LO SCANDALO DEL MALE E...

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Diocesi di Milano - Servizio Giovani Materiale per approfondire la terza catechesi diocesana (Video) TERZA CATECHESI: «Da dove viene la zizzania? Il mistero del male: dove vado?» LO SCANDALO DEL MALE E L'EUCARISTIA Il materiale seguente vuole offrire agli educatori dei gruppi giovanili e ai singoli giovani nuovi spunti di riflessione e di approfondimento a proposito del tema molto ampio affrontato durante la terza catechesi diocesana: «Da dove viene la zizzania? Il mistero del male: dove vado?». Proponiamo, come per il materiale offerto per approfondire le altre catechesi, quattro approcci che si integrano tra loro, lasciando a ciascuno di scegliere la via preferenziale per accostare il tema del male e della sofferenza. L’approccio antropologico, comprendente i primi tre punti, vuole raccogliere alcune provocazioni dalle quali nascono le domande esistenziali. Il male è uno scandalo, come ha detto suor Maria Gloria Riva nella catechesi, e provoca in noi diverse domande, non sempre corrette e coerenti. Ci sono alcuni difetti nella domanda sul perché del male che dobbiamo smascherare. Un secondo approccio, quello biblico (i punti 4 e 5), ci aiuta ad accostare la figura di Gesù al male, quello subito da Lui e quello del mondo. Nella definizione sintetica che Gesù dà di sé, raccolta nell'espressione giovannea Io sono”, abbiamo una traccia per interpretare alla maniera di Cristo l'esperienza del dolore e della sofferenza. L’approccio spirituale, attraverso tre testimonianze (i punti 6, 7, 8 e 9), vuole offrire qualche via percorribile per stare dentro l'esperienza del male. Dentro questo fatto, come diceva suor Maria Gloria, è presente una rivelazione di Dio. Dio ci può sorprendere: possiamo sperimentare una luce nella notte, anche in quella più tenebrosa. Infine, un approccio più catechetico (punti 10 e 11) per approfondire il significato del Sacramento della Eucaristia. Essa è la sorgente dell'amore di Cristo per noi. È la misura di questo amore che domanda un sacrificio attuale della vita. No c'è amore più grande di colui che dà la vita per i propri amici. Riteniamo importante, a prescindere dall’approccio scelto, che non venga meno il confronto con il Vangelo: in esso ritroviamo la misura dell'amore, come diceva S. Agostino: “Un amore senza misura. Nella vicenda di Gesù sperimentiamo la solidarietà, quindi la vicinanza di Dio nel dolore, una luce che illumina anche l'esperienza più buia, quella della morte.

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Diocesi di Milano - Servizio Giovani

Materiale per approfondire la terza catechesi diocesana (Video)

TERZA CATECHESI: «Da dove viene la zizzania? Il mistero del male: dove vado?»

LO SCANDALO DEL MALE E L'EUCARISTIA

Il materiale seguente vuole offrire agli educatori dei gruppi giovanili e ai singoli giovani nuovi spunti di riflessione e di approfondimento a proposito del tema molto ampio affrontato durante la terza catechesi diocesana: «Da dove viene la zizzania? Il mistero del male: dove vado?». Proponiamo, come per il materiale offerto per approfondire le altre catechesi, quattro approcci che si integrano tra loro, lasciando a ciascuno di scegliere la via preferenziale per accostare il tema del male e della sofferenza. L’approccio antropologico, comprendente i primi tre punti, vuole raccogliere alcune provocazioni dalle quali nascono le domande esistenziali. Il male è uno scandalo, come ha detto suor Maria Gloria Riva nella catechesi, e provoca in noi diverse domande, non sempre corrette e coerenti. Ci sono alcuni difetti nella domanda sul perché del male che dobbiamo smascherare. Un secondo approccio, quello biblico (i punti 4 e 5), ci aiuta ad accostare la figura di Gesù al male, quello subito da Lui e quello del mondo. Nella definizione sintetica che Gesù dà di sé, raccolta nell'espressione giovannea “Io sono”, abbiamo una traccia per interpretare alla maniera di Cristo l'esperienza del dolore e della sofferenza. L’approccio spirituale, attraverso tre testimonianze (i punti 6, 7, 8 e 9), vuole offrire qualche via percorribile per stare dentro l'esperienza del male. Dentro questo “fatto”, come diceva suor Maria Gloria, è presente una rivelazione di Dio. Dio ci può sorprendere: possiamo sperimentare una luce nella notte, anche in quella più tenebrosa. Infine, un approccio più catechetico (punti 10 e 11) per approfondire il significato del Sacramento della Eucaristia. Essa è la sorgente dell'amore di Cristo per noi. È la misura di questo amore che domanda un sacrificio attuale della vita. “No c'è amore più grande di colui che dà la vita per i propri amici”. Riteniamo importante, a prescindere dall’approccio scelto, che non venga meno il confronto con il Vangelo: in esso ritroviamo la misura dell'amore, come diceva S. Agostino: “Un amore senza misura”. Nella vicenda di Gesù sperimentiamo la solidarietà, quindi la vicinanza di Dio nel dolore, una luce che illumina anche l'esperienza più buia, quella della morte.

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1. DOVE STA DIO NEL MALE? Due cortometraggi che ci aiutano a raccogliere le obiezioni e le provocazioni che vengono dall'esperienza del male.

- Se esiste Dio, perché tanto male nel mondo? Questo simpatico cortometraggio, postato anche da Papa Francesco nella sua pagina Facebook, l'originale infatti è in lingua spagnola, raccoglie la domanda più radicale che nasce dall'esperienza del male. Simpatica ed efficace è anche la risposta data. http://m.youtube.com/watch?v=8SEHvqgyFKw

- “Le puits” – “The well” Cortometraggio di Jérôme Boulbès, Lardux Films, 1999 Come emergere dal POZZO del dolore, della sofferenza? Sentiamo necessario in alcune situazioni, che oscurano l'orizzonte e bloccano la vita, qualcosa a cui aggrapparci, qualcosa che possa sostenere, accompagnare nel viaggio verso la luce. Il cortometraggio a cartoni animati "Le puits", vincitore di numerosi premi, offre diversi spunti per riflettere sul viaggio della vita come viaggio di liberazione, di ascesi. Alcuni mali sono evidenti, altri passano sotto forma di tentazione, altri ancora non sono neppure riconosciuti. Ma questo cammino verso la luce è un viaggio solitario? Mi posso salvare da solo? Durée 8min20s Format 1.85 Support film 35 mm Premi ricevuti in varie manifestazioni: Aide au tirage de copies UNIFRANCE Prime à la Qualité CNC Prix ATOM FILMS Meilleur Film d’Animation Clermont Ferrand Prix Pixel-Ina « Meilleure Lumière » IMAGINA 2ème Prix Pixel-Ina Fiction IMAGINA Meilleure Technique d’Animation Festival de Lille 2000 « Danzante de Bronze » HUESCA 2000 Premio Pinoccio per l’Animazione MONTECATINI Mention Spéciale du Jury Jeunes MONTECATINI Mention Spéciale du Jury Court 18/Cinéma des Cinéastes Nomination aux « César » Prix « Jeunesse et Sports » au festival d’AUCH Prix du meilleur son au festival Goldfish (RUSSIE) Prix du meilleur film pour enfants au festival Goldfish (RUSSIE) http://m.youtube.com/watch?v=cNIStXbNW7I

