Numero 6 Dicembre 2010 · Giancarlo Marradi (Direttore Generale Bcc Pistoia) e Lapo Mazzei,...

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Futuro fusioni Faccia a faccia con Lorenzo Bini Smaghi, membro italiano della Banca Centrale Europea “Le Bcc devono unirsi per avere stabilità” Numero 6 Dicembre 2010 www.bancadipistoia.it Inchieste, approfondimenti, interviste, personaggi, curiosità: vi raccontiamo l’altra faccia di Pistoia Arte: i capolavori di Del Serra di Marta Quilici Soci: la lezione del professor Petracchi di Giulio Corsi Sport: il giro del mondo di Crippa di Francesco Gensini Guccini, che musica “I miei primi 70 anni” L’artista si racconta: “Non sono mai stato un divo. Nelle città mi sento perso” L’INTERVISTA C’è Laudadio in tv: “La mia vita a Striscia” Prima l’esperienza a Le Iene, poi la chiamata di Ricci: da inviato a conduttore IL PERSONAGGIO

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Futuro fusioniFaccia a faccia con Lorenzo Bini Smaghi, membro italiano della Banca Centrale Europea“Le Bcc devono unirsi per avere stabilità”

Numero 6 Dicembre 2010www.bancadipistoia.it

Inchieste, approfondimenti, interviste, personaggi, curiosità: vi raccontiamo l’altra faccia di Pistoia

Arte: i capolavori di Del Serra di Marta Quilici

Soci: la lezione del professor Petracchi di Giulio Corsi

Sport: il giro del mondo di Crippa di Francesco Gensini

Guccini, che musica“I miei primi 70 anni”L’artista si racconta:“Non sono mai stato un divo.Nelle città mi sento perso”

L’INTERVISTA

C’è Laudadio in tv:“La mia vita a Striscia”Prima l’esperienza a Le Iene,poi la chiamata di Ricci:da inviato a conduttore

IL PERSONAGGIO

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www.bancadipistoia.it

di Andrea Amadori

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Prontia nuove sfide

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Francesco GucciniNon sonoun divodi Lorenzo Maffucci

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Lorenzo Bini SmaghiLe fusionisono il futuro

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Max LaudadioStriscia la Notizia:il sogno di una vitadi Maurizio Innocenti

P 16

D 22 Luca BracaliIl missionariodella fotografiadi Andrea Cabella 6Direttore responsabile

Comitato di redazione

Redazionee amministrazione

Progetto grafico Art director

Fotografie Stampa

Andrea Cabella

Andrea AmadoriPaolo GiovanniniGiorgio MazzantiEnzo Pacini

Ufficio Comunicazionee Risorse UmaneLargo Treviso, 351100 PistoiaTel. [email protected]

Dominae

Andrea Sabia

Fabrizio Antonelli

Tipografia Toscana

è stata registrata presso il Tribunale di Pistoia al n. 6 del 2008

Finito di stampare il 29/11/2010

lascia agli autori la responsabilità delle opinioni espresse

La metamorfosidella ricchezzadi Riccardo Petrella

EticamenteE 62

Brevi & braviPillole per tutti i gustiper divertirci un po’di Franco Biagioni

B 64

In libreriaLa storiadi ogni vitadi Renzo Castelli

R 66

T

Spazio e arte40

La formadell’acquadi Maria Camilla Pagnini

M

San Pietro44

Le “nozze”di vescovo e badessadi Alberto Ciullini

L

Cino da Pistoia32

Il nostroamoroso messerdi Lorenzo Marchi

C

San Giorgio36

La fabbricadei sognidi Anna Agostini

28 Alfio Del SerraDalle mie manila rinascita di Veneredi Marta Quilici

A

G

Le nostre gite52

Da Lisbona alla Turchiasognando i Caraibi

U

Claudio Crippa56

Tu vuoi fa’l’americanodi Francesco Gensini

S 48 Giorgio PetracchiVe la do iola storiadi Giulio Corsi

FondazioneIl saluto dell’ex Presidente:“Cinque anni meravigliosi”di Giorgio Mazzanti

F 60

PRONTI A NUOVE SFIDE

Andrea Amadori. Presidente Banca di Pistoia

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Opinione

2) Assieme alla sfida posta dalla crisi, l’altro importante punto trattato nel presente numero della rivista è quello riguardante la recente costituzione del blog-giovani sul sito internet della nostra Banca, come richiesto dal gruppo dei giovani soci costituitosi pochi giorni prima dell’assemblea dello scorso anno (mi preme sottolinearlo e confermarlo pubblicamente, perché qualcuno forse non l’aveva capito). Non voglio enfa-tizzare questa piccola iniziativa, ma ritengo giusto cogliere e rilanciare l’intendimento che la caratterizza: quello di consoli-dare l’immagine di una Banca di Pistoia aperta alla città e all’intero territorio, anche a quella parte popolata da migliaia di giovani che, magari non immediatamente, ma nei prossimi anni potranno conoscere e apprezzare la cooperazione cre-ditizia come insostituibile risorsa dei loro percorsi di crescita professionale e sociale. Per questo, parafrasando le parole del professor Vittorino Andreoli, con l’iniziativa appena avvia-ta non abbiamo perseguito l’obiettivo di creare una sezione solo per i giovani, quanto piuttosto di allestire spazi (virtuali) scelti dai giovani in cui possano essere affrontati i loro proble-mi. C’è voluto un po’ di tempo per partire, ma ci siamo riusci-ti. Adesso i nostri giovani soci (e non solo) avranno la possi-bilità di scambiarsi liberamente opinioni, riflessioni e notizie, offrendo nel contempo a noi la possibilità di conoscere e agevolare la soluzione dei loro bisogni anzitutto nelle attività di studio e di primo lavoro.3) Infine, la realizzazione del sito-internet induce a evidenzia-re un ultimo importante punto. Internet è ormai diventato uno strumento fruibile da tutti e in particolare dai giovani. Attraverso internet la nostra Banca ha finora favorito la parte-cipazione, offrendo informazioni sulla propria attività e sui propri prodotti. In futuro, questa non sarà che una piccola parte delle potenzialità della rete: infatti, attraverso internet, tutti i nostri soci potranno “virtualmente” entrare in banca, nella propria filiale, attraverso il semplice uso del loro cellula-re, effettuando operazioni di vario genere e chissà quant’al-tro! Dovremo, quindi, affrontare per tempo il problema della nostra presenza sul territorio in modo sostanzialmente nuovo, non distinguendo più le banche dal numero degli sportelli ma dal loro concreto funzionamento, anche 24 ore su 24, e dalla loro capacità di costruire relazioni e contatti sempre più stret-ti con la clientela. Il tutto all’interno di un mondo (quello di internet) che, secondo le parole del presidente di Banca Etica Ugo Biggeri “ci può aiutare a creare solidi legami “deboli” che rendano più efficaci i nostri meccanismi partecipativi, la pos-sibilità di fare azioni comuni per il cambiamento: flash mob, crowdsourcing, social lending, peer to peer…..”: terminologia forse oscura, ma che (probabilmente) nasconde possibilità nuove di realizzazione della nostra missione bancaria.

PRENDO IL NUOVO NUMERO della rivista, vorrei richiamare l’attenzione dei lettori su alcuni essenzia-li punti.1) Quelli in corso sono anni difficili per l’intera

Europa, interessata da una profonda trasformazione econo-mica e sociale che sta mettendo alla prova anche le banche, sia piccole che grandi. A seguito della grave crisi recente-mente verificatasi nei mercati finanziari, il Comitato di Basilea, organismo composto dai rappresentanti delle ban-che centrali e delle autorità di vigilanza dei Paesi più indu-strializzati, ha predisposto un nuovo regolamento per le banche con lo scopo di ridurne l’eccessiva assunzione dei rischi e rendere così più stabile e sicuro il sistema nei prossi-mi anni. Come ampiamente riportato dagli organi di stampa, le nuove regole si propongono di accrescere in misura signi-ficativa il patrimonio delle banche, migliorarne la qualità, limitare la leva finanziaria, contenere il rischio di liquidità, attenuare le tendenze procicliche dell’intermediazione. In particolare, il capitale dovrà essere composto da risorse capaci di assorbire effettivamente le perdite e il suo livello sarà fissato valutando la capacità di fronteggiare situazioni di stress come quelle osservate durante la recente crisi. Per effetto delle nuove regole prudenziali, le banche con più capi-tale e meno rischi avranno minori probabilità di default, potranno finanziarsi sul mercato a tassi più bassi e potranno ridurre il costo del credito per la clientela. E’ del tutto eviden-te come il nuovo accordo di Basilea, destinato a entrare gra-dualmente in vigore, ponga a tutti gli operatori bancari una sfida assai impegnativa: raggiungere un più alto livello di patrimonializzazione e operare in idonee condizioni di liquidi-tà. Per una banca di territorio come la nostra, la sfida non può che tradursi in alcuni semplici obiettivi: una maggiore coesio-ne e consapevolezza della compagine sociale, un consolida-mento dell’attività bancaria in sintonia con la Federazione Toscana e, soprattutto, un ripensamento delle strategie di sviluppo della Banca di Pistoia nel medio termine. A quest’ul-timo riguardo, assai interessante è apparsa l’imprevista opportunità, condivisa con l’amico vice presidente Giorgio Mazzanti, di incontrare nelle scorse settimane Lorenzo Bini Smaghi, membro del comitato esecutivo della Banca Centrale Europea. Un incontro davvero gratificante e stimolante, nel corso del quale il nostro straordinario interlocutore ci ha offer-to molti elementi di riflessione, incoraggiandoci apertamente ad andare avanti sulla strada da tempo intrapresa dalla nostra Banca in favore della collaborazione e aggregazione tra BCC: strada ormai condivisa anche da chi, un tempo, la considerava un viatico eversivo della natura delle Banche cooperative.

