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L’oggetto della percezione

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L’oggetto della percezione

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Un Corso di Filosofia teoretica anno accademico 2014 – 15

 

Lapo Piccionis studente di filosofia

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Nel quaderno appena apertovi son tre proposizioni,

io le ho scritte, ne sono certo,ma ne ignoro le ragioni.

 L’una dice: sono gli enti

che ogni giorno percepiamodalla mente indipendenti:sono anche se non siamo.

 L’altra vuole che quegli enti,che si danno all’esperienzanon sian chiusi nelle mentiné che sia mera parvenza,

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o una mera vuota imagoogni loro percezione.

Leggo, penso e poi son pagodi questa proposizione.

 Ma vi è un terzo triste asserto

che apparecchia un paradosso;anche questo mi par certo:

che veder giammai non posso 

se non s’apre nella mente un teatro di parvenze

dai soggetti dipendenteche si recita in coscienze

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che ripetono gli effettinello spazio del mentale

di cui son cause gli oggetti.E qui un dubbio ahimè mi assale

 l’avrà detto veramente?

Tutte e tre non stanno insiemetriade sì, ma incoerente:

falso frutto dà un tale seme. 

Lo sconcerto dura poco:queste tre proposizioni

che si perdono nel giocodelle mutue negazioni

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non van prese come i pianidi una sola costruzione:sono gli assi cartesiani

(si consenta l’espressione) 

che uno spazio hanno assegnato a teorie del percepito

in ragion del loro stato –uno spazio tripartito

 che il filosofo disegna

con l’inchiostro dei pensieriquando il falso a un detto assegna

ed assume gli altri veri.

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In principio hai da negareche vi sia una percezione che si appropria del reale senza alcuna mediazione.

 Nega questo, e avrai risolto

la tua triade incoerente:ma quel detto così toltorisprofonda nella mente

 ciò che tu puoi percepire.

Se ogni oggetto, che è reale,sta al di là del tuo sentire,nello spazio del mentale

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si disegna solamenteuna copia forse eguale

all’oggetto trascendente.Se non ho compreso male,

 l’esperienza è un gran pittore

che dipinge i suoi ritrattilà in homine interiore

e ci dà copia dei fatti 

che realtà hanno nel mondo.Ma un ritratto riproduce,

questo l’ho capito a fondo,solo ciò cui ci conduce.

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uno sguardo non mediato.Perché l’ombra che si staglia

sopra un muro illuminatocome un segno certo vaglia

 dell’oggetto che è celatodevo aver già percepito

quell’oggetto che è adombrato.Questo è certo e garantito:

 è premessa il percepire

di ogni rappresentazione,come il cibo al digerire:

l’ha già detto anche Platone...

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Se alle cose la parvenzaleghi con la somiglianza,

devi aver prima esperienzadi quel quid che dà sostanza

 a quel tuo trovare eguale

che consente al trascendenteun suo varco nel mentaleed un’ eco nella mente.

 Qui però mi giunge ad hoc

quel che chiaramente ha dettoil signor Giovanni Locke

nel suo Essay sull’intelletto.

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Dice Locke chiaro e diretto:ogni dato di esperienza

di una causa è ben l’effettoche trascende la coscienza,

 che traduce in un linguaggio,

(che è il linguaggio del mentale)ciò che infine l’ingranaggio

della macchina animale 

le consegna per capirlo.Come avvenga, lo confesso,

Locke non sa proprio ben dirlo. Ma se ignoto è a noi il processo

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che trasforma i movimentidi una macchina animale

nei diversi sentimentiche hanno luogo nel mentale,

 resta vero che c’è un nesso che connette causalmentela cagion di quel processoa ogni dato della mente.

Questo nesso è indipendentedalla mera somiglianza:ciò che trovi nella menteti riporta con costanza

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a una causa nel realeche non devi immaginare

assumendo che il mentale

sia per sé un raffigurare.

Un legame, se é causale,

non è affatto intenzionale;

non dipende dal mentale:

è un evento naturale.

Vi è così una proiezione(la cui forma va capita)che dà la denotazione

a ogni idea che è percepita

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L’esperire è una funzione:quel che hai son gli argomenti.

