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Nico Bolla Teoria della Progettazione Architettonica pag 1 6. Parole nel Vuoto + Nonostante Tutto - Adolf Loos Autore figura 00 Qualcuno ha definito la vita di Adolf Loos, iniziata nel 1870 (il 10 dicembre) a Brno, una autentica soap opera: e in effetti, pur prematuramente finita nel 1933 (il 23 agosto), essa fu straordinariamente densa. Non è luogo qui narrarla, anche perché nella copiosa pubblicistica intorno al Nostro ne esistono racconti numerosi, accurati e dettagliati; e nei migliori di essi la lingua stessa del racconto assume ritmi da romanzo, che sembrano simboleggiare quello che ne deve essere stato il reale svolgimento. In un avvicendarsi continuo si intrecciano la perdita prematura del padre (e il difficile rapporto con la madre), i viaggi (sopra tutti quello in America), i mille lavori, i guai fisici (la sordità, il cancro gastrointestinale, l’ictus); quelli giudiziari (un processo per pedofilia); le donne (tre mogli ufficiali, più una ufficiosa); le altre donne, tra le quali qualcuno registra anche Isadora Duncan e Josephine Baker; la morte in miseria. Basta! Non facciamoci coinvolgere in questo gossip da museo; riflettiamo invece su come la vita, le opere, i pensieri di Loos possano essere letti come l’estremo tentativo, forse non del tutto consapevole, di arrestare la decadenza inevitabile dell’ambiente al quale doveva l’impianto fondamentale della sua formazione: l’Impero austro ungarico e, soprattutto, la città di Vienna. Spesso il tempo della definitiva decadenza di istituzioni che furono potenti è anche un momento di straordinaria produzione intellettuale, quasi che la consapevolezza della fine vicina scateni energie di ricerca altrimenti sopite nelle rassicuranti routine quotidiane. Fu così, ad esempio, nella Venezia del Settecento; fu così nella Vienna a cavallo tra Otto e Novecento; pensiamo solo alla straordinaria concentrazione di irripetibili intelligenze: Freud, Schönberg, Wittgenstein ... ... ma soprattutto Musil. Non esiste evidenza di un qualche incontro, di un qualche rapporto di qualunque tipo tra Musil e Loos; ma accostarli nello scenario del declino dell’impero è un’idea che viene abbastanza facilmente: infatti anche a qualcun altro è venuta. Tra questi uno storico dell’architettura greco (importante studioso di Loos) che ricorda un’affermazione di Musil: “... era un’epoca di grande attività etica ed estetica; credevamo nel futuro ed in una arte nuova; davamo un’impressione di decadenza e di malattia: ma questi due aspetti negativi erano solo la manifestazione occasionale di un desiderio di essere diversi e di agire diversamente dagli uomini del passato; credevamo nel futuro e volevamo padroneggiarlo ...”.

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Nico Bolla Teoria della Progettazione Architettonica pag 1

6. Parole nel Vuoto + Nonostante Tutto - Adolf Loos

Autore

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Qualcuno ha definito la vita di Adolf Loos, iniziata nel 1870 (il 10 dicembre) a Brno, una autentica soap opera: e in effetti, pur prematuramente finita nel 1933 (il 23 agosto), essa fu straordinariamente densa.

Non è luogo qui narrarla, anche perché nella copiosa pubblicistica intorno al Nostro ne esistono racconti numerosi, accurati e dettagliati; e nei migliori di essi la lingua stessa del racconto assume ritmi da romanzo, che sembrano simboleggiare quello che ne deve essere stato il reale svolgimento.

In un avvicendarsi continuo si intrecciano la perdita prematura del padre (e il difficile rapporto con la madre), i viaggi (sopra tutti quello in America), i mille lavori, i guai fisici (la sordità, il cancro gastrointestinale, l’ictus); quelli giudiziari (un processo per pedofilia); le donne (tre mogli ufficiali, più una ufficiosa); le altre donne, tra le quali qualcuno registra anche Isadora Duncan e Josephine Baker; la morte in miseria.

Basta! Non facciamoci coinvolgere in questo gossip da museo; riflettiamo invece su come la vita, le opere, i pensieri di Loos possano essere letti come l’estremo tentativo, forse non del tutto consapevole, di arrestare la decadenza inevitabile dell’ambiente al quale doveva l’impianto fondamentale della sua formazione: l’Impero austro ungarico e, soprattutto, la città di Vienna.