A

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Sito giovani55

Prodotti e iniziativeper le nuove generazioni

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Incontri

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Incontri

Lorenzo Bini SmaghiLe fusioni sono il futuroE’ la medicina giustaper guarire la crisi

I cONSIGLI DELL’EcONOMISta DELLa BaNca cENtRaLE EUROPEa

Pranzo di lavoro dei vertici della Banca di Pistoia con il membro italianodel Comitato Esecutivo della BCE. “Bisogna prendere le esperienze che funzionanocome modello per ulteriori adeguamenti. Si studiano le aggregazioni che hanno portatorisultati convincenti e si verfica se è possibile realizzare le stesse sinergie in altre parti”.Vi riportiamo (fedelmente) i dialoghi della giornata “fiorentina” al Centro Ippico Toscano

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Lorenzo Bini Smaghi (a capotavola),membro del Comitato Esecutivodella Banca Europea; alla sua destra,Andrea Amadori (Presidente Bcc Pistoia),Giorgio Mazzanti (Vicepresidente Bcc Pistoia),Giancarlo Marradi (Direttore Generale Bcc Pistoia)e Lapo Mazzei, personaggio di spiccodel mondo politico-economico fiorentino

(Foto di Fabrizio Antonelli)

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A MaDORI (presidente Banca di Pistoia): Alla luce della situazio-ne in cui versa l’economia euro-pea e mondiale, vorremmo un’opinione da lei su come è

consigliabile debba muoversi il mondo delle Bcc, e in particolare il microcosmo della provincia di Pistoia, in cui sono addi-rittura sette le banche di credito coopera-tivo. Che futuro dobbiamo attenderci?Bini Smaghi (economista Banca Centra-le Europea): C’è l’assoluta necessità di sostenere le aziende che vanno a compe-tere sui mercati internazionali. E più le aziende sono piccole e più hanno biso-gno di banche solide che possono essere interlocutori validi, anche nell’ottica di una diversificazione del rischio. E’ vero che il

mondo economico dà spazio a banche piccole e a banche grandi, ma è dovero-so valutare i rischi se una banca è “trop-po” piccola e in che misura è in grado di fornire dei servizi alle imprese del territo-rio per competere in una complessità crescente. Non conosco nello specifico gli equilibri esistenti fra le bcc della pro-vincia di Pistoia, ma viene naturale chie-dersi se in un territorio così piccolo c’è uno spazio sufficiente per tutte. In gene-rale, vedo che è in ballo un processo di aggregazione che non necessariamente deve portare ad avere grandi banche ma a strutture sufficientemente solide certa-mente sì.Amadori: Qualcosa è già cominciato in Toscana, come lei saprà. E in tutta since-

rità, quanto meno dal punto di vista teori-co, avevamo iniziato noi della Banca di Pistoia, insieme a una bcc vicina (Banca di Vignole, ndr), il percorso di aggregazio-ne creando una Fondazione, unico esem-pio in Italia tra due banche di credito coo-perativo. Ma credo anche che, nel nostro mondo, la cultura della fusione sia ancora una prospettiva molto lontana, o quanto meno una soluzione all’emergenza: si fa una fusione se una banca va male…Bini Smaghi: Bisogna prendere le espe-rienze che funzionano come modello per ulteriori adeguamenti. Si studiano le aggregazioni che hanno portato risultati convincenti e si verifica se è possibile realizzare le stesse sinergie in altre parti. Non c’è niente di male, anzi, nel prende-

I

Incontri

Un consiglio:andare avanti

con la propria testa,individuando

il partner giusto

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I

Incontri

re a esempio qualcuno che ha anticipato i tempi dando segnali incoraggianti a tutto il sistema.Mazzanti (vice presidente Banca di Pistoia): A livello di Federazione si parla già da alcuni anni di gruppo paritetico bancario. Le Bcc sono frammentate, alcune hanno addirittura dimensioni minuscole, presentano guide autonome che impediscono collaborazioni: ognuno, insomma, va per la propria strada. Per certi aspetti, sono difficilmente control-labili anche per la stessa Federazione: è questo il vero problema. Mi chiedo, allora: con una redditività che sta quasi scomparendo, sono veramente le fusioni la solu-zione migliore per uscire dal momento di difficoltà? E se sì, servirebbe un coordinamento super partes che possa vigilare?Bini Smaghi: Credo nelle fusioni, non all’ipotesi di un coordina-mento “esterno”: si correrebbe il rischio di soffocare ogni libera iniziativa. Ognuno deve sforzarsi di individuare il partner giusto

con cui aggregarsi, senza che ci sia qualcuno che possa sugge-rirlo. Non possiamo aspettarci che la Federazione entri nel busi-ness e dia indicazione alle varie banche con chi debbano aggre-

garsi. Ritengo, al contrario, giusto che la Federazione non debba essere “opprimen-te” e non vada oltre qualche indicazione. Se uno ha le idee chiare, deve andare avanti con le proprie forze. Guardate cosa è avvenuto fra Chianti Fiorentino e Monteriggioni: la fusione ha permesso di valorizzare al meglio le diverse esperienze,

oltre a portare notevoli risparmi in ambito tecnologico. Personalmente, non aspetterei indicazioni dall’alto, agirei con la mia testa.Gian Carlo Marradi (Direttore Generale Banca di Pistoia): Concordo: infatti le indicazioni che ci ha dato la Federazione, e cioè un’aggregazione fra le cinque bcc che operano su Pistoia, o un’altra ipotesi fra quattro bcc, sono valide ma ritengo irrealizza-

“Per motivare le personeservono progetti chiarie investire sui giovani

che mostrano entusiasmo”

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ON POTEVA esserci scenario migliore per incontrare Lorenzo Bini Smaghi: appuntamento al Centro Ippico Toscano, alle spalle delle Cascine, polmone (e splendida attrazione) di Firenze. E assieme allo stato maggiore della Banca di Pistoia, erano moltissime le autorità presenti alla

venuta dell’economista – nonostante la sua fiorentinità, sono sempre meno frequenti le sue visite in città –, fra cui spiccava quella di Matteo Renzi, sin-daco in fenomenale ascesa, politico rampante, e non solo nei confini toscani. Simpaticissimo l’incontro fra Renzi, il presidente Amadori e il vicepresi-dente Mazzanti (nella foto), in cui il sindaco ha tenuto a ribadire l’importanza delle banche, e in particolar modo delle bcc, specie in un momento, come l’attuale, di generalizzata difficoltà dell’intero sistema economico.Sia Renzi che Bini Smaghi, poi, nell’eccellente colazione che ha chiuso la mattinata, hanno sottolineato la bellezza e il ruolo sociale che ricopre il Centro Ippico Toscano. Così Renzi: “E’ fondamentale per la città, perché ha saputo creare le condizioni favorevoli per uno sviluppo sostenibile nel cuore del parco delle Cascine e contemporaneamente anche per vincere alcune difficoltà incontrate dall’ippica tradizionale. In altri termini, questa è un’invidiabile pagina di bellezza dell’ambiente, di cura dei cavalli, degli animali e di sport, che sta proprio a un passo dal cuore della città. Dobbiamo riuscire a valo-rizzarla ancor più e metterla sempre più in relazione con il parco delle Cascine”.Bini Smaghi gli ha fa eco: “Questo tipo di attività produce reddito, fa economia, fa crescita. Quando sono così ben gestite, dimostrano quanto possano contribuire allo sviluppo del territorio: è fondamentale la gestione e la capacità di attrarre capitali, proprio come fa questo centro”.

