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LO SPRECO ALIMENTARE IN ITALIA

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LO SPRECO ALIMENTARE IN ITALIA

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Pubblicazione realizzata nell’ambito del progetto INEA “Promozione della cultura contadina” finanziato dal Mipaaf (DM n. 15505 del 31/07/2013) e coordinato da Francesca Giarè e Sabrina Giuca. Anno 2014.

Testi di Simonetta De Leo, Ines Di Paolo, Francesca Giarè, Sabrina Giuca.Grafica e impaginazione di Sofia Mannozzi

INEA, 2014 ISBN 978-88-8145-398-6

Da qualche anno si parla di spreco alimentare anche se il problema esiste da molto tempo. Anzi, nei Paesi industrializzati come l’Italia, con il miglio-ramento delle tecniche di produzione, conserva-zione e trasporto degli alimenti, il problema dello spreco si è molto ridotto. Lo spreco, comunque, ha un’importanza molto rilevante a livello sociale, politico ed economico, soprattutto in un periodo di crisi e di contrazione dei consumi delle fami-glie. Per questo motivo il Parlamento Europeo ha proclamato il 2014 “Anno europeo contro lo spre-co alimentare”, con l’obiettivo di ridurre gli spre-chi alimentari nella UE del 50% entro il 2025.

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i dati a disposizione sul fenomeno dello spreco alimentare risultano disomogenei e poco confrontabili, anche perché lo spreco di alimenti ha luogo in tutte le fasi della filiera – dalle perdite nella produzione, raccolta, stoccaggio, distribuzione e commercializzazione, fino alle cattive abitudini dei consumatori nell’acquisto,

utilizzo e conservazione dei prodotti alimentari – ed è quindi difficile avere una quadro completo della situazione. Quando lo spreco di alimenti avviene a monte della filiera agroalimentare, a causa di fattori climatici, mezzi tecnici utilizzati, deperibilità, cattiva conservazione della raccolta e inidonea gestione del prodotto da parte dell’agricoltore-produttore si parla di perdita alimentare (food losses).

Quando, invece, gli sprechi avvengono durante le fasi della trasformazione industriale, del-la distribuzione e del consumo finale si parla di spreco di alimenti in senso stretto (food waste). Ad oggi, il termine “alimento/cibo” (food) è definito giuridicamente all’art. 2 del reg. (CE) n. 178/2002 (c.d. regolamento sulla “General food law”)1, mentre il termine “scarto”/”rifiuto” (wa-ste) è definito nel Libro verde della Commissione europea sulla gestione dei rifiuti organici biodegradabili del 20082, ma è troppo ampio e non sufficientemente utile a caratterizzare il fenomeno dello spreco alimentare. “Per rifiuti organici biodegradabili - si legge, infatti, nel documento - si intendono i rifiuti organici biodegradabili di giardini e parchi, i rifiuti alimentari e di cucina prodotti da nuclei domestici, ristoranti, servizi di ristorazione e punti vendita al dettaglio e i rifiuti similari prodotti dagli impianti dell’industria alimentare. Non rientrano nella definizione i residui agricoli o silvicoli, il letame, i fanghi di depurazione o altri rifiuti organici biodegradabili come tessuti naturali, carta o legno trattato. Sono esclusi dalla definizione an-che i sottoprodotti dell’industria alimentare che non vengono mai considerati rifiuti3.

1 Regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio del 28 gennaio 2002 che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare, GUCE L31, 1.2.2002, Bruxelles.

2 Commissione delle Comunità Europee, Libro Verde, La gestione dei rifiuti organici biodegradabili nell’Unione europea, Bruxelles, 3.12.2008, COM(2008) 811 definitivo, p. 2.

3 Cfr. COM(2001) 264, COM(2005) 670, COM(2005) 666.

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Nel 2011 il Parlamento europeo ha offerto una definizione - giuridicamente non vincolante né armonizzata - di food waste in una relazione sulle strategie da adottare per migliorare l’efficienza della catena alimentare al fine di evitare lo spreco alimentare: “per ‘spreco alimentare’ si intende l’insieme dei prodotti alimentari scartati dalla catena agroalimentare per ragioni economiche o estetiche o per prossimità della scadenza di consumo, ma an-cora perfettamente commestibili e potenzialmente destinabili al consumo umano e che, in assenza di un possibile uso alternativo, sono destinati ad essere eliminati e smaltiti producendo esternalità negative dal punto di vista ambientale, costi economici e mancati guadagni per le imprese”4.

