Lo scenario romano D’Alema, il ritorno del rottamato · la città finisca nelle mani della gril-...

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delle Libertà D’Alema, il ritorno del rottamato Lo scenario romano per la partita di Salvini A Matteo Salvini non interessa un bel nulla la sorte di Roma. Che la città finisca nelle mani della gril- lina Raggi o del renziano Giachetti per lui è del tutto indifferente. Al capo leghista interessa il risalto che la Capitale garantisce per avviare quella operazione di rottamazione a livello nazionale di Silvio Berlusconi (ed in parallelo anche di Giorgia Me- loni) che lo dovrebbe portare ad as- sumere la leadership incontrastata del lepenismo all’italiana. La sua bocciatura della candida- tura di Guido Bertolaso non è un atto di sfiducia nei confronti dell’ex capo della Protezione civile e nep- pure il frutto della convinzione che il candidato voluto dal Cavaliere non sia adeguato alla partita per il Campidoglio. È solo la dimostra- zione lampante della sua volontà di approfittare delle amministrative ro- mane per lanciare il segnale che non solo l’egemonia berlusconiana sul centrodestra è finita, ma che lo stesso centrodestra è una alleanza superata destinata a lasciare il campo ad un’aggregazione guidata dalla Lega e formata da tutte le anime del po- pulismo di stampo lepenista presenti nella penisola. Salvini sa bene che rottamare Ber- lusconi significa liquidare... B C E R O M I T I A P A G I N A 3 La “droga” di Draghi per non tagliare la spesa corrente P R I M O P I A N O M E L L I N I A P A G I N A 3 Caso Cuffaro: tante riflessioni nel libro di Nastasi L I N T E R V I S T A D I L O L L O A P A G I N A 5 Il terrorista Isis? Un borghese con problemi d’identità C U L T U R A B O N A N N I A P A G I N A 7 Decaro-Galiena, al Teatro Parioli “Diamoci del Tu” E S T E R I M A G N I A P A G I N A 5 Missili e tensione: l’imprevedibile crisi fra le due Coree Silenzio! Parla il Lìder Massimo M assimo D’Alema, intervistato dal “Corsera”, dice la sua sullo stato del Partito Democratico. La diagnosi è impietosa: il Pd è in coma. Sembrerebbe che l’ex presidente del Consiglio abbia sfoderato l’abito delle grandi occasioni per godersi lo spettacolo dell’affondamento del suo ultimo approdo politico. D’Alema sostiene che il partito “renzizzato” miri a recidere ogni le- game con le cultura politiche di pro- venienza: socialismo e cattolicesimo democratico sarebbero declinazioni urticanti per il gruppetto di potere incistato al Nazareno. Anche l’osan- nata “rottamazione” si sarebbe ri- dotta alla meschina rimozione di ogni possibile sudditanza psicologica dalla vecchia guardia ulivista. Peg- gio. Per D’Alema, Matteo Renzi è il becchino dell’ulivismo: colui che ha stroncato la pianta per soffoca- mento. Il “lider Massimo” lascia in- tendere che Renzi sia la prosecuzione N on un uovo di Pasqua. Non un uovo con la sorpresa. Ma pro- prio l’uovo per antonomasia, l’uovo archetipale, l’uovo di Colombo. Che significa, soprattutto, la semplicità nell’indecisione, l’ovvia fattualità nell’incertezza dei dubbi. Nel caso di Milano, l’uovo infranto da Colombo (Gherardo) dimostra, in primis, che un ex magistrato richiamato in poli- tica perché emblema di una stagione “giustizialista” si rivela indubbia- mente più dotato di senso della Polis dei suoi propositori politicanti, rifiu- tando una candidatura quasi data per scontata. Siccome noi abbiamo una ben precisa convinzione di quella stagione in cui trionfarono i furori politico-giudiziari, possiamo tranquillamente indicare come, a volte, prevalga il richiamo all’intel- letto piuttosto che quello della pan- cia (politica). La novità è che sia proprio l’uomo simbolo a destruttu- rare un disegno che, diciamocelo, era Milano, l’uovo di Colombo del berlusconismo con altri mezzi. Tuttavia, il fatto che il giovanotto stia “sfondando a destra” non lo porrebbe al riparo dal rischio di un’emorragia di consensi a sinistra dove sta montando un’insofferenza non altrimenti sostenibile. Benché dichiaratosi estraneo a ogni ipotesi di complotto, D’Alema non esclude la strada della scissione e della formazione, a sinistra, di un nuovo soggetto politico marcata- mente identitario. La vicenda delle amministrative potrebbe essere l’oc- casione per fare esplodere il bub- troppo sfacciato, troppo esplicitato, una narrazione per dir così trash, per potere camminare speditamente. Detto questo, con l’aggiunta che l’indicazione respinta al mittente di Colombo capolista agevola un po- chino la candidatura di Giuseppe Sala, resta da recitare tutto il rosario gauchista delle incertezze, delle con- traddizioni e delle difficoltà del dopo Pisapia a Milano. E delle elezioni prossime venture. Peraltro, la stessa ventilata operazione Colombo... bone. L’inadeguatezza dei candidati scelti alle primarie confermerebbe la crisi di progetto di un Pd che, pur di sottrarsi alla fatica della costruzione del processo democratico interno mediante il dialogo e il confronto sui contenuti, si sarebbe arreso alla ten- tazione dell’uomo-solo-al-comando. D’Alema non lesina critiche a ciò che sta emergendo dalle primarie: “Gia- chetti si è fotografato su Internet mentre traina un risciò su cui è se- duto Renzi”. Eppure un politico degno di questo nome certe cose non dovrebbe farle neanche per scherzo. Per non parlare di ciò che è accaduto a Napoli a Bassolino dove si è andati oltre l’arroganza. “Siamo alla stupi- dità”, commenta lapidario D’Alema. Quello che sostiene il vecchio capo dei comunisti post-Bolognina non è sbagliato. E neanche lo si può defi- nire frutto di livore personale. La sua analisi per molti aspetti è condivisi- bile.

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delle Libertà

D’Alema, il ritorno del rottamato

Lo scenario romano per la partita di Salvini

AMatteo Salvini non interessa unbel nulla la sorte di Roma. Che

la città finisca nelle mani della gril-lina Raggi o del renziano Giachettiper lui è del tutto indifferente. Alcapo leghista interessa il risalto chela Capitale garantisce per avviarequella operazione di rottamazione alivello nazionale di Silvio Berlusconi(ed in parallelo anche di Giorgia Me-loni) che lo dovrebbe portare ad as-sumere la leadership incontrastatadel lepenismo all’italiana.

La sua bocciatura della candida-tura di Guido Bertolaso non è unatto di sfiducia nei confronti dell’excapo della Protezione civile e nep-pure il frutto della convinzione cheil candidato voluto dal Cavalierenon sia adeguato alla partita per ilCampidoglio. È solo la dimostra-zione lampante della sua volontà diapprofittare delle amministrative ro-mane per lanciare il segnale che nonsolo l’egemonia berlusconiana sulcentrodestra è finita, ma che lo stessocentrodestra è una alleanza superatadestinata a lasciare il campo adun’aggregazione guidata dalla Legae formata da tutte le anime del po-pulismo di stampo lepenista presentinella penisola.