E Renzi spinge le Bcc. “Ruolo fondamentale nel sistema economico”

N

La VENtata DI OttIMISMO DEL SINDacO DI FIRENZE

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Incontri

Matteo Renzi,sindaco di Firenze,a colloquiocon Amadori e Mazzanti

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Incontri

bili, in quanto le sedi e i campanili continuano a essere sempre troppo importanti, a meno di interventi perentori da parte della Federazione stessa. In Banca di Pistoia abbiamo fatto una strut-tura valida a livello di Direzione Generale, e quindi dico al presi-dente che siamo pronti per trovare il partner giusto con cui fon-derci, perché solo così la macchina che abbiamo messo in moto dal mio arrivo può costituire un valore aggiunto.Amadori: Ritorno sul punto espresso dal Vicepresidente Mazzanti: come dovrebbe articolarsi la governance in ottica aggregazione?Bini Smaghi: Per prima cosa per una banca è importante che sia chiaro chi comanda. E’ necessario che qualcuno si assuma la responsabilità e un Consiglio di Amministrazione forte che vigili. Se devo-no esser fatte integrazioni e sinergie, inu-tile perder tempo: vanno fatte subito. Se il sistema duale è un modo per far digerire la pillola, allora ok; però, alla fine dei conti, è necessario individuare qualcuno che abbia la responsabilità e prenda le decisioni. Bisogna cercare di ridurre i conflitti perché l’integrazione delle risorse, dal punto di vista umano, è quanto mai complicata. Il problema più grande è quando le responsabilità non sono chiare: meglio fare una bat-taglia all’inizio, scannarsi su “chi” deve fare “che cosa” ma una volta deciso bisogna andare avanti su quella strada. Senza responsabilità non si fa nulla: il problema è trovare gente che sappia prendersele. In giro c’è una fuga terribile dalle responsa-bilità.Marradi: Io ho subìto una cosa del genere al Credito Romagnolo con l’entrata di Profumo, quando è stata fatta la prima Opa ita-liana sul Credito Romagnolo. Nella prima riunione è stato assi-

curato che niente sarebbe cambiato: dopo un mese, invece, è stato stravolto tutto.Bini Smaghi: Questi comitati sono un po’ una scusa per non prendersi responsabilità. Per motivare le persone bisogna pre-sentare un progetto chiaro: se si fa un passo a metà, non riesci a convincere nemmeno chi sta allo sportello. Chi si deve adeguare al nuovo sistema non è motivato. Al contrario, è necessario pre-sentare un obiettivo finale, chiaro, da raggiungere che può essere solo l’integrazione tra banche: se i giovani capiscono un nuovo

modo di pensare, mostrano entusiasmo e motivazioni.Marradi: In Banca di Pistoia abbiamo struttu-rato la direzione generale come se fossimo una banca di maggiore dimensione. Considerato il momento di difficoltà in cui versano le realtà più importanti, il mondo delle bcc può ritagliarsi uno spazio sempre mag-

giore. Ho lavorato al Credito Romagnolo per ventotto anni poi sono stato Direttore Generale alla Cassa di Risparmio di San Miniato e dieci anni alla Caripit. Poi, a 65 anni, venuto via, avevo ancora tanta voglia di fare e mi sono immerso in questa nuova avventura, dove le potenzialità sono moltissime: se le banche locali riuscissero a coalizzarsi, potrebbero diventare una realtà senza limiti.Bini Smaghi: E chi prima capisce l’importanza di una fusione, può avere un vantaggio concorrenziale sul mercato.Mazzanti: Il futuro delle banche di credito cooperativo è fertile, il peso che possono avere sul territorio può essere ancora maggiore.Bini Smaghi: In Austria e Germania le piccole banche sono ele-menti importantissimi del sistema, ma devono essere sufficiente-mente consolidate perché chi è troppo concentrato su un territorio ristretto o un singolo settore può essere a rischio.

“Le Bcc sono fondamentalima il rischio è che siano

troppo piccole: non hannosufficiente stabilità”

ORENZO BINI SMAGHI è nato a Firenze il 29 novembre 1956. Sposato con due figli, dal giugno 2005 è membro del comitato

esecutivo della Banca Centrale Europea.

Gli studi1974: diploma al liceo francese di Bruxelles1978: laurea in Scienze economiche all’università Cattolica di Lovanio (Belgio)1980: master in economia alla University of Southern California1988: dottorato di ricerca presso l’università di Chicago.

La carriera1982: Central Banking Department di Washington1983: economista nel settore internazionale del Servizio Studi della Banca d’Italia, a Roma1988: capo ufficio cambi e commercio internazionale del Servizio Studi della Banca d’Italia, a Roma

Laurea in Belgio, Master in California, ufficio a FrancofortecHI E’: LORENZO BINI SMaGHI

L 1994: responsabile della Divisione analisi e pianificazione dell’Istituto monetario europeo di Francoforte1998: Vicedirettore Generale per la Ricerca economica della Banca Centrale Europea, a Francoforte2005: membro del Comitato esecutivo della Banca Centrale Europea, a Francoforte

Maggiori incarichi• Presidente della Fondazione Palazzo Strozzi a Firenze (dal 2006) • Presidente della sezione italiana dell’associazione University of Chicago • Vicepresidente del Comitato economico e finanziario dell’Unione Europea (2003-2005)• Presidente del Comitato mercati finanziari dell’Ocse (2003-2005) • Presidente della società di assicurazione dei crediti all’esportazione (SACE, dal 2001 al 2005) • Consigliere d’amministrazione della Bei, di Finmeccanica Spa e di Mtc Spa (2001-2005)

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maestro ai tempi della Scuola d’Arte di Pistoia. Mi ricordo le lezioni non dottorali che davano una preparazione ampia che spaziava dagli aspetti pratici allo studio della storia dell’arte”.Nel 1949 Alfio Del Serra aveva 18 anni e fu allora che decise di intraprendere la disciplina del restauro. “Spesso mi viene chiesto se mi è mai tremata la mano nell’atto di andare a toc-

care opere come la Nascita di Venere, la maestà di Giotto. Io, dall’alto della mia umiltà, rispondo sempre che non ho mai avuto paura: non è quello il sentimento che ho provato. Ho provato piuttosto un rispetto sacrale, un’emo-zione dovuta alla consapevolezza della pro-pria responsabilità. Ma la mano non mi è mai tremata. È un’operazione di grande fatica, ma

Ha ritoccato capolavori di Leonardo, Giotto,Duccio e Cimabue. “Non ho mai avuto pauradi sbagliare. Quel che provo è piuttostoun rispetto sacrale, fatica e gratificazione”

a REStaURatO la Nascita di Venere di Botticelli, ha ridato la luce alle tre grandi maestà degli Uffizi, le “Madonne in trono” di Cimabue,

Duccio di Buoninsegna e Giotto. Ha preso parte alla commissione di restauro della Cappella Sistina. Alfio Del Serra ha restaurato opere considerate tra le espressioni più alte della creatività umana, paradigmi iconografici della cultura e civiltà occidentale. “Ho vissuto per tutta la vita tra opere d’arte talmente gran-diose che non mi è mai interessato circondar-mene anche entro le mura di casa. Non mi ha mai appassionato il collezionismo o il mercato dell’arte”. Nella casa di Alfio Del Serra non vi sono opere maestose, ma soltanto qualche quadro a cui è legato soprattutto da un valore affettivo. “In casa ho otto tele del mio maestro Alfiero Cappellini, un paio di quadri di Iacomelli e Aldo Frosini, miei amici, un bel disegno di Zanzotto, e poco più. A questi sono legato soprattutto da un valore affettivo, in particola-re con quelli di Cappellini che è stato mio

H

Marta QuiliciIl Tirreno

Alfio Del SerraLa rinascita di Venereè opera delle mie mani

L’ARTE DEL RESTAURO

Circondato dalla bellezza,ma non tra le mura della sua abitazione dove custodisce pochi quadri dal valore

affettivo e un proprio dipinto donato alla moglie

Foto di Fabrizio Antonelli

Alfio Del Serra, 79 anni,in posa davanti

al quadro di Raffaello“Ritratto di Leone Xcon due cardinali”,

del 1518-1519

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LFIO DEL SERRA è uno dei più grandi restauratori italiani. Nasce a Pistoia nel 1931, da studente si iscrive alla Scuola d’Arte cittadina, rior-ganizzata dopo la seconda guerra mondiale da un gruppo di artisti pistoiesi. Studia pittura e storia dell’arte e, una volta diplomato, inizia a

lavorare da apprendista restauratore in vari studi. Acquista da subito una buona tecnica e presto quelli che sono suoi maestri diventano colleghi. Dagli anni ‘50 agli anni ‘80 lavora moltissimo in tutta Italia, prima su pittura murale e affreschi e poi su tele e pale. Tra gli anni ‘50 e ‘60 lavora anche a Pistoia nella chiesa di San Francesco, nel Duomo. L’ultimo suo lavoro su pitture affrescali è stato a Pistoia sulle tempere del Boldini di Villa Falconiera. Negli anni ‘80 inizia la collaborazione con gli Uffizi, per cui lavorerà esclusivamente e a tempo pieno per oltre venti anni. E’ in questo periodo che Del Serra ha a che fare con i grandi della storia dell’arte italiana e mondiale come Giotto, Duccio, Cimabue, Raffaello, Leonardo, Tiziano, per citare solo alcuni dei più noti. Storico il suo restauro tra il 1986 e il 1987 della Nascita di Venere del Botticelli. Sempre negli anni ‘80 ha preso parte alla commissione internazionale formata da una ventina di esperti di tutto il mondo per il restauro della Cappella Sistina. Attualmente è vicepresidente dell’associazione Amici di Groppoli e, dall’alto dei suoi 79 anni, ha lanciato quella che lui chiama una “sfida all’ana-grafe”: il restauro del quadro di fondo della Cattedrale di Pistoia. “Un modo – spiega – per rendere omaggio alla mia città di cui sono innamorato e che mi ha dato tanto”. Lo accompagnerà nell’impresa, che vedrà la luce entro fine anno, la sua ex allieva Sandra Freschi.