Fig. 1 - Lo spreco lungo la filiera agroalimentare

Fonte: Barilla Center For Food & Nutrition, 2011.

4 European Parliament, Report on how to avoid food wastage: strategies for a more efficient food chain in the EU, (2011/2175(INI)), 30.11.2011, p. 7.

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l a prima fase della filiera agroalimentare, la fase della produzione, comprende tutte le attività legate alla coltivazione durante le quali fattori climatici, ma anche malattie e infestazioni mettono a rischio le produzioni con la possibilità di determinare delle perdite nel raccolto finale.

Nei Paesi in via di sviluppo, le perdite sono prevalentemente dettate da un’agricoltura poco efficiente, dove le competenze tecniche, finanziarie, strutturali e manageriali sono limitate. Nei Paesi industrializzati il fenomeno delle perdite è sicuramente meno rilevante rispetto ai Paesi in via di sviluppo. Infatti l’adozione di adeguate tecniche di preparazione del terreno, semina (sementi selezionate, tempo della semina ecc.), utilizzo di acqua, fertilizzanti e agrofarmaci consentono di contenere le perdite causate da fattori esterni.

Tuttavia, agenti atmosferici ed altri eventi esterni possono causare perdite in campo anche rile-vanti. I mancati raccolti sono determinati anche da ragioni economiche o estetiche, ragioni che coinvolgono principalmente i Paesi industrializzati, ma alle volte anche in quelli non sviluppati. Pensiamo al caso in cui l’offerta sia superiore alla domanda: è possibile che l’agricoltore pre-ferisca lasciare in campo il prodotto, come anche ai casi in cui i costi della raccolta siano su-periori al prezzo di mercato pagato all’agricoltore, per cui non vi è convenienza a raccogliere. Anche in caso di prodotti colpiti dalla grandine o fuori pezzatura, non richiesti dal mercato, gli agricoltori possono optare per la non raccolta del prodotto.Questi sono tutti motivi che non compromettono l’edibilità del prodotto, e che quindi determi-nano non una perdita ma uno spreco di produzione.

In generale lo spreco/perdita nei campi, ovvero la produzione lasciata nei campi, riguarda principalmente la frutta e gli ortaggi, poiché questi prodotti, essendo facilmente deperibili, rischiano comunque di essere scartati nelle fasi successive della filiera.In Italia, secondo i dati Istat 2011, il 2,4% della produzione agricola totale italiana è rimasta in campo, per una quantità pari a 13.403.789 quintali5 (Figura 2).

5 La produzione agricola rimasta in campo, ovvero i residui, sono stati calcolati come differenza tra la Produzione totale: la totalità del prodotto presente sulla pianta allo stato di frutto pendente al momento in cui hanno inizio le normali operazioni di raccolta e la Produzione raccolta: la produzione effetti-vamente asportata dal luogo di produzione ad opera dell’uomo, indipendentemente da quella che sarà la sua utilizzazione, incluse le eventuali aliquote utilizzate per l’alimentazione del bestiame e che pertanto risulta uguale alla produzione presente sulle piante meno la quota parte non raccolta e/o per-duta durante le operazioni di raccolta.

lo spreco nella fase di produzione

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Tra i prodotti che restano in campo gli ortaggi in piena aria incidono in misura maggiore (28,5% del totale della produzione agricola nazionale non raccolta); seguono l’olivo (22,1%), la vite (15,2%), la frutta fresca (10%), i cereali (10%), gli agrumi (6%), gli ortaggi in serra (4,4%), le piante da tubero (2,8%), le coltivazioni industriali (1%) e i legumi secchi (0,2%).

Fig. 2 – Produzione agricola lasciata in campo (qt), trend 2000-2011

Fonte: elaborazione INEA su dati Istat.

Poiché, come è stato detto, le ragioni dei mancati raccolti sono varie e non sempre prevedibili, come pioggia o siccità, malattie e parassiti, andamento del mercato e surplus produttivi, è chiaro che l’andamento sia delle quantità delle produzioni sia delle rimanenze in campo presenta una variabilità nel corso degli anni. Guardando la serie storica 2000-2011 la quantità della pro-duzione lasciata in campo mostra un trend in diminuzione nel periodo 2006-2011, mentre le corrispondenti percentuali negli ultimi 12 anni in Italia variano da un massimo del 5,9% registrato nel 2002 al minimo del 2,4% riscontrato nel 2011 (Figura 2).