Salvini sa bene che rottamare Ber-lusconi significa liquidare...

BCE

ROMITI A PAGINA 3

La “droga” di Draghiper non tagliarela spesa corrente

PRIMO PIANO

MELLINI A PAGINA 3

Caso Cuffaro:tante riflessioni

nel libro di Nastasi

L’INTERVISTA

DI LOLLO A PAGINA 5

Il terrorista Isis? Un borghese

con problemi d’identità

CULTURA

BONANNI A PAGINA 7

Decaro-Galiena, al Teatro Parioli

“Diamoci del Tu”

ESTERI

MAGNI A PAGINA 5

Missili e tensione:l’imprevedibile crisi

fra le due Coree

Silenzio! Parla il Lìder Massimo

Massimo D’Alema, intervistatodal “Corsera”, dice la sua sullo

stato del Partito Democratico. Ladiagnosi è impietosa: il Pd è in coma.Sembrerebbe che l’ex presidente delConsiglio abbia sfoderato l’abitodelle grandi occasioni per godersi lospettacolo dell’affondamento del suoultimo approdo politico.

D’Alema sostiene che il partito“renzizzato” miri a recidere ogni le-game con le cultura politiche di pro-venienza: socialismo e cattolicesimodemocratico sarebbero declinazioniurticanti per il gruppetto di potereincistato al Nazareno. Anche l’osan-nata “rottamazione” si sarebbe ri-dotta alla meschina rimozione diogni possibile sudditanza psicologicadalla vecchia guardia ulivista. Peg-gio. Per D’Alema, Matteo Renzi è ilbecchino dell’ulivismo: colui che hastroncato la pianta per soffoca-mento. Il “lider Massimo” lascia in-tendere che Renzi sia la prosecuzione

Non un uovo di Pasqua. Non unuovo con la sorpresa. Ma pro-

prio l’uovo per antonomasia, l’uovoarchetipale, l’uovo di Colombo. Chesignifica, soprattutto, la semplicitànell’indecisione, l’ovvia fattualitànell’incertezza dei dubbi. Nel caso diMilano, l’uovo infranto da Colombo(Gherardo) dimostra, in primis, cheun ex magistrato richiamato in poli-tica perché emblema di una stagione“giustizialista” si rivela indubbia-mente più dotato di senso della Polisdei suoi propositori politicanti, rifiu-tando una candidatura quasi dataper scontata. Siccome noi abbiamouna ben precisa convinzione diquella stagione in cui trionfarono ifurori politico-giudiziari, possiamotranquillamente indicare come, avolte, prevalga il richiamo all’intel-letto piuttosto che quello della pan-cia (politica). La novità è che siaproprio l’uomo simbolo a destruttu-rare un disegno che, diciamocelo, era

Milano, l’uovo di Colombo

del berlusconismo con altri mezzi.Tuttavia, il fatto che il giovanottostia “sfondando a destra” non loporrebbe al riparo dal rischio diun’emorragia di consensi a sinistradove sta montando un’insofferenzanon altrimenti sostenibile.

Benché dichiaratosi estraneo aogni ipotesi di complotto, D’Alemanon esclude la strada della scissionee della formazione, a sinistra, di unnuovo soggetto politico marcata-mente identitario. La vicenda delleamministrative potrebbe essere l’oc-casione per fare esplodere il bub-

troppo sfacciato, troppo esplicitato,una narrazione per dir così trash, perpotere camminare speditamente.

Detto questo, con l’aggiunta chel’indicazione respinta al mittente diColombo capolista agevola un po-chino la candidatura di GiuseppeSala, resta da recitare tutto il rosariogauchista delle incertezze, delle con-traddizioni e delle difficoltà del dopoPisapia a Milano. E delle elezioniprossime venture. Peraltro, la stessaventilata operazione Colombo...

bone. L’inadeguatezza dei candidatiscelti alle primarie confermerebbe lacrisi di progetto di un Pd che, pur disottrarsi alla fatica della costruzionedel processo democratico internomediante il dialogo e il confronto suicontenuti, si sarebbe arreso alla ten-tazione dell’uomo-solo-al-comando.D’Alema non lesina critiche a ciò chesta emergendo dalle primarie: “Gia-chetti si è fotografato su Internetmentre traina un risciò su cui è se-duto Renzi”. Eppure un politicodegno di questo nome certe cose nondovrebbe farle neanche per scherzo.Per non parlare di ciò che è accadutoa Napoli a Bassolino dove si è andatioltre l’arroganza. “Siamo alla stupi-dità”, commenta lapidario D’Alema.Quello che sostiene il vecchio capodei comunisti post-Bolognina non èsbagliato. E neanche lo si può defi-nire frutto di livore personale. La suaanalisi per molti aspetti è condivisi-bile.

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Il Garante della Privacy mette inguardia dalle possibili “conse-

guenze paradossali” del decretoMadia sulla trasparenza, che dà atutti il diritto di accedere a dati e do-cumenti della Pubblica amministra-zione.

Per l’Authority è necessario tro-vare un “equilibrio”, considerando i“rischi per la vita privata e per la di-gnità delle persone”. Ecco che nel pa-rere al provvedimento vengono postiuna dozzina di paletti, corrispondenti

ad altrettante richieste di modifica. Inuna nota lo stesso Garante parla diun “sì condizionato” al decreto legi-slativo che attua la riforma della Pub-blica amministrazione, ora all’esamedelle commissioni parlamentari,prima di ripassare per il Consiglio deiministri e ottenere il via libera defini-tivo. Si tratta di misure che riscrivonole regole Severino e introducono inItalia il “Freedom of informationact”, il cosiddetto Foia, in base a cuichiunque senza obbligo di motiva-zione può chiedere di entrare in pos-sesso di informazioni contenute negli

archivi e nelle banche dati pubbliche. La prima clausola dettata dall’Au-

torità guidata da Antonello Soro stanell’escludere l’accesso a dati sensi-bili. Gli esempi riportati nel parereparlano chiaro: “Si pensi all’accogli-mento di una richiesta di accesso allalista nominativa dei bambini iscritti auna scuola” o alle “informazionisulla salute o la vita sessuale dei sin-goli, detenuti da strutture ospedalieree di cura”, o ancora “all’anagrafe tri-butaria, ove confluiscono, tra gli altri,tutti i dati relativi a saldi, movimentie giacenza media dei conti correntidei cittadini”.

Tra l’altro proprio l’anagrafe tri-butaria è stata al centro dell’atten-zione dell’Authority all’inizio dellesettimana, per il rischio di attivitàhacker sui dati fiscali dei cittadini checompilano on line la loro dichiara-zione dei redditi. L’aspetto più deli-cato per l’Autorità è infattil’immissione sul web di un granflusso di dati, visto che in base allalegge attuale le amministrazioni nonpossono mettere filtri per impedire diindicizzare le informazioni sui motoridi ricerca.

