L'olimpo e la Mitologia dal Cielo alla Terra

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Tesina maturità

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Indice

Afrodite, VIII° Canto Paradisco Dantesco Le Cariti, Ugo Foscolo L’apparizione di

Venere e delle Grazie Amore & Psiche, Apuleio Atena, Rosalind Franklin e Marie Curie Prometeo, Il concetto di limite Odyssey, James Joyce “Ulysses” Apollo & Dioniso, La Nascita della

tragedia greca Le Muse, Il Simbolismo Ares, Il secondo conflitto mondiale fino

agli esiti Efesto, La Termodinamica

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Introduzione “Il mito è dunque un ingrediente vitale della civiltà umana; non favola inutile, ma forza attiva costruita nel tempo.“ (Bronislaw Malinowski) Il mito nasce dall’esigenza umana di dare risposte concrete agli eterni interrogativi dell’uomo. Difatti,gli uomini antichi affidarono alla loro fantasia l’interpretazione del mondo,e partendo dalla realtà empirica che li circondava, personificarono e divinizzarono le forze benigne e maligne della natura, tessendo una vasta rete di racconti, i quali custodiscono,inoltre, il patrimonio culturale,religioso e morale di un popolo. Comune denominatore della narrazione sono esseri immortali e onnipotenti, eroi impavidi e fieri e i comuni mortali protetti o condannati secondo i capricci degli dei, rappresentati sotto forma

antropomorfa,carichi di vizi e virtù terreni. Il termine mito deriva dal Greco mythos( µύθος ) che originariamente designava il termine “parola”, utilizzato da Omero per indicare il “discorso efficace e autorevole” . Con Esiodo mythos assume il significato di “parola straordinaria e divina”, riferendosi al colloquio con le Muse che, apparse al poeta, gli narrano l’origine del mondo e degli dei. Intorno al V secolo a.C il mito comincia a essere svuotato dei significati religiosi, e separato da ciò che si considera reale e veritiero. Si viene cosi a creare una duplice contrapposizione: Tra logos, la parola che è frutto del pensiero razionale (da cui deriva il termine “logica” ) e mythos, la parola fantastica e irrazionale; E tra historia, la narrazione di fatti realmente accaduti, e mythos, narrazione di ciò che non è reale ma frutto dell’immaginazione e dalla fantasia umana.

La genesi dell’Universo e l’affermazione di Zeus come padre degli Dei.

“Il mito racconta una storia sacra; riferisce un avvenimento che ha avuto luogo nel tempo primordiale, il tempo favoloso delle origini” (Mircea Eliade, Aspects du Mythe)

“In principio era il Caos soltanto”, un enorme ed indistinto nulla. Dal vuoto primordiale apparve Gea (la

Terra) con alcune altre divinità : Eros (l’Amore), l’Abisso (il Tartaro) e l’Erebo (l’oscurità). La madre terra generò Urano (il cielo),che la fecondò gettando su di essa fertili gocce di pioggia, dando così vita alle prime divinità mostruose: i Titani, i Ciclopi e gli arroganti Ecatonchiri. Nel timore di venire spodestato dalla sua forte e brutale progenie, alla nascita li gettava nel Tartaro, ossia nelle viscere di Gea, la quale, ripugnata dall'atto del marito, persuase il figlio Crono, l'ultimo dei dodici Titani, ad uccidere il padre con la falce adamantina da lei forgiata. Ancora l’Universo non aveva raggiunto l’ordine prestabilito difatti, perché si giunga al cosmo, un mondo in cui regnano equilibrio e giustizia, è necessario un'altra generazione facente capo a Zeus, figlio di Crono; anche Crono per timore di essere spodestato da uno dei suoi figli , avverando cosi la maledizione scagliata da Urano, divorò tutti i nascituri avuti da Rea, titanide sorella e moglie del dio del tempo. Quando però Zeus stava per nascere, Rea chiese alla madre terra di escogitare un piano

Saturnia Tallus,Ara Pacis 1

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per salvarlo, in modo che Crono ricevesse la giusta punizione per le terribili vicende di cui si era macchiato, l’uccisione del padre e l’aver ingoiato i figli senza pietà alcuna.

Rea partorì e consegnò al consorte una pietra fasciata con dei panni al posto dell’infante che egli divorò prontamente. A prendersi cura del bimbo fu una capra di nome Amaltea che lo allattò sul monte Ida a Creta, e quando raggiunse l'età adulta, Zeus costrinse Crono a rigettare tutti i suoi fratelli e sorelle .Liberò dal Tartaro gli sventurati fratelli del dio del tempo e li chiamò al suo fianco per spodestare dal trono l’empio padre e tutti gli altri Titani nella terribile,feroce e spietata Titanomachia . I Titani sconfitti furono da allora confinati nell'oscuro regno sotterraneo del Tartaro ed Atlante, in quanto loro capo,fu condannato a sorreggere la volta celeste sulle sue spalle. Dopo la battaglia Zeus si spartì il mondo con i suoi

fratelli maggiori Poseidone ed Ade sorteggiando i tre regni: Zeus ebbe in sorte i cieli e l'aria, Poseidone le acque e ad Ade toccò il mondo dei morti ma l'antica terra, Gea, non poté essere concessa ad alcuno.

Fu cosi che il padre degli dei iniziò con il costruire la dimora per sé e i suoi fratelli,e decise di collocarla su una montagna della Grecia, a quei tempi considerata la piú alta del mondo: l’ Olimpo il quale, era coperto da ghiacciai e da un fitto mantello di nuvole che ne celavano perfettamente la cima. Ebbe in moglie sua sorella Era, divinità del matrimonio e del talamo celebre in tutta l’Ellade antica per la furiosa gelosia nei confronti del marito infedele e l’insaziabile sete di vendetta

Rea & Crono Bassorilievo 1

Gli amori di Giove e Giunone(A.Carracci) 1

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Afrodite

La naissance de Venus, Cabanel 1863

Nella Teagonia di Esiodo si narra della sua nascita dalla spuma del mare creata dagli organi sessuali di Urano tagliati e gettati in mare da Crono. Appena uscita dall’acqua, fu trasportata dagli Zefiri fino alla costa di Cipro e sulla riva fu accolta dalle Ore (le Stagioni) che la vestirono, la agghindarono e la condussero presso gli immortali sull’Olimpo, dove tutti gli dei furono conquistati dal suo fascino; era rappresentata, con il corpo cinto di rose e di mirto e il fiore della sua femminilità velato da una misteriosa cintura, ed il carro trainato da passeri, colombi e cigni, scortata dallo zefiro e dalle Grazie. Nell'Iliade di Omero, invece, viene rappresentata come la figlia di Zeus e Dione, una delle sue consorti. Dea dell'amore,della bellezza e della fecondità,a lei viene attribuita la maternità di Eros,piccolo putto dai riccioli d’oro, dio dell’amore che birichino e malizioso lanciava le sue frecce sui mortali facendoli innamorare perdutamente. Venerata in tutto il mondo greco Afrodite era celebrata come colei che rendeva il mare bello e tranquillo, e sicura la navigazione per i suoi natali marini e inoltre le era sacro il delfino, allegro accompagnatore dei naviganti. Lucrezio, onorando e venerando, Afrodite come regina ed emblema della rinascita primaverile scrisse: “Quando tu vieni, fuggono i venti e si dileguano le nuvole; per te la terra fiorisce il leggiadro ornamento dei fiori, per te sorride lo specchio delle acque del mare, e gli spazi lucenti del cielo splendono in silenzio ".

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VIII Canto del Paradiso, il cielo di Venere e gli spiriti amanti Solea creder lo mondo in suo periclo che la bella Ciprigna il folle amore 3 raggiasse, volta nel terzo epiciclo; per che non pur a lei faceano onore di sacrificio e di votivo grido 6 le genti antiche ne l’antico errore; ma Dïone onoravano e Cupido, quella per madre sua, questo per figlio, 9 e dicean ch’el sedette in grembo a Dido; e da costei ond’io principio piglio pigliavano il vocabol de la stella 12 che ’l sol vagheggia or da coppa or da ciglio.

“Come la cupidigia,anche minima, oscura la pratica del bene, cosi la carità o retto amore la affina e la illumina” (De Monarchia I 1Nel VIII Canto Dante, avvia la descrizione della terza visione beatifica, nel cielo di Venere, con un brano di lirica bellezza, tutto intessuto di immagini classiche riguardanti la Dea dell’amore , sia quello puro e disinteressato dell’amicizia, quanto quello inteso come affetto spirituale verso il prossimo e sensuale insieme, che i poeti provenzali definivano “folle” perché non regolato dalla ragione. Raffigura il pianeta amorosamente vagheggiato dal Sole come suo amante e indugia a ricordare il culto che le antiche genti tributavano a lei, alla madre Dione e al figlio Cupido, di cui ricorda il bell’episodio virgiliano quando il bambino alato dai riccioli d’oro sotto le sembianze di Ascanio, figlio di Enea, siede in grembo a Didone, conturbante e bellissima regina di Cartagine ,e la infiamma d’amore per il vigoroso e temerario eroe troiano. L’astrologia cristiana, seguita dal sommo poeta, vede in Venere anche l’ispiratrice dell’amore verso il prossimo o che sappiano indirizzarlo in questo senso coloro che in un primo tempo hanno subito l’influsso all’amore dei sensi. I beati si muovono simili a “faville” entro una fiamma, come corpi lucenti in una massa lucente. E’ lo stesso processo compiuto dal divin poeta che ha sublimato l’amore terreno per Beatrice giovinetta in amore spirituale per Beatrice donna, tale da essere identificata con la Sapienza delle verità eterne. Come gli amanti lussuriosi del canto

V dell’Inferno erano travolti da una bufera senza posa, contro la loro volontà, gli spiriti amanti del III° cielo corrono velocemente, muovendosi in cerchio, animati dalla volontà di esternare la loro caritas, e si avvicinano a Dante più rapidi del vento e dei lampi. E’ evidente l’analogia,per la legge del contrappasso, tra la violenza della passione impetuosa dei peccatori d’amore e la sollecitudine amorosa che fa muovere queste anime pie, come pure la contrapposizione tra il languido calare di Paolo e Francesca “quali colombe dal disìo chiamate”(Inf V 82) e il rapido accorrere dei beati del III° cielo per accogliere Dante. L’ardore della passione dei sensi è divenuto ardore di carità, sebbene

riscattato da una vita eroica, dedicata all’amore verso il prossimo, il passato peccaminoso conserva un certo peso nel determinare per queste anime un grado di beatitudine ancora limitato.Infatti, non sono pallide figure come quelle del cielo della Luna né evanescenti aspetti corporei come quelle del cielo di Mercurio ma, sono già involucri di luce, entro quali ancora si distingue una tenue forma fisica, “qual animal di sua sete fasciato” .Espediente utilizzato da Dante per indicare e sottolineare