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2. IL DOLORE INNOCENTE Eric-Emmanuel Schmitt (Lione 1960) è drammaturgo, saggista e romanziere di fama internazionale. In Oscar e la dama in rosa racconta la storia di un ragazzino di dieci anni, la cui vita sta già per finire. La leucemia lo sta uccidendo. E lui lo sa. Lo sa ma non può parlarne con nessuno, perché i grandi per paura fanno finta di non saperlo. Nell’ospedale in cui il bimbo passa le sue giornate, solo l’anziana signora vestita di rosa, che va sempre a trovarlo intuisce la sua voglia di risposte. E gli suggerisce un gioco: fingere di vivere dieci anni in un giorno e scrivere a Dio per raccontargli la sua vita. Oscar ci sta: così si immagina a vivere a vent’anni, a quaranta, a novanta. A centodieci giorni dopo l’inizio del gioco, si addormenta. Ha lasciato un biglietto sul comodino: «Solo Dio ha il diritto di svegliarmi». Caro Dio, mi chiamo Oscar, ho dieci anni, ho appiccato il fuoco al gatto, al cane, alla casa (credo persino di aver arrostito i pesci rossi) ed è la prima lettera che ti mando perché finora, a causa dei miei studi, non ho avuto tempo. Ti avverto subito: detesto scrivere. Bisogna davvero che ci sia obbligato. Perché scrivere è soltanto una bugia che abbellisce la realtà. Una cosa da adulti. La prova? Per esempio, prendi l'inizio della mia lettera: «Mi chiamo Oscar, ho dieci anni, ho appiccato il fuoco al gatto, al cane, alla casa (credo persino di aver arrostito i pesci rossi) ed è la prima lettera che ti mando perché finora, a causa dei miei studi, non ho avuto tempo». Avrei potuto esordire dicendo: «Mi chiamano Testa d'uovo, dimostro sette anni, vivo all'ospedale a causa del cancro e non ti ho mai rivolto la parola perché non credo nemmeno che tu esista». Ma se ti scrivo una roba del genere, fa un brutto effetto e ti interesseresti meno a me. E io ho bisogno che t'interessi. Inoltre mi farebbe comodo che tu avessi il tempo di farmi due o tre piaceri. Ti spiego. L'ospedale è un posto strasimpatico, con un sacco di adulti di buon umore che parlano forte, con un mucchio di giocattoli e di signore in rosa che vogliono divertirsi con i bambini, con amichetti sempre disponibili come Bacon, Einstein o Pop Corri, insomma. L'ospedale è molto gradevole se sei un malato gradito. Io non faccio più piacere. Da quando sono stato sottoposto al trapianto di midollo osseo, sento proprio che non faccio più piacere. Quando il dottor Düsseldorf mi visita, la mattina, lo fa di malavoglia, lo deludo. Mi guarda senza dire nulla, come se avessi commesso un errore. Eppure ho affrontato con impegno l'operazione; sono stato bravo, mi sono lasciato addormentare, ho avuto male senza gridare, ho preso tutte le medicine. Certi giorni ho voglia di insultarlo, di dirgli che è stato forse lui, il dottor Düsseldorf, con le sue sopracciglia nere, a sbagliarla, l'operazione. Ma ha un'aria talmente infelice che gli insulti mi restano in gola. Più il dottor Düsseldorf tace con il suo sguardo sconsolato, più mi sento colpevole. Ho capito che sono diventato un cattivo malato, un malato che impedisce di credere che la medicina sia straordinaria.

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Il pensiero di un medico è contagioso. Adesso tutto il piano, le infermiere, gli interni e le donne delle pulizie mi guardano nello stesso modo. Hanno l'aria triste quando sono di buon umore; si sforzano di ridere quando racconto una storiella. È vero, non ridono più come prima. Solo Nonna Rosa non è cambiata. Secondo me, è comunque troppo vecchia per cambiare. E poi è anche troppo Nonna Rosa. Nonna Rosa non te la presento, Dio, è una tua buona amica, visto che è stata lei a dirmi di scriverti. Il problema è che sono l'unico a chiamarla Nonna Rosa. Dunque, devi fare uno sforzo per capire di chi parlo: fra le signore in camice rosa che vengono da fuori a passare del tempo con i bambini malati, è la più vecchia di tutte.

TRATTO DA: ERIC-EMMANUEL SCHMITT, Oscar e la dama in rosa, Bur Rizzoli, pp. 9-11

3. OLTRE LA MORTE Ogni giorno i giovani incontrano in molte forme il dolore e la gioia, la morte e la vita. Sono provocati quotidianamente a prendere posizione a favore della verità e della giustizia. Sono invitati ad offrire ogni sacrificio di autentico amore nella speranza che il regno di Dio sia ogni giorno più vicino. La fede non si esprime in forme di debole rassegnazione di fronte alle difficoltà e neppure propone una negazione della felicità umana, ma introduce l’unica speranza in grado di andare oltre la barriera della morte. La pienezza della vita terrena, pur con le ferite della condizione umana del peccato, offre i segni di una anticipazione della vita eterna, la quale è già resa presente e vivace nel mondo dallo Spirito del Cristo risorto. Il compito educativo tra i giovani e anche quello di aiutare a interpretare il valore della vita in tutta la sua pienezza, dall’inizio alla fine. È urgente anche educare la sensibilità della nuove generazioni nei confronti dei numerosi segni di morte presenti nel mondo. Oggi, abituati allo scorrere vorticoso delle immagini e delle notizie, è troppo forte il rischio di diventare insensibili di fronte agli eventi di ingiustizia e di morte che si consumano nel mondo per mano dell’uomo a motivo del suo egoismo e della sua sete di potere. È necessario creare una nuova sensibilità che vada oltre alla garanzia del soddisfacimento dei propri bisogni quotidiani, ma si faccia carico di una nuova umana mondialità che soffre, reagendo alle spinte di assoluta indifferenza o di crudele cinismo, i quali spesso si insinuano in chi è ripiegato soltanto su un suo egoistico benessere. Una umana lettura della vita e della morte dovrà aprire la mente il cuore delle nuove generazioni verso inedite forme di solidarietà e di speranza, sostenuti da valori più grandi dei propri bisogni e capaci di manifestare passione per il mondo e desiderio della vita eterna. Il mistero della morte e della risurrezione del Signore deve essere ancora in grado di parlare alla concretezza della vita quotidiana. Per la riflessione e la preghiera Provo a riflettere su ciò che mi dà più gioia in questa stagione della mia esistenza. Verifico se davvero è qualcosa di grande valore. Mi chiedo:

- In che cosa cerco la gioia? - Mi accontento di ciò che è immediato e facile da raggiungere? - Mi accontento di surrogati che non durano a lungo? - sono capace di portare gioia agli altri e di condividerla con loro?

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Non fuggo dalle grandi domande della vita. Non cedo nemmeno, di fronte ad esse, all’inquietudine.

- Cerco di affrontarle con serietà e serenità, facendomi accompagnare nella ricerca della verità?

So che è un cammino che chiede pazienza per questo voglio essere perseverante. So che non sempre potrò giustificare tutto con la ragione. Per questo mi affiderò allo Spirito di Dio. Non voglio nascondermi nemmeno di fronte agli interrogativi che nascono dal dolore e dalla morte. Nella loro drammaticità racchiudono il senso ultimo della vita e la meta di ogni esistenza.

- Cerco sempre di scorgere il volto delle persone dietro la forza dei problemi? - So sempre tenere in grande considerazione il valore della vita? - So rispettare la dignità di tutti senza distinzioni? - Credo che Dio sia l’origine e il compimento dell’esistenza e del mondo?