Il Garante poi segnala “l’irragio-nevolezza dell’estensione automaticadegli obblighi” di pubblicità a tutto etutti. In particolare, il nuovo decretoimpone la trasparenza sulla situa-zione patrimoniale non solo per i po-litici ma anche per chi ha incarichidirigenziali, determinando “ingerenzeeccessive nella vita privata di un am-bito vastissimo di dipendenti pub-blici”, sarebbero, rileva l’Authority,“oltre 140mila”, ciò “senza contareconiugi e parenti fino al secondogrado”.

L’allarme ufficialmente non c’è, mal’Italia, e la Puglia, suo avamposto

più orientale, si preparano per tentaredi frenare e comunque di attutire l’im-patto di un temuto flusso massiccio dimigranti che, chiusa la via balcanica,potrebbero intraprendere la rottaadriatica per arrivare in Europa. L’at-tenzione è puntata sulle coste dirim-pettaie del Salento e dell’Albaniaseparate solo da una cinquantina di mi-glia percorribili in una sola notte anchecon piccole imbarcazioni. Su richiestadelle autorità di Tirana, ed accogliendoper prima l’invito dell’Europa spe-rando che altri Paesi seguano l’esem-pio, l’Italia invierà nei prossimi giorniuna ventina di poliziotti di frontiera persupportare il governo albanese nei con-trolli ai confini.

Sarà Tirana a decidere dove dislocareil piccolo contingente italiano. La par-tenza dei nostri sarà preceduta da unariunione che si terrà in Italia nei primigiorni della prossima settimana tra leautorità albanesi e il Dipartimento dellaPubblica sicurezza. L’incontro servirà amettere a punto la missione, definirne idettagli, stabilire le priorità, individuarei punti di confine che dovranno esserepresidiati anche dagli italiani. Una voltadefiniti questi aspetti, partirà una primaaliquota di pochi uomini che valute-ranno aspetti logistici e tecnici, e succes-sivamente si muoveranno gli altripoliziotti, tutti esperti di polizia dellefrontiere e di falsi documentali.

Sul fronte pugliese, invece, ieri il pre-

fetto di Lecce, Claudio Palomba, hariunito i sindaci dei Comuni più grandidel Salento compresi i due che per col-locazione geografica rappresentanol’approdo più vicino, Otranto e Me-lendugno, per preparare un piano diaccoglienza. “Al di là degli allarmi, fi-nora non abbiamo avuto segnalazionispecifiche in ordine ai numeri che si leg-gono sulla stampa - ha detto il prefetto- abbiamo avviato un lavoro di rico-gnizione delle strutture utilizzabili”.L’obiettivo è predisporre per tempo“un piano di primissima accoglienzacon punti di sbarco dove attrezzareeventualmente le operazioni di fotose-gnalamento e di ricognizione medica, eanche punti di smistamento per strut-ture che potrebbero fungere da primaaccoglienza. Difficile dire quanti mi-granti potremo accogliere in una faseemergenziale - ha detto il prefetto - An-dremo ad individuare strutture che in-taccano meno i centri abitati e meno lestrutture turistiche, proprio perché nonvogliamo che un’eventuale emergenzasi ripercuota sul turismo in arrivo,fermo restando che tutto ciò non potràgravare unicamente sulla Puglia”.

Nel Salento, l’unica struttura diprima accoglienza attiva, è il centroDon Tonino Bello di Otranto. Intanto,a Taranto, è stato completato l’hotspotper l’identificazione di migranti realiz-zato in un ex parcheggio del porto. Siestende su un’area di circa diecimilametri quadrati con punti di acco-glienza, alloggi prefabbricati per acco-gliere 300 migranti, tensostruttura,mensa e presidi sanitari.

uno steccato entro il quale riportare un pen-siero e una progettualità di sinistra do-vrebbe essere auspicata anche a destra. Enon solo per opportunismo elettorale.

Il nemico da battere, comune a entrambigli schieramenti, è rappresentato dalla con-vergenza al centro di quel magma partitico-clientelare che è il vero cancrometastatizzato nella società italiana. Sichiami “Partito della Nazione”, o in qual-siasi altro modo, resta il fatto che la politicaagìta mediante il controllo affaristico deigangli della Pubblica amministrazione nonpuò essere la prospettiva per un Paese impe-gnato nella sfida della modernità. Il “ribal-tonismo”, la mobilità parlamentare, larottura del vincolo di lealtà che lega l’elettoai suoi elettori, sono solo epifenomeni dellacrisi della rappresentanza politica generatadal fallimento della “Seconda Repubblica”.Pensare di elevare a sistema i sintomi dellapatologia, come fa Renzi imbarcando sullasua scialuppa la qualunque pur di restare agalla, non è la risposta adeguata ai bisognidi una popolazione delusa e impoverita.

Ora, sapere che un pezzo della sinistravoglia rinunciare a fare da portatrice d’ac-qua a un mulino le cui pale girano al con-trario è una notizia confortante. Quantomeno costringerà Renzi a venire allo sco-perto, impendendogli altri spregiudicatidoppiogiochismi. La destra, dal canto suo,sarà costretta ad adeguarsi alla nuova of-ferta politica dovendo riconfigurare, in pro-iezione alternativa, anche la propriaidentità. Il che sarebbe un gran bene per lachiarezza del quadro politico complessivo.Dio benedica la Terza Repubblica!

...la diceva lunga sullo stato di salute ga-rantista di una gran parte della sinistra a

Politica

tura di Parisi è mediaticamente più deboledi quella del suo concorrente che si giovadel successo dell’Expo. Per ora, intendia-moci. Per Parisi si tratta di completarel’operazione di assemblaggio di un centro-destra fragile, reduce da sconfitte e non almeglio di sé dando un ardito colpo di reniche gli consenta una leadership capace didare le carte perché simbolo unico diun’alleanza che vuole vincere. Un compitonon impossibile ma tanto più arduoquanto più le pretese del dominio salvi-niano sull’alleanza si potrebbero far sen-tire sull’asse Milano Roma. Roma cittàeterna. Roma città aperta. Ed esempio ditante “ambizioni sbagliate”.

segue dalla prima

...il centrodestra inteso come schieramento incui possono confluire tutte le forze moderateavversarie della sinistra. E sa ancora meglio cheuna parte di queste forze non sarà mai disponi-bile a partecipare al suo disegno. Ma lui puntanon al governo del Paese, ma alla creazione diuna grande opposizione di estrema destra similenelle dimensioni a quella del Movimento Cin-que Stelle. E pur di liberarsi del peso del Cava-liere preferisce limitarsi ad avere un 20 percento di opposizione unita sotto la sua guidapiuttosto che far parte di una coalizione del 30per cento in cui deve fare i conti quotidiana-mente con un Berlusconi sempre combattivo econ una Meloni diretta concorrente in quantointeressata allo stesso elettorato.