lo spreco nella fase

di produzione

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Chiaramente le perdite dipendono anche dalla tipologia di prodotto (Figura 3); guardando al periodo 2000-2011, ad esempio, c’è stato un andamento variabile per tutti i principali comparti produttivi. Gli ortaggi lasciati nei campi rispetto alla relativa produzione totale oscillano da un minimo del 3% ad un mas-simo del 5% registrato nel 2002. La rimanenza di frutta fresca varia tra l’1,2% segnato nel 2010 e il 3,3% regi-strato nel 2000. Un andamento instabile si registra per gli agrumi e la vite; le perdite di agrumi variano tra il 2% e il 6,6% riscontrato nel 2002 mentre quelle della vite tra il 2,3% nel 2010 e il 6% nel 2002. Trend decisamente crescente è invece rappresentato per l’olivo, che nel 2011 raggiunge un mancato raccolto pari all’8,6%.

Fig. 3 - Trend dei residui per i principali raggruppamenti colturali tra il 2000 e il 2011 (%)

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2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011

ortaggi in piena aria

frutta fresca

agrumi

vite

olivo

Fonte: elaborazione INEA su dati Istat.

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Nel 2013, tra gli ortaggi in piena aria la fava fresca, il carciofo, la fragola e il radicchio segnano le maggiori ri-manenze in campo; queste coltivazioni presentano residui superiori al 5% del totale della rispettiva produzione (Tabella 1). Della produzione totale nazionale di fava fresca ne è rimasta nei campi ben il 9,6%, pari a 22.577 quintali. L’andamento dei residui di questa coltivazione, seppur variabile dal 2006 al 2013, risulta costantemen-te elevato negli ultimi otto anni. Il carciofo, nel 2013, ha registrato il residuo più elevato dal 2006: 7,6% pari a 281.199 quintali; anche questa coltivazione presenta rimanenze elevate nel periodo 2006-2013 (superiori al 3,5%). Analogamente, sia per la fragola sia per il radicchio, il 2013 ha rappresentato l’anno con la più alta per-centuale di residuo dal 2006: la fragola 7,3% di residuo e 32.226 quintali, mentre il radicchio 5,8% e 123.667 quintali (Figure 4 e 5).

Tab. 1 - Residui per singolo prodotto orticolo (%), trend 2006-2013

2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013Fava Fresca 3,0 4,0 4,1 7,1 7,1 3,6 6,4 9,6Carciofo 5,4 6,1 6,6 4,6 4,0 3,6 6,8 7,6Fragola 3,6 3,1 2,9 3,5 3,6 3,7 3,7 7,3Radicchio o cicoria 3,5 4,3 4,2 3,8 2,3 2,1 4,1 5,8Asparago 2,0 2,7 1,7 1,6 2,7 2,5 3,7 4,9Peperone 2,4 3,0 2,9 3,2 3,9 2,8 4,3 4,8Zucchina 3,0 2,6 3,0 3,5 2,9 3,3 6,0 4,5Finocchio 8,3 5,3 3,1 3,5 6,8 3,2 3,8 4,3Melanzana 2,9 2,7 2,6 3,1 2,4 3,1 3,5 4,2Broccoletto di rapa 12,5 14,7 7,5 5,5 4,4 4,5 7,8 3,9Popone o melone 1,5 2,3 1,7 4,2 2,5 2,5 3,5 3,4Fagiolo e fagiolino 3,8 2,6 2,7 2,6 1,2 2,4 2,6 3,0Lattuga 9,4 4,8 4,0 5,1 3,9 3,8 3,6 2,9Carota e pastinaca 2,2 8,7 3,2 3,6 5,1 4,4 3,8 2,5Indivia(riccia e scarola) 9,1 7,2 3,1 4,9 3,8 3,9 3,2 2,3Cipolla 0,9 0,9 2,5 1,3 1,1 1,0 1,2 2,0Aglio e scalogno 2,3 2,2 1,6 2,6 2,6 1,1 1,2 1,2Pisello 2,9 5,3 1,9 2,1 3,2 1,8 2,3 0,0

Fonte: elaborazione INEA su dati Istat.

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ortaggi

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ortaggi

Fig. 4 - Residui per ortaggi, 2013 (%)

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Fonte: elaborazione INEA su dati Istat.

Fig.5 - Ortaggi con i residui più elevati nel 2013 (%), trend 2006-2013

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2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013

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Carciofo

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Zucchina

Fonte: elaborazione INEA su dati Istat.