Paradiso

Carlo Martello D'Angiò 1

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il progressivo aumento di luce dei beati,corrispondente al progressivo aumento della loro beatitudine e della loro letizia; accorgimento giustificato, anche, dall’astronomia medievale, secondo la quale nel cielo di Venere si riflette il cono d’ombra proiettato dalla Terra e quindi i primi tre cieli ospitano i beati che ancora hanno risentito di imperfezioni umane e conservano qualche traccia della loro figura terrena, perciò possono essere considerati come una sorta di anti-paradiso. Il personaggio di Carlo Martello D’Angiò, che qui si presenta a Dante, è ancora tutto ripiegato nella nostalgia della vita terrena e nel rammarico di non aver completato durante il breve tempo che gli era stato concesso, tutti i suoi propositi, difatti morì giovanissimo all’età di 24 anni. Attraverso la figura del principe Dante celebra soprattutto il sentimento dell’amicizia tra loro, sbocciato,per reciproca stima e simpatia, quando si incontrarono a Firenze, dove il principe si era recato per andare incontro al padre che rientrava dalla Provenza. In lui il poeta vide l’ideale del principe intelligente, buono, generoso e giusto,una rara eccezione nello squallore degli ambiziosi e prepotenti regnanti, ciò giustifica il tono confidenziale ed intimo del discorso proferito dal principe angioino, che si rammarica, inoltre, di non aver potuto dare a Dante i segni tangibili della sua stima e del suo affetto. Il canto si inoltra in una rassegna di tutte le terre su cui avrebbe dovuto regnare, resa vivida e pittorica dalle citazioni di fiumi, promontori, mari, vulcani e città, non ha però soltanto la funzione di rimpianto di una mancata potenza principesca ma, è l’indicazione di quanto si sarebbe potuta estendere la manifestazione della sua generosità ed operosità per il bene dei sudditi. L’anima di Carlo Martello, quando ricorda la penosa condizione dei popoli ai quali avrebbe voluto dare pace e benessere, ha accenti di sdegno e di riprovazione contro i cattivi governanti, ad esempio contro l’avaro fratello Roberto d’Angiò e la “mala signoria” dell’avo Carlo I,che rendono il VIII canto un’estensione del VI, in cui si era additata la sacralità del potere imperiale e si erano condannate le mire egoistiche dei guelfi e dei ghibellini. Questa mancanza è attribuita soprattutto al fatto che molti regnati non sono adatti al loro ufficio,per natura, ossia per non essere stati presupposti di natura al possesso di tali doti necessarie dagli influssi celesti, per mezzo dei quali Dio provvede a distribuire agli uomini attitudini diverse. Il discorso dunque si allarga ad indicare la responsabilità di ogni individuo a tenersi entro i limiti assegnatigli dagli influssi celesti per lo svolgimento dei compiti che gli siano congeniali. In tale modo Dante supera e corregge un’affermazione categorica di s. Tommaso, che l’esperienza dimostra errata. S. Tommaso sosteneva nella Summa Theologica l’esistenza di una legge di ereditarietà naturale di indoli e di attitudini, di padre in figlio, per cui i generati sono sempre simili ai generanti. Dante,invece, dimostra che sarebbe cosi se Dio non provvedesse a dotare in modo differente i figli, di modo tale che vi sia sempre nella società un’equa distribuzione di compiti. L’errore degli uomini è quello di non sapere ubbidire e percepire i segnali che Dio dà attraverso gli influssi dei cieli. La chiusa del canto è velata di tristezza e di rammarico per il genere umano : ”onde la traccia vostra è fuor di strada” proprio per indicare la tendenza umana a perder la retta via e ad allontanarsi dal giusto.

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Le Cariti Le Cariti ,comunemente noto con il nome latino di Grazie,sono le dee della gioia, del fascino e della bellezza. Figlie del dio Zeus e della ninfa Eurinome, si chiamavano Aglaia ('splendente'), Eufrosine ('gioia e letizia') e Talia ('portatrice di fiori'). Le Grazie presiedevano ai banchetti, alle danze e ad altri piacevoli eventi sociali, e diffondevano gioia e amicizia tra dei e mortali. Accompagnavano principalmente le divinità dell'amore, Afrodite ed Eros, e assieme alle muse cantavano per gli dei sul monte Olimpo e danzavano al suono della lira del dio Apollo. In alcune leggende Aglaia era la sposa di Efesto, l'artigiano degli dei, elemento che spiegherebbe la tradizionale associazione delle Grazie con le arti; come le muse, donavano ad artisti e poeti la facoltà di creare bellissime opere d'arte. Le Grazie venivano perlopiù considerate non come individui, ma come una triplice incarnazione di grazia e bellezza. Nelle arti, in

genere, sono raffigurate come snelle e giovani vergini che danzano in cerchio, spesso abbracciate, come nella celebre Primavera di Sandro Botticelli.

Inno I: Apparizione di Venere e delle Grazie. Eran l'Olimpo e il Fulminante e il Fato, e del tridente enosigèo tremava la genitrice Terra; Amor dagli astri Pluto feria: nè ancor v'eran le Grazie. Una Diva scorrea lungo il creato a fecondarlo, e di Natura avea l'austero nome: fra' celesti or gode di cento troni, e con più nomi ed are le dan rito i mortali; e più le giova l'inno che bella Citerea la invoca. Perché clemente a noi che mirò afflitti travagliarci e adirati, un dì la santa Diva, all'uscir de' flutti ove s'immerse a ravvivar le gregge di Nerèo, apparì con le Grazie; e le raccolse

l'onda Ionia primiera, onda che amica del lito ameno e dell'ospite musco da Citera ogni dì vien desiosa a' materni miei colli: ivi fanciullo la Deità di Venere adorai. Salve, Zacinto! All'antenoree prode, de' santi Lari Idei ultimo albergo e de' miei padri, darò i carmi e l'ossa, e a te il pensier: chè piamente a queste Dee non favella chi la patria obblìa. Sacra città è Zacinto. Eran suoi templi, era ne' colli suoi l'ombra de' boschi sacri al tripudio di Dïana e al coro; pria che Nettuno al reo Laomedonte munisse Ilio di torri inclite in guerra.

Le tre Grazie, R.Sanzio 1501-1505 1

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Bella è Zacinto. A lei versan tesori l'angliche navi; a lei dall'alto manda i più vitali rai l'eterno sole; candide nubi a lei Giove concede, e selve ampie d'ulivi, e liberali i colli di Lieo: rosea salute prometton l'aure, da' spontanei fiori alimentate, e da' perpetui cedri. Splendea tutto quel mar quando sostenne su la conchiglia assise e vezzeggiate dalla Diva le Grazie: e a sommo il flutto, quante alla prima prima aura di Zefiro le frotte delle vaghe api prorompono, e più e più succedenti invide ronzano a far lunghi di sé äerei grappoli, van alïando su' nettarei calici e del mèle futuro in cor s'allegrano, tante a fior dell'immensa onda raggiante ardian mostrarsi a mezzo il petto ignude le amorose Nereidi oceanine; e a drappelli agilissime seguendo la Gioia alata, degli Dei foriera, gittavan perle, dell'ingenue Grazie

il bacio le Nereidi sospirando. Poi come l'orme della Diva e il riso delle vergini sue fêr di Citera sacro il lito, un'ignota violetta spuntò a' piè de' cipressi; e d'improvviso molte purpuree rose amabilmente si conversero in candide. Fu quindi religïone di libar col latte cinto di bianche rose, e cantar gl'inni sotto a' cipressi, e d'offerire all'ara le perle, e il primo fior nunzio d'aprile. L'una tosto alla Dea col radïante pettine asterge mollemente e intreccia le chiome dell'azzurra onda stillanti. L'altra ancella a le pure aure concede, a rifiorire i prati a primavera, l'ambrosio umore ond'è irrorato il petto della figlia di Giove; vereconda la lor sorella ricompone il peplo su le membra divine, e le contende di que' mortali attoniti al desìo.

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Esistevano soltanto l’Olimpo e Giove ed il Fato, e la Terra fecondatrice tremava sotto i colpi del tridente enosigéo (scuotitore della Terra) di Nettuno;Il dio dell’Amore dagli astri colpiva con le sue frecce anche Plutone: ma ancora non c’erano le Grazie. Una dea, Venere, scorreva per tutto il creato fecondandolo ed aveva il nome di Natura; ora gode fra gli dei di moltissimi luoghi di culto e con nomi ed altari diversi i morali la venerano; ma più le piace di essere invocata col nome di bella Citerea. Perché un giorno, clemente verso di noi, che aveva visti afflitti e feroci allo stato belluino esser travagliati dalle necessità della vita, la santa dea, all’uscire dai flutti, dove si era immersa a favorire la fecondazione degli esseri viventi di Nereo(del mare), apparve a noi uomini insieme alle Grazie; l’onda del mare Ionio, che va e viene dall’isola di Citera a quella di Zacinto quasi mossa da desiderio le raccolse; onda che; amante dal lido piacevole e dell’accogliente musco,da Citera viene sospirosa d’amore ai miei materi colli di Zacinto. Ivi, ancora fanciullo adorai la divinità di Venere. Salve O’Zacinto! Io darò le mie ossa e i miei carmi alla città fondata da Anteore (che in realtà fondò Padova) ultima dimora dei santi Lari( Penati) portati dal monte Ida( da Troia) ma, a te Zacinto darò il mio pensiero perché a questa dee, non si rivolge in modo da esser gradito colui che dimentica la propria patria. Zacinto è città sacra. Già esistevano i suoi templi,c’era sui suoi colli l’ombra dei boschi sacri alle danze e agli inni di Diana; in tempi antichi, prima che Nettuno fortificasse al reo Laomedonte Troia con torri resistenti e solide in guerra. A lei le navi inglesi versano tesori; a lei l’eterno sole dall’alto del cielo manda i suoi raggi vivificatori; a lei Giove concede limpide nubi e boschi ampi di ulivi, e i colli abbondanti d’uva; l’aria permette un colorito roseo al viso come segno di salute, l’aria alimentata da fiori

spontanei e da cedri sempre verdi. Risplendeva di luce tutto il mare Ionio quando sostenne le Grazie sedute sulla conchiglia accarezzate da Venere; e al sommo delle acque, quante sono le schiere delle api vaganti per l’aria che prorompono dagli alveari ai primissimi soffi del vento primaverile, e uscendo in schiere sempre più folte; desiderose di unirsi insieme, ronzano con impazienza formando lunghi grappoli sospesi in aria, vanno volando con battito rapidissimo d’ali sui calici dei fiori ricchi di nettare, e in cuor loro si rallegrano del miele che faranno, tante, cioè altrettanto numerose, le amorose Nereidi oceanine ardivano mostrarsi nude sino a mezzo petto sulla superficie delle acque luminose; e seguendo agilissime a drappelli la Gioia alata, annunciatrice degli dei, gettavan perle sospirando il bacio delle Grazie che infondono sentimenti puri e verecondi. Poi come appena il tocco divino del piede di Venere e il sorriso delle tre vergini ebbero reso sacro il lido di Citera, una violetta mai vista in terra spuntò ai piedi dei cipressi; improvvisamente molte rose da rosse graziosamente si cambiarono in bianche. Di li nacque il rito religioso di fare libagioni con latte contenuto in tazze inghirlandate di rose

bianche e cantare inni ai morti sotto i cipressi e offrire perle all’altare e l fior viola che per prima annunciava l’aprile. Una delle Grazie pulisce col luminoso pettine dolcemente i capelli di Venere e intreccia i suoi capelli stillanti ancora acqua marina; l’altra cancella affida ai puri e dolci venti l’ambrosia, che spira dal corpo di Venere figlia di Giove, perché per mezzo dell’ambrosia, facciano rifiorire i prati a primavera; la loro sorella veraconda ricompone un velo sulle membra divine, e le sottrae allo sguardo desideroso degli uomini primitivi stupiti di tanta bellezza.