Così a Roma azzoppa Bertolaso nella spe-ranza di costringere la leader di Fratelli d’Italiaa scendere in campo direttamente. E lo fa conl’obiettivo evidente di impedire sia al primo chealla seconda di andare al ballottaggio. La scon-fitta dell’uno e quella dell’altra lo rederebberodi colpo vincitore sia della sfida con Berlusconiche con quella della Meloni ed in grado di an-dare avanti più speditamente sul suo progettodi lepenizzazione della Lega.

L’area moderata, quella politicamente e cul-turalmente lontana dal populismo, non può cheprendere atto della fine del centrodestra tradi-zionale. E comportarsi di conseguenza. Ancheperdendo l’ala leghista può essere sempre mag-gioritaria in un Paese dove la vecchia sinistra èpiù frazionata e divisa della destra!

...Del resto, l’idea che possa nascere un mo-vimento dal basso destinato a ricostruire

Lo scenario romano per la partita di Salvini

Silenzio! Parla il Lìder Massimo

Milano e non solo a Milano. E raccontava,insieme alle contraddizioni suddette, ilgrado di vera e propria antipatia che ilbuon Sala ottiene ancora dentro quel Pdche l’ha voluto, l’ha candidato e infine l’hapremiato con le primarie. Certo, ha gio-cato nel Pd milanese l’altra antipatia, nonpoco diffusa al suo interno, nei confrontidi Renzi sponsor dell’ex commissarioExpo. E la candidatura di Francesca Bal-zani in concorrenza, alla sua sinistra, più omeno arancione, confermava questo scarsoamore nei riguardi del Premier, nonché se-gretario del Pd. Il quale sconta il gap frala potenza del suo ristretto pugno di mi-schia di comando e la debolezza del suocontrollo nella periferia del partito.

Comunque, gira e rigira, il discorsocorre alle leggendarie primarie che se aMilano, diversamente da Napoli e din-torni, sono sempre state una competizioneinterna a prova di brogli, nondimenohanno espresso, anche all’ombra della Ma-donnina, il lato nascosto, il “dark side”, lazona grigia e opaca. La stessa che propriodalle Primarie avrebbe dovuto ottenere egarantire trasparenza, correttezza e lealtà.Da parte degli sconfitti, si capisce. Altri-menti che senso avrebbero, per esempio, lePrimarie americane, quelle vere, se un can-didato sconfitto invece di porsi al fiancodel vincitore si industriasse a predisporreuna sua lista avversa? Una follia. Se si os-servano nella sinistra ambrosiana le gira-volte, i ghirigori, le prese di posizione, itranelli e le proposte alternative, compresal’ultima poi rientrata di Gherardo Co-lombo, il meno che si possa concludere èche la strada di Sala, dapprima in discesaperché solitaria, è in salita.

L’irruzione di Stefano Parisi nella com-petizione più importante nel Paese, l’unicasulla quale la premiership di Renzi correseri rischi in caso di sconfitta, ha scompa-ginato le carte. Naturalmente, la candida-

Migranti: Italia si prepara all’esodo,

agenti in Albania

Alt Garante a trasparenza Pa:rischio privacy e dignità

Milano, l’uovo di Colombo

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Il responsabile economico di “Ita-lia Unica”, Riccardo Puglisi, ha ri-

lasciato una interessante intervista inmerito all’ennesima ondata di liqui-dità immessa dalla Banca centraleeuropea di Mario Draghi. In parti-colare, in tema di rischi concreti, Pu-glisi ha detto che Draghi “cerca diaiutare il ciclo economico in Europa,cerca di far sì che il denaro sia pococaro, anzi per niente caro, soprat-tutto per le banche che prestano alleimprese. Fa bene in termini di dareliquidità al sistema. Fa anche bene aigoverni perché fa ripartire l’econo-mia monetaria. Ma dall’altro verso,può far male. Vi spiego. Sta dandouna scusa per posticipare gli inter-venti strutturali, per esempio nelcaso italiano questa mossa può po-sticipare la presa di coscienza cheoccorra fare la spending-review.Questa politica monetaria molto ac-comodante può viziare i governi: nel

breve termine aiuterà, nel lungo po-trebbe condurre ad aspetti negativi”.

E ciò, mi permetto di aggiungere,risulta ancor più reale nel Paese diPinocchio, in cui scadenze elettoralipiuttosto ravvicinate rappresentano

una formidabile tentazione per al-lentare i cordoni della disastrataborsa del bilancio pubblico. Propriola critica situazione dell’economiaitaliana, checché ne dicano le cicaleal Governo, sta mostrando i limiti

delle politiche espansive della stessaBce. In soldoni, se questi poderosistimoli monetari, uniti ad un calo ec-cezionale delle materie prime, hannopermesso una crescita del nostroProdotto interno lordo che è a ma-

lapena metà di quello relativo allamedia europea, ciò dimostra che se“il cavallo” non beve non bastasommergerlo d’acqua per farlo cor-rere.

L’economia italiana, come ci sfor-ziamo di ripetere fino alla nausea,vive costantemente ai margini di uncolossale buco nero che il mioamico Oscar Giannino definiscespesso Stato ladro. Uno Stato ladroipertrofico che assorbe e redistri-buisce una quantità di risorse pro-dotte incompatibile con qualunquetentativo di una ripresa strutturaledel sistema. E checché ne dicano iproclami sulla nostra presunta ri-partenza espressi a raffica dal Pi-nocchio che occupa la stanza deibottoni, finché non si metterà final-mente mano ai gangli principalidella spesa corrente, riducendo con-testualmente una tassazione demen-ziale, i nostri problemi strutturalisono destinati a peggiorare. Altroche chiacchiere.

Primo Piano

Una droga per non tagliare la spesa corrente

Ma è proprio vero che il “pastic-ciaccio (delle primarie) rivela

l’affanno dei democratici” e del Pre-mier come è stato scritto? Il passatocome le tre sfide più importanti supiazza sembrano descrivere un’altrarealtà. Innanzitutto il passato. Sebbenela storia si ripeta prima come tragediae poi come farsa, l’annullamento delleprimarie a Palermo con la relativa in-coronazione del “redivivo” LeolucaOrlando ma ancor di più l’indimenti-cabile vicenda ligure con le feroci con-testazioni sull’esito delle primarie, laconseguente candidatura di disturbo el’annunciata sconfitta del Pd, hannoportato male solo ai contestatori: Cof-ferati in primis, non all’inquilino diPalazzi Chigi.

Certo, le vicende di domenicascorsa registrate a Roma, ma so-prattutto a Napoli, dimostrano lemolte lacune imputabili allo stru-

mento ma, principalmente, le molte“smagliature” del partitone a livellolocale. Smagliature capaci di gettareombre sull’operato del Nazareno,non certo sul Premier. Del restoRenzi è il segretario del Pd quandoc’è da dettare la linea: segreterielampo, discorso, plebiscito e tutti acasa! Per “le torte in faccia” ci sono,all’uopo, Guerrini e Serracchiani.

