione del sapere. Attività a cuidovevano essere riservati appositi spazi e che furono anche sottoposte a unaforma di controllo da parte della città .

Non sembra verosimile, infatti, la totale separatezza della gestione di santua-ri come quelli, numerosissimi, di Asclepio rispetto alla gestione della cosa pub-blica: è argomentabile al contrario un intervento o una responsabilità dell’ammi-nistrazione cittadina, un ruolo di supervisione, di ordinamento e a volte di ge-stione. Insomma il santuario come spazio destinato all’interesse comune, pubbli-co, ivi compresa la diffusione del sapere. Non sono pochi gli spunti e le informa-zioni che si possono rinvenire nei testi antichi, interpretabili in questo senso.

LORENZO PERILLI

. Non mi sembra condivisibile l’interpretazione di Wilamowitz (, p. ), che riferendosialla notizia biografica riportata da vari testimoni (Ael. VH II , D.L. III , ma anche Olimpiodoro ealtri), secondo la quale Platone avrebbe dato pubblicamente alle fiamme i suoi scritti poetici, para-gona con essa l’operazione di Crantore e annota: «Platon verbrennt seine Poesien, Krantor entäußertsich ihrer minder radical, aber mit gleichem Erfolg und in gleicher Absicht». Che Crantore volessealienarsi i propri scritti poetici e lo facesse con quella che con ogni verosimiglianza fu una disposi-zione testamentaria, affidandoli a un luogo sacro con la propria sphragís, non mi riesce di intender-lo. Ben altra efficacia e significato ebbe, invece, l’operazione di Platone.

. Cfr. Perilli (, p. ), nonché infra, PAR. .

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Il singolare caso dei testamenti dei filosofi

Si è accennato sopra ai testamenti dei filosofi antichi, trasmessi a noi da Dioge-ne Laerzio, la cui fonte fu forse Aristone di Ceo, nel III secolo a.C. (almeno perquello di Stratone, cfr. V ) . Gli autori le cui ultime volontà vengono traman-date sono Platone, Aristotele, Teofrasto, Stratone, Lico, Epicuro. Si tratta di te-sti la cui attrattiva risiede proprio nell’assenza di specifico interesse filosofico oletterario e nello sguardo che permettono di gettare oltre il sipario rappresenta-to dalle opere filosofiche di questi autori, nel loro quotidiano, nella vita familia-re e nel rapporto con amici e scolari, nei loro possedimenti, nei desiderata postmortem, appunto. Furono non a caso studiati innanzitutto da Bruns dalla pro-spettiva di uno storico del diritto, mentre Zeller se ne servì nella sua ricostru-zione della filosofia antica. Sono gli unici testamenti a noi pervenuti integral-mente dal mondo greco, e la loro sopravvivenza si deve presumibilmente al lo-ro essere conservati nell’ambito della scuola da essi fondata o diretta, giacché vierano in genere contenute anche disposizioni relative alla scuola stessa, alla pro-prietà degli edifici e dei libri, alla direzione. Il testamento serviva quindi a ga-ranzia e protezione di chi avesse ricevuto dal legatario un bene o un incarico.

Vi si fa menzione anche del destino dei libri: con accenti diversi da autoread autore. Che Platone possedesse libri è indubbio. Si racconta persino che unacopia dell’opera del mimo Sofrone, che egli avrebbe introdotto ad Atene, fossestata ritrovata sotto il suo cuscino (D.L. III : doke‹ de\ Pl£twn kaˆ ta\ Sèfro-noj toà mimogr£fou bibl…a ºmelhme/na prîtoj e„j 'Aq»naj diakom…sai [...]:§ kaˆ eØreqÁnai ØpÕ tÍ kefalÍ aÙtoà). Ora, tra le varie disposizioni testamen-tarie di Platone, oltre alla proprietà di terreni, denari, oggetti pregiati, schiavi, nonsi parla di libri, ma si elencano skeÚh ta\ gegramme/na, ïn œcei ta\ ¢nt…grafaDhm»trioj (III ). Vale a dire, gli oggetti tenuti in casa, di cui esisteva un inven-tario. Gli editori basileensi ipotizzarono una lacuna dopo skeÚh, accolta tra l’al-tro da Marcello Gigante nella sua traduzione, esclusa invece dall’ultimo editoredi Diogene, Tiziano Dorandi. Birt (, p. , nota ) riteneva che «certamen-te negli skeÚh, di cui Demetrio possedeva l’inventario, vanno ricompresi anchei libri». Ai libri, suppongo, pensavano anche gli editori di Basilea, giacché ipo-tizzare che Platone avesse redatto, e dato in copia a Demetrio, un catalogo diquanto aveva in casa, poté non apparire loro verosimile, tanto più che i beni pre-ziosi da lui posseduti erano già stati elencati prima nel testo. Non si può esclu-dere che qui Platone stia facendo riferimento anche ai suoi libri e che a questipotesse essere connesso l’inventario .

Di libri non parla il legato testamentario di Aristotele, eppure di lui sappia-mo con certezza che possedeva una biblioteca debitamente ordinata e cataloga-

CONSERVAZIONE DEI TESTI E CIRCOLAZIONE DELLA CONOSCENZA IN GRECIA

. Cfr. Bruns (, pp. s.).. Nel testamento di Stratone si disporrà, insieme, di ta\ bibl…a p£nta [...] kaˆ ta\ skeÚh

p£nta (V ). Il che da un lato conferma l’associazione dei due concetti, dall’altro li tiene però bendistinti, rendendo meno probabile che con skeÚh si intendessero anche i libri. A chi sostenga l’ipo-tesi di una lacuna naturalmente questo passo può fornire un riscontro significativo.

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ta: si immagina (Bruns, , p. ) che l’avesse affidata a Teofrasto quando eraancora in vita e che per questo non ve ne sia menzione nel testamento. Ne par-la invece lo stesso Teofrasto, che lascia a Neleo ta\ de\ bibl…a p£nta (V ), l’in-tera sua biblioteca, così come Epicuro lega a Ermarco ta\ bibl…a ta\ Øp£rcon-ta hm‹n p£nta. Due casi particolari sono quelli di Stratone e di Lico. Strato-ne affida al secondo la propria biblioteca (ancora ta\ bibl…a p£nta), tuttaviaplh\ n ïn aÙtoˆ gegr£famen, dunque con l’eccezione dei libri da lui scritti: chenon dovranno andare a Lico, al quale era anche assegnato il Giardino e tuttociò che perteneva alla scuola, ivi compresa la biblioteca; saranno forse statiLampirione e Arcesilao a doversene occupare, poiché a loro, nel primo puntodel testamento, si affidava ta\ me\n o‡kei [...] p£nta, e sotto questa voce dei be-ni privati e personali andranno forse ricompresi anche gli autografi del legata-rio (cfr. Bruns, , p. e Birt, , p. , nota ). Infine, Lico, quando vie-ne il suo turno di disporre dei propri averi, fa a sua volta una distinzione ulte-riore e lascia allo schiavo Carete ta\ ™ma\ bibl…a ta\ ¢negnwsme/na, mentre a Cal-lino andrà il compito più delicato di occuparsi di ta\ de\ ¢ne/kdota [...] Ópwj™pimelîj aÙta\ ™kdù (V ). Questione delicata, quella degli ¢ne/kdota: testiinediti, hanno bisogno di qualcuno che ne curi l’edizione, quindi uno scolaroe contubernale. Libri ¢negnwsme/na erano invece quelli “riconosciuti”, e quin-di disponibili per la lettura, perché pubblicati: essi vanno allo schiavo Carete,al quale probabilmente era affidata la lettura ad alta voce di quegli stessi librial padrone, come accade nel Teeteto platonico, quando il pa‹j è incaricato dileggere (¢nagnèsetai) tÕ bibl…on (b ). Un libro, questo, costituito dagliØpomn»mata, dagli appunti che Euclide aveva buttato giù appena tornato a ca-sa dopo aver ascoltato e poi ancora in seguito cercando di ricordare quantoquegli aveva detto, aggiungendo e correggendo quando ne aveva avuto occa-sione (™gray£mhn me\n tot' eÙqu\ j o‡kad' ™lqën Øpomn»mata, Ûsteron de\ ka-ta\ scolh\ n ¢namimnhskÒmenoj œgrafon). Un plausibile esempio di libro¢ne/kdoton.

Ma ancora merita di essere richiamato un singolare dettaglio dei testamen-ti, e in particolare di quello di Teofrasto, il più completo e accurato della serie:egli del resto si era espressamente occupato di temi relativi al diritto privato, acui si riferiscono diversi titoli del catalogo delle sue opere tramandato da Dio-gene Laerzio, e quindi non sorprende che ponesse particolare cura nel redigereun documento di questo tipo. All’inizio del testamento (V s.) egli dà, tra altre,le seguenti disposizioni:

ta\ perˆ tÕ mouse‹on kaˆ ta\ j qea\ j suntelesqÁnai k¥n ti ¥llo „scÚV perˆ aÙta\ j™pikosmhqÁnai prÕj tÕ k£llion· œpeita th\ n 'Aristote/louj e„kÒna teqÁnai e „ jtÕ ƒ erÕn kaˆ ta\ loipa\ ¢naq»mata Ósa prÒteron ØpÁrcen ™n tù ƒerù · e i’ta tÕstw…dion o„kodomhqÁnai tÕ prÕj tù mouse…J mh\ ce‹ron À prÒteron. ¢naqe‹nai de\ kaˆtou\ j p …nakaj , ™n o Œ j a ƒ tÁj gÁj per …odo … e „s in, e„j th\ n k£tw sto£n·™piskeuasqÁnai de\ kaˆ tÕ bwmÒn, Ópwj œcV tÕ te/leion kaˆ tÕ eÜschmon.

In primo luogo, dovranno essere completati i lavori per la ricostruzione del Museo conle statue delle dee, e dovrà essere aggiunto tutto ciò che può contribuire ad adornarle eabbellirle; in secondo luogo, l’immagine di Aristotele dovrà essere collocata nel tempio

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con tutti gli altri doni votivi che prima erano nel tempio. Inoltre il portichetto che menaal Museo dovrà essere ricostruito, non più brutto di prima. Anche le tavole, che rappre-sentano il giro della terra, dovranno essere riposte nel portico inferiore. L’altare dovrà es-sere ricostruito, così che risulti perfetto e decoroso (trad. M. Gigante).

L’intero passo è di estremo interesse. Basti segnalare come Teofrasto disponganon solo in merito al Giardino, al Peripato e agli edifici annessi: egli dispone li-beramente anche, e soprattutto, di un mouse‹on e di uno ƒerÒn di dimensioninon trascurabili, se era accompagnato sia da uno stw…dion che da una k£twsto£. Comunque lo si voglia interpretare (ad esempio identificando i due edi-fici uno con l’altro, come fa Bruns, , p. ), resta il fatto che Teofrasto par-la di un edificio sacro come se fosse proprietà privata, senza fare il minimo cen-no a un sacerdote o ad altro responsabile. Stando al diritto romano, templi esantuari erano res sacrae, extra commercium, e di essi non poteva decidere il pri-vato cittadino, trattandosi di proprietà degli dèi . In Grecia, come si dirà trabreve (cfr. infra, PAR. ), le autorità cittadine disponevano di un ruolo nella ge-stione. Più avanti (V ), si dice che tÕn de\ kÁpon, kaˆ tÕn per…paton, kaˆ ta\ jo„k…aj ... p£saj d…dwmi tîn gegramme/nwn f…lwn ¢eˆ to‹j boulome/noij su-scol£zein ... æj ¨n ƒerÕn koinÍ kekthme/noij, che cioè la proprietà del Giardi-no, del Peripato e degli edifici ad essi inerenti vengano possedute «in comune,come un tempio», da quegli amici che abbiano intenzione di restare lì a studia-re e a fare filosofia.