La Primavera, Botticelli Part. 1477 1

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Atena Atena, figlia prediletta di Zeus, nacque già adulta dalla testa del dio. La dea aveva sempre con sé la sua civetta, o nottola, indossava una corazza di pelle di capra chiamata Egida (per alcuni storici l'Egida è in realtà uno scudo) donatale dal padre Zeus, ed era spesso accompagnata dalla dea della vittoria Nike. Quasi sempre veniva rappresentata mentre portava un elmo ed uno scudo cui era appesa la testa della Gorgone Medusa, dono votivo di Perseo. Atena fu una dea guerriera e armata: nella mitologia greca appariva come protettrice di eroi quali Eracle, Giasone e Odisseo. Non ebbe mai alcun marito o amante, e per questo era conosciuta come Athena Parthenos (la vergine Atena); da questo appellativo deriva il nome del più famoso tempio a lei dedicato, il Partenone sull'acropoli di Atene, che secondo la leggenda,divenne suo come ricompensa del dono dell'ulivo che aveva fatto agli ateniesi. Dato il suo ruolo di protettrice di questa città, fu venerata in tutto il mondo greco anche come Athena Polis (Atena della città). Il suo rapporto con Atene era davvero speciale, come dimostra

chiaramente la somiglianza tra il suo nome e quello della città. Atena era prima di tutto la protettrice delle arti e dei mestieri e, nella mitologia più tarda, della sapienza che comprendeva le conoscenze tecniche usate nella tessitura e nell'arte di lavorare i metalli. In tempo di pace gli uomini la veneravano poiché a lei erano dovute le invenzioni di tecnologie agricole, navali e tessili, mentre in tempo di guerra, fra coloro che la invocavano, aiutava solo chi combatteva con l'astuzia (Metis) propria di personaggi come Odisseo, difatti era la dea degli aspetti più nobili della guerra.

Pallade doma un centauro, Botticelli 1

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Marie Curie e la radioattività

Marja Sklodowska in seguito Marie Curie, si trasferì a Parigi nel 1891 e due anni dopo concluse gli studi di matematica e fisica alla Sorbona; si sposò con Pierre nel 1895. In quel periodo, la scoperta di nuovi tipi di radiazioni offriva un settore di ricerca stimolante: Wilhelm Röntgen aveva scoperto i raggi X nel 1895 e nel 1896 Antoine-Henri Becquerel aveva rilevato radiazioni invisibili, simili ai raggi X, emesse dall'uranio. Marie Curie, servendosi delle tecniche piezoelettriche messe a punto dal marito, misurò con precisione l'intensità delle radiazioni emanate dalla pechblenda, un minerale contenente uranio; ipotizzando l'esistenza di altri elementi con caratteristiche simili, introdusse per la prima volta il termine 'radioattivo' per designare elementi instabili, il cui nucleo decadeva con emissione di radiazione. Nel 1898, assieme al marito,annunciò la scoperta del polonio (così chiamato in onore della sua patria) e del radio. Durante i successivi quattro anni, lavorando in una baracca di legno, i Curie raffinarono una tonnellata di pechblenda, isolando laboriosamente una frazione di radio sufficiente per analizzarne a fondo le proprietà. Nel 1903 condivisero con Becquerel il premio Nobel per la fisica per la scoperta degli elementi radioattivi: Marie Curie fu la prima donna a ricevere il Nobel. Dopo la morte del marito,

nel 1906, Marie Curie lo sostituì nell'insegnamento e proseguì le sue ricerche; nel 1910 pubblicò il Trattato di radioattività e l'anno successivo le fu conferito un secondo premio Nobel, in chimica, per il lavoro sul radio e sui

suoi composti. Nel 1914 divenne capo dell'Istituto del radio di Parigi e partecipò alla fondazione dell'Istituto Curie, dove si dedicò allo studio degli effetti fisiologici provocati dalle radiazioni. L'eccessiva esposizione alle radiazioni, tuttavia, le provocò una malattia che l'avrebbe portata alla morte. I Curie ebbero due figlie, una delle quali, Irène Joliot-Curie, nel 1935 ricevette il premio Nobel per la chimica per la sintesi di nuovi elementi radioattivi.

Le Mutazioni

Una mutazione è la modificazione della normale struttura di un gene (mutazione genica) o di un cromosoma (mutazione cromosomica) o di un cariotipo (mutazione genomica), che si verifica in modo improvviso e imprevedibile. Una mutazione può essere spontanea o indotta; in quest’ultimo caso, è determinata da fattori che prendono il nome di agenti mutageni. Sono agenti mutageni, ad esempio, fattori fisici come le radiazioni, fattori chimici come varie sostanze chimiche, e fattori biologici come alcuni retrovirus. Il primo scienziato che utilizzò il termine “mutazione” fu, nel 1901, il botanico olandese Hugo De Vries che, insieme ad altri, ebbe anche il merito di riportare alla luce il lavoro del monaco austriaco Gregor J. Mendel sulla trasmissione dei caratteri ereditari. Nel 1929 il biologo statunitense Hermann J. Muller osservò che i raggi X possono aumentare la frequenza delle mutazioni spontanee. In seguito, la lista delle sostanze che hanno questo effetto si allargò ad altre forme di radiazioni, a valori particolarmente elevati della temperatura e a un gran numero di composti chimici. Sebbene la duplicazione dell’acido desossiribonucleico (DNA) avvenga con un meccanismo estremamente preciso, non è sempre perfetta. Possono insorgere, infatti, degli errori, per cui il nuovo frammento di DNA contiene uno o più nucleotidi diversi dall’originale. Questi errori, che rappresentano appunto le mutazioni e possono avvenire in qualunque punto del DNA: se avvengono in una sequenza di DNA codificante per un particolare polipeptide, nella catena polipeptidica si può avere la variazione di un singolo amminoacido o anche un’alterazione più grave della proteina risultante. L’anemia falciforme è, ad esempio, causata da una mutazione genetica che determina la sintesi di una molecola di emoglobina mutante, la quale differisce dalla forma normale per un singolo amminoacido. La maggior parte delle mutazioni geniche è silente, ossia non produce alcuna variazione che si manifesti a livello del fenotipo, cioè nell’aspetto esterno dell’individuo. Raramente le mutazioni causano, invece, effetti a livello cellulare, che possono alterare in modo drammatico le funzioni generali dell’organismo. Le mutazioni non silenti compaiono generalmente in alleli recessivi e, quindi, i loro effetti nocivi non sono osservabili se non sono presenti due alleli mutati contemporaneamente, cioè se l’individuo non è omozigote per la mutazione. Ciò accade più frequentemente nei casi

Marie Curie 1

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d’inincrocio, cioè nell’accoppiamento di organismi strettamente imparentati, che possono aver ereditato lo stesso gene mutante recessivo da un comune antenato. Per questa ragione le malattie ereditarie sono più frequenti nei bambini i cui genitori sono cugini o parenti stretti, che non nella popolazione umana generale.

Rosalind Franklin e la struttura del DNA

Dopo la laurea in chimica, ottenuta nel 1942 presso l’Università di Cambridge, assunse l’incarico di chimica-fisica alla British Coal Utilization Research Association; brillante ricercatrice, portò contributi originali alla comprensione della struttura della grafite e di altri composti del carbonio. Una breve esperienza a Parigi, tra il 1947 e il 1950, la avvicinò alla tecnica della diffrazione a raggi X che ebbe modo di

applicare in seguito quando, nel 1951, iniziò a lavorare al King’s College di Londra nel team del biofisico britannico John Turton Randall; qui, con Maurice Hugh Frederick Wilkins, avviò

studi che risultarono cruciali per la determinazione della struttura molecolare del DNA. Nel 1952 si era già identificata nel DNA la sede del patrimonio genetico, ma non erano ancora stati chiariti i meccanismi

molecolari della trasmissione dell’informazione ereditaria e la struttura tridimensionale della molecola. Su questi aspetti si focalizzarono le ricerche della Franklin per incarico dello stesso Randall; contemporaneamente, vi lavoravano anche il biologo statunitense James Dewey Watson e il biofisico britannico Francis Harry Compton Crick nel laboratorio Cavendish dell’Università di Cambridge. Mediante l’uso della cristallografia, la Franklin scoprì che nel DNA le molecole di fosfato e dello zucchero desossiribosio costituiscono una struttura portante e formano due catene poste all’esterno della molecola stessa; ma il suo risultato più rilevante fu quello dell’identificazione della struttura tridimensionale elicoidale di questo acido nucleico. La scoperta, in realtà, non fu mai riconosciuta a Franklin; la sua paternità fu invece attribuita al team di Cambridge, che fu insignito del premio Nobel per la medicina o la fisiologia nel 1962, insieme a Wilkins. Sembra che Watson abbia potuto visionare alcune lastre cristallografiche della Franklin durante una sua visita all’amico Wilkins, che lavorava con la ricercatrice;probabilmente ebbe modo di comprendere cruciali dettagli che permisero lo sviluppo degli studi al laboratorio Cavendish e, nel febbraio 1953, la pubblicazione sulla rivista “Nature” di un articolo rimasto famoso in cui Watson e Crick esponevano il loro modello della “doppia elica”. La Franklin in seguito scrisse numerosi articoli a sostegno dei due scienziati, non rivendicando mai il ruolo delle sue stesse scoperte; la scienziata morì prematuramente di cancro all’età di trentotto anni.

Cristallografia Struttura DNA Franklin,Watson&Crick 1

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Prometeo

Guardando la Terra dall'alto dell'Olimpo, Giove la vedeva deserta e desolata. Era abitata da uomini e da animali, ma essi vivevano miseramente, nascosti nelle loro tane e nelle profonde caverne dalle quali non osavano uscire che raramente: solo di notte, gli uni temendo gli altri, s'avventuravano fuori in cerca di cibo. Giove pensò che questa continua paura doveva finire e chiamò Epimeteo, figlio del titano Giapeto, e gli disse di scendere sulla Terra affinchè donasse ad ogni essere quanto gli occorresse per difendersi e procurarsi il cibo senza più paura. Epimeteo, sceso sulla Terra, diede a tutte le creature quanto ad esse occorreva:

qualcuna ebbe zanne ed artigli; altre ebbero ali per volare, fiuto sottile, udito pronto; altre ancora ebbero la velocità nella corsa, altre l'astuzia, altre la forza. Soltanto l'uomo, pieno di paura, rimase nascosto e non si fece avanti per cui Epimeteo si dimenticò di lui e non gli diede nulla. Di ciò s'accorse Prometeo, fratello di Epimeteo. Prometeo era il più intelligente di tutti i Titani. Aveva assistito alla nascita di Minerva, dea della sapienza, dalla testa di Giove, e la dea stessa gli aveva insegnato l'architettura, l'astronomia, la matematica, la medicina, l'arte di lavorare i metalli, l'arte della navigazione. Prometeo, che amava molto il genere umano, aveva a sua volta generosamente insegnato tutte queste arti ai mortali. Aveva un grosso cruccio, però, che gli uomini non conoscessero ancora il fuoco e conducessero una vita graffia e meschina, molto simile a quella delle bestie. Poiché non poteva accettare che soccombessero alla forza della Natura o alla ferocia delle belve, pensò di dar loro questo prezioso dono che li avrebbe resi i padroni indiscussi della Terra.