Quanto al presente, la solfa sem-bra non cambiare. A Napoli, dopo ilricorso, il contro-ricorso, la manife-stazione e la minaccia della lista ci-vica (il “ras” di Napoli si candideràsolo “se sarà in grado di farcela”:capisca chi può!), Bassolino si pren-derà ogni responsabilità - da soste-nitore convinto di Renzi; ecco lafarsa - di una eventuale vittoria di

De Magistris, trasformando il Pd invittima predestinata.

Stessa zuppa, seppure assai piùricca e gustosa (immancabili le rino-mate “cotiche gallipoliane”), si pro-spetta a Roma dove Giachetti, chepuò ambire con ottime possibilità alballottaggio, potrebbe venire inqualche modo azzoppato da quel-l’ala speranzosa del Pd che vedrebbedi buon occhio una discesa incampo indifferentemente (pur difarla pagare al Premier) dell’ex mi-nistro Braj o dell’ex sindaco Marinooppure, ancora, dell’ex vice-ministroFassina. Ala che se il Pd dovessemancare anche il minimo traguardo,ovvero il secondo turno, ha già de-positata in banca l’imputazione di“traditrice” con relativa lettera di“licenziamento”. Ma è proprio il se-condo turno che potrebbe diventareil banco di rivincita per Renzi. Inquel caso la minoranza, a Romacome nella città di Pulcinella, a

quale tram potrà attaccarsi?Infine c’è la partita di Palazzo

Marino. Quella che per PalazzoChigi doveva essere “una passeg-giata trionfale all’ombra della Ma-dunina”, si sta rivelando una partitairta d’ostacoli sia per i malumori dei“pisapiani” che talmente pieni di sési sono snobbati e divisi alle prima-rie agevolando l’avanzata renziana(parafrasando Moretti: “Con questi,Renzi vincerà sempre”!), sia soprat-tutto per l’ottima scelta di un cen-trodestra che attorno a Parisi ètornato a fare squadra: merito delcandidato, s’intende! È a Milanoche Renzi rischia molto, ma è sem-pre a Milano che i cosiddetti “aran-cioni” (come si fanno chiamare i“pisapiani”) hanno in mano quel“piatto di lenticchie” che se Salaperde non vedranno mai più. Ai “re-sistenti” della sinistra l’ardua sen-tenza: mangiare la minestra osaltare dalla finestra!

Il pasticcio primarie può indebolire Renzi?

Ho voluto partecipare mercoledìscorso alla presentazione del

libro di Simone Nastasi, edito daBonfirraro, “Cuffaro, tutta un’altrastoria”, alla Libreria Montecitorio,malgrado non poche difficoltà, cheho dovuto affrontare.

Intervenendo l’altra sera a questapresentazione ho espresso senzamezzi termini, ma non so se con lanecessaria capacità per far valere inbuona sostanza una tesi che si di-rebbe tutti vogliano eludere, il mioconvincimento che l’aggressione giu-diziaria a Cuffaro, il ricorso ai piùspericolati strumenti pseudo-giuri-dici, il disinvolto uso in suo danno dirisibili metodi di “estrazione” dellaprova, è stato un atto, un “episodio”di lotta politica, secondo una “stra-tegia di lotta” e non in applicazione,per quanto balorda, del diritto. Edho espresso il mio convincimento delvalore “strategico” del processo aCuffaro, nella vasta ed articolatastrategia della “rivoluzione per viagiudiziaria”. Ho insomma insistitoancora una volta, magari fino allanoia, sulle mie tesi circa il “Partitodei Magistrati” e sul suo ruolo nellademolizione dello stato di diritto edelle libere istituzioni nel nostroPaese.

Ma, ho già detto e scritto, l’atteg-giamento di Cuffaro, che ancora una

volta non ha voluto “parlare del pro-cesso”, riuscendo, tuttavia a dirneassai di più di tutti noi, ha qualcosadi singolare, di eccezionale. Cuffaroha parlato del carcere, dell’accetta-zione, se non della condanna, dellasua sorte giudiziaria (che oggi è ter-mine più appropriato). E, soprat-tutto, ha parlato del carcere comeesperienza di un dialogo con sestesso. Può apparire questa la provadi un ripiegamento esistenzialista,notevolissimo in un uomo politico,ma tale da confermare l’abbandonodella politica anche come scelta divita?

Sentendo Cuffaro (che l’altra seraha lasciato andare due affermazioni“sono ancora democristiano” e “lapolitica è impegno che non abban-dono e non rinnego”), mi sono resoconto che quel suo “dialogo con sestesso” che il carcere gli ha consen-tito, e che considera l’aspetto posi-tivo della tragedia, è in realtà ciò cheè mancato alla classe politica ita-liana, fatta oggetto di un volgare as-salto “antipolitico” e di una “purga”pseudo-giudiziaria, senza nemmenola maschera di un’ideologia stali-niana. Di fronte alle raffiche di pro-cessi, di avvisi di garanzia, di arresti,

di condanne e, magari, di mezze as-soluzioni, la classe politica si è anchemoralmente dissolta, si è sottratta adun doveroso “dialogo con se stessa”,ha cercato (certo, giustamente) di ri-durre al minimo i danni, ha (rara-mente) gridato la propria innocenza,ha, invece, riconosciuto, ipocrita-mente e troppo facilmente, l’inno-cenza di Pm e di giudici, ha evitatoaccuratamente di affrontare gli

aspetti più propriamente etici del ca-taclisma politico.

Eppure in quella “prova generale”della oramai prossima mattanza dei“politici”, che il Partito dei Magi-strati, aveva offerto facendo esperi-mento sulla pelle di uno dei piùconosciuti e popolari personaggi ita-liani, prudentemente scelto per la suamancanza del “potere” che, in generesi aggiunge alla notorietà, mi riferi-

sco al linciaggio di Enzo Tortora,questi aveva chiuso la sua personaledifesa proprio ponendo la questionedella “innocenza” (cioè, in alterna-tiva, della colpevolezza) dei suoi giu-dici.

Enzo Tortora seppe affrontare lamortale aggressione in suo danno(per prova… ma mortale) congrande dignità, mettendo tutta l’as-surdità della vicenda, la sua e quelladei suoi persecutori, sul piano etico.E di lì la riflessione, la sua ricerca diverità, lo portò a vedere e vivere, giu-stamente, ed, aggiungerei, “genero-samente”, la sua vicenda sul pianopolitico. Un dono che Tortora ci fece,che fece al nostro Paese, alla suaclasse politica, di cui nessuno, diconessuno, seppe fare uso adeguato.Cuffaro credo abbia fatto un per-corso ideale inverso. Dall’aggres-sione politica subìta (che non puònon aver avvertito subito come tale)è passato a quel “dialogo con sestesso” di natura essenzialmenteetica. Ma che è anch’esso “politico”,e che tale si riconosce quando si av-verte che esso è ciò che manca, nelsuo complesso, alla politica dei no-stri travagliati giorni. Anche a lui,dunque dobbiamo gratitudine. E nondobbiamo ripetere la sciagurata di-strazione con cui fu accolto “l’avver-timento” del caso Tortora.