Nel pool di esperti per il restauro della Cappella SistinaCHI E’

A

anche di immensa gratificazione. Per anni ho lavorato per otto, nove ore al giorno sem-pre concentrato sulla tela. Partivo da Pistoia la mattina presto per arrivare di buon ora a Firenze e anche quando tornavo a casa la mia mente era sempre rivolta al lavoro”.In sala ha anche una sua opera: “E’ una riproduzione – spiega – di una Maddalena dei primi del 1400, del Crivelli. Era il 1964 e io avevo in restauro l’originale, dipinto con i colori a uovo, tecnica usata dall’800 fino ai primi del 1400. Io riprodussi l’opera speri-

mentando quella tecnica, rispettando tutti i procedimenti dell’originale. Ero sposato con mia moglie da 4 anni: la portai a casa e

gliela regalai”. Alfio Del Serra ha stupito il mondo con il suo restauro della Nascita di Venere: un’impre-sa delicata e difficilissima che altri restaura-

tori avevano definito impossibile. “Più volte – spiega – ad alcuni illustri maestri era stato chiesto di interessarsi al restau-ro della Venere, ma tutti avevano risposto che il restauro non era fattibile: la pittura, infatti, era molto sensibile e attaccabile e di una materia fragilissima. Era un’impre-sa difficile e molti di loro erano restaurato-ri affermati che, probabilmente, non vole-vano mettere in discussione la loro meri-tatissima fama e professionalità intra-prendendo un’opera così rischiosa e con

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“Il lavoro su Botticelli era per molti un’impresa impossibile: dopo un mese di ricerche trovai la soluzione”

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ACQUA ERA ARRIVATA a livelli inauditi. C’era una vera e propria emergenza artistica, oltre che sociale. Gli affreschi e le opere d’arte di Firenze erano minacciate dall’acqua. Capolavori di valore inestimabile lottavano

contro la fanghiglia e contro attacchi che mai ci saremmo immaginati di dover fronteggiare”. Nel 1966 Alfio Del Serra aveva poco più di trent’anni ed era già un restauratore affermato. Quando Firenze fu sommersa dall’acqua, durante l’al-luvione, lui iniziò un lavoro instancabile per salvare il salvabile di quell’immenso patrimonio artistico che veniva dura-mente minacciato (nella foto una delle opere colpite). “Eravamo pochi restauratori, mentre i pericoli di danneggia-mento alle opere d’arte erano tantissimi e gravi. Furono giorni, settimane, indimenticabili. Ci trovammo a fronteggiare situazioni in cui c’erano da prendere decisioni difficili e importantissime in pochi istanti. Mi ricordo, addirittura, di aver staccato dai muri affreschi bagnati, quando invece, solitamente, lo si fa solo se sono asciutti. Ma in quei momenti la tecnica ordinaria non era sufficiente: c’era bisogno di rapidità e capacità di inventiva, altrimenti si rischiava di perdere tutto. E’ proprio per questo, forse, che quella tragedia fece fare anche uno scatto importante a livello di nozioni e cono-scenze al restauro: scoprimmo nuove forme di aggressione delle pitture e nuovi metodi per fronteggiarle”.

Le nuove tecniche nate per salvare il patrimonio a rischioL’ALLUVIONE DEL ‘66

“L’

tante probabilità di fallimento. Quando la direzione degli Uffizi mi propose di interes-sarmene, accettai, ma a una condizione: feci una lunga e detta-gliata relazione sugli obiettivi che dovevano essere raggiunti per ini-ziare il restauro; se non fossi riuscito a raggiungerli mi sarei ritirato. Iniziai così a fare delle prove di pulitura, ma non riuscivo mai a ottenere il risultato giu-sto. Per un mese tutte le sere tornavo a

casa arrabbiato arrovellandomi su quale fosse la formula giusta, la miscela di solven-ti e la tecnica adeguate per poter operare

sulla tela. Poi, dopo un mese, la trovai e il restauro andò avanti feli-cemente, approvato anche dalla critica”. E

aggiunge: “Ogni opera d’arte dietro di sé ha un mondo da sviscerare: contenuti filosofici, storici, psicologici: questo, almeno, fino all’arte di fine Ottocento, inizi Novecento. Lì

sta la cesura, quando l’arte ha smesso di essere poesia dell’esistenza e della natu-ra ed è diventata intellettualistica. Sono convinto che le due cose non si possano accostare: non si potrà mai mettere un grattacielo in piazza Signoria. E’ per que-sto, a esempio, che non condivido l’instal-lazione della Luna nel Pozzo, con tutto il rispetto per l’artista, in piazza dell’Ospe-dale: meglio un’originale brutto, ma coe-rente, che un’installazione di cemento e acciaio”.

“Nel Novecento l’arte ha smesso di essere

poesia dell’esistenza”

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Del Serra si raccontaalla “nostra” Marta Quilicisul divano di casaUn dipinto del Crivellidel 1400 che raffigurala Maddalena: il restauratorepistoiese l’ha riprodottofedelmente rispettando tuttele tecniche antiche, come quella dei “colori a uovo”.Visto l’ottimo risultato,Del Serra ha regalatoil quadro alla moglie

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L

Leggende

La tomba di Cino, in Cattedrale a Pistoia

UN PaDRE DELLa LEttERatURa

Il nostro

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Cino il poeta (e non solo)

C INO, OVVERO GUIttONcINO, nasce nel 1270 a Pistoia da ser Francesco di Guittoncino, della famiglia magnatizia dei Sigibuldi o Sigisbuldi (ma negli

atti il cognome familiare è più spesso dei Sinibuldi) e da Diamante di Bonaventura, in una casa in cui scorreva il torrente Brana, tant’è che Cino da Pistoia fu chia-mato anche Cino ‘da Brana’.Della sua infanzia e della prima giovi-nezza sappiamo ben poco: fu allievo della scuola di grammatica di Francesco da Colle, studiò diritto sotto Dino dei Rossoni del Mugello e in seguito fre-quentò l’università di Bologna, avendo come maestri Francesco d’Accursio e Lambertino Ramponi. Soggiornò in Francia fra il 1292 e il 1294, dove fu discepolo a Orleans del grande Pietro di Belleperche. Dalla Francia tornò a Bologna e poi a Pistoia, dove nel 1302 sposò Margherita degli Ughi, guelfa di parte bianca.Cino, al pari dell’amico Dante, fu invece di parte nera e dunque di tendenze ghi-belline. Proprio per le idee politiche, nel 1303, fu bandito in esilio. Dopo tre anni di

dolorosa separazione dalla città e dalla donna amata, rientrò a Pistoia ove ricoprì importanti incarichi. Nel 1310 salutò con entusiasmo la venuta di Enrico VII in Italia, ma tre anni dopo ne pianse la morte e con essa la fine delle speranze ghibelline. Nel 1314 conseguì a Bologna

la laurea in diritto (la licentia docendi) e dal 1321 insegnò diritto civile nelle univer-sità di Siena, Perugia, Napoli (dove ebbe come discepolo anche Giovanni Boccaccio), Firenze e di nuovo in quella di Perugia. Precedentemente a Pistoia aveva ricoperto la carica di giudice al Tribunale Imperiale (dove fu chiamato da Ludovico V di Savoia in qualità di asses-sore alle cause civili di Porta Guidi) e

presso la Corte dei Marchesi di Camerino. Cino morì a Pistoia nel 1336. Ebbe cin-que figli: Mino, Diamante, Giovanna, Lombarduccia e Beatrice. Mino morì prematuramente e il padre, nel proprio testamento, istituì erede univer-sale il nipote Francesco, figlio di Mino, mentre le quattro figlie furono nominate mere legatarie.Per avere un’idea dell’importanza che la poesia di Cino ha avuto nella storia della letteratura italiana è sufficiente ricordare come sia Dante che Petrarca, rispettiva-mente nel De Vulgari Eloquentia e nel Canzoniere, ne abbiano tessuto le lodi. L’Alighieri, nel suo trattato sull’eloquen-za volgare, gli riconobbe eccellenza nei ‘dolci detti’, nella voce ‘sì dolce e latina’, annoverandolo fra gli uomini sommi ad aver cantato in lingua volgare e indican-do la sua poesia come insigne modello d’amore nel più generale contesto del suo ragionamento su quale delle tre lin-gue romanze (italiano, francese e pro-venzale) avesse la supremazia e risul-tasse più delle altre vera erede della lingua e della cultura latina. Dal canto suo Petrarca, piangendone in un sonet-

Dante e Petrarcanelle loro operetessero le lodidi questa voce

“sì dolce e latina”

amoroso messer

L

Leggende

Lorenzo Marchi Studioso

Foto di Fabrizio Antonelli

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poggiò le sue basi su fondamenta tanto dantesche quanto cavalcantiane. È comunque inevitabile riconoscere l’im-portanza che la figura dell’Alighieri assun-se nei confronti del nostro poeta e il ruolo di ‘autore’ cui il fiorentino assurse: nella storia del gusto e della cultura di Cino, della formazione del suo linguaggio, Dante occupò il primo e più degno posto, stette

per un’intera tradizione, fu l’immagine viva e autorevole della poesia. Come ha dimo-strato Domenico De Robertis, le sue rime costituirono per Cino una miniera inesau-ribile, fino a offrirgli veri e propri modelli organici, determinando e guidando l’ispi-razione, condizionando la scelta dei temi e il loro intero svolgimento; e i richiami