TRATTO DA: Progetto di Pastorale Giovanile Camminava con loro, vol. 1 Il mistero di Cristo, Centro Ambrosiano, Milano 2011, pp. 139-141

4. IO SONO

Dal Vangelo secondo Giovanni 28

Disse allora Gesù: «Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono e che non faccio nulla da me stesso, ma parlo come il Padre mi ha insegnato. (Gv 8,28) Dopo la domanda dei giudei - che è anche la nostra domanda -. «Tu chi sei?», Gesù rinvia innanzitutto a Colui che l'ha mandato e a nome del quale Egli parla al mondo. Ripete ancora una volta la formula di rivelazione, l’«Io Sono», che però ora estende alla storia futura. «Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allora saprete che Io Sono» (Gv 8,28). Sulla croce il suo essere il Figlio, il suo essere una cosa sola con il Padre, diventa riconoscibile. La croce è la vera «altezza». È l'altezza dell'amore «sino alla fine» (Gv 13,1); sulla croce Gesù è all'«altezza» di Dio, che è Amore. Lì si può «conoscerlo», si può capire l'«Io Sono». Il roveto ardente è la croce. La suprema pretesa di rivelazione, l’«Io Sono» e la croce di Gesù sono inseparabili. Qui non troviamo una speculazione metafisica, ma la realtà di Dio si manifesta qui nel bel mezzo della storia, per noi. «Allora saprete che lo Sono» - quando si realizza questo «allora»? Si realizza continuamente nella storia; iniziando dal giorno della Pentecoste, durante il quale i giudei «si sentirono trafiggere il cuore» (At 2,37) dal discorso di Pietro e, secondo il racconto degli Atti degli Apostoli, si fecero battezzare in tremila, unendosi così alla comunità degli apostoli (cfr. 2,41). Si realizzerà appieno alla fine della storia, di cui il veggente dell'Apocalisse dice: «Ognuno lo vedrà; anche quelli che lo trafissero...» (Ap 1,7). Al termine delle dispute dell'ottavo capitolo, l'«Io Sono» di Gesù compare un'altra volta, ora ampliato e spiegato in un'altra direzione. Ancora è in sospeso la domanda: «Tu chi sei?», che sottintende al tempo stesso la domanda: «Da dove vieni?». Si giunge così a parlare della discendenza dei giudei da Abramo e, da ultimo, della paternità di Dio stesso: «Il nostro padre è Abramo. [...] Noi non siamo nati da prostituzione, noi abbiamo un solo Padre, Dio!» (Gv 8,39.41).

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Il rimando degli interlocutori di Gesù oltre Abramo alla paternità di Dio offre al Signore l'opportunità di spiegare ancora una volta con chiarezza le sue origini, nelle quali, di fatto, si compie con pienezza il mistero di Israele a cui i giudei stessi hanno fatto allusione con il superamento della discendenza da Abramo in direzione della discendenza da Dio stesso. Abramo, ci insegna Gesù, non rimanda soltanto, al di là di se stesso, a Dio Padre - egli rimanda soprattutto, verso il futuro, a Gesù, il Figlio: «Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e se ne rallegrò» (Gv 8,56). All'obiezione dei giudei secondo cui Gesù non avrebbe potuto vedere Abramo, segue ora la replica: «Prima che Abramo fosse, lo Sono» (8,58). «Io Sono» - ecco ancora una volta misteriosamente innalzato il semplice «Io Sono», questa volta definito, però, dal contrasto con il «fosse» di Abramo. Al mondo dell'arrivare e del passare, al mondo del sorgere e del tramontare si contrappone l’«Io Sono» di Gesù. Rudolf Schnackenburg osserva giustamente che qui non si tratta solo di una categoria temporale, bensì «di una fondamentale differenza ontologica [...] la pretesa di Gesù ad un modo di essere assolutamente unico, che va oltre le categorie umane» viene formulata con chiarezza (Johannesevangelium II, p. 61). TRATTO DA: Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, Rizzoli, Milano 2007, pp. 399-401

5. IO SONO LA LUCE DEL MONDO IL VOLTO DELLA LUCE El Greco, Il Salvatore (1610-1614), Toledo, Cattedrale

Offriamo un commento pittorico al seguente versetto del Vangelo di Giovanni (Gv 8,12) attraverso il dipinto il “Salvatore” di El Greco:

12Di nuovo Gesù parlò loro e disse: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle

tenebre, ma avrà la luce della vita».

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Sulla scena dell'arte a cavallo tra Cinquecento e Seicento appare El Greco, libero come il vento. Forse capita così a chi nasce e cresce in una cultura, matura a contatto di un'altra, e va a deporre i suoi prodotti più turgidi di linfa vitale in una terza realtà: Creta - Venezia - Spagna. Ma il segreto va cercato in lui, in quel formidabile assimilatore che sa rifondere tutto ciò che apprende con un fuoco che è tutto interiore a lui. Un'arte così non può creare né correnti artistiche né imitatori. O la stimi fino a innamorartene o la critichi fino a squalificarla. Indifferente non ti lascia. Ogni tema o soggetto sembra per lui l'occasio-ne per un'avventura che gli permette di aggredire le forme, di sviscerare tutte le possibilità del co-lore, di buttarsi in ardite costruzioni plastiche, di osare fusioni e trasparenze mai viste. Che cosa vedeva lui in realtà? Allucinazioni? Impronte di vento e di fuoco che passavano direttamente da lui al suo pennello e quindi alla tela? Oppure c'erano in lui l'entusiasmo e l'impegno di formare sulla tela un mondo «altro», coerente e compatto nella sua logica interna, frutto di un puro atto creativo? Le domande sono tutte legittime e la sua opera le giustifica tutte. Ne resta una, anch'essa valida: e se El Greco fosse un visionario alla maniera dell'Apocalisse, visione che si fa rivelazione? È una delle ultime opere di El Greco. Gli occhi del pittore sembrano guardare nel buio per sorprendersi poi davanti a una figura di luce. È commovente supporre che il momento della sua morte sia avvenuto proprio così. Infatti egli appartiene alla schiera dei pittori che frequentano la notte. Come? Chiudendo gli occhi. Lentamente la luce del mondo, la luce materiale, la luce che abbaglia e scuote i nervi, si attenua. Le cose, le persone, il cielo e i prati perdono i contorni. Nel frattempo, impercettibile, si diffonde da dentro, dal profondo, dall'origine, dall'anima una luce strana. È fatta di altre frequenze. Cresce fino ad abbagliare. A occhi aperti invece la luce del giorno è spesso rumorosa, è incredibilmente varia, è talvolta perfino insolente. Distrae, ti porta fuori da te stesso. Ti illude. Ma è bella e affascina. Quale delle due luci è più vera? L'una sembra essere all'altra tenebra. El Greco opta per la discesa nella notte. Cala il mondo esterno con tutta la ricchezza del suo splendore, delle sue forme e dei suoi colori nella tenebra/luce dell'anima raccolta nel suo silenzio. E poi lo lascia risalire risorto in superficie. Quanto piace a noi moderni questa operazione! El Greco la compie invece in epoca lontana; non ha compagni di viaggio. Chi pure si è avventurato nella notte è stato il contemporaneo Caravaggio, ma la sua è un'altra luce, che porta su un'altra frequenza. Le figure di El Greco si portano addosso la luce che le ha affusolate, scarnite, lustrate. Splendono di colori nuovi. Sanno di carne risorta. Hanno già attraversato la morte. Nuotano in un mondo liquido. Il vento sembra risucchiarle in alto o portarle via. Ed eccolo il Redentore venirci incontro da dentro, venirci su dall'anima. Ha la forma della spirale, è fatto di roveto verde aggredito dal fuoco. Arde e non si consuma. Ti guarda e dice: «Io sono la vita. Guarda i miei occhi. Ho ancora davanti lo splendido lago di Galilea, le mani di mia madre, le parabole raccontate nelle piazze, i visi curiosi, appassionati o diffidenti degli uomini... Mi sentivo morire dentro. Morivo in croce, ma morivo anche per il dolore di lasciare tutto e per la cattiveria con cui mi davano la morte. Ma ardevo già di questo fuoco. Vi sono entrato, senza rancore, senza propositi di vendetta verso nessuno, senza sospetti nei confronti della volontà del Padre. E ho ritrovato tutto, anche l'aurora sul lago, anche mia madre, anche... Dirigiti anche tu verso questo fuoco. Seguimi. Fidati. Vivi intensamente l'istante che ti è dato. Amalo, anche se non ha consistenza. Vivilo con umiltà, dolcezza e generosità. Non trattenerlo. Chiudi gli occhi, come ha fatto il pittore. Al momento ti sembrerà notte e solo notte. Ma ben presto vedrai che tutto è rimasto bello, che tutto si è sostanziato del mio fuoco».