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Prometeo Incatenato,G.Moreau

Col fuoco gli uomini avrebbero potuto scaldarsi d'inverno, cuocere la carne che, come animali e con gran fatica, mangiavano cruda; tenere lontane le fiere, illuminare le caverne e la notte; avrebbero potuto fondere i metalli e darsi così attrezzi per lavorare la terra ed armi per difendersi e cacciare. Ma esso apparteneva agli Dei che ne erano assai gelosi ed era ben protetto nelle viscere della Terra nell'officina di Vulcano, il dio del fuoco, che fabbricava, con l'aiuto dei Ciclopi, i fulmini di Giove. Prometeo pensò di rubarlo e una notte, dopo aver addormentato Vulcano con una tazza di vino drogato, rubò qualche scintilla che nascose in un bastone di ferro cavo; poi corse dagli uomini ed annunciò che recava loro il dono più grande. Ben presto tutta la Terra brillò di fuochi attorno ai quali gli uomini cantavano felici! Le fiamme, il fumo e le grida di gioia destarono Giove che guardò in basso. Vide e comprese. Avvampando d'ira esclamò che colui che aveva rubato il fuoco doveva essere terribilmente punito, e vedendo Prometeo tra gli uomini capì di chi fosse stata la colpa. Incaricò Vulcano, reo di non aver saputo custodire a dovere il fuoco, di eseguire la condanna. Vulcano, obbedendo a malincuore agli ordini impartiti da Giove, incatenò Prometeo su un'alta rupe;

Vulcano disse a Prometeo di farsi coraggio perchè avrebbe dovuto soffrire la fame, la sete e il freddo, e di consolarsi pensando che senza di lui gli uomini sarebbero stati presto sterminati. Vulcano se ne andò e Prometeo rimase lassù, legato sulle rocce e su vertiginosi precipizi. Ma non dovette soffrire solo fame, freddo e sete! Ogni giorno, infatti, una

grande aquila veniva svolazzando da lui e con gli artigli gli squarciava il ventre, divorandogli il fegato col becco adunco; durante la notte il fegato ricresceva, le ferite si rimarginavano e il mattino dopo Prometeo doveva subire nuovamente il martirio. Un giorno Ercole vide l'aquila straziare Prometeo incatenato; col permesso di Giove, suo padre, abbattè allora il rapace e spezzò le catene: Giove dall'Olimpo, volgendo gli occhi al cielo, annunciò a Prometeo che lo rendeva libero. A quel punto Prometeo gli espresse il desiderio di restare per sempre su quel monte, così, guardandolo, gli uomini si sarebbero rammentati che era stato lui a dar loro il fuoco. Fu trasformato, subito, in una grande e maestosa roccia.

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Il concetto di Limite

Uno dei periodi più importanti della storia della matematica è stata quello che comprende i secoli durante i quali si sono gettate le basi del calcolo infinitesimale: dalla fine del '500, con i primi tentativi di proseguire l'opera di Archimede, alla redazione degli scritti indipendenti di Newton e Leibniz (XVII e XVIII sec.).

Il concetto di limite si trova già presente, anche se in forma non esplicita, nella matematica greca, poiché molti risultati sui calcoli di aree e di volumi ricavati dai matematici greci (ad esempio Eudosso ed Archimede) erano, in sostanza, basati su un passaggio al limite. Dovevano, però, trascorrere molti secoli prima di giungere con L. Eulero nel 1755 ad una definizione abbastanza precisa di limite, anche se Eulero non la utilizza e non sviluppa la teoria dei limiti. Anche D'Alembert diede una formulazione del concetto di limite. Nell'articolo "limite" scritto per l'Encyclopédie chiamava una quantità di limite di una seconda quantità (variabile) se questa seconda quantità si avvicinava alla prima così tanto che la differenza fosse inferiore a qualsiasi quantità data (senza effettivamente coincidere con essa). L'imprecisione di questa definizione la rese inaccettabile per i suoi contemporanei, infatti gli autori di manuali matematici dell'Europa continentale continuare a usare fino alla fine del XVIII secolo il linguaggio e i concetti di Eulero.Si deve a A. L. Cauchy e alla successiva formalizzazione di A. Weierstrass, una definizione rigorosa di limite e, mediante essa, una costruzione rigorosa dell'analisi matematica.

Cauchy assunse come fondamentale il concetto di limite di D'Alambert, ma gli conferì una maggiore precisione. Egli formulò una definizione relativamente precisa di limite: "Quando i valori successivi attribuiti a una variabile si avvicinano indefinitamente a un valore fissato così che finiscono con il differire da questo per una differenza piccola quanto si vuole, quest'ultimo viene detto il limite di tutti gli altri".

Una definizione moderna e matematicamente corretta è quindi identificabile con la seguente:

Si dice che il numero reale l è il limite della funzione f(x) per x che tende ad a e si scrive

lxf

ax

)(lim

lxfaxaxx )( e

:che tale0 numeroun esiste 0 se

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Odyssey According to the Greek poet Homer, Ulysses was the son of Laerte and Anticlea, while according to others traditions his father was Sisifo, from whom he had inherited the astuteness. He was one of the leaders of the Greek army during the Trojan War. In Homer’s Odyssey to avoid the war he pretended to be mad in fact he sowed salt in the fields but the Greek unmask his stratagem by putting his son Telemaco in front of the plough so he had to join the campaign against Troy. Ulysses was described as a wise, in fact he was sent to persuade Achille for coming back to the battlefield, he was also courage, brave and an astute warrior in fact when Achille died he received his famous suit of armour. At the beginning of the poem he was definite as a man who had got a many-sided genius( (polytropos) in fact he had the idea of the wooden horse, that gave to the Greek army the possibility to conquer the city. Ulysses embodied, therefore the seafaring hero, clever, versatile that knew how to make the best of circumstances. The myth of the wandering man who enriches his knowledge had always fascinated the western writers. The latin poet Virgilio remembered Ulysses in his masterpieces the Eneide; Orazio defined him as a model of virtue and wisdom; Seneca celebrated him, together with Ercole, as a winner of the human fears and Cicerone, while remembering the Mermaids’ episode, exalted his desire of knowledge. About his death there were different versions: in the Telegonia of Eugammone di Cirene is said that he was killed by the Telegono’s son, instead Plinio il Vecchio and Solino told that after his return he set sail and he was shipwrecked next the Ercole ‘s columns. Through the latin writers, his figure was handed down to the Middle Age, also Dante celebrated him in the famous episode of the Inferno in the canto XXVI in which the Greek hero , together with Diomede, was a damned into the circle of Fraudulent Counselors and his soul was clothed in flames that burned him. The canto’s main interest was in Ulysses’s account of his last days. He is presented as a defeated hero, who searched knowledge, but ended in defeat because of his backed spiritual means. He sought knowledge for knowledge's sake. So Odysseus became the symbol of the knowledge but at the same time a warning for non trespassing human’s limits. In Italy this myth was treated in lots of literary works such as theatre plays or tragedies, Ugo Foscolo for example in the sonnet “ A Zacinto” described the Greek hero as a man who had lots of fame and misfortune. During the twentieth century, Pascoli in the poem “Il ritorno” and in the “L’ultimo viaggio” presented him at the end of his life, disillusioned and full of doubts instead for D’Annunzio in the “Laudi” he was a superman who faces all the dangers without any fear. Umberto Saba, in the poem Ulysses, represented him as the icon of the indomitable spirit and of the painful sake for life. In Spain Ulysses was celebrated by Lope de Vega into the “Circe”, Luis Belmonte Bermúdez in Los trabajos de Ulises, Calderón de la Barca in someone of his autos, Los encantos de la culpa and in the comedy El mayor encanto, Amor. He was also present into the English writers’ literary works such as the lyric monologue Ulysses by Alfred Tennyson and also in one of the fundamental works of the twentieth century literature is the Ulysses by the Irish poet: James Joyce.

Ulisse e Tiresia 1

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Ulysses “from the universal to the particular” The Plot:

The story is set in Dublin on the 16 June of 1904 and covers only the events of that single day, following the physical and psychological wandering of the three main characters: Leopold Bloom, a Jewish advertisement canvasser, his wife Molly and the artist Stephen Dedalus, who is the alienated protagonist of A Portrait of an Artist as a Young Man.The first three episodes are centred on Stephen Dedalus , who having rejected his own father , is in search of a paternal figure. The Odyssey of Leopold Bloom a displaced Jewish with no roots, starts in the fourth episode when he leaves home in the morning to go about his job, brooding about his unfaithful wife, Molly who has been estranged from him since the death of their only son eleven years previously. His daily business takes him to various parts of the city. He goes to a Catholic Church, to a funeral, to a newspaper office and the National Library where he meets Stephen. He is attacked by an anti-Semitic nationalist, visits the Maternity Hospital where a woman is giving birth, and before midnight rescues Stephen from a fight in a brothel. He takes him home where his wife is already in bed. The three characters are momentarily united but Stephen refuses Bloom’s invitation to stay and goes away to meet his uncertain future.

A revolutionary prose.

The novel Ulysses first appeared in serialized form in the Little Review of 1918 and was then published in book form in 1922 in Paris because it was banned in England for obscenity. The first English edition appeared in 1936. The novel had a tremendous impact not only because of its alleged obscenity but also because of its revolutionary form. In fact Joyce combined several methods to present a variety of matters. The stream of consciousness technique; the cinematic technique with the literary equivalents of close-ups, flashbacks, tracking shots, suspension of speech; question and answer; dramatic dialogue; and the juxtaposition of events with the consequent construction of order and unity from their randomness enabled the writer to render his characters’ inner life creating the so-called “collage technique” , quite similar to the techniques used by the cubist artist

who depicted a scene from all perspectives.

In Ulysses Joyce, also, brought to perfection the interior monologue employing both the two levels of narration: one external to the character’s mind, and the other internal in which the character’s thoughts flowing freely without any interruption coming from external world. The language used is rich in puns, images, contrasts, paradoxes, juxtapositions, interruptions, false clues and symbols; in fact one of the key to its interpretation is given by its title and main structure. Ulysses is related to Homer’s great epic the Odyssey, the tale of Odysseus and his travel after the Trojan War. Joyce used the Odyssey as a structural framework for his book, arranging its characters and events around Homer’s heroic model, with Leopold Bloom as Ulysses, Molly as the faithful Penelope and Stephen, though not Bloom’s real son, as Telemachus, but they are more than

individuals in fact they also embody two aspects of human nature: Stephen is pure intellect and represent every young man

James Joyce 1

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seeking maturity; Mrs Bloom stands for flesh, since she identifies herself totally with her sensual nature and fecundity; Mr Bloom, uniting the extremes is everybody, the whole mankind. By using the mythical method the author is able to make a parallel with the epic poem, that is used to enlarge by resemblance and difference the actions and people of a Dublin day, to give the another dimension and to express the universal in the particular. However Joyce called his work a novel declaring he wanted to write a “modern epic in prose”. In fact in Ulysses he achieved a new form of realism because he was convinced that his task was to make people aware of reality through their own subjective perception; the writer had to provide all the separate elements of the picture that would be enable the reader to reach their own conclusions so the literary work had to be as much impersonal as it’s possible. Another very important “character”of this novel is Dublin; in fact Joyce designed his work on the profile of the city, each movement of each character is planned like a chess match: he placed them in houses he knew, drinking in pubs he had frequented, walking on cobblestones he retraced. He made the very air of Dublin, the atmosphere, the feeling, and the place almost indistinguishable, certainly inseparable from his human characters.

“In using the myth, in manipulating a continuous parallel between contemporaneity and antiquity, Mr Joyce is pursuing a method which others must pursue after him.They will not be imitators. Any more than scientist who uses the discoveries of Einstein in pursuing his own, independent, further investigations. It is a simply way of controlling, of ordering, of giving a shape and a significance to the immense panorama of futility and anarchy which is contemporary history”(T.S Eliot)

Implied by the quest or journey, the theme of the novel is moral: human life means suffering, falling but also struggling to rise and seek the good.