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Fu anche avvocato,insegnante di diritto

e (forse) il primo cultoredella medicina legale

to la morte, concordò con Dante nel definir-lo ‘il nostro amoroso messer Cino’, colui che tutto intese’.Per avere un’idea della portata dell’espe-rienza lirica ciniana occorre chiarire che cosa significasse prima di lui poesia, al fine di comprendere il profondo mutamento di disposizione verso la lirica che caratterizzò la presenza storica di Cino. Partendo dal confronto con Dante e pas-sando per la crisi che colpì una certa con-cezione di poesia (che aveva toccato il culmine proprio con la Commedia dell’Ali-ghieri) sul declinare del tredicesimo secolo, si può chiarire una nuova visione lirica, cui il pistoiese pervenne gradualmente in seguito a un lungo esercizio di scuola, mai però accostando all’atto poetico la riflessio-ne tecnica. Se la nuova poetica di Cino, una volta definitasi e liberatasi, fu decisa-mente distante da quella di Dante, analo-gamente lo fu da quella dell’altro grande esponente dello Stilnovo, Guido Cavalcanti. In ogni caso la concezione lirica ciniana

innumerevoli a quei testi, per una gamma estesissima di gradazioni e sfumature, interessano quasi ogni settore del “canzo-niere” ciniano, sono un fatto pressoché costante della sua storia, fan sistema (che non avviene per gli altri stilnovisti). Dante incarnava la fiducia in quei valori e nella parola in quanto capace di esprimere evo-care riscattare quei valori, che a Cino era venuta meno, di cui il pistoiese rappresen-tò la caduta. Il fiorentino fu l’ultima grande voce del Medioevo, l’estremo difensore di un mondo ormai in declino e irrevocabil-mente avviato verso la sua dissoluzione. Per Cino egli riassunse, con la potenza accentratrice del suo genio, tutta la tradi-zione poetica medioevale; e di questa il nostro poeta subì il fascino nella persona e nell’opera del suo ultimo campione. Quella di Cino è una lirica sì amorosa, ma segnata al contempo dal dolore e dal sen-timento della morte: il proprio tormento fu per lui materia costante di poesia e sotte-se una continua presa di coscienza

L

Leggende

ER CINO la lirica significò confessione, l’atto stesso della sua inquietudine. Solamente la sua particolare vicenda aveva rilevanza e null’altro poté narrarci che la sua intima storia, l’avventura del suo pensiero. Cino (nella foto il

volto che gli viene attribuito), ancor prima del Petrarca, anche se con intensità e accento assai attenuati, volle dire poesia che nasce dalla memoria. In lui si fece pian piano strada, fra molteplici richiami letterari, la certezza della propria infelicità: iniziò a cogliere, nel dialogo coi testi, la flessione d’un più intimo discorso, l’affiorare irresistibile di ragioni per-sonali: la lettura, l’esperienza letteraria tesero a addensarsi in esperienza umana. La rappresentazione ossessiva del proprio tormento non fu fine a se stessa, ma servì a fissare il clima del discorso; di quel discorso al quale irresistibil-mente, per tante vie, tese la sua ricerca. Ciò che a lui importava non era tanto che la sua poesia portasse il peso della propria angoscia, fosse essa stessa tormento, sofferenza cieca; ma che fosse consapevolezza di questa immanenza di dolore, chiarezza del proprio destino: accettazione, sì, della propria precarietà e fragilità, una fragilità pensosa. Poesia era prender coscienza del proprio dolore, seguirne il lento, fatale progresso, lo strazio di un perire senza fine, l’assillante confronto fra l’essere e il non esser più, lo sforzo instancabile di recuperare ciò che era perduto, di rendersi ragione di ciò, l’ansia continua (fatta intimo, inquieto dialogo) di quelle ragioni.

Nasce dalla memoria il discorso intimo sulla fragilità

P

LA LIRICA

Pur essendonedecisamente distante,

la lirica cinianapoggiò le basisu fondamentasia dantesche

che di Guido Cavalcanti

Illustre giurista,scrisse varie opere

diffuse in tutta Europa,insegnò diritto

in molte universitàe svolse attività di giudice

consulente e avvocato

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Leggende

EGGENDO le rime di Cino è inevitabile ravvisare l’onnipresenza del motivo della morte. La parola “morte” (con i suoi sinonimi, derivati o termini semanticamente affini) ricorre praticamente in ogni componimento, anche con numerose occorrenze all’interno della medesima liri-

ca. Postulata talora come un eventuale pericolo, un’astratta e remota possibilità, la morte si fa sempre più concreta man mano che si scorrono le liriche, sino ad assurgere a vera e propria personificazione. Diviene ricorrente a un certo punto l’invocazione alla morte come liberatrice dal tor-mento amoroso (anche Amore viene esortato dal poeta a esser verso di lui un “micidial piatoso”, ovvero un assassino misericordioso). Il motivo naturalmente permea di sé il planctus per la donna amata (il lamento in morte di Selvaggia), nonché il gruppo di sonetti scritti per una donna vesti-ta a lutto, la donna ‘scura’. Alla morte stessa, presente anche come personificazione, Cino si rivolge spesso. Dunque siamo dinanzi a una presenza costante, con la quale il poeta-amante entra in dialogo frequente, sicché il seguente verso potrebbe rappresentare, un manifesto della poetica ciniana: Lasso! ch’amando la mia vita more. A un certo punto però nemmeno il trapasso è più visto come una liberazione dalla sofferenza dal momento che esso priverebbe della possibilità di contemplare madonna. Talvolta si adombra persino l’idea del suicidio, subito accantonata dal momento che implicherebbe l’eterna dannazione.

Invocare la morte per liberarsi dai tormenti del cuoreIL MOtIVO RIcORRENtE

L

dell’ineluttabilità di una condizione ango-sciosa. Le sue rime risultano ossessiona-te da alcuni motivi ricorrenti, primo fra tutti quello della morte, accompagnati da espressioni di dolore e di inquietudine senza pace. Queste immagini e la loro resa poetica si ripropongono ciclicamente nella poesia di Cino, proiezioni liriche della sua inquietudine, che lo assillarono e rappresentarono la materia prima del suo poetare, il movente e il fine della sua ricerca espressiva.Oltre che di insigne poeta, Cino ebbe

anche fama di illustre giurista. Egli scrisse varie opere giuridiche (un insieme impo-nente di scritti di cui gli specialisti lodano la relativa modernità, precorritrice di posi-zioni rinascimentali), insegnò diritto in molte università italiane e svolse attività di giudice, di consulente e di avvocato (con-siliator). Come ha ben messo in luce Lino Di Gloria, Cino non fu soltanto un celebre scrittore di opere giuridiche e un acuto consiliator, ma anche un valente inse-gnante di diritto o, come allora si diceva, un ‘lettore’. Ovunque diffuse gli insegna-

menti della rinascente cultura giuridica francese, divenendo famoso in Italia e all’estero per acutezza d’ingegno e per novità di concetti. Fu giustamente rite-nuto uno degli uomini più sapienti ed eloquenti del suo tempo e il massimo maestro nel campo del diritto, tant’è che le sue opere si diffusero anche in Francia, Spagna e Germania e i suoi libri venivano rilasciati per testamento alle più celebri università. Taluni studio-si, per di più, ritengono Cino il primo cultore di medicina legale.

Affresco di scuola bolognese del XIV secolo, raffigurante tre poeti: Dante, Cino da Pistoia e Petrarca. Non c’è certezza sull’appartenenza dei volti:probabilmente Cino è la figura al centro.L’affresco si trova nell’antico refettoriodella chiesa di San Domenico, a Pistoia

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Anna AgostiniBibliotecaria e ricercatrice

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CCultura

Fondata il 23 aprile 2007 nell’area ex Breda,in uno dei capannoni della vecchia aziendadi automobili e veicoli ferroviari,è oggi la più grande biblioteca della Toscana

dei saperiSan Giorgio

La fabbricaLa meravigliosa galleria centrale,

elemento portante su cui si affacciano quasi tutti gli ambienti della biblioteca

CCultura

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“Corpo 20” e rappresenta uno dei primi passi verso la riconversione di quest’area urbana di circa 13,5 ettari che ci auguriamo avrà presto un ruolo centrale nella vita di Pistoia: insieme alla biblioteca e all’adia-cente università, verranno realizzate una sede per gli ordini professionali, un centro congressi e molti uffici pubblici. In quest’ottica di riconversione si col-loca a pieno titolo il progetto della nuova biblioteca che ha esaltato lo scheletro dei vecchi capannoni industriali introducendo al tempo stesso valori della contempora-

neità. L’architetto Massimo Pica Ciamarra, cui si deve la realizzazione del progetto, spiega: “Questione di base dell’intervento

non era solo soddi-sfare la funzione “biblioteca” ma anche intrecciare nella nuova espres-sione architettonica la “memoria” della fabbrica e il senso di “strumento di ricer-ca” insito in una biblioteca, legando memoria e futuro”.