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Il dialogo è immaginario, ma credibile: come ci spiegheremmo, del resto, l'amore che El Greco nutriva per i libri dei grandi classici, la sua ammirazione per la splendida arte del Rinascimento e questo suo pennello che sembra consumare ogni cosa per restituircela ardente di un fuoco che non si consuma? IN UNA NOTTE OSCURA (Canto dell’anima) di Giovanni della Croce In una notte oscura ma con ansie di amor tutta infiammata, o felice ventura, uscii, né fui notata, stando già la mia casa addormentata: io nel buio e sicura, per la segreta scala, travestita, o felice ventura, a ogni lume sfuggita, tutta la casa mia stando sopita: nella notte gioiosa, in segreto, e nessuno mi scorgeva, né io vedevo cosa, senz'altra luminosa guida che il raggio che nel cuore ardeva. Questo mi conduceva più certo della luce in pieno giorno là dove mi attendeva chi bene io conoscevo e dove nessun altro si vedeva. Notte che mi hai guidato, notte più compiacente dell'aurora, o notte che hai legato all'Amato l'amata l'amata nell'Amato trasformata! Sul mio petto fiorito che per lui solo intatto si serbava, qui rimase, sopito, ed io lo vezzeggiavo e il ventaglio di cedri lo aleggiava. La brezza dall'altura, mentre quei suoi capelli discioglievo,

con serena frescura il collo mi feriva e tutti i sentimenti mi rapiva. Mi lasciai, mi scordai, il viso reclinai sopra l'Amato. Tutto cessò, posai, ogni pensiero ormai avendo in mezzo ai gigli abbandonato. DALL'IMAGINE TESA di Clemente Rebora Dall'imagine tesa vigilo l'istante con imminenza di attesa - e non aspetto nessuno: nell'ombra accesa spio il campanello che impercettibile spande un polline di suono - e non aspetto nessuno: fra quattro mura stupefatte di spazio più che un deserto non aspetto nessuno: ma deve venire, verrà, se resisto a sbocciare non visto, verrà d'improvviso, quando meno l'avverto: verrà quasi perdono di quanto fa morire, verrà a farmi certo del suo e mio tesoro, verrà come ristoro delle mie e sue pene, verrà, forse già viene il suo bisbiglio.

TRATTO DA: Un Volto da contemplare (testi di Giuseppe Sala e Giuliano Zanchi), Ancora, Milano 2001, pp. 201-205

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6. CHI MI SEGUE NON CAMMINA NELLE TENEBRE

Bisogna aver preso coscienza delle due masse tenebrose fra cui la nostra vita s'inserisce, tenebra insondabile di Dio e tenebra dell'uomo, per consegnarsi perdutamente al Vangelo, per scoprirlo attraverso il doppio nulla del nostro stato di creatura e del nostro stato di peccatori. Bisogna aver toccata il fondo della morte che ci sta intorno in tutto quel che costituisce il nostro amore di uomini: devastazioni del tempo, della fragilità universale, dei lutti, decomposizione del tempo, di tutti i valori, dei gruppi umani, di noi stessi. Bisogna aver toccato, all'altro polo, l'universo impe netrabile della sicurezza di Dio perché si generi in noi un tale orrore del buio che la luce ci diventa più necessaria del pane. Allora soltanto ci aggrappiamo ad essa come ad una cordai tesa al di sopra di un doppio abisso. Bisogna sapersi perdut per voler essere salvato. Chi non prende nelle sue mani il minuscolo libro del Vangelo con la risoluzione di un uomo che ha una sola speranza, non pub né decifrarne né riceverne il messaggio. Poco importa' allora che questo felice disperato, po vero di ogni aspettativa umana, prenda quel libro sul ri piano di una ricca biblioteca o nella tasca del suo vestito di miserabile o in una cartella' di studente; poco importa che lo prenda in una pausa della sua vita o in una gior nata simile alle altre, in una chiesa o in una cucina. In mezzo alla campagna o nel suo ufficio, egli prenderà il libro, ma lui stesso sarà preso dalle parole che sono spirito. Esse penetreranno in lui come il grano nella terra, come il lievito nella pasta, come l ’albero nell’aria, elui, se vi consente, e lui, se vi consente, potrà diventare come un’espressione nuova di quelle parole. E’ il grande mistero nascosto nel libro del Vangelo. Ogni libro è già un mistero: un mistero di uomo. In ogni libro si opera un'unione di materia e di spirito, di significato e d'invisibile. Ogni libro testimonia che le frontiere dell'anima sono al di.Ià della carne e che le sue dimensioni non si toccano con le mani. Ma il Vangelo non è un libro fra i libri. Non è una parola di uomo fra parole di uomo: è la Parola .del Verbo di Dio, è il Verbo di Dio fatto vita umana da contem plare e da raccontare. In esso c'è una virtù che illumina e che trasforma, un dono di Dio permanente e potente. Ma ogni dono di Dio non si riversa che nelle mani della fede; ogni dono di Dio non si riceve che nelle profondità vertiginose del la speranza. Il Vangelo, perché apra il mistero che è in lui, non chiede né scenario né erudizione né tecnica speciali. Chiede un'anima prosternata nell'adorazione e un cuore spoglio da ogni affidamento umano. Tratto da: Madeleine Delbrêl, Noi delle strade, Ed. Gribaudi, Torino, pp. 76-77.

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7. APRIRSI A UN DIO SORPRENDENTE

Tutto questo parlare di abbandonarsi, di “lasciare la presa”, di “lasciarsi andare” si scontrerà forse con alcune nostre inveterate convinzioni. Anche nella nostra fede, forse, abbiamo bisogno di allentare la presa e spalancare le braccia a un Dio sorprendente. Tempo fa incontrai uno studente seduto sugli scalini di uno degli edifici del campus universitario, la testa fra le mani. «Che c'è che non va?», gli chiesi. «Beh», mi rispose, «tutto sembra eccessivo: ci sono troppi corsi, troppe cose interessanti da fare, troppe possibilità tra cui scegliere. Mi sento come un bambino in un negozio di dolci che abbia solo un quarto di dollaro e non sappia come spenderlo». Ripenso al mio giovane amico perché spesso nelle nostre scuole, nei nostri posti di lavoro, tra conoscenti ci diciamo che se solo trovassimo il tempo e avessimo sufficienti energie potremmo conquistare il campo, la vita. Persino nei nostri corsi e conferenze su Dio siamo propensi a ridurre Dio ai nostri preconcetti e sistemi. In fondo, Dio un po' ci fa paura. Vogliamo amarlo, ma ci difendiamo e lo teniamo a distanza. Le nostre abitudini spirituali, le nostre usanze religiose diventano quella cortina difensiva. Di fatto diciamo a Dio: «Se vuoi venire, devi usare il vecchio accesso, la vecchia via». Ma spesso la sofferenza ci tiene una lezione sull'incomprensibilità di Dio. Dice il Signore per bocca di Isaia: «Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri» (Is 55,9). Questa è davvero un'affermazione liberatoria. Ci esorta a non conformare Dio ai nostri desideri, a non cercare di stabilire noi le regole. Perché, per quanto proviamo, noi non potremo mai afferrare Dio, tenerlo in mano nostra e pensare: Finalmente, ora capisco. Piuttosto, da tutto il turbamento, il caos interiore o la lunga notte, noi usciamo a mani vuote, e quelle mani le tendiamo a Dio. Il nostro attendere Dio, il nostro domandargli dove ci stia portando, può allora alimentare in noi una crescente sensibilità alla sua presenza, oltre che alla sua assenza. Impariamo ad accettare le sorprendenti vie di Dio e la sua intermittente presenza in mezzo a noi. Non partiamo più dal segreto presupposto che solo se lavoriamo senza risparmiarci alla causa del Regno, solo se ci impegniamo nelle nostre attività o in quelle della nostra Chiesa, senz'altro alla fine faremo espe-rienza di Dio, Dio ci parlerà. Ci troviamo meno spesso ad attendere che Dio venga in base ai nostri programmi o calcoli. In teologia si fa un gran parlare di chi è Dio, di come noi lo intendiamo, di come ne percepiamo l'azione. Parliamo di ciò che crediamo esser vero. Ma si farà anche, se non ci accaniamo a voler ridurre a sistema l'Infinito e l'Ineffabile, un gran parlare di chi non è Dio: Dio non è solo giustizia, né solo amore, né solo libertà, non è solo questo o quello. Dio è più grande delle nostre menti e dei nostri cuori. Abbiamo sufficienti indizi per sapere che Dio sorpassa ogni nostra capacità di pensare o immaginare. In simili occasioni, Dio ci chiede di scendere dai baluardi su cui ci eravamo arroccati, di smettere di calcolare i possibili rischi che corriamo. Gesù ci invita: «Prendi la tua croce, seguimi [cfr. Mt 16,24; Mc 8,34; Lc 9,23], lascia anche tuo padre e tua madre [cfr. Mt 19,29; Mc 10,29; Lc 18,29], se necessario. Non avere l'ossessione di sapere esattamente che cosa accadrà, ma confida che sei nelle mani di Dio, che guiderà la tua vita». E noi possiamo farlo, perché nella Scrittura ci viene ripetuto di continuo: Non temere. Dammi una possibilità. Sono il tuo Salvatore, la tua Guida, il tuo Amico, il tuo Sposo.