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Apollo & Dioniso Nella mitologia greca, figlio di Zeus e della mortale Semele, dio del vino e della vita naturale, insegnò ai mortali la viticoltura e la vinificazione. Il Dio aveva un culto particolare, comprendente pratiche estatiche e orgiastiche difatti le sue seguaci, dette menadi o baccanti, vagavano nei boschi celebrando il dio nell'ebbrezza dionisiaca, al limite della ferinità e della violenza; del suo corteggio si riteneva facessero parte anche centauri, ninfe e satiri: uno di loro, Sileno, fu precettore del dio. L'unica sede fissa in cui godeva di culto era Delfi, dove divideva il tempio con Apollo e veniva celebrato in grandi feste cittadine. Durante le celebrazioni si svolgevano numerose competizioni teatrali, alle quali partecipavano grandi drammaturghi come Eschilo, Sofocle, Euripide, Aristofane. Nei suoi misteri predonimante era la funzione della musica, spesso articolata su strumenti a fiato, secondo un uso che si traspose nella commedia attica, così come il ditirambo, i cori e le danze che furono adottati nella tragedia. Il culto mistico di Dioniso ricopriva un'importante funzione sociale, in quanto sublimava e simboleggiava elementi della religione che la civiltà greca aveva rimosso o superato, quali il sacrificio cruento, l'adorazione della natura, i culti fallici e i riti di iniziazione. Nell'arte greca, Dioniso venne spesso ritratto dai ceramografi attici con una cornucopia e tralci di vite, o col tirso e un mantello di pelle di pantera; la sua rappresentazione più nota è l'Hermes e Dioniso bambino (340 ca. a.C., Museo archeologico di

Olimpia), opera di Prassitele. A partire dal Rinascimento, il dio fu raffigurato perlopiù come dio del vino o in rapporto al mito del suo amore per Arianna, in opere celebri di artisti come Michelangelo,Caravaggio, Tiziano, Annibale Carracci e Velázquez. Lo spirito originario dei miti dionisiaci venne celebrato in età umanistica da Lorenzo il Magnifico, autore del Trionfo di Bacco e Arianna. Nel XIX secolo il filosofo tedesco Friedrich Nietzsche, nella Nascita della tragedia dallo spirito della musica, contrappose il senso istintivo e passionale dei miti di Dioniso a quello armonico e ordinato dei miti di Apollo, difatti nella mitologia greca il figlio di Zeus e di Leto e gemello della dea Artemide era il nume della luce poetica e della verità filosofica, dell'armonia e dell'ordine. Secondo Omero Apollo

era innanzitutto un dio profeta, il cui oracolo, con sede a Delfi, concedeva talvolta il dono profetico ad alcuni mortali prediletti, come la principessa troiana Cassandra. Chiamato anche Febo, 'lo Splendente', Apollo era il dio della luce e secondo alcuni miti guidava il carro del Sole. Eternamente giovane, abilissimo arciere e valido atleta, era protettore degli uomini non ancora adulti; era anche il dio dell'agricoltura e del bestiame, della musica e della medicina. Fu Apollo a saper sfruttare la lira inventata da Ermes, donandola poi al migliore fra i poeti, Orfeo. Gli era sacro l'alloro, di cui erano composte le corone dei vincitori nelle gare sportive e negli agoni poetici, a ricordo del sacrificio della ninfa Dafne, amata dal dio; in suo onore s’intonavano i peana(canti corale intonati con scopo di propiziazione in occasione di sacrifici). Altra funzione era d’invocazione al dio per ottenerne la protezione o di ringraziamento per la vittoria conseguita e si componevano carmi lirici. Nell'arte antica Apollo veniva rappresentato più frequentemente delle altre divinità, sia perché modello divino di perfetta bellezza fisica, sia in quanto ispiratore delle arti. Dopo la riscoperta, da parte della civiltà occidentale moderna, della cultura dell'antica Grecia, la figura di Apollo esercitò, per l'aura poetica, spirituale e quasi mistica che l'avvolgeva fin dai tempi delle speculazioni orfiche, un grande fascino su vari artisti e pensatori, in particolare su Friedrich Nietzsche.

Trionfo Bacco e Arianna A.Carracci 1

Apollo,copia bronzo greco

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La nascita della tragedia dallo spirito della musica. Ovvero: grecità e pessimismo: dall’equilibrio perfetto alla lunga ed inesorabile decadenza umana Nietzsche si occupa della tragedia greca nella sua prima pubblicazione, “La nascita della tragedia”, un’opera composita, nella quale coesistono, di fatto, filologia, filosofia, estetica e teoria della cultura. Motivo centrale dell’opera è la distinzione fra “apollineo” e dionisiaco”:impulsi opposti che si concretizzano in diverse opposizioni quali forma-caos, stasi-divenire, sogno-ebrezza , luce-oscurità, serenità-inquietudine. L’apollineo che scaturisce da un tendenza alla perfezione formale e da atteggiamento di fuga al divenire, si esprime nelle forme limpide e armoniche della scultura e della poesia epica. Il dionisiaco, invece, scaturendo dalla forza vitale e dalla partecipazione al divenire, viene espresso nell’esaltazione creatrice della musica e della poesia lirica. In contrasto con l’immagine neoclassica dell’Ellade come mondo della serenità e dell’equilibrio, ossia come regno dell’apollineo, Nietzsche insiste sul carattere originariamente dionisiaco della sensibilità greca, portata a scorgere ovunque il dramma della vita e della morte e gli aspetti orribili dell’essere. Tant’è vero che l’apollineo nasce dal tentativo di sublimare il caos nella forma, ossia dallo sforzo di trasfigurare l’assurdo in un mondo definito e armonico, capace di rendere accettabile la vita. Gli stessi Olimpi sono un “escamotage” per sopportare la caducità dolorosa dell’essere uomini difatti nelle divinità l’uomo vedeva rispecchiato il mondo perfetto, quello cui aspirava ma che non avrebbe mai potuto raggiungere, oppresso dalla tragicità dell'esistenza che avvertiva sempre più concretamente. Gli Dei permettevano all'uomo di vivere e di sopportare la sua esistenza, coprendo con il loro gusto della misura ogni suo accenno di eccesso e sfrenatezza. Era la Grecia presocratica e l'epoca Omerica, periodo in cui l’impulso apollineo e quello dionisiaco convivono separati ed opposti; nell’età della tragedia attica di Sofocle e di Eschilo, apollineo e dionisiaco si armonizzano fra di loro, dando origine a capolavori sublimi. Infatti sebbene vivificata dallo spirito dionisiaco, la grande tragedia manifesta un perfetto “accoppiamento” fra i due impulsi; è al contempo apollinea, nelle parti sceniche e nel dramma, e dionisiaca nella musica e nella danza del coro; riunisce in un’unica opera, sia la rappresentazione del mondo, sia il furore orgiastico, proprio del dionisiaco. Per quanto concerne l’origine della tragedia Nietzsche si rifà all’idea secondo cui, conformemente all’etimologia tragos,capro e da odé, canto, sarebbe nata dai cori ditirambici, ovvero dai cori e dalle danze inneggiate dei seguaci durante le processioni in onore di Dioniso,i quali mascherati da capri nell’esaltazione mistica si trasformavano in Satiri, esseri per metà umani e per metà divini,difatti coloro che li intonavano distruggevano la propria soggettività e sprofondavano nella natura universale, di cui la musica è specchio. Quando l'uomo sprofondava definitivamente in questa dimensione dionisiaca, perdeva se stesso ed il terrore che ne derivava era troppo forte per essere tollerato, interveniva allora la visione apollinea, che permetteva alla soggettività di riapparire come illusione. La visione apollinea è una visione salvifica senza la quale l’uomo non potrebbe tollerare d'esistere. “Dapprima egli è divenuto, come artista dionisiaco, assolutamente una cosa sola con l’uno originario, col suo dolore e la sua contraddizione, e genera l’esemplare di questo come musica […], ma in seguito, sotto l’influsso apollineo del sogno, questa musica gli ridiventa visibile come in un’ immagine di sogno simbolica”; il dramma tragico diene veramente tale allorquando Dioniso è “rappresentato” tramite una serie di immagini che trasformano il mondo di ideale compiutezza e bellezza il vissuto di sofferenza dell’eroe. Lo spettatore, però, vede questa dimensione irrazionale sotto forma di “sogni” del coro: è come se il coro immaginasse la vicenda e gli spettatori assistessero a questa illusione apollinea, che è una sorta di specchio in cui si riflette l'ebbrezza dionisiaca del coro. Nella tragedia greca i personaggi appaiono come una visione plasticamente reale, nitidamente disegnata, ma che nasconde il panico profondo dell’ebbrezza di Dioniso, il flusso continuo della vita che s’impone con potenza irresistibile. La serena natura apollinea si riflette quindi nella visione plastica realizzata dalle arti figurative e l’esperienza dionisiaca, al contrario, trova la sua esaltazione nell’ebbrezza della musica. “Proprio in questo, nel cogliere l'essenza della vita, la tragedia e l'arte in generale divengono la giustificazione estetica della vita.”

F.W.Nietzsche

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In altre parole l'esperienza che lo spettatore vive durante la tragedia rende la vita possibile e degna di essere vissuta. L'uomo attraverso la tragedia si riappropria delle sue passioni contrastanti e realizza che gioia e dolore sono entrambi necessari, sono entrambi presenti nella vita, imparando a godere tanto dell'uno quanto dell'altra. Egli apprende la natura tragica della vita. Nell’arte successiva, la sintesi che per Nietzsche rappresenta un autentico “miracolo metafisico” della civiltà ellenica, viene messa in forse dal prevalere dell’apollineo, che trionfa sul dionisiaco fin quasi a soffocarlo. Questo processo di decadenza si concretizza nella tragedia di Euripide che porta l’uomo quotidiano sulla scena trasformando il mito tragico in un susseguirsi realistico di avvenimenti razionalmente concatenanti,e attinge la sua espressione paradigmatica nell’insegnamento razionalistico e ottimistico di Socrate, ossia del filosofo con il quale si compie “l’uccisione” delle profondità istintuali della vita. La decadenza della tragedia funge quindi da rivelatrice della decadenza della civiltà occidentale nel suo complesso e trova il suo simbolo nell’opposizione irriducibile fra spirito dionisiaco e spiritico socratico, ossia fra uomo tragico, portato a dire si alla vita e l’uomo teoretico, portato a violentare la vita con la sua “sferzata dei suoi sillogismi”. La celebrazione nietzscheana dello spirito tragico e dionisiaco coincide con una forma di esaltazione che tende a porsi programmaticamente al di là dal pessimismo e dell’ottimismo. Da ciò nasce il distacco dal maestro Schopenhauer. Dal filosofo di Danzica deriva la tesi del carattere doloroso e raccapricciante della vita dell’essere, e respinge la tematica dell’ascesi. “ Oh come diversamente mi parlò Dioniso? Oh come mi era lontano allora proprio tutto questo rassegnazionismo. ” Nietzsche supera il “rassegnazionismo” schopenhaueriano contrapponendo alla “noluntas” fin da subito un atteggiamento di entusiastica accettazione dell’essere nella globalità dei suoi aspetti. L'uomo non deve fuggire dal mondo, non deve isolarsi sulla strada verso il Nirvana ma deve cercare di assecondare i suoi istinti, accettando la vita come dolore, lotta, distruzione, crudeltà, incertezza ed errore affrontandola con un atteggiamento che mette a capo l’esaltazione della vita e il superamento dell’uomo. Nietzsche vuole essere un discepolo di Dioniso,simbolo dell’accettazione totale del mondo. Da questa concezione segue che solo l’arte riesce a comprendere veramente il mondo, inteso come una sorta di gioco estetico e tragico cui viene attribuita una natura metafisica e l’importante funzione di organo della filosofia. L’esaltazione della tragedia, che si accompagna ad una concezione della civiltà come processo di decadenza dovuto al progressivo imporsi dello spirito antitragico, di tipo socratico sfocia nell’esaltazione di una rinascita della cultura tragicamente incentrata sull’arte e specialmente sulla musica per liberare l’uomo moderno dalla gabbia dalla razionalità.