Grazie, dunque Cuffaro. E, grazieSimone Nastasi, grazie Bonfirraro.

Cuffaro: un libro, molte riflessioni

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Economia-Web

Chissà se Steve Jobs approverebbela presa di posizione della nuova

Apple di Tim Cook sul caso che vedecontrapporsi Apple, Fbi e i terroristidella strage di San Bernardino del 2dicembre del 2015. Per capire qual-cosa del braccio di ferro in corso trale due potenze, digitale ed economicala prima, federale la seconda, serve laconoscenza di qualche dato tecnico.

Uno dei pilastri del sistema disicurezza iPhone è che dopo 10tentativi di accesso altelefono con un Pin er-rato, tutti i dati contenutial suo interno vengonoautomaticamente can-cellati. L’intento è chiaro:impedire a chiunqued’impadronirsi con finiilleciti dei dati sensibilidi uno smartphone pro-dotto dalla società diCupertino.

Nella circostanza, illegittimo proprietariodel telefono è Syed Riz-wan Farook, autoredella strage di San Ber-nardino, con 14 morti e22 persone gravementeferite. Su queste tragichepremesse, l’Fbi ha chie-sto ad Apple di creareun sistema operativo adhoc da installare sul-l’iPhone in questione,per tentare l’accesso neldispositivo, illimitata-mente. In questo modo,grazie ad un semplicesoftware, gli esperti del-l’Fbi potrebbero generareogni possibile combina-

zione alfanumerica, fino ad arrivareal Pin corretto e accedere così al te-lefono (cosiddetto: “metodo di forzabruta”).

Per evitare, o almeno rendere piùdifficoltosi, questi ingressi, i più co-muni sistemi di crittografia digitaleapplicano alla password personale,scelta dall’utente, una derivazione dichiave crittografica (Kdf). A maggioreprotezione, la Kdf viene integrata conun sistema di rallentamento (Pbkdf2)dei tentativi di accesso al sistemaoperativo. Infine, Apple usa la tecno-

logia Pbkdf2 e genera automatica-mente una ulteriore chiave segreta,chiamata Uid, che viene memoriz-zata solo ed esclusivamente nell’har-dware del telefono, all'interno di unprocessore crittografico chiamato Se-cure Enclave (enclave sicura). Conquesto articolato sistema di sicurezzee di chiavi segrete, Apple sostiene diaver reso praticamente impossibileogni accesso all’enclave sicura, ini-bendo il recupero dell’Uid che sbloc-cherebbe ogni telefono.

La domanda è quindi: può o non

può, Apple, e poi, deve o non devecreare il software richiesto dall’Fbiper disabilitare il limite d’inseri-mento di password? Molti espertiinformatici ritengono che l’opera-zione è tecnicamente possibile,anche se il tempo necessario perl’esecuzione del “metodo di forzabruta” richiederebbe ben 5 anni ditempo. Diverso è il discorso sullasua doverosità.

L’azienda di Cupertino, nel co-municato apparso sul proprio sito il16 Febbraio scorso, pur schieran-

dosi contro ogni forma di terrori-smo e mettendosi a disposizione del-l’Fbi, si è rifiutata di creare ilsoftware richiesto, con la motiva-zione che se finisse nelle mani sba-gliate potrebbe potenzialmentesbloccare ogni iPhone del pianeta,compromettere la sicurezza dei datipersonali di tutti gli acquirenti delpianeta, minare l’immagine del-l’azienda. A riprova di ciò, anche igiganti del digitale, tra cui Google,si sono schierati a favore della lineaassunta da Apple.

Tutti sanno che i tele-fonini non sono solostrumenti innovativi dicomunicazione, ma veree proprie banche datiche documentano la vitaprivata dei suoi posses-sori. Non è in discus-sione il diritto doveredell’Fbi di accedere atutte le informazioni deltelefonino di Syed Riz-wan Farook. Ma l’FbiIchiede qualcosa di più,perché chiede di disporredelle chiavi di accessopasse partout utilizzabilipotenzialmente versochiunque. Fbi rassicuradi voler utilizzare il soft-ware una sola volta esolo per quel telefono,ma il rischio che possa es-sere copiato e finire nellemani sbagliate è alto.

È evidente che Applevanta buone ragioni nelnon voler compromet-tere, per sempre, la sicu-rezza della vita privatadi tutti gli utenti delmondo.

Apple, FBI e la strage di San Bernardino

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Quando si ha a che fare con il re-gime “eremita” stalinista della

Corea del Nord, non si capisce maidove finisca la provocazione e dovecominci il pericolo reale. Benché fi-nora non sia mai scoppiato di nuovoil conflitto interrotto nel 1953 dal-l’armistizio di Panmunjon, ogni crisiha esiti imprevedibili. L’ultima, ini-ziata con il lancio di un satellite inorbita da parte dei nordcoreani (inviolazione delle sanzioni dell’Onu),sta raggiungendo il picco proprio inquesti giorni.

In risposta al lancio illegale del sa-tellite (che può costituire un pericoloanche militare, perché è la premessatecnologica al varo di missili balisticiintercontinentali) il Consiglio di Si-curezza dell’Onu ha varato, il 2marzo, un nuovo pacchetto di san-zioni economiche che è il più durodegli ultimi due decenni. Sotto ilnuovo regime sanzionatorio, infatti,l’Onu ordina di ispezionare tutte lenavi mercantili, gli aerei e i mezzi ditrasporto di terra da e per la Coreadel Nord; vieta l’esportazione dellearmi leggere di tutti i tipi; espelle i di-plomatici nordcoreani che si ren-dano colpevoli di “attività illecite”.Altre 16 persone e 12 aziende sonoinserite nella lista nera internazionalee non potranno più operare al-l’estero. Le nuove sanzioni sonofrutto di una lunga mediazione fra laCina e gli Usa, protettori militari ri-spettivamente della Corea del Nord edella Corea del Sud. Oltre alle san-zioni, la seconda misura repressivaconsiste nel mostrare i muscoli mili-tari. Gli Usa e la Corea del Sudhanno avviato nuove grandi mano-vre militari. Inoltre sono cadute tuttele resistenze politiche sudcoreane

allo schieramento dei missili anti-missile Thaad, nonostante la Cina siafortemente contraria.