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Guardando ai mancati raccolti del comparto frutticolo (agrumi inclusi), le maggiori percentuali di prodotto lasciato in campo nel 2013 (Tabella 2) si riscontrano per la mandorla (10,8% pari a 77.266 quintali), la ciliegia (6% pari a 86.611 quintali) e il kiwi (5% con 208.092 quintali). Le rimanenze in campo di ciliegia, in particolare, seppur variabili, mostrano valori percentuali sempre elevati (dal 4,1% al 14,7%); anche le perdite di kiwi risultano abbastanza costanti nel periodo considerato (variano da un minimo di 3,7% al massimo di 5,1%). Tab. 2 - Residui per singolo prodotto frutticolo (%)

2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013Mandorle 5,1 4,8 3,3 4,2 3,8 2,9 2,9 10,8Ciliegia 5,4 4,1 8,9 10,0 14,7 8,2 5,2 6,0Kiwi 3,7 3,5 4,2 3,7 3,8 3,7 4,3 5,1Limone 7,6 5,4 5,1 4,1 4,0 10,1 17,5 3,1Pesco 1,5 1,5 1,8 2,8 3,0 2,3 2,1 3,0Susino 7,5 2,8 2,8 4,5 4,6 9,6 3,7 2,6Mandarino 3,4 5,0 3,5 2,7 2,7 10,4 3,9 2,5Albicocca 2,5 3,3 3,6 3,4 4,0 2,9 3,3 1,9Arancio 3,2 5,4 5,1 2,5 2,9 12,4 4,2 1,8Pero 0,5 0,3 0,7 0,4 0,5 0,4 0,9 1,8Nettarina 0,5 0,6 1,5 1,0 3,0 2,0 1,2 1,6Melo 0,7 1,6 1,3 0,8 0,8 0,7 1,1 1,3Clementina 3,0 2,6 6,2 1,9 1,6 3,6 3,6 1,2

Fonte: elaborazione INEA su dati Istat.

Tra gli agrumi, il limone evidenzia le maggiori rimanenze in campo con un ampia variabilità tra il 2010 e il 2013.A livello territoriale, l’andamento delle rimanenze in campo negli anni delle singole produzioni mostra una maggiore variabilità, spiegabile con la diversità degli eventi esterni che coinvol-gono le regioni e provincie autonome. Il Lazio e la Campania registrano elevate perdite di kiwi costanti nel tempo; anche per quanto riguarda la ciliegia, le perdite nel Lazio risultano essere sempre abbastanza elevate (Figure 6-8).

frutta e agrumi

lo spreco nella fase di produzione

frutta e agrumi

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Fig. 6 - Frutta e agrumi, residui 2013 (%)

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Fonte: elaborazione INEA su dati Istat.

Fig. 7 - Rimanenze in campo di ciliegio per regione (%), trend 2006-2013

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2006   2007   2008   2009   2010   2011   2012   2013  

Veneto  

Emilia-­‐Romagna  

Lazio  

Campania  

Puglia  

Fonte: elaborazione INEA su dati Istat.

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Fig. 8 - Rimanenze in campo di kiwi per regione (%), trend 2006-2013

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2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013

Veneto

Lazio

Campania

Puglia

Sicilia

Fonte: elaborazione INEA su dati Istat.

frutta e agrumi

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e rrori durante le procedure di trasformazione alimentare causano difetti in termini di peso, forma o con-fezionamento del prodotto che ne comportano lo scarto anche se questi fattori non inficiano in alcun modo la sicurezza alimentare e il valore nutrizionale del prodotto.

Nonostante nelle aziende di trasformazione la fungibilità - ovvero la possibilità di utilizzare l’eccedenza con un livello minimo di attività aggiuntiva da parte degli attori della filiera - sia maggiore rispetto agli altri segmenti del-la filiera, oltre il 30% dei prodotti scartati finiscono in discarica, mentre potrebbero essere donati a food banks o enti caritativi.

Tab.3 – Quantità dello spreco nei diversi segmenti della filiera agroalimentare (valori assoluti e percentuale)

industria agroalimentare e distribuzione

COMPARTO

Fonte: Last Minute Market, 2011

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Tab. 4 - Lo spreco nella distribuzione

Tipologia di vendita Quantità recuperabili (t.)Centri agroalimentari (CAA) 108.311

Cash & Carry 4.911Ipermercati 55.080

Supermercati 138.159Piccolo Dettaglio 72.626

TOTALE 379.087Fonte: Last Minute Market, 2011.