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Le Muse

Nella mitologia greca, le muse sono nove dee figlie di Zeus e di una dei titani preolimpici, Mnemosine, dea della memoria; si credeva vivessero sul monte Parnaso, nella Focide, o sull’Elicona, in Beozia. Dal nome delle muse deriva il termine “musica”; l’espressione greca mousiké téchne, però, comprendeva un concetto più vasto, corrispondente al nostro “cultura”: le nove dee figlie della memoria, infatti, presiedevano a tutte le arti e le scienze e ispiravano poeti, filosofi e musicisti. Secondo l’attribuzione più diffusa, Calliope era la musa della poesia elegiaca, Clio della poesia epica e della storia, Euterpe della poesia lirica e della musica, Melpomene della tragedia, Tersicore della danza e dei cori, Erato della poesia d’amore, della geometria e del mimo, Polinnia della danza e poesia sacra, Urania della poesia didascalica e dell’astronomia e Talia della commedia e della poesia bucolica. Le muse erano considerate compagne delle Grazie e di Apollo, il dio della musica. Sedevano presso il trono di Zeus, re degli dei, e cantavano la sua grandezza, l’origine del mondo, i suoi abitanti e le gesta gloriose dei grandi eroi. Erano venerate in tutta la Grecia antica, specialmente sull’Elicona e in Pieria, vicino al monte Olimpo.

Mosaico 9 Muse, Apollo e Mnemosine

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La verità interiore,e l’immaginazione: Muse dei Simbolisti.

Il simbolismo è una delle principali correnti intellettuali e artistiche della seconda metà dell'800. Comincia a manifestarsi in Francia attorno al 1885, soprattutto in ambito letterario. Ma s’irradia rapidamente al resto d'Europa, investendo vari campi dell'arte. Alla base del simbolismo si colloca una visione antipositivista della realtà. Alla ragione l'artista contrappone l'irrazionale, il misterioso e il soprannaturale. All'imitazione della realtà esterna, propria degli impressionisti, contrappone la rappresentazione del vero interiore, l'Io dell'individuo, con i suoi istinti, le emozioni, i sogni e gli incubi. Scopo dell'estetica simbolista è dare voce alla dimensione profonda e irrazionale dell'individuo e trovare un punto di unione con la realtà sensoriale. Elemento di sintesi tra questi opposti è il simbolo. Simbolo inteso come strumento formale in grado di esprimere in modo sintetico ciò che non può essere detto o scritto da cui la denominazione di tutta la corrente. Evocazione ed assenza descrittiva sono le due caratteristiche principali di questo linguaggio espressivo, tali da mettere in allarme i realisti che vedono senza significato le opere partorite dal simbolismo: vedono annientata l’idea della ricerca e del progresso e, compromesso l’integrale cambiamento dei procedimenti dell’arte. Nel campo della pittura il Simbolismo riunisce tutte le tendenze e le personalità artistiche che si distaccano dalla rappresentazione della realtà sensoriale, propria dei realisti, degli impressionisti e dei neoimpressionisti. In questo senso, il Simbolismo non si presenta come un movimento o una corrente vera e propria, ma come un clima intellettuale che interessa correnti o singole individualità artistiche in tutta Europa.Caratteristica della pittura simbolista è il non riprodurre oggetti, ma esprimere idee, traducendole nel linguaggio sintetico dei simboli. Il mondo dei simbolisti è dominato dal sogno, dall'immaginario, dal fantastico, dal soprannaturale. Le composizioni raffigurano situazioni in cui appaiono simboli tratti da svariati repertori: la storia antica, la mitologia, la religione. Talvolta, compaiono anche simbologie orientali, alchemiche ed esoteriche. Sul piano stilistico le opere si caratterizzano per le tonalità cupe e un raffinato decorativismo, che concorrono a suggerire un certo senso di mistero. D'altro canto, l'abbondanza di temi mitologici e letterari sconfina spesso nell'allegoria, nella raffigurazione patetica, nelle pose studiate. Il che costituisce l'elemento di maggior debolezza di alcuni risultati del simbolismo. Correnti simboliste si manifestano soprattutto in Francia, Inghilterra, Germania e Belgio. Principali interpreti del Simbolismo in Francia sono Gustave Moreau, Pierre Puvis de Chavannes e Odilon Redon. Nelle loro opere affiorano atmosfere di sogno, dominate da un senso di silenzio e mistero. Tra gli interpreti principali Paul Gauguin si distingue per il ruolo secondario svolto dalla componente simbolico letteraria. Le sue opere emergono, invece, per il processo di sintesi formale denominato Simbolismo. Tale processo consiste nella composizione del quadro basata su linee essenziali sinuose e stesure piatte di colore puro, svincolate dai colori reali. Una concezione che risulterà fondamentale per varie correnti del '900. In Inghilterra il Simbolismo è impersonato soprattutto da William Blake e dal gruppo dei Preraffaelliti. L'aspirazione di un ritorno al passato, nelle loro opere si traduce in composizioni di carattere allegorico, ricche di spunti mitologici e letterari. Altro ambito è quello dello Jugendstil (Hans von Stuck, Max Klinger), cui fa eco in Austria la Wiener Secession. L'opera di Gustav Klimt, in particolare, con l'esasperato decorativismo, il ricorso alle allegorie e l'atmosfera decadente, ne incarna la linea più ambigua e tormentata. Echi del simbolismo si avvertono in varie correnti e movimenti europei di fine secolo. Ad esempio, nella pittura dei Nabis e nel Divisionismo Italiano. Basta pensare ai quadri a contenuto allegorico di Giovanni Segantini. E ancora, nella pittura di James Ensor e di Edvard Munch, dove predominano elementi di carattere inconscio.

Le caratteristiche peculiari del Simbolismo sono:

l’antipositivismo, cioè il sentimento di totale sfiducia nella scienza e nella ragione; il soggettivismo, gli artisti si scostano dalla realtà e sostituiscono alla rappresentazione dell’oggetto con quella dell’Io; l’emotività e l’istintività contrapposte alla precisione delle leggi naturali; il Misticismo e lo spiritualismo: il superamento della realtà naturale e la sensibilità nei confronti di ciò che è

irrazionale e soprannaturale conduce l’artista a introdurre elementi mistici e spirituali che si combinano con quelli prettamente soggettivi;

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l’Idealismo,inteso come espressione di idee complesse tramite forme semplici poiché lo scopo dell’artista non è più la rappresentazione del dato naturale;

la Sintesi e il simbolo, per l’artista il simbolo è l’espressione formale del “non detto”, è la riduzione dei concetti e della realtà percepita che può racchiudere in modo semplice significati complessi ed universali

L’esaltazione del sogno, in quanto legato alla dimensione più istintiva e irrazionale dell’individuo è lo strumento ideale di comunicazione con la dimensione universale dello spirito

Il decorativismo e l’estetismo visto come incapacità di azione e risoluzione di ogni tensione vitale nell’introspezione nel sogno e negli slanci dello spirito.

Eschilo e La Musa (1891)

Note sull’autore: Moreau, Gustave (Parigi 1826-1898), pittore e incisore francese, esponente di primo piano della corrente simbolista. Tornato a Parigi dopo un importante viaggio in Italia, dove studiò i maestri del Rinascimento, Moreau espose al Salon del 1864 il dipinto Edipo e la Sfinge (Metropolitan Museum of Art, New York), che gli valse fama immediata. Diversa fu l’accoglienza della critica alle tele presentate al Salon del 1869 (Il supplizio di Prometeo, Giove e Europa) seguito alla quale il

pittore si ritirò dalla scena artistica parigina fino al 1876. Nel 1878 partecipò all’esposizione universale di Parigi con numerose opere, tra cui la famosa Salomè che danza per Erode (1876,)l’acquerello Apparizione (1876, Louvre, Parigi), ancora sul tema della Salomè. In tutta la sua produzione Moreau ritrasse soprattutto soggetti letterari, mitologici e religiosi: tratto ricorrente sono le evanescenti atmosfere fantastiche, create attraverso ricche armonie cromatiche in stile orientale. Professore all'Ecole des Beaux-Arts di Parigi dal 1891, Moreau ebbe tra i suoi allievi importanti pittori, tra i quali Henri Matisse e Georges Rouault. La maggior parte delle sue opere è conservata a Parigi. Oggi al Musèe National Gustave Moreau, che fu la casa e lo studio dell’artista.

Gustave Moreau, Autoritratto

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Ares Nella mitologia greca Ares (in greco Άρης) è il figlio di Zeus ed Hera. Viene molto spesso identificato tra i dodici Olimpi come il dio solo degli aspetti più selvaggi e feroci della guerra, e della lotta intesa come sete di sangue, difatti prediligeva gli improvvisi ed imprevedibili scoppi di furia e violenza che in guerra si manifestano. I suoi animali sacri erano il cane e l'avvoltoio. Ares aveva una quadriga trainata da quattro cavalli immortali dal respiro infuocato, legati al carro con finimenti d'oro. Tra tutti gli dei si distingueva per la sua armatura bronzea e luccicante ed in battaglia abitualmente brandiva una lancia. I suoi uccelli sacri erano il barbagianni, il picchio, il gufo reale e, specialmente nel sud della Grecia, l'avvoltoio. Secondo le Argonautiche gli uccelli di Ares, muovendosi come uno stormo e lasciando cadere piume appuntite come dardi, difendevano il suo tempio costruito dalle Amazzoni su di un'isola vicina alla costa del Mar Nero. Il suo culto era particolarmente diffuso a Sparta dove veniva invocato perché concedesse il suo favore prima delle battaglie nella polis c’era una statua di Ares che lo ritraeva incatenato, a simboleggiare che lo spirito della guerra e della vittoria non avrebbero mai potuto lasciare la città ed inoltre a Tebe poiché il suo nome era legato alle leggende riguardanti la fondazione della città.

Ares Ludovisi

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La seconda guerra mondiale: Esaltazione della brutalità, della violenza e dell’istinto di morte insiti nell’uomo.

Il calo della produzione industriale, che era cresciuta grazie alle commesse di guerra,la conseguente dilagante disoccupazione e la svalutazione della moneta, misero in crisi il già fragile sistema economico italiano. E’ questo il cosiddetto “biennio rosso” negli anni 1919-1920 che culminò nell’occupazione delle fabbriche da parte degli operai aderenti al sindacato dei metallurgici il 30 agosto del 1920. Il capo del governo Giolitti decise di trattare con i manifestanti piuttosto che respingere la protesta: vennero assecondate le richieste degli operai che miravano ad un “controllo operaio” delle fabbriche, ma in realtà il progetto non fu mai realizzato. Due erano le principali correnti interne al partito: da un lato vi erano i massimalisti, i quali miravano all’instaurazione immediata del socialismo in Italia, e che nel 1919 assunsero la direzione del partito, dall’altro i riformisti, i quali ritenevano che l’attuazione delle riforme potesse essere conseguita solo gradualmente. La maggiore rappresentanza di esponenti dell’ala riformista all’interno del gruppo parlamentare socialista fece si che la reale gestione del partito fosse nelle loro mani nonostante la segreteria fosse retta dai massimalisti. Gli esponenti dell’estrema sinistra del Partito, capeggiati da Antonio Gramsci, Amedeo Bordiga e Palmiro Togliatti, entrarono in aperto contrasto con i vertici dello stesso partito ai quali contestavano l’incapacità di gettare le basi di una reale rivoluzione accuse mosse dalle pagine della rivista”Ordine nuovo”; cosi il 1921 avvenne una scissione interna: nel corso del Congresso di Livorno gli esponenti dell’estrema sinistra decretarono la nascita del Partito Comunista d’Italia.La vita politica italiana di questi anni fu segnata anche dalla nascita del Partito Popolare Italiano, favorita dallo stesso Vaticano preoccupato per il crescente consenso acquisito dal Partito socialista; sul soglio di Pietro c’era Papa Benedetto XV abrogò il non exepidit,disposizione della Santa Sede con la quale, per la prima volta nel 1871, si sconsigliò ai cattolici italiani di partecipare alle elezioni politiche nel Paese e, per estensione, di partecipare alla vita politica italiana. L’avvento del Fascismo