Non so se sia plausibile la spiegazione tentata da Bruns di un dato così in-solito, secondo la quale si tratterebbe non di un vero e proprio tempio consa-crato, ma di un santuario privato: la cosa richiederebbe approfondimenti cheevidentemente non è qui possibile proporre. Resta che la funzione di templi esantuari, e il loro rapporto con le attività intellettuali, era nell’antichità, già in etàclassica, più articolata di quanto spesso vien fatto di pensare, e questo può ave-re dei riflessi anche sul modo di considerare gestione e fruizione di santuari co-me quelli di Asclepio (ricordati per il caso di Crantore) e il loro rapporto con lapratica medica, verosimilmente meno schematico e più complesso e diversifica-to di quanto spesso si sia creduto. La presenza di p…nakej recanti carte geogra-fiche esposte nella stoà in modo da essere facilmente accessibili è a sua volta da-to significativo, come risulterà evidente alla luce di quanto si dirà più avanti (cfr.infra, PAR. ) di questo tipo di supporti.

CONSERVAZIONE DEI TESTI E CIRCOLAZIONE DELLA CONOSCENZA IN GRECIA

. La questione del rapporto pubblico-privato nella realizzazione e gestione di santuari do-veva essere molto sentita in Grecia già tra V e IV secolo. Contro la possibilità di santuari privati, co-me doveva essere quello di cui fa menzione Teofrasto, si era espresso chiaramente Platone alla finedel decimo libro delle Leggi (d-e), ritenendo necessaria un’esplicita normativa: «sia stabili-ta questa legge per tutti semplicemente: Nessuno possegga santuari nelle case private. Quando auno venga in mente di sacrificare vada a sacrificare nei luoghi sacri pubblici e consegni le vittimeai sacerdoti [...]. Non è facile erigere templi e statue agli dèi; [...] ed è costume, delle donne spe-cialmente, e di ogni genere di ammalati, e di quelli che sono in pericolo [...] di consacrare ciò chehanno davanti in ogni occasione, e votano sacrifici, promettono statue agli dèi, ai demoni ed ai fi-gli degli dèi e, risvegliati per il timore durante apparizioni e sogni, e parimenti ricordandosi dellemolte visioni, e facendo per ciascuna di esse dei rimedi negli altari e nei santuari, ne riempiono tut-te le case» (trad. A. Zadro).

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Lo scriba, il santuario, la città

Di un rapporto tra potere politico della città e gestione del santuario si è volutoin realtà dubitare, riconoscendo ai sacerdoti e ad altri eventuali responsabili una(poco plausibile) autonomia. Il nesso tra santuari e potere pubblico era invece di-retto e costante, e su questo le informazioni sono inequivoche. Il santuario era,almeno in alcune fasi della storia greca, un bene pubblico, nel senso giuridico del-l’espressione, e come tale faceva parte a pieno titolo delle strutture a disposizio-ne della città. Nessuna “extraterritorialità”. Numerose sono le conferme, a noigiunte sia per via letteraria che epigrafica. Per prima si può richiamare quella, giànota, in cui Dionigi di Alicarnasso nel I secolo a.C. riferisce delle fonti degli sto-rici anteriori a Tucidide . Tali fonti consistevano, egli scrive (Thuc. V ), in Ósaidiesózonto para\ to‹j ™picwr…oij mnÁmai kata\ œqnh te kaˆ kata\ pÒleij, le“memorie”, dunque testi e documenti d’archivio relativi a popoli e città, i qualierano conservati in luoghi deputati, tra cui proprio i santuari: e‡ t' ™n ƒero‹j e‡t' ™n bebe/loij ¢poke…menai grafa…. Gli archivi di templi e santuari svolgevanouna funzione pubblica, ad essi erano infatti affidati i documenti relativi alla città.Questo tratto accomuna in misura significativa l’uso greco a quello delle civiltàorientali, sulle cui pratiche archivistiche e biblioteconomiche possediamo nu-merose testimonianze. Un passo di Aristotele, tratto dalla Costituzione degli Ate-niesi, informa che nelle mani dei pritani erano le chiavi dei santuari, dove eranocustoditi, oltre al tesoro, i documenti di pubblico interesse e il pubblico sigillo(,: thre‹ d' oátoj [o ™pist£thj tîn prut£newn] t£j te kle‹j ta\ j tîn ƒerîn,™n oŒj ta\ cr»mat' ™stˆn kaˆ <ta\ > gr£mmata tÍ pÒlei kaˆ th\ n dhmos…ansfrag‹da). Uno stretto rapporto, e un controllo della città sul santuario, eraquindi non solo usuale, ma codificato costituzionalmente. Si dovrà supporre checiò valesse anche per i santuari di Asclepio.

La figura dello ƒeropoiÒj – a volte, come ad Atene, un organismo collettivo –rappresenta a sua volta una mediazione tra sacro e profano, tra città e tempio.Egli si occupa della gestione del luogo sacro. Tra gli assistenti di cui dispone, viè significativamente anche il grammateÚj, il cui incarico non poteva che esserequello di registrare per iscritto quanto lo richiedesse. Questo accadeva già in pie-no VI secolo: una figura specializzata a disposizione della registrazione di docu-menti nel santuario . Noto per il santuario di Delfi , dove era attivo a sua vol-ta un grammateÚj, questo tipo di figure si formalizza e diffonde in varie zonedella Grecia contemporaneamente, a conferma di un’esigenza diffusa e non piùrinviabile. Se, come voleva Jacoby, fin dal VI secolo ogni funzionario doveva di-

LORENZO PERILLI

. Il passo è stato spesso studiato e citato. Sul ruolo della scrittura cfr. da ultimo i saggi riuni-ti in Worthington, Foley ().

. Se così si possono intendere le testimonianze disponibili. Cfr. Sickinger (, p. ) e l’in-terpretazione di iscrizioni come IG I , dove si legge ™gra[m£teue e poco più avanti [hiropo]io…,cfr. anche . Nel V secolo il ruolo di grammateÚj era ormai ampiamente consolidato cfr. ad esem-pio IG I .

. Cfr. ad esempio Sánchez () e Boffo (, pp. e ).

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sporre di un suo archivio , avrà anche avuto a disposizione qualcuno che se neoccupasse. Infatti a Creta, e nello stesso VI secolo, nasce la figura del “redatto-re”, il poinikast£j , che, retribuito annualmente, riceveva il suo incarico a vi-ta e lo avrebbe poi affidato ai suoi discendenti. Costui godeva di privilegi e il suoruolo è chiaramente descritto: êj ka pÒli ta\ damÒsia t£ te qi»ia kaˆ t¢nqrè-pina poinik£zen te kaˆ mnamoneu#hn (ll. -) . Doveva dunque trascrivere, ser-bandone così la memoria, due generi di documenti, quelli che pertenevano al-l’ambito del sacro (ta\ qe‹a) e quelli che rientravano invece nel profano(t¢nqrèpina). Entrambi, va sottolineato, dunque anche i primi, facevano partedella categoria degli affari pubblici della città (pÒli ta\ damÒsia), e la figura delpoinikast£j era in rapporto con quella del sacerdote . Per la città di Teo, nel-la Ionia della prima metà del V secolo, è analogamente attestato il foinikogra-fe/wn, scrittore di documenti e atti ufficiali, del quale si ha notizia anche per Le-sbo (Mitilene) . Documenti che venivano letti poi pubblicamente, e con unoscopo molto interessante, stando a SEG XXXI D ss., vale a dire ™pˆ mn»mVkaˆ dun£mei, per garantirne cioè la memoria e sancire il potere della città .

Tornando ai santuari, troviamo anche lì una specifica figura, quella delloƒeromn»mwn, attestato in numerose iscrizioni (cfr. LSJ, s.v.), del quale si dice es-sere l’amministratore o responsabile della res sacra. Ma Aristotele ne precisa me-glio l’incarico, o almeno una parte dell’incarico: quello di registrare per iscrittoi documenti ufficiali (Aristot. Pol. b ):

˜te/ra d' ¢rch\ prÕj ¿n ¢nagr£fesqai de‹ t£ te ‡dia sumbÒlaia kaˆ ta\ j kr…seij[™k] tîn dikasthr…wn· para\ de\ to‹j aÙto‹j toÚtoij kaˆ ta\ j grafa\ j tîn dikîn g…ne-sqai de‹ kaˆ ta\ j e„sagwg£j. ™niacoà me\n oân mer…zousi kaˆ taÚthn e„j ple…ouj,œsti d' <oá> m…a kur…a toÚtwn p£ntwn· kaloàntai de\ ƒeromn»monej kaˆ ™pist£taikaˆ mn»monej.

Un’altra magistratura è quella alla quale bisogna dare copia scritta dei contratti privati edelle sentenze dei tribunali; e presso questi stessi deve aver luogo la registrazione scrittadelle cause e la loro ammissione. In qualche località anche questo ufficio viene diviso inpiù parti, ma vi sono casi in cui una sola magistratura governa tutti questi aspetti: vengo-no chiamati custodi degli archivi sacri (hieromnémones), sovrintendenti, archivisti.

Una figura di questo genere dovette occuparsi anche della redazione dei reso-conti delle “cure miracolose” dei santuari di Asclepio, dei quali resta la testi-monianza delle quattro grandi stele di Epidauro (IG IV , nn. ss.): e a unsuo collega archivista dovevano essere affidati i testi depositati nel tempio, co-

CONSERVAZIONE DEI TESTI E CIRCOLAZIONE DELLA CONOSCENZA IN GRECIA

. Jacoby (, pp. s. nota ).. SEG XXVII A.; B... Cfr. Jeffery, Morpurgo Davies (), A -, B -, nonché van Effenterre, Ruzé (, p. );

Thomas (, pp. -), ricordati da Boffo (, p. s. nota ).. Cfr. SEG XXVII B., (sul poinikast£j): kaˆ Ôtim… ka qiîi „areu\ j ktl.. Cfr., per Teo, SEG XXXI D; per Mitilene IG XII , (foinikÒgrafoj).. In SEG XXXI D si fa riferimento alla pubblica lettura di documenti di condanna. Mi chie-

do, se in Hesych. e per la glossa ™kfoin…xai non sia quindi più pertinente l’interpretamentumstampato da Schmidt, ¢nagnîsai, proprio nel senso di lettura pubblica, rispetto al più “etimologi-co” ¢nacrîsai privilegiato da Latte.

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me nel caso di Eraclito. Numerosi sono i segnali che indicano come già in etàarcaica la Grecia disponesse di strutture e di un’organizzazione archivisticaampiamente sviluppate, con personale specializzato . Rappresentazioni dellaplastica greca molto antica, risalenti alla seconda metà del VI secolo, ci mo-strano personaggi seduti nell’atto della scrittura su tavolette: scribi dell’Acro-poli, si suppone .