I prodotti alimentari che formano lo spreco perdono le caratteristiche di “merce”, ma non quelle di “alimento”.L’innovazione tecnica e tecnologica nelle fasi di trasformazione, confezionamento, trasporto e distribuzione può limitare gli sprechi e ridurre l’impatto ambientale (Tabelle 3-4; Figura 9). Nel confezionamento, ad esempio, si possono migliorare i materiali e le caratteristiche estetiche tramite confezioni risigillabili o pellicole “intelligen-ti” che indicano la perdita di freschezza cambiando colore.

Fig. 9 - Valore economico dei prodotti sprecati lungo la filiera agroalimentare (euro)

Fonte: Last Minute Market, 2011.

industria agroalimentare e distribuzione

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d al 2003, la Fondazione Banco Alimentare presente sul territorio italiano con oltre 1.600 volontari, si oc-cupa di trasformare le eccedenze dell’industria, della ristorazione collettiva e della grande distribuzione in risorse, distribuendole gratuitamente ad associazioni ed enti caritativi.

I prodotti donati, caratterizzati da difetti di confezionamento o campionatura o scartati per motivi di stagionalità o prossimità della scadenza, arrivano:- dall’Agenzia per le erogazioni in Agricoltura (AGEA), che distribuisce derrate alimentari in eccedenza in

base al Programma europeo di aiuti; - da oltre 700 aziende grandi e piccole dell’industria alimentare;- dalla ristorazione collettiva, con pasti pronti ancora perfettamente com-

mestibili ma non riproponibili nelle mense.

☞ Si potrebbe fare di più1. Ampliare i possibili destinatari delle merci (scuole, enti locali , enti pubblici non economici come ad esempio la Croce

Rossa) 2. Semplificare le certificazioni richieste (ad esempio sulle finalità delle associazioni donanti) 3. Semplificare la normativa fiscale 4. Semplificare le norme sanitarie e renderle omogenee sul territorio nazionale 5. Semplificare le procedure per le cessioni ad associazioni animaliste di scarti di origine animale e renderle omogenee sul

territorio nazionale.

alcuni esempi di lotta allo spreco

alimentare in Italia

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“Siticibo”, avvalendosi della “Legge del buon samaritano”6, ha salvato dal cestino dei rifiuti 2,5 milioni di por-zioni in 9 anni, distribuendole nelle mense cittadine di enti e organizzazioni caritative attraverso le associazioni onlus Banco alimentare di 18 Regioni.Last Minute Market (LMM) opera su tutto il territorio nazionale da oltre 10 anni sul fronte della riduzione degli sprechi e della prevenzione dei rifiuti a favore delle imprese e della pubbli-ca amministrazione per l’ideazione, l’implementazione e il monitoraggio di progetti di recupero di beni ali-mentari e non alimentari. Nel 2000 LMM ha attivato il primo si-stema professionale in Italia di riuti-lizzo di beni invenduti dalla GDO con l’adozione di modelli logistico-organizzativi che permettono di recuperare anche i prodotti che rientrano nelle categorie “freschi” e “freschissimi” da destinare alle mense caritative.

Dal 2010 LMM organizza ogni anno la campagna di sensibilizzazione europea “Un anno contro lo spreco” in partnership con la Commissione Agricoltura e Sviluppo rurale del Parlamento Europeo.

Dal 2013 LMM coordina il Programma Nazionale di Prevenzione dello Spreco Alimentare (PINPAS).

Da oltre dieci anni si sono diffuse nella GDO iniziative di solidarietà con progetti a carattere nazionale, ma con una forte valenza locale (es. iniziative “Buon Fine” e “Brutti ma buoni” del Gruppo Coop; accordo tra Esselunga e Fondazione Banco Alimentare), per il recupero di prodotti buoni non più vendibili, per difetti nella confezione o perché vicini alla scadenza, donati ad associazioni di volontariato onlus. Nel 2013 si è costituita l’Associazione “Sprecozero.net”, una Rete Nazionale dei Comuni contro lo spreco coor-dinata dal Comune di Sasso Marconi, in provincia di Bologna.Nel 2014 oltre 500 Comuni hanno sottoscritto la “Carta per una rete di enti territoriali a spreco zero” promossa da Last Minute Market, con l’impegno di ridurre le perdite e gli sprechi lungo la filiera agroalimentare nei loro territori.

6 La legge 155/2003, nota come “Legge del buon samaritano”, regola il recupero di alimenti prossimi alla scadenza da ipermercati, industrie alimentari e mense della ristorazione collettiva, destinandole a organizzazioni no-profit per i meno abbienti (Banco Alimentare, Caritas).