TRATTO DA: H. Nouwen, Muta il mio dolore in danza, San Paolo, Cinisello B. 2002, pp. 47-49.

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8. MISSIONE E VOCAZIONE di Madeleine Delbrêl

Le due vie sono sempre esistite. Sempre il Signore dirà agli uni: “A causa di me e del mio amore tu avrai una moglie, dei figli, una casa, dei beni da amministrare da parte mia nel mondo”. Sempre il Signore dirà agli altri: “Tu non avrai che me e io sarò il Tuo tutto”. Sempre il Signore dirà agli uni: “lo so ciò che ti conviene, ti darò ogni giorno la tua pena il tuo pane quotidiano, perché dovunque tu sarai ci sia anche la mia croce”. Sempre il Signore dirà agli altri: “Prendi la tua croce e seguimi”. Prendila con le tre braccia della povertà, dell'obbedienza e della castità. Perché? Perché questo io voglio: che tu mi ami e che noi amiamo il mondo insieme. La maggior parte di coloro ai quali Cristo tiene un tal discorso stanno sotto vesti scure, bianche o nere, discepoli d'un santo che fu attraverso il tempo compagno di strada del Signore. Altri sono persone come voi e come me, persone affondate il più a fondo possibile nello spessore del mondo, separate da questo mondo da nessuna regola nessun voto nessun abito nessun convento. Povere, ma simili alle persone d'ogni luogo. Pure, ma simili a persone di qualsiasi ambiente. Obbedienti, ma simili a persone di qualsiasi paese. Sono per tutto e per tutti: ne troverete che insegnano, che emanano leggi, che curano e consolano, che lavorano in officina. Per essi un mondo vale l'altro e un'anima un'altra anima. Ma non tediateli con metodi e tecniche. Non dite loro: “Qui è meglio aver l'aria un po' ricca: riuscirete meglio”; “Là è meglio sposarvi, sarete un apostolo migliore”; o ancora: “Sappiate ciò che volete, e mirateci”. Essi vi risponderanno: “Non si possono seguire due strade. Ci date delle ricette che non fanno per noi”. Se noi siamo un po' malconci, se noi facciamo in questo mondo la figura degli accampati, è perché la nostra ricetta è di non possedere altro che il Signore. Se noi non abbiamo focolare, se a casa nostra né marito né moglie né figli ci attendono, è perché il Signore ci possiede e da Lui solo noi vogliamo essere posseduti. Se noi non abbiamo programma è perché il nostro Padre del Cielo l'ha scritto prima per noi e ci basta ricevere i suoi ordini giorno per giorno. Non dite loro che la croce è dannosa, un po' morbosa e un po' malsana, che il mondo ha bisogno di ritrovare il volto della gioia e non dei penitenti. Vi risponderanno: “Noi vi parleremo della gioia quando l'avremo imparata sulla croce dove ritroviamo il nostro amore. La nostra gioia è d'un prezzo così esorbitante che è stato necessario per acquistarla vendere ciò che possedevamo e tutto noi stessi”. Quelli della prima chiamata, devono essere numerosi, perché il mondo è grande e il suo battesimo è lungo. Ma quelli della seconda chiamata, bisogna che ve ne siano almeno alcuni per dare agli uomini, questi adulti fanciulli, l'edizione visiva della vita di Gesù: Gesù, che è la “Missione” stessa.

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9. UNA LUCE NELLA NOTTE

Testimonianza di David Martìnez – (Comunità “Nuovi Orizzonti”) “Venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!»”. E subito [...] egli fu purificato.”... quando mi trovo di fronte a Gesù e lo guardo negli occhi mi viene in mente spesso questo brano di Vangelo e mi permetto di porre una domanda ad alta voce: Cosa ha spinto quell'uomo a prostrarsi ai piedi di Gesù e supplicare la sua guarigione? Non credo sia stata la necessità di essere sano né tanto meno la fuga dalla sofferenza..... Penso alla sua voglia di essere libero. Mi chiamo David e a 19 anni sto provando ad essere un uomo libero. Come tutti i miei coetanei, anch'io sono figlio del mio tempo, dove i telegiornali presentano le solite cronache di morte, dove le prime pagine mostrano titoli di stragi e diritti umani violati, dove ti arriva una notifica ogni minuto e mezzo e non hai il tempo di organizzare la giornata perché sei impegnato a condividere le tue foto e i tuoi video per reclamare al mondo la tua parte di riconoscimento..... ma nonostante tutto questo, ogni giorno lotto con le unghie per arrivare a fine giornata e trovare una serenità meravigliosa. Il mio incontro con Dio è cominciato durante una “Luce Nella Notte” di Nuovi Orizzonti in cui fui invitato ad uscire in strada ad incontrare il primo sul marciapiede per proporgli un incontro unico e irripetibile. Gli occhi e la determinazione di quella gente, il loro desiderio di volermi bene senza conoscermi ma solo così, perché ero lì, mi ha mostrato un Dio che non stava lassù a fare la sua vita, ma era vicino a me ostinato ad amarmi ogni giorno. Dopo un incontro simile, la tua vita cambia (non dolcemente, ma come uno schianto) e ti costringe ad amare gli altri, soprattutto quelli dai quali non andresti mai: è lì che l'amore può funzionare, quando amo chi non può darmi nulla in cambio! E' un cambiamento che non è avvenuto in me in un semplice incontro, ma durante un percorso perché quando ti scappa un “SI'” iniziano i miracoli; posso chiedermi cosa spinge uno ad andare verso le periferie esistenziali? Probabilmente perché non può farne a meno! Quando assapori il cielo non puoi dimenticartene, perché quasi quasi sei condannato ad amare chiunque trovi, superando il pregiudizio; insomma, non puoi più tenerlo per te!!! Nella Messa e nell'Eucarestia, in quel “rendimento di grazie” riesco a ritrovare parte del fuoco, del nutrimento che mi fa guardare ogni giorno come un'occasione per poter amare qualcuno, sia nell'ipoteca di un dolore, sia nella gioia della tua resurrezione. Come puoi non innamorarti di un Dio e di un amore così? È vero, l'amore fa paura perché scardina le tue certezze, ma ti mette in relazione con gli altri in maniera sincera, perché la vita è una sola e scivola via... Lui mi chiede di puntare in alto ed essere felice (per questo vengo al mondo e per questo vivo) e così, nella mente e nel cuore mi viene da ripetere sempre quel “Se vuoi”.