Spesso il tempo della definitiva decadenza di istituzioni che furono potenti è anche un momento di straordinaria produzione intellettuale, quasi che la consapevolezza della fine vicina scateni energie di ricerca altrimenti sopite nelle rassicuranti routine quotidiane.

Fu così, ad esempio, nella Venezia del Settecento; fu così nella Vienna a cavallo tra Otto e Novecento; pensiamo solo alla straordinaria concentrazione di irripetibili intelligenze: Freud, Schönberg, Wittgenstein ...

... ma soprattutto Musil.

Non esiste evidenza di un qualche incontro, di un qualche rapporto di qualunque tipo tra Musil e Loos; ma accostarli nello scenario del declino dell’impero è un’idea che viene abbastanza facilmente: infatti anche a qualcun altro è venuta.

Tra questi uno storico dell’architettura greco (importante studioso di Loos) che ricorda un’affermazione di Musil: “... era un’epoca di grande attività etica ed estetica; credevamo nel futuro ed in una arte nuova; davamo un’impressione di decadenza e di malattia: ma questi due aspetti negativi erano solo la manifestazione occasionale di un desiderio di essere diversi e di agire diversamente dagli uomini del passato; credevamo nel futuro e volevamo padroneggiarlo ...”.

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Coerente con la sua formazione, il creatore di Ulrich non guarda agli individui, ma ai processi generali di un gruppo ampio di soggetti, ricavandone ragioni di ottimismo: il presente sembra decadente e malato, ma in realtà si sta preparando un futuro radioso e felice.

Invece Loos pensa che gli individui contino (un altro Adolf era già nato) e perciò respinge l’argomentazione di Musil ed inveisce contro i singoli architetti delle sue parti e del suo tempo per il loro uso incontrollato di stilemi pescati nella (pattumiera della) Storia; provocando così la corruzione di oggetti la cui perfezione formale poteva facilmente derivare dal loro uso.

La dimensione di Musil è collettiva, tanto da fargli teorizzare l’irrilevanza degli atti individuali; la dimensione di Loos è individuale, forse perché individuale era stato il percorso che lo aveva portato fuori dalla classe subordinata che costituiva la sua condizione di partenza: che tuttavia non ripudiò mai, restando in questo modo culturalmente un democratico.

Nella dialettica tra collettivo ed individuale si consumano i primi decenni del Novecento; nel corso dei quali è motivo di riflessione il fatto che le più significative rotture di consuetudini consolidate, ma anche esaurite, venga per lo più da singole personalità.

La questione rimane ancora aperta: forse non può chiudersi, forse la vicenda di Urlich non poteva in alcun modo chiudersi; anche se il suo biografo fosse vissuto più a lungo dei 62 anni che gli sono stati concessi.

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Parole chiave dell’opera

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Il libro raccoglie scritti diversi dal 1897 al 1900 (Parole nel Vuoto) e dal 1900 al 1930 (Nonostante Tutto); la prima edizione del primo è del 1921 a Parigi; quella del secondo è del 1931 ad Innsbruck.

La lettura di Parole nel Vuoto e di Nonostante Tutto può, tra le altre, suggerire le seguenti parole chiave:

• Modernità, • Artigianato, • Ornamento.

Modernità

Modernità è un concetto che è venuto assumendo un significato ambiguo, a mano a mano che si legittimavano termini (concetti?) come postmodernità e gli altri postqualcosa che invadono, offuscandolo, l’esercizio della critica del presente.

Non è male quindi ribadire qualche definizione: di modernità sono possibili tre accezioni.

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Nico Bolla Teoria della Progettazione Architettonica pag 3

La prima interpreta la modernità come epoca, iniziata nel XV Secolo e terminata alla fine del XX, che, essendo breve, è finito dieci anni prima del tempo (dopo essere iniziato diciotto dopo): è nel senso comune che la postmodernità sia iniziata nel 1989, in occasione della fine di qualche esperienza di applicazione concreta di una delle più grandi idee della modernità stessa.

Abbastanza condivisa è anche la sua origine nel remoto Quattrocento, in concomitanza con qualche svolta epocale della Storia come la scoperta dell’America o la stampa a caratteri mobili (ma è difficile farne un elenco completo).

La seconda interpreta la modernità come atteggiamento, consistente nella critica permanente della tradizione, ritenuta per definizione l’espressione di un tempo finito e, come tale, di ostacolo a qualunque desiderabile progresso.