La biblioteca si presenta come un edificio sobrio nel suo assetto architettonico, quasi “nordico”, un edificio che, recependo le tendenze in atto nelle nuove biblioteche,

L A BIBLIOTECA SAN GIORGIO è stata inaugurata il 23 aprile 2007, giornata mondiale del libro e del diritto d’autore, con una intitola-

zione che, se da una parte richiama il santo martire, commemorato liturgicamen-te in quel giorno, dall’altra segna un espli-cito collegamento con la storica azienda San Giorgio. La biblioteca sorge, infatti, nella zona sud occidentale di Pistoia, in quell’area indicata come ex-Breda, occu-pata a partire dal 1907 dalla Fabbrica per automobili e veicoli ferroviari, San Giorgio che dal 1973 – con la nuova denominazio-ne Breda Costruzioni ferroviarie –, trasferì la produzione nello stabilimento di via Ciliegiole.La biblioteca nasce proprio in uno dei capannoni della vecchia fabbrica, definito

Inaugurata nella Giornata del libro, rappresenta

un intreccio di memoria e futuro.Tante le opere d’arte,

tra cui spiccanoil battello di piombodi Kiefer e i ritratti

di Pasolini e Bigongiari

L PROGETTO DELLA SAN GIORGIO è stato realizzato dallo Studio Pica Ciamarra Associati, di Massimo Pica Ciamarra, architetto nato a Napoli nel 1937, presidente dell’Observatoire International de l’Architecture e vicepresidente dell’Istituto Nazionale di Architettura. Dopo la laurea,

Pica Ciamarra diviene assistente di Marcello Canino e successivamente di Michele Capobianco, ricoprendo per anni la cattedra di Progettazione architettonica all’Università Federico II di Napoli. Nel 1970 fonda lo studio Pica Ciamarra Associati. Fra le sue opere più note, l’Unità polifunzionale di Arcavacata dell’Università della Calabria del 1972/74, la Città della Scienza a Napoli-Bagnoli del 1997/2003.

Pico Ciamarra, l’architetto della Città della Scienza IL PROGEttISta

I

289.724 visitatori 14.452 documenti acquisiti 150.000 “prestiti” nel 2009

Visione esterna dell’avveniristica struttura sorta in uno dei capannoni

che un tempo ospitavano la produzione di automobili e veicoli ferroviari

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CCultura

ALL’AGOSTO 2008, Maria Stella Rasetti (nella foto) ricopre il ruolo di dirigente del Servizio Biblioteche e Attività Culturali del comune di Pistoia, svolgendo le funzioni di direttrice delle biblioteche Forteguerriana e San Giorgio.

Pisana di nascita e formazione (ha studiato filosofia alla Scuola Normale), è fiorentina per professione (ha lavorato fino al 2008 a Empoli e prima in altri comuni della provincia di Firenze). Nell’ateneo del capoluogo toscano è docente di materie biblioteconomiche da molti anni, avendo al suo attivo numerose pubblicazioni. E’ anche presidente della sezione Toscana dell’Associazione Italiana Biblioteche. “La San Giorgio è un grande laboratorio di azione culturale: un luogo speciale, dove è possibile sperimentare modi innovativi di far incontrare la domanda e l’offerta di conoscenza. Una vera e propria fabbrica dei saperi, dove tutti possono cercare le risposte alle proprie esigenze di informazione, di apprendimento, approfondimento degli interessi personali e impiego del tempo libero. Alla San Giorgio si viene per fare tante cose diverse: studiare, scegliere un libro da leggere prima di addormentarsi, informarsi sui concorsi appena usciti, navigare su internet, guardare un film, ascoltare una conferenza, ammirare una mostra d’arte, o – più semplicemente – leggere un giornale, sfogliare una rivista, bere un caffè, incontrare amici. Lavorare qui è, per me, un privilegio straordinario: un’importante opportunità professionale e assieme una grande sfida”. La sfida è soprattutto quella di far fronte alla crisi che colpisce gli enti locali e di conseguenza anche le biblioteche, rendendo sempre più arduo mantenere strutture così grandi e impe-gnative sul fronte dei costi. “I numeri parlano chiaro: la San Giorgio è stata una scommessa che l’Amministrazione ha vinto alla grande. Le presenze oscil-lano tra le mille e le duemila unità al giorno; nei mesi invernali si registra regolarmente il tutto esaurito, e i prestiti al termine di quest’anno supereranno quota 150.000. Livelli di servizio di questo genere richiedono un grande investimento economico che però ritorna moltiplicato nelle tasche delle famiglie pistoiesi sotto forma di opportunità messe a disposizione di tutti”.

“Parlano i numeri, è una scommessa vinta alla grande”La DIREttRIcE RaSEttI

D

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CCultura

i propri interessi. Lo studioso, dopo aver consultato i catalo-ghi in linea (Opac), può accedere alle pro-cedure di prestito o salire nelle aree dipar-timentali (lingue e letterature, scienze

umane, scienze sociali, scienza e tecnologia, arte) e consultare negli scaffali aperti i perio-dici specialistici, le opere di consultazio-ne di settore. Lo studente può approfondire le sue conoscenze o sem-plicemente dedicarsi alla lettura in una delle tre aree deno-minate San Giorgio Ragazzi (Sala bam-bini, Sala ragazzi, Zona Holden).

Chiunque, nessuno escluso, può fermarsi a leggere un quotidiano (sono 15 le testate di giornali correnti possedute dalla bibliote-ca) o una rivista (240 le testate di periodici), intrattenersi con un saggio specialistico o dilettarsi con un libro di narrativa e infine spostarsi nella mediateca per visioni di film

o altri contenuti multimediali. A completare la serie di servizi offerti dalla San Giorgio, diverse postazioni di accesso a Internet, possibilità di prestiti interbibliotecari, garan-titi da un’efficiente rete di collegamenti con le biblioteche del territorio regionale e nazionale.A rendere ancora più piacevole il “vivere” in questa biblioteca le importanti opere d’arte in essa collocate: dalla grande tela raffigu-rante un battello di piombo di Kiefer carico di libri ai quasi narranti ritratti di Pasolini e Bigongiari di Daniele Capecchi, dal ritratto di Terzani di Magrin all’Iperlibro di Dora Tass, fino ad arrivare alla già citata opera di Barni.La San Giorgio è dunque una biblioteca “popolare” nel senso buono del termine, una biblioteca per tutti, dove si susseguono eventi diversi, presentazioni, mostre, dibat-titi, che aprono orizzonti verso le altre cul-ture della contemporaneità.La nuova biblioteca, che ricordiamo essere la più grande della Toscana, si colloca come completamento delle storiche biblio-teche pistoiesi – Forteguerriana e Fabroniana – che, con i loro importanti e preziosi patrimoni documentari, costitui-scono un punto di riferimento per gli studio-si di ogni parte del mondo.

riduce la presenza dei magazzini, favorendo spazi di lettura a scaffale aperto. E’ organiz-zata in solo due livelli per facilitare la circo-lazione e soprattutto predilige la luce natu-rale che penetra dalle grandi finestrature e dai “camini di sole” sulle volte di copertu-ra.La struttura della San Giorgio si basa su tre navate voltate che coprono circa 10.000 metri quadrati.Elemento portante dello spazio interno è la galleria centrale attorno alla quale si affacciano quasi tutti gli ambienti della biblioteca. Questa galleria con l’albero, alcune sedute infor-mali, la vasca e la caffetteria dà l’idea di un luogo aperto, di una piazza cittadina di un luogo di incontro e di dialogo. Da qui ci si muove, come si muovono le figure viandanti dell’artista pistoiese Roberto Barni (si tratta dell’opera Maniera e Passi scuri da poco installata nella Galleria) verso

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Meno magazzini e più spazi di lettura nei 10 mila metri

quadrati su due piani,l’elemento portante

è la galleria centrale.Albero, vasca e caffetteria

ne fanno una piazza “virtuale”come luogo d’incontro.