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10. IL SACRAMENTO DELL’EUCARISTIA 208 Che cos'è la santa Eucaristia? La santa -> EUCARISTIA è il SACRAMENTO in cui Gesù Cristo dona il suo corpo e il suo sangue - ovvero se stesso - per noi, perché anche noi ci doniamo a lui nell’amore e ci uniamo a lui nella santa -> COMUNIONE. A questo modo ci uniamo all'unico corpo di Cristo, la Chiesa. [1322, 1324, 1409] Dopo il battesimo e la -> CONFERMAZIONE, l'EUCARISTIA è il terzo sacramento di iniziazione della Chiesa cattolica; è il fulcro di tutti questi -> SACRAMENTI, poiché il sacrificio di Gesù sulla croce diviene in esso presente in maniera misteriosa e incruenta. La celebrazione dell'Eucaristia è quindi «la sorgente e il vertice di tutta la vita cristiana» (Concilio Vaticano II, LG 11); è il punto a cui tutto converge, e non c'è traguardo più grande da raggiungere dell'Eucaristia. Quando mangiamo il pane spezzato ci uniamo con l'amore di Gesù che ha offerto il proprio corpo sul legno della croce; quando beviamo dal calice ci uniamo con colui che nel suo offrirsi per noi ha anche versato il proprio sangue. Questo rito non è stato inventato da noi uomini; fu Gesù stesso a festeggiare l'ultima cena con i discepoli in previsione della propria morte; si donò loro sotto i segni del pane e del vino e li incaricò di celebrare l'Eucaristia anche dopo la propria morte. «Fate questo in memoria di me» (1 Cor 11, 24). -> 126, 193, 217 209 Quando Cristo ha istituito l'Eucaristia? Cristo ha istituito -> l'EUCARISTIA la vigilia della sua morte, «nella notte in cui fu tradito» (1 Cor 11, 23), quando riunì intorno a sé gli -> APOSTOLI nel cenacolo a Gerusalemme e celebrò con loro l'ultima cena. [1323, 1337-1340] 210 In che modo Cristo ha istituito l'Eucaristia? «Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: "Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me”. Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: "Questo è il calice della Nuova Alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me”» (1 Cor 11, 23-25). Questa, che è la narrazione più antica di quanto avvenne nel cenacolo, deriva dall'-> APOSTOLO Paolo; egli non era un testimone oculare, ma si limitò a descrivere quanto era stato conservato come mistero e compiuto durante la Messa dalla giovane comunità cristiana. -> 99

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211 Qual è l'importanza dell'Eucaristia per la Chiesa? La celebrazione dell'-> EUCARISTIA è il centro della comunità cristiana ed è in essa che la -> CHIESA diviene tale. [1325] Non siamo Chiesa perché versiamo l'otto per mille, perché andiamo d'accordo fra noi o perché per caso ci siamo trovati collocati in una parrocchia; lo siamo invece perché nell'-> EUCARISTIA riceviamo il corpo di Cristo e , veniamo di volta in volta trasformati nel corpo di Cristo. -> 126, 217 212 Con quali nomi si indica la cena di Gesù con noi, cosa significano? Diversi nomi indicano questo insondabile mistero: santo sacrificio - santa Messa - sacrificio della Messa - cena del Signore - frazione del pane – assemblea eucaristica - memoriale della passione - morte e risurrezione - santa e divina Liturgia - santi misteri - santa COMUNIONE. [1328-1332] Santo sacrificio, santa Messa, sacrificio della Messa: il singolare sacrificio di Gesù che porta a compimento tutti i sacrifici si fa presente nella celebrazione dell'Eucaristia; la -> CHIESA e i fedeli uniscono se stessi con il loro dono al sacrificio di Cristo. La parola «Messa» deriva dalla formula latina di congedo Ite, missa est - andate, portatelo nella vita. Cena del Signore: ogni celebrazione eucaristica è pur sempre l'unica cena che Cristo celebrò con i propri discepoli e al tempo stesso l'anticipazione della cena che il Signore celebrerà con i redenti alla fine dei tempi. Non siamo noi uomini a fare la celebrazione, ma è il Signore che ci invita ad essa e che è presente in essa in maniera misteriosa. Frazione del pane: la «frazione del pane» era un antico rituale ebraico che Gesù rievocò in occasione dell'ultima cena per esprimere il suo sacrificio «per noi» (Rm 8, 32). Dopo la risurrezione i discepoli lo riconobbero da come spezzava il pane, e la comunità primitiva chiamava «frazione del pane» la sua celebrazione liturgica della cena. Assemblea eucaristica: la celebrazione della cena del Signore è anche una riunione di «rendimento di grazie» in cui la -> CHIESA trova la sua espressione visibile. Memoriale della passione, morte e risurrezione: durante la celebrazione eucaristica la comunità non celebra se stessa, ma scopre e celebra in maniera sempre nuova la presenza del passaggio salvifico di Cristo attraverso la sofferenza e la morte alla vita. Santa e divina liturgia, santi misteri: durante la celebrazione eucaristica la Chiesa celeste e quella terrena si uniscono in un'unica festa. Poiché i doni eucaristici, nei quali Cristo è presente, sono in certo qual modo la cosa più santa del mondo, si parla anche di «Santissimo». Santa comunione: poiché nella santa Messa ci uniamo con Cristo e tramite lui ci uniamo tra noi, si parta di «santa -> COMUNIONE» (communio = comunità).

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213 Quali sono gli elementi costitutivi della Messa? Ogni santa Messa (celebrazione eucaristica) si articola in due parti principali, la liturgia della parola e la liturgia eucaristica in senso stretto. [1346-1347] Durante la liturgia della parola ascoltiamo delle letture: dall' -> ANTICO, dal NUOVO TESTAMENTO e dal Vangelo; durante questa parte avvengono anche l'omelia e la preghiera dei fedeli. Nella celebrazione eucaristica che segue vengono presentati pane e vino, vengono consacrati e quindi offerti ai fedeli per la -> COMUNIONE 214 Qual è la struttura della Messa? La Messa comincia con la riunione dei fedeli e con l'ingresso del -> SACERDOTE e di quanti prestano servizio all'altare (chierichetti, lettori, cantori ecc.) Dopo la formula di saluto segue l'atto penitenziale, - che termina con il -> KYRIE. Nei giorni di domenica e festivi (esclusi i periodi di Avvento e Quaresima), viene cantato o recitato il -> GLORIA. La colletta introduce una o due letture dall'-> ANTICO e dal NUOVO TESTAMENTO, seguite dal Salmo responsoriale; prima del Vangelo si canta l'alleluia. Dopo la proclamazione del Vangelo, almeno di domenica o nei giorni festivi, il sacerdote o il -> DIACONO tiene una predica (-> OMELIA). Sempre di domenica e nei giorni festivi l'assemblea professa la fede comune nel -> CREDO, a cui fa seguito la preghiera dei fedeli. La seconda parte della Messa comincia con la preparazione delle offerte fino alla preghiera che avviene su di esse. Il vertice della celebrazione eucaristica si raggiunge con la preghiera eucaristica, introdotta dal praefazio e dal -> SANCTUS. Adesso l'offerta eucaristica diviene corpo e sangue di Cristo. La preghiera eucaristica si conclude di norma nella -> DOSSOLOGIA, da cui si passa alla preghiera del Signore. Segue lo scambio della pace, l’ -> AGNUS DEI, la frazione del pane e la distribuzione ai fedeli delle sacre speci, che spesso avviene solo sotto la specie del corpo di Cristo. La Messa termina con la benedizione, rendimento di grazie, con una preghiera finale e la -> BENEDIZIONE impartita dal sacerdote. [1348-1355] 215 Chi presiede la celebrazione eucaristica? Chi opera in ogni celebrazione eucaristica è propriamente Cristo stesso; lo rappresentano il -> VESCOVO o -> il SACERDOTE. [1348] È fede della -> CHIESA che il celebrante presiede dall'altare in persona Christi capitis (lat. = nella persona di Cristo capo). Questo significa che i -> SACERDOTI non solo operano in vece o per incarico di Cristo, ma che, in forza della loro consacrazione, è Cristo che opera per tramite loro come capo della Chiesa. -> 249-254