Le testimonianze relative al deposito di libri e di altri materiali scritti – co-me la stele con la soluzione del problema matematico-geometrico-architettoni-co di Eratostene, arricchita da un disegno – o di congegni meccanici induconoa riconsiderare scopo e significato di tali “offerte”. Scopo che poté essere diver-so da quello dell’offerta votiva, con un intento che non era quello di proteggerel’oggetto sottraendolo al pubblico: al contrario, debitamente “firmate”, si ren-devano così accessibili ai più, o almeno a chi fosse in grado di comprenderle (idun£menoi eraclitei), “opere dell’ingegno” di particolare rilievo, utilità o novità.Ma si dovrà anche pensare che templi e santuari fossero adeguatamente orga-nizzati allo scopo, con personale destinato a occuparsi di tali materiali, spaziadatti a ospitarli e criteri di ordinamento (inventari, cataloghi) e di accesso alleopere stesse. La questione della conservazione e della fruizione dei testi richie-de però che si consideri parallelamente quella, ad essa congiunta, della trasmis-sione del sapere, e dunque dell’insegnamento.

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. La bibliografia è ampia, e quella recente ha fatto segnare progressi significativi nell’inter-pretazione dei dati disponibili: cfr. almeno Maddoli (); Pritchett (); Sickinger (). Unbuon quadro complessivo, articolato cronologicamente e con bibliografia, è quello di Boffo (),a cui ho attinto diverse delle indicazioni sopra riportate. Più in dettaglio cfr. Reiche ().

. Trianti (, figg. -).

FIGURA Scribi (?). Atene, Museo dell’Acropoli, Inv. , VI secolo a.C.

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Il maestro e l’allievo

È essenziale, se non darvi risposta, almeno porre l’interrogativo di chi più pre-cisamente fosse il destinatario di testi come quelli affidati alle strutture dei san-tuari; il che equivale a domandarsi, per converso, quali fossero gli strumenti perla trasmissione del sapere tecnico-scientifico, che raggiunse vette straordinarie– da Ippocrate a Euclide, da Archimede a Ctesibio a Erone. Le informazionisono, si può dire, totalmente assenti. Come acquisivano un ingegnere, un ar-chitetto, un matematico la loro formazione in età arcaica e classica? L’unicocampo per il quale si hanno notizie è quello della medicina. In questo caso si ègeneralmente concluso che l’insegnamento si trasmetteva per via di un rappor-to diretto ed esclusivo tra maestro e allievo, un insegnamento sul campo, oralee pratico, piuttosto che uno libresco, appreso, per così dire, sui banchi di scuo-la. Che questa componente dell’insegnamento personale fosse centrale è in-dubbio. La medicina si trasmetteva largamente nell’ambito ristretto del ge/noj,quegli Asclepiadi di cui tanto si è scritto e che la sottoscrizione del Giuramen-to, o di altro analogo documento, impegnava all’accettazione delle regole co-muni. Che però qui tutto si esaurisse, e i medici in perfetta solitudine acquisis-sero, sviluppassero e mettessero in pratica le proprie competenze, non appareconvincente.

Anche l’insegnamento diretto aveva del resto una duplice dimensione.Quello basato sulla pura pratica, sull’accompagnare sul campo un medico e inseguito riprodurre quanto si era osservato è quello che Platone chiama l’atteg-giamento di un medico schiavo adatto a curare gli schiavi, che altro non fa se nonseguire «gli ordini dei padroni, l’osservazione e l’esperienza» (Leg. b: kat'™p…taxin de\ tîn despotîn kaˆ qewr…an kaˆ kat' ™mpeir…an th\ n te/cnhn ktîn-tai); mentre vi sono medici liberi, che curano gli uomini liberi, e che hanno ap-preso essi stessi e insegnano ai propri giovani (aÙto… te memaq»kasin oÛtw toÚjte aØtîn did£skousi pa‹daj). Un trasferimento di conoscenza che fonda lacompetenza, e l’autorevolezza, dello „atrÒj. Entrambe le figure, dice Platone,le chiamiamo “medici”, eppure la differenza è sostanziale, è quella tra medico eassistente: e„sˆn poÚ tinej „atro…, fame/n, ka… tinej Øphre/tai tîn „atrîn,„atrou\ j de\ kaloàmen d»pou kaˆ toÚtouj. Quando dice gli aiutanti, i sottopo-sti, Øphre/tai, Platone usa un termine che corrisponde a quelli usati per questefigure anche all’interno dei santuari di Asclepio, dove gli “aiutanti del dio”, ov-vero gli assistenti del sacerdote e del medico, erano detti anche qer£pontej,z£koroi, newkÒroi, ovvero oƒ Øpodrîntej tù qeù, oƒ uƒoˆ toà qeoà. Coloro,cioè, che si accompagnavano al medico e imparavano osservandolo. Erano pri-vi, sostiene Platone, della capacità di individuare il nesso (lÒgoj) intrinseco alloro sapere, mancavano di formazione adeguata, quel binomiomanq£nein/did£skein di cui invece dispone il medico libero, l’unico meritevo-le di considerazione. Il banausico, che avesse imparato una certa prassi tera-peutica assistendo un medico nei suoi interventi, mancava dell’“intelligenza”,teorica, dei principi della scienza. Lo stesso valeva per le altre discipline, per lequali era a loro volta necessaria una specifica e approfondita formazione.

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A differenza della medicina, per la quale una serie di informazioni permetto-no di ricostruire un contesto più o meno attendibile, sono pressoché assenti le no-tizie relative alle altre discipline, come architettura, ingegneria, matematica. Ep-pure, l’istruzione di un esperto del livello attestato per la Grecia non poteva ri-sultare solo dalla formazione sul campo al seguito di qualcuno competente inquell’arte. Non si sarebbe costruito, in tal modo, né Partenone, né Colosseo, néun acquedotto, né si sarebbe sviluppato quel complesso sapere che permise aiGreci e ancor più ai Romani di conquistare straordinarie innovazioni tecniche, siaarchitettoniche che ingegneristiche. Il caso sopra ricordato della duplicazione delcubo conferma che l’architettura richiedeva un sapere altamente specialistico e ca-pacità teoriche non indifferenti: il problema dell’invarianza della forma al muta-re delle dimensioni, infatti, non era altro che una questione di ordine architetto-nico, nata dall’esigenza di raddoppiare il volume di un altare o di una tomba.

Un identico problema architettonico, e il difetto di un’adeguata competen-za o almeno riflessione teorica, portò alla morte Carete di Lindo, l’architettoprogettista del Colosso di Rodi: il quale, tra la fine del IV e l’inizio del III secolo,invitato a presentare un preventivo di spesa per una statua di dimensioni dop-pie rispetto a quelle inizialmente previste, prospettò un raddoppio della cifra .Che però si rivelò sufficiente per i soli lavori preparatori, giacché otto volte mag-giore avrebbe dovuto essere la somma richiesta: sune‹don oƒ tecn‹tai æj oÙ di-pl£sion ™crÁn ¢ll' Ñktapl£sion a„tÁsai. Carete, constatato il clamoroso er-rore, si suicidò: e il suo caso, storicamente attendibile o meno che sia il raccon-to, di nuovo sottolinea la necessità per lo specialista di una formazione a tuttocampo, acquisibile solo a seguito di studi della più alta matematica e geometria,studi che del resto è facile ritenere indispensabili per chi abbia a che fare con lastatica di edifici complessi come quelli antichi. Vitruvio nel De architectura (VI

praef. ) ricorda la propria formazione sulla falsariga di quella ateniese e fa rife-rimento da un lato al duplice piano dell’educazione in ambito sia familiare chescolastico (et parentium cura et praeceptorum doctrinis), dall’altro alla trasmis-sione di un sapere per via orale da integrare con l’uso di supporti scritti (littera-tura), che lo conducono alla stesura dell’opera:

itaque ego maximas infinitasque parentibus ago atque habeo gratias, quod Atheniensium le-gem probantes me arte erudiendum curaverunt, et ea, quae non potest esse probata sine lit-teratura encyclioque doctrinarum omnium disciplina. Cum ergo et parentium cura et prae-ceptorum doctrinis auctas haberem copias disciplinarum, philologis et philotechinis rebuscommentariorumque scripturis me delectans eas possessiones animo paravi, e quibus haecest fructuum summa.

io sono quindi massimamente e infinitamente grato ai miei genitori, i quali, approvandoquella legge ateniese [la legge che prevedeva che erano tenuti a provvedere al manteni-mento dei genitori solo i figli che fossero stati da loro educati nelle arti], si preoccuparo-no di farmi insegnare l’arte, e precisamente quella che non può essere completata se nonmediante la istruzione nelle lettere e lo studio di tutte le discipline. Ottenuta dunque, gra-zie all’attenzione dei miei genitori e all’istruzione ricevuta dai miei insegnanti, un’accre-

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. La vicenda è narrata da Sext. Emp. Adv. math. VII s.

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sciuta quantità di conoscenze, per il piacere che provavo nelle questioni letterarie e arti-stiche e nella scrittura di trattati ho fatto mie quelle acquisizioni, di cui questi sono i mas-simi frutti.

Sia la pratica, sia gli studi delle discipline tecnico-scientifiche, compresa la me-dicina, richiedevano il regolare ricorso a testi scritti: chi compulsi un’opera diArchimede o di Euclide comprenderà come fosse improbabile una trasmissioned’altro genere. E l’uso di testi scritti, nonostante le obiezioni del Fedro platoni-co – che avevano evidentemente altro significato e obiettivo –, era anche richie-sto per la comunicazione della filosofia, come la costituzione della biblioteca diAristotele testimonia e il caso di Eraclito simboleggia. A chi, a che scopo pote-va essere diretto uno scritto come quello conservato nel papiro di Derveni, cioèun commento alla dottrina filosofica orfica tendente a inserirla nel dibattito fi-losofico contemporaneo? Per l’epoca stessa a cui il testo originariamente sem-bra risalire, tra la fine del V e il IV secolo a.C., esso mostra che già allora il testoorfico era accessibile senza particolari difficoltà e che vi era un destinatario, o unpubblico, tali da giustificare la stesura di un commento, per definizione rivoltoa chi abbia bisogno di un ausilio nell’interpretazione di uno scritto.

E se v’erano e variamente circolavano materiali scritti, erano richiesti, di con-seguenza, spazi e strutture adeguate, repositori e biblioteche, già nell’età più an-tica. A mio avviso le testimonianze, tra cui quelle sopra ricordate, convergono nel-l’indicare che i santuari disponevano di strutture di questo genere, analogamen-te a quanto è ampiamente dimostrato per le civiltà circonvicine, e che essi aveva-no un ruolo di rilievo pubblico nel consentire l’accesso ai materiali lì depositati.I santuari di Asclepio, dal canto loro, godevano di una condizione peculiare.

La medicina e i santuari di Asclepio

Se nel IV-III secolo si poteva pensare che Crantore si fosse recato proprio nel san-tuario del dio della medicina per fondarvi una scol» in cui svolgere la sua atti-vità di maestro di filosofia, tali spazi dovevano essere evidentemente a ciò di-sponibili; tanto più lo saranno stati per l’insegnamento nel principale campo diattività, quello medico, per il quale la casistica, costituita da centinaia di pazien-ti, e le relative descrizioni di diagnostica e trattamento dei singoli casi dovevanoessere fonte di istruzione e di pratica irrinunciabile.

Che i santuari di Asclepio fossero strutture dal peculiare statuto, destinatea trasformarsi gradualmente in una sorta di ospedali, è noto. Il tempio era cir-condato da una serie di edifici di destinazione diversa, in genere collegati conl’attività principale, quella delle cure mediche e delle pratiche religiose.