LMM in collaborazione con la società di studi economici e comunicazione Econometrica ha sviluppato Carocibo, un indicatore rivolto alle catene della GDO e agli enti pubblici, in grado di monitorare il costo della spesa alimentare degli italiani.

LMM rilascia il marchio Sprecozero a tutti i sog-getti che direttamente o indirettamente sono responsabili del consumo di risorse e di emis-sioni nell’ambiente: eventi, ristorazione com-merciale e collettiva, attività turistiche, attività commerciali, imprese e stabilimenti industriali.Il marchio certifica l’adozione di strumenti, pro-cedure e sistemi di controllo che garantiscono un uso razionale ed efficiente delle risorse e una gestione dei rifiuti ispirata ai principi di preven-zione, riutilizzo e riciclo dei materiali.

alcuni esempi di lotta allo spreco

alimentare in Italia

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s econdo stime ADOC (Associazione per la difesa e l’orientamento dei consumatori) una famiglia italiana spreca mediamente in un anno, in casa, il 35% dei prodotti freschi e in particolare il 19% del pane e il 16% di frutta e verdura, per un valore di 454 euro, una somma inferiore rispetto a quelle rilevate in altri

paesi europei ma sicuramente importante. Ulteriori sprechi si registrano nei ristoranti, nei bar e nelle mense.

Tab. 5 - Valore dello spreco alimentare domestico in Italia

Valore totale dello spreco alimentare domestico (miliardi di euro) 8,1Valore dello spreco alimentare domestico settimanale medio di una famiglia (euro) 6,5Valore dello spreco alimentare domestico settimanale delle famiglie (grammi) 630

Fonte: Waste Watcher-Last Minute Market e SWG, 2014.

Da una indagine LMM-SWG del maggio 2014, emerge come in Italia ci sia una forte attenzione alla riduzione dello spreco alimentare e molti consumatori adottino pratiche di prevenzione delle eccedenze, sia per limitare i casi di scadenza degli alimenti, sia per il recupero degli “avanzi”. L’indagine mostra anche la confusione che spesso il consumatore ha rispetto alle etichette dei prodotti alimentari, ad esempio sulle date: le indicazioni “preferibilmente entro”, “usare entro”, “data di scadenza”, “vendere entro”, infatti, indicano scadenze diverse ma non sempre vengono interpretate correttamente. Il Parlamento Europeo ha suggerito un’etichettatura con doppia data per includere sia le date “vendere entro” (che può aiutare i grossisti ad evitare di vendere i prodotti che stanno raggiungendo la loro data di scadenza) e “data di scadenza”, ma è necessario comunque che il consumatore comprenda la differenza tra queste diciture.

lo spreco domestico

La legislazione corrente sull’etichettatura e la fornitura di informazioni alimentari ai consumatori riserva la data di scadenza per gli alimenti altamente deperibili come latte fresco, yogurt, ricotta, uova, pasta fresca; tale data indica il termine entro il quale l’alimento è idoneo al consumo, se mantenuto nelle corrette condizioni di conser-vazione.La data “preferibilmente entro”, invece, si riferisce al termine minimo di conservazione; oltre questa data il prodotto, pur essendo ancora perfettamente commestibile, anche di alcuni mesi nel caso di riso, pasta secca, conserve, perde le qualità sensoriali attese dal consumatore (gusto, consistenza, ecc.). Spesso il consumatore, a causa dell’insicurezza e della confusione sulla terminologia, butta via prodotti ancora buoni da consumare.

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per limitare lo spreco domestico si può dedicare più tempo alla cucina e utilizzare gli “scarti” come base di moltissimi piatti, ad esempio polpette, frittate di pasta, marmellate di bucce di frutta, bucce caramel-late.

La Caritas di Roma, insieme all’Associazione Panificatori aderenti alla CNA di Roma e la Federconsumatori Lazio (protagonisti della campagna di donazione alimentare “Oggi offro io”) ha raccolto in un libro molte ricette di questo tipo proposte da un noto chef.