E poi sale ragazzi,giornali, mediateca,postazioni internet

e prestiti interbibliotecaria livello nazionale

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02-03

Le sale di lettura contraddistinte dall’opera di Kiefer raffigurante un battello di piomboDue particolari della galleria centrale: fra i vari intrattenimenti della biblioteca, anche15 quotidiani e 240 periodici

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UNa DELLE cHIESE più antiche, belle e importanti di Pistoia, San Pier Maggiore. Lo testimoniano l’impianto

architettonico, la facciata che conserva l’originario aspetto romanico e il para-mento murario esterno, splendido esem-pio di policromismo pistoiese. La facciata a decorazione bicroma, ornata da cinque arcate, su tre delle quali si aprono il por-tale centrale e i due laterali, richiama quella di San Bartolomeo in Pantano; le sculture dell’architrave, che rappresenta-no Gesù nell’atto di porgere le chiavi a San Pietro, contornato dagli apostoli e dalla Vergine, pare siano da attribuire all’officina dei Guidi, scultori presenti a Pistoia intorno alla metà del 1200. Sovrastano i portali d’ingresso, a destra e a sinistra, due bellissimi grifoni in

marmo bianco. Secondo alcuni storici l’edificio risale probabilmente all’epoca longobarda, precisamente all’VIII secolo, e non si può escludere un precedente impianto paleocristiano. L’ipotesi non pare suffragata da una su f f i c ien te documentazione; è comunque certo che la chiesa dedi-cata a San Pietro era preesistente al monastero di bene-dettine, istituito nel 1091. Fin dall’antichi-tà rivestì un ruolo di grande importanza, dato che da essa prese il nome la porta sud della città, detta infatti porta Sancti Petri. Le monache rimasero nel convento fino alla fine del 1700, quando esso fu soppresso per volontà del vescovo

Scipione de’ Ricci. La chiesa venne ampliata nel 1086 e, successivamente, nel 1124, fino ad assumere, nel 1263, l’aspetto attuale. Nel XVII secolo fu rea-lizzata la completa ristrutturazione dell’in-

terno, arricchito di decorazioni di gusto barocco.Da molti anni, ormai, la chiesa è chiusa al culto, anche se, con-trariamente a quanto comunemente s i

crede, non è mai stata sconsacrata.Dal 1912 il complesso di san Pier Maggiore divenne possesso del Comune di Pistoia per utilizzazioni di pubblico interesse, che, in realtà non sempre ten-nero in considerazione la sacralità dei luoghi e il loro straordinario valore artisti-

Alberto CiulliniGiornalista

San Pier Maggiore

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Monumenti

Dove vescovo e badessa celebravano le “nozze”

E’

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Chiusa al culto da molti annima mai sconsacrata, dal 1912

appartiene al Comune.Occupata da truppe in guerra,

è stata adibita a magazzino

Foto di Fabrizio Antonelli

attenzione al monastero, per opera, prima dell’architetto Albino Secchi e poi dell’ar-chitetto Giovan Battista Bassi. I locali dell’antico convento, opportunamente ristrutturati, avrebbero dagli anni ‘60 accolto l’Istituto d’Ar-te Petrocchi, che fu diretto per un lungo per iodo p ropr io dall’architetto Bassi. Nel corso dei restauri l’altare maggiore venne trasferito nella chiesa di San Bartolomeo, dove tuttora si trova. Le ultime iniziative di restauro risal-gono agli anni Novanta, quando l’architet-to Paola Grifoni, che dirigeva il lavoro concernente l’esterno, era sul punto di realizzare anche quello dell’interno e del monumentale organo Tronci che cam-

peggia dal 1822 sulla controfacciata: però, cause di forza maggiore (il terremoto in Umbria) fecero mancare lo stanziamento dei fondi necessari. Fu un vero peccato, perché da allora andarono incontro

a un progressivo degrado sia le condi-zioni dell’interno della chiesa che quelle dell’organo, strumen-to rarissimo, proba-bilmente il più grande fra gli organi in Italia.

Sul monumentale complesso, sia l’ex con-vento, oggi Istituto d’Arte, che l’antica chiesa, c’è una ragguardevole documen-tazione. Alberto Cipriani, uno dei massimi studiosi e ricercatori contemporanei di storia locale, si è interessato della chiesa di San Pier Maggiore con la pubblicazio-

co: durante i conflitti mondiali, infatti, sia i locali del convento che la chiesa conobbe-ro l’occupazione delle truppe militari. Dopo la Grande Guerra si procedette ai necessa-ri restauri e si concesse l’uso della chiesa come sala da concerto all’Accademia del teatro Manzoni. Nel periodo fra le due guerre, come già avvenuto nel 1913, il convento dette ospitalità alle Fanciulle Abbandonate, ma la destinazione dell’inte-ro complesso appariva ancora incerta e dibattuta.Con il secondo conflitto la chiesa tornò ad essere occupata da truppe militari, da sfol-lati e, successivamente, a essere adibita dal Comune a usi a dir poco singolari, fra i quali quelli di cantiere e magazzino.Nel secondo dopoguerra, dopo anni di studi e progetti, presero il via le attività di restauro del complesso, con particolare

Qui avveniva la cerimonia dell’antico e simbolicoSposalizio tra la Chiesa

e il nuovo pastore che entrava in città

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Monumenti

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Una visione esternadi San Pier Maggiore;

nelle due pagine successivel’inedito aspetto interno,

conoscenza di pochivisto che la chiesa

è chiusa al culto.

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Monumenti

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ne, nel 2007, di un volume dal titolo “Per rinnovare il bel corpo della Chiesa”, edito dagli Ori e sponsorizzato dalla Banca di Pistoia. In questo volume, Cipriani dedica un consistente capitolo, corredato di foto-grafie, a San Pier Maggiore ricostruendone la storia fino ai nostri giorni e mettendo in risalto l’importanza del ruolo che questo complesso ha avuto nelle vicende storiche del nostro territorio. Cipriani ricorda in modo particolare l’antica cerimonia dello “sposalizio” della Chiesa pistoiese che ogni nuovo vescovo doveva fare entrando in città, cerimonia che è stata descritta per la prima volta nelle “Cronache di ser Luca Dominici” per l’ingresso del vescovo Matteo Diamanti il 30 maggio 1400. “Il nuovo vescovo, ricorda Cipriani nella sua pubbli-

cazione, doveva entrare in città da Porta Lucchese su una bianca cavalcatura, diri-gendosi poi alla chiesa di San Pier Maggiore. Lì avvenivano le simboliche nozze con la Chiesa che veniva a governa-re, incarnata dalla badessa del monastero. Come si conveniva a ogni matrimonio, c’era un fastoso letto ove i due “sposi” si sedevano appaiati. Poi, “consumato” sim-bolicamente il matrimonio e dopo la conse-gna dell’anello alla badessa, il vescovo riprendeva la via della cattedrale”. Negli anni successivi, la presenza del letto durante la cerimonia fu ritenuta troppo audace e da allora i due personaggi sedet-tero su appositi seggioloni. Tante iniziative sono state e stanno per essere realizzate per valorizzare l’intero complesso.

Importante è il progetto che sta portando avanti l’Istituto d’Arte Policarpo Petrocchi, diretto dalla preside Elisabetta Pastacaldi, che prevede il restauro del matroneo della chiesa, accessibile dall’interno del convento, da adibirsi a spazio museale per l’esposizione delle opere dell’artista pistoiese Andrea Lippi, uno degli espo-nenti più interessanti del simbolismo del primo ‘900. Un’altra importante iniziativa, che riguarda il convento e la chiesa, è stata la pubblicazione di una ricerca sto-rica e artistica nella collana “Quaderni d’Archivio” del comune di Pistoia, dal titolo “San Pier Maggiore: da convento a scuola”, realizzata da Lucia Petrocchi, Giovanna Bargnoni, Nicola Bottari Scarfantoni e Maria Camilla Pagnini.

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Monumenti

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L A CHIESA di San Pier Maggiore custodisce un grandioso organo a tre tastiere (nella foto), dotato anche di un notevole numero di registri (oltre sessanta) e reso ancora più eccezionale dalla presenza

di ben due pedaliere, una di quindici tasti unita al grande organo, l’altra di otto unita al piccolo organo. Oggi il suo stato di conservazione è gravemente compromesso ma lo strumento, opera di Benedetto Tronci (1822), può essere ancora salvato. “Si tratta di uno strumento raro — dice don Pineschi, che da anni conduce una battaglia per il restauro della chiesa e del suo organo — perché a tre tastiere, delle quali una genera una voce lontana che fa credere essere l’eco dell’organo stesso… E’ un organo monumentale, uno dei più grandi d’Ita-lia, che tutto il mondo ci invidia, meravigliandosi delle attuali condizioni. Purtroppo, il restauro dell’organo è subordinato a quello dell’interno della chiesa e più il tempo passa più difficili e costose divengono le possibili-tà di un restauro. Già adesso occorrerebbero almeno 500mila euro. Credo che valorizzare una simile opera d’arte significhi mettere in risalto il patrimonio artistico della nostra città”. Ma il sogno di don Pineschi è anche un altro. “La realizzazione nella chiesa di una sala-concerti con una capienza di oltre trecento persone: ha un’ottima acustica e il presbiterio potrebbe accogliere un’intera orchestra sinfonica”.