Il santuario di Epidauro prevedeva la presenza di un edificio su due piani ingrado di accogliere centinaia di persone, evidentemente pazienti in cerca di untrattamento (medico o religioso che fosse). Non meno imponente era quello di

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. A quarantaquattro anni dalla scoperta è stata infine pubblicata l’editio princeps in Koure-menos, Parássoglou, Tsantsanoglou ().

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Pergamo, e testimonianze gustose come i Discorsi sacri di Elio Aristide, reso-conto del pluriennale soggiorno presso quest’ultimo Asclepieo in cerca di cureper i suoi malanni, informano della vita che in essi si conduceva . Ma siamo in

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. Dei santuari di Asclepio mi sono occupato nei due contributi ricordati nella nota al titolo,e i principali assunti di quei lavori sono qui in buona parte presupposti.

FIGURA Il santuario di Asclepio a Epidauro

. Propilei; . Pozzo (VI secolo a.C.); . Tempio di altre divinità; . Tempio di Asclepio (IV secolo a.C.); .Altare di Asclepio; . Edificio/portico di Kotys; . Tholos/Thyméle; . Edificio E (forse edificio originariodel culto di Asclepio); . Alloggi; . Stadio; . Katagógion (edificio principale per l’alloggio dei pazienti);. Edifici (in parte, a, di epoca romana) adibiti ad abitazione? . Sale comuni destinate (anche) a ban-chetti; . “Bagni di Asclepio”; . Ábaton; . Bagni/terme di epoca romana con annesso edificio di culto;. Cisterna; . Pozzo; . “Bagni greci”; . Tempio di Artemide.

Fonti: Tomlinson (); Gruben (); Krug ().

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piena età imperiale: notizie molto meno dettagliate abbiamo invece sugli Ascle-piei fino all’età ellenistica, sebbene non manchino dati, sia epigrafici che lette-rari: basti pensare alla graffiante rappresentazione nel Pluto di Aristofane (vv.-), fededegna sotto la patina comica, dove il “ricovero” del dio, cieco, nel-la speranza di fargli recuperare la vista offre l’occasione di una parodia e di unacritica alle pratiche colà condotte e alla figura (nonché ai personali interessi) delsacerdote. In particolare, va sottolineato il ruolo di tali santuari nella pratica del-la medicina e come probabile punto d’incontro della medicina laica (quella det-ta anche, riduttivamente, “razionale”) con la medicina templare, che in realtà ve-rosimilmente si fondava su un rivestimento dell’altra in abiti magico-religiosi esul ruolo centrale assegnato all’elemento psicologico. Le famose stele di Epi-dauro, ma anche di altri santuari come quello cretese di Lebena, con iscritte leWunderheilungen, attestano delle cure che nei santuari venivano praticate e chesulla pietra sono spesso incise sotto forma di miracoli operati dal dio.

È mia convinzione che i santuari di Asclepio da un lato fossero punto d’in-contro di questi due orientamenti della medicina del tempo, diversi ma com-plementari ed entrambi pronti a fare fronte comune contro la medicina magica,dall’altro e soprattutto che, proprio in conseguenza o come complemento di ta-le incontro, essi fungessero anche da luogo per la raccolta e la conservazione didati relativi alle malattie e alle terapie, schede cliniche non dissimili da quelle at-testate in opere come quelle dette cnidie comprese nel Corpus Hippocraticum(penso a Malattie II, Affezioni, Affezioni interne, Malattie delle donne) o anchenelle Epidemie . Erano, i santuari, strutture ideali per ospitare spazi per la rac-colta di materiale scritto – che fossero libri veri e propri o “cartelle cliniche” –,e del resto vere e proprie biblioteche sono in essi ben attestate sia archeologica-mente che per via epigrafica. Che poi tali biblioteche contenessero libri destinatiallo svago dei pazienti mi sembra ipotesi assai poco verosimile: invece, sul mo-dello di quanto accadeva da secoli in Egitto e in Mesopotamia, si sarà trattato dibiblioteche, o repositori, intesi a contenere i materiali necessari all’esercizio del-l’attività che in quegli spazi si svolgeva – dunque la medicina e la religione. InEgitto e in Mesopotamia accadeva esattamente questo: Lebenshaus e Bü-cherhaus, attestate per i santuari egizi, erano spazi riservati a ospitare opere scrit-te di vario genere, tra cui certamente trattati medici e medico-magici. Che qual-cosa del genere accadesse anche in Grecia è non solo argomentabile , ma direiinevitabile, non dandosi alternativa convincente. In che modo coloro che prati-cavano la medicina nei santuari avrebbero potuto operare di fronte alle centi-naia di casi che ad essi si presentavano continuamente, se non ricorrendo allaconsultazione di quanto era accaduto in casi analoghi? E come potevano i me-dici che nei santuari operavano – giacché della loro presenza non si vorrà ormaidubitare – non registrare per iscritto quanto si presentava alla loro osservazioneed esperienza quotidiana? La storia tramandata da varie fonti (Vita Hippocratis,Plinio), secondo cui Ippocrate avrebbe costituito il suo sapere attingendo alletavolette della biblioteca del santuario di Asclepio (che fosse quello di Cos o di

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. Cfr. ad esempio infra, il caso di Epid. VI ,.. È quanto ho cercato di fare nei due contributi ricordati.

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Cnido non importa), per poi bruciarle e rimanere il solo depositario di quel sa-pere, seppure deprivata di attendibilità storica, è istruttiva.

I santuari di Asclepio come centri di conservazione del sapere medico, dun-que: non in riferimento a trattati di impostazione retorico-filosofica, come un Dearte, ispirato al modello della conferenza, o un De vetere medicina, quanto aquelli più tecnici, le cui nozioni era necessario trasmettere agli allievi e ai colla-boratori, che nei santuari affiancavano i principali operatori.

Se i medici andavano tenendo lezioni (¢kro£seij) in giro per le città, non-ché nelle strutture più specificamente designate per l’insegnamento come i gin-nasi – lezioni probabilmente rivolte a un pubblico generico come parte della for-mazione della persona colta, come saranno ad esempio un Celso o un Varrone,autori di scritti di medicina senza essere medici essi stessi –, si potrà ben imma-ginare una parallela attività, a maggiore contenuto tecnico, riservata questa vol-ta agli aspiranti medici.

La trasmissione del sapere medico procedeva su piani diversi. Stando a unalunga testimonianza epigrafica di III o II secolo a.C. , Asclepiade di Perge, figliodi Mirone, viene onorato con un decreto che ne ricorda i meriti, con una statuadi bronzo e una corona d’oro assegnatagli ™n tù gu[mnikîi ¢gîni, dunque nel-l’occasione ufficiale rappresentata dagli agoni ginnici, che mostra come la suapartecipazione alle attività del ginnasio non fosse occasionale. Egli, esperto nel-l’arte medica (metaceirizÒmenoj th\ n „atrikh\ n te/cnhn, l. ), ha dato prove no-tevoli della propria esperienza (¢pode/xeij meg£laj tÁj ˜autoà ™npeir…aj, l. ),e oltre ad aver tenuto una condotta adeguata e aver curato i cittadini in mododegno della fama sua e di quella dei suoi antenati (evidentemente si trattava diuna famiglia di medici, come attesta lo stesso nome del protagonista), egli avevaesposto nelle lezioni tenute nel ginnasio nozioni di grande utilità per i cittadini(di£ te tîn ™n tîi gumnas…wi ¢kro£sewn polla\ cr»[si]ma diate/qeitai ™naÙta‹j prÕj Øge…an to‹j pol…tai[j] ¢n»konta, ll. s.). Chirurgo eccezionale einnovativo (œn te to‹j kata\ th\ n ceirourg[…an polla\ ] kaˆ par£doxa ¢na-dex£menoj qerapeÚ[mata, ll. s.), ha dunque fornito, nelle sue lezioni, molteindicazioni utili per recuperare la salute, concetto ribadito più oltre ([™n te ta‹j¢kro]£sesin polla\ tîn prÕj Øge…an sunte[loÚntwn diatiqe/]menoj, ll. s.).In cosa consistessero queste lezioni, possiamo vederlo attraverso Galeno, che nefece più d’una e di esse offrì resoconti, sebbene quelle di cui egli riferisce fosse-ro spesso più esibizioni, accompagnate da dissezione o vivisezione di scimmie,maiali e quant’altro, che lezioni vere e proprie . Certo questo genere di esposi-zione del medico/maestro, e così esibizioni come quelle galeniane, non poteva-no esaurire l’attività didattica, e neppure costituirne la parte essenziale, soprat-

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. Pubblicata dapprima da Paribeni e Romanelli nel (= Samama). L’iscrizione è stataripubblicata in varie sedi, registrate da Samama (ad l., p. ).

. Celebre è la dimostrazione anatomica che Galeno racconta nel De praenotione. Sulla que-stione cfr. Debru (, vol. I, pp. -). Sull’attività didattica nei ginnasi è d’obbligo il rinvio al sag-gio di Delorme (). Sulla questione dell’istruzione medica nell’antichità cfr. almeno gli interven-ti di Kudlien () e di Nutton (, ). Sulla scrittura dei trattati di medicina cfr. Nieddu ()e Cambiano (, ), che nel secondo scritto riprende il lavoro precedente. Cfr. anche Lanza() e Canfora et al. ().

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tutto per chi la medicina volesse poi praticare. Lo stesso Galeno, non a caso, fuautore di numerosi scritti destinati ad introducendos, mentre numerosi altri re-cano in apertura l’indicazione del destinatario, del richiedente o dello scopo di-dattico . Con Galeno siamo ormai nell’ultima fase della medicina antica: ma inprecedenza le cose non saranno andate diversamente, ed egli può rappresenta-re il compimento di una prassi abituale e, soprattutto, priva di alternative.

Il quadro raffigurante il medico che apprende la sua scienza in un rapportoesclusivo maestro-discepolo può essere forse integrato dalla presenza dei mediciall’interno dei santuari di Asclepio: innanzitutto con l’incarico di attuare quelleterapie di cui le iscrizioni delle stele di Epidauro così efficacemente testimonia-no – insomma, di curare i malati – e, contestualmente, redigere da un lato le re-lative schede cliniche, dall’altro i repertori diagnostici e terapeutici che sarebbe-ro serviti nei casi attesi per il futuro. E sarebbero serviti, anche, per la consulta-zione di chi, come altri medici, sacerdoti e assistenti, doveva trovarsi in condi-zione di intervenire sui pazienti; nonché, infine, per l’istruzione dei più giovanimedici o aspiranti tali, una pratica che con il tempo verrà, nei santuari, istituzio-nalizzata, se in età imperiale i giovani della Roma bene si recavano in quelli dellaGrecia e dell’Asia Minore con il precipuo scopo di apprendere l’arte medica. Ilmodello “orientale” – si intenda, mesopotamico e egizio – dei santuari del dio del-la medicina (Gula in Mesopotamia, Imhotep e poi Serapide in Egitto) è anch’es-so istruttivo, giacché presso quelle civiltà tali santuari erano luogo di riferimentoper la pratica, la scrittura, la conservazione, l’insegnamento della medicina. Chein Grecia sia accaduto qualcosa di analogo non solo è plausibile, ma consenti-rebbe di integrare un quadro altrimenti lacunoso. Così, del resto, fin dai tempipiù antichi i giovani in cerca di una formazione adeguata erano pronti a lasciarela propria patria per recarsi laddove fossero disponibili le più rinomate scuole,nel senso di centri all’avanguardia in un determinato campo, fossero, per la me-dicina, Cos o Cnido, poi Alessandria, Pergamo, Efeso, Antiochia, Elea. A Efeso,oƒ ¢pÕ toà Mouse…ou „atro… dispensavano corsi per i loro allievi, ad Alessandriaaccadeva l’analogo, sebbene il Museo non fosse specificamente destinato all’in-segnamento. Lì i medici avevano l’opportunità di seguire i migliori maestri, ac-quisendo il proprio sapere nel modo più prevedibile: sui libri.