Il 23 Marzo del 1919 è la data di nascita del Fascismo. Rivendicazioni sociali e nazionalismo, unitamente ad un dichiarato antisocialismo, erano i punti cardine del programma politico dei fasci che si costituirono in partito nel 1921 e che fecero della violenza uno dei mezzi indispensabili cui ricorrere per imporsi sulla scena politica. Il 28 Ottobre del 1921 i fascisti radunatisi a Roma (marcia su Roma), imposero al debole governo liberale di formare il nuovo gabinetto. Il primo atto di Mussolini fu la costituzione di un governo di coalizione al cui interno fece rientrare fascisti, liberali, popolari socialdemocratici e i vertici delle forze armate. L’11 gennaio 1923 venne istituito il Gran Consiglio del Fascismo, che divenne l’effettivo organo di governo del paese. Il partito fascista divenne cosi il primo in Parlamento. Il 16 agosto dello stesso anno venne ritrovato nel bosco della Quartarella il cadavere dell'onorevole, aggravando la già complessa crisi del Governo. Dopo accese discussioni all'interno dello stesso partito fascista,Mussolini parlò alla

Camera dei Deputati il 3 gennaio del 1925 assumendosi la responsabilità politica, morale e storica dei fatti,ma non quella materiale, ricordando l'articolo 47 dello Statuto della Camera, che prevedeva la possibilità d'accusa per i Ministri del Re da parte dei deputati, chiese formalmente al Parlamento un atto d'accusa nei suoi confronti, senza che ciò avvenisse. Dopo il discorso, nei due giorni successivi le attività parlamentari furono definitivamente soppresse dichiarando tutti i deputati decaduti,affidando tutte le cariche politiche amministrative ai capi dello squadrismo fascista,abolendo la liberta di stampa, e imponendo ai

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prefetti di sciogliere qualsiasi organizzazione contraria al fascismo Mussolini diede vita al regime fascista. Le elezioni del 1929 furono una pura formalità poiché il Partito fascista era l’unica lista nazionale. Inoltre per favorire l’avvicinamento dei cattolici al regime, il duce avviò una politica di apertura verso la Chiesa che culminò con la stipulazione dei Patti Lateranensi ,l’11 febbraio 1929. Storicamente questi patti posero definitivamente fine ai dissidi che, all’indomani della presa di Porta Pia nel 1870, si erano venuti a creare tra lo stato italiano e la Chiesa romana, in merito al problema dell’indipendenza del pontefice e della Santa Sede. Al Papa venne dunque riconosciuta la sovranità sullo Stato Vaticano. Cosi l’Italia poteva contare sulle importazioni da paesi come la Germania di Hitler, alla quale l’Italia iniziò ad avvicinarsi politicamente. Il regime fascista,inoltre,mirava all’autosufficienza della produzione della nazione intensificando tutti quei provvedimenti che avrebbero dovuto aumentare la capacità produttiva del paese.

Primo dopo guerra Germania

La fine della guerra segna l’inizio della prima grande crisi politica sociale ed economica della Germania. Anche se le condizioni di vita dei Tedeschi a poco a poco migliorarono e nel 1926 la Germania entrò a far parte della Società delle Nazioni, restò tra la popolazione una diffusa sfiducia nello Stato e nelle sue istituzioni. Nato in Austria nel 1889 Adolf Hitler fondò nel 1920 il Partito nazionalsocialista tedesco dei lavoratori, sostenitore del revisionismo dei trattati di pace, del pangermanesimo,

dell’antisocialismo e dell’antisemitismo. L’obiettivo hitleriano, illustrato nel Mein Kampf (La mia battaglia),era la costituzione di uno stato popolare forte,capace di restituire prestigio internazionale alla nazione. In politica interna Hitler instaurò una dittatura spietata per mezzo delle SS(la milizia nazista) e della GESTAPO (polizia segreta) eliminò ogni opposizione. Nello stesso tempo realizzò un vasto piano di riarmo, che riportò la Germania al rango di grande potenza militare. Inoltre con le leggi di Norimberga del 1935 si tolse la cittadinanza tedesca agli ebrei e la loro sistematica persecuzione e quella di alcune minoranze divenne uno dei primi obiettivi del regime in nome della purezza della razza ariana. La guerra civile spagnola offrì un’altra valida

“scorciatoia” verso il II conflitto mondiale difatti nella Spagna diventata repubblica, alle elezioni de 1936 ottenne la maggioranza, un Fronte popolare, e le forze conservatrici sotto la guida del generale Francisco Franco decisero insorgere. Così nel marzo 1939 Franco completò l’occupazione della Spagna e instaurò una dittatura militare. Dall’inizio della guerra di Spagna in poi, i passi sulla via del conflitto divennero sempre più rapidi. Hitler nel marzo 1938 occupò l’Austria e intimò alla Cecoslovacchia di consegnare alla Germania la regione dei Sudeti. Alla conferenza di Monaco in quell’anno il primo ministro inglese Chamberlain e quello francese Daladier s’incontrarono con Hitler e Mussolini per trattare la questione dei Sudeti e cedettero alle richieste del dittatore tedesco. La scintilla che scatenò il conflitto mondiale fu l’invasione della Polonia da parte della Germania, azione dettata dall’ideale espansionistico del pangermanesimo di Hitler. L’invasione inizia il 1 settembre del 1939 e nel giro di 28 giorni la Polonia capitolò. A niente valse l’intervento della Francia e dell’Inghilterra che il 3 settembre dichiararono guerra alla Germania. Il positivo esito dell’attacco tedesco venne favorito dell’URSS che il 17 settembre occupò la parte orientale della Polonia. Il 14 giugno l’esercito tedesco occupò Parigi costringendo alle dimissioni il governo di Paul Reynaud. La Francia del nord venne posta direttamente sotto il controllo tedesco invece, la parte meridionale venne affidata al governo fantoccio di Pétain,stabilendo la capitale a Vichy. Nel frattempo alcune truppe francesi rifugiatesi in Inghilterra vennero organizzate come esercito nazionale sotto il controllo del generale Charles De Gaulle, il quale attraverso i microfoni di Radio Londra incitò i suoi concittadini a ribellarsi allo straniero: iniziò cosi la lotta partigiana alla quale preso parte sia esponenti della borghesia che delle classi popolari sotto il comando di comunisti e socialisti. L’offensiva tedesca, dopo l’occupazione francese, si rivolse all’Inghilterra:il 1 settembre del 1940

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l’aviazione tedesca iniziò massicci bombardamenti a tappeto sulle postazioni militari e sulle città inglese in modo da aprire la strada allo sbarco sulla costa meridionale dell’isola da parte dei nazisti; gli inglesi per affrontare l’imminente pericolo si erano riuniti in un governo di unione nazionale guidato da Winston Churchill con l’intento di resistere ad oltranza agli attacchi. Grazie alla superiorità della Royal Airforce l’Inghilterra riuscì a far fronte al nemico e, a fine ottobre,la Germania decise di porre fine al tentativo d’invasione. Inizialmente costatando l’impreparazione del proprio esercito, l’Italia si era tenuta al di fuori del conflitto ma, i rapidi success ottenuti da Hitler, che facevano prefigurare una vittoria certa della Germania,convinsero Mussolini ad entrare in guerra in modo da potersi sedere al tavolo dei vincitori e spartirsi i bottini di guerra con l’alleato Fuhrer tedesco. Le truppe italiane inoltre furono impegnate sul fronte africano nelle zone del Corno d’Africa,dove avanzarono occupando la Somalia inglese e alcune postazioni egiziane fino a quando non vennero ricacciati in agosto dalla controffensiva inglese fino a Bengasi. L’alleanza nazifascista fu consolidata il 27 settembre quando con il Patto Tripartito venne sancita l’entrata del Giappone nel patto d’Acciaio: le tre nazioni si spartirono virtualmente l’Europa e l’Asia stabilendo le rispettive aree d’influenza: l’Europa continentale alla Germania, il bacino del Mediterraneo all’Italia e i paesi asiatici al Giappone. In seguito al Patto aderirono anche la Slovacchia e l’Ungheria. Il consolidamento dell’alleanza spinse Mussolini ad intraprendere una nuova impresa

militare a partire dal 28 Ottobre truppe italiane furono impegnate in Grecia, ma la nuova offensiva italiana si rivelò un fallimento: la strenua resistenza dei greci appoggiati dall’Inghilterra costrinse l’esercitò del Duce a ripiegare sul confine albanese. Il 1941 segnò la fine della guerra parallela dell’Italia in Africa e nei Balcani: la controffensiva inglese costrinse l’Italia ad abbandonare le proprio colonie nel Corno d’Africa, permettendo il ritorno del negus Hailè Selassie cacciato nel 1936. L’insuccesso degli italiani in Grecia, che subirono un’ennesima pesante sconfitta navale ad opera degli inglesi a capo Matapan,il 28 Marzo,convinse Hitler ad

intervenire nel Mediterraneo:iniziò cosi l’avanzata delle truppe tedesche verso la Grecia attraverso i Balcani. Il 25 aprile la Grecia cade nelle mani della Germania che occupa Atene, mentre gli italiani sbarcano a Corfù. Nell’agosto del 1941 in un incontro tra il presidente Usa e Churchill venne stabilito con la Carta Atlantica il nuovo ordine mondiale ispirato ai principi democratici dell’autodeterminazione dei popoli, della convivenza pacifica, e del ripudio della guerra come strumento per regolare le controversi politiche fra nazioni. Il 21 Giugno del 1941 la Germania iniziò l’invasione dell’URSS nonostante il patto di non aggressione firmato con Stalin. All’operazione denominata “Barbarossa” presero parte anche truppe alleate. L’avanzata nazifascista procedette rapidamente anche a causa della cattiva organizzazione dell’esercito sovietico. Intanto ad Est la pressione espansionistica del Giappone in Asia è contrastata dalla presenza coloniale inglese e statunitense. Per eliminare questi ostacoli il governo giapponese decise di entrare attivamente nel conflitto e il 7 dicembre del 1941 attaccò senza alcuna dichiarazione di guerra la base navale usa di Pearl Harbor( vicino le Hawaii): il giorno seguente gli Stati Uniti dichiararono guerra al Giappone. Immediata fu la dichiarazione di guerra di Germania e Italia agli Stati Uniti e dell’Inghilterra al Giappone. Sul fronte orientale le sorti del conflitto furono inizialmente favorevoli all’impero nipponico che riuscì ad assoggettare la Birmania, le Filippine, Timor, Sumatra e Giava, paesi ai quali impose un regime di terrore e sfruttamento.I primi mesi del ’42 coincisero con il momento di massima espansione dei regimi totalitari nazifascisti, che ottennero successi militari sul fronte sovietico e su quello africano. In Unione Sovietica i nazisti spalleggiati dall’Armir(Armata Italiana in Russia) completarono la conquiste della Crimea e dilagarono nel Caucaso. Contemporaneamente, in Africa, truppe italiane e tedesche riuscirono a riprendere la Cirenaica e ad avanzare in Egitto fino alle porte di Alessandria. I paesi sottomessi al giogo nazista furono