Speculare riflessioneche riannoda i pensamenti

 alle cause nel reale.Ora nulla garantisce,

se non ho capito male,che quando si percepisce

 sia quel nesso funzionale

in tal modo articolatoche al variare del mentale

sia senz’altro vincolato

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il variare dell’oggetto:se è siffatta la funzioneil parlar dell’intelletto

ha un’esatta notazione. 

Ma la causa nel reale di ciò che diversamentesi traduce nel mentaleforse è equivocamente

 una stessa sola ed egualecui risponde in vario modo

ogni voce del mentalequando sento, tocco, odo.

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La funzione in questo caso non si può dire iniettiva:

ciò che a primo sembra al nasoe a secondo alla saliva

 corrispondere potrebbe

ad un solo e mero obietto,cosa che per noi varrebbe

(se ho capito quel che ha detto) 

che vi sono due argomenti(leggi: il gusto e poi l’odore)

cui nel codominio “enti”corrisponde un sol valore.

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La funzione, lo sospetto,non è neanche suriettiva:siamo tarli in un cassetto.La coscienza percettiva

 è una foto in bianco e nero

in cui certo viene persoil colore ed il mistero

di un splendido universo. 

La funzione non è tale,(se la o sta per l’ oggetto

e la x per un mentale)che sia sempre vero il detto

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che a una o qualunque sceltacorrisponda e abbia esistenza

una x che dica svelta:«Son di te vera esperienza».

 Ma se poi ne hai tu l’ardiree domandi: «Che denota

quel che ho nel percepire?Quale cosa e causa ignota

 che è al di là del mio sentire?»,

con un po’ di dispiacereche lo fa forse arrossire

Locke ti dice che è un potere

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e che solo licet direche la cosa è tale qualeda dover così apparire

ad un io sano e normale. 

Ora è certo che un effettodella causa è il risultato,

anche se deve il suo aspettoanche al quid di cui è formato.

 Sulla carta un timbro tracciaun’impronta chiara e netta;sulla neve fredda e ghiacciauna traccia assai imperfetta.

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Così accade anche ai percetti.Sono alcuni tali e quali

alle cause ed agli oggetti. Altri sono diseguali

 dallo stimolo distale,

e nel loro aspetto vario è la voce del reale

solo un tratto secondario. 

Se ti sembra convincentela teoria di cui parliamoti dirò sommessamente

che le idee che percepiamo

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sono effetti solamentese presumi che il realeti sia dato interamente

già sul piano esperienziale. 

Che vi sian cause ed effetticertamente l’hai imparato

dando retta ai tuoi percetti che per te han significato

 prima d’ogni riflessione

su quel primo evento arcano che è per te la percezione.A me poi par che sia vano

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ciò che tenta di spiegareperché il nesso funzionalesu cui poggia il denotarenon può essere causale.

 Se per te la percezionea valor di conoscenza

non potrà la causazionedir che cosa è l’ esperienza.

 Il mercurio certo scendecon il fresco della sera.

Da una causa ciò dipende:non può dirsi falsa o vera

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una mera causazione.Vero o falso invece resta

quel che a te la percezione:clare e obscure manifesta .

 Se la rappresentazione

non può giungere al realee se la tua percezione è rinchiusa nel mentale

 forse falsa e da scartare

delle tesi che ho trascrittoquella è che vuol provare

(e a me sembra con diritto).

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che il reale non è un sognoe che il mondo veramente

non ha proprio alcun bisognodel pensiero di una mente.

 Devo dire tuttavia

che seppure non ci credo non mi è parsa una pazzia che sia sol quel che io vedo.

 Esse est percipi è un dettato

che rammenta con ragioneche ogni tuo significatosolo nella percezione

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dirsi può verificato.Cosa sia per noi un oggetto

puoi spiegarlo: l’hai imparato.Te lo porge ogni percetto.

 Ma se pensi veramente

che ogni cosa in questo mondosia un oggetto trascendente

te lo dico chiaro e tondo: 

«non parlare: sprechi il fiato.Il tuo dire è una parvenza:

non si dà significatoal di là dell’esperienza».