È Polibio (XII d -e ) a incaricarsi di rilevarlo, soprattutto in riferimentoall’ambiente alessandrino. Egli osserva che ad Atene lo storico Timeo (nel IV se-colo a.C.) si riteneva competente a scrivere di storia perché per cinquant’anniaveva avuto ampio accesso ai trattati (Øpomn»mata) dei predecessori. Ma la sto-ria, dice Polibio, è come la medicina: consiste di varie parti e lo studio sui librine è componente essenziale. Affidare un paziente a medici che non abbiano mailetto libri di medicina (oƒ mhde\n ¢negnwkÒtej ¡plîj „atrikÕn ØpÒmnhma) si-gnifica votarlo all’insuccesso. Allo stesso modo la storia: il primo passo è lo stu-dio dei documenti scritti, dei testi, th\ n ™n to‹j Øpomn»masi polupragmosÚnhn.Certo anche per Polibio lo studio dei libri non è sufficiente a formare un pro-fessionista completo, sono necessarie altre attività, l’esperienza diretta ad esem-pio. Ma, sebbene insufficiente, in particolare per chi voglia indagare gli eventi

CONSERVAZIONE DEI TESTI E CIRCOLAZIONE DELLA CONOSCENZA IN GRECIA

. Cfr. Boudon ().

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attuali e non solo quelli trascorsi, il supporto dei testi scritti è irrinunciabile, perlo storico come per quel medico che siede in biblioteca per dominare piena-mente la materia ricorrendo agli Øpomn»mata disponibili: kaq£per oƒ logikoˆtîn „atrîn ™ndiatr…yantej ta‹j bublioq»kaij kaˆ kaqÒlou th\ n ™k tînØpomnhm£twn peripoihs£menoi polupeir…an.

Non è forse vero, del resto, che la medicina greca dell’età ippocratica viveuno straordinario e quasi inspiegabile successo nel momento in cui la scrittura co-mincia ad avere diffusione sistematica? E non accadde forse lo stesso nelle civiltàcirconvicine, nelle quali la diffusione della scrittura su scala (relativamente) am-pia di gran lunga precedette quella della Grecia? Infine, non è forse verosimilel’ipotesi di chi, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, ha sostenuto chequell’insieme eterogeneo di opere che continuiamo a chiamare Corpus Hippocra-ticum altro non fosse se non la “biblioteca” del medico ippocratico (o della scuo-la medica di Cos), il suo apparato didattico, eventualmente autodidattico e diconsultazione, a cui si unirono alcuni scritti destinati a un pubblico diverso, piùgenerali, dal tono apologetico, polemico o di intervento nel dibattito intellettua-le dell’epoca (penso, ad esempio, a De arte, De vetere medicina, De morbo sacro)?

Il sapere medico come sapere progressivo, al quale ogni generazione ag-giunge il proprio contributo, secondo quanto l’autore dell’ippocratico De victudichiara in apertura dell’opera, presuppone l’esistenza di una letteratura, acces-sibile almeno all’“iniziato”, e questo ben prima e al di fuori del Corpus Hippo-craticum. I polloˆ che h”dh xune/grayan di quell’esordio, se non sono riusciti aesaurire l’argomento, hanno tuttavia posto le basi, dice l’autore, sulle quali in-tervenire per correggere e integrare, in un procedimento che appare propria-mente scientifico: ™gë goàn [...] to‹si me\n Ñrqîj e„rhme/noisi prosomolog»sw:ta\ de\ mh\ Ñrqîj ™gnwsme/na dhlèsw oko‹£ tin£ ™stin. Concordare con quantoè corretto, mettere in evidenza quanto non lo è.

Del resto, se Eudemo di Rodi, nel IV secolo, può scrivere una Storia dellageometria, evidentemente anche quella disciplina, così importante per i Greci,aveva già dato luogo a un certo numero di trattazioni. Io non credo che l’inse-gnamento di queste discipline avvenisse fondamentalmente per via orale: avve-niva anche per via orale, e così si realizzava un certo tipo di diffusione di alcunicontenuti, soprattutto in vista di un pubblico più vasto, il pubblico degli inte-ressati. La dimostrazione geometrica della duplicazione del quadrato data, oral-mente, dallo schiavo guidato da Socrate nel Menone platonico (b-a) rientrapiù in un certo tipo di esibizione (come quelle di cui abbiamo notizia per la me-dicina) che non in un esempio di ciò che doveva essere la didattica.

Il Canone attribuito dagli antichi a Policleto è un esempio altamente istrut-tivo: una disciplina peculiarmente manuale, come la scultura, da acquisirsi es-senzialmente per il tramite dell’apprendistato diretto, arriva a formalizzare periscritto già nel V secolo le regole che la governano, in particolare quei rapporti eproporzioni necessari per la corretta riproduzione del corpo umano. L’opera,stando alle testimonianze antiche, era accompagnata da una statua, che illustra-va visivamente le regole matematico-geometriche esposte nel testo. Essa inten-de sfruttare una modalità della diffusione del sapere, la scrittura, che evidente-mente si era dimostrata di successo per le discipline per le quali poteva consi-

LORENZO PERILLI

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CONSERVAZIONE DEI TESTI E CIRCOLAZIONE DELLA CONOSCENZA IN GRECIA

. Il tema è di estremo interesse, e di grande importanza. Spiegherebbe, probabilmente, an-che alcune caratteristiche del pensiero pitagoreo. È stato oggetto di dibattito soprattutto tra gli ar-cheologi: cfr. almeno Iversen (); Anthes (); Levin (), nonché Raven ().

. La storia è famosa, si conclude con i due fratelli che avevano appreso così bene una tecni-ca tanto raffinata che, tornati in Grecia, predisposero l’uno una metà di una statua a Samo, l’altrol’altra metà a Efeso, seguendo ciascuno i canoni geometrici della statuaria. Una volta messe assieme,le due metà corrispondevano perfettamente, proprio grazie all’uso di un metodo raffinato e a un per-fetto studio delle proporzioni.

derarsi più “naturale”. Un manuale destinato alla lettura attenta, e ancor più al-la consultazione. La concezione che esso esponeva era in rapporto diretto con leanaloghe procedure della scultura egizia, delle quali sono conservate persino, ein buon numero, le griglie predisposte dagli scultori per realizzare la statua diun corpo umano rispettando le proporzioni dovute .

Un sapere già codificato nel II millennio, modificato e sviluppato poi nel I, pas-sato infine alla Grecia, probabilmente a Samo, per il tramite dei due fratelli Teleclee Teodoro, che lo avevano appreso durante un soggiorno in Egitto (Diod. Sic. I ,-), infine codificato da Policleto. Ma Policleto sarà stato solo il punto di arrivo.

Memorandum books

Che, tra i detentori di un sapere tecnico riservato, il medico non potesse pre-scindere dal supporto della scrittura appare ben chiaro, e del resto non è con-troverso per quanto riguarda il Corpus Hippocraticum. Che analoga fosse l’im-

FIGURA L’evoluzione delle cosiddette griglie nel canone della statuaria egizia

Fonte: Legon (, pp. -).

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portanza dei supporti scritti anche per l’insegnamento della medicina è invecetutt’altro che indiscusso, e in genere considerato di importanza secondaria nel-la diffusione di quel sapere. Sono convinto del contrario.

Che la scrittura e gli strumenti da essa richiesti avessero un ruolo ben defi-nito nella professione medica può essere letto in trasparenza nelle iscrizioni re-canti gli inventari del santuario di Asclepio ad Atene. In questi ricorrono, in-frammezzate a una moltitudine di oggetti, degli strumenti medico-chirurgici de-dicati ad Asclepio probabilmente da medici, comprendenti – oltre a termocau-teri, sonde, specilli – anche delle tavolette per scrivere, indicate con l’espressio-ne [„a]trikÕn grammate(‹)on (Aleshire Inv. III s., cfr. s. = IG II, ), conun sostantivo attestato già in Aristofane, Platone, Aristotele. Siamo nella secon-da metà del IV secolo a.C. Si tratta di un essenziale strumento di lavoro, tavolet-te per scrivere per uso di un medico: è da chiedersi se, piuttosto che di offertevotive, non si trattasse di tavolette facenti parte dei materiali necessari per il fun-zionamento delle attività mediche nel santuario, così come accade per i materialidi culto compresi nel medesimo inventario.

Parallelamente, è da chiedersi se un’iscrizione anch’essa piuttosto antica, re-cante un inventario di strumenti medici rinvenuto nel medesimo santuario diAsclepio, quello di Atene, non sia da interpretare nello stesso senso. L’iscrizio-ne, del IV secolo a.C. (IG II-III = Syll. , cfr. Samama), reca un lungoelenco di oggetti, conservati nel tempio, «sul tavolo» (l. ): recipienti per bere,un piccolo tripode, una statuetta ecc., compresi oggetti per la pratica medica co-me le ventose a coppetta, tratto distintivo del medico in tante raffigurazioni. Se-gue poi un elenco, sotto l’intestazione «oggetti in ferro», che reca una serie distrumenti di uso medico-chirurgico (ll. ss.):

Sidhr© t£de:daktÚlioj me/gaj ¡lÚsei dedeme/noj:stleggˆj meg£lh: kark…noj „atrikÒ-j: maca…ria kaˆ kark…noj „atrika\ P[I]pin£kia I.M.S.LDOG IIII: pÚraus[t]-ra: kark…noi „atrikoˆ III ktl.

In ferro quanto segue: un grande anello fissato a una catena; un grande strigile; una pin-za da medico; sei scalpelli e una pinza da medico; quattro tavolette ... ; una tenaglia [for-cipe?]; tre pinze da medico.

Seguono una statuetta e altri oggetti.L’iscrizione, trovata al Pireo, sede del santuario di Asclepio, reca, di seguito

all’elenco di strumenti medici qui riportato, un decreto con le norme relative allecerimonie e ai sacrifici da svolgersi nel santuario. Tale decreto è di mano poste-

LORENZO PERILLI

. Aleshire (, pp. s.).. Le tavolette potrebbero ammontare a nove, se si legge P (numerale, per pe/nte, come nel ri-

go precedente) invece del G alla fine della sezione non decifrabile che segue i pin£kia, il che per-metterebbe di vedere nel precedente -do una desinenza al genitivo. (Sono in debito con Georg Petzl,di Colonia, che ringrazio per l’amichevole disponibilità a discutere di questa iscrizione. La respon-sabilità dell’interpretazione dei pin£kia, e dell’iscrizione tutta, resta mia.)