In tale accezione la modernità è possibile in ogni epoca, e tale in effetti è stata, come ha messo bene in risalto un grande filosofo francese del Novecento: quando si è manifestata, si è sempre trattato di un atteggiamento antidogmatico, testimoniato, prima ancora che affermato, con una generosa, coraggiosa e disinteressata coerenza tra i comportamenti e le parole (queste ultime spesso appassionatamente perentorie).

La terza interpreta la modernità come processo: definisce in questo modo la crescita del controllo razionale del mondo, sia nella sua interpretazione (cioè nella filosofia) sia nel suo governo e nella sua trasformazione (cioè nella politica).

Questa accezione è comune a filosofi e pensatori anche molto diversi tra loro: e tutti testimoniano come il crescente controllo del mondo produca l’indesiderabile effetto collaterale di allontanare il soggetto dal mondo stesso, inducendolo ad isolarsi e ritirarsi sempre più in sé.

Se quella che precede è una analisi sostenibile, pur nel suo schematismo, allora dove si colloca Loos? Non è difficile rispondere: nella accezione numero due.

Loos vive nel (suo) presente, non gli interessa molto la prospettiva storica; e del resto la accezione numero uno ha avuto bisogno del 1989 per affermarsi: tranne qualche profeta visionario, non è alla portata di chi è vissuto prima.

Come si è visto a Loos manca la dimensione collettiva e la fiducia nelle magnifiche sorti e progressive che sono implicite nell’accezione numero tre.

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Artigianato

Anche il padre del Nostro si chiamava Adolf e faceva lo scalpellino: la sua ditta si chiamava Adolf Loos Lapidi e Croci; in essa il piccolo Adolf passa l’infanzia a contatto diretto con la materia che da inerte ed informe conquista il carattere dell’utilità e della bellezza grazie al lavoro sapiente ed esperto degli artigiani.

Adolf senior muore quando Adolf junior non ha ancora dieci anni e per il bambino è il crollo di un mondo: memoria e rimpianto lo porteranno a mitizzare il lavoro dell’artigiano (qualunque artigiano) come una delle manifestazioni umane più alte.

Anche se un superficiale senso comune non lo colloca ai vertici delle attività umane, il lavoro dell’artigiano possiede una sua propria dignità della quale il lavoratore deve essere orgoglioso.

Un simile orgoglio ispira la passione e il lavoro artigiano appassionato riesce a produrre oggetti il cui uso è comodo e pratico, il cui materiale è sincero e chiaro, la cui costruzione è razionale ed efficiente.

Esiste il problema della bellezza di simili oggetti? “... per bellezza intendiamo la più alta perfezione; è quindi assolutamente escluso che una cosa poco pratica possa essere bella ...”.

Naturalmente non vale la proposizione simmetrica: non necessariamente una cosa pratica è anche bella, occorre dell’altro e ne parleremo altrove; ma l’oggetto prodotto deve essere pratico, questa è comunque una precondizione.

Esiste allora per il suo costruttore il problema di non farsi deviare dal’obbiettivo della praticità: e in questo senso il presente (di Loos) è irto di trappole.

“... all’inizio di questo Secolo [il XIX - ndr] [...] si acquistavano i mobili dal mobiliere, le tappezzerie dal tappezziere, i lumi dal fonditore di bronzo e così via [...] a quel tempo si arredava la casa come oggi ci si veste; le scarpe le andiamo a prendere dal calzolaio, il cappotto, i pantaloni e il panciotto dal sarto, i colletti e i polsini dal camiciaio, il cappello dal cappellaio; queste persone non si conoscono tra loro, eppure tutte le cose che fanno vanno bene insieme ...”.

Come può accadere questo? Accade perché tutti sono immersi nel presente, lavorano nello stile del presente; anche per gli artigiani era così in passato (all’inizio del secolo): ma poi il presente cadde in disgrazia, essere moderni, sentire e pensare in modo moderno fu considerato superficiale.

“... Per l’onesto artigiano questo imbroglio era troppo; non ce la faceva proprio; sapeva benissimo come riporre gli abiti nell’armadio, sapeva benissimo come il suo prossimo vuol riposare; ora invece per i suoi clienti, a seconda della loro vocazione spirituale, doveva creare armadi e sedili greci, romanici, gotici, moreschi, italiani, tedeschi, barocchi e classici ...”.