Nel consumo extra-domestico, invece, alcuni esercizi hanno implementato l’adozione di vaschette da asporto per ciò che non si riesce a consumare sul posto.Per limitare lo spreco domestico si può dedicare più tempo alla cucina e utilizzare gli “scarti” come base di moltissimi piatti, ad esempio polpette, frittate di pasta, marmellate di bucce di frutta, bucce caramellate. La Caritas di Roma, insieme all’Associazione Panificatori aderenti alla CNA di Roma e la Federconsumatori Lazio (protagonisti della campagna di donazione alimentare “Oggi offro io”) ha raccolto in un libro molte ricette di questo tipo proposte da un noto chef.Nel consumo extra-domestico, invece, alcuni esercizi hanno implementato l’adozione di vaschette da asporto per ciò che non si riesce a consumare sul posto.

ridurre gli sprechi:

alcuni esempi

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l o spreco alimentare non riguarda solo il cibo gettato via, ma anche tutte le risorse impiegate per produrlo con le relative implicazioni ambientali che ne conseguono. Pensiamo a quanta terra, acqua, energia e fertilizzanti utilizzati e non necessari vengono sprecati, ma an-

che a quanti gas serra vengono inutilmente emessi nell’atmosfera.

Il WWF, con la collaborazione scientifica della Seconda Università di Napoli, ha calcolato alcuni indicatori di pressione ambientale connessi con lo spreco di cibo. Secondo il rapporto WWF 2013 “Quanta Natura Sprechiamo”, nel 2012 in Italia lo spreco di cibo ha determinato uno “spreco” di:

- 1.226 milioni di metri cubi d’acqua, bene sempre più prezioso. Di questi, 706 milioni di metri cubi sono sprecati a causa del comportamento dei consumatori, mentre 520 milioni di metri cubi sono stati persi lungo la filiera prima di raggiungere le tavole.

- 24,5 milioni di tonnellate equivalenti di CO2, di cui 14,3 milioni di tonnellate vengono attribuite allo spreco dei consumatori, mentre 10,2 milioni sono associabili alla filiera agroalimentare. I gas serra emessi nello spreco alimentare sono equiparabili a circa il 20% delle emissioni di gas serra emessi dal settore dei tra-sporti.

- 228.900 tonnellate di azoto reattivo contenuto nei fertilizzanti, di cui 143.100 tonnellate immessi inutilmen-te nell’ambiente a causa del comportamento dei consumatori e i restanti 85.800 tonnellate rilasciati lungo la filiera. L’azoto immesso nell’ambiente (quello sprecato è pari al 36% del totale aggiunto con i fertilizzanti) ha un pericoloso impatto sia sulla qualità delle acque sia sulla flora e fauna degli ecosistemi idrici.

l’impatto ambientale

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n el 2014 il Ministero dell’ambiente ha presentato un Piano Nazionale di Prevenzione degli Sprechi Alimen-tari articolato in 10 punti:

1. Educazione e formazione Percorsi formativi rivolti alle scuole sul tema degli sprechi alimentari e di educazione alimentare e am-bientale.

2. Comunicazione, sensibilizzazione e condivisione

Attraverso un Sito web, con strumenti atti a favorire la partecipazione, la collaborazione e la condivi-sione di informazioni tra i diversi attori della filiera, in particolare gli enti locali firmatari della Carta per le amministrazioni a spreco zero che aderiscono alla rete di Comuni denominata Sprecozero.net, una Banca dati sulle buone pratiche, l’istituzione di una Settimana Nazionale contro lo Spreco Alimentare, un Premio Nazionale volto a favorire, identificare, promuovere e condividere le buone pratiche di preven-zione degli sprechi alimentari, una campagna nazionale di comunicazione/sensibilizzazione sul tema dello spreco alimentare rivolta ai consumatori finali, Informazione sui prodotti e le date di scadenza.

3. Documentazione e dati

Acquisizione di dati sullo spreco alimentare lungo la filiera, in collaborazione con ISTAT.

4. Ricerca e interventi normativi

Istituzione di un fondo nazionale per la ricerca scientifica nel campo delle perdite e degli sprechi agro-alimentari per colmare i gap di conoscenza nel settore.

5. Donazioni e devoluzioni Semplificazione, razionalizzazione e armonizzazione del quadro di riferimento normativo che regola la donazione degli alimenti invenduti, predisposizione di linee guida nazionali di “corretta prassi operati-va” per la donazione degli alimenti invenduti da parte delle imprese della filiera agro-alimentare e per la gestione degli stessi da parte delle associazioni caritative.

il piano nazionale di prevenzione degli sprechi

alimentari

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6. Acquisti (Green Public Procurement) Introduzione obbligatoria di criteri premianti all’interno dei bandi di gara pubblici relativi ai servizi di catering e ristorazione collettiva per chi attua misure di prevenzione nella formazione degli sprechi ali-mentari, introduzione di modalità uniformi di rendicontazione degli sprechi alimentari all’interno dei CAM (Criteri Ambientali Minimi) per la “Ristorazione collettiva e derrate alimentari”.