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riore rispetto all’elenco di strumenti. Quest’ultimo è evidentemente un inventa-rio dei beni, presumibilmente un catalogo di quanto era stato presentato come of-ferta votiva alla divinità. Mi sono chiesto se non potesse trattarsi di un elenco de-gli strumenti disponibili nel santuario per lo svolgimento delle attività medico-chi-rurgiche, quali attestate ad esempio nelle ricordate iscrizioni di Epidauro e in al-tre affini: ma l’elenco che precede quello degli strumenti medici, e il confrontocon altre iscrizioni, come IG II-III a (= Aleshire Inv. II), non conforta questaipotesi. Resta però che l’elenco, e le successive norme relative al santuario, rin-viano a un testo ad uso dei responsabili delle attività. Gli elenchi di offerte votiveerano invece accompagnati da specifiche dediche, che rispettavano formule pe-culiari e sono conservati in gran numero. Gli strumenti qui elencati sono in fer-ro, mentre di norma attrezzi medici di questo tipo erano in bronzo e il ferro erariservato alle lame dei bisturi e agli strumenti per la cauterizzazione. Il medico piùignorante, riferisce Luciano (Adv. ind. ), ne esibiva in argento, addirittura bi-sturi intarsiati d’oro, in scatole d’avorio: ma all’occorrenza è meglio un chirurgo,egli dice, il cui bisturi sia magari arrugginito, ma affilato. Che degli oggetti offer-ti da medici alla divinità fossero in ferro è meno frequente, sebbene attestato, adesempio in IG II-III (= Aleshire Inv. III), cfr. l. (stleggˆj sidhr©) ecc. Si po-trebbe pensare qui a strumenti d’uso quotidiano di un medico come tanti, perso-naggi rimasti perlopiù oscuri, di quelli però a cui Luciano consiglia di affidarsi.

Ciò che in particolare va sottolineato è la presenza nel nostro inventario diquattro pin£kia. Come si debbano interpretare non è chiaro: potrebbe trattarsi ditavolette votive, di tavolette su cui riportare l’elenco degli ex voto o perfino di piat-ti su cui questi erano presentati. Ma il confronto con i citati grammate(‹)a e conalcune testimonianze letterarie permette di ipotizzare tavolette da scrittura ad usodel medico. La loro posizione proprio nel mezzo dell’elenco di strumenti medici a

CONSERVAZIONE DEI TESTI E CIRCOLAZIONE DELLA CONOSCENZA IN GRECIA

. Non torno qui sulla controversia relativa all’interpretazione delle cure descritte nelle iscri-zioni di Epidauro e in altre dello stesso tenore. Due le tesi contrapposte, entrambe generalmente so-stenute con toni radicali: l’una, argomentata soprattutto da Rudolf Herzog (), un testo fondante,che vede nei santuari la pratica della medicina razionale ippocratica, e anzi vede i santuari, o alcunidi essi, come quello di Cos, nascere attorno all’officina del medico ippocratico; l’altra, alla quale so-no inclini vari studiosi, che ritiene l’assunto di Herzog un a priori, impossibile da dimostrare sulla ba-se dei dati – letterari, epigrafici, archeologici – disponibili. Entrambe le posizioni hanno un elemen-to problematico, che nel primo caso consiste nell’eccesso di sicurezza mostrato da Herzog e nel suoportare a conseguenze estreme delle interpretazioni pienamente condivisibili (così quando parla diuna «Universität Kos» per dire l’attività di formazione dei medici nell’isola o quando sostiene che at-tivi nei santuari fossero precisamente i medici ippocratici e non altri); nel secondo caso gli interpretimancano di un punto fondamentale: rifiutando l’attività di medici nei santuari, omettono di spiegarenon solo una serie di risultanze archeologiche ed epigrafiche (strumenti medici, liste degli stessi, iscri-zioni attestanti la presenza di medici e la qualifica di medico per alcuni sacerdoti), ma soprattutto tra-lasciano di dire che cosa significhi che le guarigioni, indubitabilmente attestate nei santuari di Ascle-pio, sono dovute a “interventi miracolosi”. Lasciamo stare la fede cristiana, che porterebbe lontano(cfr. in proposito Viano, ): ma credere che i pazienti guarissero per i miracoli di Asclepio o diApollo mi sembra argomento difficile non solo da sostenere, ma persino da confutare. Inoltre, i pa-ralleli indicati da Herzog tra le cure riportate dalle iscrizioni e il Corpus Hippocraticum sono puntua-li e non possono essere ignorati come spesso si è fatto. Personalmente, sia pure con qualche cautela,sono piuttosto sulla linea di Herzog nel ritenere che i santuari prevedessero attività mediche vere eproprie, esercitate da medici, e nella convinzione che i santuari stessi fossero luogo di conservazionee trasmissione del sapere medico. Su questo rinvio a quanto argomentato in Perilli (, ).

. Cfr. van Straten (, pp. -) e, riassuntivamente, Krug (, pp. ss.).

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sua volta può orientare in tal senso, e sebbene il materiale (ferro), non sia ideale perlo scopo previsto (certo sarebbe stato preferibile il bronzo o il piombo), non lo sipuò tuttavia escludere, soprattutto se si immagina l’uso di tavolette cerate.

A me pare che una significativa conferma alla interpretazione dei pin£kiacome tavolette per scrivere del medico venga da una richiesta, attestata per Ate-ne da IG I , (i cosiddetti decreti finanziari di Callia, risalenti agli anni Trentadel V secolo), di presentare tavolette di vario genere, custodite dagli ƒeropoio…,probabilmente recanti la registrazione dei debiti e delle scadenze, espresse dalbinomio t£ te pin£kia kaˆ ta\ grammate‹a: l’associazione è eloquente. Si in-tendono qui, secondo LSJ (s.v. pin£kion), «memorandum book(s)»: qualcosa dianalogo a ciò di cui il medico doveva disporre per il suo lavoro.

Questo tipo di oggetti, vale a dire supporti per la scrittura, faceva parte del suostrumentario quotidiano. A simili materiali scritti, da intendersi come registrazio-ne dei singoli casi che il medico si trovava a trattare, i santuari avranno offerto ladovuta ospitalità: strutture per la conservazione e consultazione. Essi poterono es-sere il modello, e in una qualche misura anche la fonte, di opere costituite da rac-colte di schede, come i trattati “cnidi” sopra ricordati o anche alcuni libri delle Epi-demie, sebbene quest’opera riveli in più di un caso un grado più avanzato di con-sapevolezza anche teorica, dovuta a una rielaborazione dei materiali.

LORENZO PERILLI

. Questa parte dell’iscrizione citata recita: t£ te pin£kia kaˆ ta\ grammate‹a kaˆ ™£m p[o¥l]loqi ei’ gegramme/na. ¢pofainÒntwn de\ ta\ gegramme/na ho… te hierüj kaˆ hoi hieropoioˆ kaˆ e‡tij ¥lloj oi’den («sia le tavolette che i documenti, e quant’altro di scritto. Esibiscano i materiali scrit-ti i sacerdoti, i responsabili dei templi e chi altri ne sia al corrente»).

. I pin£kia menzionati nell’inventario restano di incerta interpretazione, troppo limitati es-sendo i dati a disposizione. Oltre che tavolette per scrivere di vario genere, destinate a contenere de-creti, leggi, sentenze (cfr. Ar. Av. e Vesp. ; Plat. Leg. c ecc.) – a volte designate, con sintag-ma tecnico, pin£kia leleukwme/na –, in linea di principio potrebbe trattarsi anche semplicemente

FIGURA Strumenti medico-chirurgici greci e romani: uncini, scalpelli, pinze, forcipi

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Vi è un caso, nelle Epidemie, che chiarisce quanto fin qui argomentato. Sitratta dell’unica occorrenza, nel Corpus ippocratico, del termine p…nax o di unsuo derivato. Epid. VI , apre l’ultima serie di “casi” descritti in quell’opera. Ini-zia con una sorta di significativa intestazione, che recita: ta\ ™k toà smikroà pi-nakid…ou. Seguono quindi le necessarie indicazioni: skepte/a, d…aita g…netaiplhsmonÍ, kenèsei brwm£twn, pom£twn ktl. Nella traduzione di Daniela Ma-netti e Amneris Roselli: «Materiale tratto dalla tavoletta degli appunti: fare at-tenzione, la dieta consiste nel riempire e vuotare di cibi e di bevande» ecc. (mala traduzione dà eleganza a un greco che, non a caso, ne è privo). Che la formu-la iniziale costituisse il titolo della sezione è confermato dal commento di Gale-no ad loc. (, Wenk.-Pf.: dall’arabo), che cita la frase «Was von dem kleinenTäfelchen stammt» e la dice «Überschrift», dunque intestazione, della sezioneche si accinge a trattare. Per gli antichi, informa ancora Galeno, questo titolo siriferiva a due libri delle Epidemie, che Tessalo avrebbe scritto rielaborando de-gli appunti ippocratici registrati su tavolette: delle quali il diminutivo sottolineala dimensione “portatile”, funzionale al medico nei suoi spostamenti. Cfr. Gal.Diff. resp. VII : tisˆ de\ o†per kaˆ ¢kribe/ster£ moi dokoàsi katamaqe‹n tînbibl…wn th\ n dÚnamin, ØpÕ me\n toà Qessaloà gegr£fqai doke‹ ta\ pe/nte, dÚod' ei’nai toà meg£lou `Ippokr£touj, kaˆ ™pigegr£fqai ge/ pou dia\ toàto ta\ ™ktoà smikroà pinakid …ou («alcuni, che peraltro ritengo abbiano megliocompreso la forza di quei libri [delle Epidemie], pensano che cinque siano statiscritti da Tessalo, e due fossero del grande Ippocrate, e che per questo venisse-ro intitolati Appunti della tavoletta») .

Non è un caso che i materiali del libro VI introdotti da questa titolatura sia-no sensibilmente differenti da quelli che precedono. Si tratta di note brevi, ete-

CONSERVAZIONE DEI TESTI E CIRCOLAZIONE DELLA CONOSCENZA IN GRECIA

di tavolette votive. Pin£kia erano detti anche, come si accennava, una sorta di piatti, a volte utiliz-zati per presentare le offerte al dio. Come pin£kion, anche il termine p…nax designa oggetti diversi,dall’offerta votiva, in legno, metallo o terracotta (cfr. van Straten, ), al rilievo (Atene, Museo na-zionale, Inv. ), alle stele come quelle di Epidauro e (per metonimia dal supporto al contenuto)al catalogo di una serie di oggetti, libri inclusi (Callimaco): e, anche, tavolette con indicazioni medi-che. Ancora dall’Asclepieo di Atene vengono lunghe iscrizioni, che fanno ripetuto uso del terminepin£kion, con svariati significati. Cfr. ad esempio IG II-III (= Aleshire III).

. Ho tradotto la frase galeniana secondo l’interpretazione corrente, che tuttavia a me pare in-soddisfacente: che secondo Galeno i libri II e VI delle Epidemie (non i libri I e III come si è pensatoprima di Bardong, ) potessero essere intitolati «I libri tratti dalla tavoletta» (che era poi unosmikrÒn pinak…dion, con dimensioni dunque assai ridotte) non sembra verosimile e contraddicequanto, più plausibilmente, si legge nella traduzione araba del citato commento ad l., in cui si trat-tava della titolazione di una specifica sezione. Chiave del passo del De differentia respirationis è ilverbo ™pigegr£fqai: o questo si dovrà intendere diversamente, ad esempio «mettere per iscritto»(quindi: «pensano che [...] due fossero del grande Ippocrate, e che così [dia\ toàto] venissero mes-si per iscritto gli appunti della tavoletta»), o si dovrà intervenire correggendo, ad esempio in ¢po-gegr£fqai. Ma resta difficile convincersi che due interi libri delle Epidemie potessero essere tra-scritti da una «piccola tavoletta». Kurt Bardong (), nella conclusione del primo capitolo (Daskleine Notiztäfelchen des Hippokrates, pp. -), si sforzava di dimostrare che, dato l’uso costan-te di sigle e abbreviazioni, i capitoli che seguono l’intestazione potevano essere fatti rientrare su unatavoletta, scritta sui due lati; come ciò si potrebbe pensare invece di due libri non è chiaro. Si inten-derà, con qualche forzatura, che Galeno voglia qui sottolineare l’autenticità dei due libri in questio-ne, richiamandone la fonte nelle tavolette di lavoro di Ippocrate; ma la formulazione resta incerta.