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Quel principio è un gran coltelloche consente di levare

ciò che io, quando favello,fingo solo di pensare.

Con quel bisturi taglientela semantica è fissata:

si può dir sensatamentesolamente se ti è data

un’esatta traduzionenelle idee dell’esperienza:

dà così la sensazioneil suo limite alla scienza.

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Molto acuta mi è sembrataanche questa spiegazione:

è la trascendenza nata da un’indebita astrazione.

 Sembra vero, se ci penso,che non posso separare

ciò che a me offre ogni sensoda un cosciente cogitare.

 Quando annuso questa rosa,quando avverto come olezza,sento insieme al qualchecosa,

la mia consapevolezza.

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Credi forse che una lamapossa questo separare:

quel profumo che si bramaquell’odor dall’odorare?

 Separar puoi tu il coloredalla lana del maglione?

È un arcano e strano errore ciò che tu chiami astrazione.

 Mi è sembrato convincente,ma di nuovo il professore

disse: «Non è vero niente!»e lo disse con ardore

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come un matto indiavolatonella morsa di un attacco:ma il microfono scassato alla fin gli diede scacco,

 e così delle ragioni

che distinguono l’essentedalla nostra percezione

non ho udito proprio niente. 

Ma se fu tal spiegazioneanche se nessun l’ha udita,

debbo dire che fu cosasenza esser percepita?

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Vuoi tu dir che l’incidenteche ogni tanto lo azzittivadimostrava astutamenteper ragion performativa?

 A novembre devo dire

che mi sono un po’ ammalatoe così del percepire

mi son ben dimenticato. 

Così poi su quel che avvienese si nega il terzo detto

poco invero mi sovviene:starnutivo e stavo a letto.

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Starnutivo e stavo a lettomentre quello là spiegava:forse per farmi un dispettoproprio no, non si fermava.

Per fortuna che ogni tanto sin da qui io percepisco

una voce che da un cantodice «Mah, io non capisco»,

altrimenti era un disastro. Quando son tornato al mondo

rispiegava quell’impiastroil signor Husserl Edmondo.

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Ho capito che il realeè davvero trascendente:un costrutto intenzionale

irrealiter presente 

a quell’atto che lo ponee che è trascendentalee che pone con ragione

– sempre che non legga male 

ciò che è scritto sul quadernoche un’amica mi ha prestato

all’inizio dell’invernoquando mi ero raffreddato.

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Un amico mi ha passato(ed è stata una fortuna)tutto il corso registrato.

per colmare ogni lacuna. 

Con pazienza lo sbobinoe indovina che ho imparato?

Che non è Gesù bambinoche a Natale mi ha portato

 il trenino e il golf di lana!

Non so proprio chi sia stato.Sarà stata la Befana?

Questo un po’ mi ha addolorato.

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Quanto poi al disgiuntivismo,l’ha spiegato come un razzo:

per usare un francesismoio non c’ho capito molto.

 All’esame come fare?

Ho comprato degli occhiali:così posso argomentareche ci sono e son reali.

 Nulla vi è più delle mani: Non ne puoi mai dubitare. Dillo e fai dei gesti strani,

certo senza esagerare.

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Usa un tono oracolare,parla come un indovino,

torvo il guardo per scrutare:manco fossi Severino.

 Tu di’ poi in lingua tedesca

or Wahrnehmung, ora erfahre.Di sicuro cede all’esca:trenta te lo dovrà dare.

 Per la lode sai che faccio?So che sembra una pazzia:

prendo questo mio brogliaccioe ci scrivo una poesia.

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Credi tu che mi resistase in ridicoli ottonari

degli oggetti della vista io gli spiego gli scenari?

 Potrà forse darmi venti

se con versi da tacchinodel reale e delle menti

la sua zuppa gli propino? 

Ma se in fondo non è il trentala questione principale,e se quello che ti tenta

è il problema concettuale,

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e se credi che gli esaminon sian trucchi, né capricci

e gli studi tuoi li ami,molti auguri da Spinicci.

Lapo Piccionis