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sottoposti allo sfruttamento delle loro risorse, mentre l’Europa conobbe in questi anni uno degli orrori più grandi della storia: l’olocausto. Sotto la direzione di Himmler i tedeschi decisero di mettere in atto “la soluzione finale”, cioè la sistematica

eliminazione degli ebrei all’interno dei lager, dove i prigionieri deportati da tutti i paesi europei, erano sfruttati fino alla morte come forza lavoro o erano direttamente eliminati nelle camere a gas. Nel corso della seconda metà del 1942, però, le forze alleate s’imposero militarmente su tutti i fronti aperti del conflitto, costringendo gli eserciti delle potenze nazifasciste ad una progressiva ritirata della città di Stalingrado, assediata dalle truppe tedesche: gli abitanti della città bloccarono la 6° armata tedesca guidata dal generale Von Paulus, permettendo all’Armata Rossa di portare avanti la controffensiva fino alla resa dei nazisti del 2 febbraio 1943. Le truppe tedesche ed italiane si avventurarono in una drammatica ritirata attraverso i territori sovietici e centinaia di migliaia furono i morti per freddo e fame. Anche il fronte asiatico vide rovesciarsi le sorti del conflitto :con le battaglie vinte nel Mar dei Coralli e al largo delle isole Midway, gli americani arrestarono l’espansione dei giapponesi nel Pacifico, costringendoli sulla difensiva. Intanto il massiccio dispiegamento di forze statunitensi sul fronte africano determinò la definitiva sconfitta delle truppe italo-tedesche e la conquista del Corno d’Africa da parte degli Alleati apri la strada allo sbarco anglo-americano in Italia. L’avanzata

degli Alleati in Sicilia fomentò quel clima di sfiducia che le privazioni della guerra e dei bombardamenti alleati avevano fatto nascere nell’animo degli italiani. Il 25 luglio Mussolini venne sfiduciato dal Gran Consiglio del fascismo: il re fece arrestare il Duce, rinchiuso in un albergo nel Gran Sasso e diede incarico al Maresciallo Pietro Badoglio di formare un nuovo governo: il Partito Fascista venne sciolto mentre l’Italia continuava la guerra al fianco dell’alleato tedesco e il nuovo capo di governo era in trattative segrete con gli alleati per una pace separata. L’Italia ormai era di fatto un nemico della Germania e dopo aver sottoposto diverse città a pesanti bombardamenti, i tedeschi iniziarono la loro avanzata in Italia, occupando i territori non ancora conquistati dagli Alleati giungendo fino a Roma, il 10 Settembre; il re e il capo di governo fuggirono a Brindisi abbandonando l’esercito e il paese al loro destino. Nello stesso giorno il governo italiano dichiarò ufficialmente guerra alla Germania suscitando terribili ritorsioni dei tedeschi sulla popolazione civile. Ora l’Italia era divisa in due: il centro nord sotto la repubblica di Salò e il sud, dove sopravviveva il Regno d’Italia in cui ci fu la ripresa della vita politica in vista di un riassetto del paese alla fine della guerra..Il 6 giugno 1944,Eisenhower sbarcò in Normandia in testa alle truppe alleate, nel fatidico D-Day, dopo aver confuso i tedeschi con un falso sbarco a Calais. Nel settimo ed ultimo anno di guerra Germania e Giappone capitolarono definitivamente e di conseguenza si arrivò alla fine del conflitto. Tra il 4 ed il 12 febbraio del 1945 si tenne a Yalta, in Crimea, un vertice tra Churchill, Stalin e Roosevelt nel quale approssimandosi la fine della guerra e la caduta del nazifascismo, vennero stabiliti nuovi equilibri mondiali per l’imminente dopoguerra. Nell’ambito del summit i “tre grandi” decisero anche la costituzione di un’organizzazione internazionale l’ONU, alla quale delegare la conservazione della pace tra le nazioni. Nel corso del ’45 la Germania subì un’incessante serie di bombardamenti che rasero al suolo alcune delle più importanti città tedesche e fecero contare centinaia e centinaia di vittime. In Italia invece l’inarrestabile risalita degli alleati sbaraglio la linea gotica, dando nuovo vigore alla popolazione fomentando le insurrezioni sollevate dal CNL. E’ il 25 aprile quando le città del nord Italia insorgono per scacciare nazisti e fascisti aprendo la strada all’ingresso delle truppe alleate.

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Efesto

Efesto, dio del fuoco, fu il fabbro degli dei. Figlio di Zeus e di Hera, quando nacque la madre non, lo accettò con amore, infatti, quando lo vide restò terrorizzata dalla bruttezza dell'essere che la regina degli dei aveva generato, così vergognandosi di lui decise di scaraventarlo giù dall'Olimpo. Il piccolo dio cadde nell'oceano dove fu raccolto da Teti e da Eurionome, ninfe del mare, che lo nascosero in una caverna prendendosi cura di lui. Efesto rimase con loro fino all'età di nove anni e, pur crescendo brutto e storpio, rivelò subito delle eccezionali abilità nel forgiare metalli. Preparata un’officina, all’interno della caverna, egli ricambiò tutto l’amore ricevuto da Teti ed Eurinome fabbricando per loro gioielli d’inestimabile bellezza Un giorno Teti presentandosi ad un banchetto indetto dagli dei, adornata dai gioielli forgiati da Efesto, fu al centro dell’attenzione di tutte le dee ma soprattutto di Hera, che essendo la regina dell’Olimpo, non poteva essere seconda a nessuno; infine scopri la verità ed ebbe qualche rimorso nei confronti del figlio, e volle incontrarlo, senza però rivelargli la sua vera identità. Così facendo Hera gli commissionò un trono d’oro, Efesto, però, riconobbe subito la madre e cercò di vendicarsi per il male fattogli da piccolo. Quando il trono fu pronto, la regina, lo fece ammirare a tutti gli dei, esaltando la bravura con la quale era stato lavorato, ma soprattutto che, chi l’aveva costruito era stato un dio, suo figlio Efesto, e chiese a Zeus di accettarlo sull’Olimpo. Tutto era perfetto solo un particolare non andò a genio a Hera, in pratica lei non si poteva più alzare dal trono perché dei lacci trasparenti l’avevano legata. Alle sue grida disperate tutti gli dei andarono a consolarla e Zeus mandò Ermes a cercare Efesto, perché sciogliesse la madre dal misterioso ordigno, però lui non accettò anzi provava gioia per la burla riuscita. Dopo il fallimento d’Ermes, fu il turno d’Ares infine fu mandato Dioniso, che col dolce suo vino ubriacò Efesto e lo convinse a liberare la madre. Zeus, per sdebitarsi del torto fatto dalla moglie gli offrì in sposa Venere. Efesto sull’Olimpo fu bene accettato perché inizio a costruire palazzi ed oggetti utili agli dei come il tridente di Poseidone, il carro del sole, spade, elmi ed altro. Col tempo Efesto dimenticò il torto subito dalla madre e si affezionò a lei, e proprio perché la difese durante un litigio col marito, egli fu scaraventato giù dall’Olimpo su Lemmo, però questa volta per mano del padre. In seguito stanco per essere deriso per la sua goffaggine e per i continui tradimenti di Venere, decise di lasciare per sempre l’Olimpo e di rifugiarsi nelle viscere del monte Etna.

La forgia di Efesto, Luca Giordano

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La termodinamica:

La termodinamica studia le leggi con cui i sistemi scambiano, cedono e ricevono, energia con l’ambiente. Un sistema è un insieme di corpi che possiamo immaginare avvolti da una superficie chiusa ma, permeabile alla materia e all’energia. L’ambiente è tutto ciò che si trova fuori da questa superficie.

Questi scambi di energia avvengono sotto forma di calore e di lavoro. Quando un sistema riceve energia dall’esterno, la sua energia interna aumenta; quando la cede all’esterno, la sua energia interna diminuisce. Considerando un sistema molto semplice: il gas perfetto contenuto in un cilindro chiuso da un pistone a tenuta stagna, l’ambiente è tutto ciò che sta al di fuori di questo sistema il fornello, allora, fa parte dell’ambiente.

Il sistema può scambiare calore e lavoro con l’ambiente. Per esempio:

Con il fornello acceso, il sistema riceve energia dall’esterno sotto forma di calore; Comprimendo il pistone, il sistema riceve energia sotto forma di lavoro compiuto da una forza esterna.

Lo stato del sistema “gas perfetto” è descritto da tre grandezze: il volume V del cilindro, la temperatura T del gas e la pressione p che il gas esercita contro le pareti.

L’energia interna

L’energia che arriva dall’esterno o quella che viene ceduta all’ambiente si aggiunge o si sottrae all’energia interna del sistema, che è il suo deposito di energia, dunque l’energia interna è una funzione di stato che esprime l'energia totale posseduta da un sistema materiale.

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Il primo principio della termodinamica.

Durante un’espansione a pressione costante il sistema “gas perfetto” passa dallo stato A allo stato B. Poiché l’energia interna è cambiata da UA e UB c’è stata una variazione di energia interna:

ΔU= UB - UA

Il sistema:

Ha guadagnato energia, perché ha assorbito una quantità positiva calore Q dall’ambiente (dal fornello). Ha perso energia, perché ha compiuto un lavoro L positivo, spingendo verso l’alto il pistone.

Poiché l’energia si conserva, la variazione di energia deve essere uguale al calore assorbito(energia in ingresso)meno il lavoro compiuto (energia in uscita):

ΔU=Q-L

Quest’espressione della conservazione dell’energia,ricavata per via sperimentale per la prima volta nel diciannovesimo secolo, si chiama primo principio della termodinamica. E’ una delle leggi fondamentali della fisica, perché ha un ambito di validità universale: si applica infatti a tutti i sistemi e non soltanto al gas perfetto. Il primo principio della termodinamica afferma che, nei sistemi che scambiano calore e lavoro, l’energia si conserva, cioè la quantità totale rimane uguale. Ogni volta che una parte dell’universo cede energia mediante lavoro o calore, qualche altra parte assorbe tale energia e la immagazzina.

In particolare,il primo principio afferma che:

Se l’energia interna di un sistema, aumenta la quantità di energia che entra nel sistema, è maggiore di quella che esce; Se l’energia di un sistema diminuisce, la quantità di energia che esce dal sistema è maggiore di quella che vi entra.

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Il secondo principio della termodinamica.

Una macchina termica è un dispositivo capace di trasformare calore in lavoro, costituita da un cilindro, chiuso da un pistone mobile che racchiude una certa quantità di gas.

Per prima cosa possiamo scaldare il gas grazie al calore che proviene da una sorgente calda. Allora il gas si dilata e spinge in altro lo stantuffo e compie lavoro. Ora, però la “macchina” con lo stantuffo a fine corsa non serve più a nulla. Per poterla riutilizzare dobbiamo riportare lo stantuffo alla posizione di partenza.

Possiamo compiere un lavoro sul gas fino a comprimerlo nel volume che occupava all’inizio. Ma la conservazione dell’energia assicura che, per farlo, utilizzeremmo una quantità di energia almeno pari a quella che abbiamo ottenuto dall’espansione del pistone.In alternativa, possiamo ottenere la compressione del gas mettendolo in contatto con una sorgente fredda che ne abbassa la temperatura. Grazie a questa compressione, il pistone ritorna all’inizio della sua corsa e la macchina è pronta a funzionare di nuovo. Ma, inevitabilmente, una parte dell’energia del combustibile è trasferita alla sorgente fredda. Quindi non è possibile trasformare in lavoro tutto il calore assorbito dalla sorgente calda. Una macchina termica è un dispositivo che realizza una serie di trasformazioni cicliche, difatti nelle trasformazioni cicliche l’energia interna del sistema alla fine del ciclo è uguale all’energia iniziale; quindi la variazione di energia interna del sistema ΔU è uguale a zero.Proprio per questo, nessuna macchina termica può trasformare un lavoro tutto il calore che riceve dalla sorgente calda: una parte di essi deve per forza essere ceduto alla sorgente fredda,cioè disperso nell’ambiente.

Il secondo principio della termodinamica, enuncia perciò che non è possibile realizzare una trasformazione ciclica che trasformi in lavoro tutto il calore prelevato da una sola sorgente.