. Cfr. Manetti, Roselli (, pp. ss., ad l.).

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rogenee e soprattutto prive di una vera struttura sintattica, piuttosto un giu-stapporsi di dati, che si potrebbe dire stenografico: congruo con la sua origine,le annotazioni di un medico nel corso del suo lavoro.

Le fonti letterarie forniscono un ulteriore, prezioso supporto, legando l’uso diredigere interventi terapeutici su tavolette alle attività dei santuari del dio della me-dicina. Stando a Strabone, in essi (si riferiva specificamente a Cos e Tricca, oltreche a Epidauro) abbondavano da un lato i pazienti e dall’altro i p…nakej, in stret-ta correlazione gli uni con gli altri: è quanto sembra doversi evincere dal testo, cheparla di tÕ ƒerÕn plÁrej ... ¢eˆ tîn te kamnÒntwn kaˆ tîn ¢nakeime/nwnpin£kwn. Un santuario dunque affollato, sia di pazienti che di p…nakej: questi ul-timi proporzionalmente ai primi, come il nesso espresso da te ... ka… sottolinea .I p…nakej contenevano i trattamenti prescritti dal medico: in essi, infatti, ¢nage-gramme/nai tugc£nousin aƒ qerape‹ai, presumibilmente accompagnate dalla de-scrizione del caso trattato. Invece che guarigioni miracolose („£mata toà 'Askle-pioà), abbiamo qui qerape‹ai. Non si avevano dunque, nei santuari, sempre o so-lo resoconti di miracoli e ex voto, ma anche una sorta di cartelle cliniche registra-te su tavolette che dovevano essere poi raccolte e conservate nel santuario a unoscopo ben preciso: quello della futura consultazione . Si osservi che il termine¢nagegramme/nai usato qui da Strabone in riferimento alla scrittura sui p…nakejnon è casuale, ma un preciso tecnicismo, attestato per via sia epigrafica che lette-raria con il valore di una procedura ufficiale per l’iscrizione, ad esempio, di decretio leggi . 'Anagegramme/noj vale “registrato ufficialmente”. Si potevano avere duelivelli di registrazione scritta: un primo su tavolette di legno, piombo o altri mate-riali, ricoperte di cera o meno (designate come p…nax, pin£kion, grammate‹on,de/ltoj, san…j ecc.), un secondo su papiro: si osserverà come i diversi supportiavessero anche diverse destinazioni, il rotolo di papiro inteso per la conservazio-ne, le tavolette invece per l’annotazione immediata, spesso riutilizzabili, special-mente se rivestite di un apposito supporto di cera. Ad Atene i conti delle spese re-lative alla costruzione dell’Eretteo ( a.C.), già annotati su tavolette (san…dejdÚo hej §j tÕn lÒgon hanagr£fomen), vengono in un secondo tempo riportati supapiro: c£rtai ... dÚo hej § ta\ ¢nt…grafa henegr£fsamen) . Le quotidiane re-gistrazioni su tavolette vengono riversate periodicamente su altro supporto, desti-nato all’archiviazione. Nel caso citato delle Epidemie, la trascrizione era anche oc-casione per dare ai materiali più adeguata struttura sintattica e leggibilità – talora

LORENZO PERILLI

. Strab. VIII. ,, cfr. XIV = Edelstein.. In Perilli (, p. , nota ) erroneamente riferivo anche kamnÒntwn a p…nakej, inter-

pretandolo come offerte fatte dai pazienti (p…nakej tîn kamnÒntwn), da distinguersi dai p…nakej¢nake…menoi.

. Va anche osservato, a conferma dell’attendibilità della fonte, che Strabone parla in più di uncaso da testimone diretto, che aveva personalmente fatto visita almeno all’Asclepieo di Epidauro. Ilpasso di Strabone è citato letteralmente in Eust. In Il. I ,: tÕ de\ ™n aÙtÍ [scil. Epidauro] 'Asklh-pie‹on kamnÒntwn te plÁrej Ãn, fas…, kaˆ pinak…wn ¢nakeime/nwn, ™n oŒj aƒ qerape‹ai ¢nage-gr£fatai («l’Asclepieo di quella città [Epidauro] era pieno di malati, dicono, e di pínakes dedica-ti, sui quali erano registrati i trattamenti»).

. Sono nÒmoi ¢nagegramme/noi quelli di Dem. In Timocr. .. IG I , ss., ss. Cfr. anche supra, PAR. , gli ¢nt…grafa a cui si fa riferimento nel te-

stamento di Platone.

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ambizione letteraria: che l’ultima parte di Epidemie VI sia rimasta allo stato grezzodegli appunti originari è per noi fortunata opportunità di avvicinare la personaleprassi scrittoria del medico nel corso della sua giornata.

Che le tavolette, pin£kia, elencate nell’inventario citato dell’Asclepieo di Ate-ne potessero recare iscritti trattamenti medici sembra suggerito anche dal con-fronto con alcune delle epigrafi di Epidauro. Queste erano trascrizioni di materialiprecedenti, e una certa uniformità stilistica, insieme alla competenza medica cheda alcune di esse traspare, lascia pensare che vi sia stato un consistente interventoredazionale da parte del grammateÚj o di altro responsabile del santuario. L’ipo-tesi che a me pare la più probabile, anche sulla base delle caratteristiche di iscri-zioni analoghe ma rinvenute in santuari periferici come quello di Lebena a Creta,o come l’istruttiva iscrizione di Apella , è che tali testi risalgano in buona parte(non sempre) alle “schede” (p…nakej, pin£kia) contenenti i trattamenti effettua-ti nel santuario, largamente depurate però, a scopo propagandistico e di persua-sione, degli aspetti propriamente medici per evidenziarne quelli miracolistici.

Ciò appare confermato dal primo e dal terzo dei casi registrati sulle grandistele di Epidauro, che a loro volta fanno menzione di p…nakej. Racconta il pri-mo caso (IG IV , n. ), che una tale Cleo, incinta da cinque anni, recatasi daldio riuscì finalmente a partorire e fece incidere sulla sua offerta votiva (tucoà-sa de\ toÚtwn ™pˆ tÕ ¥nqema ™pegr£yato) le parole seguenti: oÙ me/ge[qo]jp…nakoj qaumaste/on, ¢lla\ tÕ qe‹on («non la grandezza del pinax deve essereammirata, ma la divinità»). Qui p…nax è la tavoletta recante il resoconto (votivo,non clinico) della guarigione, che servì verosimilmente da base per l’estensoredella serie incisa sulle grandi stele. Nel terzo caso un paziente, giunto nel san-tuario e letti sui p…nakej i trattamenti e le guarigioni avvenute, rimase incredu-lo e li derise persino, fino a quando egli stesso non fu guarito e dovette ricre-dersi. A domanda del dio in sogno, se fosse ancora scettico riguardo a quantoera scritto sulle tavolette, rispose di no: mentre dunque egli dapprima qewrînde\ tou\ j ™n tîi ƒarîi p…nakaj ¢p…stei to‹j „£masin kaˆ Øpodie/sureta\ ™pigr£mma[t]a, più tardi, risanato, ™perwtÁn nin tÕn qeÒn, e„ œti ¢pisthso‹to‹j ™pigr£mmasi to‹j ™pˆ tîn pin£kwn tîn kata\ tÕ ƒerÒn .

I p…nakej potevano essere dunque di vario genere. Quello che però si di-rebbe tratto comune ai casi ricordati è che il contenuto era di argomento medi-co. Tali p…nakej erano conservati in locali appositi nei santuari stessi, come ri-sulta dall’inventario, e accessibili soltanto a chi fosse autorizzato, vale a dire sa-cerdoti (che però, quasi sempre sprovvisti di specifica competenza, non avran-no saputo che farsene, se non utilizzarli a fini di persuasione e di autosuggestio-ne dei pazienti) e medici: che, come ricorda Plinio (Nat. XXIX ), li avranno re-datti con uno scopo preciso, vale a dire ut postea similitudo proficeret.

Va chiarito, però, che diverse erano le tipologie delle tavolette e delle conse-guenti iscrizioni su stele: non tutto ciò che veniva registrato nel santuario eranotrattamenti medici, né sempre si trattava di miracoli divini. Le quattro grandi ste-

CONSERVAZIONE DEI TESTI E CIRCOLAZIONE DELLA CONOSCENZA IN GRECIA

. IG IV , . Ricevette fama dopo essere stata studiata da Wilamowitz nel secondo excursusdel suo Isyllos von Epidauros (Wilamowitz, ). Testo e traduzione anche in appendice a Perilli().

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le di Epidauro, così come altre analoghe testimonianze superstiti, sottendono sìin molti casi un sapere medico, e fanno riferimento a interventi chirurgici e altreterapie, ma spesso registrano veri e propri “miracoli” attribuiti all’intervento deldio. È necessario distinguere: se tra ciò che si è conservato prevale l’aspetto mi-racoloso in connessione con le offerte votive dei pazienti, poiché a questi testi ve-niva data pubblica visibilità e preminenza, ciò non implica che tutto si esaurissequi. Le testimonianze citate, e il confronto con le civiltà dell’Egitto e del VicinoOriente, così come iscrizioni provenienti da località e santuari periferici, mostra-no con evidenza che esisteva un altro livello, quello tecnico-medico, di schedatu-ra dei pazienti. Questi materiali, tenuti riservati e scritti verosimilmente su sup-porti deperibili come il legno, hanno avuto minore fortuna .

Che l’istruzione medica richiedesse già in età antica uno studio libresco a in-tegrazione di quanto appreso mediante la pratica e l’esperienza sul campo, cli-nica dunque, è esplicitamente confermato da un’iscrizione datata alla fine del IVsecolo a.C. Si tratta di IG II-III, (già b Kaibel, Epigraphica Graeca = bSamama), un epigramma dedicatorio, o epitafio, di otto versi, in lode di un me-dico di nome Argaios, del quale si dice:

™nˆ te/cnvfam… se [p©]n katide‹n eÙxune/toij prap…si,kr…nanq' „htrîn sofa\ dÒgmata kaˆ tÕ per issÕn™k bÚblwn yucÁj Ômmasi drey£menon .

Nell’arteio dico che tu hai visto tutto con il tuo acuto ingegnogiudicando le sapienti dottrine dei medici e il restocogliendo dai libri con gli occhi dello spirito.