L’organo a tre tastiere, fra i più grandi d’Italia. Da restaurareUN PREZIOSO STRUMENTO

L’intero complessopotrebbe essere prestovalorizzato dai restauridell’Istituto d’arte natoal posto del convento

di benedettine

Secondo alcuni storicil’edificio risale

all’epoca longobarda.Da anni chiusa al culto,

la chiesa in realtànon è mai stata sconsacrata

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ambasciatori come Sergio Romano e Roberto Gaja, ha scritto decine di libri e 150 pubblica-zioni tradotte in inglese, tedesco, polacco, russo, spagnolo. Ma gli occhi di Giorgio

Petracchi, sardo di Iglesias all’anagrafe, pistoiese nel sangue e nella quotidiani-tà, toscano nell’animo, si illuminano d’orgoglio davanti a un foglio stampa-to da internet. Non è la nomina a professore asso-

ciato di storia dell’Europa orientale alla Cesare Alfieri di Firenze o quella a ordinario di storia delle relazioni internazionali all’università di Udine, non è la promozione a preside vicario

ER aNNI ha fatto la spola tra Washington e Mosca, tra Ottawa e Belgrado, tra Londra e Berlino esplo-rando gli archivi di stato di mezzo

mondo alla ricerca di docu-menti e tracce utili a rico-struire la storia dell’Italia e delle relazioni internazio-nali, dai rapporti tra la Russia sovietica e il fasci-smo a quelli tra l’intelligen-ce americana e i partigiani della montagna pistoiese.Ha tenuto convegni a fianco di uomini come Giovanni Spadolini o il segretario di stato vati-cano, il cardinal Casaroli, ha lavorato con

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È preside di Lingue e letterature stranieree ordinario di relazioni internazionali a Udine.Ma il titolo più lusinghiero è quello assegnatodagli studenti: un professore che “sa tutto”

Giorgio PetracchiLa storia siamo noi(e io ve la insegno)

Giulio CorsiIl Tirreno

“A giugno andròin pensione

lasciando una universitàpeggiore di quella trovata

46 anni fa”

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ASHINGTON e Mosca, Firenze e Udine ma anche Pistoia. Perché qui Petracchi vive con la famiglia e qui torna ogni volta che può. E a Pistoia — dove è stato presidente dell’As-

sociazione teatrale nel 1986 e 1987 — Petracchi ha dedicato anche studi e libri. “La svolta fu nel 1982, centenario della morte di Garibaldi. Il sindaco Vannino Chiti mi chiese se la città era coinvol-ta nella vicenda garibaldina. Risposi che la questione era interessante: in una sola estate fu alle-stita una mostra “Garibaldi a Pistoia” e uscì un catalogo aperto con il mio saggio “Mito e realtà di Garibaldi in una città di provincia”. Fu una svolta nel rapporto di Petracchi con la storia. “Cominciò lì il mio interesse per la storia locale, non più con l’ottica rivolta al passato ma nel suo intersecarsi con la modernità”. Petracchi ha costituito l’Associazione culturale Storia e città e ha pubblicato Al tempo che Berta filava. Patrioti e alleati sulla Linea Gotica, 1943-1945 (246 pp, Mursia, 1996) e ha curato il 4° volume della Storia di Pistoia nell’età delle rivoluzioni 1777-1940, (Le Monnier, 2002).

La scoperta di Garibaldi a PistoiaRIcERcHE

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della facoltà di lingue e letterature straniere dell’ateneo friulano e nemmeno la parteci-pazione in qualità di relatore al primo con-vegno della Santa Sede a Mosca del 1998. Non è neanche l’invito del presidente Ciampi al pranzo in onore di Vladimir Putin. No, è la pagina di un forum frequentato dagli studenti di tutta Europa. In cui tre anni fa era stato lanciato un sondaggio sui pro-fessori universitari, sui loro pregi e le loro mancanze, sul loro modo di insegnare e di rapportarsi con gli allievi. Petracchi si infila gli occhiali, lo legge ad alta voce. Lo mostra. “Guardi qua”, dice, seduto sul diva-no della sua villetta bifamiliare appena alle porte della città, jeans scuri, le maniche

Giorgio Petracchi, studioso e professore universitario, grande esperto di storia e diritto internazionale

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Locale e globale, l’intreccio della modernità LE PUBBLIcaZIONI

rica. A giugno andrò in pensione lasciando un’università peggiore di quella che avevo trovato 46 anni fa».Il rewind sul Petracchi di allora, giovane studente universitario, è immediato. E sorprendente. Perché per uno che si è laureato a Firenze col professor Rodolfo Mosca, che ha passato giornate a casa di Renzo De Felice, il massimo studioso del fascismo a livello mondiale, i primi insegnamenti ricevuti sui banchi di scuola potreb-bero sembrare quasi superflui. E invece la lista di tutti i suoi maestri sembra ancora scolpita nella memoria. “Gli anni del liceo, sotto la dolce dittatura della signora Caterina Maggi Poggi, passarono in fretta. Ma due altri insegnanti da cui andavo a lezione per recupe-rare le mie lacune scolastiche, segnarono la mia formazione.

della camicia celeste che escono da un gilet in tono con l’imman-cabile foulard. “Sa tutto”, scrive un ragazzo. E un altro aggiunge: “E come lo insegna!”.Il sorriso gli contorna il volto. Quel giudizio di uno studente e quei voti spontanei di tanti suoi allievi che lo hanno incoronato tra i migliori professori d’Italia, per lui sembrano valere più di dodici pagine di curriculum che compaiono sul sito dell’università di Udine o delle migliaia di fonti web che si aprono digitando Giorgio Petracchi su Google. “Negli Stati Uniti — racconta — esistono tre parametri di valutazione di un professore: la produzione scientifi-ca, la partecipazione ai comitati, la valutazione degli studenti. Da noi la meritocrazia invece è spesso ignorata e questo mi ramma-

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E’ UN PIANO nella libreria dello studio di Giorgio Petracchi in cui sono raccolti tutti i suoi volumi e le sue pubblicazioni. Decine e decine. Di storia mondiale e di storia locale. Anche se poi – come sottolinea lui – le due storie si intrecciano. “Ed è proprio questo l’aspetto più interessante, la dia-

lettica global-local. Come la globalizzazione si riverbera nel nostro habitat”. Un esempio? “Come la rivoluzione francese irrompe su Pistoia, come la nostra comunità accetta l’arrivo travolgente di Napoleone. Oppure l’importanza della partecipazione dei preti pistoiesi al Risorgimento o ancora l’influsso del vescovo Scipione de’ Ricci e dei suoi legami con Leopoldo V sulla città. Dalla storia locale si vede la penetrazione del mondo esterno su un luogo, ciò che è accettato o rifiutato”. C’è anche un saggio che non è stato tradotto in italiano, ma pubblicato solo in polacco: Wlochy Berlusconiego na tle historii Wloch, l’Italia di Berlusconi sullo sfondo dell’Italia di sempre. Presto arriveranno altri due libri. “Dimenticare Livorno 1921: perché con la nascita del Partito Comunista Italiano ha origine quella crisi dell’Italia che ancora non è stata superata e L’Italia nella drole de guerre 1939-40, cioè l’Italia nella guer-ra strana che riprende le stesse tematiche dell’entrata nel conflitto del 1914-15 partendo da documenti ritrovati a Washington in cui si testimonia come l’Italia fascista fosse vicina al salto con la Gran Bretagna proprio come fece dalla Triplice Alleanza alla Triplice Intesa nel 1915”.

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Giannino Ieri era grande matematico ma soprattutto conosceva benissimo l’arte moderna. Per 50 minuti si parlava di musi-ca, di arte e artisti, gli ultimi 10 di matemati-ca. Fu lui che aprì il mio orizzonte provincia-le alla dimensione estetica che coltivai con gli amici Roberto Barni e Umberto Buscioni. L’altro mio ripetitore era don Bruno Spadi, un monumento di classicità. Sapeva a memoria Iliade e Odissea, l’Eneide e la Divina Commedia. Mi insegnò che la classi-cità era il nostro passato, il presente e il futuro”.Ma i ricordi corrono ancora più lontani, agli anni dell’infanzia in uno dei contrafforti del Montalbano. “Fu la mia unica palestra di vita fino alla quarta elementare. La quinta non era impartita e occorreva scendere a Quarrata. Tanto valeva, pensò mio padre, che io la facessi a Pistoia dove lui era diret-tore scolastico. E così tutte le mattine parti-vamo da Tizzana, i primi anni a piedi, poi in Vespa, per prendere la corriera che ci porta-va a Pistoia. Furono anni splendidi, correvo in bicicletta per strade sterrate dietro l’ombra di Luciano Maggini su un’Atala verde pisello e guidavo la sassaiola contro i ragazzi dei paesi limitrofi. Della scuola mi importava il giusto, ricordo però il maestro Turi che ci

leggeva Pinocchio e il Libro Cuore”.Chi l’avrebbe detto, in quei giorni, che quel bambino di Tizzana sarebbe diventato pre-side di una facoltà uni-versitaria e tra i mag-giori studiosi mondiali di storia. La svolta avvenne dopo la matu-rità. A crearla furono due viaggi. «Nel 1959 in Germania, lungo il Reno, in treno e autostop. Quel viaggio, come quello di due anni dopo su una 600 insieme all’amico Vezio Gai, che ci portò a Madrid, a Bordeaux, a Parigi, in Lussemburgo, acuì la mia attrazione verso

i paesaggi umani viventi. In quegli anni ero stato ammesso alla scuola di canto del maestro Flaminio Contini e forse avrei

potuto diventare un tenore. Ma qualcosa era cambiato. Dopo 5 esami a chimica mi iscrissi a scienze politi-che. Frequentandola scoprii che era la facol-tà che cercavo perché

apriva alla comprensione della modernità». E da allora le scienze politiche, la sociolo-gia, il diritto internazionale, soprattutto la storia non hanno mai smesso di accompa-gnare la sua vita.

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Petracchi ha scritto decine di libri e pubblicazioni tradotte in inglese, tedesco, polacco, russo e spagnoloTante le personalitàcon cui ha lavorato,fra cui Giovanni Spadolinie il cardinale CasaroliFra i suoi incarichi,anche la presidenzadell’Associazione teatrale di Pistoia per un biennio (1986-1987)

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“La svolta di vitavenne nel 1959con due viaggi.

Ero attratto dai paesaggiumani viventi”

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