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216 In che modo Cristo è presente quando si celebra l'Eucaristia? Cristo è presente nel -> SACRAMENTO dell' -> EUCARISTIA in modo misterioso ma reale. Ogni volta che la -> Chiesa compie il comando di Gesù «fate questo in memoria di me» (1 Cor 11, 25), spezzando il pane e versando il calice, si verifica ancor oggi ciò che si verificò allora: Cristo si offre veramente per noi, e noi partecipiamo realmente a lui. Il sacrificio di Cristo sulla croce, unico e definitivo, si rinnova sull'altare e compie l'opera della nostra redenzione. [1362-1367] 217 Che cosa succede quando la Chiesa celebra l'Eucaristia? Con ogni celebrazione dell'-> EUCARISTIA, la Chiesa si pone di fronte alla sorgente dalla quale essa stessa zampilla ogni volta rinnovata; diviene il corpo di Cristo (e questo è infatti uno dei suoi nomi) nel momento in cui se ne nutre. Nel sacrificio di Cristo, che si dona a noi con il suo corpo e la sua anima, c'è posto per tutta la nostra vita, tutto possiamo unire al sacrificio di Cristo: il nostro lavoro, le nostre sofferenze e le nostre gioie. Anche noi veniamo trasformati da questa offerta: piaciamo a Dio e siamo per gli uomini nostri compagni come pane buono e fonte di nutrimento. [1368-1372, 1414] Ci capita spesso di imprecare contro la -> CHIESA, che altro non sarebbe che un'assemblea di uomini più o meno buoni; essa in realtà è ciò che ogni giorno si compie in maniera misteriosa sull’altare: Dio si offre in sacrificio per ciascuno di noi e desidera trasformarci con la -> COMUNIONE con lui, e noi, trasformati, dobbiamo a nostra volta trasformare il mondo; tutto ciò che la Chiesa è oltre questo è in realtà meno importante. -> 126, 171, 208 218 Qual è il modo corretto di onorare il Signore realmente presente nel pane e nel vino? Poiché nelle specie consacrate del pane e del vino è realmente presente il Signore, dobbiamo conservarle con il massimo rispetto e adorare il nostro Signore e Redentore presente nel Santissimo. [1378-1381, 1418] Le ostie consacrate eventualmente avanzate dopo la celebrazione dell’-> EUCARISTIA vengono conservate in appositi recipienti nel -> TABERNACOLO. Poiché in esso è presente il Santissimo, il tabernacolo è uno dei luoghi più importanti della Chiesa e ci inginocchiamo davanti ad esso. Certo, chi segue veramente Cristo lo riconoscerà in ogni prossimo, soprattutto nei più poveri e lo servirà in loro; ma troverà anche il tempo di trattenersi davanti al tabernacolo in adorazione silenziosa e di donare il proprio amore al Signore sacramentato.

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219 Con che frequenza un cattolico deve partecipare all'Eucaristia? Tutte le domeniche e le feste di precetto un cattolico è tenuto a partecipare alla Messa. Ma chi cerca davvero l'amicizia di Cristo risponde più spesso che può all'invito personale di Gesù alla Cena. [1389, 1417] A dire il vero il termine di «precetto domenicale» è per un vero cristiano una parola inadeguata almeno quanto quello di «precetto di bacio» per un vero innamorato; nessuno può avere un rapporto vivo con Cristo se non si reca là dove egli ci aspetta; per questo per i cristiani la Messa è fin dai tempi antichi il «cuore della domenica» e il più importate appuntamento della settimana. 220 Come devo prepararmi per ricevere !'Eucaristia? Chi desidera ricevere l'-> EUCARISTIA deve essere cattolico; se è cosciente di essere in stato di peccato mortale deve prima confessarsi; e prima di avvicinarsi all'altare bisogna riconciliarsi con il prossimo. [1389, 1417] Fino a pochi anni fa si osservavano tre ore di digiuno totale prima di avvicinarsi all'Eucaristia, e questo era il modo in cui ci si voleva preparare all'incontro con Cristo nella -> COMUNIONE; oggi la -> CHIESA chiede almeno un'ora di digiuno; altro segno è quello di indossare un vestito dignitoso: in effetti abbiamo un appuntamento con il Signore del mondo. 221 In che modo la comunione mi trasforma? Ogni -> COMUNIONE mi unisce sempre più profondamente a Cristo, fa di me un membro vivente del corpo di Cristo, rinnova le grazie che ho ricevuto con il battesimo e con la -> CONFERMAZIONE e mi rende più forte nella lotta contro il peccato. [1391-1397, 1416] 222 Si può amministrare l'Eucaristia anche ai non cattolici? La -> COMUNIONE è espressione dell'unità del corpo di Cristo; alla -> CHIESA cattolica appartiene chi è battezzato, ne condivide la fede e vive in comunione con essa. Sarebbe una contraddizione nei termini se la Chiesa invitasse alla comunione persone che (ancora) non condividono la fede e la vita della Chiesa, e ne sarebbe danneggiata la credibilità del segno dell' -> EUCARISTIA. [1398-1401] I fedeli ortodossi possono chiedere di ricevere la -> COMUNIONE in una celebrazione cattolica perché condividono la fede eucaristica della Chiesa cattolica, anche se la loro comunità non è ancora in perfetta comunione con la Chiesa cattolica. Nel caso di membri di altre confessioni cristiane la comunione può essere concessa in casi singoli, quando cioè ci sia una grave emergenza e sia presente la piena fede nella presenza eucaristica. Le celebrazioni eucaristiche e della sacra cena di cristiani cattolici ed evangelici sono lo scopo cui tendono tutti gli sforzi ecumenici; ma è falso, e quindi non permesso, anticipare questo scopo prima che si sia realizzata l'unità del corpo di Cristo nell'unica fede e nell'unica Chiesa. D'altra parte le celebrazioni ecumeniche, nelle quali cristiani di diverse confessioni pregano insieme, sono cosa buona e vengono raccomandate anche dalla Chiesa cattolica.

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223 In che senso l'Eucaristia è un'anticipazione della vita eterna? Gesù ha promesso ai discepoli e a noi di sedere un giorno a tavola con noi. Per questo ogni Messa è «memoriale della passione, pienezza di grazia, pegno della gloria futura» (offertorio romano). [1402-1405]

11. PAPA FRANCESCO SUL SACRAMENTO DELL’EUCARISTIA

- Udienza Generale del 5 febbraio 2014 – il video

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi vi parlerò dell'Eucaristia. L'Eucaristia si colloca nel cuore dell’«iniziazione cristiana», insieme al Battesimo e alla Confermazione, e costituisce la sorgente della vita stessa della Chiesa. Da questo Sacramento dell’amore, infatti, scaturisce ogni autentico cammino di fede, di comunione e di testimonianza.

Quello che vediamo quando ci raduniamo per celebrare l’Eucaristia, la Messa, ci fa già intuire che cosa stiamo per vivere. Al centro dello spazio destinato alla celebrazione si trova l’altare, che è una mensa, ricoperta da una tovaglia, e questo ci fa pensare ad un banchetto. Sulla mensa c’è una croce, ad indicare che su quell’altare si offre il sacrificio di Cristo: è Lui il cibo spirituale che lì si riceve, sotto i segni del pane e del vino. Accanto alla mensa c’è l’ambone, cioè il luogo da cui si proclama la Parola di Dio: e questo indica che lì ci si raduna per ascoltare il Signore che parla mediante le Sacre Scritture, e dunque il cibo che si riceve è anche la sua Parola.

Parola e Pane nella Messa diventano un tutt’uno, come nell’Ultima Cena, quando tutte le parole di Gesù, tutti i segni che aveva fatto, si condensarono nel gesto di spezzare il pane e di offrire il calice, anticipo del sacrificio della croce, e in quelle parole: “Prendete, mangiate, questo è il mio corpo … Prendete, bevete, questo è il mio sangue”.

Il gesto di Gesù compiuto nell’Ultima Cena è l’estremo ringraziamento al Padre per il suo amore, per la sua misericordia. “Ringraziamento” in greco si dice “eucaristia”. E per questo il Sacramento si chiama Eucaristia: è il supremo ringraziamento al Padre, che ci ha amato tanto da darci il suo Figlio per amore. Ecco perché il termine Eucaristia riassume tutto quel gesto, che è gesto di Dio e dell’uomo insieme, gesto di Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo.