Egli ha saputo scrutare tutto ciò che l’arte offriva, ha saputo ben giudicare la sa-pienza delle dottrine dei medici, che poi ha integrato (significativo è l’uso di tÕperissÒn, a esprimere il necessario supplemento e con esso l’insufficienza, si di-rebbe platonica, del solo apprendimento tramandato oralmente e per esperien-za) ™k bÚblwn, grazie alla lettura dei “libri” disponibili. Sbrigativamente la Sa-

LORENZO PERILLI

. Uno straordinario esempio di antichissima tavoletta in legno, che tra l’altro illustra megliodi ogni altra ipotesi il riferimento omerico alle tavolette “pieghevoli” di Bellerofonte recanti minac-ciosi segni nel sesto libro dell’Iliade (vv. s.: pÒren d' Ó ge s»mata lugra\ / gr£yaj ™n p…nakiptuktù qumofqÒra poll£), è quello rinvenuto nel relitto di una nave sulle coste turche di Ulu Bu-run nel , un dittico in legno, costituito da due tavolette rettangolari unite assieme da un pernocentrale, a mo’ di libro, pieghevole quindi, e in grado di restare aperto davanti al lettore quando ne-cessario. Si tratta di materiali della tarda Età del Bronzo, dunque riferibili, per la Grecia, alla civiltàmicenea. Sebbene il confronto con Omero non sia da tutti accolto, mi sembra invero illuminante. Sitenga conto che la nave, proveniente da oriente e recante un carico “internazionale” con oggetti divari paesi, al momento del naufragio si trovava all’imbocco del mar Egeo. La rarità della testimo-nianza, che può essere associata al caso etrusco del “Relitto del Giglio” (VI sec. a.C.), la rende anco-ra più significativa, ma indica anche che la mancata sopravvivenza di materiali analoghi non devefarne trascurare il ruolo e la funzione nell’antichità, a favore di testi e oggetti che hanno avuto la ven-tura di essere legati a materiali più resistenti, come l’argilla per il Vicino Oriente o la pietra e i me-talli per la Grecia. Il tema è di notevole interesse e mi ripropongo di trattarne approfonditamente inaltra sede. Mi limito qui a rinviare, tra la bibliografia disponibile, a Payton (); Symington ();Mylonas Shear (), tutti con ulteriori indicazioni bibliografiche.

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mama segnala che si sarà trattato degli scritti del Corpus Hippocraticum. Non èdetto, e soprattutto non è questo il punto: bÚbla possono essere, ma non sononecessariamente, dei trattati quali oggi leggiamo. Tutta una “letteratura” medi-ca doveva essere disponibile, per essere poi gradualmente dimenticata dopo l’in-tervento degli Alessandrini, fino a perdersi, soprattutto i materiali più tecnici ed’uso quotidiano. Una letteratura spesso costituita da casistiche, da quegli elen-chi, in parte biasimati dagli Ippocratici, che sarebbero stati tipici di opere comele Sentenze cnidie, o da raccolte di schede come nelle Epidemie, nei trattati det-ti cnidi sopra ricordati, nei Krankenjournale di Rufo di Efeso. La lettura di unDe vetere medicina o di un De morbo sacro aveva altro scopo che la formazionedel medico praticante, altro e diverso destinatario: quell’optimus medicus, otti-mo perché filosofo, quale Galeno auspica e professa di essere.

Sia come sia, essenziale è che il sapere del medico è qui fatto dipendere daun duplice livello di formazione, che implica la disponibilità di materiale scrit-to, la circolazione di un sapere che è più che un riservato tramandarsi di dottri-ne di padre in figlio, e implica una prospettiva più aperta. È a sua volta incon-sueto poi che un epigramma, scritto a quanto sembra da un paziente guarito, talBatakes menzionato in una iscrizione trovata accanto alla precedente (ad essacontemporanea ed edita come sua prima parte, IG II-III, = a Samama),faccia menzione del modo in cui il medico ha acquisito il proprio sapere. Il pa-ziente avrà davvero appreso dal medico, o da altri a lui vicini, notizie degli stu-di da questo effettivamente compiuti? O faceva piuttosto riferimento a quellache era la norma nell’apprendimento medico, nota anche a chi non facesse par-te della “confraternita”? Questa seconda ipotesi si direbbe più vicina al vero. Perla medicina, come per le altre specializzazioni tecnico-scientifiche, la conserva-zione, l’accessibilità, la fruizione regolare dei testi scritti, dei “libri”, era essen-ziale, per il carattere stesso della disciplina.

Va anche limitata la portata della lettura pubblica ad alta voce. Non era questala sola modalità di fruizione dei testi scritti nell’antichità. Era certo fondamentale eassai diffusa, se ne è riportata sopra (cfr. supra, PAR. ) una testimonianza dal Teete-to platonico, un’altra è data dalla lettura dello scritto di Zenone in difesa di Par-menide di cui si parla nella introduzione del Parmenide di Platone. Ma esisteva an-che una lettura privata, eventualmente silenziosa, di opere in prosa, ben prima cheAristotele la accreditasse ufficialmente nella Poetica anche per quelle in versi: nonpoteva essere diversamente, del resto, per opere ad alto contenuto tecnico, la cuilettura pubblica difficilmente avrebbe avuto senso. Penso ai trattati di medicina, so-prattutto a quelli sotto forma di schede cliniche, a quelli di matematica, di archi-tettura, che già Eutidemo, come si è visto, aveva largamente raccolto. Erano testievidentemente destinati, per la loro natura, alla lettura e allo studio individuale.

Un sapere riservato

Certo, si trattava di un sapere che si continuava a considerare riservato, giacchégarantiva privilegi non da poco, dunque l’accesso non poteva consentirsi achiunque: ma agli allievi, agli aspiranti medici certamente sì, e il numero dei me-

CONSERVAZIONE DEI TESTI E CIRCOLAZIONE DELLA CONOSCENZA IN GRECIA

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dici praticanti nell’antichità dovette essere di gran lunga maggiore di quanto sisia portati a ritenere, come ha opportunamente evidenziato, in più di una occa-sione, Vivian Nutton . Siamo abituati a ricordare Cos o Cnido, Efeso o Perga-mo: ma una miriade di centri minori, con un numero di abitanti non superiorea poche centinaia e fino a una o due migliaia (poche erano le città che supera-vano queste cifre), vedevano attivi medici e assistenti, spesso ricordati per viaepigrafica per i loro meriti, i quali a volte saranno stati persino privi della ne-cessaria alfabetizzazione, ma spesso invece avranno posseduto e redatto elenchidi casi e di rimedi, e forse anche qualcosa di più. Gli stessi santuari di Asclepio,centri ideali per la pratica e l’esperienza medica, così come, nella ipotesi fin quiavanzata, per la conservazione del sapere medico in appositi repositori, rapida-mente proliferarono per tutto il mondo antico. Ne sono attestati a centinaia spar-si per il Mediterraneo, quasi sempre e non a caso ubicati fuori città, seguendonon le esigenze del culto divino, ma quelle ben più materiali delle cure mediche:da un lato salubrità della posizione, dall’altro lontananza dalla città per garanti-re la separazione tra sani e malati, come sarà per le disposizioni di età napoleo-nica in materia di cimiteri.

La riservatezza del sapere tecnico-scientifico spiega anche la scarsissima so-pravvivenza dei testi ad esso relativi, con la sola e parziale eccezione della medi-cina. Al segreto professionale era data la massima importanza, e anche i libri era-no in genere resi accessibili solo all’interno dell’“ordine professionale”. L’enor-me diffusione della pratica medica favorì forse la conservazione di quanto oggipossediamo, rispetto al nulla, o quasi, relativo alle altre discipline. Ma per tuttala sua storia, il sapere medico continuò a essere custodito gelosamente. Ancorain Galeno – pure in un’epoca in cui ormai il commercio, la circolazione e la pre-servazione dei libri avevano raggiunto un grande sviluppo e una diffusione per-sino esagerata, stando a Seneca o a Petronio – se ne avrà testimonianza elo-quente. Nella sua valenza generale, quanto egli dice si può estendere a ritroso:così, nei Procedimenti anatomici (XIV s.) , di cui gli Arabi ci hanno preser-vato la traduzione di quanto perduto in greco, si racconta che vi furono mediciche rinunciavano a scrivere libri per tenere nascosta la propria dottrina, ancheper invidia, come fu il caso di Quinto, «che risiedeva all’epoca di Adriano nellacittà di Roma e aveva fama e rinomanza non piccola nell’anatomia, ma [...] nonscrisse affatto un libro sulla dissezione». A differenza di lui, sul tema scrisseroMarino e Numisiano, e non poco, ma i libri di quest’ultimo «non giunsero a mol-te persone mentre era vivo», e quando il figlio Eracleiano li ereditò «non fece ac-cedere alcuno degli uomini a nessuno dei suoi libri, e quando venne anche la suaora, come raccontano, li bruciò». Eppure Eracleiano, dice Galeno, fu uno diquelli che lo avevano grandemente onorato ad Alessandria, «e io lo servii sem-pre sommamente fin quasi ad adularlo», e ciò con uno scopo ben preciso: «perottenere da lui uno dei libri di Numisiano che non erano stati ancora donati a

LORENZO PERILLI

. Cfr. ad esempio Nutton (), nonché più di recente Nutton (, in particolare pp. s.).. Cfr. ad esempio Sen. Dial. IX ,, sui libri divenuti ormai non più che ornamento delle case

romane, e il vanto di Trimalcione tres bybliothecas habeo, unam Graecam, alteram Latinam (Petr. ).. La traduzione del testo arabo si deve a Ivan Garofalo.

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molte persone». Ma senza risultato: «egli mi negava i suoi libri e in ogni mo-mento mi inventava ragioni con cui me li rifiutava». Analogamente anche Pelo-pe, primo discepolo di Numisiano, «non diede a nessuno niente di quelle dot-trine, perché egli voleva che dottrine che non erano ancora conosciute fosseroattribuite a lui; anche Pelope aveva dei libri suoi, [...] e dopo la sua morte an-darono distrutti prima che la gente li copiasse, perché egli li teneva con sé in ca-sa sua, e [...] continuamente rinviava la pubblicazione».

Se questa era la situazione all’epoca di Galeno per le opere dei maggiori me-dici del tempo, si può comprendere la riservatezza nella quale dovettero esserecustoditi gli scritti medici nei santuari, a differenza di quanto invece accadevaper la filosofia e forse per la letteratura, il cui obiettivo era quello della massimadiffusione, quale i luoghi sacri potevano garantire. Il discrimine era, evidente-mente, di tipo economico, nonché di potere e di prestigio sociale, che nel casodella medicina conseguiva alla dimostrazione di un sapere esclusivo (tanto piùnecessario nei santuari, dove ogni successo doveva passare per miracolo divino),mentre per la filosofia era legato ad altri e intrinseci fattori.

Su questi temi, e in particolare sul ruolo dei santuari nella preservazione ecomunicazione della cultura scritta, il confronto con le civiltà egizia e mesopo-tamica è illuminante. Abbiamo lì attestazioni ampie e adeguate di fenomeni peri quali invece in Grecia non molto si è conservato. Le affinità sono evidenti. Nonposso riprendere qui in dettaglio la questione del raffronto dei due mondi, oc-cidentale e orientale, e devo rinviare a quanto ho argomentato in precedenti con-tributi, sebbene la quantità dei materiali permetterebbe di andare molto oltre.Scoperte come quella, recentissima (), effettuata dagli assiriologi italianiguidati da Giovanni Pettinato nel sito di Eridu in Iraq, con il rinvenimento dicentinaia di tavolette di argilla ricoperte di pece ancora da catalogare e studiare,ma contenenti comunque scritti di genere vario, testi storici, letterari e lessicalipaleoaccadici, uniti a testi di botanica e mineralogia, compiti di scolari e lavoriconsiderati “accademici”, danno ancora una volta un’idea della ricchezza di ta-li materiali. Non sarà da considerarsi casuale il fatto che lì accanto sia stato rin-venuto quel che resta di un tempio del dio Nanna, il dio sumero della luna figliodi Enlil, e rientrerà piuttosto nello schema-tipo: quello dei templi/santuari co-me luogo di conservazione e trasmissione del sapere.

CONSERVAZIONE DEI TESTI E CIRCOLAZIONE DELLA CONOSCENZA IN GRECIA

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