A queste misure, il dittatore nor-dcoreano Kim Jong-un ha rispostocon i consueti toni bellicosi e con lestesse contromisure adottate nellacrisi del 2013, quella innescata dalsuo terzo esperimento nucleare.Dunque, anche questa volta, è statatagliata la “linea rossa” che mette incomunicazione vertici politici e mili-tari delle due coree e volta a evitaremalintesi e passi falsi. In questomodo il rischio di incidente militare

aumenta notevolmente. Inoltre èstato chiuso l’impianto industriale agestione mista di Kaesong, anch’essoun punto prezioso di scambi di in-formazioni e contatti personali fra ledue metà della penisola asiatica. Inpratica, la Corea del Nord si è defi-nitivamente chiusa in se stessa e noncomunica più col mondo esterno.Quel che ne esce, stando alle dichia-razioni ufficiali, non lascia dormiresonni tranquilli. Subito dopo l’ap-provazione delle sanzioni, le forze ar-mate del “regno eremita” hannolanciato sei missili a corto raggio nel

Mar del Giappone, ufficialmente perun’esercitazione, anche se la mossasuona come un avvertimento chiaroe tondo. Il 3 marzo, Kim Jong-un hadichiarato che il suo Paese fossepronto per una guerra atomica. Il 7marzo, per far toccare con mano atutti che la minaccia è seria, si è fattoriprendere durante un’ispezione a unsito nucleare. Nelle immagini delvideo, si può vedere anche unabomba atomica miniaturizzata, dun-que adatta all’installazione nella te-stata di un missile. Se fosse vera efunzionante, sarebbe un gravissimo

pericolo immediato per la Corea delSud e il Giappone. Nel suo proclamabellicoso, il dittatore ha anche di-chiarato di essere pronto a lanciarel’atomica sugli Stati Uniti stessi. Maquesto sarebbe tecnicamente moltopiù difficile, quasi impossibile, per-ché gli unici missili che potrebberoraggiungere il territorio nord-ameri-cano, i Kn08, sono ancora in fasesperimentale.

La minaccia è seria? Come pertutte le crisi precedenti, appunto, nonsi può capire fino all’ultimo quantoè bluff e quanto è realtà. In un Paesecosì impenetrabile non si può verifi-care nulla. L’atteggiamento degli Usae della comunità internazionale, ingenere, è quello di dar per scontatoche sia un bluff, come è sempre statofinora. Non c’è mobilitazione pre-bellica in Corea del Sud, tantomenonegli Usa, alle prese con le loro ele-zioni primarie. La Russia avvertecomunque il regime di Pyongyangche queste minacce di guerra nu-cleare potrebbero “innescare” un at-tacco preventivo da parte degli Usa,cosa che andrebbe decisamente con-tro gli interessi di Mosca. Fa partedel linguaggio propagandistico delCremlino agitare lo spettro di unaguerra americana. Nella realtà èpraticamente impossibile che Wa-shington decida di lanciare una ri-schiosissima impresa militare inAsia orientale. Ma questo avverti-mento russo è comunque rivelatore:vuol dire che a Mosca temono gestisconsiderati da parte di Kim Jong-un. Insomma, potrebbe non esseretutto un bluff.

Da Parigi a Roma, il terrorismobracca l’Occidente. La paura

adesso ha il volto di un imam arri-vato come rifugiato, ospitato in un“albergo” per migranti e pronto afar saltare la città eterna. Nei pianidel ragazzo (di appena 22 anni)c’era un attacco alla capitale. “Co-minciamo dall’Italia, andiamo aRoma e cominciamo dalla sta-zione”, avrebbe detto il giovane, fa-cendosi forte del suo ruolo nellacomunità islamica. Cercava adeptitra i rifugiati provenienti dal MedioOriente e dal nord Africa. La polizialo ha bloccato prima che accadesseil peggio. In questo caso il terrori-smo assume un volto e viene scon-fitto. Molto spesso avviene ilcontrario e centinaia di cellule dor-mienti disseminate per il mondo,senza volto né voce, colpiscono efanno male. Per il professor Ales-sandro Orsini, direttore del Centroper lo Studio del Terrorismo di TorVergata e Research Affiliate al Mitdi Boston, la jihad non colpisce acaso. Non è una questione di “for-tuna” anche se il suo ultimo saggiosi chiama “Isis. I terroristi più fortu-nati del mondo e tutto ciò che èstato fatto per favorirli”.

Professore, l’Europa è nellamorsa del terrore. Di chi è la colpa?

L’Occidente subisce il terrorismonon per una ragione casuale, maperché sono stati commessi erroriimportanti che hanno favorito il suosviluppo. Però attenzione: questonon significa che il terrorismo esistesolo per colpa dell’Occidente. Dicerto non per sfortuna, ma per causeoggettive.

Perché i giovani musulmani chevivono in Occidente sono così at-tratti dalla causa jihadista?

Nel mio libro, ho studiato le vitedei ragazzi jihadisti che sono riusciti

a uccidere nelle città occidentali dal2001 a oggi. Quindi i fratelli Koau-chi, tra gli attentatori di CharlieHebdo ad esempio. E da studiosoempirico di terrorismo preferisco ri-spondere sulla base dei casi da mestudiati.

Bene, allora mi dica: come si di-venta terroristi?

Per quello che posso dire tuttiquelli che entrano nel network delterrore hanno attraversato una fasedi disintegrazione dell’identità so-ciale. Sono tutti convertiti. E la con-versione quando è sincerapresuppone travaglio interiore, esi-stenziale. La maggior parte di loronon viene dall’Islam, alcuni sono cri-stiani, altri conducevano una vitaostile ai dettami dell’Islam.

Cosa hanno in comune?Disintegrazione dell’identità so-

ciale. Straniamento dal mondo cir-costante: trovano una risposta alleloro angosce esistenziali in un’ideo-logia iper-radicale. In alcuni casi,provengono da ambienti molto di-sagiati. In altri, provengono da fa-miglie della media borghesia.

Come si potrebbe raccontare laconversione?

La conversione è un processo gra-duale, scandito da varie tappe. L’ideo-logia jihadista ha il potere ditrasformare esistenze prive di valore inesistenze eroiche. Come disse un ex ji-hadista, riflettendo criticamente sul

ruolo dell’ideologia nella sua militanzapassata: “From zero to hero overnight(da zero a eroe in una notte)”.

Il vero miracolo dello jihadismo?Restituire un significato esisten-

ziale a chi lo ha perso. Ma poichiede in cambio la vita.

Cosa li trasforma…Nei casi specifici da me analizzati

si evidenzia come l’integralismo isla-mico riempia le vite di questi ra-gazzi. Colma un vuoto esistenzialeche dilania la loro quotidianità.

Da un punto di vista sociologico,qual è l’habitat ideale per un terro-rista?

I contesti sociali di provenienzacambiano. I terroristi possono pro-venire da contesti molto diversi.

Cosa non ha funzionato in Francia?La ragione che ha spinto i terro-

risti a colpire molto la Francia è chela Francia colpisce molto i terroristi.La loro formula è: “Colpiamo co-loro che ci colpiscono”. Nel casodella strage contro Charlie Hebdo,la ragione era culturale. Nel casodella strage dell’Isis, la ragione eramilitare.