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Eccetera! Si tratta di un oltraggio alla dignità del lavoro artigiano, anzi, del lavoro tout court: lo sdegno di Loos verso i cosiddetti artisti delle arti applicate, che pretendono di portare l’arte nell’artigianato (per giustificare la loro esistenza) assume toni grandiosi: “... noi abbiamo bisogno di una civiltà da falegnami; se gli artisti delle arti applicate si rimettessero a dipingere quadri o scopassero le strade l’avremmo ...”.

Nelle poche citazioni sopra riportate (ma innumerevoli altre potrebbero essere aggiunte) si coglie con chiarezza il senso di un atteggiamento complessivo, di un sistema coerente e sobrio di valori, e si coglie anche un neppure tanto nascosto disprezzo verso i suoi contemporanei parvenu.

Tuttavia, come dice uno storico dell’architettura polacco solo di nascita la sua insofferenza, però, non era quella dell’aristocratico; Loos era un democratico convinto, un egalitario quasi, nonostante il suo debole per il cerimoniale della corte viennese.

Il suo orientamento nei confronti della dignità del Lavoro lo dimostra pienamente.

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Ornamento

Gattopardesco è un aggettivo che non dovrebbe essere mai usato (e invece lo è spesso) perché trasmette l’idea che la produzione fondamentale di un intellettuale importante si riduca ad un aforisma che l’abuso ha reso piuttosto stucchevole.

Un ragionamento analogo potrebbe essere riferito alle 15 paginette dello scritto di Loos più famoso; e, come tale, spesso interpretato in modo impreciso.

Loos non sostiene che l’ornamento sia delittuoso; sostiene soltanto che le persone che indulgono troppo ad esso possiedono tendenze criminali.

Giunge ad una simile conclusione attraverso la generalizzazione arbitraria di alcuni rilevamenti empirici, essi stessi tutti da verificare: le galere sono piene di individui tatuati, ergo esiste un rapporto tra l’eccesso di ornamentazione (fino sul proprio corpo) e la consumazione di reati.

Se qualche tatuato è a piede libero, questo dipende o dal fatto che non ha ancora commesso il suo crimine, o dal fatto che la sta ancora facendo franca.

Come sempre, l’invettiva di Loos non si rivolge contro l’azione di ornare, ma contro l’attore che orna; anche questa volta il bersaglio è umano, è l’uomo che rallenta la civiltà: “... l’evoluzione della civiltà è sinonimo dell’eliminazione dell’ornamento dall’oggetto d’uso ...”.

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L’ornamento è forza-lavoro sprecata, gli oggetti ornati hanno vita breve, diventano velocemente insopportabili e devono essere sostituiti: “... un consumatore che possiede un arredamento che già dopo dieci anni gli riesce insopportabile, e che perciò è costretto ogni dieci anni a cambiare, [...] piace di più che non quell’altro che si compra un oggetto solo quando quello vecchio è usato fino in fondo ...”.

Ed aggiunge che è l’industria che lo vuole; sono milioni che entrano in movimento attraverso questi rapidi cambiamenti.

Ecco allora che l’ornamento diventa la metafora di una profetica critica morale al consumismo: dopo quanti anni un arredamento diventa oggi insopportabile? E un’auto? E un pc, o un itablet, o qualche altro simile gadget?

Probabilmente la lettura attualizzata di Ornamento e Delitto come critica al consumismo è una forzatura; ma ha almeno il pregio di non imbalsamarlo come fonte di citazioni pseudo-erudite.

E forse non è neppure una così plateale forzatura, come sembrerebbe dimostrare il confronto con altri ragionamenti del Nostro intorno alla casa.

La qualità degli spazi interni non è dovuta all’ornamento, ma alla libera aggregazione dei volumi: non è qualcosa che si appende alle pareti ed ai soffitti, che si appoggia ai pavimenti, ma è qualcosa che consiste nelle stessa forma delle pareti, dei soffitti, dei pavimenti.

Come è noto un allievo di Loos chiamò questo raumplan, che è termine quasi paradossale; la complessità interna dello spazio piano è sempre stata accompagnata dalla ricerca di una semplificazione degli esterni: quasi che esistesse una sorta di pudore nel mostrare alla strada la complessità degli interni.

Il tutto alla ricerca di un miracoloso equilibrio, che Loos descrive recuperando il concetto di concinnitas, che non nomina, come non ne nomina il primo inventore, chiamato semplicemente un trattatista del Cinquecento: anche Loos cedeva alla civetteria delle citazioni reticenti.

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