Dunque la celebrazione eucaristica è ben più di un semplice banchetto: è proprio il memoriale della Pasqua di Gesù, il mistero centrale della salvezza. «Memoriale» non significa solo un ricordo, un semplice ricordo, ma vuol dire che ogni volta che celebriamo questo Sacramento partecipiamo al mistero della passione, morte e risurrezione di Cristo. L’Eucaristia costituisce il vertice dell’azione di salvezza di Dio: il Signore Gesù, facendosi pane spezzato per noi, riversa infatti su di noi tutta la sua misericordia e il suo amore, così da rinnovare il nostro cuore, la nostra esistenza e il nostro modo di relazionarci con Lui e con i fratelli.

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È per questo che comunemente, quando ci si accosta a questo Sacramento, si dice di «ricevere la Comunione», di «fare la Comunione»: questo significa che nella potenza dello Spirito Santo, la partecipazione alla mensa eucaristica ci conforma in modo unico e profondo a Cristo, facendoci pregustare già ora la piena comunione col Padre che caratterizzerà il banchetto celeste, dove con tutti i Santi avremo la gioia di contemplare Dio faccia a faccia.

Cari amici, non ringrazieremo mai abbastanza il Signore per il dono che ci ha fatto con l’Eucaristia! E' un dono tanto grande e per questo è tanto importante andare a Messa la domenica. Andare a Messa non solo per pregare, ma per ricevere la Comunione, questo pane che è il corpo di Gesù Cristo che ci salva, ci perdona, ci unisce al Padre. E' bello fare questo! E tutte le domeniche andiamo a Messa, perché è il giorno proprio della risurrezione del Signore. Per questo la domenica è tanto importante per noi. E con l'Eucaristia sentiamo questa appartenenza proprio alla Chiesa, al Popolo di Dio, al Corpo di Dio, a Gesù Cristo. Non finiremo mai di coglierne tutto il valore e la ricchezza. Chiediamogli allora che questo Sacramento possa continuare a mantenere viva nella Chiesa la sua presenza e a plasmare le nostre comunità nella carità e nella comunione, secondo il cuore del Padre. E questo si fa durante tutta la vita, ma si comincia a farlo il giorno della prima Comunione. E' importante che i bambini si preparino bene alla prima Comunione e che ogni bambino la faccia, perché è il primo passo di questa appartenenza forte a Gesù Cristo, dopo il Battesimo e la Cresima.

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Udienza Generale del 12 febbraio 2014 – il video

Nell’ultima catechesi ho messo in luce come l’Eucaristia ci introduce nella comunione reale con Gesù e il suo mistero. Ora possiamo porci alcune domande in merito al rapporto tra l’Eucaristia che celebriamo e la nostra vita, come Chiesa e come singoli cristiani. Come viviamo l’Eucaristia? Quando andiamo a Messa la domenica, come la viviamo? È solo un momento di festa, è una tradizione consolidata, è un’occasione per ritrovarsi o per sentirsi a posto, oppure è qualcosa di più?

Ci sono dei segnali molto concreti per capire come viviamo tutto questo, come viviamo l’Eucaristia; segnali che ci dicono se noi viviamo bene l’Eucaristia o non la viviamo tanto bene. Il primo indizio è il nostro modo di guardare e considerare gli altri. Nell’Eucaristia Cristo attua sempre nuovamente il dono di sé che ha fatto sulla Croce. Tutta la sua vita è un atto di totale condivisione di sé per amore; perciò Egli amava stare con i discepoli e con le persone che aveva modo di conoscere. Questo significava per Lui condividere i loro desideri, i loro problemi, quello che agitava la loro anima e la loro vita. Ora noi, quando partecipiamo alla Santa Messa, ci ritroviamo con uomini e donne di ogni genere: giovani, anziani, bambini; poveri e benestanti; originari del posto e forestieri; accompagnati dai familiari e soli… Ma l’Eucaristia che celebro, mi porta a sentirli tutti, davvero come fratelli e sorelle? Fa crescere in me la capacità di gioire con chi gioisce e di piangere con chi piange? Mi spinge ad andare verso i poveri, i malati, gli emarginati? Mi aiuta a riconoscere in loro il volto di Gesù? Tutti noi andiamo a Messa perché amiamo Gesù e vogliamo condividere, nell’Eucaristia, la sua passione e la sua risurrezione. Ma amiamo, come vuole Gesù, quei fratelli e quelle sorelle più bisognosi? Per esempio, a Roma in questi giorni abbiamo visto tanti disagi sociali o per la piaggia, che ha fatto tanti danni a quartieri interi, o per la mancanza di lavoro, conseguenza della crisi economica in tutto il mondo.

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Mi domando, e ognuno di noi si domandi: Io che vado a Messa, come vivo questo? Mi preoccupo di aiutare, di avvicinarmi, di pregare per coloro che hanno questo problema? Oppure sono un po’ indifferente? O forse mi preoccupo di chiacchierare: Hai visto com’è vestita quella, o come com’è vestito quello? A volte si fa questo, dopo la Messa, e non si deve fare! Dobbiamo preoccuparci dei nostri fratelli e delle nostre sorelle che hanno bisogno a causa di una malattia, di un problema. Oggi, ci farà bene pensare a questi nostri fratelli e sorelle che hanno questi problemi qui a Roma: problemi per la tragedia provocata dalla pioggia e problemi sociali e del lavoro. Chiediamo a Gesù, che riceviamo nell’Eucaristia, che ci aiuti ad aiutarli.

Un secondo indizio, molto importante, è la grazia di sentirsi perdonati e pronti a perdonare. A volte qualcuno chiede: «Perché si dovrebbe andare in chiesa, visto che chi partecipa abitualmente alla Santa Messa è peccatore come gli altri?». Quante volte lo abbiamo sentito! In realtà, chi celebra l’Eucaristia non lo fa perché si ritiene o vuole apparire migliore degli altri, ma proprio perché si riconosce sempre bisognoso di essere accolto e rigenerato dalla misericordia di Dio, fatta carne in Gesù Cristo. Se ognuno di noi non si sente bisognoso della misericordia di Dio, non si sente peccatore, è meglio che non vada a Messa! Noi andiamo a Messa perché siamo peccatori e vogliamo ricevere il perdono di Dio, partecipare alla redenzione di Gesù, al suo perdono. Quel “Confesso” che diciamo all’inizio non è un “pro forma”, è un vero atto di penitenza! Io sono peccatore e lo confesso, così comincia la Messa! Non dobbiamo mai dimenticare che l’Ultima Cena di Gesù ha avuto luogo «nella notte in cui veniva tradito» (1 Cor 11,23). In quel pane e in quel vino che offriamo e attorno ai quali ci raduniamo si rinnova ogni volta il dono del corpo e del sangue di Cristo per la remissione dei nostri peccati. Dobbiamo andare a Messa umilmente, come peccatori e il Signore ci riconcilia.

Un ultimo indizio prezioso ci viene offerto dal rapporto tra la celebrazione eucaristica e la vita delle nostre comunità cristiane. Bisogna sempre tenere presente che l’Eucaristia non è qualcosa che facciamo noi; non è una nostra commemorazione di quello che Gesù ha detto e fatto. No. È proprio un’azione di Cristo! È Cristo che lì agisce, che è sull’altare. E’ un dono di Cristo, il quale si rende presente e ci raccoglie attorno a sé, per nutrirci della sua Parola e della sua vita. Questo significa che la missione e l’identità stessa della Chiesa sgorgano da lì, dall’Eucaristia, e lì sempre prendono forma. Una celebrazione può risultare anche impeccabile dal punto di vista esteriore, bellissima, ma se non ci conduce all’incontro con Gesù Cristo, rischia di non portare alcun nutrimento al nostro cuore e alla nostra vita. Attraverso l’Eucaristia, invece, Cristo vuole entrare nella nostra esistenza e permearla della sua grazia, così che in ogni comunità cristiana ci sia coerenza tra liturgia e vita.

Il cuore si riempie di fiducia e di speranza pensando alle parole di Gesù riportate nel Vangelo: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno» (Gv 6,54). Viviamo l’Eucaristia con spirito di fede, di preghiera, di perdono, di penitenza, di gioia comunitaria, di preoccupazione per i bisognosi e per i bisogni di tanti fratelli e sorelle, nella certezza che il Signore compirà quello che ci ha promesso: la vita eterna. Così sia!