Nonostante la tradizionale lai-cità dello Stato, il terrorismo hacomunque attecchito nel tessutosociale francese…

Il terrorista islamico parte dal-l’assunto che la Francia e i Paesioccidentali in genere non rispet-tano il musulmano. Gli integralisti,inoltre, pensano che i francesi mu-sulmani non siano buoni musul-mani (in quanto moderati). Lalaicità di quel Paese non è un mo-tivo per rispettarlo. Proprio perchéla laicità implica una separazionetra potere politico e potere reli-gioso. Le società laiche sono so-cietà desacralizzate. E loro sonoappunto contro questo tipo di so-cietà perché lo Stato che voglionocreare è uno stato in cui vige lasharia, quindi la religione. I terro-risti vogliono risacralizzare la so-cietà desacralizzata dai processi disecolarizzazione

Due domande sulla Libia:quanto ci costerà?

In Libia c’è una situazionemolto pericolosa per l’Italia che èdestinata a peggiorare sempre dipiù. Il governo Renzi è cauto nelgestire la situazione. Dice che nonci sarà accelerazione da parte del-l’Italia. Il problema è che le acce-lerazioni potrebbero arrivaredall’Isis. In quel caso l’Italia ver-rebbe presa in contropiede.

E quali saranno i rischi per ilnostro Paese?

La prudenza di Renzi, la suamoderazione e l’attesa potrebberofunzionare. Ma se una cellula del-l’Isis, partendo dalla Libia, col-pisse la Francia o un altro Paeseoccidentale, Hollande attacche-rebbe in Libia a testa bassa e l’Ita-lia sarebbe scavalcata. Se laFrancia subirà un altro attentato,nessuno la fermerà.

(*) Fonte www.occhidellaguerra.it

Il terrorista Isis? Un borghese con problemi d’identità

Esteri

L’imprevedibile crisi fra le due Coree

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Cultura

Quand’è che ci si accorge...del-l’Altro? Di colei, in particolare,

che da quasi trent’anni è accanto ate, ogni giorno della sua e della tuavita, per servirti e riverirti? “Diamocidel Tu”, in scena al Teatro Pariolifino al 20 marzo, per la regia diEmanuela Giordano, è una bellis-sima commedia agrodolce - unquasi-dramma, venato di struggentecomicità - che ha come splendidiprotagonisti gli attori Anna Galiena(Lucy) e Enzo Decaro (David).

Una sera qualunque, mentre Lucy,la governante di una bella casa dilusso di uno scrittore famoso ma daparecchi anni in crisi di vocazione edi ispirazione, per di più “tridivor-ziato”, si congeda dal suo datore dilavoro alle sette di sera con la con-sueta “buonanotte”, accade miste-riosamente che Lui si accorga di Lei.La scenografia è modesta e mini-male: un piccolo e stretto divanettosulla sinistra, mentre lo sfondo è co-stituito da una parete completa-mente spoglia e da un finto murodivisorio con piccole finestre di vetrosmerigliato colorato, che nasconde ilvano cucina. E tuttavia si rivela sem-plicemente perfetta, con le sue lucitenui, a mettere in risalto i due ruolicontrapposti.

All’apertura del sipario l’autoresiede sul divanetto sfogliando unquotidiano mentre Lucy - con losguardo fisso alla platea - resta inpiedi ferma, impalata. Le prime frasisono brevi, rapide e graffianti, come

quelle di colei che voglia congedarsiin fretta da una situazione imbaraz-zante. Poi, come ghiaccio al sole inpieno agosto, l’atmosfera da rigida(nell’esaltazione del rapporto sud-dito-dominus) si fa fluida. Grazie aun whisky di sempre migliore qualitàstrada discorrendo e, poi, a una bot-tiglia di vino da cento dollari (con-tesa tra i due) Lucy finirà perstendersi sul divanetto in pose dagatta, contemplata da uno stupitoDavid diritto in piedi ad appenderlela giacca e a cercarsi da solo - dopotrent’anni! - un bicchiere pulito nelladispensa!

Stupore assoluto quando sco-priamo all’inizio che Lui la chiamada sempre col suo cognome da si-gnorina, non avendone mai saputo ilnome di battesimo. Voi direte: che ci-nico bastardo! E sarebbe un gravis-simo errore: scoprirete solo alla finecome, in realtà, David si ricordi be-nissimo di quella domenica in cui glisi presentò Lucy, alla prima espe-rienza, con quel grazioso vestitinoverde a fiori. La scelse perché Lei ri-spose al suo stupore con: “Dio amachi sa osare!”. Così è David a ridurredrasticamente le distanze, invitandoLucy a dargli del “Tu”.

Al quarto bicchiere scopriamo chela sua governante guadagna ben97mila dollari all’anno servendo inquella casa da tre decenni. Come?Semplice: David le aveva delegato findall’inizio una sorta di autovaluta-zione sul lavoro svolto, mentre lafirma delle carte e i relativi contenutierano stati da lui demandati al suo

commercialista. Quellacifra abnorme perse-guiterà (con un fondoperenne di ammira-zione) David, conscambi di battute inmerito davvero esila-ranti. Poi, a poco apoco, quella donnabella, sobriamente ele-gante e tutta d’unpezzo, onesta e devota,abbandona la sua cri-salide di domestica de-molendo lo stereotipoche quelle come leidebbano essere figliedel popolo, un po’ mi-sere e tanto ignoranti.E non è davvero il casodi Lucy, che ha unabella casetta e conoscel’intera produzione diDavid (un autore dilibri di spionaggio, di-ventato ricco e famosoper via della sua primaopera divenuta sog-getto di un film di cas-setta) molto meglio dilui e non ha nessunaremora a criticarne leopere di scarsa qualitàpubblicate negli annipiù recenti.

Ma c’è molto, moltodi più. La farsa assumei toni più decisi deldramma quando ancheDavid si scioglie, rac-contando a colei chescoprirà essere la suavera, unica amica diuna vita, i suoi tor-menti interni. Il fanta-sma di un morticinoche non lo abbandonada quando è iniziata lasua crisi creativa; i di-vorzi e i tradimentidelle sue prime duemogli. Con intermezzi sdrammatiz-zanti di Lucy che, ormai superata lasoglia etilica di guardia, gli confessaquando, in occasione del suo primodivorzio, chiese il permesso diuscire in giardino e di gridare asquarciagola la sua immensa gioia

per quell’avvenuta rottura con unadonna che lei cordialmente odiava:ma sempre in silenzio, nel rispettoassoluto dei ruoli rispettivi. L’iniziodi un rapporto di amicizia puro eassoluto, che fonderà le sue solidis-sime basi proprio sulla decadenza

fisica e l’incombere di una vecchiaiaproblematica da parte di David.

Lo spettacolo offre una caricaemotiva e un gusto profondo delsentimento che riconciliano con lavita. Assolutamente da non per-dere!

Decaro-Galiena, al Parioli “Diamoci del Tu”

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