7. Accordi volontari

Accordi volontari per la prevenzione degli sprechi alimentari.

8. Trasformazione

Definizione univoca a livello legislativo delle condizioni alle quali i prodotti alimentari ad alta deperibilità ritirati dal mercato possono essere ulteriormente trasformati per essere destinati all’alimentazione uma-na.

9. Responsabilità sociale delle imprese

Promozione presso le imprese della filiera agroalimentare della rendicontazione in materia di prevenzio-ne degli sprechi di cibo nel contesto delle attività di reporting previste dalle politiche di CSR (Corporate Social Responsability).

10. Innovazione sociale Promozione dell’innovazione sociale nel campo delle misure di contrasto allo spreco alimentare.

Il testo completo del Piano è disponibile alla pagina http://www.minambiente.it/sites/default/files/archivio_immagini/Galletti/Comu-nicati/PINPAS%2010%20MISURE%20PRIORITARIE%205%20GIUGNO%202014.pdf

il piano nazionale di prevenzione degli sprechi

alimentari

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l a riduzione degli sprechi alimentari è prima di tutto una questione organizzativa che interessa tutte le fasi della filiera alimentare, dalla fase di produzione, al post-raccolta, alla commercializzazione dei prodotti, alla trasformazione, alla logistica, alla distribuzione dei prodotti primari e derivati. La ricerca e l’innovazione

possono fornire nuove soluzioni per ridurre le perdite e gli sprechi alimentari in modo che le imprese possano ridurre i costi di produzione (ad esempio, con migliori tecniche agronomiche, buone pratiche agricole, tecniche di stoccaggio e conservazione, gestione degli scarti, ecc.) ed evitare il consumo inutile di risorse naturali (terra, acqua ed energia) necessarie nei diversi anelli della filiera che vanno dal campo alla tavola.

La ricerca può contribuire alla riduzione di perdite e sprechi alimentari con:

- studi sulla vocazionalità produttiva dei territori e dei suoli, nonché sulla biodiversità locale e sull’adattabilità di piante/animali ai cambiamenti climatici, in modo da ridurre le problematiche fitosanitarie e sanitarie che comportano scarti alla produzione;

- ricerca varietale che agisca sul calendario di commercializzazione dei prodotti, studio e introduzione di sen-sori in campo in grado di prevedere e quindi di rendere possibile la programmazione delle produzioni;

- miglioramento dei malfunzionamenti tecnici e riduzione delle inefficienze dei processi di trasformazione;

- ricerca e innovazioni tese a aumentare la shelf life dei prodotti, anche mediante packaging innovativi;

- miglioramento delle tecnologie impiegate nella conservazione dei prodotti durante le fasi di trasporto, distri-buzione e vendita;

- analisi delle catene alimentari, con studio per ciascuna fase delle filiere, dei relativi flussi in ingresso (input), in uscita, laterali e le perdite, migliorando la disponibilità di dati sul dove e perché si verificano le perdite;

- riprogettazione dei flussi di materiali in un’ottica strategica tesa ad aumentare l’efficienza delle risorse (inge-gnerizzazione dei processi, con l’aiuto di software di gestione innovativi dei flussi e dei processi produttivi);

cosa può fare la

ricerca

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cosa può fare la ricerca

- sviluppo di sistemi di stoccaggio e soluzioni logistiche più efficienti, con riferimento alla tipologia di prodotti, alla taglia degli impianti e ai luoghi di produzione/trattamento;

- definizione di modelli organizzativi interaziendali a supporto della produzione e della trasformazione (forme associative, contratti di filiera, ecc.);

- messa a punto di modelli di filiera corta o di sviluppo locale integrato, fondati sulla nascita di attività economi-che adatte ai territori e agli sbocchi di mercato locali sia per i prodotti primari sia per i sottoprodotti;

- valutazione dell’impatto delle perdite e degli sprechi alimentari sui prezzi delle produzioni;

- studio e comprensione dei comportamenti dei consumatori e delle barriere che si oppongono alla riduzione degli sprechi;

- introduzione di strumenti che sfruttino i social network o applicazioni innovative delle ITC (es. augmented reality technololgy) per coinvolgere i consumatori nei processi e nei problemi produttivi o sensibilizzarli verso le più efficienti modalità di consumo e di utilizzo, inducendo così comportamenti attenti alla riduzione degli sprechi al consumo.